Rassegna stampa 12 febbraio

 

Giustizia: 66.161 detenuti nelle carceri italiane, nuovo record

 

Redattore Sociale, 12 febbraio 2010

 

In cella 66.161 persone, il 40% (30.111) in attesa di giudizio. Ristretti Orizzonti commenta i dati del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria. "In 15 mesi aumentati di 10 mila unità". Manconi (A Buon diritto): "Record nazionale".

Il numero di persone detenute nelle carceri italiane ha superato quota 66 mila. Per la precisione siamo arrivati a 66.161 persone delle quali circa il 40% (30.111 persone) è ancora in attesa di giudizio. Un tasso di sovraffollamento che sfora di ben 23 mila unità il limite consentito (fissato in 44.327 unità) e anche la soglia "tollerabile" di 64 mila unità. Sono i dati diffusi oggi dal Centro studi Ristretti Orizzonti del carcere di Padova su dati del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria. "In 15 mesi i detenuti sono aumentati di 10mila unità", commentano i ricercatori del Due Palazzi.

"Oggi è record nazionale - attacca Luigi Manconi, presidente dell’associazione A buon diritto e già sottosegretario alla Giustizia. E ciò si deve all’attività indefessa e allo spirito di abnegazione di Alfano e Ionta, ai quali va il pensiero grato dei detenuti, degli agenti di polizia penitenziaria e di tutto il personale che il sovraffollamento costringe a condizioni di vita e di lavoro intollerabili".

Un’impennata che, di fatto, annulla buona parte dei benefici che verrebbero portati dal "Piano straordinario per l’edilizia penitenziaria" che prevede la costruzione di nuove carceri e l’ampliamento di quelle esistenti. Quando, nel novembre 2008, si iniziò a parlarne, i detenuti presenti erano circa 56mila; il Piano carcere, con la creazione di 20 mila nuovi posti, avrebbe consentito di ritornare a un indice di affollamento in regola con le normative vigenti portando la capienza regolamentare a circa 64 mila unità.

Un progetto che, di fatto, è stato vanificato dal sovraffollamento. "In soli dodici mesi -contestano da Ristretti Orizzonti - metà del lavoro previsto dal Piano carcere, 750 milioni di euro, risulterebbe praticamente spesa per non risolvere affatto la situazione". E se i tassi di crescita della popolazione detenuta non cambieranno, tra un anno l’intero progetto sarà annullato. "Un miliardo e 500 milioni di euro sborsati per ritrovarci al punto di partenza", denunciano da Ristretti. Che rilancia: meglio ricorrere a pene alternative alla detenzione per le condanne fino a 3 anni (sono quasi 20.000 i detenuti con pene inferiori a 3 anni, ndr) e limitare i casi per i quali è prevista la custodia cautelare in carcere. Degli oltre 30mila detenuti in attesa di giudizio, infatti, oltre 2/3 è accusato di reati "minori" e il 40% è destinato (dicono le statistiche) a essere assolto.

Giustizia: Manconi; carceri invivibili? grazie ad Alfano e Ionta

 

Il Velino, 12 febbraio 2010

 

"Complimenti vivissimi al ministro della Giustizia Angelino Alfano e al capo del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Franco Ionta. Oggi è record nazionale. La popolazione detenuta ha raggiunto il massimo storico arrivando a contare 66.161 reclusi. Non era mai successo nella storia dell’Italia Repubblicana e ciò si deve all’attività indefessa e allo spirito di abnegazione di Alfano e Ionta, ai quali va il pensiero grato dei detenuti, degli agenti di polizia penitenziaria e di tutto il personale che il sovraffollamento costringe a condizioni di vita e di lavoro intollerabili". Lo dichiara Luigi Manconi, presidente di "A Buon Diritto".

"E così, oggi, nel circuito penitenziario italiano si trovano quasi 25mila detenuti in più di quanti previsti dalla capienza regolamentare. Tutto questo senza che il ministro e il capo del Dap non dico muovano un dito, ma nemmeno sembrano intenzionati a farlo - continua Manconi -, limitandosi ad annunci flebili e destinati al fallimento. O, peggio, destinati - se si realizzasse quella Galera Spa vagheggiata sulla scorta di Protezione Spa, Difesa Spa e Beni culturali Spa - a un sistema gelatinoso di corruzione che le opere di edilizia penitenziaria hanno già ampiamente conosciuto negli anni scorsi".

Giustizia: Pd; 10mila detenuti potrebbero essere in affidamento

 

Redattore Sociale, 12 febbraio 2010

 

L’ex ministro della Solidarietà sociale: "Sono preoccupata che lo Stato sociale sia sostituita da uno Stato penale. È necessario cambiare la legge sull’immigrazione e quella sulle tossicodipendenze".

Riproporre il senso del trasferimento delle competenze sulla sanità penitenziaria dal ministro della Giustizia al Sistema sanitario nazionale. Questo il messaggio che la parlamentare del Pd, Livia Turco, ha voluto inviare alla platea di operator penitenziari, rappresentanti del Terzo settore e detenuti che questa mattina si sono riuniti nella rotonda del carcere di Regina Coeli per discutere dell’attuazione della riforma a un anno e mezzo dalla sua entrata in vigore.

"Penso che si sia perso il senso della riforma, ci sono troppi ritardi e disomogeneità", ha detto l’ex ministra della Solidarietà sociale. "È necessario ricostruire una sinergia - ha proseguito - attraverso un lavoro concertato tra ministero della Salute, ministero delle Giustizia e regioni, perché ciascuno faccia la sua parte". "Le regioni si devono adeguare - ha detto ancora Livia Turco - e si deve esigere da loro un’assunzione di responsabilità. Ma se c’è un motore, quello è il ministero della Sanità".

