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Giustizia: quando il "popolo" chiede la galera… ad ogni costo di Stefano Anastasia
L'indice dei libri del mese, 16 febbraio 2010
A una cruda sequenza di immagini è stata affidata, per qualche settimana, una rinnovata attenzione pubblica alla "pena" del carcere: all’inizio il corpo martoriato di Stefano Cucchi sul tavolo dell’obitorio che lo ha ospitato per i primi rilievi autoptici; poi, come in un flash-back, quelle foto di famiglia, con Stefano sorridente, il cui ritaglio campeggia ancora oggi negli aggiornamenti della vicenda giudiziaria; infine, il trait d’union nelle foto segnaletiche scattate all’ingresso del carcere romano di Regina Coeli, nelle quali il sorriso non ancora spento è offuscato dai lividi sul volto e dietro le orecchie. Tutto un muro costruito intorno a quello del carcere è stato come d’incanto perforato, rendendo immediatamente visibile la violenza di una pena smisurata e illegittima. Il mirabile artificio illuministico della dolcezza della pena detentiva (e finanche della sua riservatezza) deflagra sotto la pressione di immagini che ne svelano impudicamente la violenza possibile e costringe anche chi non avrebbe voluto a sapere, in cosa consista il carcere, come funziona, se serva e a che cosa. Sia chiaro: solo una piccolissima minoranza delle decine di migliaia di persone che ogni anno varcano la porta di un istituto penitenziario ne esce come Stefano Cucchi. Ma ciò non toglie che, in quella vicenda, vi sia una verità del carcere. Al di là della triste contabilità delle morti dietro le sbarre - di cui va dato atto a Ristretti Orizzonti, un centro di documentazione e di informazione nato tra i detenuti della Casa di reclusione di Padova e che ci aggiorna quotidianamente dello stillicidio di decessi che vi accadono - la verità del carcere che emerge da questo come da casi analoghi è un fatto che chiunque ne abbia frequentato uno sa bene, e cioè che la privazione della libertà personale può essere più o meno meritata, ma è sempre una forma di violenza, che affida pericolosamente il corpo e la vita di migliaia di persone - per di più etichettate come devianti o criminali - alla cura di altre, alla loro professionalità come ai loro pregiudizi e ai loro umori. Per questo il carcere andrebbe preso con le pinze: per contenere la sua necessità nelle possibilità che esso sia rispettoso della dignità umana, anche dell’autore del più spregevole dei delitti. In fondo è questo, e solo questo, che giustifica il terribile potere di punire: la distanza che esso riesce a darsi dalla violenza del delitto e da quella speculare della vendetta privata. Del carcere in Italia, delle sue promesse, della sua realtà, delle sue prospettive, ci parlano - da angoli visuali complementari e con stili narrativi diversi - tre bei libri pubblicati negli ultimi mesi, ignari delle cronache più recenti, ma che possono essere consigliati a un pubblico di non addetti ai lavori che voglia cercare tracce di risposta agli angosciosi interrogativi posti da quelle immagini scabrose filtrate dai fascicoli burocratici riservati alla morte accidentale di un detenuto. Si tratta di Camosci e girachiavi. Storia del carcere in Italia (pp. XXXVIII-216, € 18, Laterza, Roma-Bari 2009) di Christian G. De Vito, di Diritti e castighi. Storie di umanità cancellata in carcere (pp. 292, € 15, il Saggiatore, Milano 2009) di Lucia Castellano e Donatella Stasio, e di Magistrati dietro le sbarre. Farsa e tragedia nella giustizia penale italiana (pp. 227, € 16, Melampo, Milano 2009) di Alberto Marcheselli. Il primo è un saggio storico, scritto da un giovane studioso che ha fatto del carcere anche un luogo di impegno civile; il secondo è una inchiesta in stile giornalistico, scritto a quattro mani dalla direttrice del carcere di Milano-Bollate (Lucia Castellano) e da una giornalista con una ricchissima esperienza e competenza in materia di giustizia (Donatella Stasio); il terzo, infine, è una testimonianza, resa al termine di tredici anni di servizio da un magistrato di sorveglianza che ha deciso di congedarsi dall’ordine giudiziario per rifugiarsi nei più tranquilli lidi dell’università italiana. Christian De Vito ricostruisce minuziosamente la storia del carcere nell’Italia repubblicana, partendo dal lascito delle carceri dell’Italia occupata dai nazi-fascisti per arrivare (quasi) ai giorni nostri. Come nota Guido Neppi Modona nella prefazione al volume, la sua è una prospettiva di ricerca originale, svolta "dalla parte dei detenuti", assumendo cioè i detenuti (le loro lettere, le loro memorie e testimonianza) come principale fonte documentaria della storia dell’istituzione penitenziaria. Vista dal punto di osservazione della soggettività dei detenuti, inevitabilmente la ricostruzione storica assume una movenza sinuosa, nella quale al carcere pacificato della ricostruzione e del boom economico, seguono gli anni turbolenti delle rivolte e della politicizzazione della popolazione detenuta, per finire all’afasia del carcere contemporaneo, bulimico fagocitatore di anime perse e di irregolarità sociali, con la loro prevalenza di consumatori di sostanze stupefacenti, di sofferenti psichici e di immigrati privi di permesso di soggiorno. Impareggiabile l’immagine finale, di molti beneficiari dell’ultimo indulto, che escono dal carcere con un sacco da immondizia condominiale riempito alla meglio con le loro cose, pronto a essere buttato nel primo cassonetto, per tornare nell’anonimato e nella clandestinità. Diritti e castighi racconta le speranze deluse del carcere della Costituzione e della riforma. Lo fa mostrando continuamente in parallelo il carcere come è e il carcere come potrebbe essere. Il prologo dice tutto: "abbiamo fatto la rivoluzione e non ce ne siamo accorti". La rivoluzione sarebbe quella della finalità rieducativa della pena e del divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, quella della riforma penitenziaria del 1975 e della sua rivisitazione di undici anni dopo (la famigerata "legge Gozzini"), quella del nuovo regolamento penitenziario e delle regole penitenziarie europee: un complesso (e, tutto sommato, coerente) apparato normativo che dovrebbe limitare al minimo indispensabile la sofferenza della pena detentiva, per proiettarla integralmente nella sua dimensione prospettica, di occasione per il recupero della devianza e, per ciò stesso, di produzione di sicurezza. Ma così non è, e allora il carcere di Bollate, dove - né più né meno - si applicano la Costituzione e le leggi, otto anni dopo la sua inaugurazione continua a essere considerato il risultato di un progetto "sperimentale" di "trattamento avanzato". La testimonianza individuale che la direttrice del carcere di Bollate cela discretamente nel racconto oggettivato delle carceri italiane e della sua "umanità cancellata" esplode invece nel libro di