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Giustizia: tutto è reato, la repressione colpisce l’emarginazione
Redattore Sociale, 30 novembre 2009
A Redattore Sociale l’incontro tra il magistrato Francesco Cascini (Dap), Patrizio Gonnella (Antigone) e Ornella Favero (Ristretti Orizzonti). Il confronto con la repressione in Spagna e il "caso Cucchi". Rinchiudere, recuperare. Due scelte, due visioni della società, due approcci diversi al contesto carcerario. Se ne è discusso sabato a Capodarco di Fermo al workshop realizzato all’interno del seminario per giornalisti "Redattore Sociale". A confrontarsi sono stati Francesco Cascini, magistrato, responsabile del servizio ispettivo del Dap, Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, e Ornella Favero, responsabile di Ristretti Orizzonti e, per l’occasione, moderatore dell’incontro. Proprio quest’ultima ha evidenziato come l’informazione giochi un ruolo fondamentale. Un’informazione che tende a semplificare, in un contesto invece particolarmente complesso. Un’informazione che da una parte pecca di apatia, dall’altra irrompe sulla scena nei momenti drammatici, magari piazzando microfoni davanti la bocca di familiari affranti. "Occorre spezzare la catena del’odio", ha sottolineato, ridando dignità anche a chi sta in carcere e nel carcere, spesso, muore. Dati. A Francesco Cascini il compito di tracciare il quadro della repressione penale in Italia. Lo ha fatto attraverso dati del Dipartimento amministrazione penitenziaria, aggiornati al 24 novembre scorso. In pillole: i detenuti presenti nei 206 istituti penitenziari italiani sono 65.719, di cui 31.136 in attesa di giudizio (47,3% del totale della popolazione detenuta; di questi il 40% sono immigrati, il 25% tossicodipendenti). In generale i detenuti stranieri sono 24.386 (37,1%), i detenuti tossicodipendenti 15.835. In crescita i dati sulla violenza in carcere. Sono 42 i suicidi accertati dall’autorità giudiziaria nel 2008; già 48 (dato parziale) nel 2009. Tentati suicidi: 605 (2008); sono 772 nel 2009 (dato ovviamente parziale). Episodi di autolesionismo: 5.126 nel 2008; 5.110 nel 2009. Aggressioni alla polizia penitenziaria con lesioni: 231 nel 2008; 279 nel 2009. Aggressioni tra detenuti: 1.078 nel 2008; 1.705 nel 2009. "In tutti i Paesi europei ci sono circa 500 mila detenuti - ha evidenziato Cascini -, di cui 130 mila in attesa di giudizio. L’Italia contribuisce con oltre 31 mila detenuti. È di gran lunga il Paese con il numero più alto di detenuti in attesa di giudizio". E ha precisato: "In Paesi come Spagna e Germania la repressione funziona più o meno così: il 15% dei reclusi è in attesa di giudizio, l’85% ha avuto una pena definitiva, con una pena superiore ai 4 anni. Non solo, in Spagna (che ha più o meno il nostro numero di detenuti) ci sono solo 65 istituti penitenziari. I detenuti sono nelle celle solo di notte e negli ultimi 3 anni si è registrato solo un suicidio. In Italia, invece, gli istituti carcerari sono 206, il 60% dei quali ha più di 100 anni e il 20% è addirittura stato costruito tra il 1200 e il 1600: Insomma, nel nostro Paese le carceri sono costruite senza un’identità. E questo perché variegata è la massa di detenuti in attesa di giudizio: tossicodipendenti, immigrati, persone che stanno dentro per un massimo di 10 giorni, etc. Così stando le cose è difficile capire che carcere fare!". Per Cascini nel nostro Paese la repressione tende evidentemente "a colpire l’emarginazione sociale. Tutto ciò che dà fastidio va a finire in carcere. Il nostro è un Paese dove quasi tutto è reato. Chi vende borse in strada rischia una pena fino a 5 anni. E se lo fa di nuovo può arrivare anche a 7/8 anni! Stessa cosa può accadere a chi guida senza patente, a chi costruisce una veranda, etc. Poi c’è la carcerizzazione di una fetta di popolazione che è incline ai reati, come i tossicodipendenti, gli immigrati. Poi ci sono i casi particolari. Se c’è una sistema che ‘produce ghetti’, come Scampia, non si può pretendere che Poggioreale non sia un ghetto. Il carcere è l’espressione di quel territorio, e non ci si può fare nulla. Pensate. Ci sono anche casi di detenuti affidati in prova e trovati a lavorare in nero!". Più "politico" l’intervento di Patrizio Gonnella. Il presidente di Antigone: "La parola chiave della giustizia è consenso. Il punto di riferimento non sono la Costituzione, le sentenze, la legge ordinaria. Il punto di riferimento è il consenso. Un aspetto che sta riguardando anche la magistratura. Da qui il fatto che tutto il sistema si sta convertendo verso la repressione. Ma tutto questo ci sta portando verso la violazione dei diritti. Ma una vicenda recente sembra aver aperto uno squarcio: percepisco che la gente comune è dalla parte di Stefano Cucchi, ucciso di botte. Forse perché dietro Stefano aveva una famiglia non emarginata, specchio della piccola borghesia romana, che ha avuto il coraggio di denunciare e di superare il rischio che venissero dette del figlio la cose peggiori. In questa vicenda ciò che colpisce è la catena di persone cieche. E il cinismo determinato dal sovraffollamento. Medici, avvocato d’ufficio, medici: tanta gente ha avuto a che fare con Stefano Cucchi. E tutto ciò ha aperto gli occhi". Ma quanti Stefano Cucchi ci sono stati nelle carceri italiane? E perché il sistema penitenziario non riesce a darsi la necessaria trasparenza? Un aspetto, questo, al centro dell’ultima parte del confronto. Con un monito finale da parte dello stesso Cascini: "Attenzione alle generalizzazioni. Fare di tutta l’erba un fascio è pericoloso". Giustizia: una battaglia nonviolenta, per un'urgenza nazionale di Emanuela Mei
Agenzia Radicale, 30 novembre 2009
Una lotta nonviolenta di digiuno dal cibo per ottenere la calendarizzazione di una mozione parlamentare promossa dalla delegazione radicale nel gruppo del Pd e già sottoscritta da 78 deputati di tutti gli schieramenti, tesa ad una totale riforma delle carceri che preveda la depenalizzazione dei reati meno gravi e l’estensione delle misure alternative. È la "battaglia" che da 12 giorni sta portando avanti la deputata radicale Rita Bernardini, membro della Commissione Giustizia, insieme con i dirigenti e militanti radicali Irene Testa (Presidente dell’Ass.ne Radicale "Il detenuto ignoto"), Claudia Sterzi (Segretaria dell’Associazione Radicale Antiproibizionisti), Annarita Digiorgio (del Comitato nazionale di Radicali Italiani), Riccardo Magi e Luisa Simeone. Le notizie allarmanti che provengono dalle carceri e che hanno richiamato l’attenzione dei media e degli italiani, testimoniano l’urgenza di un intervento politico concreto. Il sovraffollamento senza precedenti degli istituti di pena - una cifra record mai registrata dai tempi dell’amnistia di Togliatti del 1946 - ha reso insostenibili le condizioni di vita e di lavoro della comunità penitenziaria; ad oggi il numero della popolazione carceraria si avvicina alle 66.000 presenze a fronte di una capienza regolamentare di 43.074 posti e "tollerabile" di 64.111. A completare una situazione già piuttosto complicata, si aggiunge il dramma dei dati sulle morti in carcere: solo nel 2009 sono stati registrati 160 decessi di cui 66 per suicidio e nella maggior parte dei casi, come nota il segretario di Radicali Italiani, Mario Staderini, "si tratta di persone che sarebbero state assolte". Una tale situazione non può che allontanare, inevitabilmente, gli istituti di pena dal dettato della Comunità europea e dalle regole più basilari dell’ordinamento penitenziario. Per questo il dibattito sulle carceri e a calendarizzazione della mozione presentata assume sempre di più i caratteri dell’emergenza nazionale. "Sono ben tre le morti che si sono consumate nelle nostre carceri comunicate nella giornata di ieri (26 novembre), undici nel mese di novembre e 159 dall’inizio dell’anno: uno stillicidio di "evasioni da una vita insopportabile", drammatico e intollerabile" è quanto ha dichiarato Rita Bernardini sabato 28 novembre in occasione della "Giornata per la legalità della pena" promossa dalla Camera Penale di Napoli e dal "Carcere Possibile Onlus" cui la deputata radicale ha partecipato. "E intollerabile - ha aggiunto Bernardini - è anche l’immobilismo del governo che non risponde alle interrogazioni, nega le cause reali di questa situazione e annuncia piani carcere che, se mai fossero realizzati, darebbero risposte di maggiori spazi di vivibilità fra tre anni quando la popolazione dei detenuti, seguendo i ritmi attuali, sarà giunta alla soglia dei centomila ristretti. Così si volta la faccia alle soluzioni che sono necessarie e possibili oggi". "Quello di cui ha bisogno l’intera comunità penitenziaria per uscire dall’incostituzionalità e dal suo insopportabile stato di sofferenza - ha concluso invitando la comunità penitenziaria a unirsi a questa battaglia non violenta - è subito un’amnistia legale, contro l’amnistia di classe che vede ogni anno cadere in prescrizione circa 200mila processi. Occorre dare uno sbocco nonviolento, intelligente e ragionevole alla rivolta che sentiamo dentro di noi quando le leggi fondamentali dei diritti umani sono ignorate e calpestate". Cercando di evitare il prossimo suicidio. Giustizia: "le nostre prigioni infami" intervista a Adriano Sofri di Valeria Lo Iacono
www.livesicilia.it, 30 novembre 2009
La drammatica situazione delle carceri in Italia è diventata, anche a causa delle recenti vicende, una realtà sempre più imbarazzante. E le carceri in Sicilia sono spesso sinonimo di orrore. Ne abbiamo parlato con Adriano Sofri.
