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Giustizia: diritti umani non rispettati, in carceri della vergogna di Gianni Morrone (avvocato, presidente della Camera penale di Padova)
Il Mattino di Padova, 28 novembre 2009
La condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, per fatti di mala giustizia, ormai non fa più notizia. E l’abitudine, si sa, abbassa il livello di guardia. Eppure il dramma delle carceri italiane è sotto gli occhi di tutti: condizioni sanitarie al collasso, detenuti stipati in 8 o 9 per cella, costretti a mangiare in piedi e un po’ piegati di lato, come nella Casa Circondariale di Rovigo, ma non solo. Eppure l’Italia ha firmato quella Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo che, tra l’altro, impone agli Stati l’obbligo di assicurare condizioni di detenzione conformi alla dignità umana. Un carcere, ancorché solo sovraffollato non può rispettare la dignità umana. Secondo il Comitato Europeo di Prevenzione contro la tortura "un carcere sovraffollato significa, per le persone detenute, essere ristretti in spazi chiusi e insalubri, un’assenza costante di intimità, attività limitate fuori dalle celle; servizi sanitari sovraccarichi, una tensione accresciuta - e pertanto più violenza - tra i detenuti e tra i detenuti e il personale". Secondo i dati forniti dal Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) al 10 novembre scorso i detenuti erano 65.355, contro una capienza regolamentare di 43.074 e una capienza tollerabile di 64.111. Ma cosa significa tollerabile? Il Comitato europeo contro la tortura nel corso di una delle visite periodiche nei luoghi di detenzione in Italia ha chiesto al governo italiano "chiarimenti sulla nozione della cosiddetta capacità tollerabile di una struttura penitenziaria". Ma la domanda è rimasta senza risposta. Solo nel Veneto vi sono 1.242 detenuti oltre la capienza regolamentare. Che fare? È ingenuo pensare che la costruzione di nuove carceri, al di là dei tempi tecnici di realizzazione, possa risolvere il problema, poiché l’aumento degli ingressi in carcere continuerebbe inarrestabile. Le proposte possono essere molte, a breve e a lungo termine. Una fra tutte, la più importante, sulla quale è necessario sfatare un mito costruito su dati completamente sbagliati. Parliamo di quelle misure alternative al carcere, oggi avversate da un succedersi di leggi, che hanno creato progressivi sbarramenti. Il mito da sfatare riguarda la recidività di coloro che scontano la pena in misura alternativa. Ebbene, se tra coloro che terminano di scontare la pena in carcere circa il 68% rischia di commettere nuovamente un reato, l’incidenza è sotto il 20% per coloro che scontano la pena in misura alternativa. E, a proposito di miti da sfatare, tra i recidivi il 31,99% è italiano e il 21,36% è straniero. Per tutto questo la Camera Penale di Padova ha aderito per oggi all’astensione dalle udienze proclamata dalla giunta Ucpi. Giustizia: protesta penalisti; adesione quasi totale allo sciopero
Apcom, 28 novembre 2009
Adesione altissima, in molti casi pressoché totale, all’astensione dalle udienze proclamata dall’Unione Camere Penali Italiane in segno di protesta per il sovraffollamento carcerario ed il 41bis, e per la legalità della pena. Lo riferisce l’associazione dei penalisti, specificando che l’astensione totale si è registrata a Milano, Venezia, Bari, Palermo, Roma, Modica, Ragusa, quasi totale a Firenze, molto alta a Torino. Nelle sedi in cui l’adesione è stata totale, si sono celebrati solo i procedimenti a carico di detenuti. "Questa nostra iniziativa - spiega il leader dei penalisti Oreste Dominioni - vuole porre in termini forti e costruttivi il problema del carcere, indicando anche ipotesi di soluzione che diventano sempre più urgenti alla luce dei recenti fatti tragici". "Le morti in carcere - prosegue Dominioni - hanno una frequenza ormai allarmante ed assolutamente non tollerabile. Per questo vanno incentivate le sanzioni alternative al carcere, rilanciando l’utilizzo delle misure previste dalla legge Gozzini. Vanno irrobustite le strutture rieducative e va recuperata la possibilità del lavoro in carcere. È inoltre necessario ridurre drasticamente il numero di detenuti in attesa di giudizio, che attualmente supera il 60% del totale delle presenze in carcere. Infine va recuperata la vivibilità ambientale del carcere: non si tratta tanto di costruire carceri nuove, quanto di utilizzare le risorse disponibili per bonificare le carceri esistenti e prevedere istituti riservati ai detenuti in attesa di giudizio". La protesta per le condizioni di vita nelle carceri continuerà domani a Napoli con la "Giornata per la legalità della pena", manifestazione pubblica per il rispetto dei principi costituzionali e delle norme in materia di esecuzione della pena, su iniziativa della Camera Penale di Napoli e de "Il Carcere Possibile Onlus". Dalle 10, a Piazza dei Martiri, ci sarà "detenuto per un minuto", una cella virtuale collocata in piazza per sensibilizzare i cittadini sulla realtà carceraria offrendo un reale percorso detentivo, dall’ingresso in istituto alla cella. Verrà distribuito materiale sulle condizioni di vita all’interno del carcere. Alle 15 al Teatro Politeama dibattito sull’emergenza carcere, con la partecipazione dei rappresentanti delle istituzioni, dell’avvocatura, della magistratura, delle religioni, delle associazioni, dei sindacati, con l’intervento di politici e dei garanti dei diritti dei detenuti. Giustizia: Osservatorio; nel 2009 morti 160 detenuti, 66 suicidi
