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Giustizia: una "responsabilità collettiva" per i suicidi in carcere di Mauro Palma (Presidente Comitato europeo prevenzione tortura)
Il Manifesto, 17 febbraio 2010
È certamente vero che non esistono misure o progetti che portino a cancellare del tutto il rischio di suicidio di chi, privato della libertà, è ristretto in un luogo chiuso al mondo esterno. L’atto del suicidio attiene alla sfera intima, personale, mai del tutto esplorabile e leggibile; attiene a una sofferenza e a una scelta che non sono mai dominabili attraverso sistemi di regole esterne e che, in quanto tali, vanno rispettate e discusse con pudore e senza facili scorciatoie interpretative. È anche vero che in nessuno dei sistemi detentivi europei, e certamente anche in quelli al di fuori del nostro continente, il numero dei suicidi è zero. Tuttavia queste sono verità parziali. Altre ci dicono che nelle carceri italiane lo scorso anno, e nell’avvio di questo, se ne è verificato un numero tale che indica una crescita allarmante del fenomeno, percentualmente tra i più alti in Europa; che questa impennata è segno ed effetto del negativo funzionamento di un’istituzione che si vorrebbe destinata al recupero sociale; e che per ridurne il numero molto si può e si deve fare, anche seguendo le tracce di altri paesi. L’estensione del fenomeno dell’autolesionismo e l’aumento del numero dei suicidi ci proiettano innanzitutto l’immagine di un mondo detenuto debole, prodotto di assenze d’intervento sociale e di una marginalità declinata penalmente e rigidamente affrontata con la detenzione. In questo contesto, il carcere diviene un luogo di abbandono di ogni progettualità possibile, luogo ininfluente rispetto all’elaborazione culturale e alla decisione politica: se ne conoscono numeri, problemi e carenze, ma questi elementi non incidono nel formare pensiero collettivo. Per chi è in carcere questa percezione di essere nel luogo dell’ininfluenza sui processi reali e della mancanza di qualsiasi progettualità che non sia il mero contenimento è un fattore che incide sulla decisione di sancire definitivamente tali assenze; quindi, sul numero dei suicidi. Ogni suicidio in carcere ci interroga sulle nostre responsabilità e dà una indiretta immagine delle criticità e degli elementi patologici e patogeni di questa istituzione, perché rappresenta sempre il risultato di più incapacità: a leggere disagio e difficoltà, a prevenirne gli esiti più negativi, a dare sostegno adeguato. Quindi, non è possibile chiudere il problema come insito nella logica stessa della detenzione o nelle vicende umane difficili da cui proviene la gran parte dei detenuti. Abbiamo il dovere di capire le ragioni di numeri così elevati, di chiederci come intervenire, di riflettere sugli interrogativi che essi pongono. Gli interlocutori di questa riflessione sono molteplici e non si restringono a chi del carcere ha diretta responsabilità. Certamente questi sono i primi interlocutori e alcune indicazioni europee delineano linee d’intervento: la costruzione di équipe di accoglienza, composte di operatori con diverso profilo professionale; il potenziamento della comunicazione tra detenuto e staff, anche attraverso forme di rappresentanza; il passaggio da un modello de-responsabilizzante, in cui il detenuto è un soggetto passivo che deve chiedere per agire, a un modello di assunzione attiva di responsabilità; la scrupolosa rilevazione degli atti auto lesivi, nonché dei suicidi, e il loro utilizzo come casi d’analisi per la stessa formazione del personale, rompendo la tendenza a occultare e negare; la drastica riduzione delle forme d’isolamento del detenuto. Sono linee guida, che l’Italia dovrebbe attuare, che certamente non sanano le questioni a monte di politica penale, ma che, nel contesto dato, chiedono all’istituzione di agire al proprio interno al massimo delle possibilità per ridurre drasticamente il numero di suicidi. All’esterno, l’unico segnale positivo si è avuto lo scorso anno, quando il Comitato Nazionale di Bioetica ha inserito il tema dei suicidi in carcere nella propria agenda, avviando una serie di audizioni. Un segnale della consapevolezza sociale del problema, non più ristretto così a tema per specialisti o ad argomento da includere nel più generale tema del suicidio, senza evidenziarne la specificità del suo porsi nella privazione della libertà. Sarebbe importante avere gli esiti di tale lavoro, anche come apertura di una riflessione sulla responsabilità intrinseca di tutti i noi su quel numero alto di vite che si continuano a perdere dietro le sbarre. Giustizia: protestano parenti dei detenuti morti; diteci la verità di Luca Liverani
Avvenire, 17 febbraio 2010
"Lo Stato me lo ha portato via. Lo Stato me lo ha ridato morto. Spero che dicano tutta la verità. Non ce l’abbiamo con le istituzioni o con l’Arma, ma con una manciata di persone, in camice o in divisa, pagate dallo Stato. Vogliamo che siano giudicati da semplici cittadini". La signora Rita Cucchi non ama esporsi. A chiedere giustizia per il figlio Stefano finora s’era fatta coraggiosamente avanti la sorella Ilaria. Ma stavolta la donna non s’è risparmiata e ha voluto dire la sua sulla morte del figlio. Uno scandalo che sta squarciando la cortina di silenzi e omissioni su tante morti incomprensibili nelle carceri italiane. Con lei, stavolta, ci sono altre madri, padri, fratelli dei tanti Cucchi scomparsi in qualche cella in circostanze ancora da chiarire. Come Manuel Eliantonio, Marcello Lonzi, Aldo Scardella, Riccardo Boccaletti e tanti altri nomi presto dimenticati. Dal 1990 a oggi sono stati 1.027 i suicidi, 14.840 i tentati suicidi, 98.342 gli atti di autolesionismo. E il 2009 è stato l’anno record con 72 suicidi pari a 11,64 ogni 10 mila detenuti. Il tasso in assoluto più alto è stato nel 2001 del 12,52, pari a 69 suicidi. A chiedere verità, giustizia e un carcere diverso sono i promotori