Rassegna stampa 21 settembre

 

Giustizia: l’emergenza non basta, qui andiamo verso il disastro

di Gianluca Perricone

 

www.giustiziagiusta.info, 21 settembre 2009

 

È un’emergenza nazionale, quella del collasso del sistema carcerario, secondo le più diverse e autorevoli fonti d’opinione. Si concorda unanimemente sulle cause (scarso spazio riservato alla depenalizzazione, esigue possibilità di accesso alle misure alternative, insufficienza dei carceri, aumento costante dei detenuti stranieri), e sulle cure della stessa (edificazione di carceri moderni, recupero di stranieri, tossicodipendenti e, in genere, condannati per reati minori attraverso strutture favorenti rispettivamente lo studio, la cura e l’inserimento lavorativo), eppure i governi sin qui succedutisi non hanno che assecondato impulsi irrazionali e contraddittori mediante soluzioni transitorie (ad esempio l’indulto e la ex Cirielli). E l’attesa condanna da parte dell’Unione Europea è infine arrivata. Cosa fare? Davvero basterebbe mettere in atto le contromisure già adottate altrove e largamente condivise dai commentatori?

Per rispondere al quesito occorre fare alcune precisazioni. Innanzitutto occorre programmare rimedi a lungo termine, guardando al di là delle scadenze elettorali. E se una tale annosa emergenza non è servita allo scopo è evidente che si dovrà attendere fino alla vera e propria catastrofe.

In secondo luogo occorre intendersi una buona volta sul concetto di microcriminalità, categoria riservata comunemente ai condannati più agevolmente recuperabili. Infatti è sin troppo frequente l’utilizzo improprio della stessa, magari per riferirsi a rapine aggravate (l’ultimo episodio di asserita "microcriminalità" verificatosi a Napoli riguarderebbe una plateale rapina a mano armata commessa in una strada affollata, a bordo di scooter, da una banda di sei giovani non ancora identificati ma definiti dalla stampa presuntivamente "baby gang"). Occorre poi evitare di affidarsi rigidamente al titolo di reato e collegarvi un genere di pena poiché, specie nel Meridione, i microcriminali sono contigui se non associati ai "macro", per cui a pena espiata, quale che ne sia la modalità d’esecuzione, essi saranno riattratti ai margini. Dunque tutto sta a individuare realisticamente il grado di pericolosità sociale dei soggetti in questione, vale a dire il rischio di recidiva. Ma per farlo servono tempo e strutture adeguate. Lo schema della mera pena, sia pure in "strutture leggere" non è sembrato finora bastare.

Una buona alternativa invero ci sarebbe: un più ampio, quando non preponderante, ricorso alle misure di sicurezza e l’allargamento della gamma di quelle già previste dal nostro ordinamento. Esse hanno il vantaggio di una durata minima ma non massima, dipendendo quest’ultima dall’esito di una costante osservazione del soggetto; per cui si prestano a meglio difendere la sicurezza comune dal rischio di reiterazione del reato. In un contesto strutturale a basso grado di controllo e destinato alla formazione esse permetterebbero dunque un più efficace reinserimento sociale. Allora dov’è il problema? Forse è solo ideologico: le misure di sicurezza pagano il notevole spazio loro attribuito, nell’elaborazione dottrinale più ancora che nella prassi, dai regimi totalitari di diverso stampo in auge in passato. Si preferisce evidentemente osservare inerti il continuo turnover dei microcriminali nelle carceri piuttosto che rendere più costruttive le pause tra una detenzione e l’altra. Ma i tempi ormai sono maturi per preferire la razionalità al preconcetto e all’ipocrisia.

Giustizia: una dignità imprigionata, che aspetta di uscire fuori

di Don Luigi Ciotti

 

Messaggero Veneto, 21 settembre 2009

 

È significativo che un convegno su "Diritti umani, uguaglianza e giustizia sociale" scelga di andare a trattare questi temi dentro un carcere, luogo di grandi fatiche, ma anche di speranze che non si spengono. Nella riconoscenza per la generosità dei tanti che in quel difficile contesto ogni giorno si spendono, il Centro Balducci di Zugliano e l’Ordine degli assistenti sociali del Friuli Venezia Giulia ci offrono l’occasione per fermarci a riflettere sulle sofferenze delle persone carcerate, su una domanda di dignità che rischia di restare a sua volta imprigionata in un muro di disattenzione e indifferenza.

"Per valutare un sistema penitenziario ci sono due strade. Una è quella del legislatore, che guarda dall’alto attraverso lo studio e l’applicazione del corpo normativo. L’altra, invece, comporta un’esperienza dal basso, dal dentro: il carcere reale si capisce solo dalla parte sbagliata delle sbarre": così Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale.

È forse per questa illuminante verità che il carcere permane un pianeta separato e oscuro, che incute timore e repulsione. Eppure, anche lì, proprio come nelle nostre case e nelle nostre vite, abita quell’impasto di bene e di male, di fatiche e di speranze, di egoismi e di prossimità che caratterizza la società degli uomini. Il carcere è specchio della società. Estremo, ma fedele. Eppure stentiamo ad accettarlo e a riconoscerlo.

Se lo facessimo, dovremmo considerare insopportabili le condizioni in cui versa chi lo abita. Com’è infatti possibile, e accettabile, che oltre 64 mila persone (un record negativo da oltre mezzo secolo) vivano in istituti che dispongono di ventimila posti di meno? Com’è possibile, e accettabile, che agenti, educatori, direttori, medici, cappellani possano lavorare in situazioni così mortificanti? Non si riesce a capirlo e soprattutto non si riesce ad affrontarlo e a cercare di risolverlo, se non provando ad abbassare lo sguardo, a porci in ascolto, senza pregiudizi e magari con uno sforzo di umiltà.

Dall’alto e dal di fuori si può - talvolta si deve - giudicare; più difficile, se non impossibile, comprendere, nel senso di capire e portare con sé. Pochi hanno la capacità e l’esperienza per poter valutare le problematiche penitenziarie da entrambi i lati, dalla parte giusta delle sbarre e da quella sbagliata. Uno, indimenticabile, è stato Sandro Pertini, che ai magistrati freschi di nomina diceva: "Non disprezzate i galeotti, perché tra loro c’è sicuramente qualcuno migliore di voi. Lasciate che qualche volta vi diano lezioni di vita". Un’idea oggi difficile da accettare, ma sicuramente vera.

