Rassegna stampa 24 novembre

 

Giustizia: di carcere si muore, più suicidi e "casi da accertare"

di Davide Madeddu

 

L’Unità, 24 novembre 2009

 

Cresce il numero di morti dietro le sbarre. Il dato è il più drammatico degli ultimi dieci anni: 65 suicidi su 157 morti in poco più di dieci mesi. Numeri preoccupanti se si pensa che negli ultimi sei anni in prigione sono morte 1540 presone, e di queste 540 si sono uccise dietro le sbarre. Sono i numeri elaborati dal centro studi di Ristretti Orizzonti, contenuti nel "dossier morire di carcere" che ricostruisce le vicende carcerarie d’Italia dal 2003 ai primi dieci mesi del 2009.

Nelle numerose pagine del corposo dossier, consultabile anche sul sito dell’associazione all’indirizzo www.ristretti.it, (che è poi un’agenzia di informazione sul e dal carcere) sono raccontate le storie, mese per mese, dei detenuti che dietro le sbarre sono morti. "Il dato elaborato sino a questo momento si ferma al 19 novembre - spiega Ornella Favero, direttore responsabile della rivista Ristretti Orizzonti e del centro studi - e purtroppo segna un andamento crescente rispetto agli anni scorsi. Diciamo che stiamo raggiungendo se non per superare anche il dato drammatico del 2001".

Quando nelle carceri, come si legge nel dossier, si registrarono 69 suicidi e un totale di 177 morti. "È chiaro che se la tendenza resta quella di questi dieci mesi - spiega - è facile pensare che questo valore possa essere raggiunto e superato. Se non altro perché all’interno delle carceri la popolazione continua a crescere in maniera impressionante e i servizi continuano a diminuire". Di fronte a una popolazione carceraria che si aggira intorno alle 6 5mila unità, si scopre che in Italia i morti sono 157.

 

Suicidi e malattie

 

A leggere i dati si scopre che sono 65 i detenuti che hanno deciso di interrompere la permanenza dietro le sbarre uccidendosi. Gli altri sono morti invece per malattia, cause da accertare o di morte naturale. "Chi muore per malattia - spiega Ornella Favero - soffre, nella maggior parte dei casi di patologie legate all’uso di sostanze stupefacenti o cardiache. Diciamo che si tratta di persone che, magari dovrebbero stare in strutture alternative ". Oltre che sui suicidi l’attenzione del dossier di Ristretti Orizzonti viene puntata anche sulle morti la cui causa "è ancora da accertare".

Tipologia che, tra gli altri, comprende anche il caso di Stefano Cucchi. "Si tratta di morti non ancora chiare o per le quali la magistratura ha chiesto di aprire un’inchiesta o ancora - prosegue - perché la famiglia ha chiesto l’intervento dei magistrati". E poi, ci sono quelli che il centro studi chiamai 30casi dubbi, che con tanto di fotografie raccontano le storie delle "morti sospette" in carcere. Tra questi casi anche l’ultimo ma non unico di Stefano Cucchi. Nel dossier anche una proposta: la costituzione di un osservatorio permanente sulle morti in carcere. "per evitare che quanto continua a succedere possa finire".

Giustizia: non c’è legge senza verità, Stefano ce l’ha insegnato

di Antonio Rapisarda

 

www.ffwebmagazine.it, 24 novembre 2009

 

La storia di Stefano Cucchi - a un mese dalla sua morte - ha ancora molto da insegnare. E non solo perché quelle immagini del suo corpo straziato continuano a tormentare chi una coscienza la possiede. Ma anche in quanto tutto ciò che è emerso ha aperto un dibattito senza precedenti su come sia possibile che in uno stato di diritto un uomo entri in carcere con le proprie gambe e dopo qualche giorno esca con le ossa rotte. E tutto questo in Italia, la patria di Cesare Beccaria. Le indagini sulla sua scomparsa sono ancora in corso. E ogni giorno nuovi particolari agghiaccianti mostrano i contorni di una vicenda drammatica che ha per il momento solo una certezza: un ragazzo di trentun anni non c’è più.

Però, al di là dei risvolti giudiziari, la vicenda del giovane romano ha aperto uno squarcio culturale importante. Intanto, di uno Stato che non si autoassolve più in maniera preventiva. Certo, non è facile sfondare il muro di omertà che si respira all’interno di alcuni settori delle forze dell’ordine, delle carceri e dei tribunali, ma comunque le indagini stanno continuando, e in tutte le direzioni. Lo stesso ministro della Giustizia ha esortato che tutto si svolga con celerità, così come ampi settori dei sindacati delle forze dell’ordine hanno chiesto che si faccia giustizia senza alcuna remora né retorica sulle poche "mele marce".

Ma la storia di Stefano ha permesso anche alla politica di interrogarsi, in maniera non strumentale, sulla necessità di una legislazione più attenta a tutto quello che accade nel momento in cui un cittadino viene arrestato. E la politica lo ha fatto, fortunatamente, in maniera trasversale con un comitato composto da politici (veritapercucchi.altervista.org) che intendono vigilare e sostenere gli inquirenti nelle indagini.

Stefano allora è diventato un eroe "di fatto", potremmo dire. Un eroe suo malgrado, come tanti in un’epoca in cui le guerre non si fanno più ma si subiscono. Un eroe insieme e grazie alla sua famiglia che con coraggio e determinazione ha portato davanti a tutti l’evidenza di una storia dai tratti parossistici. Una storia paradigmatica però, che preannuncia forse un cambio di registro non solo nel mondo delle carceri ma anche nell’approccio della società verso alcune categorie che troppo sbrigativamente vengono derubricate come "emarginate". Vuoi che siano ragazzi con problemi connessi alla droga, o con problemi di violenza o immigrati: sempre "persone" sono e da tali devono essere trattate. Stefano, insomma, ha costretto tutti a fare i conti con i limiti che uno stato occidentale deve porsi nella gestione dell’ordine pubblico. Che il debole di suo, come ha detto il sacerdote durante la messe del trigesimo, non può subire anche la "forza" delle istituzioni: "Che cosa significano - ha spiegato nell’omelia - quei segni sul suo corpo? Abbiamo bisogno di sapere. La sua memoria esce dal privato e diventa un appello per il rispetto della dignità dell’uomo, per il rispetto dei diritti umani anche di coloro che si trovano in stato di detenzione".