dell’incontro a Senato, l’associazione "Il detenuto ignoto" e il centro studi "Ristretti orizzonti". Qualcosa si può fare subito. Ignazio Marino, presidente pd della Commissione d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale, annuncia la conclusione della prima stesura dei risultati dell’indagine parlamentare su Cucchi. E promette modifiche legislative: "I medici che curano i detenuti - dice Marino - devono comportarsi come in qualsiasi altra circostanza: chiamare i familiari delle persone che stano male": Così non è stato per Stefano Cucchi: "Se ci sono regolamenti che non consentono il contatto dei detenuti che stanno male con i loro familiari, sono sbagliati e vanno cambiati. Questo posso prometterlo. Se una persona si trova in carcere e si sente male deve avere una pronta assistenza". Come è successo, denunciano le famiglie dei detenuti scomparsi in circostanze poco chiare, per i loro congiunti. Manuel Eliantonio, per esempio. "Manuel è morto nel 2008 a 22 anni nel carcere di Marassi - dice la madre Maria - ufficialmente perché era un tossico e aveva inalato gas butano". Nell’ultima lettera, il giorno prima della sua morte, non trapelano propositi suicidi. Dice cose diverse: "Mi ammazzano di botte almeno una volta a settimana... mi riempiono di psicofarmaci... ti voglio bene, stai in forma, scrivimi". Le foto della salma lo mostrano gonfio e col naso rotto. Terribile anche la storia di Aldo Scardella, 24 anni, suicida il 2 luglio 1986 al Buoncammino di Cagliari. Era stato arrestato nel dicembre 1985, accusato di una rapina con morto nel suo quartiere sulla base di elementi inconsistenti: è alto un metro e settanta come uno dei rapinatori, il passamontagna viene abbandonato vicino casa sua. Lo arrestano impedendogli di avvertire i genitori che lo apprenderanno dalla tivù. Poi finisce in isolamento. "Per quattro mesi gli è stato negato il contatto col suo legale - dice ora l’avvocato Rosa Federici - e l’autopsia rivela la presenza di metadone, ma nessuno gliel’ha mai prescritto". Dieci anni dopo vengono arrestati i veri colpevoli. A 25 anni da quei fatti la famiglia aspetta ancora la proclamazione postuma d’innocenza e la verità sul suicidio ma l’inchiesta rischia di essere di nuovo archiviata. Poi c’è Marcello Lonzi, 29 anni, che muore l’11 luglio 2003 nel carcere di Livorno. La versione ufficiale è: collasso cardiaco, dopo essere caduto battendo la testa. Ma la madre non ci crede: l’autopsia sulla salma parla di otto costole rotte e due fori nel cranio. Riccardo Boccaletti, 38 anni, viene recluso a Velletri, nel 2007, in attesa di giudizio per reati di droga. Accusa inappetenza, vomito, astenia, diventa anoressico, perde 30 chili in pochi mesi. Ma non scattano gli interventi specialistici adeguati alla gravità del caso. Muore il 24 luglio 2007. Il caso Cucchi è dunque solo l’ultimo. "Stefano non può riposare in pace - dice la sorella Ilaria - perché ancora non ci ridanno il suo corpo. Il dolore per la sua riesumazione è stato inutile perché siano ancora in attesa della Tac senza la quale i nostri medici non sono in grado di stabilire ciò che da sempre sosteniamo, che è morto per le percosse ricevute. Affrontare questa storia è un dolore, ma fa male soprattutto dover combattere per avere giustizia, che dovrebbe essere doveroso in uno Stato di diritto". Giustizia: Errori Sanitari; servono dati certi sui detenuti malati
Il Velino, 17 febbraio 2010
La Commissione Parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari e i disavanzi sanitari regionali, presieduta da Leoluca Orlando, ha audito il dottor Ditta, dirigente sanitario del ministero della Salute, nel corso dell’indagine aperta dalla commissione, seguita in particolare dagli on. De Nichilo Rizzoli e Lo Moro, volta a garantire il diritto alla salute dei detenuti e di quanti lavorano ed operano all’interno delle strutture penitenziarie. L’Audizione ha fatto seguito a quella del dottor Ionta e dei vertici del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria. Nella sua relazione introduttiva, Ditta ha fornito un quadro specifico della tutela della salute nelle carceri: "L’Amministrazione Penitenziaria - ha detto - già si serviva moltissimo in passato del Servizio Sanitario Nazionale, non potendo sopperire alla domanda di salute della popolazione detenuta. Ora invece l’affidamento al Ssn è completo, ma presenta alcune criticità, come la scarsità di risorse e il ricorso eccessivo di visite specialistiche all’esterno, con conseguente spostamento di polizia penitenziaria". Un altro problema segnalato dallo stesso Ditta è la mancanza di una rilevazione generale degli stati patologici, a parte una ricerca a campione fatta nel 2005. Le criticità maggiori da questo punto di vista, ha spiegato il Dirigente del Ministero, riguardano soprattutto le tossicodipendenze e i problemi di salute mentale. A questo proposito, Ditta ha spiegato che il primo passo nella soluzione di questi problemi è un accordo di programma nell’ambito del coordinamento tra Ministero, Regioni e Amministrazione penitenziaria, a partire dai singoli Istituti. E ha annunciato che dopo il 19 febbraio verranno resi noti i risultati di un monitoraggio sull’attuazione degli accordi presi, chiesto alle singole Regioni. Ha infine auspicato un miglioramento strutturale dell’organizzazione e una sua stabilizzazione, e insieme una valorizzazione delle intelligenze e delle buone pratiche presenti nell’amministrazione penitenziaria, citando a proposito il caso di eccellenza del penitenziario di Bollate. Rispetto alla relazione, il presidente Orlando e i commissari hanno sollevato il problema delle conseguenze dei tagli legati ai deficit di bilancio, che andrebbero a colpire la tutela del diritto della salute dei carcerati proprio in seguito al passaggio al Sistema sanitario nazionale. Inoltre, è stata sollecitata l’urgenza di avere dei dati completi sulla salute mentale, la tossicodipendenza, gli errori sanitari, la diffusione dell’Hiv nelle carceri. Forte interesse ha inoltre suscitato proprio il citato caso di Bollate, sul quale il Presidente e i commissari hanno chiesto di sapere quali siano le condizioni e le risorse che hanno portato all’eccellenza di tale istituto, e come mai tali condizioni e risorse non possano essere poste in atto e messe a disposizione per gli altri istituti presenti sul territorio nazionale. Giustizia: Granaiola (Pd); Governo fermi degrado delle carceri
