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Giustizia: ddl Alfano libera 11mila detenuti contrari Lega e Idv di Claudia Fusani
L’Unità, 15 aprile 2010
Due anni di proclami, promesse, soluzioni tracciate per aria. Ma il ministro Alfano di concreto non ha fatto niente. Perché la Lega non vuole. Anzi: di concreto ci sono le carceri sovraffollate. Dove la gente s’ammazza. La battagliera e radicale Rita Bernardini ha cominciato lo sciopero della fame. Una settimana fa i suicidi in carcere erano diciassette dall’inizio dell’anno, un numero impazzito, e ha chiesto che la Commissione Giustizia della Camera approvasse in sede legislativa, come se fosse l’aula, il ddl Alfano per far uscire subito tra arresti domiciliari e messa alla prova 11-12 mila detenuti ed allentare la pressione mortale sugli istituti penitenziari italiani. Richiesta bocciata con il no di Lega e Idv e la richiesta di chiarimenti da parte del Pd. Oggi il numero dei suicidi è arrivato a venti e non c’è più un minuto da perdere. "Il tempo è scaduto e il Parlamento non può più assistere inerte alla strage che con cadenza quotidiana si consuma nelle carceri italiane" dice Bernardini. Concetto chiaro, ma nulla si muove. La maggioranza ha un problema grosso come una casa con la Lega. E arresti domiciliari e messa alla prova, le soluzioni indicate nel ddl Alfano, sono per governo e Dap l’unica soluzione possibile. Ma nei due rami del Parlamento nessuno sembra voler prendere l’iniziativa di fronte a un fenomeno, i decessi in carcere, che per numeri può essere paragonato a una pena di morte di Stato. Carceri che scoppiano: quasi un refrain dalla metà degli anni novanta e argomento con scarsissimo appeal per giornali e media. Era il 1990 quando fu concessa l’ultima amnistia, toppa ripetuta e ormai lisa all’antico problema del sovraffollamento che dal ‘90 fu deciso di non utilizzare più. Da allora per il nostro sistema penitenziario fermo a 43 mila posti e sottodimensionato rispetto alle esigenze sono state fatte decine di proposte. Alcune assai curiose come quelle che hanno ipotizzato le carceri sulle navi ancorate al largo nel Mediterraneo. Ma le chiacchiere, come sempre, stanno a zero. E periodicamente scatta l’emergenza. Mai come questa volta, però: 67.271 detenuti di fronte a 43 mila posti disponibili, cinquemila unità oltre la più volta innalzata - rubando spazi a quelli che dovrebbero essere i luoghi di socialità - soglia di tollerabilità. E 55 morti decessi dall’inizio dell’anno. Il problema è chiaro sotto gli occhi del ministro Alfano e del governo fin dal maggio 2008. Ma c’è sempre il problema Lega. Il partito della "certezza della pena", tutto manette e cappi, riconosce solo un concetto: "Costruire più istituti e guai a chi li svuota". Concetto ribadito anche una settimana fa da Molteni in Commissione giustizia. Una malintesa voglia di manette e di giustizialismo che non tiene conto dei fondamenti della nostra Costituzione e condivisa, anche se in modo meno grezzo, dall’Idv. "La messa alla prova è una scorciatoia di non punibilità che lascia impunita la microcriminalità" ha detto Di Pietro. E i domiciliari sono "la sconfitta della Stato che dice, vabbuò, ti levo un anno". Il Pd con i suoi voti può essere decisivo. È una questione di responsabilità. In nome del diritto e della dignità. Giustizia: Manconi; stop ai giustizialisti, Pd approvi il ddl Alfano
Adnkronos, 15 aprile 2010
"Il responsabile del dipartimento Giustizia del Partito democratico, Andrea Orlando, ha cominciato a elaborare un progetto in cinque punti per la riforma del sistema della Giustizia. Si tratta ancora di una bozza, ma che va nella giusta direzione. Mi auguro, pertanto che un partito di centro-sinistra, come quello democratico, ispirato a una concezione garantista dello stato di diritto, sappia fare proprie quelle proposte e incalzare su questo terreno un partito come il Pdl, titolare - pur con molte eccezioni - di un’idea autoritaria e classista dell’amministrazione della giustizia". Lo dice Luigi Manconi, presidente di A Buon Diritto, già sottosegretario alla Giustizia. "Il Pd ora ha una grande opportunità: il disegno di legge del ministro della Giustizia Angelino Alfano sulla messa in prova e sulla detenzione domiciliare per il residuo pena di un anno. Quel ddl ha molti limiti e una incerta copertura finanziaria - aggiunge. Ma è emendabile e migliorabile. E, soprattutto, è una opportunità preziosa che sarebbe sciagurato e irresponsabile lasciar cadere. Già i giustizialisti di destra e di sinistra (che, a ben vedere, risultano comunque patentemente di destra) gridano allo scandalo, evocando un "mini-indulto". "Ignorano, evidentemente, che l’indulto del 2006, pur con molti limiti, ha evidenziato tra i beneficiari una recidiva pari a un terzo della recidiva registrata tra coloro che scontano interamente la pena in cella - sostiene Manconi. In ogni caso , il disegno di legge del ministro Alfano non è in alcun modo un "mini-indulto" e non ha nulla a che vedere con un provvedimento di clemenza. È solo ed esclusivamente una misura, certo perfettibile, che risponde a criteri di razionalità e di intelligenza politico-istituzionale. Solo un omonimo inconsapevole può aver pronunciato il commento attribuito ad Antonio Di Pietro: "I domiciliari sono la sconfitta dello Stato che dice, vabbuò, ti levo un anno. No, non può essere stato il leader dell’Italia dei Valori a dire una simile corbelleria (qualche esame di diritto, magari al Cepu, deve averlo pur sostenuto)". Giustizia: già 20 suicidi da inizio anno, sono "tragiche evasioni" di Dina Galano
Terra, 15 aprile 2010