Come si vedere Stefano ha dato tanto, non solo alla sua famiglia, ma anche al dibattito su un argomento quasi tabù nel paese. E cosa può fare adesso la società tutta per lui? Giustizia, prima di tutto. Ma ecco che l’idea di un riconoscimento alla memoria per Stefano, infine, potrebbe essere un segnale ufficiale che lo Stato dà a un suo cittadino che ha avuto la sfortuna di imbattersi in esecutori vigliacchi di una legge che non esiste. Un riconoscimento alla memoria, dunque, perché da oggi tutto il paese non potrà non avercela una ricordando quello che ha subito quel povero ragazzo. Proprio da quello Stato che doveva proteggerlo. Non solo giudicarlo.

Giustizia: Cucchi; nuovi esami, rivelano lesioni mai viste prima

di Gabriele Santoro

 

Ansa, 24 novembre 2009

 

Lesioni nuove, mai notate prima, al cranio e soprattutto alla mandibola. Traumi recenti, anzi, recentissimi rispetto alla data della morte. È il risultato dei primi accertamenti sul cadavere di Stefano Cucchi, come ha riferito il legale della famiglia del geometra di 31 anni morto il 22 ottobre nel reparto detentivo nell’ospedale Sandro Pertini di Roma, corpo riesumato giovedì scorso su disposizione della Procura di Roma e sul quale, stamattina all’istituto di Medicina legale dell’Università La Sapienza, sono cominciati i nuovi esami medico legali.

Obiettivo degli accertamenti: fare luce sul decesso di Cucchi, arrestato una settimana prima per droga. Il legale della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo, ha rivelato i primi risultati degli esami. A un mese di distanza dalla morte, spiega l’avvocato, "ci sono ancora molteplici e vistose lesioni" da "traumi recentissimi". Ma soprattutto, quelle alla testa e al volto, sfuggite a un primo esame.

"Confermate invece - prosegue l’avvocato - le fratture alla colonna vertebrale" e anche le lesioni alle mani. "Per parlare delle cause della morte, però - sottolinea ancora Anselmo - bisognerà aspettare ancora qualche giorno". Sono ancora parecchi, infatti, gli accertamenti che gli esperti dovranno condurre sul cadavere di Stefano Cucchi: oltre agli esami istologici, sono previste certamente una Tac e una risonanza magnetica. "Gli esami saranno approfonditi e di certo non semplici. La salma potrà essere restituita ai familiari non prima di una settimana" è la previsione del legale.

Attorno al corpo del geometra sono al lavoro numerosi esperti. C’è il pool nominato dai pm Vincenzo Barba e Francesca Loy (Paolo Arbarello, Dino Tancredi, Ozrem Carella Prada e Luigi Cipollone), e ci sono i consulenti dei sei indagati, tre agenti di polizia penitenziaria - per i quali si procede per omicidio preterintenzionale - e tre medici del Pertini (omicidio colposo).

La famiglia Cucchi può contare invece sul professor Vittorio Fineschi dell’Università di Foggia, mentre la commissione di inchiesta sul sistema sanitario presieduta da Ignazio Marino (che approfondisce gli aspetti dell’assistenza medica fornita al geometra) si è affidata al professor Vincenzo Pascali dell’ospedale Gemelli di Roma. Le indagini della Procura, però, non si fermano all’esame del cadavere.

Un’altra consulenza tecnica riguarda le macchie di sangue sui jeans che Cucchi aveva addosso entrando al Pertini: i magistrati vogliono sapere con certezza se quel sangue è di Stefano. Inoltre i pm Barba e Loy hanno intenzione di effettuare un sopralluogo nelle celle di sicurezza del Tribunale di Roma, lì dove il 16 ottobre scorso si sarebbe svolto il presunto pestaggio, insieme con il testimone gambiano ascoltato nei giorni scorsi.

La settimana prossima, inoltre, si terrà un secondo incidente probatorio: i magistrati ascolteranno un detenuto albanese che, come l’africano, si trovava in una cella di sicurezza dell’edificio B del Tribunale il 16 ottobre. Sul corso delle indagini l’avvocato Anselmo rimane prudente. "Sospetto - afferma però - che siamo a buon punto: la testimonianza dell’africano è stata molto importante, ma soprattutto il fatto di aver dimostrato che Stefano prima dell’arresto era in ottime condizioni di salute credo sia stato un passo notevole".

Giustizia: Bernardini; carceri ultimo anello di sistema sfasciato

 

Il Clandestino, 24 novembre 2009

 

Il carcere è solo l’ultimo anello dello sfascio della giustizia". Rita Bernardini, radicale eletta nel 2008 nelle liste del Partito Democratico, da tempo in prima linea per il miglioramento delle condizioni nelle carceri, spiega al Clandestino perché occorre intervenire in fretta con adeguati provvedimenti per evitare che la situazione delle carceri esploda.

"Gli istituti di pena in Italia oggi possono contenere 43mila detenuti. Ma la popolazione è dì 63mila. Essi sono costretti a vivere in una condizione di promiscuità e sovraffollamento. Il tutto tenendo conto che mancano almeno 5mila agenti. Quali sono le categorie di detenuti su cui occorre focalizzare l’attenzione? "La situazione va considerata nella sua globalità ma voglio fare presente che il 50 per centro dei detenuti è in attesa di giudizio.

Tra loro un buon 40 per cento sarà assolto. Chi è dietro le sbarre spesso non ha la possibilità di lavorare e non gli resta altro che cucinare e guardare la tv. Il 25 per cento dei totale poi ha problemi di tossicodipendenza inconciliabili con l’istituto penitenziario. Poi ci sono quelle mamme che vivono con i loro figli dietro le sbarre. Per loro dovrebbero essere prese in considerazione strutture alternative fuori dal carcere". Quali le misure preventive per evitare il ripetersi di pestaggi ai danni di detenuti, alcuni dei quali recentemente finiti in tragedia? "E’ necessaria la creazione di un organismo di tutela, di un garante nazionale che possa svolgere le sue attività in tutti quei luoghi dove c’è la privazione della libertà.