Apcom, 28 novembre 2009
Il suicidio di Massimiliano Menardo, 36 anni, avvenuto l’altro ieri nel carcere di Sondrio porta a 66 il numero dei detenuti suicidi dall’inizio dell’anno, avvicinando sempre più al "record" storico di 69 casi registrati nel 2001, mentre il totale dei morti "di carcere" sale a 160. Lo riferisce l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere secondo cui "la combinazione data dal sovrannumero di carcerati e dalla scarsità di personale penitenziario sta determinando una situazione insostenibile, dove oramai le morti di detenuti hanno cadenza quasi quotidiana". Secondo l’Osservatorio "mai come in questo momento appare necessaria e inderogabile una riflessione sulle cause che determinano il maggiore sovraffollamento delle carceri italiane nella storia della Repubblica, non certamente dovuto ad un aumento della criminalità (il Viminale riferisce un calo generalizzato dei reati), quanto piuttosto all’utilizzo della custodia cautelare come vera e propria "anticipazione della pena" (dovrebbe essere una misura eccezionale, invece i detenuti in attesa di processo sono oltre 31.000 - dati al 30 settembre), ma anche ad una minore concessione di misure alternative alla detenzione (fino al 2006 il numero di detenuti e quello degli ammessi a misure alternative era pressoché uguale, oggi abbiamo oltre 65.000 detenuti e 13.000 persone in misura alternativa)". Le carceri sono strapiene anche perché vi si trovano troppi imputati - il 40% dei quali è destinato ad essere assolto - (dal 2002 al 2007 lo Stato ha speso 212mln di euro come riparazione per le ingiuste detenzioni - vedi allegato) e troppi condannati con condanne minime (quasi 10mila hanno meno di 1 anno di pena residua) che potrebbero scontare in misura alternativa. "Premettendo che ogni decesso dietro le sbarre rappresenta di per sé un fatto inaccettabile per la civiltà del paese e per le nostre coscienze, - conclude l’Osservatorio - viene da chiedersi quanti dei detenuti che muoiono ogni anno avrebbero potuto essere fuori dal carcere e, probabilmente, essere ancora vivi". Le morti sono più frequenti tra i carcerati in attesa di giudizio, rispetto ai condannati, in rapporto di circa 60/40: mediamente, ogni anno in carcere muoiono 90 persone ancora da giudicare con sentenza definitiva e le statistiche degli ultimi 20 anni ci dicono che 4 su 10 sarebbero stati destinati ad una assoluzione, se fossero sopravvissuti. In definitiva, ogni anno 30 - 35 dei morti in carcere erano probabilmente innocenti. A questi vanno naturalmente aggiunti i condannati che avrebbero potuto essere in misura alternativa, ma qui il calcolo diventa piuttosto difficile. Non potendo dare un quadro esaustivo abbiamo raccolto alcune vicende significative riguardanti suicidi di detenuti che sono morti proclamandosi innocenti, facendo con il proprio corpo, con la propria vita, un estremo tentativo di discolpa. Ma anche vicende di detenuti che in carcere non dovevano essere: malati terminali, paraplegici, accusati del furto di una bicicletta, di resistenza a pubblico ufficiale, immigrati clandestini "catturati" in Questura, dove erano andati a chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno, tossicodipendenti in preda alla disperazione. Giustizia: Alfano; piano carceri, prossima settimana è decisiva
Apcom, 28 novembre 2009
Il Governo sta pensando al "potenziamento degli organici della polizia penitenziaria" per affrontare il problema del sovraffollamento nelle carceri e per dare "dignità" al lavoro degli operatori penitenziari. Lo ha detto il Guardasigilli Angelino Alfano, a margine della sua visita presso l’istituto di pena minorile di Nisida a Napoli. Il ministro della Giustizia ha ribadito che il Governo sta "lavorando per la presentazione del piano delle carceri". Un progetto di cui si è già parlato con il ministro dell’Economia Giulio Tremonti e con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Un modo "per dare buone notizie al sistema carcerario". Alla vigilia della manifestazione nazionale che si terrà domani a Napoli proprio in merito al sovraffollamento delle carceri, Alfano ha annunciato: "Crediamo che la prossima settimana potrà essere decisiva per far sì che, per la prima volta nel nostro Paese, il problema del sovraffollamento si risolva senza indulti o amnistie anche con un potenziamento degli organici della polizia penitenziaria". "Queste sono le buone notizie a cui lavoriamo per far sì che - ha proseguito il ministro della Giustizia - la detenzione in Italia sia dignitosa e che anche il lavoro degli agenti penitenziari sia più accettabile". Alfano ha poi ribadito che il Governo sta lavorando "per rendere il sistema giudiziario più efficiente" e per "abbreviare i tempi della giustizia in Italia". E proprio in merito alla visita nell’istituto di reclusione alle porte di Napoli, dove i ragazzi cercano una strada alternativa alla violenza anche all’interno di lavoratori per la ceramica e la lavorazione del legno, il ministro ha ribadito che "l’idea di fondo del Governo è assicurare un lavoro a chi entra nelle carceri". Per Alfano è "importante" insegnare ai minori reclusi "un lavoro che consenta loro, all’uscita dall’istituto di detenzione, di avere un’altra strada a parte quella brutta che li ha portati qui dentro".