Un detenuto si toglie la vita nell’istituto romano di Rebibbia, portando a 20 il numero dei suicidi nel 2010. Una situazione insostenibile anche per gli agenti di custodia, da ieri in sciopero della fame. La lista va nuovamente aggiornata. Un nuovo suicidio, ieri, nel carcere di Rebibbia ricorda che il conteggio delle morti in carcere è necessariamente provvisorio. A togliersi la vita un detenuto siciliano di 31 anni recluso nella sezione dei collaboratori di giustizia da quando, recentemente, ha cominciato a rendere informazioni alle autorità inquirenti. Con ogni probabilità, però, dietro l’atto estremo si cela una storia di desolazione determinata dalla minacciata separazione della moglie. Il caso, che inevitabilmente ha fatto aumentare la pressione sul governo impegnato a varare quel piano carceri per l’edilizia penitenziaria che da oltre un anno non trova definizione, è stato preso in carico dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul Servizio sanitario nazionale. Come ha chiarito ieri Leoluca Orlando, esponente dell’Idv in Commissione, lo scopo è "trovare soluzioni per contenere la drammatica cronaca che si aggrava nel corso dei mesi". Da dicembre la Commissione ha poi avviato uno specifico filone di inchiesta sulla tutela del diritto alla salute fisica e psichica dei carcerati, che si spingerà fino a chiarire la situazione specifica di quegli istituti dove le condizioni ambientali fortemente disagiate aumentano il rischio suicida. Come Rebibbia, appunto, (in otto anni, venti suicidi), ma anche il supercarcere di Sulmona, dove venerdì scorso si è consumato l’ultimo caso e che è ormai noto alle cronache con il nome di "carcere dei suicidi". "Questi eventi straordinari sono ormai drammaticamente ordinari - ha commentato Luigi Manconi, ex sottosegretario alla Giustizia e presidente dell’associazione A Buon Diritto - ed è, appunto, normale che così accada in un carcere sempre più sovraffollato, malsano, incivile". E sempre meno sicuro perché, come indicano gli stessi agenti penitenziari, non si contano i casi in cui, grazie al soccorso di alcuni, si è riusciti a evitare che si arrivasse alla morte. Episodi che spesso passano sotto silenzio e che aumentano la frustrazione di una categoria che ieri, in polemica con l’abbandono in cui è stata lasciata dalle istituzioni, ha iniziato lo sciopero della fame. "Migliaia di agenti che quotidianamente, con difficoltà insopportabili e gravemente sotto organico, cercano di garantire un minimo di vivibilità", ha dichiarato Angiolo Marroni, garante dei detenuti del Lazio, regione che insieme al Piemonte ha deciso per la protesta. Anche Rita Bernardini ha iniziato oggi l’azione non violenta "con l’obiettivo - ha spiegato - di seguire i tempi di discussione del ddl Alfano in commissione Giustizia, sperando che la stagione dei rinvii e delle mancate assunzioni di responsabilità sia destinata a chiudersi rapidamente". Una speranza che dovrebbe assumere contorni meno fumosi dal prossimo 29 aprile, giorno in cui il Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, Franco Ionta, dovrà consegnare il testo del piano carceri al Guardasigilli. Giustizia: l’ultimo si chiamava Daniele e si è ucciso a Rebibbia di Claudia Fusani
L’Unità, 15 aprile 2010
L’ultimo si chiama Daniele Bellanti. Aveva 31 anni, una moglie, pluripregiudicato, dice il casellario giudiziario, droga, spaccio, reati così. Aveva l’obbligo di soggiorno a Vittoria, il suo paese, ma lo scorso ottobre aveva travalicato i confini violando la misura di prevenzione. Quando lo hanno trovato lo hanno messo dentro. Rebibbia, il suo ultimo indirizzo, sezione dei collaboratori di giustizia, stava dicendo cose su un omicidio, pare. Ma non serve più: la scorsa notte ha preso un pezzo di stoffa, se l’è girato intorno a collo, s’è appeso a una sbarra e ha tirato. Ci deve volere molto determinazione, e altrettanta disperazione, per farla finita così. Bellanti è il ventesimo suicidio nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno. Ventiquattro ore prima in una cella a Santa Maria Capua Vetere un altro detenuto, 40 anni, sieropositivo, si è ucciso attaccandosi con la bocca alla bomboletta del gas che tutti i detenuti tengono in cella per cucinare. Due giorni prima Domenico Caldarelli, 39 anni, era riuscito a farsi un’overdose in cella a Sulmona. C.B., 40 anni, detenuto a Benevento ha utilizzato la sua calzamaglia di nylon per confezionarsi il cappio. L’elenco è lungo, 20 suicidi dall’inizio dell’anno, 55 decessi, un trend che se non viene interrotto potrebbe battere tutti i record, di sempre. Bisognerebbe che la Lega quando dice guai a chi pensa di svuotare le carceri andasse a vedere uno per uno questi nomi, che storie anno, perché sono rinchiusi, per quali reati. Magari, uscendo dalla statistica, potrebbe provare un pò di pietas e ingegnarsi di fare qualcosa per risolvere il problema annoso del sovraffollamento carcerario. Che non vuole assolutamente dire negare la legalità o la certezza della pena. Più semplicemente assumersi la responsabilità di governare. E trovare soluzioni. L’allarme di Sant’Egidio "Emergenza carceri" è oggi un titolo che rischia di suonare vuoto, liso, ripetitivo. E invece mai come adesso nella storia della Repubblica è pieno di significato come sanno bene il ministro della Giustizia Angelino Alfano e il capo del Dap Franco Ionta. La soluzione del problema carcere fu messa da Alfano al primo punto della sua agenda nel maggio 2008. Ma da allora, nonostante lo stato di emergenza e gli annunciati piani straordinari, la situazione è solo peggiorata. Per mancanza di soldi e per i veti insormontabili del Carroccio. Senza soldi non si possono realizzare i 21 mila posti in più tra nuovi istituti e nuovi padiglioni nè si possono assumere duemila nuovi agenti. Con il no della Lega non è stato possibile, almeno finora, ricorrere a misure alternative alla detenzione. È scesa in campo anche la Comunità di Sant’Egidio che vuol dire Chiesa, diplomazia e volontariato. Ha elaborato i dati del ministero e ha presentato un conto che chiama in campo tutte le forze politiche. 67.271 detenuti al 29 marzo, record di sempre, ottomila in più rispetto al 2006 quando tra gli strazi della classe politica fu concesso l’indulto. Soprattutto, 25 mila detenuti in più rispetto ai posti disponibili (43 mila). Ma, osserva Sant’Egidio, "al crescente numero di detenuti (+5% in un anno) non corrisponde il numero di reati che anzi diminuisce". Colpa di un "malinteso concetto di sicurezza". Quasi la metà dei detenuti ( 44,6%) è in attesa di giudizio e gli stranieri sono il 37,1% del totale. Ogni giorno entrano in carcere 440 persone per lo più per reati legati alla clandestinità e all’immigrazione. E il 32 per cento di coloro che hanno avuto una sentenza definitiva, devono scontare meno di un anno. Sovraffollamento e procedure assurde producono morti, decessi e suicidi. Perché "nelle celle non c’è neppure il posto per stare in piedi", perché gli spazi di socializzazione "sono stati destinati a brande e materassi". Perché manca personale di custodia e assistenti. Mancano le minime condizioni igieniche. È stata negata dignità e civiltà.