"Ma salute vuol dire anche evitare il carcere e trovare situazioni alternative quando è possibile", ha proseguito la parlamentare. "Sono preoccupata che lo Stato sociale sia sostituito da uno Stato di penale". "Mi riferisco al problema dei troppi tossicodipendenti in carcere - ha aggiunto. - La legge sull’immigrazione e quella sulle tossicodipendenze vanno cambiate". Più tardi, intrattenendosi con i giornalisti a margine del convegno, Turco ha denunciato la situazione di 10mila detenuti tossicodipendenti e con una pena da scontare inferiore ai sei anni che sono non sono stati trasferiti ai servizi sociali, come previsto dalla legge 49 del 2006.

Giustizia: Gonnella; non facciamo di Ionta il nuovo Bertolaso

 

Agi, 12 febbraio 2010

 

"Nel disegno di legge sulla Protezione Civile Spa c’è un emendamento, presentato dal Governo e votato dal Senato, che assegna al direttore dell’Amministrazione Penitenziaria Ionta poteri speciali per le carceri." Lo dice a CNRmedia Patrizio Gonnella dell’Associazione "Antigone" commentando i dati che parlano di record storico della popolazione carceraria in Italia, 66mila detenuti. "In quell’emendamento - ricorda Gonnella - si assegnano a Ionta poteri straordinari in ternmini di velocizzazione delle procedure di gara e secretazione delle gare stesse, per accelerare la costruzione di nuovi penitenziari. Quell’emendamento va ritirato per non fare di Ionta un nuovo Bertolaso. È il caso di ricordare che tra i motori della corruzione nel settore pubblico vi fu la vicenda delle carceri d’oro, ed è bene che non si ripeta nulla del genere", ha quindi concluso Gonnella.

Giustizia: l'intervista a Mauro Palma; sui diritti niente furbizie

di Patrizio Gonnella

 

Terra, 12 febbraio 2010

 

Mauro Palma, presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura: "No a organismi vuoti". Ogni qualvolta si avvicina un meeting internazionale delle Nazioni Unite durante il quale l’Italia è messa sotto indagine per eventuali violazioni dei diritti umani rispunta qualche proposta di legge sul tema. La proposta fa timidi passi in avanti, ottiene il plauso mondiale e poi viene messa in un cassetto. In questi giorni sta accadendo ancora una volta qualcosa di simile. Martedì scorso l’Italia, rappresentata dal sottosegretario agli Esteri Vincenzo Scotti, è stata esaminata dal Consiglio sui Diritti Umani delle Nazioni Unite. Per far vedere che in Italia "va tutto bene madama la marchesa" si accelera la discussione del disegno di legge diretto all’istituzione e composizione dell’Agenzia nazionale per la promozione e la protezione dei diritti fondamentali.

Le due proposte pendenti vengono sintetizzate all’interno di un testo unico redatto dalla senatrice democratica Maria Fortuna Incostante. Un particolare è però rilevante: questa volta dal testo viene espunta l’unica norma che aveva una portata reale e prevedeva poteri effettivi ossia quella che avrebbe introdotto nell’ordinamento italiano il difensore civico delle persone private della libertà. Viene quindi certificato un compromesso al ribasso che se dovesse andare in porto condurrebbe all’approvazione di una legge utile sostanzialmente solo a mettere una stelletta sulla divisa di una maggioranza che dei diritti umani (quelli dei migranti, dei detenuti, dei poveri) ha fatto sinora carta straccia. Ne parliamo con Mauro Palma, presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura.

 

Che ne pensa dell’istituenda Agenzia nazionale per la promozione e la protezione dei diritti fondamentali?

L’approvazione di organismi che riguardano i diritti umani è sempre un fatto positivo. Detto questo bisogna essere attenti a legittimare la nascita di organismi che rischiano di essere non pregnanti o che addirittura sono strumentalmente approvati allo scopo di non fare istituire altri organismi che invece sono effettuali. Gli organismi ineffettuali sui diritti umani servono a far rientrare questi ultimi in tematiche verbose finalizzate a ottenere il consenso e a impedire l’azione concreta. Agire a tutela dei diritti umani è invece oggi più che mai necessario visto che le violazioni sono strabilianti.

 

Come mai nella proposta di legge manca un riferimento al controllo dei luoghi dove avviene la privazione della libertà personale?

è stata inopinatamente sfilata la tematica di chi è posto sotto il controllo di un’autorità pubblica. Così si rischia di dar vita a un organismo da convegno e non di effettiva tutela delle persone. C’è invece l’esigenza di una supervisione efficace di chi è nelle carceri, nei Cie, nei commissariati. C’è bisogno di un organismo che dialoghi con le amministrazioni, che faccia raccomandazioni. A livello locale alcuni comuni, alcune province e alcune regioni hanno istituto figure di garanzia per chi è ristretto o limitato nella libertà di movimento. Manca però l’istituzione di una figura nazionale. Il nostro non è un sistema federale. Eppure il Protocollo opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura imponeva agli Stati membri l’istituzione di un organismo indipendente di controllo di tutti i luoghi di detenzione. Francia, Spagna, Germania e Regno Unito hanno ratificato il Protocollo. L’Italia no. Non sarà con questa strutturina che il nostro Paese adempierà agli obblighi internazionali.

Giustizia: Pd; il Governo risponda al Consiglio dei diritti Umani

 

Il Velino, 12 febbraio 2010

 

"Il Governo italiano deve dare una risposta alle 92 raccomandazioni che il Consiglio dei Diritti Umani di Ginevra rivolge all’Italia, prima della definitiva conclusione dell’esame, nel giugno 2010". È quanto afferma il senatore Pd Pietro Marcenaro, presidente della Commissione per i diritti Umani del Senato, al termine della prima sessione di esame dell’Italia alla Upr (Universal Periodic Review) del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. "Le 92 raccomandazioni che il Consiglio dei Diritti Umani di Ginevra rivolge all’Italia - sostiene Marcenaro - investono tutto l’arco dei temi sui quali si verifica, secondo gli standard internazionali, il grado di rispetto dei diritti umani e la qualità della democrazia e dello stato di diritto di ogni paese. Dalla tutela dei migranti e dei richiedenti asilo, alla condizione dei detenuti e delle minoranze rom e sinti, fino al ritardo nell’adempimento della Risoluzione 48/134 del 1993 dell’Assemblea Generale dell’Onu che prescrive la costituzione di un’Autorità indipendente per la promozione e la tutela dei diritti umani (14 raccomandazioni)".