E sicuramente una lezione ci viene anche da Sami Mbarka Ben Gargi. Tunisino di nascita, era detenuto in Italia. È morto di fame il 5 settembre all’ospedale di Pavia. Il suo corpo si è asciugato, giorno dopo giorno, come una mela avvizzita. Prima in cella, poi, tardivamente, in ospedale. I muscoli sfaldati come cera, la pelle ormai incapace di mascherare le ossa puntute, Sami ha infine raggiunto la morte, dopo che aveva messo in gioco la vita per protestare contro una condanna ritenuta ingiusta e una detenzione considerata insopportabile.

Chissà come finirà contabilizzata la sua fine, se per suicidio o per malattia. Non è neppure certo che il suo nome figurerà nelle statistiche penitenziarie che registrano i decessi, essendo morto da ricoverato e non in cella. Così che anche i dati che vengono periodicamente diffusi (48 i detenuti suicidi nei primi otto mesi del 2009, quasi un terzo in più rispetto allo stesso periodo del 2008) sono insufficienti a raccontare il dramma e a valutarne l’estensione.

La storia di Sami ci insegna - ci dovrebbe insegnare - che anche l’indifferenza può essere un crimine. Ci insegna che anche distogliere lo sguardo e la coscienza - e la responsabilità pubblica - dalla sofferenza, per quanto legalmente inflitta, può considerarsi omissione grave.

Sono tanti i nomi e tante e diverse le storie di queste morti nascoste nelle pieghe delle cronache e prontamente rimosse. Mentre Sami conquista faticosamente l’effimera attenzione dei giornali con la propria morte, non essendoci riuscito con la sua protesta e con la sua vita, e mentre almeno parte un’interrogazione parlamentare che chiede informazioni e chiarezza, restano ignote o dimenticate tante altre vicende simili, di morti cercate come ultima protesta o per estrema disperazione. Quelle di Giacomo, di Luca, di Fabio, per soffermarsi solo al mese di agosto, un mese che moltiplica la sofferenza, il disagio e l’abbandono nelle celle.

E restano inespressi interrogativi di fondo: su quanto e perché la risposta penale cresca, mentre quella sociale crolla. Sul perché si insista nel considerare il carcere l’unica risposta, valida sempre e in ogni caso, capace di produrre sicurezza. Ma è davvero sicurezza mettere in carcere, come di nuovo in questi giorni, persone responsabili di aver rubato, per fame, due ortaggi in un campo? Non si finisce così per criminalizzare la povertà, lasciando magari impuniti i grandi e veri reati? Non si trascurano così, colpevolmente, pigramente, due risorse fondamentali quali l’educazione e la prevenzione?

Certo, le risposte non sono né facili né a portata di mano. Ma è solo cominciando a porsi domande, domande scomode, che possiamo avvicinarci alle risposte. Lo dobbiamo a Sami, quali che fossero le sue colpe, ma ancora di più alle nostre coscienze di cittadini.

Giustizia: voglio tornare in carcere, fuori c’è troppa violenza

di Antonella Mollica

 

Il Corriere della Sera, 21 settembre 2009

 

Il vero carcere per lui, delinquente con un curriculum che è un riassunto di tutto il codice penale, è fuori dalle sbarre. Lì, lontano da quello che per trentasette lunghissimi anni è stato il suo mondo, una cella di pochi metri quadrati, lui non ci sa più stare. "Arrestatemi, vi prego", ha detto ai poliziotti che lo guardavano allibiti. "Cercate di capirmi... questo qui non è più il mio mondo, non ce la faccio più a stare fuori", ha spiegato senza tradire il minimo imbarazzo di fronte a una richiesta così originale.

Carmine G., 60 anni, napoletano di Casalnuovo, si è presentato martedì agli agenti della polizia ferroviaria e ha spiegato che si trovavano di fronte a un sorvegliato speciale. Che a quell’ora lui doveva essere a Napoli, dove ha l’obbligo di soggiorno, e non a spasso per l’Italia. Che aveva deciso di andare via dal suo paese proprio per farsi arrestare.

Lo ha spiegato con grande gentilezza e determinazione agli agenti su un binario della stazione dove era appena arrivato in treno. Gli agenti l’hanno portato in ufficio per verificare che non fosse un mitomane, che lui fosse realmente quello che diceva di essere, un vecchio delinquente con una lunga carriera che parte dal furto semplice e arriva all’associazione di stampo camorristico. Il terminale ha dato tutte le risposte che cercavano sul passato di quell’uomo. Tutte, tranne una: perché uno che ha sognato la libertà per anni adesso vuole tornare in carcere?

Perché, ha spiegato, dopo 37 anni dentro, ha scoperto che si sente troppo solo in un mondo che va a una velocità diversa dalla sua. "Perché fuori c’è troppa violenza e io non mi trovo più in questo mondo ". Fine, ha detto, non c’è altro da aggiungere a una vita che è tutta scritta in quelle pagine di precedenti penali. Ci aveva già provato il giorno prima a tornare in carcere.

Era arrivato in treno fino a Bologna e si era presentato a un posto di polizia dicendo che non aveva rispettato l’obbligo di soggiorno. I poliziotti l’hanno arrestato ma, beffa delle beffe, dopo un processo per direttissima, l’hanno rimesso in libertà. Non soddisfatto ha preso il treno per Firenze ed è sceso alla stazione Santa Maria Novella dove ha contattato gli agenti della polizia ferroviaria che non hanno potuto fare altro che arrestarlo.

Mercoledì è stato processato in tribunale per direttissima. Si è presentato in aula ben vestito, jeans e giubbotto, e con i suoi modi da gentleman. Quando è arrivato davanti al giudice Luciana Breggia, la prima cosa che ha detto è stata: "Voglio tornare in carcere, non ce la faccio più a stare fuori". Questa volta l’hanno accontentato: condannato a otto mesi, è stato immediatamente spedito a Sollicciano. Ha ringraziato tutti, agenti, magistrati e cancellieri, e prima di voltare le spalle al mondo, ha chiesto una "raccomandazione " ai poliziotti: aiutatemi a trovare un lavoro in carcere, lì dentro posso rendermi utile. Qui fuori, si è quasi scusato, per me non c’è più posto.