Dap: 20 suicidi da inizio anno, 5 erano stranieri
Sono venti, di cui cinque extracomunitari, i detenuti che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno ad oggi. Il dato ufficiale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è addirittura superiore all’ultima stima di Ristretti Orizzonti che conta 18 suicidi in cella. Se è vero che il reale motivo di talune morti resta da chiarire (alcuni detenuti sono stati trovati privi di vita dopo aver utilizzato il butano delle bombolette da camping come sostanza stupefacente e non per suicidarsi), quel che balza agli occhi scorrendo l’elenco del Dap è che solo sei detenuti stavano scontando una condanna definitiva. Gli altri erano per lo più in attesa di primo giudizio (in sei), oppure ricorrenti contro una sentenza di primo grado o di appello (due detenuti), internati in case lavoro (i due che si sono tolti la vita a Sulmona), oppure con situazione giuridica mista (quattro). Il 2009 è stato l’anno nero delle morti nelle carceri italiane (72 suicidi), ma da come è cominciato il 2010 il dato rischia di essere ben più pesante tra otto mesi. Il sovraffollamento (67.206 detenuti al 31 marzo scorso contro una capienza regolamentare di 44.236 posti e un limite tollerabile do 66.979 posti) di certo non aiuta sotto il profilo psicologico coloro che per la prima volta mettono piede in carcere o che sono in attesa di giudizio. Se all’emergenza suicidi il Dap ha tentato di dare una prima risposta il mese scorso con una Circolare per l’istituzione di un "servizio di ascolto" composto da poliziotti penitenziari in grado di supplire all’assenza di psicologi nelle ore serali, al problema sovraffollamento il capo del Dap Franco Ionta dovrà fornire soluzioni nero su bianco entro il prossimo 29 aprile, termine previsto dall’ordinanza firmata dal premier Berlusconi in forza della quale Ionta è stato nominato commissario delegato. Giustizia: Maran (Pd); basta con gli spot, situazione disumana
Il Velino, 15 aprile 2010
"Il nuovo caso di suicidio nel carcere romano di Rebibbia torna a porre il drammatico problema delle carceri italiane che non può essere risolto con gli spot del governo, l’ultimo dei quali del gennaio scorso quando il ministro Alfano si è guadagnato per la quarta volta in un anno le prime pagine dei giornali riproponendo il piano carceri. Abbiamo, a gennaio, concesso i poteri d’urgenza, ma ancora non ci è stato presentato alcun programma". Lo dice Alessandro Maran, vicepresidente dei deputati del Pd. "La prossima settimana discuteremo alla Camera di misure atte a diminuire il sovraffollamento dei nostri istituti penitenziari con l’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive brevi. Una misura importante per la quale il nostro gruppo ha concesso, senza strozzare il dibattito, l’urgenza. I detenuti in Italia sono tornati ad essere 65mila, 20mila in più del previsto - ricorda Maran -. Di questi, 30mila sono in attesa di giudizio e altri 30mila stanno in carcere meno di undici giorni in un anno. Noi proponiamo di utilizzare i fondi della Cassa ammende, 159 milioni di euro per le misure alternative. Servono interventi socio sanitari, psichiatri, assistenti sociali e soprattutto educatori. Bisogna fare qualcosa, subito". Giustizia: Favi (Pd); un altro suicidio, Alfano ancora in ritardo
Ansa, 15 aprile 2010
"Ancora oggi registriamo l’aggiornamento della lista dei detenuti suicidi in carcere. L’ultimo nel carcere di Rebibbia a Roma dove si è impiccato un giovane di soli 31 anni arrestato a settembre 2009, per aver violato l’obbligo di soggiorno nel proprio comune di residenza". Lo dichiara Sandro Favi, responsabile Carceri del Pd. "La drammaticità della situazione negli istituti penitenziari, prima ancora che dalle fredde cifre del sovraffollamento e delle statistiche, è testimoniata dalle storie di vita quotidiana, di sofferenza e spesso di morte che a fatica filtrano dal carcere. Il tema della misure alternative al carcere è decisivo per ridare equilibrio al sistema penitenziario. Non può essere ridimensionato per la preoccupazione di contraddire una politica della giustizia e della sicurezza che pure ha portato le carceri a queste condizioni. Non vorremmo cioè che con qualche misura limitata ed eccessivamente condizionata, come la detenzione domiciliare e la messa alla prova proposte dal Ministro Alfano, ci si lavasse la coscienza per ritrovarci fra qualche mese ancora con la questione penitenziaria alla soglia della deflagrazione". "Il piano del Ministro della Giustizia - conclude il responsabile Carceri- è palesemente inadeguato e drammaticamente in ritardo agli occhi degli operatori penitenziari più consapevoli e delle stesse forze politiche che hanno dibattuto sulla situazione delle carceri negli scorsi mesi". Giustizia: Nieri (Sel); suicidi evidenziano lo stato di emergenza
Asca, 15 aprile 2010
"La condizione dei detenuti nelle carceri italiane è ormai nuovamente al collasso, e la cosa non può più passare inosservata. L’ennesimo suicidio in carcere, questa volta di un ragazzo di 31 anni a Rebibbia, mette in evidenza lo stato di emergenza in cui versano gli istituti di pena, nonché le condizioni di estremo disagio e difficoltà in cui versano i detenuti. In questi anni il Governo non ha fatto che parlare di piani per la costruzione di nuove carceri. Non una parola sul fatto che nel nostro Paese sono in atto gravi violazioni dei diritti umani e condizioni lesive della dignità umana; l’Italia è stata per questo condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo". È quanto dichiara Luigi Nieri, esponente di Sinistra Ecologia Libertà. "Come in altri casi, inoltre - secondo Nieri - ci ritroviamo a segnalare la assoluta carenza di servizi che garantiscano il diritto alla salute fisica e psichica. Una più pertinente assistenza sanitaria, infatti, avrebbe potuto salvare molte vite. Siamo ormai in uno stato di emergenza". Il sovraffollamento e i suicidi "fanno delle carceri italiane una polveriera sociale. E il Governo dovrebbe farsene carico seriamente, senza fare demagogia, perché un Governo che non si occupa degli ultimi non è degno di un paese civile". Giustizia: Orlando (Pd); sul ddl Alfano ci servono più garanzie
L’Unità, 15 aprile 2010
Intervista ad Andrea Orlando (Pd): "Il ddl Alfano? Scelta condivisa ma servono più garanzie". Che fine ha fatto il piano carceri del governo? "È una prassi consolidata del governo: emergenza, piani straordinari, nebbia. Ora, però, quella dei penitenziari è una faccenda drammaticamente seria, muoiono le persone e non si vede traccia di misure concrete. Solo i soliti spot propaganda e l’evocazione da parte del premier di un preoccupante modello Aquila-Protezione civile per gestire la costruzione di nuove carceri". C’è il ddl Alfano, farebbe uscire circa 11-12 mila persone, una soluzione per l’immediato. Ma proprio il Pd ha detto no alla legislativa in commissione Giustizia richiesta dai Radicali.
Perché? "Il Pd non ha detto no. La nostra capogruppo Ferranti ha detto che mancavano troppi elementi per dare la legislativa. Abbiamo chiesto chiarezza".
In che punto? "Quale personale e con quali soldi gestirà la messa alla prova per tre anni di migliaia di detenuti? Quel no ha, credo, evitato un passo falso".
Lega e Idv hanno detto no a nuove amnistie. Il Pd non teme l’ira dei suoi elettori come per l’indulto del 2006? "I numeri sono più drammatici del 2006. Muore un persone ogni due giorni. In queste condizioni, arresti domiciliari e messa alla prova sono soluzioni da noi condivise perché sono un passaggio reale verso la riabilitazione e non un’apertura delle celle punto e basta. Poi dobbiamo ristrutturare vecchi istituti e far funzionare quelli esistenti ma vuoti".