"Allo stesso modo - prosegue il senatore Marcenaro - è stato rimarcato il mancato recepimento del Protocollo Opzionale alla Convenzione contro la tortura e il ritardo nella ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa, contro la tratta di esseri umani e sono stati messi in evidenza numerosi episodi di razzismo e xenofobia, compresi casi che hanno avuto come protagonisti politici italiani. Ulteriori raccomandazioni pongono attenzione alla tutela dei minori, alle discriminazioni di genere nel mercato del lavoro, alla scarsa partecipazione delle donne alla vita politica italiana, alla libertà dei media. C’è da augurarsi - prosegue - che non prevalga, come altre volte da parte del governo, un atteggiamento di chiusura e di vittimismo, ma che si considerino i risultati di questo esame, che non è speciale per l’Italia ma interessa ogni quattro anni tutti i paesi , come un’occasione per affrontare in modo costruttivo i tanti problemi aperti e per dare risposte positive. Il lavoro della Commissione Diritti Umani del Senato, che nei mesi scorsi aveva anticipato molti dei problemi che ora vengono posti - conclude Marcenaro - sarà ispirato a questo indirizzo e sarà impegnato in questa direzione a partire dai provvedimenti che sono già all’esame del Parlamento".

Giustizia: internet e posta elettronica nelle carceri, perché no?

di Stefano Anastasia

 

Terra, 12 febbraio 2010

 

Un interno, due amici. L’ospite si accomoda, mentre l’altro finisce di sistemare la nuova tenda. Poi la partita, un po’ di musica e qualche passatempo. Alla fine, quando il sonno sta per aver la meglio, l’ospite si congeda: "ci vediamo domani?", "sì, penso di sì" risponde l’altro, e le sbarre si chiudono su quella irriconoscibile cella, una vera "camera", come avveniristicamente vorrebbe che fosse il regolamento penitenziario, non da molto, ma tuttora vigente in Italia. Una geniale invenzione comunicativa per Ikea. Conosciamo le obiezioni, quelle più radicali e finanche quelle moderatamente riformiste. Fosse facile cambiarlo.

Il meglio del carcere è nella sua riduzione: meno ce n’è, meglio si sta. Il problema non è come si possa fare un carcere migliore, ma come si possa avere qualcosa di meglio del carcere.

Intanto, però, il carcere è lì, come ce lo descrive Salvador, che finalmente ha risolto i problemi terapeutici per cui ci aveva interpellato qualche mese fa, ma non sopporta il dolore degli altri e quelle condizioni di vita a cui tutti sono costretti: "la situazione che avevo spiegato l’altra volta non è cambiata: mi riferisco alle docce fatiscenti al limite dell’igiene. Il carcere è sempre più pieno e nelle celle siamo sempre più ammassati. Mi viene da pensare che in Italia hanno più diritti i cani che le persone, perché noi in cella dividiamo 3 metri quadri per 2 persone, e nelle stesse celle viene montata la terza branda, quindi in alcune celle ci sono anche tre detenuti".

La camera dello spot Ikea è ben lontana dalla realtà penitenziaria italiana; probabilmente è un miraggio irraggiungibile e a qualcuno sembrerà anche una presa in giro. Ma quella immagine, di una normalità abitativa che si realizza dietro le mura di una prigione, ci restituisce il dover essere della moderna pena detentiva: una semplice (e dura) privazione della libertà, senza quel di più di afflizione, senza quella rituale degradazione della dignità umana alla quale sono quotidianamente costretti gli ospiti delle nostre carceri.

No, non "basta poco per cambiare", come recita lo slogan che chiude il sipario sullo spot. Ma da qualcosa bisognerà pur partire, e un buon modo per incominciare è tenere la barra su ciò che il carcere promette di essere, alla ricerca di una accettabile giustificazione alla sua ineliminabile crudeltà. E allora perché no? Perche non tante piccole celle singole in stile Ikea? Perché vietare o contingentare i tempi di comunicazione telefonica con amici e parenti? Perché impedire l’uso di internet e della posta elettronica in carcere? Chi lo ha detto (a parte l’ex ministro Castelli) che le carceri non debbano essere alberghi? Perché no?

Giustizia: riforma sanità penitenziaria; differenza tra Regioni

 

Redattore Sociale, 12 febbraio 2010

 

La riforma della sanità penitenziaria non procede ovunque con lo stesso passo: più problemi di applicazione nel Sud, la regione più avanti è l’Emilia Romagna.

"Il mio intervento istituzionale è doveroso perché intende sottolineare l’attenzione dell’Amministrazione penitenziaria nei confronti della sanità in carcere". Con queste parole il vice capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap), Santi Consolo, ha salutato la platea di operatori, personale penitenziario, associazioni del Terzo settore e detenuti che si sono ritrovati nella Rotonda di Regina Coeli a Roma per discutere del problema della salute in carcere a un anno e mezzo dall’entrata in vigore della riforma che ha sancito il passaggio delle competenze sulla medicina penitenziaria dal ministero della Giustizia al Sistema sanitario nazionale. "È necessario continuare a confrontarsi in un’ottica di collaborazione con le Regioni" affinché "in futuro si possa operare meglio a favore della popolazione detenuta", ha detto Santi Consolo, che ha poi ricordato la necessità di gestire oculatamente le risorse: "Bisogna fare attenzione alla spesa - ha sottolineato - perché le risorse che abbiamo vanno gestite in maniera oculata. Non è più il tempo degli sperperi".

Il vice capo del Dap si è poi soffermato sulla questione della dipendenza da droghe: "La tossicodipendenza diventa drammatica quando una persona si trova in stato di detenzione", ha dichiarato. "So bene che il problema non riguarda solo il sostegno farmacologico - ha aggiunto poi -. Ci vuole anche un impegno per dare una ragione di vita" e per aiutare le persone a trovare "un lavoro, che rappresenta una forma di inclusione sociale". "La salute non è un compartimento stagno", ha concluso ricordando che il diritto a un trattamento sanitario adeguato è un’aspettativa legittima per ognuno, che va accompagnata all’integrazione lavorativa e alla reintegrazione sociale.

