Rassegna stampa 23 novembre

 

Giustizia: misure alternative o le carceri piene come un uovo

di Cosimo Maria Ferri (componente Csm)

 

Italia Oggi, 23 novembre 2009

 

Il problema del sovraffollamento carcerario è dovuto a un concorso di ragioni quali: l’edilizia penitenziaria ormai vetusta; il notevole incremento della popolazione detenuta di origine extracomunitaria; la massiccia presenza di soggetti condannati per pene detentive brevi (anche di pochi mesi) per i quali il ricorso alle misure alternative è ostacolato da preclusioni normative.

Il piano di edilizia penitenziaria recentemente presentato dal Dap (con un incremento di circa 17mila posti) guidato da Franco Ionta costituisce certamente un buon punto di partenza ma non è in grado di risolvere il problema nell’immediato, infatti dovrebbe andare a regime solo nel 2012, sempre che siano reperite le (notevoli) risorse finanziarie necessarie. È quindi opportuno riflettere sul potenziamento del sistema delle misure alternative, riprendendo per esempio alcune proposte avanzate anche sul piano politico: quella del rafforzamento degli strumenti della detenzione domiciliare per le pene inferiori ai 2 anni e quella dell’espulsione degli stranieri condannati per pene inferiori ai 2 anni disposta dal magistrato di sorveglianza.

Ancor più concretamente, si potrebbero, a mio avviso, apportare alcune piccole modifiche all’ordinamento penitenziario. È il caso della detenzione domiciliare che consente ai condannati per pene inferiori ai 2 anni di scontarle presso il proprio domicilio.

Rispetto a questa misura, infatti, mentre appare giustificata in ragione del maggior tasso di pericolosità sociale la preclusione per quanti siano stati condannati per delitti quali, ad esempio mafia, omicidio, spaccio ingenti quantità di stupefacenti, rapina aggravata, violenza sessuale e altri, non pare invece ineliminabile la preclusione in forza della recidiva reiterata. In altri termini: se un recidivo reiterato condannato per violenza sessuale o per una rapina aggravata si può senz’altro ritenere portatore di un grado di pericolosità sociale tanto elevato da non poter essere contenuto neanche mediante una detenzione domiciliare, difficilmente si può pensare che anche un ricettatore, un truffatore o un contrabbandiere recidivi reiterati siano portatori di una pericolosità sociale tale che non poterla contenere mediante una detenzione domiciliare.

Invece, in concreto accade che per molte condanne, anche per pene brevi inferiori ai 3 anni e per reati di modesto allarme sociale, per il solo fatto che sia stata applicata la recidiva reiterata (ex art. 99 c. 4 c.p.), non operi il meccanismo di sospensione dell’ordine di carcerazione da parte del pubblico ministero. In tali casi il condannato viene tradotto in carcere anche per scontare condanne di pochi mesi.

Si potrebbe inoltre potenziare l’effetto deterrente della detenzione domiciliare facilitando il ricorso a forme di controllo a distanza più stringenti. Si tratta di una possibilità già prevista, ma nella prassi operativa dei vari Tribunali di sorveglianza avviene di rado che siano applicate forme di controllo del detenuto domiciliare. Si potrebbero istituire reparti o sezioni speciali di personale della polizia penitenziaria dedicati al controllo dei condannati in esecuzione di misure alternative alla detenzione (sul modello statunitense del poliziotto di sorveglianza che viene assegnato al detenuto ammesso alla libertà vigilata e che ne controlla i movimenti).

Infine, per quanto riguarda la presenza di extracomunitari nell’ambito della popolazione detenuta, potrebbe essere potenziato lo strumento dell’espulsione quale sanzione alternativa applicabile da parte del Magistrato di sorveglianza (ai sensi dell’art. 16 comma 5 d.lvo 286/98). Così come oggi strutturato, questo strumento perde ogni effetto deflattivo perché non riesce a superare alcuni problemi applicativi: la difficoltosa identificazione certa dello straniero e del paese di provenienza; il lungo lasso di tempo che passa prima che venga eseguito il decreto di espulsione. Andrebbero dunque snellite e velocizzate le procedure esecutive dell’espulsione.

Giustizia: i Radicali da 5 giorni in sciopero fame per le carceri

 

Il Velino, 23 novembre 2009

 

"Inizia il quinto giorno di digiuno per Rita Bernardini, Irene Testa, Annarita Digiorgio, Alessandro Litta Modignani e me, per la calendarizzazione della mozione presentata dall’onorevole Bernardini e altri, sulla insostenibile condizione delle carceri italiane".