Ansa, 17 febbraio 2010
"È emerso oggi nell’aula del Senato in modo evidente la differenza d’impostazione sulla politica delle carceri del centrosinistra e del centrodestra che non propone alcuna soluzione per risolvere un problema che sta avendo sempre più risvolti umani e sociali drammatici". Lo afferma la senatrice del Pd Manuela Graniola. "Nella mozione presentata dalla maggioranza, o meglio dalla Lega - sottolinea la senatrice - si afferma infatti che la funzione essenziale della detenzione è quella afflittiva, mentre in tutti gli altri documenti presentati dal centrosinistra si denuncia l’archiviazione nel nostro Paese dell’approccio terapeutico e riabilitativo. Mentre la maggioranza invoca l’immediata espulsione dei detenuti extracomunitari una volta fuori dal carcere, l’opposizione denuncia la contraddizione di una politica che introduce nuovi reati e immette nel sistema carcerario un gran numero di nuovi detenuti, in particolar modo immigrati". "Resta il fatto - osserva Granaiola - che i numeri che, nella loro crudezza, emergono dalle diverse mozioni in discussione ci rappresentano una situazione gravissima e una vera e propria emergenza umanitaria, una ferita che segna profondamente la nostra tradizione civile e il nostro senso di umanità. Ci auguriamo - conclude Granaiola - che il governo si attivi da subito per fermare il degrado del sistema carcerario italiano, per invertire una tendenza disonorevole, per ripristinare la legalità, la dignità e l’efficacia dell’istituto carcerario nel nostro Paese". Giustizia: Protezione civile; potere assoluto per le nuove carceri
www.blitzquotidiano.it, 17 febbraio 2010
L’articolo 17 del decreto sulla Protezione civile parla di istituti penitenziari: al Commissario straordinario è affidato un potere assoluto. L’urgenza carceraria è il criterio per cui ogni attività è svolta in deroga alle normative vigenti. Continua a far drizzare i capelli in testa, anche a chi non li h più o ha solo dei trapianti, il controverso decreto legge sulla Protezione Civile,che oggi, mercoledì17 febbraio, sarà sottoposto alla Camera dei deputati, dopo essere stato approvato dal Senato e dopo che ieri, martedì, la commissione ambiente della Camera ha approvato una serie di emendamenti. L’attenzione dei mass media e del mondo politico si era concentrata finora soprattutto sull’art. 16 del provvedimento, ora sostituito dal Governo con uno all’apparenza più innocuo, che avrebbe dovuto istituire, alle dipendenze del Dipartimento della Protezione Civile, una società per azioni denominata "Protezione Civile Servizi s.p.a." , al fine, ironia del linguaggio leguleio alla luce di quanto hanno registrato i carabinieri, di "garantire economicità e tempestività alle funzioni in carico allo stesso Dipartimento". L’inchiesta sugli appalti per il G8 alla Maddalena, lo sconcerto e la tempesta mediatica che ne sono derivati, hanno indotto i vertici della maggioranza ad annullare (o rinviare a tempi migliori) l’idea della Spa, a questo punto diventata manifestamente inopportuna. L’opposizione canta vittoria: lo stralcio è un suo successo. Ma se questo è il criterio con cui è stata fatta l’opposizione all’articolo 16, stupisce come non sia stato notato l’articolo successivo, il 17 e in particolare il 17 ter, quello relativo alle "Disposizioni per la realizzazione urgente di istituti penitenziari", sul quale l’inchiesta sul Bertolaso, Balducci & C. getta un’ombra inquietante e preoccupante. Ma nessuno sembra accorgersene. La necessità e l’urgenza di costruire nuove infrastrutture, stante il sovrappopolamento carcerario, è un fatto acclarato, tutti i dati lo confermano, a destra e a sinistra la questione è condivisa. Ma perché deve essere proprio il Dipartimento della Protezione Civile a doversene occupare? Anche ad una rapida lettura si impone una parola che ricorre più frequentemente: deroga. Si deroga ai vincoli urbanistici esistenti per la localizzazione dei siti. Si deroga alle norme per gli appalti per cui "è consentito il subappalto delle lavorazioni della categoria prevalente fino al 50 per cento". Si deroga alle disposizioni del Cipe per l’utilizzo delle risorse. Si deroga al vincolo di destinare alle Regioni del Mezzogiorno l’85 per cento delle risorse ed il restante 15 per cento alle Regioni del Centro-Nord dei Fondi straordinario per le aree sottoutilizzate. Di deroga in deroga il Dipartimento si trova nelle condizioni di avere carta bianca su ogni attività. I poteri affidati al Commissario Straordinario non sono per l’appunto "straordinari", ma assoluti. Assoluta, cioè sciolta, libera da ogni vincolo o controllo, è l’azione del Commissario: per i provvedimenti di localizzazione, per esempio, "non sono ammesse le opposizioni amministrative previste dalla normativa vigente". Lo slittamento semantico tra urgenza e emergenza non è questione di lana caprina: tempestività ed economicità degli interventi sono criteri oggettivi se ne misurano l’efficacia, non se restano passepartout per fare quello che si vuole. Non è un’esagerazione, anche senza voler guardare agli ultimi noti scabrosi fatti. È normale che, come recita il comma 6 dell’art. 17 ter, il "Commissario straordinario può avvalersi della Protezione civile per le attività di progettazione, scelta del contraente, direzione lavori e vigilanza degli interventi strutturali ed infrastrutturali attuati in esecuzione del programma degli interventi"? Sarebbe auspicabile che almeno la denominazione s.p.a. venisse espunta anche dall’art. 17, o che qualcuno nei dintorni dell’opposizione si andasse a leggere per intero tutto il decreto. Lettere: perché negano ai giornalisti permesso d'intervistarmi? di Carmelo Musumeci