Intrattenendosi con i giornalisti a margine del convegno, il vice capo del Dap ha poi sottolineato come l’applicazione della riforma sanitaria in ambiente penitenziario non vada ovunque di pari passo sul territorio nazionale. "Nel giro di qualche anno raggiungeremo la normalizzazione - ha detto - ma l’assistenza sanitaria deve essere dentro e fuori il carcere". Tra le regioni a buon punto nell’attuazione della riforma, Consolo ha indicato quelle del Nord e l’Emilia Romagna in particolare. "Nel Sud invece l’applicazione è minore", ha concluso.

Giustizia: Marroni; in carcere si muore per suicidi e malasanità

 

Redattore Sociale, 12 febbraio 2010

 

In carcere si muore non solo di suicidio, ma anche di malasanità. E l’affollamento peggiora la condizione di salute dei detenuti. La denuncia del garante dei detenuti della regione Lazio.

"L’affollamento complica la vita e peggiora la condizione della salute in carcere". Non ha dubbi su quale sia una delle principali cause di malessere nelle prigioni italiane il garante dei detenuti della regione Lazio, Angiolo Marroni, che questa mattina è intervenuto nella rotonda del carcere di Regina Coeli a Roma, dove è ancora in corso un convegno sulla riforma sanitaria in ambiente penitenziario. "Il carcere si affolla sempre di più", ha proseguito il garante, ricordando la situazione del Lazio dove i detenuti sono 5.644, ovvero 1.200 in più rispetto a quelli previsti dalla normativa: "La capienza regolamentare e quella tollerata sono state ampiamente superate".

Il problema principale, secondo Marroni, è che "le leggi prodotte in questo paese prevedono solo il carcere". "E mentre l’affollamento aumenta le strutture rimangono quelle che sono". Infatti, "anche quando vengono costruite nuove strutture, poi manca il personale", ha precisato. Il garante dei detenuti ha poi sottolineato la situazione di crisi in cui versa l’uso delle misure alternative. "Di fronte a questa situazione così drammatica si può morire in carcere - ha detto ancora Marroni - e non solo di suicidio, ma anche di malasanità". "Il problema - ha concluso il garante - è cambiare la legislazione di questo paese e pensare che la pena carceraria debba essere considerata la pena estrema. In tutti gli altri casi ci vorrebbero pene diverse dal carcere".

Giustizia: RnS; al via formazione volontari per carceri italiane

 

Il Velino, 12 febbraio 2010

 

Circa cento volontari del Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS) nei prossimi due week end - dal 12 al 14, a Pontenure (Piacenza) e dal 19 al 21 febbraio a Castellammare (Napoli) - verranno formati per dar vita al "Progetto Sicomoro" volto alla redenzione spirituale e morale dei detenuti. È questo - si legge in una nota - uno dei tanti progetti portati avanti da Prison fellowship international ed ora attuati anche in Italia. Infatti il RnS, nei mesi scorsi, federandosi con questa Associazione, il più grande network cristiano impegnato nel mondo carcerario, operante già in 115 Paesi, ha dato vita a Prison Fellowship Italia Onlus (P.F.It) di cui è presidente Marcella Reni, attuale direttore RnS.

Lo spirito del "Progetto Sicomoro" è evangelizzare all’interno delle carceri sia i detenuti che le vittime. Far incontrare e dialogare gli autori dei reati e chi li ha subiti, per cercare di capire i motivi, le azioni e le reazioni degli uni e degli altri. Due, quindi, gli obiettivi: la "giustizia restituiva" per chi ha subito il crimine e la riabilitazione morale e spirituale per chi l’ha commesso. Nel "Progetto Sicomoro" sia la componente morale che quella spirituale saranno accentuate e la partecipazione sarà aperta a detenuti di tutte le fedi religiose. Gli incontri si articoleranno in un percorso a tappe. Otto saranno le sessioni che, partendo da racconti biblici e da esempi concreti di vita, porteranno all’assunzione della responsabilità, al perdono ed alla riconciliazione.

Circa cento volontari del Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS) nei prossimi due week end - dal 12 al 14, a Pontenure (Piacenza) e dal 19 al 21 febbraio a Castellammare (Napoli) - verranno formati per dar vita al "Progetto Sicomoro" volto alla redenzione spirituale e morale dei detenuti. È questo - si legge in una nota - uno dei tanti progetti portati avanti da Prison fellowship international ed ora attuati anche in Italia. Infatti il RnS, nei mesi scorsi, federandosi con questa Associazione, il più grande network cristiano impegnato nel mondo carcerario, operante già in 115 Paesi, ha dato vita a Prison Fellowship Italia Onlus (P.F.It) di cui è presidente Marcella Reni, attuale direttore RnS.

Lo spirito del "Progetto Sicomoro" è evangelizzare all’interno delle carceri sia i detenuti che le vittime. Far incontrare e dialogare gli autori dei reati e chi li ha subiti, per cercare di capire i motivi, le azioni e le reazioni degli uni e degli altri. Due, quindi, gli obiettivi: la "giustizia restituiva" per chi ha subito il crimine e la riabilitazione morale e spirituale per chi l’ha commesso. Nel "Progetto Sicomoro" sia la componente morale che quella spirituale saranno accentuate e la partecipazione sarà aperta a detenuti di tutte le fedi religiose. Gli incontri si articoleranno in un percorso a tappe. Otto saranno le sessioni che, partendo da racconti biblici e da esempi concreti di vita, porteranno all’assunzione della responsabilità, al perdono ed alla riconciliazione.

A formare questi volontari che opereranno prevalentemente nelle carceri di cinque regioni (Lombardia, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia) saranno alcuni esperti di Prison Fellowship International. Introdurranno gli incontri il presidente nazionale del RnS, Salvatore Martinez; e il presidente di P.F.It, Marcella Reni.

