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Giustizia: Pannella, l’amnistia, il silenzio dei media "di regime"
L’Opinione, 14 settembre 2009
Questo regime italiano è sicurissimamente più illegale, disumano, ladro di verità e di diritto dello stesso regime fascista. È scatenato a tal punto che è ormai necessario liberarsi di questo sessantennio. Era questo in fondo il senso della stella gialla che portavamo al petto qualche mese fa". Così Marco Pannella, in un’intervista a Radio Radicale. "il mio j’accuse oggi non va tanto al regime e alle sue due gambe, ma ai direttori del Corriere della Sera, de La Stampa. La Repubblica poi neppure a parlarne", ha detto il leader radicale, alla luce della notizia che quasi tutti i giornali italiani ieri non davano spazio alla sua proposta di amnistia. "Ho saputo che in una recente apparizione televisiva a Rai 3 Antonio Di Pietro, opposizione prediletta dal regime, ha evocato la mia proposta per sorriderne con il suo interlocutore. Ma nessuno ha pensato di illustrarla. La cosa è chiara: non si può dirla ad un popolo che la capirebbe, e bisogna evitarne anche il minimo accenno", ha aggiunto Pannella. "La cupidigia di servilismo e di carriera fanno sì che anche le più gloriose testate sono ridotte peggio che nel fascismo. Questo è il problema: parlare della situazione della giustizia, con la ignominiosa appendice della situazione carceraria, vuol dire parlare dello Stato. È di questo che hanno paura. Hanno così paura, perché sanno che la gente ci ascolta, E dunque l’unica soluzione è quella che ci é tradizionalmente riservata, l’ostracismo, lo stesso in fondo riservato ai credenti ritenuti non allineati sulle posizioni Vaticane", ha concluso il leader radicale. Giustizia: Alfano; con noi carcere per i boss diventato durissimo
Ansa, 14 settembre 2009
"Abbiamo trasformato il carcere duro in carcere durissimo. I boss che non collaborano devono sapere che ci resteranno, non ci sono chance". Non ha usato mezzi termini il ministro della Giustizia Angelino Alfano per chiarire la linea del governo nella lotta alla criminalità organizzata. Parlando a Roma ai giovani del Pdl, Alfano ha insistito sul senso complessivo del pacchetto di misure antimafia messe in campo dall’esecutivo sottolineando "l’orgoglio da siciliano di aver messo la firma a queste norme". Alfano si è riferito in particolare al sequestro dei beni, anche leciti, ai boss che hanno fatto sparire i beni illeciti; al fatto che "la morte di un boss non è la lavatrice dei suoi reati" cosi che il sequestro e la confisca dei suoi beni illeciti è in capo anche ai suoi eredi; alla eliminazione del gratuito patrocinio nei confronti dei boss che si dichiarano nullatenenti. Parlando del "papello" relativo ad una trattativa tra la mafia e lo Stato Alfano ha detto: "i boss volevano l’alleggerimento del 41bis, la mano leggera sul sequestro dei beni e la revisione dei processi già passati in giudicato: noi abbiamo fatto l’esatto contrario". Giustizia: Maroni; c’è un complotto della mafia, contro la Lega
Ansa, 14 settembre 2009
"Io sono convinto che gli attacchi contro Berlusconi siano contro di noi: vogliono rompere la nostra alleanza". Lo ha detto il Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, intervenendo alla Festa dei Popoli Padani. "Siamo noi - ha detto Maroni - l’oscuro oggetto di queste manovre". "Diciamo a Berlusconi di non spaventarsi e di non cedere ai ricatti e tenersi stretta quella parte di maggioranza che garantisce le riforme". "Padania libera!". Così il ministro dell’Interno ha urlato in apertura del suo intervento dal palco della festa dei popoli padani. Subito dopo si è messo a gridare "Bossi, Bossi" guidando il coro delle migliaia di simpatizzanti del Carroccio che partecipano alla manifestazione. "Abbiamo dato colpi durissimi alla mafia. Sarà un caso che ci sono dei segnali che i pezzi grossi dalle carceri stanno pesando di fare qualche cosa" dice il ministro dell’Interno. Secondo Maroni i numerosi colpi inferti alla criminalità organizzata stanno facendo muovere i boss che starebbero tramando di colpire. "Ma noi - dice Maroni - non abbiamo paura. Noi diamo fastidio: la Lega da fastidio". Maroni ha quindi ricordato i successi del governo sul fronte della sicurezza, contro l’immigrazione clandestina e contro la mafia. Riguardo ai clandestini, Maroni ha ricordato: "Dopo l’accordo con la Libia - ha detto - gli sbarchi sono cessati. Quest’anno gli sbarchi dei clandestini sono diminuiti del 95% rispetto all’anno scorso. La sinistra ha un progetto ben preciso: aprire le porte, spalancare i cancelli e fare entrare tutti i clandestini. Noi invece rispettiamo tutte le regole ma vogliamo una diminuzione degli sbarchi pari al 100%". Maroni ha quindi parlato di criminalità comune e delle ronde per la sicurezza: "Le ronde della sicurezza - ha affermato - io le chiamo così con orgoglio, sono una cosa giusta che fanno anche sindaci della sinistra ipocrita". Giustizia: Radicali; il Dap scarica le responsabilità sui direttori
Agenzia Radicale, 14 settembre 2009
Dichiarazione di Rita Bernardini, deputata Radicale-Pd, membro della Commissione Giustizia. Con una Circolare inviata a tutti i Provveditori Regionali, il Dap tenta di correre ai ripari dal rischio di una valanga di ricorsi che si preannunciano a seguito della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha condannato l’Italia al pagamento di mille euro quale risarcimento nei confronti del cittadino bosniaco Sulejmanovic, che aveva subito a Rebibbia un periodo di detenzione in violazione dell’articolo 3 della "Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali". La violazione, in particolare, riguardava il divieto di tortura e di pene o trattamenti inumani e degradanti. La circolare odierna del Dap, nella sostanza, invita i Provveditori regionali - e tramite loro i Direttori dei 206 istituti penitenziari - "in occasione della ubicazione delle persone detenute, al rispetto degli standard minimi individuati dalla Corte (spazio detentivo non inferiore a 3 mq a persona) e ad adottare misure correttive per le ipotesi in cui siano riscontrate situazioni non conformi ai parametri da questa stabiliti". Ma l’illegalità delle carceri nostrane non si supera con circolari burocratiche che nessun direttore è in grado di rispettare: seppure riuscissero