Sofri, lo stato delle carceri in Italia è preoccupante, qual è il punto della situazione? "Penso che lo stato delle carceri sia un’infamia per la quale non si trovano più né sostantivi né aggettivi. Tanti anni fa, in una discussione, da carcerato per giunta, con il capo di allora del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria al ministero, avevo usato, forse per la prima volta, l’espressione secondo cui le carceri sono una discarica sociale. Sono un immondezzaio dove si buttano i rifiuti di questa società. Dopo di allora, questa espressione la usano persino i ministri. Uno degli aspetti più significativi, surreali e grotteschi della situazione carceraria italiana è che a descriverla come una vergogna, uno scandalo, come una situazione di illegalità, di incostituzionalità, come ha detto lo stesso ministro della Giustizia, ormai sono i responsabili di governo, delle istituzioni, i magistrati".
Parliamo dell’atteggiamento delle istituzioni preposte verso il tema delle carceri e delle persone. Pensa ci sia una mancanza di reale interesse verso questo tema? "È difficile dirlo perché le persone sono molto diverse fra di loro, anche nelle istituzioni e perfino fra le persone che hanno responsabilità ufficiali. C’è la disperazione di doversi occupare di problemi che diventano insolubili e li frustrano nella loro stessa esistenza quotidiana, pensando ai detenuti sdraiati in un pavimento senza neanche un materasso. In una delle maggiori carceri italiane i detenuti nuovi entrati li mettono a dormire nelle sale adibite ai colloqui con i familiari; in passato altri li mettevano nelle camere di sicurezza che sono dei locali, dei loculi meglio, che non hanno neanche una finestra o un bagno. Mettevano lì le persone, alle quali assicuravano, se andava bene, dei fogli di giornale dove fare i propri bisogni. È difficile inseguire con le parole questo disastro che è oltraggioso per chi ci capita, quindi i detenuti, ma anche per chi ne ha la responsabilità. Un direttore di carcere, un funzionario dell’amministrazione penitenziaria, per non dire un sottosegretario o un ministro, dovrebbe a sua volta sentirsi leso intimamente da una condizione del genere di cui è responsabile. Più grave di ogni cosa è quell’inerzia, una specie di abitudine, una sensazione che la voragine sia così profonda e larga che non si può neanche provare a mettere mano a qualche intervento. Tutti sanno cosa bisognerebbe fare. Tutti sanno che le carceri sono strapiene perché ci sono decine di migliaia di persone che non avrebbero motivo di stare lì. Intanto ci sono le persone in attesa di giudizio. Poi ci sono quelli che entrano ed escono, come si è saputo nelle polemiche di questi giorni: persone che vengono arrestate, subiscono tutte le pratiche che implicano l’ingresso in un carcere, dalla perquisizione, all’abbandono della propria personalità, all’esplorazione anale. Insomma tutta questa iniziazione carceraria che dura ore, che impegna una quantità di persone e spoglia i detenuti della loro dignità, per poi rimetterli fuori nel giro di due, tre giorni. Quindi arrestati e buttati fuori. Questo vuol dire che non c’era alcuna necessità se non quella di seguire questa macchina burocratica. Quindi quello che si dovrebbe fare è da tempo noto, ma vi è la viltà dei responsabili e la demagogia di cui l’opinione pubblica è vittima, ma anche artefice".
Oggi ci si sta preoccupando più dei "contenitori" che del contenuto, quindi si sta mirando ad aumentare il numero delle carceri invece di cercare pene diverse per individui diversi. Cosa ne pensa? "Gli stessi responsabili del ministero dichiarano ad alta voce cosa andrebbe fatto, ma poi non lo realizzano. Non c’è mai stato un così avaro ricorso alle cosiddette pene alternative. Intanto la gente non ha voglia di ammettere che le pene alternative sono pene a tutti gli effetti. Io sto parlando ora dalla mia detenzione domiciliare: sono fortunato, ho una bella casa, ma la mia è una pena, sono privato della mia libertà. Figuriamoci i disgraziati che vivono una situazione peggiore della mia. Tutti i discorsi sull’edilizia carceraria e gli investimenti sono completamente destituiti di fondamento. Non ci sono soldi. Persino gli istituti già costruiti non funzionano perché non assumono il personale necessario. Si va avanti varando continuamente nuove leggi che, non solo sono offensive del diritto e della ragione, ma sono palesemente criminose e portano sempre più gente in carcere. Sto parlando delle leggi sull’immigrazione e sulla droga che hanno fatto aumentare la popolazione carceraria in maniera parossistica. I detenuti contemporanei sono una specie di volgo indistinto senza forza contrattuale che, anche per la sua differenziata composizione, non ha la forza di lottare come è avvenuto in passato. Oggi la popolazione carceraria è composta da derelitti che tuttalpiù fanno male a se stessi, non a caso i suicidi e gli autolesionismi si sono moltiplicati".
Parliamo dell’assistenza e delle cure mediche che dovrebbero essere rivolte ai detenuti. "Questo dipende molto da una galera all’altra. Le galere sono tutte pessime, ma ce ne sono di peggiori e di migliori. Spesso, anche se non sempre, il personale sanitario è molto per bene, molto dedito, ostile alle persecuzioni in nome della sicurezza".
Conosce la questione delle carceri in Sicilia? "La conosco solo indirettamente. Quando stavo in carcere e il mio indirizzo era noto mi scrivevano una quantità enorme di detenuti da ogni luogo. Penso sia una delle peggiori".
Esiste la tortura in carcere? "Un presidente di corte di appello di Milano qualche tempo fa, disse che la situazione delle carceri a San Vittore era esposta all’imputazione di tortura. Ma in Italia è così dappertutto, non solo a San Vittore. I tribunali internazionali hanno condannato l’Italia a risarcire un detenuto rom che aveva denunciato di stare in uno spazio invivibile. Cioè uno spazio insufficiente rispetto a quello riconosciuto come minimo indispensabile ad una creatura umana. In quel caso, io avevo paragonato questo spazio a quello delle galline negli allevamenti di polli. Anche i detenuti hanno diritto a non essere torturati, ma nessuno garantisce questo diritto ai giacimenti di corpi umani nelle prigioni".
Esiste la morte di carcere? "Il carcere è una sospensione della vita che poi a volte si tramuta in una morte vera".