Giustizia: Strasburgo condanna l'Italia su ricorso ergastolano

 

Ansa, 21 settembre 2009

 

Un detenuto del carcere via Burla si è visto riconoscere dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo un risarcimento di 10mila euro per danni morali e altrettanti per spese processuali, che dovranno essere pagati dallo Stato italiano.

Franco Scoppola, condannato all’ergastolo per aver ucciso la moglie e ferito uno dei figli il 2 settembre 1999, è disabile e costretto su una sedia rotelle. Attualmente sta scontando la pena a Parma. Scoppola è alla sua seconda vittoria davanti ai giudici: già lo scorso anno l’Italia era stata condannata per "trattamento inumano" durante la detenzione a Regina Coeli.

Questa volta i giudici di Strasburgo hanno stabilito che Scoppola non poteva essere condannato all’ergastolo, come previsto da una norma entrata in vigore il giorno stesso in cui il giudice decretò la sentenza, ma che invece avrebbe dovuto essere condannato a 30 anni in base a una legge entrata in vigore durante il periodo intercorso tra il suo arresto e l’emissione del giudizio.

La Corte, con questa sentenza, che è definitiva, ha seguito per la prima volta il principio della retroattività della legge più favorevole all’imputato, argomentando che questo principio del diritto penale conosce ormai un ampio consenso in Europa.

Scoppola il 10 giugno del 2008 aveva già ottenuto dai giudici il riconoscimento di danni morali per cinquemila euro per il "trattamento inumano e degradante" a cui era stato sottoposto durante la detenzione a Regina Cieli. Costretto su una sedia a rotelle, non poteva muoversi all’interno della struttura carceraria perché questa non era dotata delle necessarie infrastrutture.

Giustizia: Sappe; sempre più detenuti, sempre meno poliziotti

 

Il Velino, 21 settembre 2009

 

"Da gennaio 2009 il numero dei detenuti nelle carceri italiane è aumentato in media di 700 persone al mese mentre il personale di polizia penitenziaria è diminuito di circa 90 unità per ogni mese trascorso. Se continua così a fine anno avremo 70 mila detenuti gestiti da meno di 38.200 poliziotti con un sovraffollamento del 155 per cento ed un organico di polizia penitenziaria pari all’85 per cento di quello previsto.

Per trovare soluzioni concrete e soprattutto condivise in Parlamento domani martedì 22 settembre il sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe e gli altri sindacati più rappresentativi del Corpo Osapp, Sinappe, Cisl Fns, Fp Cgil ed Ussp-Ugl terranno a Roma, alle 16, presso la sala delle Colonne della Camera dei deputati, il convegno nazionale sul tema "Emergenza carceri: sicurezza, sovraffollamento, sistema sanzionatorio. Ruolo strategico della polizia penitenziaria" al quale hanno già annunciato la loro presenza moltissimi parlamentari ed esponenti delle istituzioni".

Lo segnala Donato Capece, segretario generale del Sappe, in riferimento alla rilevazione odierna delle statistiche sugli Istituti penitenziari in Italia fornita dall’associazione "Pianeta Carcere" in collaborazione con il Sappe su dati rilevati dal Dap.

"Dalla rilevazione - si legge in una nota - emergono altre anomalie ascrivibili alla pessima gestione degli affari penitenziari da parte degli ultimi governi. Il disinteresse infatti è comune a tutti gli schieramenti politici tranne qualche eccezione. La passerella mediatica offerta dai numerosi parlamentari in occasione delle visite in carcere a ferragosto non può bastare e nemmeno gli slogan pronunciati dal ministro Alfano e dal capo del Dap Ionta sull’edilizia penitenziaria sono un modo serio e responsabile di affrontare l’emergenza, che solo grazie alla professionalità della polizia penitenziaria non è ancora sfociata in tragedia. Ad oggi ci sono 170 Istituti penitenziari (82 per cento) che superano la capienza prevista regolamentare stabilita dalla legge.

Il Dap negli anni ha calcolato anche una capienza "tollerabile" prima del collasso del singolo istituto penitenziario, ma questa è stata superata da 112 Carceri (54 per cento) e dodici regioni: Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta, Veneto".

"Questo è il frutto dell’incapacità e della miopia dimostrata da chi ha legiferato senza fare i conti con la realtà - insiste Capece - e rispetto alla quale ora di cerca di correre ai rimedi con un fantascientifico piano di edilizia penitenziaria che non ha né la copertura finanziaria né la previsione di un adeguato incremento di unità di polizia penitenziaria.

Queste diffuse incapacità ad affrontare nel tempo le criticità penitenziarie emergono anche dalla distribuzione degli oltre 23 mila stranieri presenti nelle nostre carceri di cui il 52 per cento è in carico alle regioni del Nord, il 22 per cento a quelle del Centro e il 26 per cento al Sud e Isole. Se queste sono condizioni dettate da aspetti sociali ed economici che non posso certo essere imputati all’attuale governo, sono però problemi che investono totalmente migliaia di poliziotti penitenziari e le loro famiglie, che per ora sono il primo, unico e ultimo argine dello Stato prima del collasso totale del sistema penitenziario.

È infatti solo grazie all’abnegazione e ad senso dello Stato degli agenti della Polizia Penitenziaria e ai sacrifici che devono sopportare quotidianamente le loro famiglie che al Ministero della Giustizia e al Dap ci si può permettere di tirare in causa l’Europa o ci si permette di fare piani che vedranno la loro piena attuazione solo fra qualche anno, mentre la situazione precipita giorno per giorno".

Giustizia: Osapp; 1.500 detenuti ex 41 bis in Sezioni ordinarie

 

Adnkronos, 21 settembre 2009

 

"L’Amministrazione Penitenziaria è in preda al panico e per mancanza di posti letto nelle sezioni ad alta sicurezza sta declassificando, come se ne cambiasse la condizione detentiva, 1.500 reclusi, già sottoposti al regime del 41 bis, che da queste passeranno presto alle sezioni ordinarie, con tutti i rischi di una condizione legata all’attuale promiscuità". Lo afferma Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione Sindacale Polizia Penitenziaria, Osapp.