www.linkontro.info, 17 febbraio 2010
Sarebbe importante che il carcere diventasse uno spazio aperto per i giornalisti. L’appello del quotidiano Il Manifesto e dell’associazione Antigone per favorire il loro accesso in prigione è di fondamentale importanza. La prigione è un mondo ignoto a tutti quelli che sono liberi. Far conoscere ai cittadini l’inferno che i politici hanno creato e mal governato sarebbe essenziale al fine di portare la legalità in carcere. Sarebbe essenziale che i giornalisti - e di conseguenza i cittadini - sapessero degli abusi, dei soprusi, delle ingiustizie, dei pestaggi e delle violenze che accadono in carcere. Così come sarebbe di grande interesse che i cittadini sapessero che la galera in questi ultimi anni è diventata uno spazio volto solo ad allontanare, emarginare, isolare e controllare il disagio sociale. Sarebbe importante che i cittadini sapessero che in carcere ci sono sempre meno delinquenti e sempre più emarginati, tossicodipendenti, barboni, extracomunitari e avanzi sociali. Un carcere trasparente e aperto alla stampa come qualsiasi luogo pubblico, seppur ovviamente secondo alcune regole, farebbe bene al carcere, ai detenuti e alla polizia penitenziaria per affrontare le contraddizioni di questo "non luogo". Renderlo trasparente farebbe bene alla democrazia. In questi anni alcuni giornalisti, tra cui qualcuno della stampa estera, hanno cercato di intervistarmi a causa del mio attivismo per l’abolizione dell’ergastolo e per essere stato uno dei promotori di una lettera rivolta al precedente Presidente della Repubblica e firmata di 310 ergastolani, nella quale si chiedeva provocatoriamente di tramutare l’ergastolo ostativo nella pena di morte. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha sempre negato l’autorizzazione affinché qualsiasi giornalista mi potesse intervistare, come se non solo il mio corpo ma anche i miei pensieri fossero prigionieri dell’Assassino dei Sogni (come io chiamo il carcere). Non molto tempo fa il Tg3 Linea Notte mi aveva chiesto un’intervista. Poi non ho saputo più nulla, e ne deduco dunque che anche stavolta il Dap non l’abbia autorizzata. Le uniche interviste che ho potuto rilasciare finora sono state solo per iscritto. Mi viene spontanea una domanda: perché l’Assassino dei Sogni ha paura che si sappia com’è fatto, cosa fa e cosa pensa? Spero che un giorno non lontano i giornalisti possano entrare in carcere per far conoscere all’opinione pubblica quello che accade nelle prigioni di Stato e per far sapere perché molti detenuti preferiscono suicidarsi piuttosto che vivere. Ma questo ve lo posso dire anch’io: il carcere in Italia non ti toglie solo la libertà, ti toglie soprattutto la dignità, ti prende a calci l’anima, ti strappa il cuore e ti ruba quel poco d’amore che ti è rimasto dentro. Oggigiorno chiunque, innocente o colpevole che sia, può finire in carcere. È meglio per tutti che si sappia quel che si può trovare all’interno. Sardegna: le carceri in costruzione in mano agli appaltatori G8 di Guido Piga
La Nuova Sardegna, 17 febbraio 2010
In Sardegna ci sono quattro carceri in costruzione. A Cagliari, Sassari, Oristano e Tempio. Le gare per l’affidamento dei lavori sono state coperte dal segreto di Stato. Come per il G8. Tre degli appalti per la costruzione degli istituti penitenziari sardi sono andati ad altrettante società che poi li hanno vinti, nel 2008, anche per le opere alla Maddalena: Opere Pubbliche spa per il carcere di Cagliari, Anemone srl per quello di Sassari, Gia.fi costruzioni per quello di Tempio. L’aggiudicazione l’ha fatta il Siit (Servizi integrati infrastrutture) del Lazio, braccio operativo del Ministero delle Infrastrutture guidato, fino al settembre del 2005, da Angelo Balducci, il soggetto attuatore del G8 finito in carcere, insieme al successore Fabio De Santis, con l’accusa di corruzione. Ovviamente non c’è alcun profilo penale. Solo un filo rosso che tiene insieme almeno tre società nella realizzazione dei più rilevanti interventi pubblici in Sardegna degli ultimi anni. Il piano carceri. Tra il 2002 e il 2003, il governo Berlusconi elabora il piano carceri. Alcune strutture verranno potenziate, altre costruite ex novo. Tra queste ultime, quelle di Cagliari (lavori per 58 milioni 840mila euro), Sassari (53 milioni 710mila euro), Oristano (36 milioni 150mila euro) e Tempio (33 milioni). Il segreto. Un decreto del ministero della Giustizia, firmato il 2 ottobre 2003 dai ministri Lunardi (Infrastrutture) e Castelli (Giustizia), impone che "tutti gli interventi rivestono carattere di urgenza e la loro esecuzione deve essere accompagnata da particolari misure di sicurezza". Niente di anomalo, è la prassi. I lavori devono essere fatti secondo le imposizioni dell’articolo 33 della legge quadro sui lavori pubblici. Il titolo è: "Segretezza". La norma dice che le opere "possono essere eseguite in deroga alle disposizioni relative alla pubblicità delle procedure di affidamento dei lavori pubblici". E, più avanti, chiarisce che possono "svolgersi delle gare informali". Niente bandi sulla Gazzetta Ufficiale e gare con procedure veloci, come è successo per il G8 alla Maddalena. Le gare. I lavori vengono affidati nel dicembre del 2005. Ne dà notizia, in visita a Tempio, il ministro Castelli. "Secondo quanto comunicatomi dal ministro delle Infrastrutture Lunardi il 22 dicembre scorso - informa Castelli il 26 dicembre 2005 - sono state aggiudicate le gare d’appalto per gli istituti penitenziari di Tempio, Cagliari, Sassari e Oristano". Il soggetto attuatore. Materialmente, le gare informali le ha fatte il Siit. In questo caso, quello di Lazio, Abruzzo e Sardegna. Fino a quattro mesi prima, il direttore generale del Siit era Angelo