Altre emergenze ridotte a spot? "Che fine ha fatto lo sbandierato piano antimafia in 10 punti? E il piano anticorruzione? Spot e slogan". Giustizia: "traduzione" detenuti, solo alla Polizia Penitenziaria
Italia Oggi, 15 aprile 2010
L’attività di traduzione da un luogo a un altro di soggetti detenuti, arrestati, fermati o internati compete alla polizia penitenziaria e non all’autorità di pubblica sicurezza. È quanto ha chiarito una Circolare 18 marzo 2010 del Dipartimento per gli affari di giustizia. All’attenzione della direzione generale della giustizia penale era infatti stata posta la questione riguardante la competenza ad eseguire la consegna presso la struttura designata (per esempio un carcere) di persone libere raggiunte da un provvedimento di sicurezza detentiva. Il quesito riguardava se tale funzione fosse appannaggio del Nucleo traduzioni e piantonamenti della polizia penitenziaria oppure dell’autorità di pubblica sicurezza. La circolare ricorda preliminarmente che l’articolo 42-bis della legge n. 354/1975 attribuisce alla polizia penitenziaria l’attività di traduzione (definita come "attività di accompagnamento coattivo, da un luogo a un altro, di soggetti detenuti, internati, fermati, arrestati o comunque in condizione di restrizione della libertà personale"). L’articolo 1 del dm Giustizia 11 aprile 1997 disciplina quindi la cessione del servizio di traduzione "dei detenuti e degli internati" dall’Arma dei carabinieri e dalla polizia di Stato al Corpo di polizia penitenziaria. La questione origina dal disposto di cui all’art. 659, comma 2, del codice di procedura penale, laddove si afferma che, per l’esecuzione delle misure di sicurezza diverse dalla confisca, "il pubblico ministero comunica in copia il provvedimento [del giudice di sorveglianza] all’autorità di pubblica sicurezza e, quando ne è il caso, emette ordine di esecuzione, con il quale dispone la consegna o la liberazione dell’interessato". Tuttavia, secondo il dipartimento per gli affari di giustizia, tale norma non stabilisce alcuna competenza in capo ad alcun soggetto, prevedendo solo che il pm comunichi il provvedimento all’autorità di pubblica sicurezza. La disposizione decisiva, dunque, è quella di cui al citato art. 42-bis della legge n. 354/1975. Pertanto, chiosa la circolare, qualora la struttura designata per l’esecuzione della misura di sicurezza si trovi in località diversa da quella dove l’interessato è stato catturato in esecuzione dell’ordine del pm, "il successivo trasferimento non può che essere qualificato come traduzione, spettante alla Polizia penitenziaria", non rilevando che il dm 11 aprile 1997 faccia riferimento ai soggetti "internati" e non anche espressamente agli "internandi". Giustizia: protesta degli agenti, si allarga in Sicilia e Campania
Ansa, 15 aprile 2010
"Persino nel tanto decantato disegno di legge all’esame della Camera dei Deputati, di polizia penitenziaria, di organici e di riduzione della durata dei corsi non si parla ed è per questo e per una gestione dell’amministrazione che riteniamo da tempo inidonea, che la protesta della polizia penitenziaria dal Lazio e dal Piemonte si sta estendendo alla Sicilia e alla Campania". Lo dice il segretario dell’Osapp, Leo Beneduci ricordando che dopo l’indulto del 2006 in carcere sono entrati più di 34.000 detenuti, mentre gli attuali 40.139 poliziotti penitenziari in servizio, su di un organico di 45.109, sono di 1.200 unità inferiori a quelle allora presenti. Nel frattempo, sottolinea il sindacalista, "sono terminati i fondi per i carburanti e per i servizi di missione, entro giugno saranno pressoché esauriti i fondi per il pagamento del lavoro straordinario che rappresenta oltre il 25% del lavoro ordinario". Secondo Beneduci, "volersi occupare solo di edilizia e non di tutto il resto, reperire fondi in grande quantità solo per nuove costruzioni e non per migliorare i servizi o per aumentare il numero degli operatori penitenziari, significa condannare definitivamente chi nel carcere ci finisce o ci lavora". Lettere: le carceri come inferno servono più misure alternative di Roberto Di Giovan Paolo (Senatore Pd)
L’Unità, 15 aprile 2010
E morto, suicida, il diciottesimo detenuto. Fanno più di quattro esseri umani morti nelle nostre carceri ogni mese. Il numero elevato e in costante crescita della popolazione detenuta - che ad oggi supera le 67.000 presenze, a fronte di una capienza regolamentare di 43.074 posti - produce un sovraffollamento insostenibile delle strutture penitenziarie italiane, che colpisce detenuti e carcerati come i servitori dello Stato che lealmente vi prestano servizio. Di misure alternative al carcere, questo governo non ne fa certo una priorità. Da uno studio del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria risulta che, degli oltre 67.000 detenuti, circa la metà è costituito da persone in attesa di giudizio, e tra questi circa un 30 per cento potrebbe essere assolto alla fine del processo. Un’anomalia tipicamente italiana che non trova riscontro negli altri Paesi europei: il ricorso sempre più frequente alla misura cautelare in carcere e la lunga durata dei processi costringe centinaia di migliaia di presunti innocenti a scontare lunghe pene in condizioni spesso poco dignitose. Ne va di mezzo la salute. Da un’indagine parlamentare emerge che il 41% dei detenuti è in stato di salute scadente o addirittura grave. E la sanità regionale, a corto di fondi, può fare poco. Si pensi che alle regioni non sono arrivati nemmeno i fondi relativi all’ultimo trimestre del 2008 e a tutto il 2009. Bisogna ragionare su quali strumenti mettere in campo, seguendo l’approvazione unanime del Senato della Repubblica della mozione Pd a mia prima firma (con oltre 90 ulteriori firmatari iniziali) in cui figurano, approvati dal sottosegretario Caliendo (gliene do atto), oltre 15 dei 22 punti iniziali di possibile riforma presentati da me e da Rita Bernardini e Dario Franceschini alla Camera dei Deputati. Penso a un Garante dei detenuti a livello nazionale, già presente in molte regioni. È una figura fondamentale, che dovrà lavorare assieme alle autorità locali e ai magistrati di sorveglianza, per risolvere quelle criticità presenti in tanti istituti penitenziari. Se poi non riduciamo i tempi di custodia cautelare, perlomeno per i reati meno gravi, e la possibilità per il magistrato di applicare misure cautelari personali in ben specificati casi, di strada se ne farà poca. È chiaro che bisogna intervenire sul codice penale, e qui il Pd deve assumere un ruolo propositivo, se vuole scavalcare i no della maggioranza. Ne consegue che bisognerà rafforzare sia gli strumenti alternativi al carcere previsti dalla legge "Gozzini", sia delle sanzioni penali alternative alla detenzione intramuraria, a partire dall’estensione dell’istituto della messa alla prova. Tutto questo se vogliamo davvero considerare il carcere come un luogo di rieducazione, come ci chiede anche l’Europa, e non un luogo dove dimenticare chi ha sbagliato? Lettere: i detenuti, da varie carceri, scrivono a Riccardo Arena
Pagina di Radio Carcere su Il Riformista, 15 aprile 2010
All’Ucciardone, dal "canile" ai topi. Entrato all’Ucciardone io, come altri detenuti, sono stato messo nel "canile". Una gabbietta, larga un metro e alta due, dove stai chiuso in piedi per ore e ore, qualcuno anche per giorni. Io nel canile si sono rimasto per circa 10 ore. È stato terribile. Vomitavo, facevo i bisogni e piangevo. Ma nessuno è venuto a vedere come stavo. Quando pensavo di impazzire, mi hanno portato nella cella di transito. Uno stanzone fatiscente pieno zeppo di detenuti. Lì c’era gente malata di mente, stranieri, tossicodipendenti in crisi di astinenza e persone affette da l’aids. Dopo circa un mese mi hanno portato in quella che sarebbe diventata la mia cella. Mi sono detto: "il peggio è passato!", e invece mi sbagliavo. L’inferno vero all’Ucciardone iniziava lì. La mia cella era grande come una normale cucina e dentro c’erano diversi corpi sdraiati sulle brande. Erano i miei 9 compagni di cella. C’era puzza, le pareti invase dalla muffa, il pavimento pieno di scarafaggi ed era buia quella cella, molto buia anche se erano le 11 del mattino. Ora sono tre mesi che sto qui dentro e ho un nuovo compagno di cella. L’undicesimo. È un topo bello grande che ogni sera, passando da un cornicione, entra dalla finestra e se ne va in giro liberamente. Insieme ai miei compagni, cerchiamo di tenere la finestra chiusa, ma essendo in tanti in cella spesso siamo costretti ad aprirla pur di respirare. Abbiamo anche fatto i turni di guardia notturni per vedere se il topo entrava, ma è stato inutile. Alla fine ho fatto presente il problema del topo galeotto agli agenti. La risposta? "Non c’è nulla da fare, questo è l’Ucciardone".