Mi riferisco non solo alle carceri ma anche agli ospedali e ai commissariati. Oltre a questo ritengo sia necessario introdurre nel nostro ordinamento il reato di tortura, un buco normativo grave". Come giudica le proposte di chi all’interno della maggioranza chiede la costruzione di nuove carceri? "Questo non risolve i problemi. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano e altri del Pdl parlano di un piano di stanziamento di 1,6 miliardi di euro per aumentare la capienza a 63mila unità in tre anni. Tutto questo sarebbe inutile perché non tiene conto del fatto che nel 2012 a questi ritmi la popolazione carceraria toccherà quota l00 mila".

Giustizia: protesta dei penalisti; venerdì astensione da udienze

 

Apcom, 24 novembre 2009

 

L’Unione Camere Penali Italiane, la Camera Penale di Napoli e "Il Carcere Possibile Onlus" indicono per venerdì e sabato prossimi, 27 e 28 novembre, due giornate di protesta contro il sovraffollamento carcerario ed il 41 bis. Per venerdì è stata proclamata infatti l’astensione nazionale degli avvocati dalle udienze penali, in segno di protesta per "la mancanza di iniziative volte ad affrontare l’emergenza carceri, causa di inaccettabili violazioni dei diritti umani", e contro "l’inasprimento del 41 bis". Per sabato, poi, è stato convocato a Napoli il Consiglio delle Camere Penali: quel giorno si svolgerà la "Giornata per la legalità della pena", manifestazione pubblica per il rispetto dei principi costituzionali e delle norme in materia di esecuzione della pena, su iniziativa della Camera Penale di Napoli e del "Carcere Possibile Onlus".

Sabato dalle 10, a Piazza dei Martiri, ci sarà "detenuto per un minuto", una cella virtuale collocata in piazza per sensibilizzare i cittadini sulla realtà carceraria offrendo loro un reale percorso detentivo, dall’ingresso in istituto alla cella. Verrà distribuito materiale sulle condizioni di vita all’interno del carcere. Alle 15 al Teatro Politeama si terrà un incontro-dibattito sull’emergenza carcere, con la partecipazione dei rappresentanti delle istituzioni, dell’avvocatura, della magistratura, delle religioni, delle associazioni, dei sindacati, con l’intervento di politici e dei garanti dei diritti dei detenuti. Le iniziative saranno presentate domani a Napoli, alle 12, nella sede della Camera penale partenopea presso il nuovo Palazzo di Giustizia.

Giustizia: Osapp; l'amministrazione carceraria in disfacimento

 

Adnkronos, 24 novembre 2009

 

"Alfano e Ionta ci diano fatti, se ne sono capaci, oppure favoriscano il passaggio dei poliziotti penitenziari al ministero dell’Interno, consentendoci di lasciare al proprio destino un’Amministrazione che, come il caso Cucchi sta dimostrando, non solo non è in grado di tutelarci adeguatamente ma è in completo disfacimento".

Questo il commento del segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, che, riferendosi alla richiesta formulata da un altro sindacato della Polizia Penitenziaria, ritiene che, "con le attuali condizioni delle carceri italiane e della Polizia Penitenziaria, incontrare il ministro della Giustizia Angelino Alfano sarebbe del tutto inutile".

"Dal Ministro Alfano - aggiunge Beneduci - ci aspettavamo molto e nulla abbiamo ottenuto, visto che in 18 mesi il Guardasigilli ha delegato ogni problema al capo del Dap, Franco Ionta, che, a sua volta in altrettanto tempo, ha solo preparato un piano carceri dai costi astronomici che assai difficilmente vedrà la luce".

Per il segretario dell’Osapp, "dopo 18 mesi di sole chiacchiere, con i detenuti nuovamente in aumento di 1.000 al mese e con la Polizia Penitenziaria che, a parte subire quotidianamente decine aggressioni in carcere, perde 1.000 unità all’anno e ogni giorno è citata all’indice per violenze di cui altri ed il globale malfunzionamento del sistema penitenziario sono i reali responsabili, appare chiaro che non si vuole costruire un carcere migliore ma solo distruggerlo in favore di altri interessi, quali ed anche la privatizzazione".

Campania: Cgil; nelle carceri, situazione sanitaria drammatica

 

www.rassegna.it, 24 novembre 2009

 

"In Campania nelle 25 strutture detentive per adulti e minori presenti in regione, da oltre un anno è in atto il passaggio della Sanità Penitenziaria al Servizio Sanitario Regionale. L’applicazione della riforma, pur tra tante difficoltà dovute alla contemporanea attuazione del Piano di Rientro dal debito sanitario, ha messo in luce le gravi e storiche carenze della sanità penitenziaria, caratterizzata da attrezzature obsolete e da prestazioni non adeguate, ma ha anche evidenziato la impreparazione culturale, prima che organizzativa, delle Aziende Sanitarie di farsi carico della assistenza sanitaria dei detenuti". È quanto afferma - in una nota - la Fp Cgil Campania.

"Ciò - continua il sindacato - ha prodotto il persistere della disparità di trattamento tra reclusi e non, che si concretizza nella inappropriatezza delle prestazioni sanitarie per l’incapacità del sistema di assicurare una reale presa in carico del paziente conseguente ad una dotazione organica insufficiente, nella mancanza di assistenza psicologica, nella assenza di un uniforme modello organizzativo da parte delle Asl e in una cattiva gestione delle risorse esistenti".

La Fp-Ccgil e la Fp-Cgil Medici della Campania, nel denunciare all’opinione pubblica "la stentata attuazione della riforma che si riverbera nella drammatica situazione in cui versa l’assistenza sanitaria negli Opg e nelle carceri," invitano la Regione Campania "a definire gli standard organizzativi e la dotazione organica di personale necessaria per garantire efficacemente i cittadini malati momentaneamente privati della libertà individuale al fine di attuare la riforma". "La Fp Cgil - conclude la nota - nel pretendere la istituzione dell’ Osservatorio Regionale Permanente sulla Sanità Penitenziaria (previsto dal Dpcm 01.04.08), chiede un tavolo di confronto regionale per l’ attuazione della riforma al fine di non vanificare il lavoro di quanti hanno creduto e credono che l’applicazione di questa legge sia un atto di democrazia e di civiltà, una riforma che si ispira ai principi sanciti dalla Costituzione italiana e dalla Carta dei Diritti Universali dell’uomo".