Balducci, ora in carcere con l’accusa di corruzione per i lavori del G8 alla Maddalena. Il 3 agosto 2005, infatti, il governo (assente Berlusconi, presente il vice Fini) nomina Balducci presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Al suo posto, al Siit, Valeria Olivieri. Il Tar. Una società esclusa dagli appalti, Pizzarotti spa (quella che ha fatto i lavori per l’ampliamento della base Usa alla Maddalena nel 2003), presenta ricorso al Tar del Lazio perché il ministero delle Infrastrutture le ha negato l’accesso agli atti della gara per le carceri di Sassari. I giudici respingono il ricorso, perché "la costruzione di un penitenziario può essere secretata". I cantieri. Solo quando sono cominciati i lavori, sono saltati fuori i nomi delle società. Tutti finiti nell’elenco, pubblico, dell’Igi, l’Istituto grandi infrastrutture. Opere Pubbliche spa (gruppo Gariazzo) ha vinto i lavori per le carceri di Cagliari (alla Maddalena ha poi realizzato il depuratore). Anemone srl ha vinto quelli per le carceri di Sassari (alla Maddalena ha costruito il palazzo delle conferenze). Gia.fi costruzioni ha vinto quelli per le carceri di Tempio (alla Maddalena ha costruito l’hotel dell’ex ospedale). Latina: i detenuti sono il doppio del consentito, carcere al limite
Latina Oggi, 17 febbraio 2010
Il carcere di Latina conta il doppio dei detenuti che potrebbe regolarmente ospitare (145 presenze, contro le 86 che sono consentite dal regolamento e dalle norme sulla sicurezza degli istituti di pena). Inoltre il 50% dei detenuti è in attesa della sentenza definitiva. Dati che sono stati diffusi ieri l’altro dal garante regionale Angiolo Marroni che ha anche aggiunto come ci si trovi di fronte a "indicatori che confermano che i problemi della giustizia italiana non sono solo le poche carceri o la lentezza dei processi. Il nodo è una legislazione che punisce ogni reato con il carcere. Ciò che serve è un cambio di rotta, soprattutto a livello politico". Tornando ai numeri, che da soli dicono moltissimo, il carcere di Latina potrebbe ospitare 57 uomini e 27 donne; in realtà vi sono reclusi 112 uomini e 33 donne; di questi il 38% è rappresentato da stranieri, dato che rispecchia la media del Lazio, a sua volta più alta di quella nazionale. In tutto il Lazio la percentuale di coloro che sono in attesa di giudizio definitivo è superiore di quattro punti a quella nazionale (50% contro il 46%). Alla data dell’otto febbraio 2010 i reclusi nelle carceri della regione Lazio erano 5.882 (nello specifico 5.470 uomini e 412 donne), 1.284 in più rispetto alla capienza regolamentare dichiarata dal Dipartimento del Ministero che prevede, appunto, 4.598 posti. "Il sovraffollamento ha detto il Garante per i diritti dei detenuti - è figlio di una politica che tende a reprimere con il carcere ogni tipo di condotta contraria alla legge. È dei giorni scorsi, per esempio, la proposta di ricorrere al carcere per chi viola le regola di condotta sulle piste da sci. È chiaro che se si continua così il sistema andrà ancor più velocemente verso il collasso". Va detto che a proposito del carcere di Latina, appena due giorni fa gli operatori e le guardie carcerarie avevano parlato di situazione limite sottolineando che ormai da anni si lavora e si vive lì dentro in condizioni difficilissime, ormai non più sostenibili. Esiste una proposta per la realizzazione di un nuovo carcere ma è di tutta evidenza che si tratta di una soluzione che non incide sulla drammatica situazione attuale.
Il medico del carcere: meglio le tende da campo
La già difficile situazione logistica del carcere di via Aspromonte è aggravata dalla vetustà della struttura, che la rende assolutamente inadeguata sotto il profilo igienico sanitario. "Quella di Latina è una struttura fatiscente, umida, degradata, esposta ad un livello di igiene scarsissimo - spiega Giuseppe Pietrantoni, da 20 medico incaricato presso la casa circondariale di Via Aspromonte -Siamo costretti ad operare in una situazione molto simile a quella dei medici senza frontiere, ed abbiamo validi motivi per ritenere che un ospedale da campo allestito sotto una tenda ad Haiti sia igienicamente migliore della nostra infermeria". Una denuncia forte, quella del medico del carcere, che sottolinea anche che oltre alla salute dei detenuti, la tutela sanitaria all’interno di un istituto di pena si estende anche agli operatori, siano essi agenti penitenziari, medici o esterni, ivi compresi i parenti dei detenuti. Oltre a Giuseppe Pietrantoni, nella casa circondariale di Latina operano altri sei medici di guardia, che garantiscono una presenza costante all’interno del carcere, un medico e un infermiere del Sert che si occupano dei tossicodipendenti. "Dallo scorso anno il servizio sanitario interno agli istituti di pena è passato sotto la competenza delle Asl. Il ministero aveva pensato di ridurre i costi, ma il trasferimento non ha fatto altro che aggravarli. E benché una Asl come quella di Latina abbia risposto benissimo, non soltanto a livello interno ma anche creando una corsia preferenziale per le visite specialistiche dei detenuti, il ministero ha finito per sottoporsi ad un aggravio di spesa: tutto quello che prima si poteva fare all’interno di un carcere, a Latina avevamo perfino la radiologia, adesso per qualsiasi contrattempo è necessario creare una scorta per accompagnare i detenuti in ospedale. E il personale manca". Ma il problema vero per i medici che operano in carcere restano le condizioni igienico sanitarie della struttura: nei giorni scorsi è stato registrato un caso di meningite. "Da noi ci sono le condizioni ideali per essere aggrediti da questo tipo di patologia" conclude Pietrantoni. Dunque buona fortuna. Siracusa: Commissione speciale per la situazione penitenziaria
www.siracusanews.it, 17 febbraio 2010