Fare squadra per combatter e criminalità, no divisioni
Per sconfiggere la criminalità organizzata occorre che tutti "si sentano parte della squadra" senza divisioni. È quanto affermato dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, nel corso del suo intervento a Pompei durante un convegno organizzato dall’Ordine degli avvocati di Torre Annunziata sulla recente riforma del processo civile. Per sconfiggere la mafia e la camorra e "far funzionare il sistema giustizia occorre che tutti si sentano parte di una stessa squadra che deve fare goal contro la criminalità organizzata. La grande squadra è lo Stato, l’Italia. Le divisioni ci sono e sono utili, ma non bisogna - ha concluso il ministro della Giustizia - mai perdere di vista che c’è lo Stato e che si fa parte della stessa squadra". Giustizia: Pd; Alfano straparla, solo pochi spiccioli per carceri
Il Velino, 28 novembre 2009
"Ma di che cosa sta parlando il ministro Alfano?". Se lo chiede la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, che sottolinea che "non è vero che nella finanziaria ci sono misure per i carceri. I pochi spiccioli stanziati per l’edilizia giudiziaria, penitenziaria e minorile non sono in grado neanche di compensare i pesanti tagli operati con la finanziaria dello scorso anno. Insomma, Alfano straparla e annuncia un Piano che un autorevole esponente della maggioranza, com’è il presidente della commissione Giustizia del Senato, Filippo Berselli, già definisce incapace di risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. Andiamo bene!". Giustizia: Berselli (Pdl); Piano non risolverà il sovraffollamento
Dire, 28 novembre 2009
Il piano carceri annunciato dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, "non è assolutamente in grado di risolvere" il problema del sovraffollamento, e illudersi del contrario "è fuori dalla realtà". Lo afferma Filippo Berselli (Pdl), presidente della commissione Giustizia del Senato, intervenendo al meeting nazionale dei commissari di Polizia penitenziaria svolto oggi a Bologna. Guardare al piano come ad una "panacea", continua Berselli, "porta a risultati perversi": vista la crescita continua della popolazione carceraria, "per quante carceri facciamo non riusciremo mai a pareggiare il conto". Quella del sovraffollamento intanto è "una situazione esplosiva", ammette Berselli, ma al di là del numero dei detenuti le carceri italiane sono "indecenti per un paese civile. Se la pena deve portare ad una rieducazione del reo, sono agli antipodi". Insomma, sono "inadeguate a prescindere" dall’entità della popolazione carceraria, "sono in condizioni vergognose". E l’unico modo di "affrontare seriamente il problema", sottolinea il parlamentare del Pdl, è proseguire nella strada già intrapresa dal Governo: siglare trattati con i paesi stranieri affinché chi commette reati in Italia possa scontare la pena in patria (dove troverebbero "carceri migliori delle nostre") e "chiudere i rubinetti" dell’immigrazione clandestina. Ad esempio, se nel carcere di Bologna non ci fossero detenuti stranieri, "il problema sarebbe risolto": alla Dozza, come ha spiegato la Garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Bologna, Desi Bruno, gli stranieri rappresentano il 70% della popolazione carceraria. L’altro nervo scoperto è quello dei detenuti tossicodipendenti: "Esistono misure alternative, già oggi possono essere ospitati in comunità di recupero come San Patrignano". In generale, però, quello delle misure alternative è un argomento a cui Berselli guarda di traverso: "Sono iscritto a quel partito, minoritario anche all’interno del Pdl, che sostiene che chi sconta una pena detentiva deve scontarla in carcere, altrimenti la certezza della pena va a farsi benedire". Piuttosto, aggiunge il presidente della commissione Giustizia del Senato, in Italia "la pena viene scontata prima di quanto si dovrebbe": il 62% dei detenuti è in attesa di giudizio, ricorda Berselli, "una cosa inaccettabile per un paese che vuole essere civile". Per Berselli, infatti, vige il presupposto che alla fine dell’iter processuale "alla fine non si sconta mai e così la fanno scontare prima, secondo una logica perversa". Giustizia: Sappe; la situazione è ogni giorno sempre più critica
Il Velino, 28 novembre 2009