Palermo: muore detenuto di 64 anni, ieri lamentava dei dolori

 

Ansa, 24 novembre 2009

 

È morto nel carcere "Pagliarelli" di Palermo, Antonino Iamonte, di 64 anni, di Saline Ioniche. Iamonte stava scontando una pena definitiva a tre anni di reclusione per associazione mafiosa inflittagli a conclusione del processo scaturito dall’operazione D-Day contro presunti appartenenti alle cosche di Melito Porto Salvo e della fascia ionica reggina. Antonino Iamonte era accusato di appartenere all’omonima cosca della ‘ndrangheta capeggiata da Natale Iamonte, attualmente detenuto.

La notizia del decesso è stata diffusa dal figlio di Antonino Iamonte, Francesco, che si recherà domani a Palermo insieme all’avvocato di fiducia, Pietro Modafferi, ed al medico personale per assistere all’esame autoptico. "Allo stato - ha detto l’avv. Modafferi - non possiamo affermare di trovarci con certezza dinanzi ad un caso di malasanità carceraria. Il mio assistito aveva detto di stare male nella notte di sabato scorso, accusando forti dolori allo stomaco e gli era stata applicata una flebo. Dopo poche ore è morto, ufficialmente per infarto".

 

Il commento di Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti

 

"Con rammarico ho appreso dell’ennesimo decesso avvenuto nelle carceri siciliane. Questa volta si tratta di un uomo di 64 anni, che nella notte tra il 21 ed il 22 novembre u.s., presumibilmente a causa di un infarto, è deceduto. Ho già interpellato gli organi competenti per avere notizie precise circa i fatti appena esposti, visto che il Sig. Antonino Iamonte, questo era il nome del ristretto, aveva manifestato forti dolori addominali proprio la sera prima del decesso. Mi auguro, ha concluso il Sen. Fleres, di ricevere risposte quanto prima e rassicurazioni circa la tempestività degli interventi medici posti in essere.

Roma: 51enne, detenuto con regime di "41-bis", tenta il suicidio

 

Ansa, 24 novembre 2009

 

Con una busta di plastica in testa avrebbe tentato di togliersi la vita Antonio Panico, capo dell’omonimo clan camorristico, detenuto in regime di 41 bis (il cosiddetto carcere duro) nel penitenziario romano di Rebibbia. Negli ultimi tempi Panico, 51 anni, arrestato nel 2006, si è lamentato per le difficoltà di incontrare la moglie, Concetta Piccolo, anch’essa detenuta a Rebibbia femminile: le nuove misure sul 41 bis hanno reso più severe le procedure per i colloqui con i familiari. Il boss avrebbe tentato il suicidio venerdì scorso, ma la notizia si è appresa in giornata. A salvare la vita a Panico è stato il tempestivo intervento degli agenti penitenziari.

Palmi (Rc): 2 ergastolani tentano la fuga; sparano sugli agenti

 

Ansa, 24 novembre 2009

 

Uno dei due fratelli Zagari ha finto di avere un malore mentre l’altro ha sparato contro gli agenti della polizia penitenziaria. È questa la prima ricostruzione del tentativo di evasione dei fratelli Giuseppe e Pasquale Zagari, avvenuto stamani nel corso della loro traduzione dal carcere di Palmi al tribunale di Reggio Calabria.

I fratelli Zagari, entrambi condannati all’ergastolo nell’ambito del processo per la faida di Taurianova, sono considerati elementi di spicco della ‘ndrangheta. La tentata evasione è avvenuta mentre il mezzo blindato della polizia penitenziaria stava percorrendo l’Autostrada A3. Nei pressi dello svincolo di Sant’Elia uno dei due fratelli ha finto di avere un malore ed ha chiesto l’intervento degli agenti della polizia penitenziaria contro i quali ha sparato l’altro fratello. I due agenti feriti sono stati raggiunti ad una gamba e ad un piede. Nonostante fossero feriti i due agenti hanno disarmato il detenuto ed hanno fatto rientro nel carcere di Palmi. I due agenti sono stati soccorsi e ricoverati nell’ospedale di Gioia Tauro. Le loro condizioni non destano preoccupazione.

 

Ionta: grande professionalità agenti

 

"Esprimo la solidarietà mia e dell’Amministrazione ai feriti ed un orgoglioso plauso per il comportamento operativo posto in atto anche dall’Assistente Michele Di Gennaro e dall’Assistente Capo Vincenzo Surace, i quali hanno contribuito a scongiurare la fuga dei due pericolosi detenuti".

Lo afferma in una nota il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta commentando la sventata evasione, sulla Salerno-Reggio Calabria, dei due pericolosi detenuti ergastolani Giuseppe e Pasquale Zagaridella. Ionta, inoltre ricorda che nel corso della traduzione dei due reclusi "nel tentativo di sventare l’evasione sono rimasti feriti da colpi di arma da fuoco l’Assistente Capo Natalio Fameli, l’Assistente Salvatore Clarizia ed il Sovrintendente Francesco Iacopo, appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria. Nonostante il ferimento prosegue Ionta -, il personale impiegato nella traduzione è riuscito con grande professionalità a ricondurre i detenuti presso il carcere di Palmi".

Il Vice Capo del Dipartimento Vicario sarà presente in Calabria per rappresentare la mia vicinanza ai feriti ed al personale coinvolto, essendo io chiamato ad assolvere un importante impegno istituzionale già prefissato presso il carcere di Cassino. Nell’esprimere apprezzamento al Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per la Calabria, Paolo Quattrone, per il suo immediato ed incisivo intervento, ripongo piena fiducia nell’inchiesta giudiziaria e negli accertamenti amministrativi che saranno espletati per far luce sul grave episodio".

 

Il commento del Sappe

 

È gravissimo quanto avvenuto questa mattina a Palmi durante un servizio di traduzione di due detenuti calabresi, provenienti da carceri del Nord Italia per espletare in Calabria un’udienza e sottoposti al regime detentivo di Alta Sicurezza in quanto appartenenti ad una cosca criminale di Polistena. I detenuti hanno tentato di evadere e due degli agenti di Polizia penitenziaria di scorta, nella colluttazione, sono stati feriti, uno alla gamba e l’altro al piede, da colpi di arma da fuoco esplosi da armi di piccole dimensioni abilmente occultate dai detenuti.

I nostri Agenti sono però riusciti con grande professionalità a sventare l’evasione ed hanno riportato immediatamente in carcere a Palmi i detenuti. I due colleghi feriti, pur se non in pericolo di vita, sono ora all’ospedale di Gioia Tauro. Uno sarà sottoposto ad intervento chirurgico. A loro, e a tutto il Reparto di Polizia penitenziaria di Palmi, esprimo l’incondizionata solidarietà e vicinanza del primo e più rappresentativo Sindacato del Corpo, il Sappe.