Alberto Marcheselli. Farsa e tragedia nella giustizia penale italiana vi sono viste da un fondo di bottiglia, quello abitato dall’autore per tredici anni di esperienza professionale. La macchina da presa è in soggettiva e racconta il carcere e il funzionamento del sistema giudiziario a partire da quanto gli è capitato di vedere e di conoscere in un tribunale di sorveglianza, dove si decide delle istanze dei detenuti e del loro trattamento; dove gli è toccato di fare il magistrato e di condividere con i suoi utenti quel disvalore che la magistratura come la società riservano inesorabilmente a chi abbia a che fare con il carcere. Come gli dicevano amici e colleghi a Palazzo di giustizia, quando ebbe scelto - per sole ragioni di vicinanza alla famiglia - un ufficio di sorveglianza: "certo che in sorveglianza …". Rimedi, se ce ne sono, sono già nelle leggi, sembrano dire, pur con accenti diversi, Castellano e Stasio da una parte, Marcheselli dall’altra. Basterebbe avere mezzi e volontà per applicarle. Eppure così non si fa, e il nostro sistema penitenziario sembra correre ansioso verso il collasso, ormai schiacciato da un tasso di sovraffollamento eguagliato solo da Cipro tra i quarantasette stati del Consiglio d’Europa. Le leggi, dunque, non bastano. E, forse, non basterebbero neppure le risorse (se ci fossero). Del resto, lo scorso anno un puntiglioso collegio giudicante in California ha intimato al Governatore Schwarzenegger di ridurre di un terzo la popolazione detenuta in tre anni, visto che in galera non ci stanno più e considerato che le casse dello Stato, che non sarebbero in grado di garantire una sistemazione dignitosa ai suoi 150mila detenuti, trarrebbero invece qualche giovamento da una riconversione delle pene minori in misure alternative al carcere. Invece di inseguire faraonici e inconcludenti progetti di costruzione di nuove carceri, un discorso simile potrebbe essere fatto per l’Italia e per molti altri Paesi che ne condividono i problemi. Ma non viene fatto. Il problema, allora, è che - come si dice - il "pesce puzza dalla testa", e cioè (secondo le più recenti teorie della sovranità in voga nel nostro Paese) dal popolo, che chiede (generalmente e universalmente assecondato) galera a ogni piè sospinto. Poi, certo, ci sono gli imprenditori politici della paura, quelli che ci marciano e mettono da parte gruzzoletti elettorali rispondendo, anticipando o addirittura formulando quelle "domande popolari". Ma il problema è che quella domanda di carcere e pena ha così gran corso nelle vene della nostra società, incapace di gestire conflitti inter-individuali e sofferenze sociali senza far ricorso al rituale della individuazione del capro espiatorio. Capita così che la macchina della reclusione, chiamata a lavorare oltre le proprie capacità, di tanto in tanto ci restituisca la peggiore immagine di sé, per esempio, nelle forme di un giovane corpo martoriato e abbandonato fino alla morte. Giustizia: sconfiggere "l’emergenza carcere" con la normalità
www.linkontro.info, 16 febbraio 2010
Di Giovan Paolo (Pd): dall’emergenza si esce con la normalità. Al Senato voto sulla Mozione sottoscritta da 90 parlamentari. Discusse le mozioni sulla situazione carceraria in Italia che prendono spunto dalla mozione presentata dal senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo e sottoscritta da oltre un quarto dei senatori, la maggior parte del Pd. Di Giovan Paolo: "Se il centrodestra pensa di uscirne con l’ennesima specialità dell’attribuzione di un commissario straordinario per l’emergenza; noi riteniamo che debbano essere portati a fondo tutte le opportunità offerte da una legislazione che si ispiri alla Costituzione che prevede la pena certa ma anche una rieducazione certa" Beccaria diceva che per verificare lo stato di civiltà di un paese bisogna guardarlo a partire dalle carceri. E l’immagine dell’Italia in questi ultimi anni è quella di un paese devastato, al di fuori di qualsiasi sostenibilità. Nulla di concreto e di operativo ha prodotto la politica del ministro Alfano e la gestione del suo capo dipartimento e commissario per l’edilizia penitenziaria Franco Ionta, mentre il sovraffollamento delle carceri assume sempre più i caratteri di trattamento disumano e degradante, mentre sono denunciati casi di malasanità ed il drammatico aumento dei suicidi in carcere, mentre il personale penitenziario lancia inascoltato grida di allarme per la tenuta della sicurezza, mentre gli istituti sono privi di fondi sufficienti per assicurare l’ordinaria conduzione delle strutture. Oggi pomeriggio in Senato saranno discusse le mozioni sulla situazione carceraria in Italia che prendono spunto dalla mozione presentata dal senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo e sottoscritta da oltre un quarto dei senatori, la maggior parte del Pd. Questo risultato, deriva, per Di Giovan Paolo, "dalla scelta di utilizzare la mozione condivisibile della collega deputata Rita Bernardini che nella sua ricchezza e articolazione riprendeva tutti i problemi più volte affrontati dalle varie anime del Pd interessate all’argomento". "Attuando una mia personale cucina della mozione - aggiunge - che mi ha permesso di smussare alcune differenze e di proporre possibili convergenze, si è salvato lo spirito iniziale della mozione Bernardini-Radicali, nello stesso tempo creando una sintesi su cui far convergere tutto il gruppo del Pd ed esponenti di altri gruppi parlamentari del Senato". "Questa - continua il senatore del Pd - è la dimostrazione che è possibile costruire elementi di sintesi politica quando si tratta di dare risposte alle attese degli ultimi e di coloro che vivono in grande difficoltà nella società mediatizzata che si accorge di certe tematiche solo quando si sfiora o si realizza il dramma". "Sui dati della situazione carceraria in Italia - aggiunge Di Giovan Paolo - ormai nessuno discute più dal momento che li ha resi pubblici non solo il Dap ma lo stesso ministro Alfano. Quello che ci differenzia dal centrodestra è la soluzione politica da dare a questo problema comune. Da un lato si pensa di uscirne con l’ennesima specialità dell’attribuzione di un commissario straordinario per l’emergenza, in presenza di una certa confusione di quadro generale; dall’altro lato riteniamo che debbano essere portati a fondo tutte le opportunità offerte da una legislazione che si ispiri alla Costituzione che prevede la pena certa ma anche una rieducazione certa". Quindi, per l’esponente del Pd occorre "una riforma della legge Gozzini, il miglioramento della struttura giudiziaria, miglioramento e impegno di spesa prioritario per riutilizzo e riadattamento delle strutture carcerarie già esistenti, istituzione del Garante nazionale dei diritti dei detenuti e coordinamento di quelli regionali, creazione di istituti a "custodia attenuata" per tossicodipendenti, piena attuazione della riforma sanitaria penitenziaria, adeguamento degli organici della magistratura di sorveglianza, del personale penitenziario e amministrativo, dei medici, degli infermieri, degli assistenti sociali, degli educatori e degli psicologi". "Sono queste - conclude Di Giovan Paolo - le proposte per una "normalità politicamente motivata che possono permettere di costruire l’uscita dall’emergenza carceri" senza ricorrere alla emergenzialità dei metodi che, come abbiamo visto in questi giorni, non garantisce né efficienza né efficacia". Giustizia: Favi (Pd); no a piano carceri nella Protezione civile