Giuseppe, 32 anni, 8 mesi da scontare
A Opera si muore nell’indifferenza. Sono detenuto nel carcere di Opera e sono malato di cuore. Qualche settimana fa mi sono sentito male. Erano le sette di sera. Un forte dolore al petto e al braccio mi ha messo in ginocchio. Temendo fosse un infarto, ho chiesto aiuto. Nessuna risposta. Poi anche i miei compagni hanno iniziato a sbattere sulle grate e a urlare per chiedere aiuto ed è così che alla fine si è presentato un medico. Erano circa le otto di sera ed era più di un’ora che stavo male. Il medico mi ha misurato la pressione e, senza dirmi nulla, è andato via. Ricordo che ho passato tutta la notte sulla mia branda, dolorante e con la paura di morire. La mattina seguente ho chiesto di nuovo l’intervento di un medico, ma invano. Solo verso le 13 si sono accorti che le mie condizioni erano gravissime. Ed è stato così che, dopo 20 ore di richieste di soccorso, sono stato portato dalla mia cella all’ospedale San Paolo di Milano. Ospedale dove mi è stato diagnosticato un infarto. Sono stato operato e, passati pochi giorni, mi hanno rimesso in cella. Ora io me la sono cavata, ma altri detenuti qui a Opera sono stati meno fortunati. Di recente un detenuto qui è morto nella sua cella alle 10 di sera, ma se ne sono accorti alle 5 del mattino del giorno dopo. Un altro ancora è morto qualche giorno fa. Dicono che sia deceduto durante il trasporto in ospedale, ma non è vero! Io stesso ho visto l’autoambulanza rimanere ferma davanti al carcere per ore. "La sua situazione è stabile", ci ripetono i medici che ci visitano, ma la verità a molti detenuti, ai più malati e ai più poveri, non resta che aspettare la morte in cella.
Marco, 46 anni, 2 anni da scontare
Udine: ora possiamo leggere Il Riformista. Cara Radiocarcere, Ti scrivo per informati che da quando hai pubblicato la lettera che ti ho inviato nel mese di gennaio alcune cose sono migliorate qui nel carcere di Udine. Infatti la lettera è stata anche dall’amministrazione del carcere che, ad esempio, ha provveduto subito a levare il muretto divisorio che c’era nelle sale dove facciamo i colloqui con i nostri familiari. Ma non solo. Ora nella lista dei giornali che possiamo comprare c’è anche il Riformista e così possiamo finalmente leggere la pagina di Radiocarcere. Per questo, anche se sono piccole cose, volevo dirti grazie e ringraziare anche Il Riformista che ospita questa pagina. Allo stesso tempo, volevo dirti che sia io che i miei compagni detenuti qui a Udine siamo stanchi di sentire solo pompose conferenze stampa, fatte dal Ministro Alfano, sulle carceri. Oggi infatti la situazione è talmente grave che gli annunci non bastano più e servono interventi seri ed urgenti. Purtroppo ci sono già segnali di tensione nelle Carceri e io spero che tutto ciò non sfoci in rivolte violente, anche se temo che il sistema, se non ci saranno misure urgenti, sarà destinato ad implodere. A tal proposito vorrei appellarmi ai compagni detenuti e dirgli di mantenere la calma e di mantenere un atteggiamento lucido.
Fabio, dal carcere di Udine
Regina Coeli: un detenuto ridotto come Cucchi. Carissimo Arena, ti scriviamo perché siamo allarmati circa le condizioni di un ragazzo che è da poco detenuto qui con noi. Devi sapere infatti che da qualche giorno è detenuto qui nel centro clinico del carcere di Regina Coeli un ragazzo che è letteralmente pesto dalle botte. Si hai capito bene! Qui c’è un ragazzo appena arrestato che è pieno di lividi per quante botte ha preso, livido come era il povero Stefano Cucchi. Pensa che non riesce a muoversi e noi non sappiamo come aiutarlo. Ora saremo anche persone che hanno commesso dei reati e che hanno sbagliato, ma ci chiediamo: come fanno ad accettare in carcere un ragazzo ridotto in queste condizioni? Perché prima non lo hanno portato in un ospedale per fare accertamenti? Anche se avesse commesso una rapina, è questo il modo di trattarlo e di curarlo? Devi sapere infatti che il centro clinico del carcere di Regina Coeli è veramente uno schifo e le cure mediche non si possono definire adeguare. Qui c’è di tutto, addirittura c’è un povero ragazzo malato di Tbc. La cosa assurda è che sia il ministro Alfano che il capo del Dap Ionta sanno bene come si vive qui dentro, ma nonostante ciò qui non cambia mai nulla. Noi tutti ti ringraziamo.
Un gruppo di persone detenute nel centro clinico del carcere di Regina Coeli Campania: Antigone; nel giro di un mese sono morti 5 detenuti
Ansa, 15 aprile 2010
Nel giro di un mese cinque detenuti morti nei penitenziari napoletani: lo denuncia Dario Stefano Dell’Aquila, portavoce dell’Associazione Antigone Campania. "Secondo i dati del nostro Osservatorio - ha detto - ai due decessi attribuiti a cause naturali avvenuti in questi giorni nel carcere di Secondigliano, vanno aggiunti tre suicidi che si sono verificati nel carcere di Poggioreale, Benevento e Santa Maria Capua Vetere". Una sequenza impressionante, la definisce Dell’Aquila: il 12 marzo Angelo Russo, sofferente psichico si è tolto la vita nel carcere di Poggioreale; l’8 aprile è stata la volta di un detenuto di 39 anni, nel carcere di Benevento. Ed ancora, il 13 aprile, un detenuto di 40 anni sieropositivo nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Secondo i dati dell’associazione, in Campania sono presenti 8.063 detenuti, contro i 7.890 del mese di febbraio. Gli stranieri sono 996. "Ci sono - prosegue Dell’Aquila - circa 3.000 detenuti in più rispetto alla capienza ufficiale, fissata ufficialmente a 5.311 posti, quella tollerabile di 7.217 posti".