Non possiamo non pensare che anche questo grave episodio possa essere frutto del clima di tensione che si registra nelle carceri italiane, in cui l’esplosiva combinazione tra il grave sovraffollamento pari a circa 66mila detenuti e una carenza di 5.000 unità negli organici della Polizia penitenziaria determina di fatto livelli di sicurezza assolutamente insufficienti per i nostri Agenti, specie di coloro che lavorano ogni giorno, ogni ora, nella prima linea delle sezioni detentive, delle traduzioni e dei piantonamenti.

L’eroico gesto dei nostri valorosi Agenti, che hanno impedito l’evasione dei detenuti, dimostra una volta di più, specie in questo periodo in cui la Polizia penitenziaria subisce critiche false, gratuite ed ingiuste, la grande professionalità, il senso del dovere e lo sprezzo del pericolo dei Baschi Azzurri, fedeli rappresentati dello Stato democratico repubblicano nel difficile contesto penitenziario italiano. Mi auguro che le Istituzioni deputate - Governo, Ministero della Giustizia e Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria - adottino al più presto i provvedimenti di urgenza che la gravissima situazione non consente più di rinviare.

Pescara: detenuti protestano da sabato, un accoltellato in rissa

di Andrea Bene

 

Il Centro, 24 novembre 2009

 

Pentole battute contro le inferriate. Stracci incendiati lanciati dalle finestre. Cori ripetuti con la stessa parola: "Sovraffollamento". Al carcere di San Donato è scoppiato l’inferno. Da sabato sera è partita una rivolta dei detenuti che non ha precedenti: i reclusi contestano le condizioni disumane vissute all’interno della struttura. Il clima è talmente teso che ieri mattina, c’è stata anche una rissa tra detenuti e uno di loro è stato accoltellato. Il carcere di Pescara rischia di scoppiare: ci sono 78 detenuti in più del limite massimo consentito per garantire condizioni di vita sopportabili. Gli agenti di polizia penitenziaria hanno grosse difficoltà a controllare una situazione che si fa di giorno in giorno sempre più esplosiva.

Tutto è cominciato alle 19 di sabato scorso. All’ultimo piano del reparto giudiziario, dove alloggiano una sessantina di detenuti, è partita una protesta che si è poi estesa a tutto il carcere. Assente il direttore Franco Pettinelli.

I reclusi, per attirare l’attenzione all’esterno, hanno iniziato a battere contro le inferriate pentole e posate e qualcuno ha incendiato anche degli stracci gettati poi dalle finestre. Dall’esterno, in via Alento, una delle strade che costeggiano la struttura, si potevano sentire distintamente anche delle grida. "Vogliamo l’indulto", hanno urlato alcuni, "qua dentro non possiamo più vivere".

Al carcere sono arrivate decine di telefonate di residenti del quartiere che protestavano per il grande baccano, andato avanti fino a tarda sera. Gli agenti hanno tentato un intervento per calmare la situazione, ma con scarso successo. "Si tratta di una contestazione del tutto pacifica", hanno spiegato fonti della polizia penitenziaria, "i detenuti sollecitano una maggiore attenzione delle istituzioni per la difficile situazione nelle carceri italiane". Dopo la pausa notturna, la protesta è ripresa ieri mattina, a mezzogiorno e poi nel pomeriggio, alle 18. Andrà avanti anche oggi negli stessi orari dei pasti. Ieri, è circolata anche la voce di un presunto pestaggio che avrebbe dato vita alla contestazione, ma questa ipotesi è stata prontamente smentita.

Fonti interne al carcere hanno raccontato, in compenso, di una rissa scoppiata ieri a pranzo tra due detenuti per una faida tra famiglie. Uno dei due è stato ferito a una gamba con un coltello rudimentale, ma le sue condizioni non sono state giudicate gravi.

I dati del San Donato fanno impressione: attualmente sono registrati 219 detenuti, 78 in più del limite massimo consentito per una convivenza civile. Ci sono celle di appena 24 metri quadrati occupate da 8-9 persone. Mai la struttura è stata così affollata come oggi. L’effetto indulto, entrato in vigore nel 2006, che ha consentito di ridurre la popolazione carceraria, è svanito da un pezzo.

Ora anche il carcere del capoluogo adriatico non riesce più a contenere il grande numero di reclusi. La situazione si è aggravata di recente con la chiusura della sezione penale per lavori di ristrutturazione, che hanno reso necessaria la distribuzione dei detenuti nelle altre sezioni. Solo il reparto dei collaboratori di giustizia non avrebbe superato finora i limiti di capienza.

Il rappresentante della Fp Cgil, nonché agente della polizia penitenziaria in servizio al San Donato, Carlo Balbo parla di situazione gravissima. "Sono 31 anni che lavoro all’interno del carcere e non ho mai visto delle condizioni del genere", afferma. "C’è troppa gente", prosegue, "oggi (ieri, ndr) alcuni detenuti si sono ribellati quando hanno visto arrivare nella loro cella strapiena due polacchi arrestati". Il sindacalista illustra un quadro drammatico.

"Nella struttura manca quasi tutto, persino la carta igienica e le scope per pulire per terra", rivela Balbo, "la pulizia del provveditorato è stata affidata ai detenuti, perché non c’è più la ditta specializzata". L’esponente della Fp Cgil denuncia problemi anche tra il personale di vigilanza. "Ci sono 166 agenti di polizia penitenziaria", spiega, "ma 33 sono in malattia per stato ansioso. Inoltre, le agenti donne vengono inviate in missione a Chieti, dove non risulta necessario il potenziamento dell’organico". "Nel nostro carcere, invece", conclude, "non c’è neanche la possibilità di seguire gli insegnanti che entrano nella struttura per fare lezione ai reclusi, perché il personale è carente".

Sassari: le celle sempre più piene, si dorme nelle "sale colloqui"

 

La Nuova Sardegna, 24 novembre 2009

 

Celle sovraffollate, detenuti costretti a trascorrere la notte nelle sale colloqui perché in carcere non ci sono più letti disponibili. San Sebastiano è di nuovo a un passo dalla crisi. I problemi sono i soliti: sovraffollamento, inadeguatezza della struttura, organici carenti.