Ansa, 16 febbraio 2010
"Nulla di concreto e di operativo ha prodotto la politica del Ministro Alfano e la gestione del suo Capo Dipartimento e Commissario per l’edilizia penitenziaria Franco Ionta, mentre il sovraffollamento delle carceri assume sempre più i caratteri di trattamento disumano e degradante, mentre sono denunciati casi di malasanità ed il drammatico aumento dei suicidi in carcere, mentre il personale penitenziario lancia inascoltato grida di allarme per la tenuta della sicurezza, mentre gli istituti sono privi di fondi sufficienti per assicurare l’ordinaria conduzione delle strutture". "Il loro Piano carceri, doveva partire già nella primavera del 2009 e, con 17.000 posti in più rispetto alla capienza regolamentare, avrebbe assicurato la ricettività per 60.000 detenuti. Falsa partenza! Ora serve lo stato di emergenza e portare, con quegli stessi posti in più, la ricettività ad 80.000 "ristretti". In pratica quello che l’anno scorso era già sovraffollamento, sarà normalità. Allora la dichiarazione dello stato di emergenza non è lo strumento per risolvere i problemi del sistema penitenziario. È il fine ultimo per assicurare l’affidamento degli affari alla Protezione civile Spa ed autorizzare il Commissario all’emergenza-sovraffollamento delle carceri ad agire in abnorme deroga alle norme urbanistiche, di localizzazione, espropriazione ed occupazione delle aree. Il Ministro Alfano aveva garantito trasparenza e certezza delle regole per i lavori del piano carceri. Garanzie che vengono meno con le scelte compiute dall’Esecutivo. Chiediamo al Governo di ritirare quelle norme e si impegni, semmai, a prevedere procedure ordinarie veloci, ma controllate, aperte al territorio e alla concorrenza degli operatori, nell’interesse pubblico e per l’economicità delle opere". Giustizia: Ferranti (Pd); Alfano in Palamento, su piano carceri
Dire, 16 febbraio 2010
"Il guardasigilli illustri in Parlamento come intende realizzare il piano carceri". Lo chiede la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti. "Il dl Protezione civile contiene - aggiunge Ferranti - norme inquietanti per la realizzazione del piano carceri che prevedono la deroga alla normativa vigente, anche quella relativa agli appalti e al limite dei subappalti, che potranno aumentare dall’attuale 30 per cento fino al 50 per cento. In sostanza - spiega l’esponente del Pd - si replica lo schema "Protezione civile" affidando pieni poteri al commissario straordinario, il dottor Ionta, che potrà avvalersi anche della "costituenda" società Protezione civile spa per le attività di progettazione, scelta del contraente, direzioni lavori e vigilanza degli interventi strutturali ed infrastrutturali. Ebbene - prosegue Ferranti - in questo momento di assoluta incertezza circa la reale volontà della maggioranza sul futuro della Protezione civile spa chiediamo al ministro Alfano di dire parole chiare sul modo in cui intende superare l’insostenibile condizione di sovrappopolamento degli istituti di pena". "Il guardasigilli - chiede la capogruppo - venga subito in parlamento ad illustrare il piano carceri e le sue modalità di realizzazione. Non accettiamo che si replichi e si estenda un modello di attuazione che giudichiamo profondamente sbagliato perché privo di ogni garanzia di trasparenza e regolarità. Il governo si fermi e ritiri il decreto Protezione civile e per il piano carceri rispetti gli impegni presi in parlamento. Penso alla mozione Franceschini (approvata sostanzialmente all’unanimità alla Camera e accettata dal governo) che impegnava chiaramente l’esecutivo a garantire i criteri di trasparenza delle procedure, evitando il ricorso a procedure straordinarie, anche se legislativamente previste", conclude Ferranti. Giustizia: Bernardini; adeguarsi a Corte Penale Internazionale
Dire, 16 febbraio 2010
Adeguare l’ordinamento italiano allo statuto istitutivo della Corte Penale internazionale e attuare i 12 punti della mozione dei Radicali sulle carceri, approvata dalla Camera. Lo chiede la deputata Radicale-Pd Rita Bernardini, giunta oggi al 15° giorno di sciopero della fame, in una lettera al ministro della Giustizia Angelino Alfano per illustrare gli obiettivi del Satyagraha intrapreso dall’esponente dei Radicali. Oltre a questo Bernardini chiede per le carceri la "rimozione dei muretti divisori all’interno delle sale colloqui, laddove ancora esistenti; la realizzazione delle aree verdi dove i detenuti possono incontrare i propri familiari laddove mancanti; lo smantellamento dei wc a vista, laddove necessario". Inoltre, spiega, "ad ogni detenuto dovrà essere consegnato (nella lingua dallo stesso conosciuta) il vademecum contenente i diritti e i doveri del detenuto e il Regolamento dell’istituto penitenziario". Giustizia: 1.579 i detenuti morti in 10 anni, i familiari in Senato
Redattore Sociale, 16 febbraio 2010
Oltre 500 i suicidi, altrettanti i casi su cui la magistratura ha aperto un’inchiesta. Le associazioni "Il detenuto ignoto" e "Ristretti orizzonti" chiedono chiarezza sulle tante morti sospette che rischiano di essere archiviate. "Vi chiedo perdono, muoio da innocente" scriveva dal carcere ai genitori Aldo Scardella, pochi giorni prima di morire. Ma a 25 anni dalla sua morte i familiari non credono ancora all’ipotesi del suicidio. Finito dietro le sbarre con l’accusa di omicidio in seguito a una rapina ( i veri colpevoli furono poi arrestati nel 1996) Scardella venne sottoposto al regime di isolamento e sette mesi dopo il suo arresto fu ritrovato col cappio al collo. Nel suo sangue c’erano però tracce di metadone, nonostante non fosse sottoposto a questo tipo di trattamento. Una circostanza che ha portato nel 2006 a riaprire il caso. Oggi l’inchiesta su quella morte "strana" rischia di nuovo di essere archiviata. "Le carceri sono piene di segreti. I parenti di Aldo vogliono andare a fondo della vicenda - sottolinea l’avvocato della famiglia Scardella, Rosa Federici. Allo Stato non chiedono niente, non vogliono soldi, solo sapere la verità e ottenere le scuse che meritano". "Queste storie non avvengono tutti i giorni, dovrebbe essere interesse delle istituzioni fare maggiore chiarezza perché la trasparenza diventi una regola - ha aggiunto Ornella Favero direttrice di Ristretti Orizzonti. Irene Testa dell’associazione il Detenuto Ignoto, ha poi ricordato che ci sono vicende su cui è particolarmente urgente accertare la verità, come nel caso della morte di Marcello Lonzi, avvenuta nel 2003 all’interno del carcere Le Sughere di Livorno. "Ufficialmente il ragazzo è morto di infarto ma sul cui corpo sono state riscontrate lesioni gravi e inspiegabili - ha sottolineato. Nei prossimi giorni questo caso rischia di essere archiviato per la seconda volta, senza che siano state individuate le responsabilità". Giustizia: familiari dei detenuti morti; da anni cerchiamo verità