Si è insediata ieri mattina la speciale Commissione nata in seno al Consiglio provinciale per esaminare la situazione carceraria in provincia di Siracusa. Alla riunione hanno preso parte il presidente del Consiglio, Michele Mangiafico, e i consiglieri Carmelo Spataro, Nino Iacono, Liddo Schiavo, Corrado Calvo e Niky Paci. Fanno parte della comissione, ma non hanno partecipato all’incontro di ieri, Gaetano Amenta e Francesco Saggio. In apertura dei lavori, il Presidente del Consiglio provinciale ha sottolineato il buon lavoro che ha già caratterizzato il gruppo dei consiglieri oggi designati come componenti della commissione: "Il Consiglio sta prendendo veramente a cuore quanto emerso con la proclamazione dello stato di crisi nelle carceri italiane da parte del Governo. Emergono immediatamente le problematiche relative al sovraffollamento e alla carenza di organico, ma soprattutto le stesse strutture esistenti nel nostro territorio balzano spesso agli onori della cronaca per le criticità che le caratterizzano. La commissione che si sta insediando potrà quindi dare un buon contributo su questo tema". Mangiafico ha quindi proposto di affidare la presidenza della commissione al consigliere Carmelo Spataro, proposta che è stata accolta all’unanimità dai presenti. "Nel corso della visita presso il carcere di Brucoli - ha detto Spataro - sono emerse le stesse identiche problematiche che affliggono altri istituti di pena. Dal sovraffollamento della struttura, alla carenza di approvvigionamento idrico, dalla situazione riguardante il personale di polizia penitenziaria alle figure professionali civili. Il nostro obiettivo non è solo quello di far visita alle strutture carcerarie in provincia di Siracusa, ma anche quello di sentire gli operatori del settore, gli educatori, i sindacati, il magistrato di sorveglianza, se è possibile. Dobbiamo conoscere la reale situazione per verificare il ruolo che possono avere gli enti locali". Sull’emergenza idrica è intervenuto il presidente Mangiafico, che ha proposto di contattare la società di gestione del servizio idrico per comprendere le ragioni del disagio e cercare di venire incontro alle esigenze della struttura carceraria che spesso, soprattutto in estate, per tre, quattro giorni di seguito ha enormi difficoltà nell’approvvigionamento idrico. E a proposito della carenza d’acqua, lo stesso consigliere Paci, di Augusta, ha precisato che il problema non riguarda soltanto il carcere di Brucoli, ma un po’ tutta la zona. Nel corso della riunione Nino Iacono ha suggerito di muoversi in direzione di attività che siano rivolte alle famiglie dei detenuti. E su questo argomento un po’ tutti si sono trovati d’accordo. In particolare è venuta fuori la proposta di destinare una quota percentuale delle attività promosse dalla Provincia in occasione della redazione dei calendari degli spettacoli a beneficio delle strutture carcerarie. Esaurita questa fase, si è parlato del progetto "Reload", finanziato dal ministero del Lavoro (dal 2006 e valido fino al 2011) e rivolto a 46 detenuti o ex detenuti della provincia di Siracusa, e a 51 persone affette da disabilità psichica. Per i detenuti il progetto, portato avanti dalla Provincia come ente capofila e in via di sperimentazione, riguarda l’inserimento nel mondo del lavoro con partner che operano a fianco dell’Amministrazione, soprattutto cooperative sociali. Questo progetto, a grandi linee, è stato illustrato in Commissione dalla dott.ssa Clelia Corsico, dirigente del settore: "Ogni tirocinante - ha spiegato la dirigente - viene assistito da un tutor che prepara l’ex detenuto per metterlo nelle condizioni di operare bene quando entra nell’impresa. Sono previsti, in particolare tirocini formativi di quattro mesi, con un guadagno, per il lavoratore, di 670 euro e di sei mesi, con un guadagno di 450 euro". "Noi - ha annunciato alla fine della riunione la dott.ssa Corsico - faremo richiesta per potere portare avanti un nuovo progetto". Intanto domani mattina, alle ore 10, la Commissione effettuerà un sopralluogo presso la Casa circondariale di Noto. La prossima tappa sarà il carcere di Cavadonna. Palermo: Asl impedisce ai volontari di portare vestiti a detenuti
Ristretti Orizzonti, 17 febbraio 2010
Lino Buscemi, Segretario generale della Conferenza italiana dei Garanti regionali dei diritti dei detenuti, ha dichiarato: "Per fare arrivare vestiario e biancheria intima ai bisognosi detenuti extracomunitari delle carceri palermitane di "Pagliarelli" e "Ucciardone", l’Ufficio del Garante per la Sicilia ha chiesto alla Missione "Speranza e carità" di Biagio Conte, se era possibile far pervenire, prelevandolo dai propri magazzini, quanto necessario per alleviare disagi e sofferenze. La risposta è stata disarmante ed allo stesso tempo incredibile. La Missione, per come ha riferito Don Pietro Vitrano, non può intervenire perché la Asl competente, a quanto pare per motivi di igiene e sicurezza, ha emesso una diffida che impedisce, agli operatori di carità, di immagazzinare, pulire e distribuire vestiario proveniente da donazioni effettuate dai palermitani. In una Città martoriata dal bisogno e dalla povertà ci voleva pure che legassero le mani a quell’angelo dei poveri che è Biagio Conte. Ho informato dell’accaduto il Garante, Sen. Salvo Fleres, il quale presenterà immediatamente una interrogazione parlamentare a riguardo sia per conoscere la realtà dei fatti che per sollecitare urgenti interventi amministrativi atti a riattivare quello che ormai, a Palermo, è diventato un insostituibile servizio (gratuito) di solidarietà umana e di grande attenzione verso gli ultimi. In attesa che si risolva il problema mi auguro che le autorità penitenziarie, con i propri fondi, non facciano mancare l’indispensabile a tutela della dignità umana delle persone private della libertà personale". Teramo: storia di Pietro; è uscito dal carcere e ora lo rimpiange di Tiziana Mattia
www.piazzagrande.info, 17 febbraio 2010