"È come se cambiando denominazione i detenuti in questione diventino meno pericolosi -lamenta il segretario generale dell’Osapp -. Il carcere sta diventando sempre più un carcere confuso, senza direzione, dove per necessità di spazio anche le più elementari regole di sicurezza e di ordine si trovano a rischio. Figuriamoci poi per coloro che scontano la pena in celle che non hanno bisogno di particolari standard, in celle comunque abbandonate e sovraffollate, che magari alla fine dell’anno avranno comunque il decoder per la TV digitale".

"Si - spiega Beneduci - perché ad ogni danno ci vuole sempre e comunque la beffa. Da un calcolo approssimativo, ma esemplificativo, si stima che nei prossimi mesi l’Amministrazione Penitenziaria dovrà operare un esborso di quasi 2 milioni di euro per le carceri italiane. Non stiamo parlando di cifre destinate all’organico di Polizia Penitenziaria, già abbondantemente martoriato dai tagli operati con le ultime finanziarie, o risorse che migliorino le strutture di istituti da considerare pronti solo per la rottamazione. Si parla di decoder, e dei soldi che dovranno essere immediatamente impiegati per far si che i detenuti possano continuare a vedere la tv, in versione digitale".

Giustizia: Uil-Pa; domani manifestazione davanti alla Camera

 

Il Velino, 21 settembre 2009

 

"Credo di poter affermare che domani a piazza di Montecitorio non saranno meno di quattrocento i poliziotti penitenziari, provenienti da ogni regione d’Italia, a manifestare contro un sistema penitenziario che non riesce più a garantire dignità e civiltà, trasformando la pena in supplizio e il lavoro in tortura". Così Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari, annuncia i termini della manifestazione prevista per domani (10.00-13.00) davanti alla Camera dei Deputati. Tre i pullman in partenza da Milano, Bologna e Napoli. Tanti altri raggiungeranno Roma con autovetture private. "Ovviamente manifestare davanti alla Camera dei Deputati assume, per noi, un significato particolarmente simbolico.

Noi vogliamo sollecitare un dibattito parlamentare sulle condizioni del nostro sistema penitenziario, sempre più illegale e criminogeno. Vogliamo spezzare quella cortina di silenzio che avvolge nell’oblio un vero dramma sociale. Vogliamo impedire che si disperda quel patrimonio di conoscenza e consapevolezza che tanti parlamentari hanno acquisito vistando le nostre prigioni nello scorso Ferragosto. "Da qualche giorno è stata superata anche quota 64mila detenuti e in tutte le regioni la soglia della capienza massima regolamentare è stata sfondata, mentre notevoli problemi si registrano per le vacanze organiche della polizia penitenziaria.

L’indice medio di sovraffollamento nazionale è di circa il 49 per cento (64.463 detenuti al 18 settembre contro i 43.218 posti disponibili). In questa particolare classifica - sottolinea Sarno - le punte massime si registrano in Emilia Romagna (4630 detenuti, 92,28 per cento di sovraffollamento), in Puglia (4.267 detenuti, 68,32 per cento) e in Triveneto (4.387, 61,35 per cento). Il fanalino di coda è l’Umbria con 1.293 detenuti e un indice di sovraffollamento pari solo al 14,73 per cento. In tutto ciò occorre segnalare che ad oggi sono 3.401 i posti non disponibili per motivi vari a cui si aggiungono altri 781 non disponibili per l’inagibilità delle celle. Vale a dire che con interventi minimi, economici e veloci sono più di 4.000 i posti che si possono recuperare.

Altro che carceri leggere, galleggianti o amenità del genere. Nello specificare che questi dati sono dati ufficiali del Dap, ci pare il caso di sottolineare come alle 5.000 unità vacanti negli organici della polizia penitenziaria, si contrapponga la condizione per la quale sono ben 3.206 i poliziotti penitenziari che l’Amministrazione penitenziaria impiega al di fuori degli istituti in non meglio precisate altre strutture. Nel frattempo in prima linea si assiste alla quotidiana contrizione dei diritti soggettivi. Saltano riposi e ferie, si raddoppiano i turni, si ricorre sistematicamente alo straordinario che non viene nemmeno pagato. Tutto ciò alimenta disagio, rabbia, frustrazione, depressione e delegittima sempre più la stessa Amministrazione. Domani distribuiremo materiale informativo perché si conoscano i veri dati".

La Uil Penitenziari ha più volte sollecitato il Ministro Alfano a convocare un tavolo permanente sui gravi problemi, senza ottenere alcuna risposta. "Quella di domani rappresenta anche per il ministro Alfano l’ultima chiamata, prima di arrivare ad un inevitabile irrigidimento delle posizioni. Ha più volte annunciato la volontà di ricorrere ad assunzioni straordinarie, ma non c’è traccia di sue proposte normative. Ci pare chiaro che all’interno del Governo si minimizza e si marginalizza la questione penitenziaria. Altrimenti non sappiamo spiegarci i motivi per cui non si attivano i militari in compiti di sorveglianza, non si procede a deliberare e finanziare le nuove assunzioni, non si discute il famigerato piano carceri, non si discuta di una revisione del momento sanzionatorio.

O le ragioni di Tremonti e La Russa prevalgono sulle ragioni di Alfano o quest’ultimo - chiude polemicamente il Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari - è disattento e distratto, oltreché silente, su una questione che lo investe direttamente e di cui deve rendere conto al paese intero. Noi qualche soluzione, benché non esaustiva, abbiamo provato a suggerirla; ad esempio il recupero delle unità imboscate. Ma se il ministro continua e perpetua la sua indifferenza non può che essere considerato complice attivo e partecipe del disastro che è sotto gli occhi di tutti".

Firenze: l'Opg da "risanare"; il Comune fa causa al Ministero

di Andrea Ciappi

 

La Nazione, 21 settembre 2009

 

L’auspicato "risanamento" dell’Opg dell’Ambrogiana, a Montelupo Fiorentino, per i profili sanitari e del sovraffollamento, finisce al momento in carta bollata.

Il Comune di Montelupo ha intanto stanziato oltre 6 mila euro destinati allo studio legale che ha l’incarico di tutelare l’amministrazione nella causa intentata dal Ministero della Giustizia avverso l’ordinanza del sindaco Mori dell’11 marzo scorso. In pratica, l’ordinanza intimava interventi nell’Opg, ed il Ministero come risposta ha fatto ricorso al Tar. Un problema che l’amministrazione comunale non intende sottovalutare e su quale vuole arrivare a trovare una soluzione.