Parlando della sua condizione personale: come vive la sua "liberta mediatica" che però si scontra con la realtà di una reclusione reale? "Certamente sono un detenuto. Non ho mai cercato alcun privilegio: ho conosciuto la realtà delle carceri, mi sarei vergognato di non conoscerla. Nel 1970 sono stato in carcere alle "Nuove" di Torino: segrete spaventose, identiche a come erano nell’Ottocento. Sono stato a Saluzzo, Bergamo, Firenze, Pisa. Proprio a Pisa ho trascorso nove anni di carcere. Qui avevo una cella singola perché ero un uomo vecchio e stanco che aveva bisogno di solitudine. Poi una notte in galera sono quasi morto e mi hanno messo fuori per ragioni sanitarie che ancora sussistono. Dopo di che la libertà di scrivere è un diritto che nessuno statuto carcerario può negare. Sono tranquillo, la mia vita è largamente trascorsa". Giustizia: carceri come discariche umane, pena diventa tortura di Noemi La Barbera
La Repubblica, 30 novembre 2009
La detenzione in carcere: una pena con possibilità di riscatto o di morte, perché le prigioni spesso assomigliano più a discariche umane. È l’allarme del convegno nazionale "No alla pena di morte, no al carcere afflittivo", percorso dal filo rosso: punire un reato non significa far vivere il detenuto in celle degradanti, inumane, sovraffollate. Un tema questo che in una Sicilia con carceri stracolme anche di detenuti per reati mafiosi risulta ancora più spinoso. Come non pensare al 41 bis e alle parole del pm Antonio Ingroia: "Il carcere duro è l’unico strumento per dare una risposta forte al mondo carcerario di Cosa nostra, che invia all’esterno oscuri segnali". Un’idea che divide i presenti al convegno. Non sono d’accordo i garanti dei diritti dei detenuti. "È un trattamento carcerario che comprime i diritti fondamentali e infierisce sui detenuti, la pena deve essere rigorosa ma umana", dice Lino Buscemi, dirigente dell’ufficio del garante in Sicilia, sottolineando l’incostituzionalità del carcere duro. Non è della stessa opinione Orazio Faramo, provveditore regionale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: "Così si rischia di essere garantisti solo con i detenuti,e invece bisogna garantire anche il diritto della società di essere difesa, e il 41 bis è indispensabile per contrastare la criminalità organizzata". Posizioni diverse poiché considerano aspetti diversi della questione: il 41 bis come un’afflizione inutile se si guarda al detenuto, o come uno strumento in più per combattere la criminalità organizzata, interrompendo i contatti dei detenuti con l’organizzazione mafiosa. Patrizia Ciardiello, garante nella provincia di Milano, parla addirittura di ossimoro riguardo alla possibilità che il carcere in sé non sia afflittivo, mettendo in discussione il monopolio della pena detentiva. Santi Consolo, vice capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, parla anche di moduli detentivi alternativi a quelli esistenti ("in cella solo per dormire", per esempio) che possano attutire il sovraffollamento. Lo stesso Faramo sottolinea come in Sicilia con 7.700 detenuti l’emergenza del sovraffollamento sia ancor più pesante rispetto ad altre regioni, "ma tuttavia continuiamo a garantire il parametro di 3 metri quadrati a detenuto". C’è anche una nota di ottimismo nelle sue parole: "Entro 2 anni contiamo di ampliare le strutture già esistenti di 1.000 posti letto". Ma si è parlato anche di pena di morte con Lino Buscemi: "Perché la tortura, la pena di morte sono facce della stessa medaglia, lo Stato non può essere violento con chi non rispetta la legge". È stato anche presentato un volume sull’argomento che con uno sguardo agli altri Paesi dove la pena capitale continua ad essere praticata fa capire che la violenza non è un deterrente al reato. Sono temi scottanti quelli che riguardano la durezza della pena e dividono anche alcuni studenti presenti in sala dell’istituto Ipsia Ascione. Stupisce un ragazzino: "Io sono favorevole alla pena di morte - esclama - ho dei parenti in carcere e per quello che hanno fatto meritano di morire". Giustizia: i morti di carcere e la miopia di un governo illiberale di Susanna Marietti
www.linkontro.info, 30 novembre 2009
La sottosegretaria alla giustizia Alberti Casellati ha detto che non crede che i decessi nelle galere che si sono verificati per lo sciopero della fame piuttosto che per anoressia siano dovuti a una carenza di personale che interviene non tempestivamente. Ci sono dei casi in cui non si può imporre il cibo a un detenuto. Del resto, anche fuori dalle carceri, ci sono moltissime morti per anoressia che pure non inducono a ipotizzare delle insufficienze di trattamento sanitario. Ha detto anche che non crede che il problema delle morti in carcere sia collegato al sovraffollamento. Solo quando il governo eviterà di assumere indifendibili posizioni auto-assolutorie allora si potrà affrontare nella sua interezza la tragedia "penitenziaria". Ci vorrebbe il coraggio di prendere tre provvedimenti: l’abolizione della legge Fini-Giovanardi sulle droghe, l’introduzione del crimine di tortura, la istituzione di un garante nazionale delle persone private della libertà. Ci vorrebbe un decreto legge del Governo. Ma questo non è un governo liberale. Giustizia: Bonino; sì all'amnistia anche se ne beneficia premier
Italpress, 30 novembre 2009
"La situazione drammatica nelle carceri, spesso frutto di malagiustizia, richiede una grande riforma che parta dalla grande amnistia, anche la più larga possibile. Se è la premessa per fare davvero le riforme di cui la nostra giustizia ha bisogno, anche se ne beneficiasse Berlusconi, è un prezzo che si potrebbe pure pagare. Se invece a partire da queste questioni poi ci si ritrova con il solito scudo per i soliti pochi non mi sembra che sia una strada percorribile. E non è certo il processo breve la riforma della giustizia". Lo dice a Radio Radicale la vicepresidente del Senato Emma Bonino, ribadendo quanto già sostenuto ieri da Marco Pannella circa la necessità di approvare una grande amnistia ed una grande riforma, anche se a beneficiarne tra gli altri fosse pure il presidente del consiglio. Giustizia: Antigone; carceri sovraffollate per reati minori droga
Ansa, 30 novembre 2009
Sanzioni amministrative aumentate del 18,5%, richieste di programma terapeutico diminuite, invece, di quasi il 90%, questo mentre un terzo degli ingressi in carcere riguardano tossicodipendenti (30.500 su 92 mila ingressi nel 2008): la linea dura nei confronti di chi produce, traffica e detiene droga si è tradotta in un intasamento del sistema penale da parte "di soggetti dal profilo criminale più basso". A fare il punto sull’applicazione delle legge Fini-Giovanardi, che nel 2006 ha inasprito le sanzioni, è la versione aggiornata del Libro Bianco di Antigone e Forum droghe presentato durante un incontro con l’ associazione Radicale Adelaide Aglietta di Torino. Dall’entrata in vigore della legge - rileva il rapporto - le segnalazioni per il reato di spaccio sono aumentate del 13%, mentre quelle per il reato più grave di associazione a fini di spaccio sono diminuite del 15%. Questo ha notevoli conseguenze sul sistema carcerario: le segnalazione in stato di arresto sono state il 18,4% in più, quelle di stranieri sono aumentate di un quarto. Sono 28.800 le persone entrate negli istituti penitenziari per reati legati alla droga (produzione, detenzione e spaccio), mentre, dal 2006 (dopo l’indulto) il numero delle misure alternative è crollato: a fronte di quasi 15 mila tossicodipendenti attualmente detenuti sono 1.200 quelli in affidamento terapeutico, meno di un terzo rispetto all’inizio del 2006. Si predilige la detenzione in carcere, mentre, conclude il rapporto, "è dimostrato che i tassi di recidiva per chi sconta una pena alternativa sono molto più bassi e i costi di gestione inferiori". Giustizia: Radicali; Governo risponda interpellanze sul carcere