a trovare (come?) i 3 mq per ogni detenuto, come la mettiamo con il fatto che i detenuti, in quello spazio da polli da batteria ci devono stare 18, 20, 22 ore al giorno? E con il fatto che per la carenza di personale, la permanenza in galera si riduce alla sola custodia, tanto che il lavoro, le attività di socializzazione, persino le ore d’aria, sono riservate ad una estrema minoranza dei detenuti? Per non parlare delle disastrose condizioni igienico-sanitarie. La citata circolare viene letteralmente scaricata sui Direttori che per di più non possono rifiutarsi di trattenere nelle prigioni tutti i detenuti che arrivano, direttori che sono privati persino dei mezzi di sussistenza per la gestione ordinaria dell’istituto. Il Dap si lava la coscienza con una circolare, lasciando nella più completa illegalità, solitudine e disperazione l’intera comunità penitenziaria. (Vedi la Circolare - in pdf) Giustizia: i direttori; le misure alternative più sicure del carcere
Asca, 14 settembre 2009
"La recidiva della nostra popolazione carceraria è stimata essere intorno al 70% mentre quella della popolazione in misura alternativa è circa la metà, e in alcune aree particolari, è al di sotto del 20%". È con questi numeri che il sindacato dei dirigenti penitenziari, Sidipe sostiene l’opportunità di misure alternative al carcere. "Se prendiamo a riferimento il decennio pre-indulto dell’agosto 2006, vediamo che dal 1997 la popolazione detenuta in carcere è passata da circa 50 mila persone fino ai 63 mila detenuti al momento dell’indulto - afferma Antonietta Pedrinazzi, direttore dell’ Ufficio dell’Esecuzione Penale Esterna di Milano e Lodi -. Nello stesso periodo la popolazione dei condannati in misura alternativa è cresciuta da 35 mila fino a 50 mila persone, quindi una realtà assolutamente non trascurabile per un periodo di oltre dieci anni. Dopo l’indulto questo valore è sceso a circa 11 mila unità, ed è tuttora mantenuto, a seguito delle scelte politiche fatte in questi anni, intorno a tale valore mentre la popolazione carceraria, negli ultimi tre anni, è andata progressivamente aumentando e ora ha raggiunto numeri di nuovo decisamente alti, tali da destare seria preoccupazione". Secondo Pedrinazzi, "è la stessa condizione della esecuzione penale fuori dal carcere a porre "di per se"‘ le basi per un recupero sociale molto più efficace per questa tipologia di condannati . Deduzione che rende non sempre comprensibili alcune scelte esclusivamente a favore della esecuzione penale eseguita in forma detentiva, fatte dalla politica in nome della sicurezza". Sono 64.052 i detenuti nelle carceri italiane. Contro una capienza regolamentare delle carceri di 43.262 posti, e una tollerabilità di 63.568 posti: sono gli ultimi dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) al 4 settembre. Numeri che segnalano la situazione più grave dal 1946 ad oggi, con quasi la metà dei detenuti (30.491) ancora in attesa di giudizio, cioè presunti innocenti. Gli italiani sono 40.322, ben 23.730 invece sono stranieri. Numeri che riferiscono di persone che hanno conti aperti con la giustizia o che scontano pene per sentenze già passate in giudicato. Giustizia: i direttori; ben vengano anche le carceri galleggianti
Asca, 14 settembre 2009
Anche carceri galleggianti per far fronte al grande afflusso di detenuti. L’iniziativa è allo studio di Ficantiere, i cui rappresentanti ne hanno parlato oggi alla sigla dell’affiliazione tra la Federazione nazionale della sicurezza (Cisl) ed il sindacato dei direttori e dirigenti penitenziari, Sidipe. "Questa può essere una delle soluzioni in tempi brevi - ha precisato il segretario nazionale del Sidipe, Enrico Sbriglia -, ma noi puntiamo soprattutto sulle misure alternative". Gli ingegneri della Fincantieri di Monfalcone che stanno perfezionando lo studio hanno riferito che in due anni sarebbero in grado di costruire una nave-penitenziario galleggiante. Pompeo Mannone, segretario generale della Fns, ha affermato dal canto suo che "noi non siamo contrari alla realizzazione di nuove carceri", ma il piano Alfano - ha aggiunto - "manca di indicare le necessarie risorse finanziarie ed organiche", quindi "troppo indeterminato". Non solo, secondo Mannone, rispetto alle esigenze di oggi, "i tempi delle nuove carceri sono di 5, addirittura 10 anni". Intanto la situazione "è esplosiva: ci sono suicidi di detenuti ma anche di agenti per i turni massacranti". Secondo il segretario della Cisl Fns "mancano 5 mila guardie sulla base dei dati del 2001, oggi molte, molte di più". Il dirigente sindacale ha anche espresso la preoccupazione che la vigilanza delle carceri possa essere affidata a "figure di tipo privato". Giustizia: i direttori; in carceri del sud c'è un "allarme mafia"
Asca, 14 settembre 2009
Allarme-mafia nelle carceri del Sud. Lo lancia il Sindacato Direttori e Dirigenti penitenziari, Sidipe, riunitosi a Trieste per affiliarsi alla Cisl Fns. "La situazione di sovraffollamento carcerario, che crea tensioni forti dappertutto, rischia - ha dichiarato Rosario Tortorella, dirigente penitenziario - di diventare al sud uno strumento di destabilizzazione anche da parte della criminalità organizzata che, silentemente e nascostamente, è in grado di approfittare delle tensioni, di stimolarle per collassare il sistema penitenziario che è più fragile perché è sempre più senza mezzi, senza poliziotti, senza educatori, senza risorse finanziarie". Esemplificando, Tortorella ricorda che i detenuti effettuano regolari colloqui con le persone autorizzate, i colloqui sono controllati visivamente e non possono essere ascoltati, le stesse telefonate consentite non sono ascoltate se ciò non sia disposto dall’autorità giudiziaria e parimenti non sono di norma registrate se non per alcuni più gravi reati. "I detenuti, anche i boss mafiosi, quando non sono sottoposti al regime speciale di cui all’art. 41 bis O.P. non sono sottoposti al visto di controllo sulla corrispondenza se non in relazione a specifiche esigenze su provvedimento dell’autorità giudiziaria competente, necessario peraltro anche per il detenuto 41 bis - sottolinea il dirigente del Sidipe -. . Pensiamo allora a quanti detenuti mafiosi sono in carcere ed a come un flusso costante di comunicazioni con l’esterno del carcere non viene monitorato". L’obiezione potrebbe essere che il visto di controllo sulla corrispondenza non soddisfa le esigenze di sicurezza e quelle investigative perché il relativo provvedimento deve essere notificato al detenuto. "Per contro si consideri che comunque il controllo su tali flussi comunicativi recherebbe non poco disturbo alle organizzazioni criminali - afferma Tortorella. Ricordo poi che per effetto della legge n.95 del 2004 persino l’ispezione della busta nella quale è contenuta la corrispondenza, per rilevare denaro o altri generi vietati o pericolosi diretti al detenuto, sia pur senza lettura dello scritto, deve essere preventivamente autorizzata dall’autorità giudiziaria o consentita dal detenuto". Giustizia: Sappe; governo immobile e carceri vicine a collasso