Rossana Mori aveva preso visione del rapporto del 6 marzo a firma del direttore dell’Igiene e sanità Pubblica della Asl 11, dottor Gabriele Mazzoni: vi si rendeva conto del sopralluogo Asl del giorno prima, 5 marzo, all’Opg, teso "alla verifica delle condizioni igienico sanitarie". Ecco che cosa era emerso, nero su bianco: "Lo stato di sovraffollamento è particolarmente rischioso per la salute, unitamente alle critiche condizioni igieniche, per il diffondersi di malattie infettive e parassitarie, peraltro già verificatesi con una certa frequenza. Infatti, nella struttura risulta una presenza di internati pari a 196 a fronte di una capienza di 169, più uno non computato destinato all’isolamento. Nello specifico si sottolinea che nella Sezione III, formata dai reparti Arno, Pesa e Torre, il sovraffollamento è dovuto alla presenza di ospiti in eccesso

rispetto ai posti disponibili ed alla necessità sanitaria di utilizzare per casi gravi celle a più posti come celle singole. Nella Sezione II, Ambrogiana, il sovraffollamento è invece dovuto al solo numero di detenuti in eccesso. Inoltre sei celle presenti nella III Sezione, reparto Torre, sono assolutamente non idonee".

C’è poi il capitolo carenze igienico-sanitarie: "Nella sezione Ambrogiana si rileva un’evidente carenza igienico-sanitaria per presenza del cattivo stato di manutenzione degli ambienti e una notevole sporcizia. Esiste un’inaccettabile promiscuità tra i detenuti soprattutto nell’uso dei servizi igienici, in quanto in tali celle, gli stessi non sono separati da tramezzi ma solo con un muretto. Sono presenti un ambulatorio medico, la radiologia e il riunito odontoiatrico che risentono del cattivo stato di manutenzione dell’ambiente. Lo spazio dedicato alla farmacia risulta fatiscente".

E dunque, l’ordinanza di Mori (detto che i numeri degli internati questa estate possono anche essere un poco cambiati, ma la sostanza del sovraffollamento rimane) voleva la "chiusura immediata delle 6 celle del dismesso reparto Arno della III Sezione che sono assolutamente non idonee ma ancora utilizzate dagli internati", la riduzione del sovraffollamento, la "dismissione immediata dell’uso del locale adibito a farmacia individuandone un altro più idoneo ed in condizioni igieniche adeguate", infine pulizia straordinaria e tinteggiatura di alcuni locali, con ripristino intonaci e pavimentazioni. Si voleva anche l’indicazione dei modi coi quali "avviene l’allontanamento e lo smaltimento dei reflui fognari". Ora il provvedimento è materia per giudici.

Udine: troppi tagli economici e ora il carcere rischia il tracollo

 

Messaggero Veneto, 21 settembre 2009

 

Il segretario regionale dell’Udc Angelo Compagnon chiede al Governo di "affrontare l’emergenza carceri, che riguarda anche la sicurezza dei cittadini, con responsabilità, efficienza e tempestività". Lo afferma in una nota emessa dopo aver visitato la casa circondariale di Udine e aver presentato sul tema un’interrogazione al ministro della giustizia. "Sovraffollamento, carenza di personale e tagli alle risorse decisi dal Governo - prosegue Compagnon - stanno compromettendo sempre più inesorabilmente un sistema carcerario di per sé già precario. La situazione rischia di degenerare comportando conseguenze gravi e irreparabili". Ricordando che nella struttura udinese, adatta a ospitare 164 detenuti, ve ne sono 211 (di cui 81 italiani) Compagnon spiega poi che "l’aumento della popolazione carceraria è inversamente proporzionale alla presenza del personale di polizia penitenziaria, rappresentata da venti unità in meno rispetto a quelle previste (-15%)".

Reggio Emilia: il carcere fa acqua, nel senso che piove dentro

 

La Gazzetta di Reggio, 21 settembre 2009

 

La fatiscenza e il sovraffollamento delle celle carcerarie sono problemi non nuovi, ingigantiti negli ultimi tempi dall’aumento del numero dei detenuti. Perfino un edificio quasi nuovo come la Casa Circondariale di Reggio sta entrando nella lista nera.

La denuncia viene da Michele Malorni, segretario provinciale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che lancia l’allarme: "Il carcere fa acqua da tutte le parti, nel vero senso della parola. Nelle celle e nei corridoi interni le infiltrazioni di acqua piovana rendono pericolosi e poco salubri i locali, mettendo a rischio la salute degli operatori e della popolazione detenuta. Sollecitiamo le autorità competenti a dichiarare l’inagibilità di una parte dell’istituto penitenziario".

Si aggrava, così una situazione di grande disagio che aveva indotto il personale a protestare disertando la festa del corpo. "La polizia penitenziaria - spiega Malorni - è chiamata ad operare sotto organico, mettendo a proprio rischio l’incolumità personale, ed è comandata in turni di servizio estenuanti, che generano stress psicofisico".

Il fatto che sia imminente la conclusione di un corso di formazione per neoagenti presso la scuola di Catania non pare destinato a cambiare le cose, poiché a Reggio non viene garantito l’incremento dell’organico. Il sindacato, peraltro, non demorde e lancia un appello al Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria affinché al carcere della Pulce sia assegnato un congruo numero di agenti. Alla radice di tanto malessere ci sono i tagli finanziari, che hanno conseguenze pesanti anche sull’attività ordinaria.

"Mancano - incalza Malorni - i soldi per il carburante. Non ci vengono forniti automezzi sufficienti per garantire i servizi di traduzione dei detenuti. Tanto meno li si può fare viaggiare in aereo, perché manca il denaro per acquistare i biglietti. Le condizioni generali, poi, sono destinate ad aggravarsi con l’inizio di varie attività interne al carcere, dalla scuola ai corsi di varia natura allo sport".