Ecco un argomento di cui non si parlerà nelle passerelle tv. Ecco un episodio che gli opinionisti dei salotti mediatici dimenticano o ignorano. Loro sono bravi a decantare i meriti di sedicenti benefattori e altruisti. Ma veniamo al problema vissuto in solitudine dal giovane Pietro, per mesi detenuto presso il carcere di Castrogno di Teramo. Poi, il magistrato rivede la sua posizione gli concede gli arresti domiciliari, "perché le sue condizioni - questa la motivazione - non sono compatibili con il carcere". Rispedito a Roseto, quartiere case popolari, Roberto torna nella vecchia dimora lasciata per qualche mese. Senz’acqua, senza luce e gas. Arresti domiciliari in una casa dove il giovane Pietro, in grave stato di depressione, dovrà ritrovare la strada per risalire. Dove avrà da riflettere. Soprattutto, da rimpiangere… il carcere. In solitudine. In quella casa, infatti, nessuno potrà entrare e, tanto meno, uscire. Dove, più che il peso della detenzione, si farà sentire quello del silenzio, e del disagio fisico e morale. Rimpiangerà il carcere, abbiamo detto. Dove Pietro, nonostante tutto, era meno solo e non sentiva tanto freddo. Ora il distacco si è fatto più forte da quel mondo, il nostro, che dovrebbe reinserirlo e accoglierlo. Ci domandiamo se Pietro potrà mai farcela, in un territorio affollato di istituzioni, associazioni varie e burocrati dell’altruismo. Tutti assenti, eppure deputati ad assistere e aiutare (ma come?) chi da questa nostra società è uscito, deragliando. No, Pietro non potrà farcela da solo, con la sua miseria e solitudine. Facciamo subito qualcosa o sarà di nuovo carcere, se non qualcosa di peggio. Con buona pace di chi, negli abominevoli salotti mediatici, spaccia bontà e altruismo a piene mani (e a chiacchiere). Cinema: il cinema "carcerario" tiene banco al Festival Berlino di Paolo Mereghetti
Corriere della Sera, 17 febbraio 2010
Mentre le Film Commission di tutto il mondo si sforzano di reclamizzare i panorami più affascinanti ai produttori venuti alla Berlinale, offrendo per i loro film paesaggi pittoreschi a condizioni stracciate, nelle opere in concorso domina finora una sola ambientazione, la più monotona e la meno turistica: il carcere. Ci si entra, ci si esce (ma si portano addosso le conseguenze), ci si soggiorna a lungo. E siccome due coincidenze possono essere frutto del caso, ma con tre siamo davanti a un indizio, viene da dedurre che a tutte le latitudini questo mondo assomigli sempre più a una prigione. Non può essere solo un caso se Scorsese ha scelto di raccontare l’odissea del suo frastornato poliziotto in un manicomio criminale, dove il direttore sembra un aguzzino nazista (e forse lo è). E allo stesso modo, anche senza sbarre (ma con un sistema di sicurezza degno di una banca), la casa dove Polanski ambienta il suo giallo è più simile a una prigione che a una residenza di vacanza. Sono allusioni, ma sia Shutter Island che The Ghost Writer sono dei gialli e nelle opere di genere basta e avanza. Quando però si passa ai film che rivendicano la loro presa sulla realtà, allora l’ambientazione esce di metafora e si entra davvero nelle carceri. Ci sta da quattro anni il giovane protagonista del film rumeno di cui abbiamo parlato ieri (Se io voglio fischiare, fischio) e la scena finale, nella quale rientra sconfitto nel riformatorio la dice lunga sui sogni di libertà che si respirano in Romania. La prigione è l’inevitabile punto di arrivo anche dei due fratelli di cui Vinterberg in Submarino racconta l’impossibilità a "liberarsi" dai sensi di colpa: per uno è la punizione obbligata (spaccia droga) ma per l’altro diventa il castigo "auto inflitto" dopo una vita passata a torturarsi per una morte di cui si sente responsabile. Dal carcere escono anche i protagonisti del film austriaco Der Räuber ("Il rapinatore", di Benjamin Heisenberg) e di quello norvegese En ganske snill mann ("Una specie di gentiluomo", di Hans Petter Moland). Entrambi dovrebbero assaporare la libertà ma curiosamente entrambi scelgono di vivere in stanze spoglie e claustrofobiche come le loro celle, e le abitudini della vita carceraria finiscono per vincerla su tutto, annullando le differenze che possono esistere tra dentro o fuori le sbarre. Per fortuna che alla fine, almeno nel film norvegese, "arriva la primavera" e il sorriso a lungo cancellato torna a farsi strada. Forse c’è una speranza e non tutto il mondo è una prigione. Immigrazione: Cie Ponte Galeria "recluso" si butta giù dal muro
Il Manifesto, 17 febbraio 2010
Nessuno lo ha fermato, nonostante da giorni sostenesse che lo avrebbe fatto: avrebbe cercato di uccidersi. E ora le sue condizioni sono critiche. Ieri mattina ennesimo tentativo di suicidio nel centro di identificazione e espulsione di Ponte Galeria a Roma. Un cittadino marocchino di 38 anni, Boukili Whid, si è gettato dalla recinzione del centro di identificazione e espulsione per stranieri. Lo ha reso noto la Prefettura di Roma in una nota. L’uomo era destinatario di un decreto di espulsione del Prefetto di Roma risalente al 2007, ma non se ne era andato, ed era inoltre accusato di vari reati. Fermato era stato arrestato e poi spedito nel Cie. Succedeva il 27 gennaio scorso. Lo attendeva un ritorno in Marocco, che l’uomo evidentemente non è riuscito ad accettare. Ha così iniziato a dare segni di squilibrio. A minacciare il suicidio. La stessa nota della Prefettura informa: "Aveva recentemente dichiarato di voler compiere analoghi gesti, tanto che era stato inviato presso una struttura psichiatrica romana da cui era stato rilasciato senza particolari prescrizioni". Solo che poi dalla recinzione si è buttato davvero. È ancora vivo, ma le sue condizioni sono "in corso accertamenti". "La situazione è ormai ingestibile - ha commentato la consigliera regionale di Sinistra e Libertà Anna Pizzo - fino a poco tempo fa le proteste erano messe in atto in forma collettiva, ora sono pericolosi gesti isolati. Ponte Galeria non può restare aperto un giorno di più". Droghe: quando la "prevenzione" viene lasciata ai Carabinieri di Giorgio Bignami