"La situazione penitenziaria è ogni giorno sempre più critica. Oggi registriamo le proteste dei detenuti rispetto al crescente sovraffollamento nei penitenziari di Milano San Vittore, Napoli Poggioreale, Reggio Emilia, nei due romani di Regina Coeli e Rebibbia". Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo Polizia penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di categoria, in relazione alle proteste di detenuti in atto in alcune carceri italiane. "Proteste pacifiche - precisa - benché rumorose (i detenuti hanno sbattuto suppellettili sulle grate e sulle porte delle celle), che si sono già verificate nei giorni scorsi in altri penitenziari italiani e che, a quanto ci è dato sapere, proseguiranno anche nella serata di oggi, a partire dalle 21. E questo, benché è opportuno sottolineare il carattere per ora pacifico di tutte le proteste scandite a richieste di nuove amnistie e indulti, non è certo un segnale positivo. L’insofferenza dei detenuti verso il crescente sovraffollamento è un segnale negativo, che ricade principalmente sulle già gravose, pericolose e stressanti condizioni di lavoro delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria, che lavorano con grande professionalità e alto senso del dovere a contatto con i detenuti e nella prima linea delle sezioni detentive 24 ore su 24, 365 giorni all’anno". "Mi auguro - dice Capece - che il governo adotti con urgenza provvedimenti concreti per il sistema penitenziario nazionale. Abbreviare i tempi della giustizia è sicuramente importante. Ma altrettanto fondamentale è che il governo metta concretamente mano alla situazione penitenziaria del paese, ormai giunta ad un livello emergenziale. La situazione di tensione che si sta determinando in molti istituti penitenziari del paese rischia di degenerare e l’esecutivo Berlusconi non può perdere ulteriore tempo per interventi urgenti e non più procrastinabili, considerato anche che il Corpo di Polizia penitenziaria è carente di più di 5mila unità. Oggi ci sono in carcere ben 66mila detenuti a fronte di una circa 42mila posti letto, il numero più alto mai registrato nella storia dell’Italia. Il Corpo di Polizia penitenziaria ha mantenuto fino ad ora l’ordine e la sicurezza negli oltre duecento Istituti penitenziari nazionali a costo di enormi sacrifici personali, mettendo a rischio la propria incolumità fisica, senza perdere il senso del dovere e dello Stato, nonostante continue e costanti umiliazioni e aggressioni. Ma la situazione rischia di degenerare ogni giorno di più. E non c’è più tempo da perdere". Giustizia: Uil; il Parlamento offre soltanto 30 minuti ai sindacati
Ansa, 28 novembre 2009
Il segretario della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, critica le modalità della convocazione parlamentare del primo dicembre in Commissione Affari Costituzionali, in una nota diffusa a Bologna in occasione del terzo Meeting nazionale dei commissari di polizia penitenziaria. "Convocare in mezz’ora - rileva Sarno -, durante la pausa pranzo, tutti i sindacati del comparto sicurezza non denota attenzione, è una cosa fatta giusto per fare. Come si fa a parlare di un tema delicato e sentito come il riordino delle carriere in mezz’ora con 24 sindacati?". Sarno ha polemizzato anche nei confronti del Dap. "Rivolgendosi al dr. De Pascalis - prosegue la nota - e parlando della proposta per l’istituzione del Direttore dell’Area Sicurezza", Sarno ha commentato: "Ho grandi difficoltà a comprendere perché qualsiasi proposta che tenda a migliorare il Corpo di polizia penitenziaria si insabbi sempre in qualche cassetto al terzo piano del Dap". Sondrio: detenuto 36enne suicida, scontava 16 mesi per lesioni
Ansa, 28 novembre 2009
Si chiamava Massimiliano Menardo, aveva 36 anni e risiedeva a Buglio in Monte (Sondrio), il detenuto che ieri sera si è tolto la vita nel carcere di Sondrio. A lanciare l’allarme al 118 sono stati gli agenti della polizia penitenziaria, allertati da un altro recluso. Inutile ogni tentativo di rianimare l’uomo, che sembra si sia impiccato legando la cintura dell’accappatoio alle inferiate della sua cella. Secondo quanto si è appreso, Menardo era da poco rientrato nel penitenziario, dopo aver trascorso la giornata in libertà, perché godeva del regime di semidetenzione. Il detenuto, che aveva precedenti, doveva scontare una pena di un anno e quattro mesi per lesioni personali aggravate, per aver aggredito un uomo procurandogli una lesione permanente al volto. Sulla morte di Menardo sono in corso indagini da parte dei carabinieri di Sondrio, che hanno allertato il magistrato Luisa Russo. La Procura ha disposto l’autopsia. Oggi si è tenuta una riunione all’interno del carcere fra il direttore e il comandante degli agenti di polizia penitenziaria. Il detenuto non avrebbe lasciato nessun biglietto. Bergamo: tenta suicidio detenuto accusato per bomba Milano
Ansa, 28 novembre 2009
Aveva tentato di togliersi la vita legandosi un lenzuolo intorno al collo, ma ieri sera Mohamed Imbaeya Israfel, il libico di 33 anni detenuto nel carcere di Bergamo perché sospettato di essere uno degli attentatori della caserma Perrucchetti di Milano, è rientrato in cella. Le sue condizioni di salute sono buone e ora Mohamed Imbaeya Israfel è di nuovo nella sua cella singola, sorvegliato a vista dagli agenti della polizia penitenziaria. Due sere fa lo stress lo ha spinto a tentare il suicidio, ma l’intervento del personale di sorveglianza gli ha salvato la vita. Il detenuto sta bene - ha detto il direttore del carcere di Bergamo, Antonino Porcino - l’ospedale lo ha dimesso dopo appena 24 ore. Il suo gesto, che secondo i medici sarebbe stato causato da un attacco d’ansia, non ha lasciato conseguenze a livello fisico. Mohamed Imbaeya Israfel è stato arrestato in ottobre insieme a Mohamed Game e Mohmoud Abdelaziz Kol dopo l’attentato kamikaze alla caserma Santa Barbara di Milano. Il libico si è sempre proclamato innocente e da tempo chiede di essere ascoltato dai magistrati che conducono l’inchiesta. Reggio Emilia: sommossa detenuti magrebini, fuoco in corridoi