La denuncia arriva da Antonio Cannas, segretario provinciale del Sappe. In questo momento in carcere ci sono 210 detenuti. "Praticamente il doppio - scrive il sindacalista - del numero tollerabile". Il segretario del Sappe ha scritto una lettera aperta alla direzione della casa circondariale, al provveditorato regionale, alle segreterie nazionale e regionale del sindacato autonomo.

Cannas, che a maggio aveva segnalato le precarie condizioni dell’istituto di pena, ha di nuovo preso carta e penna per segnalare "la grave situazione cui versa il penitenziario, dalla fine di ottobre nuovamente sprovvisto del comandante di reparto". Questo perché il dipartimento ha destinato ad altra sede il commissario. Cocente la delusione della polizia penitenziaria, che credeva di avere vinto la battaglia per dare una guida stabile all’istituto. "Dopo l’intervento del Sappe, a San Sebastiano è stato finalmente assegnato un valido direttore - scrive Cannas -, ma subito dopo è stato allontanato il comandante". Segue l’elenco dei problemi. "Da quasi due anni il secondo piano è chiuso per inagibilità - ricorda il segretario provinciale -. Il reparto ospitava oltre cento detenuti.

Attualmente la conta dei presenti a San Sebastiano rasenta le 210 unità. Nelle camere a posto singolo, i detenuti sono ammassati in letti a castello". "Proprio la notte scorsa alcuni arrestati sono stati ospitati nelle sale colloqui e forniti di materassi per la notte - scrive il sindacalista -. La situazione è diventata insostenibile e il personale, senza più alcun punto di riferimento con valide competenze, è impossibilitato a gestire correttamente il servizio". Ad aggravare le condizioni di sovraffollamento, secondo Cannas contribuiscono "le continue assegnazioni, per motivi di giustizia, di detenuti a regime alta sicurezza".

Genova: ieri sera nuova protesta ha scosso il carcere di Marassi

 

Agi, 24 novembre 2009

 

Una nuova protesta ha scosso ieri sera il carcere genovese di Marassi dove da giorni è in atto un confronto tra la direzione ed i detenuti, infuriati per il sovraffollamento della struttura. La casa circondariale maschile genovese dovrebbe ospitare al massimo 400 detenuti, ma attualmente ve ne sono 800. Ieri dunque dalle 22 alle 23 i detenuti di tutti i "bracci" hanno iniziato a colpire le sbarre con le gamelle e ad urlare invocando un trattamento migliore.

Il direttore Salvatore Mazzeo sabato, dopo una veemente protesta notturna, aveva incontrato i detenuti concedendo loro la revisione del menu dei pasti e un esodo, con l’eliminazione della cosiddetta terza branda dalle celle, aggiunta appunto per motivi di sovraffollamento.

"Oggi trenta detenuti saranno trasferiti in altre strutture regionali - ha spiegato stamani Salvatore Mazzeo - Abbiamo inserito il menu invernale approvato da una delegazione di detenuti. Attendiamo dall’Amministrazione un esodo più massiccio". In quanto alla protesta di ieri sera, Mazzeo spiega che si sarebbe trattato di "Un gesto di solidarietà nei confronti dei detenuti delle altre case circondariali italiane che hanno dato forma alla protesta".

Alla protesta dei detenuti si affianca quella degli agenti di polizia penitenziaria che lamentano di essere sotto organico e temono che la protesta sfoci in una vera e propria rivolta. "Non saremmo in grado di controllarla" dice il segretario regionale Uil Penitenziari Liguria, Fabio Pagani, che aveva espresso forti perplessità sulla possibilità che l’incontro con la direzione potesse fermare la protesta. "Purtroppo per le note incapacità organizzative e amministrative dei nostri vertici - commenta polemicamente Pagani - paga ancora dazio il personale di polizia penitenziaria, che anche ieri sera ha dovuto impegnarsi, sott’organico, a gestire la criticità dell’attuale momento. Evidentemente l’Amministrazione non riscuote alcun credito nemmeno presso i detenuti. Lo avevamo detto e lo ripetiamo: non servono impegni qualunquistici ma atti concreti. Le parole contano poco, perché la tanto contestata terza branda in queste condizioni è inevitabile.

Stipare a Marassi 800 detenuti è da irresponsabili, considerato anche la grave deficienza organica di oltre 150 unità della polizia penitenziaria. Purtroppo - continua il segretario regionale - il capo del Dap continua ad ignorare la richiesta di incontrare le rappresentanze sindacali, a testimonianza della siderale distanza che separa i problemi della periferia dalle comode poltrone romane. Eppure basterebbe far rientrare a Genova tutti i distaccati presso i palazzi del potere romano perché si ritorni almeno a respirare. Oramai i ritmi insostenibili e i turni massacranti di lavoro gravano solo sulle poche unità superstiti inevitabilmente logore, stanche e arrabbiate".

Vicenza: i detenuti protestano; solidarietà dalla Camera Penale

 

Giornale di Vicenza, 24 novembre 2009

 

Anche a Vicenza sbattute le suppellettili contro le inferriate. La struttura avrebbe una capienza di 145 posti. I più arrabbiati sono gli ospiti della sezione Alta sicurezza. I penalisti: situazione pesante.

Il carcere di San Pio X come quello di Pescara, Lucca e Genova. E molti altri. Ieri gran parte dei 332 detenuti, soprattutto quelli ristretti nella sezione "Alta sicurezza", hanno dato vita ad azioni prolungate di protesta sbattendo per tre volte al giorno le suppellettili di acciaio contro le inferriate inscenando un concerto rumoroso di cui si avvertivano i decibel anche in via della Scola. "In effetti - spiega il direttore della casa circondariale Fabrizio Cacciabue - dopo che abbiamo risposto negativamente alle richieste inoltrate venerdì dai detenuti c’è lo stato di agitazione. Tuttavia, la sicurezza è garantita". Anche se una certa difficoltà a garantire la turnazione c’è visto che gli agenti, molti dei quali giovani, non superano le 130 unità.