Rieti: il nuovo carcere verso l’apertura, in arrivo 150 agenti

 

Il Messaggero, 21 settembre 2009

 

È in dirittura di arrivo l’apertura del nuovo carcere di Vazia. Stanno infatti per essere assegnati dal ministero 150 agenti di polizia penitenziaria che saranno necessari per l’entrata in funzione a pieno regime dell’edificio. Secondo il Dipartimento gli agenti dovrebbero essere 158, in aggiunta all’organico attuale che presta servizio a Santa Scolastica.

L’aumento di personale di sorveglianza coinciderà con la quarta fase del programma di apertura che prevede l’entrata in funzione della sezione F, con una capienza di 56 persone, dove saranno trasferiti tutti gli ospiti che si trovano in via Terenzio Varrone , in vista dell’apertura del reparto G che avrà una capienza di 207 detenuti.

Restano comunque dei problemi da risolvere, come sottolinea il sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Osapp) legati alla mensa, agli alloggiamenti del personale e al potenziamento dei mezzi per il trasporto dei detenuti. La prossima apertura definitiva del nuovo carcere sta anche dando vita ad una serie di iniziative collaterali, di carattere giuridico, da parte dei vari organismi dell’avvocatura.

È in corso di preparazione, ad esempio, un convegno su temi di stretta osservanza penitenziaria, al quale saranno chiamati a partecipare autorevoli esponenti del mondo della giustizia e rappresentanti di quelle organizzazioni che si occupano dei diritti dei detenuti. Particolarmente impegnata, in questo senso, si conferma l’associazione del Cenacolo Forense Sabino di Poggio Mirteto, che a novembre ospiterà in un convegno il presidente del tribunale di sorveglianza di Perugia, Paolo Canevelli, figura molto conosciuta in Sabina dove è stato per anni pretore, anche a Rieti. In quell’occasione si parlerà di esecuzione della pena, un tema particolarmente sentito dai detenuti in carcere.

Tra l’altro, Canevelli è il magistrato che si è occupato della vicenda di Gianni Guido, uno dei mostri del Circeo, la cui liberazione ha scatenato una serie di polemiche sui benefici concessi a soggetti responsabili di crimini efferati quale fu quello del massacro di Rosaria Lopez e Donatella Colasanti.

Busto Arsizio: 5 maestri pasticceri, per un "Dolce in carcere"

 

Redattore Sociale - Dire, 21 settembre 2009

 

Corsi tenuti da cinque maestri pasticceri per dare una qualificazione professionale ai detenuti: per il secondo anno consecutivo parte il progetto "Dolce in carcere".

La dolcezza apre tutte le porte. Anche quelle del carcere di Busto Arsizio (casa circondariale per detenuti in attesa di giudizio, ndr), dove per il secondo anno consecutivo sta per partire il progetto "Dolce in carcere": corsi di pasticceria tenuti da cinque maestri pasticceri per dare una qualificazione professionale ai detenuti. "L’anno scorso, i primi due corsi hanno coinvolto una ventina di persone, tra italiani e stranieri -dice Pierluigi Brun, ideatore del progetto insieme all’associazione Assistenza carcerati e famiglie di Gallarate (Va) -: cinque maestri pasticceri si alternano una volta a settimana per insegnare a preparare biscotti, frolle, cannoncini, torte e crostate".

"I corsi si sono svolti in un locale attinente alla cucina del carcere ma stiamo completando il laboratorio di pasticceria autonomo per iniziare la produzione interna e dare la possibilità ai detenuti di reinserirsi in modo pieno nella società - prosegue Brun -. Il progetto è stato finanziato dall’associazione carcerati di Gallarate, con contributi della Provincia, della Fondazione San Giuseppe degli artigiani della provincia di Varese, sponsor privati e di aziende del territorio. Con l’investimento iniziale abbiamo preso l’attrezzatura tecnica, le materie prime e i camici, ma il nostro obiettivo è intraprendere un percorso di stabilità. Per questo lanciamo un appello alle aziende: sotto Natale, perché non acquistate i nostri dolci? ".

E si può dare una mano all’iniziativa anche acquistando uno dei dolci a tema realizzati dai cinque pasticceri-docenti: Le sbarrette di cioccolato (pasticceria Buosi, Varese), Dolce Evasione (pasticceria Massara, Morazzone), I Mattocch (pasticceria Bacilieri, Marchirolo), Brutti e Cattivi (pasticceria Riccardi, Gavirate), Le praline galeotte (pasticceria Longhin, Olgiate Olona). Altra occasione di raccolta fondi è in programma domenica prossima, 27 settembre, a partire dalle 19 presso la Villa Buttafava di Cassano Magnago, con l’evento dal titolo "Pasticceri dietro le sbarre... di cioccolato". Oltre a gustare prelibatezze al cioccolato, si potrà ascoltare la musica del gruppo Ars Antiqua e divertirsi con le battute dei comici di Colorado Cafè. Info: Associazione Carcerati e Famiglie di Gallarate, tel. 0331.783615, oppure Pierluigi.brun@libero.it.

Palermo: Camera Penale; il 41 bis è un sistema "da rivedere"

 

Ansa, 21 settembre 2009

 

Le modifiche delle recenti norme che hanno aggravato il regime carcerario del 41 bis, poiché "il rispetto della sicurezza in carcere va regolato e tutelato attraverso misure e strumenti rispettosi dei principi costituzionali" vanno riviste. È quanto chiede il consiglio direttivo della camera penale G. Bellavista di Palermo che ha approvato una mozione in occasione dell’elezione che si terrà lunedì prossimo dei delegati al congresso straordinario dell’unione delle camere penali italiane a Torino.

"La gestione dei detenuti non risponde ai criteri di umanità e logistica che dovrebbero essere attuati in uno stato di diritto - affermano i legali - con particolare riguardo a quelli sottoposti al regime del 41 bis ed alle limitazioni all’esercizio del diritto di difesa degli avvocati".

La camera penale denuncia: "Ciascuno per la sua parte, il governo nazionale e tutta la deputazione nazionale a produrre una immediata azione di riordino del sistema sicurezza secondo i dettami dello stato di diritto". I legali di Palermo proporranno all’unione camere penali italiane "di proclamare lo stato di agitazione nazionale dei penalisti e l’eventuale astensione a tempo indeterminato".