"Dal Giubileo nelle Carceri del 2000 - commenta Martinez - si è rafforzata in noi la coscienza che non c’è bene comune senza buone prassi educative e rieducative. Mancano cammini di redenzione e di crescita personale e familiare, che diano credito e soggettività sociale ai detenuti e agli ex detenuti. Per questo, d’intesa con il Ministro della Giustizia, stiamo dando vita all’Agenzia Nazionale Reinserimento e Lavoro (A. N. R. e L.) per detenuti ed ex detenuti, un progetto di rete nazionale che metterà a sistema tante ricchezze spirituali e materiali finora inespresse e non capitalizzate a vantaggio del mondo carcerario.

Ma il successo di queste iniziative sarà direttamente proporzionale alla capacitazione morale e spirituale di un volontariato specializzato d’ispirazione cristiana, disposto ad accompagnare con passione e responsabilità chi ha sbagliato e chi ha subìto lo sbaglio. La nascita di P.F.It segna un importante novità per il nostro Paese, un’opportunità per ripensare la qualità e l’efficienza degli interventi destinati al sistema carcerario".

Giustizia: Conferenza dei Radicali "Quando lo Stato sbaglia..."

 

Il Velino, 12 febbraio 2010

 

Martedì 16 febbraio, alle 11, alla sala conferenze stampa del Senato della Repubblica, si terrà la conferenza stampa "Quando lo Stato sbaglia. Casi, storie e proposte al Senato". "Alcune volte, gli errori dello Stato, ancorché pochi, forse fisiologici, forse comunque troppi, lasciano le vittime a invocare verità, giustizia, risposte. Da parte di chi, se non da parte dello Stato stesso?". È quanto si legge in un comunicato stampa.

"Lo Stato possiede gli anticorpi per prevenire, riconoscere e intervenire qualora le persone che agiscono in suo nome incorrano in errori? O tali anticorpi possono essere migliorati, resi più efficienti, se non alcune volte addirittura creati? Sono domande che non possono non interrogare profondamente la politica, rivolte in questa occasione, insieme all’associazione radicale il Detenuto Ignoto, da parte delle famiglie coinvolte nelle tremende, sospette storie di detenuti deceduti in carcere. Partecipano: Emma Bonino, vicepresidente del Senato; Rita Bernardini, deputata e membro della commissione Giustizia alla Camera dei deputati; Ignazio Marino, senatore e presidente della commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale che ha aperto una indagine sul caso Cucchi; Donatella Poretti, senatrice e segretaria della commissione Igiene e sanità al Senato; Ornella Favero, presidente di Ristretti Orizzonti; Laura Baccaro, criminologa. Moderano: Irene Testa, segretaria dell’associazione radicale Il Detenuto Ignoto, e l’avvocato Alessandro Gerardi".

Giustizia: Stefano Cucchi morì per denutrizione, colpa medici

di Cinzia Gubbini

 

Il Manifesto, 12 febbraio 2010

 

Le conclusioni dei periti della Commissione Marino: le lesioni furono inferte. Le fratture sul corpo di Stefano Cucchi sono recenti, compatibili con il periodo della detenzione e, soprattutto, sono da considerarsi l’esito di "lesioni inferte". Ma a causare la morte del giovane è stata, in ultima analisi, una gravissima denutrizione e disidratazione che i medici avrebbero potuto evitare se solo si fossero preoccupati di analizzare le urine del paziente. Non sono banali le conclusioni a cui sono arrivati Pascali e Perfetti, i consulenti incaricati dalla Commissione sul servizio sanitario nazionale, presieduta dal senatore Pd Ignazio Marino, di indagare sulle cause che causarono la morte del trentatreenne romano. Cucchi fu fermato il 15 ottobre per spaccio di droga e morì il 22 nel reparto penitenziario dell’ospedale Sandro Pertini.

Con le osservazioni sulle lesioni alla colonna vertebrale del ragazzo, i periti confermano la verosimiglianza di un pestaggio. Ma le indiscrezioni sulle due relazioni depositate mercoledì - e anticipate ieri dal Tg3 della sera - inchiodano alla loro responsabilità anche i sanitari del Pertini: a uccidere Stefano sarebbe stata l’imperizia dei sanitari. La Procura di Roma, per ora, ha indagato per omicidio preterintenzionale tre guardie carcerarie, accusate di aver picchiato Stefano nei sotterranei del Tribunale il giorno della convalida dell’arresto. Per omicidio colposo sono invece indagati sei medici dell’ospedale romano. Sulle responsabilità dell’ospedale le relazioni di Pascali e Perfetti sarebbero pesanti: la morte del ragazzo sarebbe avvenuta alle 3 del mattino (l’ospedale se ne accorge alle 6) e il momento di crisi acuta - quando ancora sarebbe stato possibile intervenire d’urgenza - si sarebbe verificato il pomeriggio precedente. Come è noto, Stefano si rifiutava di mangiare e di bere perché voleva vedere un avvocato. Ora Galiopo e Soliani - i due senatori di maggioranza e opposizione - dovranno concludere la loro relazione, che forse verrà discussa in aula al senato. Intanto Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, continua a denunciare un fatto grave: ai periti della parte civile non è ancora arrivata la Tac realizzata sul corpo del ragazzo, esame non ripetibile e fondamentale per il lavoro dei consulenti. Parole che sembrano cadere nel vuoto.

Giustizia: caso Lonzi; Irene Testa (Radicali) in sciopero fame

 

Ansa, 12 febbraio 2010

 

"Da stasera inizierò anche io lo sciopero della fame, unendomi a quello di Rita Bernardini per una riforma organica del sistema carcerario, estendendolo però anche al caso di Marcello Lonzi che rischia di essere archiviato dalla procura livornese e che invece secondo me merita ulteriori approfondimenti".