Il Velino, 30 novembre 2009
"Al sovraffollamento senza precedenti degli istituti di pena che impone alla comunità penitenziaria condizioni di vita e di lavoro inumane, oggetto di continue condanne da parte dell’Europa, si aggiungono i dati impressionanti sulle morti in carcere: 160 detenuti morti nel solo 2009, di cui 66 per suicidio. In non pochi casi, poi, si tratta di persone che sarebbero state assolte, visto che per le ingiuste detenzioni lo Stato italiano paga centinaia di milioni di euro come risarcimento. Mentre il Governo non risponde alle interrogazioni e si nasconde dietro il periodico annuncio di un contraddittorio "piano carceri", è impensabile che il Parlamento continui ad abdicare al suo ruolo di indirizzo e di vigilanza, impedendo al Paese di conoscere quali sono gli interventi e le soluzioni della politica a queste vera e propria emergenza nazionale". Lo ha dichiarato Mario Staderini, segretario di Radicali italiani, che ha inoltre ricordato la lotta non violenta di digiuno dal cibo della collega Rita Bernardini, insieme ai dirigenti e militanti Radicali, per ottenere la calendarizzazione di una mozione che, promossa dalla delegazione radicale nel gruppo del Pd, è stata di già sottoscritta da 78 deputati. "Cosa aspetta - si domanda Staderini - la conferenza dei capigruppo, ai cui membri ho scritto oggi una lettera, per avviare il grande dibattito sulle carceri e calendarizzare la discussione ed il voto sull’unica mozione che prefigura un percorso ragionevole di superamento dell’emergenza? Sarebbe da irresponsabili - conclude - aspettare il prossimo suicidato per affrontare con urgenza, nella sede parlamentare, l’ultimo anello della malagiustizia italiana". Giustizia: le colpe dei padri (detenuti), ricadono anche sui figli di Francesca D’Elia
www.linkontro.info, 30 novembre 2009
Angelo è in carcere da quasi 14 anni, e ha subito diversi trasferimenti. Da ormai 15 mesi si trova nel carcere di Melfi. La sua storia detentiva (e non solo, considerati i riflessi sulla sua persona e sulla famiglia) è nota a chi si occupa di carcere: è stata sottoposta a noi come al Ministro della Giustizia. Non può non essere raccontata. Salvo un periodo di due mesi trascorso a Taranto nel 2008, Angelo, originario di quelle parti, ha sempre trascorso la sua detenzione lontano da casa. La lontananza dai due figli minori, ora di 13 e 15 anni, ha implicato l’impossibilità di vederli, con indubbie conseguenze, sia rispetto alle prospettive di reinserimento del padre, sia rispetto allo sviluppo emotivo e relazionale dei figli. È infatti impossibile per i familiari spostarsi, sia per motivazioni economiche (i risparmi della famiglia, infatti, sono stati pressoché tutti impiegati per la vicenda giudiziaria), sia a causa della salute dei figli. Il più piccolo soffre di cinetosi e di gravi stati di ansia, al punto che aveva difficoltà e malori negli spostamenti per far visita al padre anche nel periodo in cui è stato provvisoriamente assegnato a Taranto, a soli 15 km da casa. Le visite specialistiche hanno attestato l’assoluta impossibilità del ragazzino a viaggiare. Non è esente da problemi di salute anche il figlio più grande, colpito da depressione al pari del fratellino, sempre a causa della lontananza dal padre, e dal non averlo incontrato per un lunghissimo periodo di tempo, come accertato dal Tribunale dei Minorenni di Taranto che, nel 2007, ha dichiarato la necessità di un apporto psicologico da parte dei servizi sociali in favore di entrambi i ragazzi. L’insorgere dei problemi psicologici dei figli risale al periodo detentivo trascorso dal padre a Carinola, durante il quale la famiglia non ha potuto recarsi in visita ad Angelo per più di due anni. Allo stato, sono più di 15 mesi che i figli non hanno la possibilità di far visita al padre. Abbiamo sottoposto la vicenda all’attenzione dell’amministrazione penitenziaria, auspicando il trasferimento di Angelo nell’istituto più vicino alla residenza della famiglia (come, per altro, prevede l’ordinamento penitenziario). Peraltro, Angelo ha sempre tenuto in carcere un comportamento corretto e, in ogni caso, nel pieno rispetto delle regole degli istituti nei quali è stato recluso, come riportato nelle relazioni degli operatori penitenziari. Proprio per questo ha anche ottenuto lo sconto di pena previsto dalla "liberazione anticipata" per un totale di 1080 giorni. Sappiamo che il caso è nuovamente in corso di valutazione negli uffici dell’Amministrazione penitenziaria. Speriamo che le colpe dei padri possano smettere di ricadere sui figli. Giustizia: Uil; tre morti, tre tentativi di suicidio e sei agenti feriti
Adnkronos, 30 novembre 2009
Tre morti, tra cui un suicidio, tre vite salvate da agenti penitenziari, sei agenti feriti, un tentativo di evasione e tumulti e proteste in molti penitenziari italiani. Questo il bilancio della settimana appena trascorsa, "l’ennesima settimana critica per il sistema penitenziario", tracciato da Eugenio Sarno, il segretario generale della Uil PA Penitenziari, intervenendo al convegno "Emergenza Carcere" organizzato ieri dalle Camere penali italiane al Teatro Politeama di Napoli. "Alle 24 di ieri - riassume Sarno - la conta dei detenuti assommava a 65.711, di cui 62.922 uomini e 2.789 donne. Le persone detenute di nazionalità italiana sono complessivamente 41.322, quelle di origine non italiana 24.389. I detenuti in attesa di primo giudizio sono 15.229, condannati con sentenza definitiva 32.731, e 17.751 in attesa di condanna definitiva". Per Sarno, "sono numeri che parlano e si commentano da soli. Noi possiamo solo aspettare che chi ha competenza amministrative e politiche del sistema penitenziario si decida seriamente a fare qualcosa e non limitarsi ai soliti annunci". Il "tabellino" degli eventi critici della settimana nelle carceri italiane è riassunto sul sito web della Uil PA Penitenziari, www.polpenuil.it, alla voce "Diario di Bordo". Un elenco che, secondo il sindacato, traccia un quadro dettagliato della situazione. Domenica 22 novembre: a Pescara, protesta dei detenuti contro il sovraffollamento; a Turi, agenti salvano un detenuto 72enne da un tentativo di suicidio per impiccagione; a Vibo Valentia, protesta contro la gestione dell’istituto; a Pistoia, protesta dei detenuti contro il sovraffollamento. Lunedì 23 novembre: a Fermo, agenti salvano un detenuto da un tentativo di suicidio per impiccagione;a Roma-Rebibbia, agenti salvano un detenuto in regime di 41bis da un tentativo di suicidio per impiccagione; a Potenza, proteste dei detenuti contro il sovraffollamento; a Genova-Marassi, proteste dei detenuti contro il sovraffollamento; a Saliceta, proteste degli internati contro le condizioni detentive. Martedì 24 novembre: a Verona, proteste dei detenuti contro il sovraffollamento; a Genova-Marassi, proteste e tumulti in tutto il carcere; a Cuneo, muore in cella un detenuto 24enne; a Palmi, due ergastolani tentano l’evasione nel corso di una traduzione, 2 agenti rimangono feriti; a Potenza, proteste dei detenuti contro il sovraffollamento. Mercoledì 25 novembre: a Grosseto, un detenuto appicca il fuoco al materasso in cella, viene salvato da asfissia; a Vasto, proteste dei detenuti contro il sovraffollamento; a Sondrio, un detenuto 36enne suicida in cella per impiccagione; a Vicenza, proteste dei detenuti contro il sovraffollamento; a Benevento, un detenuto "collaboratore" per protesta sale sui tetti della matricola; a Genova-Marassi, proteste dei detenuti contro il sovraffollamento. Giovedì 26 novembre: ad Ascoli Piceno, 3 agenti vengono aggrediti e feriti da un detenuto ubriaco; a Vicenza, proteste dei detenuti contro il sovraffollamento; a Roma-Regina Coeli, muore in cella un detenuto 32enne. Venerdì 27 novembre: a Milano-San Vittore, proteste in carcere contro il sovraffollamento; a Napoli-Poggio Reale, tumulti e disordini in carcere per protesta contro il sovraffollamento; a Reggio Emilia, rivolta in carcere con gravi disordini e incendi. Sabato 28 novembre: a Bologna, proteste in carcere con incendi e lanci di bombolette contro il sovraffollamento; a Roma-Regina Coeli, proteste in carcere per il sovraffollamento. Giustizia: Casellati; suicidi non conseguenti a sovraffollamento