A Secondigliano due detenuti morti in due giorni
Due detenuti morti in due giorni al carcere napoletano di Secondigliano: secondo primissimi accertamenti, secondo quanto confermato dal Sappe e dalla Cgil polizia penitenziaria, i decessi sarebbero riconducibili a patologie di cui gli uomini soffrivano. È stata, comunque, disposta l’autopsia. I detenuti erano nel braccio speciale, reparto collaboratori di giustizia. A perdere la vita sono stati Carmine Verderame, 50 anni, già infartuato e morto probabilmente per infarto, e Antonio Zingaro, 40 anni, anche lui affetto da una grave patologia. Abruzzo: responsabile Garanzie Pd; sciopero fame per carceri
Ansa, 15 aprile 2010
Sciopero della fame, da oggi, del responsabile Dipartimento delle garanzie e dei Diritti del Pd Abruzzo, Giulio Petrilli "per porre l’attenzione e cercare di risolvere - afferma - il problema del sovraffollamento delle carceri". La scelta, come spiega, è concomitante alla stessa iniziativa annunciata ieri dalla deputata radicale eletta nelle liste del Pd Rita Bernardini. Lo scorso 12 aprile, Petrilli aveva accompagnato la deputata in un’ennesima visita alla sezione internati del carcere di Sulmona, dopo la morte per overdose di un detenuto, Domenico Cardarelli. Al termine, Bernardini aveva ribadito l’esigenza di una legge di modifica della figura degli internati, sottolineando che i tossicodipendenti non dovrebbero stare in carcere, chiesto la chiusura della sezione internati e l’abolizione della norma che prevede il carcere (casa lavoro) per una presunta pericolosità sociale. "Anche nella nostra regione in Abruzzo - scrive Petrilli -, questo problema è molto serio: i suicidi e le morti nel carcere di Sulmona ne sono un triste esempio, ma anche negli altri penitenziari la situazione è molto difficile. Il mio è uno sciopero della fame per denunciare a gran voce che anche le persone recluse hanno dei diritti che vanno rispettati. Non si può assistere in silenzio ai tanti suicidi che si susseguono". Napoli: muore detenuto di 40 anni… i decessi nel 2010 sono 58
Redattore Sociale, 15 aprile 2010
Il cadavere di Antonio Zingaro, 40enne di origini pugliesi, è stato rinvenuto da un agente di polizia penitenziaria intorno alle 5 di ieri mattina sul pavimento della sua cella, in un braccio speciale del carcere napoletano di Secondigliano, dove scontano la pena i detenuti che hanno visto revocato il programma di protezione per i collaboratori di giustizia e dunque a rischio di eventuali vendette, anche dietro le sbarre, per le loro confessioni. La denuncia viene dall’Osservatorio permanente sulle morti in carcere: con la morte di Antonio Zingaro salgono a 58 i decessi in carcere da inizio anno (7 solo nel mese di aprile): 38 di loro avevano meno di 40 anni (il 66% del totale). Nel dettaglio: 18 avevano tra i 20 e i 30 anni; 20 tra i 31 e i 40 anni; 12 tra i 41 e i 50 anni; 6 tra i 51 e i 60 anni. Due erano ultrasessantenni (il più anziano Emanuele Carbone, di 71 anni, morto nel carcere di Lecce lo scorso 31 marzo). Secondo le prime ricostruzioni, nella cella di Zingaro non sarebbero stati rinvenuti elementi che ricondurrebbero ad un suicidio, ma per tutta la giornata di ieri la cella è stata passata al setaccio dalla polizia giudiziaria della Procura partenopea, per vagliare ogni ipotesi. Sarà l’autopsia, disposta dal pubblico ministero della Procura della Repubblica di Napoli, ad accertare le cause della morte. A Secondigliano, invece, l’ultimo decesso si era verificato il 18 marzo, quando morì (per cause ancora da accertare) un detenuto italiano di 29 anni. Negli ultimi 5 anni nel carcere napoletano sono morti 27 detenuti, di cui 8 per suicidio. Roma: Sappe, 2 ergastolani non rientrano da permesso premio
Dire, 15 aprile 2010
"Deve indubbiamente far riflettere il fatto che due detenuti condannati all’ergastolo per omicidio risultano evasi dal carcere romano di Rebibbia, dove non hanno fatto rientro domenica scorsa, giorno conclusivo di un permesso premio dieci giorni che sarebbe stato loro concesso dal Tribunale si sorveglianza di Roma per il periodo delle festività pasquali". È quanto afferma in una nota Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria. "Sia chiaro - continua Capece - le misure alternative alla detenzione servono nel percorso di reinserimento sociale non deviante, anche nei confronti di quei (pochi) soggetti con numerose esperienze penitenziarie che riescono ad ottenere l’applicazione di una forma di esecuzione della pena di carattere extra-carcerario. Ma non si faccia di tutta l’erba un fascio: le evasioni sono percentualmente minime rispetto all’alto numero di soggetti detenuti che godono di benefici penitenziari. Altrettanto vero è che alla Polizia penitenziaria deve essere affidato un ruolo di maggiore importanza ai fini dell’istruttoria relativa alla concessione o meno di benefici penitenziari in relazione all’importante e fondamentale attività di osservazione, raccolta e analisi dei dati riguardanti i detenuti che potrebbero accedere alle misure stesse. Certo, anche il pesante sovraffollamento non agevola questo prezioso e importante compito". Quindi, conclude Capece, "non più tardi di ieri, in un incontro con il ministro della Giustizia Alfano, abbiamo sottolineato come la situazione è particolarmente allarmante. Abbiamo più di 67mila detenuti in strutture carcerarie con una capienza regolamentare di poco superiore ai 43mila posti letto, a tutto discapito della dignità umana dei reclusi che deve essere comunque garantita ma soprattutto delle difficoltà operative e lavorative delle donne e degli uomini del corpo di Polizia penitenziaria, sotto organico di oltre 6mila unità. Auspico che il Piano carceri del Governo trovi una prima urgente applicazione nelle parti in cui si prevedono interventi normativi finalizzati ad assumere 2mila agenti di polizia Penitenziaria e a introdurre la possibilità di detenzione domiciliare per chi deve scontare solo un anno di pena residua e di messa alla prova (eventualmente avvalendosi anche di procedure di controllo come il braccialetto elettronico, che ha finora fornito in molti Paesi europei una prova indubbiamente positiva) delle persone imputabili per reati fino a tre anni, che potranno così svolgere lavori di pubblica utilità". Quindi, conclude Capece, "non più tardi di ieri, in un incontro con il ministro della Giustizia Alfano, abbiamo sottolineato come la situazione è particolarmente allarmante. Abbiamo più di 67mila detenuti in strutture carcerarie con una capienza regolamentare di poco superiore ai 43mila posti letto, a tutto discapito della dignità umana dei reclusi che deve essere comunque garantita ma soprattutto delle difficoltà operative e lavorative delle donne e degli uomini del corpo di Polizia penitenziaria, sotto organico di oltre 6mila unità. Auspico che il Piano carceri del Governo trovi una prima urgente applicazione nelle parti in cui si prevedono interventi normativi finalizzati ad assumere 2mila agenti di polizia Penitenziaria e a introdurre la possibilità di detenzione domiciliare per chi deve scontare solo un anno di pena residua e di messa alla prova (eventualmente avvalendosi anche di procedure di controllo come il braccialetto elettronico, che ha finora fornito in molti Paesi europei una prova indubbiamente positiva) delle persone imputabili per reati fino a tre anni, che potranno così svolgere lavori di pubblica utilità".