Lo afferma Claudia Sterzi, segretaria dell’associazione radicale Antiproibizionisti, che aggiunge: "Condizioni carcerarie che ci riportano sempre di più a un medioevo che avremmo voluto fosse rimasto solo un ricordo storico. In queste carceri vivono, o meglio sopravvivono, cittadini rei solo di coltivazione per uso personale di canapa, un reato che farebbe ridere se non fosse per la tragedia sociale, umana e politica delle sue conseguenze. I radicali, da decenni, combattono una battaglia nonviolenta per la depenalizzazione del consumo personale e quindi anche della coltivazione domestica; nella mozione presentata si richiama anche l’ultimo disegno di legge presentato che è, appunto, dell’onorevole Bernardini, e che equipara la coltivazione domestica all’uso personale, come sembrerebbe ovvio ma non è. Quale reato commettono i cittadini che coltivano per se stessi, se non quello di non finanziare il narcotraffico, che contribuisce in misura preponderante alla sopravvivenza delle mafie? Per la libertà di uso e di coltivazione, per liberarsi dalle mafie e dal narcotraffico, prosegue dunque la nostra rivolta nonviolenta alla quale invito tutti gli antiproibizionisti, i consumatori e i coltivatori ad unirsi".

Giustizia: nelle carceri c’è aria di rivolta, intervenga il ministro

 

Il Gazzettino, 23 novembre 2009

 

Cresce la tensione nelle carceri italiane, ancora alle prese con problemi di sovraffollamento e con problemi di organico nelle file della polizia penitenziaria. Ieri in diverse città si sono inscenate proteste, al limite della rivolta, con i sindacati degli agenti che hanno chiesto un incontro urgente con il ministro Alfano.

I detenuti del carcere San Donato di Pescara hanno iniziato a battere oggetti e pentole contro le inferriate che proteggono le finestre delle celle. Le grida dei detenuti si odono distintamente su via Alento, una delle strade che costeggiano il penitenziario.

Alcuni urlano ripetutamente la parola "sovraffollamento", altri hanno bruciato forse stracci: da una finestra si è vista una fiamma, spentasi quasi subito. Si tratta, assicurano fonti di Polizia, di una protesta del tutto pacifica. Nella struttura del capoluogo adriatico è stata superata la capienza massima, con 75 detenuti in più rispetto a quanto previsto (195 invece di 120), situazione aggravatasi di recente con la chiusura della sezione penale per lavori di ristrutturazione, che ha reso necessario ridistribuire i detenuti nelle altre due sezioni.

Analoga protesta, la scorsa notte, nel carcere di Lucca. "Per circa un’ora - riferisce il segretario del sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, Donato Capece - i detenuti hanno battuto le suppellettili contro inferriate e porte, per richiamare l’attenzione dell’amministrazione penitenziaria sul problema del sovraffollamento". E stessa situazione si è verificata, sempre ieri, nel carcere di Marassi, a Genova.

"Quelli di Pescara, Genova Marassi e Lucca - spiega Capece in una nota - sono penitenziari con molte criticità, nonostante l’encomiabile lavoro che ogni giorno svolge il personale di polizia penitenziaria. Lucca, con una capienza regolamentare di 82 posti, ospita più di 200 detenuti e Marassi, con 430 posti letto, ne ha 780. A Lucca, poi, mancano 40 agenti rispetto all’organico previsto, ed a Marassi ben 165! È ovvio che in questo contesto di sovraffollamento, qualsiasi cosa può essere foriera di problemi, soprattutto di sicurezza per chi nelle sezioni detentive lavora come i poliziotti penitenziari". Dopo le proteste Capece ha chiesto un incontro al ministro della Giustizia Angelino Alfano.

"L’auspicio - si legge in una nota - è che il ministro incontri a breve il Sappe e le altre organizzazioni sindacali per alcune proposte da inserire possibilmente nella stesura finale dell’annunciato Piano Carceri, il cui esame è dato per imminente al Consiglio dei Ministri". "La situazione - scrive Capece - è sempre più incandescente, con quasi 66mila detenuti a fronte dei 42mila posti regolamentari, e gli agenti costretti a turni pesanti in termini di stress e sicurezza. Per questo diciamo al ministro: incontriamoci per trovare soluzioni condivise".