www.inviatospeciale.com, 14 settembre 2009
Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe) ha chiesto energicamente un intervento serio dell’esecutivo per affrontare la gravissima situazione delle carceri italiane. Per il rappresentante del Sappe "sarebbe auspicabile che il governo si facesse promotore di una assemblea nazionale interamente dedicata alla giustizia, da tenersi entro la fine del mese di settembre 2009 a cui far partecipare esperti ed operatori del settore, dal quale trarre utili spunti per l’annunciata riforma del processo penale e quella, urgente e non più rinviabile, del sistema penitenziario nazionale". Capece ha aggiunto: "Riunire attorno allo stesso tavolo le varie categorie professionali che gravitano nel mondo della giustizia - magistrati, avvocati e Polizia penitenziaria, ad esempio - sarebbe già un buon risultato. Se poi si riuscisse - aggiunge - a formalizzare nuove linee guida da sottoporre al parlamento a partire dalle quali ricostruire i sistemi giudiziari e penitenziari del Paese sarebbe indubbiamente un ottimo successo" Il segretario del Sappe ha aggiunto:."Ritengo che costituire un tavolo di approfondimento che esami realtà e prossimi interventi per il sistema della giustizia e per il pianeta carcere in particolare dovrebbe essere prioritario nell’agenda del ministero della Giustizia" e sottolineto come "a tutt’oggi non ci risulta che classe politica e governativa che si sono avvicendate nella guida del Paese abbiano fatto seguire all’indulto i necessari interventi strutturali sull’esecuzione della pena, che garantiscano la giusta sanzione a chi commette reati soprattutto a tutela delle vittime della criminalità e che rendano la pena uno strumento efficace per ripagare la società del reato commesso. A cominciare dall’individuazione di provvedimenti legislativi che potenzino maggiormente l’area penale esterna e dall’incremento degli organici della Polizia Penitenziaria, unico Corpo di Polizia cui affidare completamente l’esecuzione penale esterna a tutto vantaggio della cittadinanza, destinando le unità di Carabinieri e Polizia di Stato oggi impiegate in tali compiti nella prevenzione e repressione dei reati, specie di quelli di criminalità diffusa". Il sindacalista poi ha ricordato: "Dispiace infatti che proprio dopo l’indulto non vennero programmati dal Governo Prodi quegli interventi strutturali per il sistema carcere - chiesti anche dal Capo dello Stato Napolitano - necessari per non vanificare in pochi mesi gli effetti di questo atto di clemenza. Ma ci sembra che anche il Governo Berlusconi tentenni sul fronte delle riforme penitenziarie, come attesta drammaticamente il fatto che oggi l’Italia ha raggiunto un record di detenuti - con oltre 64mila presenze -, il più alto numero mai registratosi nella storia del Paese. Noi continuiamo a parlare della necessità di individuare provvedimenti concreti di potenziamento dell’area penale esterna, che tengano in carcere chi veramente deve starci, e di potenziamento degli organici di Polizia Penitenziaria cui affidare i compiti di controllo sull’esecuzione penale. Di un maggior ricorso all’area penale esterna, destinando i soggetti a misure alternative alla detenzione e impiegandoli in lavori socialmente utili non retribuiti. Di una revisione della legge sugli extracomunitari che permetta espulsioni più facili piuttosto che la detenzione in Italia. Approvato l’indulto, era davvero necessario ripensare il carcere. Dobbiamo però constatare che nulla di tutto ciò è stato fino ad oggi fatto. Mi auguro non si perda ulteriore tempo prezioso". Intanto l’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria (Osapp) ha lanciato un allarme per la situazione dell’ex super carcere di Trani "dove da oltre una settimana solo pochissimi agenti rimasti in forza al penitenziario mantengono con una dura prova fisica la sorveglianza sulle oltre 280 detenuti". In una nota il segretario generale aggiunto del sindacato, Domenico Mastrulli, ha affermato che analoga situazione si verifica nel carcere femminile "dove chi ci rimette giorno dopo giorno è la polizia penitenziaria femminile". Per la carenza di organico, sono state "revocate tutte le licenze programmate dei poliziotti, posticipati riposi e diritti contrattuali" con "turni di 13 e 15 ore continuative nei settori detentivi dove la tensione si taglierebbe a fette". Mastrulli ha definito "esplosiva la situazione" e denunciato "l’abbandono della stessa amministrazione regionale e centrale del dipartimento". La gravità delle situazione nelle carceri italiane è un altro di quegli argomenti che raramente trovano spazio sulla stampa nazionale, mai in televisione, con la conseguenza che l’opinione pubblica ignora lo stato delle cose. Giustizia: Cisl; ora Alfano renda "esigibili" i 15 milioni promessi
Asca, 14 settembre 2009
"Il ministro Alfano renda finalmente esigibili i 15 milioni per le carceri e la sicurezza". Lo ha chiesto a Trieste Pompeo Mannone, segretario generale della Federazione Nazionale Sicurezza della Cisl, ad un incontro per l’affiliazione del Sidipe. "Risorse sono necessarie tra l’altro per dar gambe al contratto della sicurezza e della difesa - ha aggiunto Mannone -. Il Governo parla di sicurezza, ma non investe le risorse che sarebbero necessarie". Giustizia: Uil; chiediamo apertura dibattito politico su carceri
Adnkronos, 14 settembre 2009