Ansa, 28 novembre 2009
Detenuti incendiano stracci e bombolette di gas per protestare contro le condizioni di detenzione. Oggi e domani sciopero degli avvocati contro il sovraffollamento degli istituti di pena. Rivolta nel carcere di via Settembrini la notte scorsa. Coinvolti tredici detenuti, tutti magrebini, in cella in attesa di giudizio, che hanno incendiato stracci e bombolette di gas gettandoli dalle loro celle nei corridoi. Come avvenuto già in altre città, volevano protestare contro le condizioni di detenzione, rese difficili dal sovraffollamento. Per un paio d’ore, fra le 22 e la mezzanotte, la polizia penitenziaria ha dovuto fronteggiare la ribellione, che si è manifestata anche con lanci di uova, di bottiglie d’acqua e di altri oggetti. Una situazione che avrebbe potuto mettere a rischio l’incolumità delle persone. I disordini sono stati sedati senza la necessità di intervento di altre forze dell’ordine. Oggi 9 dei 13 detenuti sono stati trasferiti in altri istituti. Tutti saranno denunciati per danneggiamenti e resistenza a pubblico ufficiale. "Non è stato necessario il ricorso a cure mediche per nessuno", riferisce Michele Malorni, segretario provinciale del Sappe, sindacato degli agenti penitenziari. Intanto contro il sovraffollamento delle carceri oggi hanno scioperato, a Reggio come in tutta Italia, gli avvocati penalisti, Udienze sospese in tribunale. E a palazzo di giustizia si è svolto un importante convegno per ricordare il decennale dell’approvazione della legge costituzionale sul giusto processo. Modena: il Pd visita la Casa di lavoro; situazione è insostenibile
Dire, 28 novembre 2009
La situazione delle carceri in Emilia-Romagna è "drammatica", ma quella dei 90 internati nella Casa Lavoro di Saliceta San Giuliano Modena) è insostenibile. Lo affermano i consiglieri regionali Matteo Richetti e Gianluca Borghi che hanno visitato la struttura di Modena, dove, nei giorni scorsi, alcuni detenuti hanno iniziato uno sciopero della fame per chiedere la reintroduzione dei permessi per il lavoro. Gli "ospiti" della Casa di lavoro, spiegano i consiglieri, sono esclusivamente ex detenuti: persone che hanno già scontato la pena, ma che per qualche motivo non sono state considerate "reinserite socialmente" dal magistrato competente. Il periodo trascorso nell’istituto, che generalmente non ha una fine prestabilita, si protrae fino alla nuova decisione del giudice. "L’internamento - scrivono i consiglieri - è una misura anacronistica, applicata a discrezione del giudice, che l’Europa ha ritenuto incompatibile con la normativa comunitaria". Incontrando la direttrice Federica Dallari, gli agenti di polizia penitenziaria e gli internati, i due consiglieri hanno assunto l’impegno di incontrare il presidente del Tribunale di sorveglianza dell’Emilia-Romagna e di sostenere iniziative legislative volte a superare una situazione insostenibile. "È intollerabile - concludono - che uno strumento che dovrebbe favorire il reinserimento sociale e lavorativo di persone che hanno saldato i conti con la giustizia diventi un luogo di umiliazione". Roma: a Regina Colei una protesta nella sezione dei "protetti"
Ansa, 28 novembre 2009
"Una protesta partita dall’VIII sezione, quella dei protetti, e probabilmente per questo poco seguita dagli altri detenuti". A parlare è il direttore del carcere romano di Regina Coeli a proposito della battitura dei detenuti. I "protetti" sono i detenuti che vengono tenuti separati dagli altri perché hanno commesso reati che nel mondo carcerario non sono ammessi, come pedofilia o quello di aver "cantato" cioè tradito i propri complici. "La protesta è durata poco più di 30 minuti - ha aggiunto - il direttore - ed è partita soprattutto da tre celle dell’VIII sezione. Non mi sembra proprio che sia per la morte del detenuto avvenuta ieri o per Cucchi, mi sembrava più per temi generici come l’indulto, l’amnistia ed in alcuni casi anche per istanze personali". Giustizia: Pedica (Idv); l'incompatibilità, per 10 detenuti malati
Ansa, 28 novembre 2009