Dap: a Rebibbia non è stata evasione ma mancato rientro
Con riferimento alle notizie di agenzia circa l’evasione di due ergastolani, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria precisa in una nota che "non si tratta di evasione ma di mancato rientro nell’istituto penitenziario dopo la fruizione di permessi regolarmente concessi dalla magistratura di sorveglianza in occasione delle festività pasquali". Il Dap fa inoltre presente che "gli stessi non hanno mai partecipato ad iniziative relative a lavori di pubblica utilità, ma solo uno di essi, nell’ambito del programma di trattamento ha saltuariamente e fino al dicembre 2009 svolto attività di pulizia presso la scuola formazione di Via di Brava. Nessuna lettera contenente piani di evasione è stata rinvenuta all’esito delle perquisizioni eseguite nelle celle dei due detenuti".Palermo: 5 mesi fa morì in cella, ora la madre scrive a ministro
La Repubblica, 15 aprile 2010
Cinque mesi fa è morto in carcere per un infarto, ma il suo avvocato per due volte aveva chiesto la scarcerazione per "gravi motivi di salute". Perché Roberto Pellicano, 39 anni, era affetto dal virus dell’hiv aveva problemi polmonari. Ma la scarcerazione non è mai arrivata. Sulla morte del detenuto, che era finito in cella per avere rubato un telo da mare sulla spiaggia, la Procura ha aperto un’inchiesta lo scorso dicembre. Pellicano aveva rubato per andare a comprarsi una dose di droga. La famiglia di Pellicano, adesso, lancia un appello denunciando troppa lentezza nelle indagini. "Ancora, a quasi cinque mesi dalla morte di Roberto - dice la mamma, Vincenza Ferdico - non sappiamo perché mio figlio sia morto. L’hanno ucciso due volte: la prima volta non concedendo i domiciliari e adesso lasciandoci senza risposte". Il giudice aveva rigettato la prima istanza dopo due mesi dalla richiesta dell’avvocato Tommy De Lisi e aveva rimandato al magistrato di sorveglianza la decisione sulla seconda perché non aveva ricevuto, dopo altri 2 mesi, le risultanze di un ulteriore accertamento medico. Nel frattempo, però, la condanna era diventata definitiva e il fascicolo aveva cambiato scrivania. "È inaccettabile - spiega la madre di Pellicano - che la perizia sull’autopsia eseguita sul corpo di mio figlio non sia ancora stata depositata". Le indagini per "omicidio colposo" possono essere prorogate fino ad un anno e mezzo dall’apertura dell’inchiesta. "Ma di cosa stiamo parlando? - protesta la donna - Si tratta della vita di un ragazzo morto come un cane e ancora si discute di tempi tecnici. E noi? La famiglia non merita di avere una spiegazione? Non sappiamo nemmeno se sia morto in cella, nel corridoio, in infermeria. E il carcere, poi, non ci ha riconsegnato i suoi effetti personali nonostante le continue richieste. Ho anche scritto al ministro Alfano, ma non ho ricevuto risposta". La famiglia Pellicano è originaria di Passo di Rigano. Roberto aveva preso una brutta strada e da 12 anni si drogava. "Dopo il primo arresto, per il quale era stato anche scarcerato in Sardegna per le sue condizioni di salute, Roberto si era messo la testa a posto", continua la madre di Pellicano. A luglio 2009, invece, è caduto di nuovo nella rete della malavita e ha rubato quel telo a Mondello. "Da quando è entrato in carcere - spiega la donna - le sue condizioni sono presto peggiorate. Ai colloqui mi ripeteva che stava male, soprattutto dopo un vaccino che gli avevano fatto". La famiglia Pellicano non vuole più attendere. "Voglio sapere come è morto mio figlio. Mi sento vicina alla famiglia di Stefano Cucchi perché credo che la nostra vicenda sia simile: i nostri figli sono stati uccisi senza un perché". Forlì: detenuto tunisino di 47 anni tenta suicidio, viene salvato
Ansa, 15 aprile 2010
Ancora un tentativo di suicidio al carcere di Forlì. Un detenuto di 47 anni, tunisino, ha cercato di impiccarsi nella sua cella, nella notte tra lunedì e martedì. Ha sfruttato la notte per compiere il suo proposito e, paradossalmente, proprio il sovraffollamento del carcere ha permesso di salvarlo. Infatti, pur muovendosi nel buio e nel silenzio, l’uomo avrebbe fatto quel poco di rumore necessario per svegliare un compagno di cella. Le stanze per la reclusione dei detenuti sono piccole e stipate, è bastato quindi poco affinché partisse l’allarme e venisse sventato il tentativo di suicidio. Il tunisino è stato trovato con il lenzuolo annodato al collo, già con alcuni segni della stretta. La corsa in ospedale ha permesso di appurare che non ci sono state conseguenze gravi per l’uomo. Dimesso, è stato riportato alla Rocca. Ma l’episodio è l’ennesima prova della situazione preoccupante in cui versa il carcere di Forlì, in cui si moltiplicano i tentativi di suicidi. Sarebbero stati tre solo negli ultimi mesi. Treviso: affollamento, mancanza personale e divisioni etniche
La Tribuna di Treviso, 15 aprile 2010
Sovraffollamento, mancanza di personale, divisioni etniche: tutti i problemi del carcere di Santa Bona sono stati denunciati lunedì da don Pietro Zardo, cappellano della casa circondariale dal 1996, autore del libro "Condannati a vivere", presentato alla libreria Lovat. C’era anche Francesco Massimo, direttore del carcere. "Il carcere dovrebbe ospitare 134 detenuti, ma la media recente è di 300, con picchi di 320 - ha detto don Zardo - Se non si verificano episodi violenti è soltanto merito di chi ci lavora dentro, dei sacrifici del personale". L’organico continua ad essere fortemente sottodimensionato, ma l’amministrazione carceraria non ha risorse. "La crisi porta il problema carcerario in secondo piano - ha detto Massimo - soffriamo di gravi carenze di fondi. Ma nemmeno gli interventi di edilizia carceraria e il potenziamento dei penitenziari potrebbero risolvere i problemi. L’unica strategia è la prevenzione: posti di lavoro, politiche efficienti di istruzione, sicurezza, controllo dell’immigrazione". I detenuti extracomunitari, oscillano fra il 70% e l’80% a fronte del 40% della media nazionale. E la multiculturalità costituisce uno dei problemi più spinosi da affrontare, anche se don Pietro testimonia un’avvenuta conciliazione con il mondo musulmano. Infine, la questione sessualità. Da un lato, i trans vittime di episodi di intolleranza, dall’altro l’aumento di condannati per reati legati alla sfera sessuale. Una volta usciti, il nodo reinserimento. "Gli ex carcerati non riescono a integrarsi e a trovare lavoro - ha detto don Zardo - molti rifiutano di frequentare i corsi professionali tenuti in carcere".Pordenone: Lega contro Pdl, per costruzione del nuovo carcere
Messaggero Veneto, 15 aprile 2010
La Lega riapre la partita sul carcere di San Vito e il Pdl avverte: "Chi rimette in discussione tutto se ne assumerà la rispettabilità". Quando le forze locali - dai parlamentari agli enti locali, indipendentemente dagli schieramenti - sembravano aver messo fine all’agonia del nuovo carcere di Pordenone, tracciando il percorso che dovrebbe portare alla costruzione della nuova struttura penitenziaria in Comina, all’interno della maggioranza scoppia il caso politico. La raccolta firme promossa dal consigliere regionale Narduzzi solo in alcuni Comuni, intanto, riceve la "benedizione" della segreteria provinciale del Carroccio. La raccolta firme promossa da Danilo Narduzzi fredda gli alleati del Pdl. Carcere a San Vito? "L’ipotesi mi sembra impraticabile" dice il presidente della Provincia Alessandro Ciriani "considerato l’iter compiuto per far rientrare il carcere di Pordenone tra le strutture da finanziare". Stupefatto a dir poco il parlamentare - nonché coordinatore comunale del Pdl - Manlio Contento che ha seguito in prima persona tutte le vicissitudini del progetto. "La posizione della Lega mi sembra quanto meno singolare. Quando si affrontò la questione con l’allora Ministro Castelli - ricorda Contento - eravamo tutti d’accordo sul fatto che il carcere fosse realizzato a Pordenone sia per i minori costi dell’operazione sia perché esiste una norma di legge, seppur datata, che indica come preferibile realizzare le carceri nei capoluoghi di provincia". Le peripezie della casa circondariale di Pordenone sono proseguite con lo "scippo" delle risorse da parte del Ministro Mastella, con la riapertura della trafila da parte dell’attuale governo, trafila