Il ciclo di manifestazioni organizzato dalla Uil Pa Penitenziari culminerà il 22 settembre a Roma, a Piazza Montecitorio. "Non poteva essere diversamente - spiega Eugenio Sarno, segretario generale dell’organizzazione sindacale- noi chiediamo che si apra un dibattito politico sulle condizioni del sistema penitenziario. D’altronde sarebbe imperdonabile disperdere il patrimonio di conoscenza acquisito dalla politica e dai politici con l’iniziativa Ferragosto in carcere". Sarno aggiunge: "Solleciteremo anche il ministro Alfano e l’intero governo ad adottare misure e soluzioni urgenti per far fronte all’ingestibilità accertata della galassia penitenziaria. I 65mila detenuti, a fronte dei 43mila possibili, e il deficit organico, riconosciuto dallo stesso Alfano, di 5mila poliziotti penitenziari sono più che buone ragioni per essere in piazza a manifestare". Per far fronte ai limiti imposti dalla Questura rispetto al numero di manifestati, la Uil Pa Penitenziari ha lanciato una campagna di "adesioni virtuali" alla protesta. "Chi vuole può aderire con una telefonata o una mail - spiega Sarno - noi pubblicheremo gli elenchi aggiornati quotidianamente sul nostro sito web www.polpenuil.it". Mercoledì, a Cagliari, nel frattempo, ultima tappa del ciclo di manifestazioni organizzate in tutta Italia. "Con la manifestazione di mercoledì 16 settembre a Cagliari, dove si prevedono circa duecento manifestanti - sottolinea Sarno - si chiude il ciclo delle tappe itineranti della nostra protesta. In circa tre mesi abbiamo portato a manifestare, davanti ai grandi istituti penitenziari, oltre duemila persone. Da Milano, Bologna, Napoli, Bari, Palermo e Cagliari si è levato unanime il coro di proteste della polizia penitenziaria che ha denunciato, e non smetterà di farlo, le afflittive, penalizzanti e insicure condizioni di lavoro e le indegne ed incivili condizioni della detenzione nei fatiscenti istituti penitenziari della Repubblica". Giustizia: il ministro Gelmini; 1 milione €, per scuola in carcere
Agi, 14 settembre 2009
Si chiama "Le Ali al futuro" il progetto varato dal ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, per potenziare l’offerta formativa ai ragazzi negli istituti penitenziari italiani e per la prevenzione della dispersione scolastica. Su questa sperimentazione, il Ministero investe un milione e mezzo di euro, in dieci azioni, che saranno seguite e monitorate da un comitato interministeriale composto anche da rappresentanti del Ministero della Giustizia e degli istituti penali e delle scuole coinvolte. "Il progetto - spiega, inaugurando l’anno scolastico nel carcere minorile di Nisida, il ministro - non solo garantirà l’istruzione, ma accompagnerà i ragazzi con progetti di microcredito quando usciranno dal carcere". Per questo, Gelmini auspica anche un "impegno trasversale" che veda oltre al Governo, le Regioni e le istituzioni locali, ma anche "mi piacerebbe avesse un ruolo importante il volontariato". La Gelmini, poi, si impegna a portare nelle carceri minorili, non solo la possibilità di conseguire la licenza elementare e media, ma almeno un biennio superiore per tutte le carceri. Molise: intesa passaggio sanità carceraria al servizio regionale
Asca, 14 settembre 2009
È stato sottoscritto, in mattinata, dal Presidente della Regione Molise, Michele Iorio, dal Provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per l’Abruzzo e il Molise, Salvatore Acerra, e dal dirigente del Centro della Giustizia Minorile Abruzzo, Molise e Marche, Paola Durastante, il Protocollo d’Intesa sul passaggio della sanità penitenziaria dall’Amministrazione Penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale. Il protocollo, frutto del lavoro effettuato dall’Osservatorio Regionale permanente sulla Sanità penitenziaria, rappresenta "una forma di collaborazione fattiva tra l’ordinamento sanitario e quello della giustizia". L’obiettivo è quello di "garantire la tutela della salute e il recupero sociale dei detenuti, adulti e minori, assicurando i livelli minimi assistenziali in tutti gli Istituti di detenzione della regione". Tali finalità saranno raggiunte con l’ausilio di personale specialistico sanitario e con un’appropriata organizzazione, all’interno degli istituti, che tengano conto dei flussi di servizio e di un corretto utilizzo delle risorse strumentali e logistiche. Iorio si è detto soddisfatto del lavoro fatto dalla Regione e dagli Istituti penitenziari: un lavoro che ha reso il Molise prima regione d’Italia ad aver integrato la sanità penitenziaria con il Servizio Sanitario Pubblico Regionale. Lazio: nasce Osservatorio permanente su Sanità penitenziaria
Ristretti Orizzonti, 14 settembre 2009
Si riunirà per la prima volta domani, lunedì 14 settembre, l’Osservatorio regionale permanente sulla sanità penitenziaria del Lazio. A sollecitare l’istituzione dell’organismo - crea nei mesi scorsi con delibera della Giunta Regionale - era stato il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni che, in una lettera inviata al presidente della Regione Piero Marrazzo, aveva parlato dell’Osservatorio come di uno "strumento a tutela e garanzia del pieno diritto alla salute di detenuti e internati". Alla base della richiesta del Garante, le disfunzioni nelle strutture e nei servizi sanitari per i detenuti nelle carceri del Lazio legate, in parte, al passaggio di tali competenze dal Ministero della Giustizia ai Servizi Sanitari Regionali e da questi alle Asl. "Con la creazione dell’Osservatorio la Regione ha dimostrato, ancora una volta, la sua attenzione per le categorie più deboli e svantaggiate della società - ha detto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni - L’Osservatorio è destinato a diventare, in breve, il luogo preposto a ricevere indicazioni e segnalazioni sulle criticità sanitarie del carcere. Non è un caso che già nella riunione di domani, solleverò il problema di come le carceri del Lazio si stanno organizzando per affrontare l’imminente arrivo del virus H1/N1. Con il sovraffollamento e le condizioni di detenzione c’è il rischio che le carceri siano fra i primi luoghi dove il virus possa attecchire". L’Osservatorio - che nasce, su proposta del vicepresidente della Regione Esterino Montino per valutare l’efficienza e l’efficacia degli intervanti a tutela della salute dei detenuti, degli internati e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale - è costituito dal Dirigente dell’Area programmazione della Rete dei Servizi nell’area dei soggetti deboli; da un rappresentante del Presidente della Regione; dal Garante dei Detenuti della Regione; da un rappresentante del Provveditorato Regionale del Lazio e da uno del Centro per la Giustizia Minorile; da un Esperto di assistenza sanitaria in ambito penitenziario esponente del Forum permanente per la sanità penitenziaria; dai referenti della ASL Roma B (maggiormente rappresentativa per numero di detenuti), Roma D (maggiormente rappresentativa per la presenza di minori) e della ASL di Viterbo (in rappresentanza delle Province) e da un rappresentante delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Fra i suoi compiti quello di "riferire su avvenimenti di interesse sanitario o problematiche insorgenti negli Istituti penitenziari del territorio e nell’area penale esterna e di fornire elementi utili alle azioni volte al miglioramento dell’assistenza sanitaria ai detenuti". Friuli: convegno del volontariato penitenziario sui diritti umani