Giustizia: soluzioni rapide, prima che le carceri saltino in aria

di Carlo Mercuri

 

Il Messaggero, 23 novembre 2009

 

Nell’estate scorsa l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo a risarcire con mille euro un detenuto costretto a stare per due mesi e mezzo in una cella sovraffollata. "È un risarcimento simbolico - dice Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo Polizia penitenziaria (Sappe). Ma proviamo a immaginare che cosa succederebbe se tutti i circa 66.000 detenuti ospitati dalle carceri italiane facessero analogo ricorso alla Corte europea. Lo vincerebbero senza ombra di dubbio".

Ogni detenuto nelle carceri italiane ha mediamente a disposizione meno di 3 metri quadrati di spazio, ben al di sotto dei 7 metri stabiliti dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura. Tradotto, significa che una cella "normale" è fatta per ospitare tre detenuti; oggi, invece, nei penitenziari italiani ci sono in media nove detenuti a cella. "Ormai si mettono letti a castello con tre brande nelle celle", dice Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe. La situazione è esplosiva.

Talmente esplosiva che ieri sono "scoppiate" tre proteste in altrettanti penitenziari italiani: a Genova, Lucca e Pescara. E in tutte e tre le case di pena la ragione della protesta dei detenuti è stata la stessa: il sovraffollamento, la disumanità del trattamento carcerario. "Il carcere di Lucca - racconta Capece - ha una capienza regolamentare di 82 posti ed ospita più di 200 detenuti; il carcere di Marassi, a Genova, ha 430 posti letto ed ospita invece 780 detenuti".

A Genova, nella notte, è stato pure sventato un tentativo di suicidio da parte di un detenuto che, se fosse stato portato a termine, avrebbe elevato a 67 la cifra dei detenuti che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno. "Nel 2008 - dice Martinelli - gli agenti penitenziari hanno sventato circa 650 tentativi di suicidio". E gli agenti penitenziari sono in forte difficoltà: "Siamo circa 38.000 - afferma Capece - Dovremmo essere 43.500. Ci mancano 5.500 unità. Lo diremo al ministro Alfano".

Il Sappe, insieme alle altre sigle sindacali della Polizia penitenziaria, ha infatti chiesto un incontro urgente al Guardasigilli. "La situazione è incandescente - sostiene Capece - Abbiamo quasi 66.000 detenuti a fronte dei 42.000 posti regolamentari. Gli agenti sono costretti a turni pesanti in termini di stress e sicurezza. Per questo diciamo al ministro: incontriamoci per trovare soluzioni condivise".

I sindacalisti degli agenti penitenziari lanciano anche dei suggerimenti ad Alfano. Capece parla, ad esempio, di "carceri leggere". Sono quelle che dovrebbero essere destinate ai detenuti con pene lievi. Poi torna a insistere sul braccialetto elettronico e sull’incremento della misura degli arresti domiciliari, "tutte pene alternative, utili a decongestionare i penitenziari".

L’idea a cui i sindacati degli agenti tendono è quella di poter arrivare a differenziare i condannati, a istituire dei "percorsi di pena" ad hoc per ogni crimine: "Oggi - spiega Capece - in una stessa cella c’è di tutto: accanto al piccolo spacciatore si trova il grande ricettatore, il medio criminale e pure il 41 bis".

"Come si può fare rieducazione in condizioni simili?", rincara la dose Martinelli. "Il sistema-carcere è in emergenza, il rischio sommosse e il rischio morte sono dietro l’angolo ogni giorno. Questo ognuno di noi lo deve tenere presente nelle proprie coscienze", dice, preoccupatissimo, Daniele Nicastrini, della Uilpa Penitenziari. "Noi priviamo il detenuto della libertà, ma non possiamo privarlo anche della dignità", aggiunge il segretario Capece.

Il Governo e, segnatamente, il ministro della Giustizia Alfano dovrà trovare soluzioni a un problema intricatissimo. Intanto, i soldi. Per costruire nuovi Istituti di pena serve 1 miliardo e 500 milioni di euro: così dice il piano-carceri. Alfano ha promesso che i soldi "si troveranno. Stiamo lavorando con Tremonti - ha detto - e chi pensa che non lavoreremo fino in fondo resterà deluso". In pratica, c’è bisogno di 20 mila posti in più. I sindacati sono piuttosto scettici, pensano che di soldi in cassa ce ne siano pochi e ritengono che occorra intraprendere qualche iniziativa straordinaria se non si vuole che i penitenziari saltino in aria.