I detenuti a Vicenza dovrebbero essere 145, mentre sono ben più del doppio. Se a ciò si aggiunge che gli agenti di polizia penitenziaria in organico sono 160 rispetto alla pianta di 190 uomini, ma non tutti come scritto sono in servizio, si capisce perché la situazione è abbastanza critica. "La situazione è molto pesante - dice l’avv. Paolo Mele, componente del direttivo della Camera penale berica con delega al San Pio X - e i rischi ci sono. Soprattutto perché una parte rilevante della popolazione è rappresentata da stranieri che non ha nulla da perdere".

Più flessibilità nei colloqui con i famigliari; una quantità maggiore di pacchi alimenti e un regime dei passaggi più tollerante sono le richieste avanzate da una rappresentanza dei detenuti al direttore Cacciabue la scorsa settimana. Il dirigente pur comprendendo le esigenze dei carcerati, ha risposto tre no secchi, in ossequio anche alle direttive centrali. La risposta ha provocato la reazione plateale di ieri. Quando i detenuti hanno cominciato il "concerto", che è andato avanti per parecchi minuti, sono stati fatti defluire dalle sezioni gli educatori in quel momento impegnati, per evitare sempre possibili azioni inconsulte. Sono state chiuse tutte le porte di comunicazione tra le varie sezioni e si è attesa la conclusione della performance. A rendere più delicata la situazione del carcere berico è la presenza simultanea e periodica di detenuti di spicco della criminalità organizzata nel nucleo centrale del penitenziario (mafia, camorra e ndrangheta) e dei collaboratori, oltre a una quota di definitivi. L’agitazione proseguirà nei prossimi giorni. Il carcere di Vicenza, tra l’altro, è inserito nel piano ministeriale che prevede l’ampliamento.

Venerdì i penalisti italiani, e dunque anche quelli vicentini, si asterranno dai processi se non quelli con imputati detenuti. Gli avvocati protestano contro "la mancanza di iniziative volte ad affrontare l’emergenza carceri, causa di inaccettabili violazioni dei diritti umani" e contro l’inasprimento del regime del "41 bis" per i detenuti mafiosi.

Napoli: riarrestato il quarto detenuto, evaso dall’Ipm di Airola

 

Ansa, 24 novembre 2009

 

La Squadra Mobile della Questura di Napoli ha arrestato il diciottenne Manuel Brunetti. Lo scorso 26 ottobre era evaso dal carcere minorile di Airola (Benevento) insieme con altri tre detenuti che era già stati catturati nelle scorse settimane. Le indagini condotte dai poliziotti hanno consentito di individuare il giovane in località Villaggio Coppola Pineta mare, in via delle Camelie, dove si trovava l’abitazione nella quale l’evaso aveva trovato rifugio.

Manuel Brunetti, il quarto evaso dal carcere minorile di Airola (Benevento) ed oggi arrestato dalla polizia, è accusato di aver partecipato all’omicidio, durante un tentativo di rapina, della guardia giurata Umberto Concilio, ammazzato lo scorso 17 gennaio in via Tribunali, nella zona di Castel Capuano, a Napoli, mentre stava rientrando in auto dopo aver effettuato il consueto servizio di vigilanza tra negozi e banche della zona.

All’epoca dei fatti Brunetti era ancora minorenne. Al giovane, secondo quanto riferirono gli investigatori subito dopo il fatto, piaceva vestire alla moda ed indossare costosi orologi come quello indossato al momento dell’arresto.

Rimini: al Salone della Giustizia, confronto con Ionta sui suicidi

 

Ansa, 24 novembre 2009

 

I suicidi dei detenuti, le recenti morti in carcere e l’immagine della polizia penitenziaria all’esterno degli istituti penitenziari. È su questo che si aprirà un confronto, anche con il capo del Dipartimento di polizia penitenziaria Franco Ionta, al Salone della Giustizia che prenderà il via a Rimini il 3 dicembre alla presenza del presidente della Camera Gianfranco Fini e del ministro della Giustizia Angelino Alfano.

E per capire meglio quali sono le condizioni di vita dei detenuti, anche di quelli che sottostanno al regime di 41-bis, in uno dei quattro padiglioni della mostra, verrà allestita in dimensioni reali una parte di struttura penitenziaria, con tanto di Ufficio matricola e di celle normali e speciali. Di cooperazione internazionale si discuterà poi con il presidente di Eurojust Josè Maria da Mota.

Ferrara: convegno in Comune; "Liberiamo i tossicodipendenti"

 

Dire, 24 novembre 2009

 

Se il sistema carcerario italiano "è al collasso", Ferrara non fa eccezione. Nel capoluogo estense è il fronte Verdi-Radicali-Socialisti a mantenere alta l’attenzione sull’emergenza carceri. Stamane in conferenza stampa i principali esponenti locali dei tre partiti anticipano i temi in programma nell’incontro pubblico del pomeriggio in Comune (sala Arengo), cui partecipano il già sottosegretario alla Giustizia Franco Corleone e il deputato radicale Marco Beltrandi.

Il capogruppo socialista in Regione, Sergio Alberti, ricorda sia l’impegno promesso dalla Giunta di viale Aldo Moro - in primis dell’assessore Giovanni Bissoni - sulle criticità sanitarie nella struttura di via dell’Arginone sia l’imminente risoluzione da parte del centrosinistra regionale. Con quest’ultima si sollecitano la nomina di un Garante dei detenuti emiliano romagnolo, che ancora non c’è, e misure alternative contro il sovraffollamento.

In città i detenuti sono arrivati a quota 530 (oltre il doppio della capienza regolamentare) e, come ricordato in Consiglio comunale dalla Garante Federica Berti, lo spazio nelle celle è ridotto a tre metri quadrati per detenuto (brande e suppellettili comprese) mentre ogni sezione di 78 detenuti è controllata da una sola unità di Polizia penitenziaria. Insomma "l’arrivo di sei poliziotti appare, più che una soluzione, un tentativo goffo di questo Governo di chiudere qualche falla di una nave ormai affondata", osserva il consigliere di circoscrizione dei Verdi Leonardo Fiorentini rispetto ai recenti sviluppi da Roma.

Sul tema recidive Fiorentini ricorda i dati nazionali: "Chi ha usufruito di misure alternative torna ai reati nemmeno nel 20% dei casi, chi ha scontato tutta la pena in carcere è recidivo per oltre il 60%". Dunque, "il carcere non aiuta il recupero", insiste il verde. Stasera, inoltre, in sintonia con un ventaglio di associazioni verrà lanciato l’appello "Liberiamo i tossicodipendenti" dalle carceri.