"Ci sono almeno 10 casi di incompatibilità con il regime carcerario e il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni è assente. È ora di cambiarlo". Lo ha detto il senatore dell’Idv Stefano Pedica che questa mattina ha visitato la medicheria del carcere di Regina Coeli in via della Lungara a Roma. "Ci sono dei disagi impressionanti - ha aggiunto Pedica - e Marroni dovrebbe denunciare queste cose, non può apprendere le notizie dall’esterno. In medicheria ho visto un uomo che ha un auricolare per l’udito che non funziona a causa del sangue coagulato che si forma sull’apparecchio; un altro con un buco nella gola scoperto, senza nessuna protezione; poi ancora un uomo che soffre di apnea notturna a cui hanno dato una mascherina con un apparecchio rotto e infine un ragazzo in dialisi che fa un trattamento di un’ora al posto di due". "Le responsabilità - ha concluso l’esponente dell’Idv - non sono della polizia penitenziaria ma del direttore dell’istituto e del Garante". Proprio ieri nel carcere di Regina Coeli i detenuti hanno protestato contro il sovraffollamento delle celle e per i casi di Stefano Cucchi e Simone La Penna, il ragazzo affetto da anoressia morto due giorni fa, ed hanno sbattuto per alcune ore oggetti contro le sbarre". Verona: carcere è in emergenza usiamo più misure alternative
L’Arena di Verona, 28 novembre 2009
In un convegno degli avvocati penalisti il punto sul sovraffollamento di Montorio. Cavallina: "La situazione è sempre più esplosiva" Fra Beppe: "Per le visite, familiari in coda per ore" Zanini: "Vanno aumentate le misure alternative". Gli avvocati denunciano che il carcere di Montorio è sovraffollato Verona. "Tre metri quadrati dove vivere per venti ore al giorno quando nel Comune di Roma, per legge, un animale selvatico in uno zoo non può averne meno di 16", ha spiegato l’avvocato Guariente Guarienti, iniziando a descrivere la drammatica situazione del sovraffollamento del carcere di Montorio. "Dobbiamo fornirgli noi la biancheria intima e i vestiti, addirittura il sapone e lo shampoo per lavarsi. Soprattutto chi non ha famiglia vive in uno stato di completo abbandono", ha aggiunto Fra Beppe Prioli dell’associazione La Fraternità. "I familiari sono costretti a fare un’ora e mezza di coda per poter parlare con i parenti rinchiusi. E quando finalmente arrivano, l’orario di visite è quasi finito e non rimane loro che un quarto d’ora da poter trascorrere insieme", ha sottolineato Stefano Zanini, presidente della Camera penale veronese. Il problema del sovraffollamento nelle carceri, diffuso a livello nazionale, è drammatico. E riguarda da vicino anche la realtà veronese. A Montorio i detenuti sono quasi duecento in più di quella che è la soglia di tolleranza della capienza massima della struttura: 840 anziché, al massimo, 667. E tra le conseguenze c’è un preoccupante aumento dei casi di suicidio in carcere. L’approccio con cui le istituzioni e la politica intendono affrontare e cercare di risolvere il problema è "allarmante". Si propone, infatti, di stanziare 500 milioni di euro per la costruzione di nuove carceri. Iniziativa che ha portato gli avvocati penalisti della città ad incrociare le braccia e a riunirsi in un convegno, in una delle aule del Tribunale, durante il quale insieme a Fra Beppe, Guarienti, Zanini e Arrigo Cavallina de La Fraternità, è stato fatto il punto della situazione delle carceri e delle sue problematiche sia a livello locale che nazionale. "Costruire nuove carceri non è la soluzione. È necessario investire nelle persone, non sui muri", ha spiegato Cavallina elencando i problemi di organico della polizia penitenziaria e delle altre figure professionali che operano all’interno del carcere, come educatori, psicologi, operatori, assistenti sociali. "È già problematica e a rischio collasso, date le poche risorse umane a disposizione, la gestione delle carceri esistenti. Costruendone altre queste difficoltà non potranno che aumentare: le aggressioni alla polizia penitenziaria sono sempre più frequenti e le condizioni di lavoro cui sono sottoposti sono al limite della sopportazione". "Bisogna affrontare la questione con le misure cautelari alternative al carcere per quei detenuti che potrebbero richiederle e cioè per quelli che sono in attesa di giudizio, e quindi presunti innocenti, o che abbiano da scontare meno di tre anni", ha spiegato Zanini. I detenuti in carcere che rispondo a questi requisiti sono la maggior parte. Ma se fino a qualche anno fa ad usufruire di queste misure erano oltre l’80 per cento dei carcerati, oggi sono pochissimi: a Verona appena il 14 per cento, dato in linea con quello nazionale. Tra le misure cautelari alternative ci sono, ad esempio, "i permessi, la detenzione domiciliare, l’affidamento ai servizi sociali o alle comunità di recupero per i tossicodipendenti. Inoltre, l’utilizzo del braccialetto elettronico, un sistema sicuro, pagato dallo Stato e istituito per legge nel 2001 ma mai utilizzato perché manca il decreto attuativo, ha aggiunto Zanini. "Oltre che a decongestionare le strutture di detenzione, queste iniziative avrebbero anche l’obiettivo di favorire il reinserimento in società, famiglia e mondo del lavoro", ha concluso Cavallina. Massa: direzione conferma; a volte i reclusi dormono per terra