Treviso: il Comune richiede al Ministero la chiusura dell’Ipm

 

Ansa, 21 settembre 2009

 

Il Consiglio comunale chiederà al Ministero il trasferimento del carcere che accoglie i minori in una sede più idonea. L’intero consiglio comunale chiederà al Governo di spostare il carcere minorile in una struttura più idonea ad ospitare i giovani detenuti. La proposta è stata presentata dal consigliere di "Città Mia" Alfio Bolzonello, ed è subito stata accolta dalla maggioranza.

Ha avuto il parere unanime della commissione sociale presieduta da Domenico Piccoli e l’appoggio incondizionato dell’assessore al Sociale, Mauro Michielon. È già stata redatto l’atto di indirizzo che verrà sottoposto all’intero consiglio comunale per diventare poi in una lettera da recapitare al Ministero di Grazia a Giustizia.

Il minorile di Treviso è in grado di ospitare 14 minori, mentre oggi ne accoglie oggi 23, di cui 20 stranieri. Fra l’altro questo settore confina con il penitenziario per adulti di Santa Bona. Quel che verrà chiesto al ministero è di realizzare una nuova struttura, o identificare un’altra sede in territorio interregionale.

Bari: Sappe; sì chiusura "sezione vergogna", altri istituti in tilt

 

Ansa, 21 settembre 2009

 

La chiusura della seconda sezione, chiamata la "sezione della vergogna", del carcere di Bari "manderà in tilt tutti gli altri istituti penitenziari della Puglia". Lo afferma in una nota il segretario nazionale del Sappe, Federico Pilagatti. "La notizia della chiusura della II Sezione del carcere di Bari, da parte dell’Amministrazione Penitenziaria centrale - si legge nella nota - è sicuramente una notizia positiva poiché le condizioni di degrado nonché di allarme igienico-sanitario, avevano superato abbondantemente ogni limite, trasformando la predetta sezione in un inferno".

"Sconcerta e preoccupa però - si sottolinea - la decisione di allocare gli oltre 200 detenuti (che verranno trasferiti), nelle altre carceri pugliesi che già allo stato, sono oltre qualsiasi limite di capienza sia regolamentare che tollerabile (quasi 4.250 a fronte di 2.200 posti disponibili)". "Ormai la Puglia - si conclude - è una delle regioni più a rischio a seguito del sovraffollamento dei detenuti e non può essere accettato un ulteriore incremento delle nostre carceri poiché innesterebbe una serie di ripercussioni e tensioni molto pericolose, sia per i operatori penitenziari che per i detenuti stessi, anche a causa della grave carenza degli organici della polizia penitenziaria".

Torino: alle Vallette pannelli solari per produrre acqua calda

 

La Stampa, 21 settembre 2009

 

Lavori in corso nella casa circondariale "Lorusso e Cotugno", più nota ai torinesi come carcere delle Vallette, nell’ambito di un cantiere molto speciale.

Succede che la struttura penitenziaria, tra le prime in Italia, si sta progressivamente convertendo al fotovolatico: energia solare per produrre acqua calda ad uso sanitario con cui soddisfare i bisogni di parte dei 1.600 detenuti presenti. Nei giorni scorsi Pietro Buffa, il direttore del carcere, ha firmato l’atto di consegna per il secondo lotto di pannelli solari: 100 collettori, montati su una superficie lorda di captazione pari a 266 metri quadrati (su un tetto di 800) che permetteranno di ricavare circa 120 mila Mcal/anno. Contrariamente a quelli previsti sulla superficie del grande depuratore Smat con sede a Castiglione Torinese, interessato da un progetto di ben altre dimensioni, trattasi di pannelli fissi (non in grado di ruotare sul loro asse, grazie ad un sistema computerizzato, per ottimizzare l’assorbimento della luce solare in tutto l’arco della giornata).

Il senso è quello di un primo passo - la superficie complessivamente utilizzabile sui tetti della struttura è calcolata per difetto in 3 mila metri quadrati -, destinato ad essere seguito da altri, compatibilmente con le risorse disponibili. Come spiega Buffa - legittimamente orgoglioso di guidare una struttura che, a dispetto dei molti problemi, cerca di emanciparsi dai principali consumi - l’avventura è resa possibile grazie a 180 mila euro stanziati da ben due Ministeri competenti: Grazia e Giustizia, Ambiente. Due finanziatori che riassumono gli obiettivi dell’operazione: contenere i costi e offrire un contributo ambientale.

Tanto per rendere l’idea, la casa circondariale consuma ogni anno, solo di acqua, qualcosa come 640 mila metri cubi: comunque meno del 2007, quando il contatore conteggiò un milione di euro. Si tratta di spese che - stante la penuria di fondi -, vengono pagate a Smat, la Società Metropolitana Acque Potabili, una tantum. Quando cioè il Ministero di Grazia e Giustizia allarga i cordoni della borsa. Non più tardi della settimana scorsa il nostro giornale ha documentato come il debito nei confronti del fornitore abbia superato il milione. Se il buongiorno si vede dal mattino, è presumibile che i conti non tornino anche per quanto riguarda la bolletta elettrica: in questo caso il condizionale è d’obbligo, visto che Iride non fornisce i dati dei clienti.

Sotto il profilo strettamente ambientale, invece, i 100 pannelli solari consentiranno di evitare 45 mila chilogrammi l’anno di CO2, cioè di anidride carbonica. Niente di risolutivo, ci mancherebbe. Quanto basta per rendere meritevole l’obiettivo di un cantiere che vede impiegati, altra notizia, 9 detenuti: 5 di questi sono stati appositamente preparati grazie a corsi di formazione tenuti direttamente nella struttura. La rivincita dell’ambiente può partire anche dai tetti di un carcere.

Napoli: i detenuti dell’Icatt andranno in scena al Mercadante

 

Il Mattino, 21 settembre 2009

 

"Uommene e tambure" sbarca al teatro Mercadante con lo spettacolo "Ò cunto dò quatto e coppe". I detenuti dell’Icatt di Eboli parteciperanno alla V edizione della rassegna di teatro "Il carcere possibile". La notizia è stata diffusa oggi nell’ambito della conferenza stampa di presentazione dell’evento che si svolgerà dal 22 al 28 settembre a Napoli, promosso dall’omonima associazione o.n.l.u.s., presieduta da Riccardo Polidoro, in collaborazione con il Teatro Stabile di Napoli e il Provveditorato della Campania Amministrazione Penitenziaria.