Ristretti Orizzonti, 14 settembre 2009
Stampa, televisione, dibattiti durante l’estate hanno veicolato, sull’opinione pubblica, la disastrosa situazione delle carceri italiane confermata anche dalla visita di alcuni parlamentari anche nei cinque carceri della nostra Regione durante il ferragosto. I volontari penitenziari del F.V.G., che da anni spendono il loro impegno per rendere queste strutture di detenzione più umane, più dignitose, più capaci di rieducazione e di riabilitazione, si sono aggregati al Centro Balducci di Zuliano per collaborare alla realizzazione del 5° Convegno sui "Diritti umani. uguaglianza e giustizia sociale" che si svolgerà a Udine-Zuliano dal 17 al 20 settembre 2009. Perché la riflessione culturale eviti il rischio di un ascolto passivo dei partecipanti, la domenica 20 settembre 2009 i convegnisti "abiteranno" due luoghi simbolici e carichi di significato: l’ex ospedale psichiatrico di S: Osvaldo, a due passi da Zuliano, e il carcere di Udine di via Spalato. Sarà una sorta di "pellegrinaggio": all’ospedale psichiatrico come luogo della memoria di una grande sofferenza, in cui è noto anche un fondamentale processo di liberazione; e nelle carceri di via Spalato dove, grazie ai permessi dall’Amministrazione penitenziaria, solo 250 convegnisti potranno incontrarsi in Assemblea con i detenuti, come momento liberatorio della voce già soffocata da una società piena di pregiudizi che rende ancora più soffocante l’aria delle celle dove il sovraffollamento, la mancanza di personale e l’assenza di attività, rendono disastrosa la situazione dei detenuti. Questa esperienza dentro la struttura penitenziaria spinge a cercare chiarimenti attraverso l’incontro e il confronto per comprendere che rieducare e risocializzare,come dice l’art. 27 della Costituzione italiana, è possibile solo se la società accetta di diventare parte attiva di un percorso in quanto "il carcere è società". Il "pellegrinaggio" sarà guidato da don Luigi Ciotti del Gruppo Abele responsabile di "Libera". La giornata del 20 settembre sarà un’occasione per abbattere muri partendo dal nostro territorio; un territorio che vogliamo senza recinti, senza paure del diverso; un territorio che includa e non escluda nessuno; un territorio sano in cui crescere tutti: noi, loro, voi. Perché questi sono tempi in cui è importante proporre per cambiare, ma anche denunciare, sempre partendo dall’esperienza concreta, per far sì che le denuncia abbia più forza e la proposta abbia un fondamentale valore dai nostri comportamenti.
Don Alberto De Nadai responsabile della Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Lecce: detenuto napoletano di 38 anni si suicida impiccandosi
Ansa, 14 settembre 2009
Rosario Vollaro, 38enne, uno dei figli del boss di Portici, Luigi, detto "Ò Califfo", è stato trovato senza vita nella Casa Circondariale di Borgo San Nicola, dove era stato trasferito di recente. Ha usato un lenzuolo per impiccarsi nella cella nella quale era stato destinato. Si è tolto la vita così, nel carcere di Borgo San Nicola, a Lecce, Rosario Vollaro, 38enne. L’hanno trovato gli agenti di polizia penitenziaria quando non c’erano più speranze. Vollaro era stato trasferito sabato scorso dal carcere di Poggioreale nella casa circondariale del capoluogo salentino, su disposizione del ministero dell’Interno. Nella cella non è stata trovata una lettera, neanche poche righe per spiegare il gesto. L’autopsia sarà affidata al medico legale Alberto Tortorella. Vollaro era noto nel napoletano per essere uno dei figli del capo del clan della zona di Portici, Luigi, detto "Ò Califfo", al momento a sua volta detenuto. Di recente Rosario Vollaro era stato arrestato dagli agenti di polizia della squadra mobile e del commissariato di Portici, in relazione ad un caso di presunta estorsione nei confronti di una ditta che gestisce i parcheggi pubblici comunali. Insieme a lui, anche due altre persone, il fratello Raffaele e Giovanni Spina. Qualche anno addietro, un altro fratello di Rosario Vollaro, Ciro, si suicidò nel carcere di Rebibbia. Diventato collaboratore di giustizia, diede impulso a diverse indagini di rilievo sul clan retto dal padre. Livorno: fiaccolata per la verità sulla morte di Marcello Lonzi
Il Tirreno, 14 settembre 2009
Una fiaccolata e una lettera indirizzata al Prefetto Domenico Mannino in cui si chiede che "si faccia interprete presso le sedi competenti per la ricerca della verità sul caso di Marcello Lonzi". Questa l’iniziativa organizzata dalla mamma di Marcello, Maria Ciuffi, e dal Movimento antagonista livornese insieme a Rc per richiamare l’attenzione sulla vicenda del giovane detenuto misteriosamente deceduto alle Sughere nel luglio 2003. In un centinaio sono partiti da piazza della Repubblica, passati poi dal presidio degli ex Delphi (mentre alcuni lavoratori hanno acceso gli accendini per solidarietà), infine raggiungendo la prefettura. "La chiusura delle indagini è stata posticipata di un mese - si sfoga Ciuffi - seppure siano già stati raccolti tutti gli indizi. Stanno cercando di far cadere tutto in prescrizione. Cosa aspettano a riaprire il processo? Voglio giustizia e verità per mio figlio. Non è morto per cause naturali". All’iniziativa era presente anche Haidi Giuliani, la mamma del ragazzo ucciso durante il G8 di Genova: "Stanno cercando di cancellare e rendere invisibili morti come quelle di Marcello". Alla fiaccolata ha partecipato il consigliere di Rc Lorenzo Cosimi: "Con che coraggio si dice che Marcello è morto per cause naturali? Le avete viste le tragiche foto?". Pavia: detenuto si suicidò, ministero dovrà risarcire la famiglia