Lo ha detto la dirigente nazionale dei Radicali, Irene Testa, annunciando l’iniziativa che metterà in atto dalla mezzanotte di oggi. Marcello Lonzi è il detenuto livornese morto in cella nel carcere di Livorno l’11 luglio 2003 e che secondo sua madre Maria Ciuffi fu ucciso in seguito a un pestaggio subito da alcuni agenti della polizia penitenziaria. "È un modo per chiedere ala procura livornese - spiega Testa - ulteriori accertamenti investigativi su una morte assurda". "Questa iniziativa - conclude Testa - rientra nell’ambito di una più vasta mobilitazione che illustreremo martedì prossimo nel corso di una conferenza stampa in Senato dove racconteremo quindici storie drammatiche e dove chiederemo che l’attuale commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia del sistema sanitario nazionale che si è occupata della morte di Stefano Cucchi, non solo non termini il suo lavoro ma si occupi anche del caso di Lonzi e di altri casi ancora".

Lettere: carceri affollate? soluzione con le misure alternative

di Franco Uda (Responsabile nazionale Arci carcere e giustizia)

 

La Nuova Sardegna, 12 febbraio 2010

 

I sovrannumero di 24 mila persone recluse rende prioritario un decongestionamento delle carceri che potrebbe essere attuato facendo ricorso alle misure alternative, che oggi interessano 14.339 detenuti (cinque anni fa erano oltre 37 mila), alle quali potrebbero accedere altre 19.823 persone che stanno scontando una pena inferiore ai tre anni. Il piano del governo invece si basa principalmente sull’edilizia penitenziaria con la creazione di circa 20 mila nuovi posti che sarebbero comunque assorbiti, visti i trend di crescita di ottocento unità al mese, in poco più di due anni. In Sardegna (2.299 i detenuti reclusi a fronte di una capienza regolamentare di 1.971 unità) la maggiore preoccupazione viene dallo stato di vetustà e abbandono delle strutture carcerarie, con gravissimi ritardi nella costruzione dei nuovi plessi a Sassari, Oristano e Cagliari. Inoltre, con la costituzione di case alloggio per detenute madri, si eviterebbe che i loro bambini sotto i tre anni fossero come oggi costretti a trascorrere l’infanzia in galera.

Il forte incremento della popolazione detenuta è principalmente dovuto alle leggi sulle droghe, sull’immigrazione e sulla recidiva. La legge Fini-Giovanardi è la normativa con il maggior impatto sul sistema penale e penitenziario, tanto per le condotte che punisce, quanto per il fenomeno che disciplina. Dei 92.800 detenuti entrati in carcere nel 2008, il 33% erano tossicodipendenti e il 31% entrava per la violazione del Testo unico sugli stupefacenti: urge un intervento di riforma complessiva della materia, che sposti tra l’altro l’asse dalla penalizzazione alla prevenzione. Anche la legge sull’immigrazione apporta grandi numeri al carcere senza arrecare maggior sicurezza.

Sono stati 13 mila nel 2009, sui 43 mila stranieri complessivi, gli ingressi di migranti in carcere per non aver ottemperato all’obbligo di espulsione, che basterebbe depenalizzare (o prevedere una sanzione non carceraria) per decongestionare le carceri evitando nuovi inutili ingressi. Infine la legge ex-Cirielli non ha soltanto ridotto i termini di prescrizione dei reati, ma ha dato nuova forma e contenuto alla figura del "recidivo" e inventato la disciplina del "recidivo reiterato" per il quale è stato introdotto, tra gli altri, il divieto di applicazione di circostanze attenuanti, l’irrigidimento per la concessione delle misure alternative, il divieto di sospensione pena. Le drammatiche condizioni di vita nelle carceri espongono inoltre i detenuti al rischio di violazioni dei diritti umani: l’approvazione di una legge che istituisca il difensore civico delle persone private della libertà garantirebbe un controllo dei luoghi di detenzione così come impongono le norme internazionali, per le quali la custodia delle persone fermate, arrestate e detenute deve avvenire nel pieno rispetto della dignità umana.

Oltre a ciò l’assunzione di mille educatori e mille assistenti sociali potrebbe velocizzare le pratiche per accedere alle misure alternative e aumentare la qualità dell’intervento di risocializzazione esterna. In Sardegna, poi, il mancato insediamento della Commissione paritetica Stato-Regione per il trasferimento di competenze della sanità penitenziaria al sistema regionale sta creando una situazione di grande difficoltà e, sul versante dei diritti, è segnalato il mancato riconoscimento del principio di territorialità della pena che prevede l’espiazione della stessa nella sede il più vicino possibile alla famiglia del detenuto.

Lazio: Pd; per affollamento e salute detenuti c’è molto da fare

 

Adnkronos, 12 febbraio 2010

 

"Il problema del sovraffollamento e delle condizioni di salute dei detenuti nelle carceri del Lazio continua ad aggravarsi come dimostrano i dati diffusi durante il convegno a Regina Coeli". Così Luisa Laurelli (Pd), presidente della commissione Sicurezza della Regione Lazio, commenta i dati sulla diffusione di malattie negli istituti di pena.

"Nel corso di questa legislatura - ricorda - molto abbiamo fatto per affrontare il problema, stanziando fondi per la formazione degli operatori, per interventi di ristrutturazione e di messa in sicurezza delle strutture e per i progetti promossi dal Garante dei detenuti, tra cui quello di teledidattica-università in carcere. Ma ancora molte sono le cose da fare. Come aprire il carcere di Rieti pronto da tempo, ma non ancora sfruttato in tutta la sua capienza per mancanza di personale".

"Nel programma della coalizione di centrosinistra per le elezioni regionali, comunque, si parlerà anche di carceri - sottolinea Laurelli - con proposte capaci di garantire ai detenuti e ai migranti rinchiusi nel Cie l’accesso ai servizi sanitari al pari degli altri cittadini. In ogni caso - conclude - spero che il ministro Alfano si ricordi che le risorse per garantire il diritto alla salute dei detenuti devono venire anche dal ministero della Giustizià’.