www.fuoriluogo.it, 17 febbraio 2010
Tempi sempre più duri per i consumatori di sostanze, sui quali "L’un dopo l’altro i messi di sventura / piovon come dal ciel..."* Prima notizia (da Il Manifesto, 10.02): qualche giorno fa, alle tre del mattino, i Carabinieri prelevano 27 ragazzi tra i 17 e i 23 anni dalle loro abitazioni di Monfalcone e comuni limitrofi; li scarrozzano al pronto soccorso; gli fanno "volontariamente" firmare il modulo di consenso; gli fanno fare dagli operatori in servizio i prelievi per i test antidroga. Risultato: sequestro di modiche quantità di droga, sei denunce per cessione e 21 segnalazioni alla prefettura per consumo. Il blitz fa parte di una più ampia operazione disposta dai Tribunali dei Minori di Trieste e Gorizia. Il Comandante provinciale della Benemerita, Roberto Zuliani, vanta nelle sue dichiarazioni il grande valore sociale di quest’azione di "prevenzione" e di avvertimento alle famiglie. Di parere diametralmente e seccamente opposto la Camera penale di Gorizia: in una delibera riguardante il fatto sottolinea come in un ordinamento democratico, attento ai diritti dei cittadini, una funzione politico-sociale come quella esercitata dall’Arma non possa e non debba essere affidata alle Forze dell’Ordine. A questo giudizio non c’è molto da aggiungere, considerato che il fatto sembra una replica dei sequestri di persona, tramite "lettre de cachet", nella Francia assolutista dell’Ancien Régime. Con più spazio, di certo, si potrebbe parlare del clima non proprio idillico di quella notte, quando neanche uno dei 27 esercita il diritto di rifiuto dei test, quando gli operatori di pronto soccorso fanno zitti e buoni "il loro dovere". E magari anche del silenzio tombale dei grandi media. Seconda notizia (da Il Tirreno del 13.02): dalla "terapia" di gruppo a quella individuale. A prato due ragazzi vengono sorpresi per strada con un po’ di fumo da due Carabinieri. Senza verbalizzare, il capopattuglia avrebbe intascato la roba; e poi lasciato andare i "rei" senza denunciarli né segnalarli alla prefettura. Dopo qualche giorno uno dei due, minore, confessa ai genitori di esser stato successivamente contattato dal milite in subordine; invitato a casa sua a Chiesina Uzzanese; convinto - facendo leva sul "trattamento speciale" accordato in precedenza - a subire un rapporto sessuale, per buona giunta ripreso con cellulare o telecamera e riversato in un computer. I genitori riferiscono al Comando provinciale: si apre un indagine; si fa perquisire l’abitazione sospetta; si sequestra il computer; e qui, per ora, la vicenda scende come il Timavo nel percorso carsico della Procura di Prato (competente, tra l’altro, per l’eventuale appropriazione indebita della roba, ma non per l’eventuale violenza sessuale in territorio di Pistoia). Se la storia viene confermata - e ci si deve augurare una smentita documentata e convincente - si sentirà di certo parlare di mele marce, di "situazione sotto controllo": ma mele marce ieri (i militi dell’affaire Marrazzo), forse altre mele marce oggi... la china sembra alquanto scivolosa, la situazione a forte rischio di sfuggire - bertolasianamente - al controllo. *I celebri versi del "Ça ira" del nostro Giosuè nazionale sembrano assai pertinenti: si riferiscono infatti agli eroici sanculotti incalzati dai mercenari della maxi-coalizione di regali parenti e ricchi compagni di merenda dei Borboni di Francia; eppur vinceranno. Stati Uniti: pena morte; 45enne giustiziato 26 anni dopo il delitto
Ansa, 17 febbraio 2010
Un uomo condannato alla pena capitale per un omicidio commesso 26 anni fa è stato ieri messo a morte con un iniezione letale nel penitenziario di stato della Florida. Lo hanno reso noto le autorità carcerarie. Martin Grossman, 45 anni, era stato riconosciuto colpevole di avere assassinato Margaret Peggy Park, agente dei servizi di protezione della flora e della fauna nello "Stato del sole". Il condannato è stato dichiarato morto alle 18.17 locali (le 0.17 italiane di oggi). Diversi attivisti contrari alla pena capitale avevano chiesto la grazia al governatore Charlie Crist sottolineando che all’epoca Grossman aveva solo 19 anni. I loro appelli non sono stati ascoltati. Secondo il Centro di informazione sulla pena capitale, l’esecuzione di ieri porta a sette il numero delle persone giustiziate negli Usa dall’inizio del 2010, tutte attraverso il metodo dell’iniezione letale. Iraq: soldati inglesi usavano dei prigionieri come "punching ball"
La Repubblica, 17 febbraio 2010
Il disgusto per il maltrattamento dei prigionieri iracheni è tornato a scuotere l’opinione pubblica britannica. Ieri è stato chiamato a deporre di fronte alla Commissione d’inchiesta sugli abusi commessi dalle truppe britanniche durante l’occupazione irachena nel 2003 il colonnello Jorge Mendonca, ex comandante del primo battaglione del Queen’s Lancashire Regiment. Mendonca è chiamato in causa dalle deposizioni dei suoi stessi soldati, che hanno testimoniato su ripetute percosse ai detenuti e della imperante "cultura di violenza gratuita". L’unico soldato britannico per ora condannato per tali violenze, l’ex caporale Donald Payne, ha testimoniato che Mendonca ha puntato una pistola al volto di un prigioniero minacciandolo di fargli "saltare in aria la testa". Il giudice ha mostrato a Mendonca una foto non pubblicata in precedenza. Vi si vede un gruppo di prigionieri legati e bendati con nastro adesivo nero e in primo piano un soldato che ne prende uno per i capelli quasi esibendolo di fronte all’obiettivo. Mendonca ha negato di essere a conoscenza delle torture e di essere sconvolto dalle accuse ai suoi uomini, che però hanno raccontato di essersi "divertiti a turno a usare i prigionieri come punching ball". Il battaglione di Mendonca è accusato in particolare di aver ucciso, Baha Mousa, impiegato in un hotel di Bassora arrestato nel 2003 nel Sud dell’Iraq.
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