La Provincia Pavese, 14 settembre 2009
Il Ministero di Grazia e Giustizia dovrà pagare 140mila euro di risarcimento ai familiari di un detenuto che, sette anni fa, si tolse la vita in carcere con una bomboletta di gas. La Corte di Appello, a cui il Ministero si era rivolto facendo ricorso, non ha infatti sospeso la sentenza di primo grado, con cui il Ministero, pochi mesi fa, veniva condannato al risarcimento. La vicenda riguarda la morte di Miguel Bosco, il giovane di etnia rom morto il 27 giugno del 2002 a 30 anni in carcere, dove stava scontando una condanna per il furto di uno scooter. Il Tribunale di Milano aveva condannato il Ministero di Grazia e Giustizia a pagare alla famiglia del giovane, rappresentata in questo procedimento dall’avvocato Fabrizio Gnocchi di Pavia, la cifra di 140mila euro come risarcimento. La sentenza, firmata da Andrea Manlio Borrelli, figlio del più noto Saverio, sembra adattarsi anche alla vicenda del detenuto tunisino morto per sciopero della fame. La sentenza attribuiva alle strutture di "disciplina", come appunto il carcere, anche l’obbligo di "prendersi cura del corpo". "Deve ritenersi - scriveva allora il giudice - che, in uno Stato di diritto, quanto maggiore è il potere attribuito all’istituzione di comprimere la libertà personale dell’individuo affidatogli, tanto maggiore è l’obbligo dell’istituzione di prendersi cura quantomeno del corpo della persona soggetta al potere stesso". Torino: pannelli solari produrranno acqua calda per i detenuti
La Stampa, 14 settembre 2009
Lavori in corso nella casa circondariale "Lorusso e Cutugno", nota ai torinesi come carcere delle Vallette, nell’ambito di un cantiere molto speciale. Succede che la struttura penitenziaria, tra le prime in Italia, si sta progressivamente convertendo al fotovoltaico: energia solare per produrre acqua calda ad uso sanitario con cui soddisfare i bisogni di parte dei 1.600 detenuti presenti. Nei giorni scorsi Pietro Buffa, il direttore del carcere, ha firmato l’atto di consegna per il secondo lotto di pannelli solari: 100 collettori, montati su una superficie lorda di captazione pari a 266 metri quadrati (su un tetto di 800) che permetteranno di ricavare circa 120 mila Mcal/anno. Contrariamente a quelli previsti sulla superficie del depuratore Smat con sede a Castiglione Torinese, interessato da un progetto di ben altre dimensioni, si tratta di pannelli fissi (non in grado di ruotare sul loro asse, grazie ad un sistema computerizzato, per ottimizzare l’assorbimento della luce solare nell’arco della giornata). Il senso è quello di un primo passo - la superficie complessivamente utilizzabile sui tetti della struttura è calcolata per difetto in 3 mila metri quadrati -, destinato ad essere seguito da altri, compatibilmente con le risorse disponibili. Come spiega Buffa - legittimamente orgoglioso di guidare una struttura che, a dispetto dei molti problemi, cerca di emanciparsi dai principali consumi - l’avventura è resa possibile grazie a 180 mila euro stanziati dai due ministeri competenti: Grazia e Giustizia, Ambiente. Due finanziatori che riassumono gli obiettivi dell’operazione: contenere i costi e offrire un contributo ambientale. Tanto per rendere l’idea, la casa circondariale consuma ogni anno, solo di acqua, qualcosa come 640 mila metri cubi: comunque meno del 2007, quando il contatore conteggiò un milione di euro. Si tratta di spese che - stante la penuria di fondi - vengono pagate a Smat, la Società Metropolitana Acque Potabili, una tantum. Quando cioè il ministero di Grazia e Giustizia allarga i cordoni della borsa. Non più tardi della settimana scorsa il nostro giornale ha documentato come il debito nei confronti del fornitore abbia superato il milione. Se il buongiorno si vede dal mattino, è presumibile che i conti non tornino anche per quanto riguarda la bolletta elettrica: in questo caso il condizionale è d’obbligo, visto che Iride non fornisce i dati dei clienti. Sotto il profilo strettamente ambientale, invece, i 100 pannelli solari consentiranno di evitare 45 mila chilogrammi l’anno di CO2, cioè di anidride carbonica. Niente di risolutivo, ci mancherebbe. Quanto basta per rendere meritevole l’obiettivo di un cantiere che vede impiegati 9 detenuti: 5 di questi sono stati preparati grazie a corsi di formazione tenuti direttamente nella struttura. La rivincita dell’ambiente può partire anche dai tetti di un carcere. Cremona: detenuti sistemeranno acciottolato in centro storico
Ansa, 14 settembre 2009
Sistemeranno la pavimentazione del centro storico di Cremona, riempiendo le fessure e abbassando i dislivelli tra un sampietrino e l’altro: Sarà un lavoro allo stesso tempo pesante e di precisione, prezioso e umile, quello che dovranno fare dei piastrellisti molto particolari, un detenuto e due ex detenuti. Prende forma osi, infatti, il rapporto di collaborazione instauratosi tra l’Amministrazione comunale e il carcere di Cremona. A metà agosto il sindaco, Oreste Perri, e mezza giunta, si erano recati in visita alla casa circondariale. Erano stati accolti dalla direttrice, Ornella Bellezza, e da una delegazione di detenuti che avevano consegnato al sindaco una lettera in cui chiedevano di favorire il loro reinserimento facendoli lavorare. Si dicevano disponibili a tenere in ordine il cimitero, ripulire le facciate degli edifici comunali e occuparsi del canile, al centro di un’inchiesta della magistratura per presunti maltrattamenti e morti sospette degli animali. I carcerati avevano anche proposto di trasferire su dischetto i documenti custoditi nell’archivio comunale: nel laboratorio informatico allestito in cella hanno già digitalizzato gli atti processuali della strage di piazza Fontana a Milano e dell’attentato davanti alla questura di Milano. Immigrazione: "giudici coraggiosi", contro reato clandestinità di Donatella Stasio
Il Sole 24 Ore, 14 settembre 2009