 

Mariani (Regina Coeli): "Servono interazione e cooperazione"

 

Cooperazione e interazione. Queste, secondo Mauro Mariani, direttore della Casa circondariale di Regina Coeli, le parole d’ordine per l’attuazione della riforma sanitaria in ambiente penitenziario. "Il trasferimento della sanità penitenziaria al Sistema sanitario nazionale è stato voluto per garantire il miglioramento qualitativo e quantitativo dell’assistenza sanitaria in carcere", ha detto questa mattina il direttore del carcere alla presenza di una platea di operatori, personale penitenziario, associazioni del Terzo settore e detenuti che si sono ritrovati nella Rotonda di Regina Coeli per partecipare al convegno "La riforma sanitaria in ambiente penitenziario". Il convegno è stato promosso dalla regione Lazio e dall’Unione delle province del Lazio (Upi), in collaborazione con l’Ufficio del garante dei diritti dei detenuti della regione Lazio e del Forum nazionale per il diritto alla salute dei detenuti e delle detenute, ed è stato organizzato dal Centro studi Cappella Orsini.

"Auspico - ha proseguito - che questo convegno che si colloca a un anno e mezzo dall’entrata in vigore della riforma e in un momento in cui la questione della salute in carcere è stata posta all’attenzione dell’opinione pubblica possa costituire uno stimolo per migliorare la condizione delle persone in carcere". Un obiettivo, quest’ultimo che, per il direttore di Regina Coeli può essere raggiunto soltanto attraverso il superamento dell’autereferenzialità e attraverso la "collaborazione" tra l’istituzione sanitaria e quella penitenziaria. "Per realizzare questa interazione sono estremamente importanti i protocolli tra i due sistemi", ha aggiunto ancora Mariani che ha ribadito l’importanza della cooperazione e dell’interazione per "migliorare la situazione delle persone in carcere".

 

La testimonianza: più attenzione a salute, qui si muore

 

In carcere è difficile ottenere le cure adeguate. È la denuncia di uno dei carcerati di Regina Coeli. Nel corso del convegno organizzato nella rotonda del penitenziario romano sul tema dell’assistenza sanitaria, Maurizio, detenuto della terza sezione, ha preso la parola.

"Nella mia stanza - ha raccontato - ho una persona con due bypass, non può camminare e non è autosufficiente. Il medico di reparto ha scritto che può restare qui nella terza sezione e gli nega la possibilità di andare al centro clinico. A un altro mio amico era scoppiato un petardo in mano. Non poteva più usare le mani, ero io che gli lavavo i denti, gli facevo persino il bidè. Il medico scrisse che aveva delle ustioni al gomito e lo rimandò in reparto. Io stesso ho dei problemi e dovrei avere l’ossigeno in stanza".

"Nelle celle del centro clinico - ha proseguito - ti imbottiscono di psicofarmaci in modo che non tu non dia fastidio. Io li prendo perché voglio vedere mio figlio. Il dottore non ti visita, ti guarda e dice: "Una tachipirina. Puoi andare". Gli agenti penitenziari, sono loro tante volte a darci una mano. Ho sbagliato e sto pagando, con la calma e la pazienza. Ma qui bisogna intervenire subito. Sono tante le persone che muoiono in carcere. Sono morti molti miei amici qui dentro". Al termine dell’intervento è esploso l’applauso di approvazione degli altri detenuti.

Sulmona: Uil; l’ennesimo tentativo di suicidio in Casa di lavoro

 

Ansa, 12 febbraio 2010

 

Ha utilizzato una corda bagnata per impiccarsi e rendere difficoltoso l’eventuale scioglimento del nodo da parte di qualcuno. Si è registrato oggi, nel supercarcere di via Lamaccio, l’ennesimo tentativo di suicidio da parte di un internato. Sono almeno cinque gli episodi dall’inizio dell’anno. A darne notizia Mauro Nardella, vice segretario regionale della Uil penitenziari.

Il detenuto è stato visto da altri internati, che subito sono intervenuti, allertando nello stesso tempo l’agente penitenziario di turno nella sezione, che ha scongiurato il peggio. Il detenuto è stato portato nell’infermeria del carcere dove ha ricevuto le prime cure e dove è controllato a vista da quattro agenti. "La cosa - spiega Nardella in una nota - penalizza ulteriormente il già striminzito numero di agenti di stanza presso la casa di reclusione. Intanto a Sulmona continuano ad arrivare nuovi internati. Il tutto in barba alle denunce fatte sul sovraffollamento proprio dell’impropria casa di lavoro e della mancanza di iniziative volte a rendere meno pressante una misura di sicurezza che non solo rende vano qualsiasi trattamento nei confronti degli stessi ma mette in grave difficoltà il personale preposto alla gestione degli stessi. La Uil continuerà - avverte Nardella - a chiedere la chiusura della casa lavoro di Sulmona o quanto meno la riduzione drastica del numero degli internati presenti nella struttura attraverso la ridistribuzione degli stessi, così come prevede la legge (art.62 l. 354/75), in tutte le case di reclusione d’Italia. Il tutto in virtù del fatto che presso le case di reclusione possono essere istituite sezioni per l’esecuzione delle misure di sicurezza della colonia agricola e della casa lavoro.

La cosa renderebbe più gestibile un numero di internati che tutto fanno fuorché lavorare rendendo, quindi, incompatibile, il carcere di Sulmona, che tutto fa fuorché dare da lavoro alla totalità degli aventi diritto a partire dagli internati". Nardella conclude con un appello: "la Uil invita i politici a farsi carico della difficile situazione venutasi a creare e a consentire l’allontanamento degli internati". Le cose sono destinate a peggiorare, secondo Nardella, con l’elezioni quando gli agenti candidati (circa una trentina) si assenteranno per un mese e quando andranno via quelli distaccati di Avezzano. Intanto, del personale che ha terminato il corso di formazione, nessuno è stato assegnato a Sulmona. Federica Pantano

Nuoro: si riapre caso giudiziario su morte di Luigi Acquaviva 

 

La Nuova Sardegna, 12 febbraio 2010

 

Nel tribunale di Nuoro circola un’indiscrezione clamorosa che, se confermata, riaprirebbe il caso della morte del detenuto Luigi Acquaviva: la Cassazione avrebbe annullato la sentenza di assoluzione per Angelino Calaresu, l’agente accusato di omicidio colposo. Calaresu, 48 anni, di Oliena, che nel 2000 prestava servizio nel carcere nuorese di Badu ‘e Carros, era finito sotto processo insieme ad altri tre poliziotti del penitenziario barbaricino.