Ansa, 16 febbraio 2010
Marcello Lonzi, Giuliano Dragutinovic, Katiuscia Favero, Manuel Eliantonio: sono alcuni dei giovani morti in carcere in circostanze che non danno pace ai loro familiari. Sono morti violente passate come morti naturali o suicidi, protestano i genitori che hanno raccontato le loro storie a Palazzo Madama promosso dall’associazione radicale Detenuto Ignoto. "Manuel - racconta la madre Maria - è morto nel 2008 a 22 anni nel carcere di Marassi, ufficialmente perché mio figlio era un tossico e aveva inalato gas butano". Ma la signora ha portato con sé una lettera di Manuel in cui il ragazzo scriveva di aver subito maltrattamenti e le foto del suo corpo senza vita in cui pare gonfio e con il naso rotto. La morte di Marcello Lonzi, invece, è stata attribuita a un collasso cardiaco, ma l’autopsia effettuata sulla salma riesumata ha evidenziato otto costole rotte e due fori nel cranio: se li sarebbe procurati - è la spiegazione ufficiale - sbattendo la testa su un secchio dopo un malore. La madre di Riccardo Boccaletti, morto di stenti a 38 anni nel carcere di Velletri dopo aver perso 30 chili, a distanza di 3 anni non si dà pace: "arriverò - assicura la signora Antonietta - fino in Europa per avere giustizia". "I racconti dei famigliari - afferma la deputata radicale Rita Bernardini, da due settimane in sciopero della fame per sollecitare una riforma organica del sistema carcerario - hanno squarciato il velo della rassegnazione di coloro che ritengono che non sia possibile avere verità". Lo hanno fatto per primi, ricorda Bernardini, i famigliari di Stefano Cucchi anch’essi presenti all’incontro, che hanno avuto "la forza di restituire a Stefano la sua immagine". Giustizia: Radicali; Commissione d'inchiesta, su morti sospette
Agi, 16 febbraio 2010
La Commissione parlamentare d’inchiesta faccia luce sulle morti sospette avvenute nelle carceri italiane. È la proposta fatta questa mattina dai Radicali e dall’associazione "Il detenuto ignoto", nel corso di una conferenza stampa che si è svolta al Senato e che ha visto la partecipazione di numerosi familiari di detenuti morti in circostanze sospette in carcere. La deputata Rita Bernardini, in sciopero della fame dal 3 febbraio, ha chiesto che venga data rapida esecuzione alla mozione parlamentare che è stata approvata alla Camera l’11 gennaio e che prevede il riordino del sistema carcerario. "Qualcosa di importante - ha detto Rita Bernardini che è membro della Commissione Giustizia della Camera - è accaduto nel nostro Paese perché si è squarciato il velo della rassegnazione dei tanti familiari che ritenevano ormai impossibile ottenere la verità. Questo è accaduto in modo più evidente con la vicenda di Stefano Cucchi, grazie al coraggio della famiglia. Le carceri sono purtroppo delle istituzioni oscure e nonostante sia permesso accedere ai parlamentari e ai giornalisti, quando non ci sono questi occhi, accadono cose che è difficile raccontare". "È importante essere qui con le famiglie che hanno vissuto lo stesso dolore assurdo - ha detto Daria Cucchi, sorella di Stefano, morto in carcere il 22 ottobre, dopo otto giorni di detenzione -. Noi tutti chiediamo che ci sia data giustizia, e questo è un dovere per le istituzioni. Continueremo ad avere fiducia nelle istituzioni anche perché ci sono delle responsabilità ma da parte dei singoli". Oltre alla vicenda di Stefano Cucchi stamattina sono state ricordate altre vicende che sono ancora oscure, come la morte di Marcello Lonzi, di 27 anni, deceduto nel carcere di Livorno l’11 luglio del 2003, ufficialmente per collasso cardiaco dopo essere caduto battendo la testa. Il corpo di Lonzi però era pieno di ferite e sono state riscontrate anche otto costole fratturate. Il caso di Stefano Frapporti, cinquantenne, ufficialmente morto suicida nel luglio del 2009 nel carcere di Rovereto e quello Katiuscia, trentenne, trovata impiccata con un lenzuolo nel novembre 2005, nel giardino dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere. "Chiediamo verità e giustizia per queste famiglie - ha detto Irene Testa, segretaria dell’associazione "Il detenuto ignoto", che da cinque giorni è in sciopero della fame - le istituzioni possono e devono fare qualcosa. Mi sono unita allo sciopero della fame di Rita Bernardini affinché sia data esecuzione alla mozione già approvata sulle carceri, ma chiediamo soprattutto giustizia per queste morti sospette". Giustizia: Bonino; dramma se istituzioni non operano in legalità
Redattore Sociale, 16 febbraio 2010
"La mia presenza qui conferma l’attenzione per la mala politica e il malo carcere che accompagna la storia dei radicali. Beccarla diceva che per verificare lo stato di civiltà di un paese bisogna guardarlo a partire dalle carceri. Se le istituzioni non operano nella legalità è un segno drammatico per la fiducia dei cittadini". Lo ha detto Emma Bonino vicepresidente del Senato e candidato per il Pd per le elezioni regionali del Lazio, intervenendo questa mattina a Roma alla conferenza stampa promossa da Ristretti Orizzonti e l’associazione radicale "Il detenuto ignoto", dal titolo. "Quando lo stato sbaglia:casi, storie e proposte". Nel corso dell’incontro sono stati presentati diversi casi di cronaca su morti sospette in carcere, a partire dalla più recente, quella di Stefano Cucchi. "Ilaria Cucchi è il simbolo dell’impegno non solo delle famiglie ma anche delle istituzioni. La forza di queste persone di uscire allo scoperto e denunciare è utile per andare avanti. - ha detto la Bonino - Queste cose non devono più succedere, dobbiamo operare per una cittadinanza attiva e per una buona politica. È un impegno che riconfermo, sapendo che la strada è accidentata e lunga. Non intendiamo perseguire casi individuali, ma lavorare per la responsabilità di un paese diverso, dove le istituzioni abbiano un comportamento diverso". Giustizia: Bonino; morti sospette parte oscura di un paese civile
Agi, 16 febbraio 2010