Il Tirreno, 28 novembre 2009
Dalla Casa Circondariale di via Pellegrini arrivano conferme alla lettera dei familiari di un detenuto: i carcerati in cella dormono per terra. "Non sempre, ma qualche volta è capitato. Del resto anche qui a Massa c’è il sovraffollamento come nel resto d’Italia". Nessun commento invece dal direttore, Salvatore Iodice. Quindi l’emergenza sovraffollamento esiste. Un problema che la direzione del carcere non ha mai nascosto. Anzi. A Ferragosto i detenuti avevano approfittato di una visita dell’onorevole dell’Italia dei valori Fabio Evangelisti per consegnargli una lettera aperta. "La nostra condizione non è da paese civile", aveva scritto chi vive dietro le sbarre di via Pellegrini. I carcerati già allora avevano denunciato le gravi condizioni di sovraffollamento in cui vivono. "Stiamo stipati in anguste celle, chiusi 20 ore al giorno su pericolosi letti a castello. Non è da paese civile". I detenuti sostenevano che le celle fossero "piene di persone che in realtà non dovrebbero starci, finiti in carcere per reati ridicoli per aver sottratto prodotti alimentari al supermercato per nutrirsi, per piccoli furti o per qualche spinello, persone che sottraggono diritti agli altri detenuti". La lettera si concludeva con la richiesta a Evangelisti di farsi portavoce in parlamento anche dei loro attuali disagi. Quando in tutte le carceri italiane si era cominciata a levare la protesta, però, da Massa nessuno aveva alzato la voce. Eppure il direttore Iodice aveva ammesso che i problemi nella sua struttura c’erano: "Ci sono ovunque - aveva spiegato - e anche da noi. Abbiamo un centinaio di detenuti in più e quindi un problema di sovraffollamento esiste. A peggiorare le cose poi ci sono i lavori di ristrutturazione di un’ala del carcere che speriamo vengano conclusi entro breve. In questo momento effettivamente non si sta bene". La lettera dei familiari di un recluso della casa circondariale di via Pellegrini e la conferma che arriva dallo stesso carcere testimonia che la situazione è disastrosa ed è tornato l’allarme rosso che c’era prima dell’indulto. Segno che aprire le porte delle celle senza aiutare chi tornava in libertà è stato un autogol. Tre anni e mezzo fa grazie all’indulto furono un’ottantina i reclusi che tornarono a casa. L’indulto aveva praticamente svuotato il penitenziario. Fu un’estate davvero strana quella del 2006 per chi si trovava dietro le sbarre. Molti di loro si fecero i conti, sperando di rientrare nell’esercito dei graziati. Anche perché l’ultimo indulto prima di quello di Clemente Mastella risaliva al dicembre 1990. Pescara: Sclocco (Pd); 6 detenuti per cella, situazione invivibile
Il Centro, 28 novembre 2009
"Una cella nella quale sono stipate 5-6 persone è, di fatto, invivibile". La consigliera regionale del Pd Marinella Sclocco punta il dito sul dramma dei detenuti dopo aver visitato il carcerare di Pescara insieme al direttore Franco Pettinelli. Nei giorni scorsi i reclusi del San Donato hanno protestato contro il sovraffollamento e le strutture fatiscenti. Un detenuto è stato poi ferito a una gamba da un altro recluso. "Ho visto pochi agenti a fronte di 210 detenuti e anche 5-6 reclusi all’interno di una cella di pochi metri quadrati", ha riferito all’uscita del carcere. La Sclocco ha parlato anche di celle in cui vivono insieme più disabili. "La situazione", ha sottolineato, "è solo di apparente tranquillità. La popolazione detenuta continua a crescere, a fronte di spazi e strutture che rimangono invariati". Ieri il direttore Pettinelli ha avuto anche una riunione con la presidente della Commissione Affari sociali e politiche della salute in Consiglio regionale d’Abruzzo, Nicoletta Verì , e i consiglieri Alessandra Petri (Pdl) e Franco Caramanico (Pd). All’ordine del giorno i problemi socio-sanitari del carcere, in particolare la necessità di assicurare l’assistenza specialistica ai detenuti. Reggio Calabria: il Garante; un sistema carcerario "disumano"
Gazzetta del Sud, 28 novembre 2009
Indice puntato sul sistema carcerario. Sovraffollamento, condizioni detentive disumane, problemi strutturali rendono invivibili gli istituti penitenziari. L’occasione per riportare in primo piano problematiche che da troppo tempo attendono di trovare soluzione l’ha fornita ieri l’incontro dibattito sul tema "Sovraffollamento carcerario: l’inumanità della pena", organizzato da Camera penale "Gaetano Sardiello", Ufficio del garante dei diritti delle persone private dalla libertà personale e la sezione reggina dell’Aiga. L’appuntamento è coinciso con la giornata di astensione dalle udienze proclamata in segno di protesta contro le politiche in materia legislativa. La situazione di invivibilità delle carceri è stata evidenziata dall’avvocato Umberto Abate. Il presidente della Camera penale ha posto l’accento