Como: una Guida per i detenuti, sarà fornita ai "nuovi giunti"

di Paola Pioppi

 

Il Giorno, 24 novembre 2009

 

Capire dove si è finiti, quali sono i punti di riferimento e le procedure, come chiedere e a chi. Poterlo fare nella propria lingua, abbattendo le distanze tra chi non ha padronanza dell’italiano e chi deve, con difficoltà, dare le minime coordinate a chi finisce in carcere per la prima volta. Un problema reale, che all’interno della Casa Circondariale di Como è cresciuto assieme alla percentuale di popolazione straniera, giunta ormai al quaranta per cento.

La "Guida per i detenuti di Como", presentata ieri all’interno del Bassone, è il risultato di un progetto nato tre anni fa, a cui hanno collaborato dieci detenuti e uno staff di cui hanno fatto parte la Cooperativa Questa Generazione e l’Auser, realizzata graficamente dal Centro Stampa Bassone. Si tratta di un volume destinato ad essere consegnato a chi entra in carcere per la prima volta, in cui sono racchiuse le informazioni essenziali per orientarsi, per capire quali sono le procedure, le figure a cui fare riferimento, le leggi essenziali, il personale, le attività e il lavoro all’interno dell’istituto. Il tutto realizzato in sette lingue in considerazione del numero di stranieri presenti - italiano, inglese, francese, spagnolo, albanese, rumeno, russo, arabo - a cui si aggiungono le versioni pronte in pdf di turco e cinese.

Per ora ne sono state stampate mille copie, distribuite in tutto il carcere e a disposizione di chi farà ingresso in futuro. "È una guida transculturale - ha spiegato Mauro Imperiale, responsabile dell’area educativa, realizzata con l’aiuto di educatori e mediatori. È uno strumento di comunicazione per avvicinarsi al nuovo giunto, in un momento di adattamento alla vita carceraria". Dario, detenuto che lavora al centro stampa e che ha realizzato l’impaginazione della guida, ha spiegato che "è un progetto nato attraverso il confronto, senza distinzione tra detenuti, educatori, operatori penitenziari: confronto che non è una cosa scontata all’interno di questa realtà, dove ognuno ha i suoi ruoli e doveri, ma nonostante ciò è stato possibile fare un lavoro sinergico. Abbiamo creato un gruppo di persone di diverse etnie e culture, con una capacità comune: condividere l’ascolto reciproco, essere capaci di guardare al prossimo e prodigarsi per lui.

Iniziative di questo genere devono avere la precedenza, perché attraverso l’impegno per la realizzazione di un bene comune, una persona ha la possibilità di crescere e di cambiare". Dal pubblico, uno dei detenuti è intervenuto ricordando che all’interno della guida si faceva riferimento a servizi che spesso sono carenti o inaccessibili all’interno del carcere: "È vero - ha risposto Federica Pisani - educatrice che ha fatto parte del progetto - ma questa guida non è una soluzione ai problemi. Serve piuttosto a individuare le criticità e a cercare di risolverle".

Milano: la mostra di artisti dall’Opg di Castiglione delle Stiviere

 

Asca, 24 novembre 2009

 

Nascono da un bisogno: non sentirsi soli. E da due esigenze: socializzare e comunicare. Le opere d’arte dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere (Mantova) sono realizzate da detenute e detenuti di una struttura che gestisce pazienti psichiatrici autori di reati. Non sono artisti, o per lo meno non sanno di esserlo fino a quando non provano a dipingere, ma i loro quadri stanno facendo il giro d’Italia e di alcuni musei del mondo, attirando l’attenzione di artisti e critici d’arte.

Le opere nascono all’interno di un vero e proprio atelier allestito nella struttura sanitaria. È nato nel 1990, sotto la guida artistica di Silvana Crescini. "Sono entrata vent’anni fa - racconta l’artista che espone alcune delle opere dei suoi allievi al Matching, l’evento organizzato dalla Compagnia delle Opere a Fiera Milano - per un corso di pittura che doveva durare tre mesi e da quel momento mi sono appassionata alle storie e alla incredibile vena artistica che queste persone riescono a tirare fuori.

E così ho deciso, con l’aiuto dell’istituto, di allestire un atelier permanente". Hanno tutti i materiali a disposizione per il disegno e la pittura e oltre a liberare la propria creatività espressiva, i malati-reclusi hanno la possibilità di esprimersi con un mezzo comunicativo non verbale che diventa un’occasione terapeutica. C’è chi sceglie di scrivere, chi sceglie la musica e chi, appunto, sceglie la pittura. Oltre, dunque, alla funzione riabilitativa "l’Atelier - racconta ancora Silvana Crescini - ha permesso ad una vocazione latente di alcune persone di manifestarsi.

In seguito all’opportunità avuta sono emersi alcuni originali artisti apprezzati soprattutto nel mondo dell’arte outsider". Grazie all’attività espositiva avvenuta negli anni, alcuni dipinti dell’atelier sono stati acquisiti dai musei: Collection de l’Art Brut di Losanna; Musee de La Creation Franche di Begles in Francia; Mad Musee di Liegi. "Il momento più bello - racconta ancora la curatrice dell’atelier - è vedere quando uno di loro finisce di dipingere un quadro: è una sensazione liberatoria difficilmente spiegabile.

Brasile: Battisti sospende sciopero della fame e si "affida" a Lula

 

Agi, 24 novembre 2009

 

Cesare Battisti ha sospeso lo sciopero della fame iniziato dieci giorni fa. Lo ha reso noto il senatore Eduardo Suplicy (Partito dei Lavoratori), secondo il quale la decisione è un "gesto di fiducia" nei confronti del presidente Inacio Lula da Silva, a cui spetta l’ultima parola sulla sua estradizione in Italia. In tal modo, ha spiegato il senatore del partito di governo, l’ex leader dei Pac (Proletari Armati per il Comunismo) ha voluto accogliere le pressioni delle persone che temevano per la sua salute. Battisti rimane nel carcere di Papuda dopo che il medico del penitenziario, Jose Flavio Souza, ha negato l’autorizzazione al trasferimento a Rio de Janeiro dove avrebbe dovuto partecipare al processo accessorio per uso di documenti falsi. Flavio ha sconsigliato il viaggio parchè le condizioni di salute dell’ex terrorista, dopo dieci giorni di sciopero della fame, erano debilitate.

 

 

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