Secondo l’accusa l’agente non aveva esercitato la sorveglianza continuativa che era stata disposta per Acquaviva (detenuto nella sezione Alta sicurezza per reati di camorra) in seguito ad alcuni episodi nei quali l’uomo aveva chiaramente manifestato volontà autolesionistiche. Il giorno prima di morire (22 gennaio 2000) Acquaviva aveva sequestrato un agente nella sua cella e sarebbe poi stato pestato dagli altri poliziotti per ritorsione. Un preciso ordine di servizio della direzione dell’istituto di pena nuorese aveva stabilito il controllo a vista di Acquaviva che, secondo l’accusa, Calaresu non avrebbe invece esercitato.

Ufficialmente il detenuto morì suicida, impiccato nella cella del carcere di Badu ‘e Carros. Dopo quel tremendo episodio quattro poliziotti penitenziari furono condannati in primo grado a Nuoro: Angelino Calaresu, appunto, Antonio Salis (di Alghero), Mario Crobu (di Busachi) e Franco Ignazio Trogu (di Narbolia), difesi il primo dall’avvocato Giuseppe Luigi Cucca e gli altri da Antonio Busia. Il ministero della Giustizia era stato chiamato in causa - attraverso l’avvocatura dello Stato - come responsabile civile.

I familiari di Acquaviva si erano costituiti parte civile attraverso gli avvocati Antonello Spada, Antonello Cao e Rinaldo Lai e fu disposto per loro un risarcimento di 720mila euro. In primo grado Calaresu era stato condannato a un anno e sei mesi per omicidio colposo, mentre gli altri tre agenti a un anno e otto mesi per il pestaggio di cui restò vittima il detenuto. Il 27 giugno del 2008 la Corte d’Appello di Sassari stabilì che non fu l’omessa sorveglianza da parte di Angelino Calaresu a provocare la morte di Acquaviva. Una sentenza che di fatto riformò il verdetto di primo grado: Calaresu venne assolto dal reato di omicidio colposo. Ridotte a un anno di reclusione (con le attenuanti generiche) anche le pene inflitte agli altri tre agenti.

La corte d’appello aveva anche ridimensionato l’entità del risarcimento assegnato ai familiari di Luigi Acquaviva. Ora trapelano indiscrezioni in merito all’annullamento, da parte della suprema corte di Roma, della sentenza di assoluzione per Calaresu. E non solo. La Cassazione avrebbe anche rinviato al giudice civile per la quantificazione del risarcimento. Il dispositivo con le motivazioni della sentenza non è ancora nelle mani degli avvocati ma se queste indiscrezioni dovessero essere confermate si riaprirebbe a tutti gli effetti una vicenda che, non solo a Nuoro, fece parecchio discutere.

Cina: 11 anni di pena a scrittore, terzo condannato in 4 giorni

 

Agi, 12 febbraio 2010

 

La Cina conferma la linea dura nei confronti dei dissidenti a approfondisce la frattura con l’Occidente. Il Tribunale Supremo di Pechino ha confermato in appello la sentenza a undici anni di prigione per lo scrittore e dissidente cinese, Liu Xiaobao.

Molto noto in Occidente e proposto anche per il Nobel per la Pace, Liu Xiaobao era stato condannato il 25 dicembre scorso con l’accusa di "sovversione anti-statale" per essere tra i firmatari di "Carta 08", il manifesto politico in cui oltre 300 intellettuali hanno chiesto a Pechino di applicare riforme previste dalla Costituzione (il suffragio universale, la libertà di stampa, la fine del sistema del partito unico). Stati Uniti e Unione Europea hanno chiesto la liberazione del dissidente. L’ambasciatore Usa, Jon Huntsman, ha detto che Washington è "delusa" per la sentenza e ha puntato l’indice contro la "persecuzione" di cittadini solo per le loro idee politiche. Simon Sharpe, uno dei rappresentanti della delegazione dell’Ue in Cina, ha affermato che il regime comunista deve "liberare senza condizioni" lo scrittore.

Al governo italiano si è rivolto il presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, Pietro Marcenaro: "Si mobiliti per sua liberazione. La sentenza di condanna è un fatto di assoluta gravità. Carta 08 è un movimento democratico e pacifico. Come si fa a pretendere di essere un Paese moderno e rifiutare la libertà di espressione? Spero che il governo italiano faccia sentire la propria protesta e si unisca alla richiesta della comunità internazionale".

Anche Amnesty International è intervenuta: "Confermando la condanna, si è persa l’occasione di rimediare a un errore. Questa sentenza durissima è un cupo messaggio, inviato alla popolazione cinese e al mondo intero, che in Cina non ci sono ancora libertà d’espressione e indipendenza del potere giudiziario", ha dichiarato Roseann Rife, vicedirettrice del Programma Asia e Pacifico dell’organizzazione che si batte per i diritti umani.

La condanna di Xiaobao è la terza in quattro giorni, segnati da un’ondata di pene in carcere comminate a oppositori del governo. Lunedì scorso l’appello di Huang Qi contro la condanna a tre anni di carcere era stato respinto, mentre martedì Tan Zuoren è stato condannato a cinque anni. Sia Huang che Tan avevano chiesto alle autorità di assumersi la responsabilità, rispettivamente, per le morti dei bambini nel terremoto del Sichuan del 2008 e per la repressione del movimento per la democrazia di piazza Tiananmen nel 1989. "È la conferma che chi osa criticare il sistema andando al di là dei parametri stabiliti dalle autorità o cerca di organizzare forme di società civile indipendenti, viene fermato" - ha commentato Rife.

 

 

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