Una manifestazione unica in Italia che nel corso di questi anni si è imposta tra gli appuntamenti di rilievo sul fronte dell’impegno civile e sociale. Un risultato frutto di un progetto partecipato e condiviso da istituzioni, operatori, dirigenti, artisti, a vario titolo impegnati sui temi e i programmi volti alla tutela dei diritti civili e alla rieducazione dei cittadini detenuti.

Da martedì 22 a venerdì 25 al Teatro Mercadante, sede dello Stabile napoletano che per il terzo anno collabora e ospita la rassegna, quattro intensi giorni con gruppi di detenuti/attori e compagnie provenienti da sei strutture detentive della Campania, alle quali vanno aggiunte quelle della Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli e del Carcere di Secondigliano, in programma lunedì 28.

Immigrazione: l’Onu e l’Ue; stop a respingimenti verso la Libia

 

Il Messaggero, 21 settembre 2009

 

L’Alto commissario Onu per i rifugiati, Antonio Guterres, durante una conferenza stampa a Bruxelles con il commissario Ue all’immigrazione, Jacques Barrot, ha ribadito oggi le "forte riserve" sui respingimenti dei migranti verso la Libia effettuati dalle autorità italiane. "La nostra posizione è molto chiara. Non pensiamo - ha spiegato Guterres - che in Libia esistano le condizioni necessarie per garantire la protezione dei richiedenti asilo". L’Alto commissario dell’Unhcr ha parlato, tra l’altro, di "condizioni di detenzione terribili" e di "un grave rischio che i richiedenti asilo vengano rinviati nei Paesi d’origine".

"Dobbiamo dimostrare ai libici che la situazione attuale è inaccettabile e non può perdurare", ha detto dal canto suo Barrot, che ha oggi presentato al consiglio Ue dei ministri degli interni il suo programma di ripartizione degli immigrati che hanno diritto d’asilo. Barrot ha quindi auspicato "l’aiuto dell’Alto commissariato" per far sì che la situazione dei richiedenti asilo in Libia cambi al più presto.

L’Italia usa la forza contro i migranti. "L’Italia intercetta migranti e richiedenti asilo africani sui barconi e, senza valutare se possano considerarsi rifugiati o siano bisognosi di protezione, li respinge con la forza in Libia, dove in molti sono detenuti in condizioni inumane e degradanti e vengono sottoposti ad abusi", dice dal canto suo Human Rights Watch (Hrw) nel rapporto "Scacciati e schiacciati" uscito oggi. "La realtà è che l’Italia sta rimandando questi individui incontro ad abusi - ha detto Bill Frelick, direttore delle politiche per rifugiati di Hrw e autore del rapporto - I migranti che sono stati detenuti in Libia riferiscono categoricamente di trattamenti brutali, condizioni di sovraffollamento ed igiene precaria. Gli italiani usano la forza nel trasferire i migranti dai barconi su imbarcazioni libiche o li riportano direttamente in Libia, dove le autorità li imprigionano immediatamente. Alcune delle operazioni sono coordinate da Frontex, l’agenzia dell’Ue per il controllo delle frontiere esterne. La politica dell’Italia costituisce un’aperta violazione dell’obbligo di non commettere refoulement, il rinvio di individui con la forza verso luoghi dove la loro vita o libertà è minacciata o dove rischierebbero la tortura o un trattamento inumano o degradante".

"L’Italia viola i propri doveri legali - ha detto Frelick -. L’Ue dovrebbe esigere che l’Italia rispetti i propri doveri ponendo termine a tali rinvii verso la Libia. Altri Stati membri dell’Ue dovrebbero rifiutare di prendere parte ad operazioni di Frontex che sfociano in rinvii di migranti ed abusi".

"Scacciati e schiacciati" si basa su 91 interviste con migranti, richiedenti asilo e rifugiati in Italia e a Malta, condotte nel maggio 2009 e su un’intervista telefonica con un migrante detenuto in Libia. Human Rights Watch ha visitato la Libia in aprile ed ha incontrato funzionari governativi, ma le autorità libiche non hanno permesso all’organizzazione di intervistare i migranti in condizioni di riservatezza né di visitare alcun centro di detenzione per migranti.

Tra le interviste citate anche quella di Daniel, un eritreo di 26 anni ascoltato a maggio in Sicilia, che ha denunciato di essere stato picchiato dai libici che avevano riportato in Libia il suo gruppo intercettato e respinto dalle autorità maltesi. "La clausola sui diritti umani nel prossimo accordo quadro tra Ue e Libia, così come qualunque altro accordo da esso derivante, dovrebbe includere un riferimento esplicito ai diritti dei richiedenti asilo e dei migranti come prerequisito per qualsiasi cooperazione nei piani di controllo sulla migrazione", ha detto Frelick.

Human Rights Watch non ha prove tali per fare una stima di quanti migranti che si trovano in Libia, o che cercano di entrare nell’Unione Europea attraverso l’Italia o Malta, possano riconoscersi come rifugiati. Ma, secondo dati forniti dall’organizzazione per i diritti umani, il tasso di accoglimento delle domande di asilo nel 2008 è stato, per tutte le nazionalità, del 49% in Italia e del 52,5% a Malta. Trapani, che ha competenza anche per Lampedusa (il punto d’entrata per la maggior parte degli arrivi di barconi dalla Libia), ha accolto, dal gennaio all’agosto del 2008, il 78% delle domande d’asilo.

Immigrazione: il Giudice Ordinario decide sul diritto di asilo

di Remo Bresciani

 

Il Sole 24 Ore, 21 settembre 2009

 

La domanda di accertamento dello status di rifugiato, del diritto di asilo o del permesso di soggiorno per motivi umanitari deve essere decisa dal giudice ordinario e non da quello amministrativo. A chiarirlo sono le Sezioni unite della Cassazione con ordinanza 19393/09. In mancanza di una normativa espressa che disponga diversamente, la giurisdizione dei diritti umani fondamentali, non può che spettare alla magistratura ordinaria. Infatti, in una materia così delicata, che è fonte di veri e propri diritti soggettivi, la valutazione circa l’esistenza o meno delle condizioni che legittimano l’intervento di protezione non può essere rimessa la potere discrezionale della Pa.

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

Precedente Home Su Successiva