Adnkronos, 30 novembre 2009
La "vera emergenza" nelle carceri è il sovraffollamento, ma non si può legare questo al numero dei suicidi in cella. Elisabetta Alberti Casellati, sottosegretario alla Giustizia, commenta all’Adnkronos i dati diffusi dall’Osservatorio permanente sulle morti in carcere che parlano di 160 deceduti in cella dall’inizio dell’anno, di cui 60 suicidi. L’esponente del Pdl respinge le insinuazioni sull’operato della polizia penitenziaria e dice "no al gioco al massacro". Se ci sono responsabilità, però, vanno accertate senza alibi. "C’è una situazione di sovraffollamento che sicuramente è ragione di preoccupazione, è la vera emergenza di carattere sociale, ma - avverte Alberti Casellati - non possiamo vedere i casi di suicidio come conseguenza del sovraffollamento delle carceri". "I dati li conosco, ma come numero di suicidi in carcere siamo al di sotto della media Ue. In Francia, che vive una situazione di sovraffollamento simile alla nostra, la percentuale dei suicidi è molto più alta. In ogni caso - ribadisce - non si può collegare i suicidi al sovraffollamento, le ragioni di un gesto così estremo possono essere le più varie". Quanto ai detenuti morti in carcere, "bisogna capire quali sono le patologie". In ogni caso, sottolinea Alberti Casellati, "se ci sono casi sospetti, la magistratura indaghi, ma non si possono avanzare insinuazioni così". Eppure il caso Cucchi è ancora caldo: "Ci sono le indagini in corso, noi abbiamo detto che se ci sono responsabilità devono essere accertate senza sconti per nessuno. Non vogliamo altro che emerga la verità, senza coperture di nessun tipo", assicura. "Con 66mila detenuti in continua crescita, siamo ben consapevoli che la situazione è esplosiva, fonte di gravi preoccupazioni. Stiamo chiedendo assunzioni per il personale di polizia penitenziaria. Ma non mi piace - avverte il sottosegretario - il gioco al massacro. Le proteste sono utili, ma bisogna anche proporre qualcosa di positivo e non strumentalizzare alcune situazioni". Giustizia:
Bernardini (Ri); morte detenuti per “mal di carcere” Ansa,
30 novembre 2009 Le
morti in carcere scandiscono le ore di una comunità penitenziaria sofferente,
umiliata, abbandonata. Dobbiamo dircelo chiaro: la causa più frequente delle
morti tra i detenuti è una patologia che va sotto il nome di “mal di
carcere”. È quanto dichiara Rita Bernardini, deputata Radicale-Pd. Si
manifesta quando una persona è costretta a trascorrere oltre 20 ore al giorno
in meno di 3 metri quadri, una ristrettezza che è vietata anche per gli animali
negli zoo. Si
manifesta quando a questa persona viene fornito un vitto quotidiano al costo
complessivo di 3 euro e 50 centesimi, quando nelle celle manca l’acqua calda
(e spesso anche il riscaldamento), quando nelle celle manca perfino la carta
igienica. Si
manifesta quando la visita di un medico specialista richiede settimane e a volte
mesi di attesa e quando le infermerie delle carceri non hanno a disposizione i
farmaci e i detenuti devono comperarli con i propri soldi (ammesso li abbiano). Si
manifesta quando gli psicologi riescono a dedicare a ogni detenuto 10 minuti di
colloquio ogni anno. Si
manifesta quando una persona viene incarcerata e attende per mesi o per anni
prima di avere un processo. Si
manifesta quando due terzi di tutti i detenuti condannati sono nelle condizioni
oggettive per ottenere una misura alternativa e non la ottengono. I
sintomi del “mal di carcere” sono i suicidi, sono le morti accidentali
causate dalla ricerca dello “sballo” tramite l’inalazione di gas, sono gli
scioperi della fame protratti fino alla morte, sono i decessi “inaspettati”,
per malattie che fuori dal carcere sarebbero curabilissime e invece in carcere
diventano fatali, sono le esplosioni di violenza, contro se stessi con gli
autolesionismi, o contro gli altri, con le aggressioni agli agenti, che fanno le
spese anch’essi di questa situazione da incubo. Bernardini
replica a Capece: che fa, oltre a criticare? “Non
mi metto a sindacare quale sia stata l’attività per risolvere il problema
delle carceri portata avanti del segretario generale del Sappe Donato Capece. Quello
che so è che da quando abbiamo promosso l’iniziativa del Ferragosto, delle
drammatiche condizioni delle carceri italiane si parla molto di più, si hanno
molte più informazioni e i parlamentari sono più consapevoli del loro ruolo
rispetto che sta divenendo ogni giorno di più ingovernabile”. Lo dice Rita
Bernardini, Deputata Radicale - Pd e componete della Commissione giustizia
replicando al segretario del Sappe, Capece. “Quello
che so - continua - è che, assieme ai miei compagni radicali, sono al 12°
giorno di sciopero della fame affinché sia calendarizzata la mozione sulle
carceri, presentata dai radicali, mozione che ha raccolto le firme di 78
deputati per impegnare il governo a varare “una riforma davvero radicale in
materia di custodia cautelare preventiva, di tutela dei diritti dei detenuti, di
esecuzione pena e, più in generale, di trattamenti sanzionatori e
rieducativi”. Mozione che prevede tutta una serie di misure - compreso l’adeguamento degli organici di agenti, educatori e psicologi - che nel giro di poco tempo potrebbero portare tutto il sistema a respirare dopo lunghi anni di sofferenza e di abbandono. Noi usiamo la nonviolenza come strumento di dialogo per cambiare le cose: Capece che fa, oltre a criticare e a seminare zizzania nel momento in cui dovremmo essere tutti impegnati nella soluzione dei problemi?”. Giustizia: lo psichiatra; rischio suicidio in prime fasi detenzione
Adnkronos, 30 novembre 2009
Il rischio suicidio in carcere "è più alto nelle primissime fasi della detenzione. E non è legato alla lunghezza della pena. Il sovraffollamento delle prigioni italiane certo non aiuta, anzi favorisce fenomeni imitativi. Chi assiste a un suicidio, infatti, è traumatizzato e dunque più vulnerabile". Lo spiega all’Adnkronos salute lo psichiatra Maurizio Pompili, ricercatore della Sapienza di Roma e coordinatore del Centro prevenzione del suicidio all’ospedale Sant’Andrea, una della pochissime strutture in Italia dedicata al contrasto a questo fenomeno nella popolazione, che ogni anno fa contare 4 mila vittime (3 mila uomini e mille donne). Commentando l’allarme dell’Osservatorio permanente sulle carceri, che segnala 66 suicidi dall’inizio dell’anno fra i detenuti, lo psichiatra sostiene che "il vero problema è la mancanza di prevenzione: così, spesso, i suicidi in carcere sono morti annunciate. Questo perché le comunicazioni o i segnali di allarme da parte del detenuto che si è tolto la vita sono rimasti inascoltati". Mancano linee guida e una formazione mirata "fra gli agenti, che hanno bisogno essi stessi di assistenza, dal momento che secondo i nostri dati risultano esposti al problema". Secondo l’esperto però "le cose sono destinate a cambiare. La premessa indispensabile è che lo stesso ministro della Giustizia Angelino Alfano - dice - ci ha scritto di suo pugno, in occasione della Giornata di prevenzione del suicidio in settembre, per segnalarci che