Emma Bonino ribadisce il suo impegno e quello dei radicali per fare chiarezza e giustizia sulle morti sospette all’interno dei carceri italiani. In una conferenza stampa promossa dall’Associazione "Detenuto ignoto", la candidata del centrosinistra alla presidenza della Regione Lazio testimonia con la sua presenza "la conferma di un’attenzione politica per la mala giustizia e le male carceri che dura da molti anni. Come diceva Beccaria "la civiltà di un Paese si misura a partire dalle sue carceri", ed è una mia convinzione profonda che se le istituzioni non vivono e non operano nella legalità questo è un segno drammatico per la fiducia dei cittadini". Per Bonino quando "si congiungono tra loro il dramma delle istituzioni e il dramma delle famiglie si ha la parte più oscura di un Paese civile. Se le carceri - insiste - non vivono nella legalità è un segno drammatico. Voi - aggiunge rivolgendosi ai tanti familiari di vittime di morti sospette all’interno dei carceri - avete avuto la forza di combattere e andare avanti. La forza di uscire allo scoperto e denunciare per ottenere giustizia, mentre a volte le nostre denunce sembrano solo teoriche, la forza delle vostre facce è un’opera di cittadinanza attiva ed è un esempio per la buona politica. Oggi - conclude Bonino - riconfermo il mio impegno sapendo che la strada è accidentata e lunga. Non abbiamo cose da promettervi salvo il nostro impegno. Nessuno vi potrà ridare i vostri cari ma con la cocciutaggine qualcosa succederà: è la vostra speranza come la nostra perché sentiamo la responsabilità di un Paese diverso in cui regni lo stato di diritto e la legalità". Alla conferenza stampa erano presenti anche il senatore Ignazio Marino, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul servizio sanitario che ha aperto un’indagine sul caso della morte di Stefano Cucchi. Marino ha sottolineato come "non ci sia stato di diritto se il diritto di tutti non viene rispettato", ed ha annunciato che oggi ci sarà la prima stesura dei risultati dell’inchiesta parlamentare. Infine, Rita Bernardini, componente della Commissione Giustizia della Camera, ha ricordato di essere al quindicesimo giorno di sciopero della fame affinché sia data attuazione alla mozione approvata da Montecitorio sulla riorganizzazione del sistema carcerario "ad oggi ancora disattesa". Ieri la parlamentare radicale ha scritto una lettera al Guardasigilli Alfano per spiegargli i motivi dello sciopero della fame, "ma ancora non ho ricevuto alcuna risposta". Giustizia: Testa (Radicali) in sciopero fame, per verità su morti
Ansa, 16 febbraio 2010
Ottenere verità e giustizia "per alcuni casi che la attendono, dei quali devono occuparsi politica e istituzioni, come è successo recentemente per Stefano Cucchi". È la richiesta di Irene Testa, segretario dell’associazione radicale Il Detenuto Ignoto, che è in sciopero della fame da cinque giorni. Tra gli altri, Testa segnala il caso di Marcello Lonzi morto nel 2003 nel carcere di Livorno, "che per la seconda volta rischia, nei prossimi giorni, di venire archiviato senza che siano individuate responsabilità". Testa, si è unita nella protesta, alla deputata Rita Bernardini che da due settimane si astiene dal cibo per sollecitare una riforma organica del sistema carcerario e garantire la possibilità di votare a quei detenuti che ne abbiamo il diritto. Giustizia: Ilaria Cucchi; mio fratello Stefano non riposa in pace
Ansa, 16 febbraio 2010
"L’inchiesta procede, abbiamo fiducia nella Procura ma abbiamo una forte preoccupazione per le perizie, per cui stanno succedendo cose gravi". Lo ha detto Ilaria, la sorella di Stefano Cucchi, il geometra romano morto all’ospedale Pertini di Roma a 31 anni il 22 ottobre scorso, a una settimana dal suo arresto per droga. "Quando lo Stato sbaglia - ha detto intervenendo a una conferenza stampa al Senato, a cui hanno preso parte altre famiglie coinvolte in morti sospette di detenuti - Stefano non può riposare in pace, perché ancora non ci ridanno il corpo. È come se il dolore per la sua riesumazione sia stato inutile. Siamo in attesa della tac, senza la quale i nostri medici non sono in grado di stabilire ciò che da sempre sosteniamo, cioè che mio fratello è morto in seguito alle percosse ricevute. Affrontare questa storia è rinnovare un dolore ma soprattutto fa male dover combattere per avere giustizia, che dovrebbe essere doverosa in uno Stato di diritto". Dal palco ha poi parlato, in una delle sue rarissime dichiarazioni alla stampa, anche Rita, madre di Stefano: "Lo Stato me lo ha portato via - ha detto - lo Stato me lo ha ridato morto. Spero che dicano tutta la verità, noi non ce l’abbiamo con le istituzioni, non ce l’abbiamo con l’Arma, ma con una manciata di persone, in camice o in divisa, pagate dallo Stato. Vogliamo che siano giudicati da semplici cittadini italiani, perché la legge sia davvero uguale per tutti". Giustizia: Marino (Pd); familiari di malati devono essere avvisati
Ansa, 16 febbraio 2010
"I medici e i sanitari che curino i detenuti devono comportarsi come in qualsiasi altra circostanza: chiamare i familiari delle persone che stanno male": lo ha detto il presidente della Commissione di inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, Ignazio Marino (Pd), incontrando a Palazzo Madama i familiari dei detenuti morti in circostanza sospette. "Se abbiamo dei regolamenti che non consentono le visite dobbiamo cambiarli e questo posso prometterlo. Se una persona - ha concluso il senatore - si trova in carcere e si sente male deve avere una pronta assistenza. Nessuno di noi che si occupa di politica può sentirsi sereno se sente che i diritti non sono rispettati in ogni luogo del nostro Paese". Giustizia: Sarno (Uil); già 20 suicidi sventati dall’inizio dell’anno
Adnkronos, 16 febbraio 2010
Il personale della polizia penitenziaria in servizio presso la Casa Circondariale di Trieste ha tratto in salvo ieri un detenuto che aveva tentato il suicidio in cella. Ne dà notizia la Uil Pa Penitenziari. Secondo il segretario generale del sindacato, Eugenio Sarno "il fenomeno delle morti in carcere per suicidio fa registrare un sostanziale blocco numerico solo ed esclusivamente grazie all’impegno del personale di polizia penitenziaria. In queste prime sei settimane del 2010 sono ben 20 i tentativi di suicidio sventati in extremis dal personale di sorveglianza". "Dall’inizio del 2010 abbiamo registrato 7 morti in carcere dovute a suicidi, un trend che rischia di far superare il triste primato del 2009. È del tutto evidente la necessità di intervenire presto e bene sul sistema penitenziario. Deflazionare le presenze, implementare gli organici, recuperare maggiori spazi e garantire la dignità delle persone attraverso una intelligente politica penitenziaria sono gli obiettivi che continuiamo a sollecitare al Ministro Alfano e al Capo del Dap Ionta. Una moderna, innovata e rinnovata Amministrazione Penitenziaria può vincere questa sfida. Noi - aggiunge - siamo pronti a fornire il nostro contributo di esperienza, conoscenza e professionalità". Giustizia: Osapp; serve riforma carceraria, non nuove carceri
Ansa, 16 febbraio 2010