Giustizia: Sappe; temiamo protesta si allarghi ad altre carceri

 

Adnkronos, 23 novembre 2009

 

"Per interesse di tutti continuiamo a fare i pompieri per evitare il peggio, ma la situazione si sta deteriorando. Non vorrei che ci trovassimo nelle condizioni di non poter più gestire e garantire l’ordine pubblico nelle carceri. Questo è l’ultimo grido di allarme, abbiamo chiesto al Ministro Alfano provvedimenti deflattivi ma non abbiamo avuto risposte". È quanto afferma, ai microfoni di CNRmedia, il segretario del sindacato di polizia penitenziaria Sappe Donato Capece. "I detenuti - sottolinea - stanno protestando a macchia di leopardo, Genova, Lucca e Pescara sono le situazioni più calde. Ma temiamo che la protesta si allarghi ad altri istituti. In questi istituti i detenuti battono sulle inferriate, gli agenti cercano di mantenere l’ordine. Ma - conclude - temiamo che la stessa cosa possa accadere negli altri grandi penitenziari del centro-nord".

Giustizia: lo Stato, deve risarcire le famiglie dei detenuti morti

di Susanna Marietti

 

www.linkontro.info, 23 novembre 2009

 

Era la fine del 2000, il 27 dicembre per la precisione, quando un ragazzo di 35 anni detenuto presso il carcere di Rovigo si fece dare dell’eroina dal compagno di cella appena rientrato da un permesso premio. All’alba del giorno seguente il ragazzo morì di overdose nel chiuso della sua stanza di detenzione. Era un tossicodipendente e aveva anche seri problemi di alcol.

Diana Blefari Melazzi, la neobrigatista condannata all’ergastolo per l’omicidio di Marco Biagi che si è impiccata lo scorso 31 ottobre nel carcere femminile di Rebibbia a Roma, era depressa. Evidentemente depressa. Diana Blefari Melazzi, la neobrigatista condannata all’ergastolo per l’omicidio di Marco Biagi che si è impiccata lo scorso 31 ottobre nel carcere femminile di Rebibbia a Roma, era depressa. Evidentemente depressa.

È di qualche giorno fa l’inattesa notizia che racconta di un giudice civile che ha condannato il Ministero della Giustizia a risarcire la sorella del trentacinquenne morto a Rovigo con 182.000 euro. Eppure, il ragazzo si è ucciso con le proprie mani. Proprio come Diana Blefari.

Ma quel giudice bizzarro ha ritenuto di dover dare alla parola "custodia" un significato più ampio di quello che comunemente circola nella semantica penitenziaria. Un significato che tenga dentro non solamente un’idea di sorveglianza, che pur c’è ed è sacrosanta, ma anche un qualcosa di più desueto in tali contesti - eppure è il primo dei significati elencati dallo Zingarelli! - per cui la custodia guarda anche alla "conservazione, cura, tutela" di quanto custodito. Un tossicodipendente e alcolista, ha ragionato il giudice, affinché sia conservato, curato, tutelato, deve essere innanzitutto osservato. Se trascura di osservarlo, e permette che si inietti una dose letale di eroina, il Ministero della Giustizia è corresponsabile della morte.

Allo stesso modo, si potrebbe usare l’argomentazione dell’avvocato Matteo Mion, vincitore di questa sentenza, per sostenere che Diana Blefari, abbandonata a se stessa nella propria cella singola nella quale non si alzava quasi più dalla branda, non è stata conservata, curata, tutelata dal nostro Ministero. E la stessa cosa si potrebbe dire per molte altre delle morti che il dossier di Ristretti "Morire di carcere" (http://www.ristretti.it/areestudio/disagio/ricerca/2009/morti_carcere.xls) ci elenca tristemente.

Nel luglio scorso l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per aver fatto vivere un detenuto in condizioni di sovraffollamento per alcuni mesi. Moltissimi altri detenuti stanno oggi seguendo l’esempio del pioniere e stanno presentando, con l’aiuto dell’associazione Antigone, i loro ricorsi a Strasburgo. Il Governo, che sente poco la campana dei diritti umani, sentirà forse quella dei sonanti quattrini.

La cifra che l’Italia è condannata a pagare dalla sentenza della Corte Europea è ben inferiore alla cifra di Rovigo. Se i famigliari di tante persone decedute in carcere in questi anni decideranno di fare proprio l’altro significato della parola "custodia", lo Stato potrebbe venire sbancato. Come il banco in un anomalo casinò di giustizia.