che prevede un impegno non indifferente - anche in termini economici - da parte degli enti locali, Regione in testa. "Ognuno può avere una visione diversa della situazione - aggiunge Contento -, ma questo potrebbe comportare difficoltà a livello politico visto quanto è stato fatto finora. Il paradosso è che questa novità arriva dopo l’ennesimo sforzo per far inserire Pordenone tra i siti individuati dal Ministero, dopo aver reperito i finanziamenti. Adesso rimettiamo in discussione tutto? Temo che questo comporterebbe ritardi per il nuovo carcere e, di conseguenza, per la procedura che restituirà il castello a Pordenone. Il mio dovere in questi anni l’ho fatto, valutino a questo punto le forze politiche il da farsi. Se qualcuno è disponibile ad assumersi le responsabilità di eventuali ritardi e costi aggiuntivi faccia pure". Costi aggiuntivi perché "su San Vito pesano anche le spese legate alla demolizione della struttura". Ad impegnarsi per risolvere la questione carcere, negli anni, è stato anche il leghista Edouard Ballaman, già questore della Camera. "Dopo la vicenda legata a Mastella - dice oggi -, la cosa che ho sempre detto è che l’importante è che il carcere si faccia. Personalmente non sono convinto che scegliendo San Vito ci sarebbe un risparmio, ma questa è la mia posizione personale. Non so se esista una posizione ufficiale del direttivo della Lega, la mia personale resta quella di ritenere utile che il carcere venga costruito". E la posizione della segreteria provinciale "è quella espressa da Danilo Narduzzi - fa sapere il segretario Enzo Bortolotti -. Siamo per un’ottimizzazione delle risorse. Come dice Narduzzi la costruzione a San Vito porterebbe a un risparmio di 20 milioni di euro". Trani: un corso di informatica per il reinserimento dei detenuti
Trani Informa, 15 aprile 2010
Profit e no-profit sempre più uniti in nome di un progetto comune che ha obiettivi ambiziosi: la riqualificazione professionale e il reinserimento nel mondo del lavoro delle persone svantaggiate. Questo è quello che si propone Informatica in Comunità, una scommessa che dura da quattro anni e che vede come promotori Cnca - Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, Microsoft Italia e Fondazione Adecco per le Pari Opportunità. La quarta edizione del progetto, che a livello nazionale tocca in tutto otto regioni (Toscana, Trentino, Lombardia, Umbria, Calabria, Piemonte, Puglia, Emilia Romagna), coinvolge anche quest’anno la Puglia, dove in 6 centri Cnca si raggiungeranno circa 480 persone. Le strutture coinvolte, coordinate dalla Coop "Uno tra noi", sono la Casa Circondariale di Trani, l’Azienda Pubblica Servizi alla Persona "Maria Cristina di Savoia" di Bitonto, l’Associazione Micaela di Adelfia (Bari), l’Associazione Comunità sulla strada di Emmaus di Foggia, il Comitato Progetto Uomo e la biblioteca "Don Michele Cafagna" di Bisceglie. I corsi, articolati in moduli di 3 ore ciascuno a cui partecipano gruppi di 8 persone per volta, permettono ai partecipanti di apprendere in modo semplice e diretto come usare il pc, dai primi rudimenti ai programmi di videoscrittura e ai fogli di calcoli fino alla navigazione in Internet e all’utilizzo della posta elettronica. Ma l’informatica può essere una via per la riqualificazione professionale e per il reinserimento nel mondo del lavoro di persone socialmente svantaggiate? È questa la domanda e l’obiettivo che si pone quest’anno il progetto. A dare la risposta sono i risultati della terza e ultima edizione, partita a gennaio 2009: dei 4.200 partecipanti a livello nazionale ben 500 hanno intrapreso un percorso di reinserimento lavorativo e oltre 90 a giugno avevano già trovato un impiego. Numeri molto alti, considerando che spesso le persone che frequentano i corsi stanno attraversando un percorso di riabilitazione molto lungo che non permette un immediato ingresso nel mondo del lavoro. Partner e sostenitore dell’iniziativa è, anche quest’anno, futuro@lfemminile, il progetto di responsabilità sociale ideato da Microsoft Italia in collaborazione con Acer, che negli anni scorsi ha promosso i primi corsi gratuiti per le donne di alcune comunità di accoglienza. Il supporto di futuro@lfemminile nell’edizione 2010, come nelle precedenti, oltre a favorire l’alfabetizzazione informatica di base, sarà focalizzato sull’inserimento nel mondo del lavoro delle donne che hanno preso parte ai corsi. Milano: agenti a processo per violenze sessuali a detenute trans
Il Giornale, 15 aprile 2010
Chiuse le indagini a carico di due agenti della polizia penitenziaria accusati di aver stuprato dei detenuti transessuali nelle carceri di San Vittore e di Bollate, abusando dei propri poteri. Il pm Isidoro Palma ha notificato l’avviso di chiusura dell’inchiesta che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio ai due agenti, accusati di concussione sessuale e violenza sessuale con l’aggravante di aver commesso questi reati su persone sottoposte alla limitazione della libertà personale e in qualità di pubblici ufficiali nell’esercizio delle proprie funzioni. Il primo agente, un ispettore superiore in servizio a San Vittore di 56 anni, nel luglio 2008 avrebbe convocato un primo detenuto transessuale nel proprio ufficio. Rimasto solo con lui, gli avrebbe detto di essere il "comandante delle guardie" e subito dopo avrebbe preteso un rapporto sessuale. Tra il giugno e il settembre dello stesso anno avrebbe riservato quattro volte lo stesso trattamento a un altro transessuale. Ancora, avrebbe convocato il detenuto nell’ufficio e richiesto rapporti sessuali con la promessa di soddisfare le richieste di ricevere vestiti in cella presentate dal trans. Il secondo indagato è un assistente di polizia penitenziaria, che avrebbe violentato le stesse due vittime. Immigrazione: restrizione straniero va comunicata al consolato
Italia Oggi, 15 aprile 2010
Ogni qual volta un cittadino straniero viene sottoposto a un qualsiasi provvedimento in materia di libertà personale, l’autorità giudiziaria e l’autorità di pubblica sicurezza devono informare senza indugio la rappresentanza diplomatica o consolare più vicina dello stato di origine del soggetto. L’obbligo, disciplinato dall’articolo 2, comma 7 del dlgs n. 286/1998 e dall’articolo 4 del dpr n. 394/1999, trova una deroga solo in caso di motivi umanitari oppure di espressa dichiarazione contraria da parte dell’interessato. È quanto ha chiarito la circolare 22/3/2010, del Dipartimento per gli affari di giustizia. Il documento di prassi di via Arenula ha risposto ad alcune istanze presentate da autorità diplomatiche estere alla direzione generale della giustizia penale, aventi per oggetto le informazioni riguardanti la detenzione, anche in stato di custodia cautelare, di cittadini stranieri in Italia (quali per esempio i nominativi dei detenuti, il luogo di detenzione, i reati oggetto del provvedimento coercitivo ecc.). Viene ribadito che le citate disposizioni legislative pongono in capo ad autorità giudiziaria e ad autorità di pubblica sicurezza l’obbligo di informare tempestivamente gli organi diplomatici più vicini del paese di provenienza del soggetto raggiunto dal provvedimento di restrizione della libertà personale (obbligo di dimora, divieto di espatri, arresti domiciliari, custodia cautelare in carcere ecc.). Tale adempimento può venire meno nei casi in cui lo straniero abbia presentato domanda di asilo o sia in possesso dello status di rifugiato, oppure qualora nei suoi confronti siano state adottate misure di protezione temporanea per motivi umanitari. Allo stesso tempo, ai sensi dell’articolo 4 del dpr n. 394/1999, l’obbligo di comunicazione non scatta quando ricorra il pericolo di persecuzione dell’interessato o dei suoi familiari per motivi di razza, sesso, lingua, religione, opinioni politiche, origine nazionale e condizioni personali o sociali. Un quadro normativo che, precisa la circolare del ministero della giustizia, rafforza le previsioni di cui all’articolo 36, comma 1, lettera b) della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 1° dicembre 1964, "relativamente alla comunicazione senza indugio all’autorità consolare dell’arresto del cittadino straniero nel caso questi ne faccia domanda".
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