"Le polemiche ed i contrasti politici in atto rispetto alla istituzione della Protezione Civile Spa preoccupano il sindacato di Polizia penitenziaria Osapp perche "oltre alla possibile mancata realizzazione delle opere appare del tutto incerta anche la preannunciata assunzione straordinaria di 2.000 unità di Polizia Penitenziaria". Nel ricordare che, stando ai dati di ieri, è stato superato abbondantemente il limite dei 66mila detenuti nelle istituti di pena, il segretario dell’Osapp, Leo Beneduci, osserva: "Come cittadini e come sindacato c’è da essere tutt’altro che soddisfatti che, invece di attuare le modifiche e gli aggiornamenti necessari al codice penale e di avviare quelle riforme di cui il sistema penitenziario e la polizia penitenziaria abbisognano da quasi un ventennio, invece di destinare maggiori risorse per la soluzione di problemi quali quelli dell’occupazione e dell’istruzione, si vogliano spendere 1,5 miliardi di euro per nuove carceri ed in base ad un sistema che rischia di ricevere attenzioni giudiziarie prima ancora di iniziare". Campania: Sappe; la Regione verso il record di 8.000 detenuti
Ansa, 16 febbraio 2010
Campania penitenziaria tra le prime tre Regioni italiane con il record di presenze di detenuti, ad un passo dalle 8mila presenze. È quanto denuncia il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria, che nel sottolineare come manchi davvero poco a raggiungere la quota di 8.000 presenze nelle celle dei penitenziari regionali (numero mai registrato neppure ai tempi dell’indulto del 2006), considerato che al 31 gennaio scorso i detenuti presenti erano 7.774 rispetto ad una capienza tollerabile di 5.311 posti letto. "I numeri parlano chiaro", spiega Donato Capece, segretario generale del Sappe che questa settimana, insieme al Segretario Generale Aggiunto Umberto Vitale, al Segretario Nazionale Emilio Fattorello ed ai quadri regionali e provinciali del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, visiterà ben 5 delle 17 strutture penitenziarie regionali. "Al costante e crescente affollamento della popolazione detenuta ristretta in Campania non corrisponde purtroppo un adeguamento degli organici della Polizia Penitenziaria, carenti nelle 17 carceri regionali di ben 200 agenti in meno rispetto a quanto previsto. I 7.774 detenuti che erano presenti nelle carceri campane il 31 gennaio scorso erano più imputati che condannati con sentenza definitiva. Considerevole anche la presenza di internati, che nei due Ospedali Psichiatrici Giudiziari di Aversa e Napoli Sant’Eframo ammontano ad oltre 450 unità. E quella campana è una popolazione detenuta assai variegata e problematica, come dimostra anche una considerevole presenza di detenuti tossicodipendenti e stranieri. Questi emblematici dati dovrebbero far comprendere anche ai non addetti ai lavori come i livelli di sicurezza dei nostri penitenziari siano assai limitati e in quali drammatiche e difficili condizioni lavorino con professionalità e senso del dovere le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria in Campania". Capece visiterà nelle prossime ore e nei prossimi giorni il carcere napoletano di Poggioreale, le camere di sicurezza del Palazzo di Giustizia di Napoli, le Case circondariali di Ariano Irpino ed Avellino ed infine il Centro Penitenziario di Napoli Secondigliano. Nel ricordare l’apprezzamento già espresso dal Sappe all’annunciato piano carceri del Governo, Capece auspica che se ne vedano presto gli effetti anche in Campania: "Il piano carceri dovrebbe dare indubbiamente una "scossa" salutare al sistema. Speriamo ad esempio che per effetto delle annunciate nuove assunzioni (con procedure di urgenza) di 2.000 unità di Polizia Penitenziaria l’Amministrazione penitenziaria predisponga con urgenza un piano di mobilità del Personale in servizio nelle sedi del Nord che aspira ad essere trasferito nelle Regioni meridionali (come la Campania) e che le previste norme di accompagnamento finalizzate ad attenuare il sistema sanzionatorio per chi deve scontare un piccolissimo residuo di pena, contenute nel piano carceri del Governo, portino ad una effettiva riduzione di detenuti nelle carceri campane". Campania: De Luca (Pd) lancia progetto per i figli dei detenuti
Ansa, 16 febbraio 2010
Lo chiama progetto "Figli Nostri", un programma destinato ai figli dei detenuti. Il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca, candidato del Pd per la presidenza della Regione Campania, a Secondigliano, quartiere periferico di Napoli, parla di un progetto specifico per chiedere ai detenuti "di aiutarci a salvare i loro figli e dire a questi bambini che hanno la stessa dignità dei nostri figli". "Ragionando con il volontariato, la chiesa e le associazioni che lavorano sul territorio - ha detto - dobbiamo mettere a punto un programma preciso. Un censimento dei bambini che hanno un genitore in carcere". Da qui, poi, far partire un "un programma sociale e culturale che preveda di affidare 5 bambini ad assistente sociale e che assegni a questi assistenti anche nuclei familiari. Un progetto - ha aggiunto - che impegni le associazioni in lavoro di educazione familiare e sociologi e operatori dei servizi sociali a parlare con queste famiglie, per raccogliere problemi". "La cosa più drammatica per un bambino che ha il papà in galera - ha affermato - è di un doppio sentimento. Il primo di vergogna, di frustrazione: vai a scuola, per strada e hai vergogna a farti vedere, ti senti marchiato. L’altro è il senso di frustrazione che fa accumulare rabbia e che presto o tardi fa scatta il desiderio di vendetta, per diversi motivi, di ambiente, di circostanza. Il rischio - ha concluso - è di essere trascinato in questa catena che non si spezza e passa di padre in figlio". Augusta (Sr): Fsa-Cnpp; struttura precaria c’e poco personale di Sebastiano Salemi
Gazzetta del Sud, 16 febbraio 2010
Il sindacato della Polizia penitenziaria Fsa-Cnpp torna a richiamare l’attenzione sulle difficili condizioni in cui sono costretti ad operare gli agenti in servizio nella Casa Circondariale di Brucoli. Il segretario provinciale della Fsa-Cnpp Massimiliano Di Carlo ha scritto al Ministro della Giustizia, ai vertici del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) e al prefetto per chiedere una parziale chiusura del carcere per permettere l’esecuzione delle opere necessarie. "La casa di reclusione di contrada Piano Ippolito - denuncia il sindacato - versa in uno stato di grave emergenza dovuta alla stabile e sempre più critica carenza di personale e per il notevole sovraffollamento della popolazione detenuta". Secondo i sindacati "occorre urgentemente valutare attentamente la possibilità di inviare un numero adeguato di personale di polizia penitenziaria, considerato che attualmente l’organico amministrato è di 224 unità a fronte delle 357 previste dal decreto ministeriale, che oltretutto, occorre rivedere urgentemente e per il quale