prevenire queste morti nelle carceri è per il suo ministero una priorità". Pompili sta portando avanti uno studio di screening nel carcere romano di Rebibbia, proprio per capire quali siano i fattori di rischio e che impatto abbia su una persona il fatto di assistere a un suicidio. "Abbiamo rilevato dati su 300 detenuti - anticipa - e i risultati preliminari ci portano a dire che il fatto di essere testimoni di un tentativo di darsi la morte o di un suicidio vero e proprio ha un grandissimo impatto". Un trauma che, dice Pompili, non deve essere sottovalutato da parte di chi può fare prevenzione. "Occorre però un programma adeguato, per cercare di trasferire l’esperienza degli istituti psichiatrici nelle carceri e formare chi può rilevare i segnali di allarme". In generale "abbiamo visto in questi anni di ricerche che il momento più delicato è, appunto, quello delle prime fasi di detenzione, anche per chi è in attesa di giudizio. Che si suicidano di più le persone che devono scontare una pena breve, rispetto a quelle che hanno di fronte una condanna molto lunga. E che gli uomini sono più a rischio delle donne". Ancora oggi "troppo spesso non si bada ai segnali di allarme, alle dichiarazioni di chi dice di volersi togliere la vita. Ma si tratta di parole che vanno considerate, perché - conclude lo psichiatra - i suicidi si possono prevenire, anche in carcere". Giustizia: Osapp; protesta detenuti a San Vittore e in altri istituti
Adnkronos, 30 novembre 2009
Protesta dei detenuti a San Vittore e in altre carceri in tutta Italia. È quanto rende noto Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, per il quale, "a Milano, come a Regina Coeli, Reggio Emilia e Poggioreale, i detenuti stanno manifestando con tutto quanto possa produrre disagio, intralcio, intoppo al lavoro svolto dai nostri colleghi in servizio anche con lancio di bombolette trasformate in veri e propri ordigni esplosivi". "A San Vittore - continua Beneduci - i detenuti sono arrivati a più di 1.500, a fronte di una presenza regolamentare di 800 posti letto, ma qui non è solo un problema di sovraffollamento, come in tutto il Paese del resto. A Napoli-Poggioreale, situazione assurda, si contano presenze intorno al numero di 2.700 unità quando i detenuti dovrebbero essere al massimo 1.400 e ci sono camerate da 15 posti che ne ammassano 40 con letti a castello fino al quarto piano. Qui gli agenti impiegati in sezione sono non più di 50 per turno, e a Milano non superano i 30, ma del carcere si continua a parlare solo in chiave di violenza e di maltrattamenti". Per Beneduci, "che dietro tutto questo non ci sia la richiesta di una amnistia è evidente, anche se i detenuti urlano a gran voce le parole riforma e rivolta. Ma che le nostre carceri siano sempre più insicure ed inefficienti non ci vuole poi tanto a capirlo". "La morte di Stefano Cucchi - continua il segretario dell’Osapp - ha scatenato un effetto a catena e in tutta Italia oggi si assiste ad un fenomeno particolare per cui i reclusi al primo segno di malore si rifiutano di stare in cella, e i medici, non volendo più assumersi la responsabilità, provvedono al ricovero immediato all’esterno della struttura con ulteriori poliziotti penitenziari incaricati del piantonamento in ospedale". "Ma non sono le proteste sostanzialmente pacifiche quali quelle in atto oggi a preoccupare i poliziotti penitenziari che cominciano a smontare dopo anche 12 ore di servizio continuativo e che devono rinunciare ai riposi e ai congedi dovuti - afferma Beneduci - oggi più che mai è la palese inerzia della politica e delle istituzioni che temiamo, che in periferia si fa sentire come non mai". "Ma quello che temiamo più di tutto - conclude - è la crescente inconsistenza dell’Amministrazione Penitenziaria, che come di riflesso, sta creando ulteriori difficoltà negli istituti penitenziari". Toscana: la Regione compererà 4.500 materassi, per i detenuti
Il Tirreno, 30 novembre 2009
Vivo apprezzamento ha riscosso al Don Bosco di Pisa la visita dell’assessore al diritto alla salute della Regione Toscana, Enrico Rossi, che nell’occasione era accompagnato dal sindaco Marco Filippeschi e dal direttore generale dell’Azienda Usl 5 di Pisa Maria Teresa De Lauretis. L’assessore Rossi ha visionato le strutture del presidio ospedaliero, maschile e femminile, con particolare riferimento alla sala operatoria (che è rimasta l’unica funzionante su tutto il territorio nazionale con una lunga lista di prenotazione) ed il servizio Tac, esprimendo vivo compiacimento per l’operatività dei servizi. Nel cortile all’ora d’aria ha avuto modo di intrattenersi a lungo con i degenti provenienti da ogni parte d’Italia che hanno rappresentato le loro esigenze più importanti: una giustizia più a misura d’uomo, un vitto più adeguato e l’acqua calda per lavarsi. Qualcuno è riuscito a raccontargli la propria storia contraddistinta dalla miseria e dal bisogno. L’assessore Rossi ha avuto una parola d’incoraggiamento per tutti. Agli stessi degenti l’Azienda Usl di Pisa da un anno mette a disposizione materassi, lenzuola, coperte e cuscini, unitamente ad un set fornito di spazzolino da denti, dentifricio, saponetta, shampoo e disinfettante. L’assessore Rossi ha quindi preannunciato la delibera della giunta per acquisire risorse fresche per le Aziende Usl per potenziare il personale sanitario con particolare riferimento ai servizi essenziali dei medici di guardia, degli infermieri e degli specialisti soprattutto psichiatri e psicologi e per rinnovare le apparecchiature medicali al fine di far fronte in modo adeguato al sovraffollamento carcerario con numeri mai raggiunti nella Regione Toscana - circa 4.500 detenuti con la disponibilità di 2.750 posti letto. E ha preannunciato che la Regione acquisterà 4.500 materassi per metterli a disposizione dei 4.500 detenuti che sono presenti nelle carceri toscane. Con la nomina fresca in tasca di unico candidato del Pd a Governatore della Regione Toscana, Enrico Rossi ha voluto cominciare il suo tour partendo dagli ultimi, da quella che è una fetta di umanità ferita. Questo gli fa onore e fa presagire la sua profonda sensibilità politica e sociale. Firenze: internato 35enne muore di infarto all'Opg Montelupo
Ansa, 30 novembre 2009
Un uomo di 35 anni, Maurizio Piscioli, arrestato a Brescia nell’agosto del 2008 e successivamente internato nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino, è stato trovato morto ieri sera per quelle che - secondo quanto si è appreso in ambienti dell’amministrazione penitenziaria- vengono indicate come cause naturali. L’uomo sarebbe morto per arresto cardiocircolatorio. Avrebbe terminato di scontare la misura di sicurezza nell’Opg a settembre del prossimo anno. Roma: Pedica (Idv); a Regina Coeli un detenuto rischia la vita
Ansa, 30 novembre 2009
"Ho avuto modo più volte, durante le visite di questi ultimi tempi di parlare con un giovane ragazzo ex tossicodipendente con diverse patologie ed in sedia a rotelle che da oltre un mese rifiuta il cibo e da due giorni anche l’acqua, soggetto che potrebbe morire da un momento all’altro". Lo ha detto il senatore il senatore dell’Idv Stefano Pedica che questa mattina ha visitato il carcere di Regina Coeli a Roma. "Mi dicono alcuni responsabili dell’istituto - ha spiegato Pedica - che non dovrebbe stare in carcere ma non ci sono comunità disposte ad accoglierlo e lui per questo ha deciso di lasciarsi morire". Pedica ha inoltre ricordato che "è iniziata da ieri una protesta pacifica di battitura delle sbarre messa in atto da 120 detenuti contro il sovraffollamento e contro l’inerzia del governo e del ministro Alfano a risolvere l’emergenza carceraria e i detenuti minacciano di iniziare in massa uno sciopero della fame".