"Abbiamo bisogno di giudici coraggiosi", dice Fernanda Contri, ex vicepresidente della Corte costituzionale. Coraggiosi come quel giudice di pace di Recco, che ha assolto un clandestino per la "particolare tenuità del fatto" (era incensurato e lavorava lecitamente, seppure in nero). O come quel giudice del Tribunale di Pescara che, a un giorno dalla pensione, ha mandato alla Consulta il reato di clandestinità. "Abbiamo anche bisogno di giudici costituzionali coraggiosi", aggiunge la Contri, sebbene sia convinta che le norme sugli immigrati - dall’aggravante al reato di clandestinità ai respingimenti - siano "in palese contrasto" con i principi costituzionali che garantiscono a "tutti" (e scandisce "tutti") i diritti fondamentali dell’uomo. I giudici di Recco e di Pescara non rimarranno isolati. Molti li seguiranno, stando a quanto si è sentito a Lampedusa, durante il convegno "La frontiera dei diritti. Il diritto della frontiera" organizzato da Magistratura democratica e dal Movimento della Giustizia (correnti progressiste dell’Anm). Oltre alle toghe, c’erano avvocati, giuristi, sindacalisti, rappresentanti di associazioni di volontariato, umanitarie e religiose. Due giorni di riflessione sulle politiche in materia di immigrazione, che hanno prodotto norme "immorali e incostituzionali" (Luigi Ferrajoli, giurista) e criminalizzato la clandestinità agitando "farsescamente" anche lo spettro del terrorismo internazionale (Armando Spataro, Pm a Milano). C’erano anche i "Giovani democratici", 25 ragazzi (metà italiani, metà immigrati di seconda generazione) partiti da Lampedusa per un viaggio "verso un futuro diverso dell’Italia". "Qui c’è la voglia di assumersi una responsabilità collettiva per fare scelte coraggiose che sfidano le aspettative della maggioranza", dice Rita Sanlorenzo, segretario di Md. Magistrati politicizzati? "L’ottica da cui muoviamo - spiega Carlo Renoldi, giudice a Cagliari - è solo quella del diritto: nulla di più che l’ancoraggio alla Costituzione. Coraggio significa rigore". "Se i giudici vogliono dare un segnale - osserva Guido Neppi Modona, ex vice presidente della Consulta - trovano un’autostrada su almeno tre questioni": l’aggravante e il reato di clandestinità sono "incostituzionali" e lo è anche il decreto sulla sanatoria di colf e badanti perché ha "irragionevolmente" escluso "gli altri immigrati che lavorano in modo onesto e trasparente". "Dobbiamo fare la nostra parte" dicono giudici di Cassazione come Alfonso Amatucci e Pino Salmè. E con questo "pesante fardello sulle spalle" se ne sono tornati a Roma. Immigrazione: nel Cie Milano detenuto tenta il suicidio, grave
Liberazione, 14 settembre 2009
Un detenuto nel centro di identificazione ed espulsione di Milano non può camminare e viene nutrito con cibo liquido dai suoi compagni di stanza. Una settimana fa, il cinque settembre, l’uomo aveva tentato il suicidio prima impiccandosi e poi tagliandosi la gola. Portato all’ospedale per ricucire la ferita, ora passa la giornata steso. La denuncia proviene dal gruppo Everyone, che lancia un appello all’Unhcr e al comitato Onu contro la tortura. L’uomo aveva tentato il suicidio dopo avere saputo che la sua permanenza a via Corelli sarebbe stata di sei mesi, per effetto delle nuove norme sulla sicurezza. Era già uscito dal centro all’inizio dell’estate, ma già dopo poche settimane era stato ripreso e rinchiuso nella prigione per migranti. Nei prossimi giorni riprenderanno le udienze per il processo sui disordini scoppiati a via Corelli a fine agosto. Droghe: tassare è meglio che proibire, i conti degli economisti
Il Manifesto, 14 settembre 2009
Il dibattito sul fallimento del proibizionismo e la possibilità di sperimentare la legalizzazione delle droghe è stato rilanciato nell’aprile scorso dal periodico britannico The Economist. Recentemente il governatore della California, Arnold Schwarzenegger, ha ripreso la proposta di non punire il possesso e la coltivazione della canapa e di assoggettarla a un regime di tassazione, ipotizzando un ricavo di 1,3 miliardi di dollari utili per evitare la bancarotta dello Stato. Anche autorevoli economisti americani, tra cui Jeffrey Miron dell’Università di Harvard, sono scesi in campo per sostenere un corso diverso dalla war on drugs, che comporterebbe un risparmio di 13 miliardi di dollari all’anno in spese di polizia e giudiziarie a fronte di un incasso di 7 miliardi all’anno di tasse. L’intervento pubblico volto a contenere il consumo di droghe è motivato dalle conseguenze negative che questa pratica comporta per la collettività. La teoria economica suggerisce che un livello di consumo socialmente ottimale può essere ottenuto tramite due diversi strumenti: il primo consiste nell’imposizione di vincoli allo scambio, fino al divieto totale; il secondo nell’imposizione di una tassazione sulle vendite. In un recente studio del 2006 , Becker, Grossman e Murphy sostengono la superiorità dello strumento fiscale (la tassazione) per controllare i consumi di droghe, rispetto all’imposizione di una forma estrema di contingentamento, quale il proibizionismo. La maggiore efficienza dello strumento fiscale deriva dalla rigidità della domanda e/o dell’offerta di droghe, che sembrano poco risentire del controllo legale. Assunte tali rigidità, il livello di consumo socialmente ottimale sarebbe minore nel caso di legalizzazione delle droghe e tassazione dei loro scambi rispetto al caso di ottimale applicazione di una normativa proibizionista. I minori consumi sarebbero indotti da un prezzo di equilibrio sul mercato legale maggiore rispetto al prezzo di equilibrio delle droghe sul mercato nero. L’adozione dello strumento della tassazione comporterebbe, inoltre, dei benefici per l’erario nazionale rispetto all’utilizzo dello strumento proibizionista. In primo luogo, la legalizzazione delle droghe darebbe agli agenti di questo mercato l’opzione di emergere dal mercato nero, cioè di produrre legalmente e di pagare le tasse. In aggiunta alle entrate fiscali derivanti dalla tassazione degli scambi, la legalizzazione implicherebbe anche una riduzione dei costi di contrasto. La regolamentazione italiana del mercato di alcune droghe (cannabis, cocaina, eroina, ecc.) consiste nel divieto della loro produzione e vendita, mentre il consumo di altre droghe (tabacco, alcol, ecc.) è scoraggiato tramite l’imposizione di elevate tasse sul loro prezzo di vendita. Si possono stimare i benefici fiscali che l’erario italiano avrebbe avuto nel periodo 2000-05, nel caso la regolamentazione applicata al