si richiede un incontro con tutte le organizzazioni sindacali di categoria". Massimiliano Di Carlo chiede il rientro del personale distaccato in altri istituti e servizi penitenziari. "La critica mancanza di personale - secondo Di Carlo - comporta pesanti conseguenze all’ordine, alla disciplina e alla sicurezza dell’istituto. Tale carenza provoca anche un aggravio dei carichi di lavoro, stress psico-fisico, assenze per malattia, ricorso allo straordinario e malcontento generale". E poi il problema del sovraffollamento. La casa di reclusione di Augusta registra mediamente 615 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 320 posti, con tre detenuti in camere di pochi metri quadrati, progettate per ospitare un solo recluso. "Si registra, inoltre - continua il sindacalista - una sovraffollata sezione "alta sicurezza" e una presenza numerosa di detenuti con patologie psichiatriche. In considerazione dell’elevata presenza di detenuti, che rende difficile la gestione dell’istituto sotto il profilo dell’ordine, la sicurezza ed il trattamento, sarebbe opportuno procedere quindi ad uno sfollamento. Le condizioni strutturali del penitenziario di Augusta sono decisamente pessime e potrebbero arrecare danni irreparabili anche a persone. Si ricorda in merito il crollo di gran parte della recinzione esterna avvenuta qualche tempo fa di cui parte non è stata ancora ricostruita con grave pregiudizio per la sicurezza. Torino: Sappe; sventato tentativo di evasione, di una detenuta
Il Velino, 16 febbraio 2010
"È solo grazie alla professionalità, alle capacità e all’attenzione del personale di Polizia penitenziaria che al carcere Lorusso-Cotugno di Torino è stato sventato oggi un clamoroso tentativo di evasione da parte di una detenuta zingara". È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo Polizia penitenziaria (Sappe), in relazione a quanto avvenuto oggi al carcere di Torino. "La detenuta si trovava nell’area verde del carcere, è salita sulla tettoia e ha cercato di evadere - continua Capece -. È stata vista dalla sentinella che ha dato l’allarme e i colleghi sono intervenuti prontamente, evitando che la stessa riuscisse a scavalcare il muro di cinta e a evadere. Bravissimi i colleghi di Torino, che lavorano sotto organico e in condizioni difficili. Questo grave episodio conferma ancora una volta le gravi criticità del sistema carcere. La situazione delle carceri in Italia è drammatica a causa del sovraffollamento, dovuto a una costante crescita dei detenuti che dall’inizio del 2009 sono aumentati di oltre 10mila unità, mentre il personale di Polizia penitenziaria continua a diminuire di circa mille unità all’anno, tant’è che allo stato attuale mancano oltre 5mila agenti rispetto alle piante organiche previste dal decreto ministeriale del 2001. Oggi nelle carceri italiane ci sono più di 66mila detenuti, dei quali oltre 25mila sono stranieri, soprattutto extracomunitari. I due terzi dei reclusi sono in attesa di giudizio e anche questo rappresenta un’anomalia del nostro sistema. Il carcere Lorusso-Cotugno di Torino ospitava al 31 gennaio scorso 1.573 detenuti a fronte di poco più di mille posti letto, con una percentuale di detenuti stranieri pari al 55 per cento e di detenuti tossicodipendenti del 30. Gravissime le carenze di poliziotti penitenziari: ne mancano più di 350 in organico. E questi emblematici dati fanno comprendere anche ai non addetti ai lavori come i livelli di sicurezza dei nostri penitenziari siano assai limitati e in quali drammatiche e difficili condizioni lavorino i nostri agenti. E allora rivolgiamo un grande plauso ai colleghi del carcere Lorusso-Cotugno di Torino - conclude Capece - che hanno impedito il verificarsi di una evasione nel penitenziario". Roma: detenuto vince causa infortunio, ma non può incassare
Apcom, 16 febbraio 2010
Prima di essere arrestato per reati contro il patrimonio aveva intentato e vinto una causa per infortunio contro l’Ater. Ora, però, non può riscuotere il risarcimento di oltre 400.000 euro accordato dal giudice, perché nessuna banca ha permesso l’apertura del conto corrente dove far accreditare tali fondi giudicandolo "cliente indesiderato". La denuncia è del Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Il protagonista della vicenda è un cittadino italiano di origine rom, attualmente detenuto nel carcere di Viterbo, dove è stato da poco trasferito da quello di Velletri, con un fine pena fissato entro la fine di quest’anno. Circa otto anni fa l’uomo, conduttore di un appartamento di proprietà dell’Ater, era caduto all’interno dell’abitazione ed aveva intentato causa per i danni fisici subiti. Al termine del procedimento giudiziario il Giudice ha riconosciuto, in suo favore, un risarcimento danni di oltre 400.000 euro che la controparte è pronta a pagare con un bonifico sul c/c bancario del danneggiato. Ma da mesi, dopo che un notaio si era recato in carcere per far firmare al detenuto una procura per l’apertura di un conto corrente a suo nome, l’avvocato difensore dell’uomo ha contattato le filiali territoriali di diverse banche. Ma tutte, anche per iscritto come la Unicredit, hanno fatto capire che il detenuto era un cliente "indesiderabile" ed hanno rifiutato l’apertura del conto. Marroni definisce quella che sta vivendo questa persona una "vicenda kafkiana. Prima di finire in carcere quest’uomo si era rivolto alla giustizia per un abuso evidentemente subito. La sentenza in suo favore è, fino a questo momento, rimasta sulla carta perché un autorevole settore della nostra società, il sistema creditizio, ha deciso che quest’uomo è un cittadino diverso dagli altri. Per questi motivi - dice - ho chiesto ai miei uffici di acquisire la documentazione degli istituti di credito che hanno rifiutato l’apertura del conto corrente per segnalarle sia all’Abi che alla Banca d’Italia". Cagliari: partito corso di educazione alla lettura per i detenuti
La Nuova Sardegna, 16 febbraio 2010
Con la lettura si viaggia dentro se stessi, si scoprono universi nuovi, si ride, si piange, si soffre, si vince, si perde, ci si diverte, si entra nel mistero dell’altrui umanità. Insomma: si vive. Ecco perché è molto utile riuscire a leggere in un luogo come il carcere dove la vita, a volte, resta in qualche modo sospesa. Da venerdì scorso, a Buoncammino, per iniziativa del direttore Gianfranco Pala, grazie alla collaborazione degli agenti di polizia penitenziaria, è cominciato un corso bisettimanale di educazione alla lettura, curato da un operatore esterno. Leggere può non essere un desiderio immediato anche quando non si ha molto da fare durante la giornata causa una reclusione in spazi ristretti. Ecco perciò che, nel nome della vivibilità del carcere, a Buocammino si è avviato un corso che vorrebbe avvicinare i detenuti che si sono dimostrati interessati, al piacere fine e alla lunga insostituibile della lettura. Lucca: il Gruppo Volontari Carcere s'incontra con le istituzioni