Il direttore: solo un detenuto è "incompatibile"
"A Regina Coeli non ci sono dieci casi di detenuti incompatibili con il regime carcerario, ce n’è soltanto uno". Lo afferma il direttore del carcere di Regina Coeli, Mauro Mariani, replicando a quanto detto dal senatore dell’Idv Stefano Pedica dell’Idv. "Si tratta - ha spiegato - di B.G., di 32 anni, che ha un definitivo di pena fino al 2033 ed ha problemi di coagulazione. Peraltro è un caso già segnalato al tribunale di sorveglianza per il differimento della pena". Mariani si è detto "solidale con tutti gli operatori penitenziari ed in particolare quelli sanitari. I detenuti di Regina Coeli oggi non hanno replicato la "battitura", protesta attuata ieri dai 110 detenuti dell’ottava sezione, quelli con reati per violenza sessuale e pedofilia. A quanto si è appreso i detenuti più partecipi alla protesta sono stati proprio quelli accusati di reati sessuali, in particolare romeni, che giudicano l’attuale legislazione troppo penalizzante per loro. Napoli: Osapp; 40 detenuti in cella, con letti a castello di 4 piani
Ansa, 30 novembre 2009
Stretti in celle sempre più sovraffollate, i detenuti protestano in numerose carceri italiane: le manifestazioni - rende noto il sindacato penitenziario Osapp, che lancia l’allarme "crisi penitenziaria" - si sono allargate a Milano San Vittore, Roma Regina Coeli, Reggio Emilia e Napoli Poggioreale. "I detenuti - afferma Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp - stanno manifestando con tutto quanto possa produrre disagio, intralcio, intoppo al lavoro svolto dai nostri colleghi in servizio anche con lancio di bombolette trasformate in veri e propri ordigni esplosivi". A San Vittore i detenuti sono arrivati a più di 1.500, a fronte di una presenza regolamentare di 800 posti letto; a Napoli-Poggioreale, la situazione è "assurda" - denuncia l’Osapp - perché "si contano presenze intorno al numero di 2.700 unità quando i detenuti dovrebbero essere al massimo 1.400 e ci sono camerate da 15 posti che ne ammassano 40 con letti a castello fino al quarto piano". Gli agenti impiegati in sezione a Poggioreale sono non più di 50 per turno, e a Milano non superano i 30, ma - aggiunge Beneduci - "del carcere si continua a parlare solo in chiave di violenza e di maltrattamenti". Il sindacato denuncia la "palese inerzia della politica e delle istituzioni" nell’affrontare l’emergenza carcere e fa notare come la morte di Stefano Cucchi abbia "scatenato un effetto a catena, in tutta Italia" per cui "i reclusi al primo segno di malore si rifiutano di stare in cella, e i medici, non volendo più assumersi la responsabilità, provvedono al ricovero immediato all’esterno della struttura con ulteriori poliziotti penitenziari incaricati del piantonamento in ospedale". Bologna: sovraffollamento e pochi permessi, protesta detenuti di Carlo Gulotta
La Repubblica, 30 novembre 2009
Nel carcere dove vivono in quattro in celle di nove metri quadri e dove i detenuti sono più del doppio della capienza regolare divampa la protesta: sabato pomeriggio, alla Dozza, i detenuti esasperati dal sovraffollamento ormai intollerabile hanno cercato di dar fuoco ad alcuni materassi e hanno scagliato nei corridoi le bombolette di gas che usano per cucinare. Mobilitati gli agenti di custodia. Una situazione letteralmente esplosiva denunciata dalla Uil penitenziaria, che parla di "disordini" ancora più gravi e incendi nel carcere di Reggio Emilia, confermata ieri da altre fonti interne alla Dozza e di cui ha avuto notizia anche il garante per i diritti dei detenuti Desi Bruno. "Tutto vero - assicura il garante - e sono sempre di più anche a Bologna quelli che fanno ricorso alla Corte Europea che pochi mesi fa ha condannato l’Italia per la violazione dell’articolo 3 sui diritti dell’uomo: lo spazio minimo vitale per i detenuti alla Dozza ormai viene violato sistematicamente. I ricorsi, fra l’altro, non vengono presentati per ottenere privilegi, peraltro impossibili perché non ci sono prospettive a breve, ma solo per mandare un segnale all’esterno". Dietro le sbarre di via del Gomito i detenuti sono 1.178 contro una capienza teorica di 480. Circa 300 i tossicodipendenti. I due terzi degli ospiti sono in attesa di giudizio, e quasi due su tre sono stranieri. Nell’anno in corso sono stati concessi 89 permessi premio contro i 207 del 2008. Per non parlare delle guardie, costantemente sotto organico. Così, archiviate le proteste a suon di pentole sbattute sulle sbarre, l’altro giorno i detenuti hanno alzato i toni. "Nulla di grave e nessuno è rimasto ferito - sostiene un vecchio agente della Penitenziaria che conosce bene la Dozza - ci sono stati solo dei tentativi di incendio ai materassi ma non è stato necessario chiamare i vigili del fuoco. Ma le bombolette di gas lanciate nei corridoi, le urla e la tensione ci sono state eccome". La garante dei detenuti e il presidente della Camera Penale Elisabetta D’Errico attaccano il Tribunale di Sorveglianza per il drastico calo delle misure alternative nell’ultimo anno. "Il carcere non è più in grado di garantire i diritti fondamentali delle persone. A breve indiremo lo stato di agitazione con una delibera". Genova: il Sindaco; costruire navi-prigione, ma non per il porto
La Repubblica, 30 novembre 2009
Marta Vincenzi affronta con i lavoratori della Fincantieri la delicata partita delle carceri galleggianti da far costruire al cantiere in crisi di commesse e chiarisce che il suo "no" era legata alla possibile collocazione del manufatto dentro al porto di Genova. Dal no a prescindere al no geografico. Marta Vincenzi affronta con i lavoratori della Fincantieri la delicata partita delle carceri galleggianti da far costruire al cantiere in crisi di commesse e chiarisce che il suo "no" era legata alla possibile collocazione del manufatto dentro al porto di Genova. Sempre meglio, comunque, altre realizzazioni. Il sindaco e gli assessori Mario Margini e Gianni Vassallo incontrano una rappresentanza dei lavoratori di Fincantieri firmatari della lettera in cui gli stessi chiedevano l’impegno di Tursi a sostenere la cantieristica, alla luce della possibile realizzazione a Genova delle chiatte galleggianti ad uso carcere proposte dal ministro Alfano. L’incontro va in scena alle 6 e mezza di venerdì pomeriggio e serve al sindaco per ribadire la centralità di Fincantieri per il tessuto produttivo e per la città nel suo complesso. In questo senso il Comune ha già sottoscritto un protocollo d’intesa che ha permesso l’impostazione dell’accordo di programma per lo spostamento a mare, con ampliamento, dello stabilimento Fincantieri di Sestri-Multedo, in modo da assicurare una competitività strategica alla Fincantieri di Genova. L’accordo di programma, che ha visto il coinvolgimento di tutte le istituzioni locali, secondo la Vincenzi, adesso ha però bisogno del sostegno, anche economico, del Governo, con intervento a tempi brevi dei ministeri competenti, così da consentirne la conclusione entro il 2010. A questo proposito, amministratori e lavoratori condividono che questo obiettivo debba essere sostenuto da tutti con il massimo impegno. Il sindaco, infine, in merito alla ventilata costruzione di carceri galleggianti, chiarisce "che la posizione contraria dell’amministrazione non è riferita ad eventuali scelte produttive ma alla collocazione di queste strutture nell’ambito cittadino. Mi auguro comunque che si propongano a Fincantieri commesse di tipo polivalente, anche utilizzabili nelle situazioni locali (piattaforma offshore, parcheggi galleggianti e strutture polivalenti di protezione civile)". Alghero: Caligaris (Sd); nel carcere scarsa igiene, topi in cucina
Agi, 30 novembre 2009
"Nella Casa Circondariale di Alghero si registrano scarsa igiene e la presenza di ratti soprattutto nei locali delle cucine". Lo denuncia la presidente di "Socialismo Diritti Riforme" Maria Grazia Caligaris, dopo le segnalazioni pervenute all’associazione. "Abbiamo registrato - sottolinea - molta preoccupazione non solo tra i familiari dei detenuti ma anche tra diversi operatori del carcere per le condizioni di igiene in cui si trovano numerosi locali. La scarsa manutenzione degli spazi e degli arredi sta provocando disagio tra i detenuti e gli agenti di polizia penitenziaria. Occorre con urgenza effettuare un’accurata derattizzazione e una disinfestazione degli ambienti adiacenti alle zone destinate alla conservazione e alla preparazione degli alimenti". "L’elevato numero di detenuti - ha concluso l’esponente socialista - non sempre consente di garantire l’adeguatezza della dieta creando situazioni di tensione". Reggio Emilia: nove detenuti "rivoltosi", trasferiti altre carceri