Lettere: caro Detenuto Ignoto… tu hai ragione e lo Stato torto

di Rita Bernardini (Deputata Radicale-Pd, Commissione Giustizia)

 

Il Manifesto, 23 novembre 2009

 

Caro Detenuto Ignoto, vorrei con tutta me stessa raggiungerti in queste ore per consegnarti un messaggio di Marco Pannella. Vedi, già molti anni fa, quando gli si avvicinava un tossicodipendente per stringergli la mano, abbracciarlo e chiedergli qualche lira per farsi, Marco, nell’assecondare quella sua richiesta di sballo (necessario, impellente), lo invitava in amicizia a rimandare quell’iniezione vitale (e a volte letale) magari solo per una notte. Ne sono sicura: in molti gli hanno dato retta, solo perché glielo aveva chiesto lui, cioè colui che nelle lettere che mi arrivano dal carcere viene definito "il leone Marco".

Ecco, il messaggio che vorrei consegnarti è di trasformare quel dolore tremendo, e apparentemente inconsolabile, che senti dentro di te, in lotta nonviolenta, in forza della ragione che non può prima o poi non essere compresa e condivisa. Già perché tu, caro detenuto ignoto, che probabilmente (non sicuramente) hai avuto il torto di violare la legge, ora, mentre sei rinchiuso in una cella di una galera italiana, hai dalla tua parte la ragione della legge.

Quando il Ministro della "giustizia", Angelino Alfano, arriva a definire le carceri italiane "incostituzionali", ammette che lo Stato tradisce la sua legge fondamentale. E ciò è accaduto negli anni, qualsiasi colore politico abbia governato questo nostro Paese, e continua ad accadere in un quadro sempre più folle, perché solo tale riesce a manifestarsi quando se ne smarrisce E lume delle regole. E perciò folle e vana, come tu probabilmente già la consideri, si rivela la tutela della legge dove la legge è ridotta a fantasma, il tentativo di recuperare il detenuto alla legalità, là dove essa è smarrita.

Perciò, se ti trovi insieme ad altri ammassato in una cella, rinchiuso là dentro per 20 o 22 ore al giorno, senza poter lavorare, studiare o svolgere una qualsiasi altra attività che non sia quella abbrutente di guardare la televisione, se sei malato e non ti curano, se non riesci a parlare con gli educatori, se vivi lontano dal tuo luogo di residenza, se sei tossicodipendente... tu hai ragione e lo Stato torto!

Perché l’art. 27 della nostra Costituzione appartiene a tutti i cittadini e anche a te, come anche e soprattutto a te appartiene la possibilità di lottare per i tuoi diritti, con le armi, le uniche, le sole davvero efficaci, della nonviolenza.

Da tre giorni con i miei compagni radicali Irene Testa (è lei che ha ispirato questa mia lettera con la sua Associazione "il Detenuto Ignoto"), Claudia Sterzi, Alessandro Litta Modignani e Annarita Di Giorgio, sto conducendo uno sciopero della fame per la calendarizzazione di una Mozione sulle carceri che la delegazione radicale alla Camera ha già depositato e che sta raccogliendo le firme di deputati di ogni orientamento politico.

Con noi, e ne siamo orgogliosi, c’è anche Ristretti Orizzonti, una rivista, un sito web, un luogo d’azione che da anni riesce a dar voce ai frequentatori di quel luogo oscuro che è la galera. Voce e parola a tutta la comunità penitenziaria. Noi abbiamo bisogno di te del tuo sostegno. Vorremmo che la tua giustificata "rivolta" interiore si traduca in azione nonviolenta con l’annuncio di alcuni giorni di sciopero della fame. Scrivici!

Abbiamo bisogno del tuo nome, dei tuoi connotati per dare senso a questa lotta, affinché tu non sia più il Detenuto Ignoto, ma una persona con nome e cognome, che decide nelle sue giornate tremende di non lasciarsi sopraffare dal dolore e dalla disperazione; per divenire capace di un sorriso che può cambiare le cose, cambiarti, cambiarci.

Lettere: di carcere si muore, qualche cartella clinica di detenuti

di Adriana Tocco (Garante dei diritti dei detenuti della Campania)

 

La Repubblica, 23 novembre 2009

 

Chi ha visto il film "Risvegli" del regista Penny Marshall ricorderà che i pazienti, affetti da encefalite letargica, venivano risvegliati da una terapia innovativa, ma questo effetto benefico svaniva dopo un certo tempo, sicché tutti ricadevano nel letargo abituale. Da questa stessa sindrome è affetta l’opinione pubblica italiana, si risveglia sotto l’effetto di eventi gravissimi, ma non isolati, per poi ricadere nell’abituale indifferenza.