mercato dei tabacchi fosse stata estesa anche al mercato delle altre droghe. In altri termini, si può condurre una sorta di simulazione contabile volta a stimare quale sia il costo fiscale del proibizionismo in Italia. Applicando il metodo di stima suggerito da Miron (2006), i costi del proibizionismo sono identificati sia nelle spese per l’applicazione della normativa (risorse di polizia, magistratura e carceri), sia nella mancata opportunità delle tasse non riscosse; senza considerare l’impatto fiscale dei cambiamenti nelle politiche educative e sanitarie connessi all’eventuale legalizzazione del mercato delle droghe. Secondo questo calcolo, in Italia il costo del proibizionismo nel periodo 2000 - 2005 ammonterebbe a circa 60 miliardi di euro, in media circa 10 miliardi di euro l’anno. La legalizzazione del commercio delle droghe avrebbe fatto risparmiare circa 2 miliardi all’anno di spese connesse all’applicazione della normativa proibizionista. Inoltre, estendendo al mercato delle droghe la normativa fiscale applicata ai tabacchi, l’erario nazionale avrebbe incassato altri 8 miliardi all’anno dalla tassazione sulle vendite. Rispetto alle singole sostanze, la proibizione della cannabis ha implicato un costo fiscale di circa 38 miliardi di euro, a fronte di 15 miliardi per la cocaina e di 6 miliardi per l’eroina. Brasile: il caso Battisti e la menzogna dell’ergastolo "virtuale" di Tito Lapo Pescheri
L’Altro, 14 settembre 2009
L’Italia è disposta a fare carte false pur di riavere Cesare Battisti dal Brasile. È da quando si è riaperta la partita delle estradizioni degli esuli italiani che l’Italia bara su tutti i tavoli, quelli del diritto internazionale, della politica diplomatica e della ricostruzione storica degli anni 70. Qualcuno potrebbe anche dire che in questa partita il fine giustifica i mezzi, ma non si pretenda poi di dare lezioni di morale, non s’invochino etica e vittime, ancora meno si pretenda il rispetto internazionale. Il nostro Paese è la fotografia di un ceto politico (di governo e d’opposizione) che vive della doppiezza dei comportamenti e della verità: impunità per sé e i propri amici, regole e sanzioni solo per gli altri, per i propri nemici. Nella vicenda Battisti l’Italia fino ad ora si è contraddistinta per la scelta d’argomenti strumentali, di circostanza, adattati di volta in volta alla controparte. Una truffa dietro l’altra da consumati giocatori di frodo. La prova sta nella strategia scelta di fronte al tribunale superiore federale del Brasile dove l’argomento della contumacia, rilevante quando la discussione si svolgeva di fronte alla giustizia francese, è totalmente scomparso. In Brasile si è parlato soltanto di politicità dei delitti e d’ergastolo. La prima ridicolamente negata, nonostante l’evidenza delle condanne per reati associativi e la presenza d’aggravanti specifiche applicate per sanzionare atti tesi a "sovvertire l’ordinamento costituzionale". Il secondo, il "fine pena mai", anzi "99/99/9999" come recitano gli attuali certificati penali digitalizzati, trasformato nella favoletta dell’"ergastolo virtuale". E questo perché il relatore del tribunale supremo federale, Cesar Peluso, ha vincolato il via libera all’estradizione al rispetto di una clausola: la revoca dell’ergastolo da commutare ad una condanna non superiore a 30 anni, pena che il Brasile non riconosce perché abolito dopo la dittatura militare. Un criterio del genere è previsto anche nella nostra costituzione che vieta l’estradizione in Paesi dove la persona subirebbe trattamenti degradanti e non riconosciuti dal nostro sistema giudiziario. Ragion per cui, per esempio, non si accolgono richieste da paesi che prevedono la pena di morte. Per aggirare questo nuovo ostacolo le nostre autorità si accingono a organizzare l’ennesimo raggiro. Il procuratore Italo Ormanni, inviato a Brasilia per perorare gli argomenti del governo avrebbe fornito rassicurazioni al Stf sul fatto che la pena dell’ergastolo prevista nel nostro codice sarebbe solo un "concetto virtuale", non una persecuzione a vita. I tecnici di via Arenula avrebbero spiegato, seguendo i canali diplomatici, che l’ergastolo in Italia non oltrepasserebbe i 26 anni, soglia che secondo l’art. 176 consente di chiedere la liberazione condizionale. Questo argomento era già stato impiegato dal guardasigilli Clemente Mastella nel 2007, omettendo però una circostanza decisiva, ovvero che la condizionale è solo un’ipotesi virtuale non un automatismo. Di fronte alla reazione inferocita di alcuni familiari delle vittime, Mastella fece marcia indietro spiegando che si era trattato solo di uno stratagemma per strappare l’estradizione. Un modo per fregare i brasiliani facendogli credere ciò che non era vero. Ora Angiolino Alfano ci riprova, spalleggiato da Frattini e La Russa e con l’assenso di Napolitano. Per denunciare questa operazione di disinformazione alcuni degli oltre 1.400 ergastolani italiani (circa il 4,5% dell’intera popolazione reclusa) scrissero anche una lettera aperta al presidente Lula. "In Italia - spiegavano gli autori - uno sciopero della fame che ha coinvolto migliaia di persone contro una pena socialmente eliminativa, figlia giuridica della pena di morte, non fa notizia come il fatto che siano stati depositati alla corte di Strasburgo ben 739 ricorsi contro l’ergastolo". In Italia l’ergastolo resta a tutti gli effetti una pena perpetua. La concessione della liberazione condizionale, dopo il ventiseiesimo anno di reclusione, resta solo un’ipotesi sottomessa alla discrezionalità della magistratura, per altro difforme da tribunale a tribunale e sempre più impraticabile a causa di una giurisprudenza restrittiva che lega il fine pena ad atti pubblici di contrizione e pentimento degni dell’epoca dell’inquisizione. La legge per altro esclude tutti quelli che sono sottoposti al carcere duro (oltre 500 sono in regime di 41 bis). I detenuti rinchiusi da oltre 20 anni sono 1648, tra questi 56 hanno superato i 26 anni e 37 sono andati oltre i 30. Il record riguarda un detenuto rinchiuso nel carcere di Frosinone con ben 39 anni di reclusione sulle spalle. Di ergastolo si muore. Le autorità brasiliane non possono ignorarlo. Stiano ben attente a non farsi ingannare dalle menzogne che vengono da parte italiana.
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