La Gazzetta di Reggio, 30 novembre 2009
Dopo l’improvvisa rivolta avvenuta in una sezione del carcere reggiano della Pulce, e messa in atto da un gruppo di detenuti nordafricani, è stato disposto il trasferimento ad altre strutture di 9 detenuti. Ieri mattina infatti nove giovani extracomunitari, che avevano provocato la sommossa dell’altra sera, sono stati suddivisi nelle carceri di Bologna, Modena, Piacenza e Ferrara. "Temiamo che "radiocarcere" possa organizzare una protesta a livello nazionale. Sarebbe grave se in tutte le carceri d’Italia dovessero esserci delle proteste in contemporanea ed è quello che pensiamo possa succedere. Radiocarcere, come la chiamiamo, si sta organizzando". Così ha dichiarato ieri Donato Capece, segretario del Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria. La sommossa reggiana è scoppiata verso le 22 di giovedì all’interno del carcere di via Settembrini. Tredici detenuti extracomunitari della sezione detentiva, che attualmente ospita 75 persone, servendosi delle bombolette scaldavivande hanno incendiato alcuni stracci, che hanno poi lanciato nei corridoi della sezione. Le fiamme hanno raggiunto un’altezza di circa un metro e mezzo. La rivolta è stata completamente domata dagli agenti della polizia penitenziaria del carcere. Alla base della protesta c’era il grave problema del sovraffollamento nel carcere reggiano. I rivoltosi invocavano l’amnistia. Modena: Pd; i detenuti sono il doppio, è emergenza umanitaria
La Gazzetta di Modena, 30 novembre 2009
"Carcere, a Modena siamo ai limiti dell’emergenza umanitaria": non hanno alcun dubbio i consiglieri del Pd Paolo Trande, Francesco Rocco, Maurizio Dori, Giulia Morini che assieme al sindaco Pighi e il presidente del consiglio Caterina Liotti hanno visitato il Sant’Anna. ieri mattina hanno incontrato il direttore del carcere Paolo Madonna e visitato i diversi reparti dell’Istituto di detenzione. Trande, capogruppo Pd: "Il mix sovraffollamento e carenza di personale - spiega - crea una miscela esplosiva di grande pericolosità. Gli agenti di polizia penitenziaria in servizio effettivo sono 134 a fronte di una pianta organica di 220 unità e sono costretti a turni massacranti. I 574 detenuti (la capienza del carcere è di 220 unità) sono stipati in celle minuscole dove in 5 dividono uno spazio per due persone. Ovunque ci sono materassi per terra, le condizioni igieniche sono disastrose, persino l’ambulatorio di psichiatria è stato trasformato in cella". "Siamo molto lontani - sottolinea il rappresentante democratico - dai proclami lanciati in questi mesi dalla destra. Delle 41 guardie annunciate in maggio ne sono arrivate finora solo 7. Resta la speranza che a gennaio arrivino almeno i ventuno agenti promessi. Mentre dei centocinquanta detenuti che dovevano essere trasferiti, finora hanno lasciato il carcere solo in 50. Come se non bastasse - prosegue Trande - il sistema di videosorveglianza è obsoleto e mancano i sistemi antiscavalcamento mentre il perimetro del carcere non è sorvegliato perché i militari inviati a Modena dal governo si occupano solo del Centro di identificazione ed espulsione". "Insomma - conclude il capogruppo del Partito democratico - una situazione drammatica alla quale gli agenti riescono a far fronte solo grazie a grandi sacrifici personali e a un notevole senso di responsabilità". In questo drammatico contesto, interviene Enrico Aimi, consigliere regionale del Pdl che dichiara: "La sinistra dopo aver sostenuto l’immigrazione ad oltranza ora si straccia le vesti. La soluzione? Gli immigrati scontino la pena nelle carceri dei paesi di provenienza". Napoli: in centinaia provano la finta cella allestita in centro città
Ansa, 30 novembre 2009
Una cella simile in tutto a quelle in cui, in condizioni di disagio e sovraffollamento, vivono i detenuti delle carceri italiane: spazi angusti, un letto a castello a tre livelli, le sbarre alla finestra, gli arredi consunti. E all’ingresso agenti (veri) della polizia penitenziaria che simulano le procedure applicate nei primi momenti della detenzione: perquisizione, prelievo delle impronte, foto segnaletica e infine l’accompagnamento in cella. Oltre 250 persone, in maggior parte giovani, hanno vissuto oggi questa esperienza entrando nel simulacro di carcere allestito a Napoli, in piazza dei Martiri (il cosiddetto salotto buono della città) nell’ambito della Giornata per la legalità della pena. Una iniziativa - alla quale hanno aderito varie associazioni, tra cui la Camera penale di Napoli e Il carcere possibile onlus - promossa per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle difficili condizioni affrontate quotidianamente negli istituti di pena italiani da oltre 65mila reclusi di cui 18mila ancora in attesa di un giudizio definitivo. L’iniziativa, denominata Detenuto per un minuto, ha suscitato l’interesse dei napoletani accorsi numerosi nonostante la giornata di pioggia. "Un minuto che è sembrato un’eternità", ha commentato un ragazzo all’uscita della cella. La kermesse sulla questione carceraria è poi proseguita nel pomeriggio con un dibattito al teatro Politeama. "Esiste un’emergenza carceri e nonostante vi sia la consapevolezza di questa emergenza nulla o poco viene fatto per lenire le sofferenze dei detenuti che inevitabilmente si estendono alle loro famiglie", ha spiegato l’avvocato Michele Cerabona, presidente della Camera penale di Napoli. L’avvocato Riccardo Polidoro, presidente del Carcere possibile (un’associazione che da anni si batte per migliorare le condizioni carcerarie), ha sottolineato come la protesta, sfociata ieri anche in una astensione dei penalisti dalle udienze, sia "contro l’inerzia del governo". Il carcere "è un problema di tutti", ha detto Polidoro chiamando in causa "il disinteresse totale della politica". Per il presidente del Carcere possibile, i problemi principali sono rappresentati soprattutto dal sovraffollamento, dal mancato rispetto del diritto alla salute e dalle condizioni igienico-sanitarie "disastrose". Ed ha ricordato, come esempio, il caso di un recluso di Poggioreale al quale per gravi motivi di salute i magistrati riconobbero l’incompatibilità con le detenzione carceraria e che dovette comunque aspettare quattro mesi per essere sottoposto a un intervento chirurgico. Altri disagi denunciati riguardano l’insufficienza dei colloqui con i familiari, le carenze di personale (vi è un educatore ogni 1000 detenuti e i vincitori di un concorso del 2004 non sono ancora entrati in servizio per mancanza di stanziamenti) e le difficili condizioni in cui lavorano gli agenti della polizia penitenziaria. Il cappellano di Poggioreale don Franco Esposito ha letto un messaggio del cardinale di Napoli Crescenzio Sepe che ha sottolineato, tra l’altro, la necessità di rispettare la dignità del detenuto e la rieducazione che deve accompagnarsi all’espiazione della pena. Per Egle Pilla, segretario della sezione di Napoli dell’Associazione magistrati, i giudici devono ‘vedere il momento carcerario come momento ultimo, come estrema ratio senza essere condizionati dalle sollecitazioni di un’opinione pubblica che spesso chiede ai magistrati di "buttare la chiave". Augusta: IV mostra delle opere dei detenuti verso la conclusione
La Sicilia, 30 novembre 2009
Si sta per concludere presso la sede della Stella Maris in via Umberto 131 ad Augusta la 4° "Mostra dei manufatti artigianali in ceramica e ferro battuto" realizzati da alcuni detenuti della casa di reclusione di Augusta sotto la direzione artistica di Simona Farina, esperto del campo. I detenuti che seguono il corso di ceramica all’interno del carcere e le cui opere sono in mostra fino a stasera alla Stella Maris sono in tutto 11, di cui 4 stranieri, un cinese (il più bravo di tutti, ci dicono), un rumeno, un polacco e un africano, e 7 italiani. Quest’anno il corso di ceramica si è aperto verso l’esterno e alcuni studenti del locale liceo Mègara sono andati settimanalmente dentro la casa di reclusione a imparare come creare oggetti in ceramica, insieme alle persone detenute, dall’insegnante Simona Farina. Questo esperimento degli studenti che entrano in carcere per imparare un’arte si è allargato anche alla pittura e questo esperimento è stato ancora più eclatante perché il "docente" è un giovane albanese detenuto, Bocaj, che ha un talento naturale, non ha fatto studi specifici ma vuole condividere con questi liceali il suo amore per la pittura. Il ricavato dell’eventuale vendita degli oggetti in mostra sarà devoluto alla missione di Bafatà in Guinea Bissau e alla scuola-baraccopoli Mailisaba a Nairobi in Kenya.
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