sui problemi creati dall’allargamento delle ipotesi di applicazioni del 41 bis, il rapporto con l’articolo 4 bis che prevede l’estensione del carcere duro alle ipotesi previste dall’articolo 7. E, infine, la parificazione dei colloqui con familiari e difensori. Il giudice Giuseppe Tuccio ha definito la condizione carceraria come "perenne emergenza". Il garante dei diritti dei detenuti ha aggiunto: "Il Paese pullula di patti di legalità ma certi problemi rimangono irrisolti. Gli istituti penitenziari scoppiano e il Ministero oggi propone la panacea di costruirne altri". Il garante ha affrontato anche il problema della sicurezza reso drammaticamente attuale dopo il tentativo di evasione che ha visto due agenti penitenziari in servizio a Palmi rischiare la vita: "Difficile far capire alla gente l’importanza di migliorare le condizioni dei detenuti quando capitano episodi in cui rischia di morire chi fa il suo dovere". Tuccio si è soffermato sulle difficoltà di realizzare l’agenzia dell’inclusione sociale ("siamo fermi nelle maglie della burocrazia"), ha affrontato i temi delle imprese sociali che dovrebbero assorbire cittadini detenuti, dei processi di educazione scolastica, il problema della sanità. Il garante ha fatto anche qualche riferimento alla condizione dei detenuti stranieri che non conoscono la lingua e non hanno alcun riferimento all’esterno. Nel dibattito è intervenuta Maria Carmela Londo, direttrice del carcere di via San Pietro: "Sbagliato credere che sia solo un problema di sovraffollamento. C’è di mezzo la carenza di personale deputato al controllo ma anche alla difesa sociale e alla rieducazione. Quello che è successo a Palmi la dice lunga sulla situazione attuale dove l’inadeguatezza del numero del personale mette a repentaglio l’incolumità non solo degli agenti". L’avvocato Natale Polimeni, presidente della sezione Aiga ha analizzato la questione politica delle vicenda: "Più che di inumano si dovrebbe parlare di carcere disumano. E gli interventi richiesti per umanizzare la pena sono caduti sistematicamente. In questa materia si continua a navigare a vista e gli articoli 27 e 24 della Costituzione, con i loro principi in materia di tutela dei detenuti, appaiono archeologia giuridica". Polimeni ha parlato nello specifico del carcere di Reggio dove nelle celle singole ci sono 3 detenuti sistemati in letti a castello e nelle celle comunicanti si arriva a 6, con una finestra posta a un’altezza che, di fatto, impedisce di vedere il cielo e il cucinino posto nello stesso ambiente del bagno. L’avvocato Carlo Morace si è soffermato sull’applicazione del 41 bis anche a soggetti non condannati e ha evidenziato l’assurdità del 391 bis, nella parte che prevede la sottoposizione a sanzione di congiunti e difensori che riferiscono all’esterno sulle condizioni del detenuto. Il saluto della sezione reggina dell’Anm l’ha portato il giudice Iside Russo intervenendo nel dibattito: "Abbiamo un sistema carcerario - ha detto - che ha condizioni disumane e nello stesso tempo non garantisce l’esecuzione della pena a chi deve stare in carcere". L’avvocato Agostino Siviglia ha chiuso la serie degli interventi fornendo qualche dato a dir poco allarmante. A cominciare dalle morti in cella che sono state 11 dall’inizio del mese e ben 159 dall’inizio dell’anno. Una strage provocata da un sistema che deve essere modificato e reso più umano e civile. Polonia: due anni di carcere per chi sventola la bandiera rossa
Il Velino, 28 novembre 2009
"Compagni, avanti, il gran Partito, noi siamo dei lavoratori!". Se siete in Polonia fate attenzione: canticchiare l’Internazionale potrebbe costarvi due anni di carcere. Ieri il presidente Lech Kaczynski ha firmato un emendamento al codice penale che vieta "la produzione, la distribuzione, la vendita o il solo possesso di oggetti che richiamano al fascismo, al comunismo o ad altri simboli di totalitarismi". Al bando, dunque, le bandiere rosse, i poster del Che, le spillette con la falce e il martello, il libretto di Mao o qualunque altra cosa che possa evocare il dominatore sovietico. Chiunque tenga in soffitta cimeli della dittatura farebbe meglio a sbarazzarsene entro sei mesi quando la nuova norma entrerà formalmente in vigore. Vent’anni dopo l’arrivo della democrazia la Polonia chiude definitivamente i conti con il passato. E lo fa in modo drastico e con grande compattezza. A proporre l’introduzione del divieto è stata un’esponente del governo, Elzbieta Radziszewska, membro della Piattaforma civica guidata dal premier Donald Tusk. Ma l’iniziativa è stata salutata con entusiasmo anche da Legge e Giustizia, il partito all’opposizione che fa capo al fratello gemello del presidente, Jaroslaw Kaczynski. "Il comunismo - ha spiegato - ha portato al genocidio di milioni di persone. Nessuna sua immagine ha diritto di esistere in Polonia".
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