Comunicato stampa, 16 febbraio 2010
Il Gruppo Volontari Carcere di Lucca, associazione di volontariato che da quasi trenta anni opera sul nostro territorio nell’ambito del carcere e dell’area penale esterna, continua l’azione di proposta dei temi del carcere e della pena quali ambiti di discussione e di riflessione agli enti pubblici e alla cittadinanza. Sempre più si parla del carcere sull’onda di notizie, di proclami, di fatti di cronaca. All’inizio dell’anno è si è parlato anche di emergenza carcere a causa del sovraffollamento. Il carcere e la pena rappresentano in primo luogo: una realtà quotidiana che coinvolge oggi decine di migliaia di persone-cittadini italiani e stranieri, alcune centinaia solo nella nostra città e, quasi sempre, persone con problemi di dipendenza, psichiatrici, economici, di permesso di soggiorno. Nel mese di dicembre 2009 abbiamo lanciato l’iniziativa "Il Gruppo incontra le istituzioni locali", pensata come una serie di serate all’interno della Casa San Francesco nel corso delle quali incontrare, di volta in volta, i rappresentanti degli enti locali, con l’obiettivo di porre loro domande sui temi del carcere e della pena e di rivitalizzare una collaborazione spesso ultradecennale ma che necessita di nuovo rilancio. Il primo incontro, ricco di spunti interessanti, ha visto la partecipazione del Comune di Lucca nella persona del Sindaco e dei referenti delle Politiche sociali. Il secondo incontro si terrà presso la Casa San Francesco - Piazza San Francesco, 19, il prossimo 22 febbraio a partire dalle ore 18.00 e l’ente invitato è la Provincia di Lucca. Hanno già confermato la loro presenza il Presidente della Provincia di Lucca, Stefano Baccelli, l’assessore alle Politiche Sociali Mario Regoli, l’assessore al Volontariato e alla Cooperazione Sociale Valentina Cesaretti, l’Assessore al Lavoro e Formazione Gabriella Pedreschi, la Dirigente alle Politiche Sociali Rossana Sebastiani, la Dirigente del Servizio Lavoro Fiorella Baldelli, il Responsabile del Centro Impiego Giuseppe Fannucchi. Sarà altresì ospite molto gradito per l’Arcidiocesi di Lucca il Vicario Generale Mons. Michelangelo Giannotti. L’incontro terminerà intorno alle 20.00 con un piccolo aperitivo.
Il Gruppo Volontari Carcere Droghe: mozione Pd; solo multa a chi coltiva per uso personale
Dire, 16 febbraio 2010
Depenalizzare la coltivazione di sostanze stupefacenti "destinate ad un uso esclusivamente personale" in modo che il fatto assuma "una rilevanza meramente amministrativa". È l’impegno che il Pd chiede al governo all’ultimo punto della mozione, firmata da 75 senatori, che sarà discussa domani nell’aula del Senato, nel corso del dibattito sulla situazione nelle carceri italiane. Nel documento presentato dal gruppo parlamentare si parte dai numeri: "La popolazione detenuta ad oggi supera le 65.000 presenze, a fronte di una capienza regolamentare di 43.074 posti e tollerabile di 64.111". Questo "produce un sovraffollamento insostenibile delle strutture penitenziarie italiane". E si prevede che "a fine anno la popolazione carceraria potrebbe sfiorare le 67.000 presenze (100.000 nel giugno 2012). In alcune regioni il numero delle persone recluse è addirittura il doppio di quello consentito: in Emilia-Romagna il tasso di affollamento è del 193 per cento, in Lombardia, Sicilia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia è intorno al 160 per cento". Si sottolinea poi che "al 10 novembre 2009, i detenuti stranieri reclusi negli istituti di pena risultavano essere 24.190 (pari a circa il 37% del totale)", mentre "quasi il 40% dei carcerati si trova recluso per aver violato il testo unico sulle droghe; mentre il 27 per cento della popolazione detenuta è tossicodipendente". Per questo, nel dispositivo finale, la mozione chiede all’esecutivo "una riforma davvero radicale in materia di custodia cautelare preventiva, di tutela dei diritti dei detenuti, di esecuzione della pena e, più in generale, di trattamenti sanzionatori e rieducativi". In particolare, tra l’altro, "l’istituzione a livello nazionale del Garante dei diritti dei detenuti; il rafforzamento degli strumenti alternativi al carcere; l’istituzione di centri di accoglienza per le pene alternative degli extracomunitari; la creazione di istituti "a custodia attenuata" per tossicodipendenti"; la radicale modifica dell’articolo 41-bis in modo da rendere il cosiddetto ‘carcere durò conforme alle ripetute affermazioni della Corte costituzionale sulla necessità che sia rispettato, in costanza di applicazione del regime in questione, il diritto alla rieducazione e ad un trattamento penitenziario conseguente; il miglioramento del servizio sanitario penitenziario; l’esclusione dal circuito carcerario delle donne con i loro bambini; la possibilità per i detenuti e gli internati di coltivare i propri rapporti affettivi anche nel carcere". E, infine, "la modifica del testo unico sulle sostanze stupefacenti, prevedendo che anche l’attività di coltivazione di sostanza stupefacente destinata ad un uso esclusivamente personale venga depenalizzata ed assuma quindi una rilevanza meramente amministrativa in conformità a quanto previsto dal referendum del 1993". Oltre a quella del Pd, saranno discusse le mozioni di Udc, Lega, Pdl e Idv. Birmania: Amnesty; nelle carceri a migliaia i "prigionieri politici"
Ansa, 16 febbraio 2010
I prigionieri politici in Birmania sono "con ogni probabilità in numero sostanzialmente superiore" ai 2.100, la cifra solitamente adottata dai media; al conteggio vanno aggiunte centinaia di persone appartenenti ai diversi gruppi etnici del Paese, che abitano zone in gran parte precluse agli operatori umanitari. Lo ha denunciato oggi Amnesty International, presentando a Bangkok un rapporto sulla "Repressione degli attivisti delle minoranze etniche in Myanmar", con il quale l’organizzazione si appella alla giunta militare affinché ponga termine alla repressione in vista delle elezioni previste per quest’anno. "In base alle testimonianze raccolte da oltre 700 attivisti di varie etnie - ha spiegato Benjamin Zawacki, l’autore della ricerca - è apparso presto evidente come ci siano molti prigionieri di cui semplicemente non si sa nulla. Una cifra attorno ai 2.500 dissidenti in carcere è più vicina alla realtà, ma non mi sorprenderei se fossero di più". Il regime militare, al potere in Birmania dal 1962, si è impegnato a tenere elezioni entro la fine del 2010, senza però fornire una data. La Lega nazionale per la democrazia (Nld), il partito di Aung San Suu Kyi, non ha ancora annunciato se parteciperà o meno al voto, il primo dal 1990. In quell’occasione, il movimento guidato dal premio Nobel per la Pace trionfò, ma il risultato non venne mai riconosciuto dai generali.
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