Ora tutti, o quasi, vogliono sapere come è morto Stefano Cucchi, tutti (o quasi) vogliono conoscere chi e perché ha dichiarato Diana Blefari compatibile con il carcere, tranne poi a dimenticarli tra non molto. Ma chi si preoccupa dei tanti casi di malati gravi, dichiarati compatibili con il regime carcerario? Riassumo brevemente qualche cartella clinica di detenuti presenti nelle carceri campane.

Detenuto A: cardiopatia dilatativa postischemica con severa riduzione del ventricolo sinistro. Evidenza angiografica di malattia aterosclerotica ostruttiva di tre vasi coronarici e occlusione di un graft venoso a eseguito Ptca+stent medicati su coronaria destra e su ramo diagonale, complicata da infarto periprocedurale. Displidemia. Epatopatia Hcv correlata.

Il detenuto A che ha, come si vede, subito un infarto durante l’intervento di angioplastica, è stato anche palleggiato dal carcere all’ospedale dei Pellegrini e di là all’ospedale Loreto Mare, per mancanza di attrezzature adeguate, è tuttora a rischio di altro infarto, motivo per cui deve assumere un numero assai rilevante di medicinali, spesso non disponibili. Risultato: compatibile con il regime carcerario.

Detenuta B: Difficile raccogliere le notizie anamnestiche data la difficoltà da parte della paziente di articolare la parola. Persistendo sempre i mal di testa e le crisi ipertensive, viene nuovamente ricoverata per un’altra emorragia cerebrale. Giunge all’osservazione medica con emiparesi laterale sinistra e notevole difficoltà nell’articolazione della parola. È sempre su una sedia a rotelle e così viene al colloquio.

Pratica dialisi a giorni alterni, ha un occhio assolutamente inutilizzabile. Risultato: compatibile con il regime carcerario. Detenuto C: Cuore polmonare cronico, cardiopatia ischemicoipertensiva, diverticolosi del colon con episodi di melena, anemia secondaria, grave glaucoma bilaterale, nevrosi depressiva, adenoma prostatico, degenerazione artrosica dell’arto inferiore destro con deficit della deambulazione.

Viene al colloquio sulla sedia a rotelle. Risultato: compatibile con il regime carcerario. È necessario continuare in una elencazione certamente tediosa, fatta di termini scientifici che il computer si ostina a segnalare come errori e perciò poco comprensibili, per rendere evidente in qual conto siano tenute le gravi condizioni di salute nelle carceri italiane?

E quelle che ho descritto sono malattie fisiche e dunque facilmente verificabili, di che scandalizzarsi dunque se su quelle mentali non sorge nemmeno un dubbio? Se i suicidi appaiono sempre così inaspettati, così fatalmente ineliminabili, così imprevedibili? Talvolta lo sono, ma è un dovere istituzionale coglierne i segnali, laddove siano tanto evidenti.

E sarebbe anche un dovere di cittadinanza restare vigili, svegli perché sempre e dovunque i diritti fondamentali venissero rispettati, perché non ci si dovesse più indignare per morti oscure, perché la tossicodipendenza venisse combattuta in altro modo e non con il carcere e con una "preterintenzionale" condanna a morte.

Calabria: Laratta (Pd); detenuti vivono in uno stato angoscia

 

Asca, 23 novembre 2009

 

Il deputato del Pd, Franco Laratta, interviene sul caso del detenuto Giovanni Lorusso, che, nella notte tra lunedì e martedì della scorsa settimana, si è tolto la vita nel carcere di Palmi (Rc). "Si tratta di un episodio molto grave, che, ancora una volta, si verifica in un carcere italiano, che lascia ancora di più trasparire - dice Laratta - lo stato di angoscia e di disperazione in cui vivono migliaia di detenuti, condannati e anche in attesa di giudizio. La vicenda di Palmi è ancora più angosciante.

E sulla quale va fatta piena luce. Ed è necessario - afferma Laratta - che il ministro di Giustizia avvii un’indagine per capire se vi sono state negligenze, errori e ritardi nella vicenda. Non è possibile che questo accada e non è pensabile che episodi del genere - dice Laratta possano ripetersi. Il Governo deve intervenire, la magistratura deve fare chiarezza.

E bisogna capire cosa è successo in quella notte del suicidio, perché la notizia della scarcerazione del detenuto non è stata comunicata in tempo (il che avrebbe evitato il suicidio e quindi salvato una vita umana) e di chi sono le responsabilità. E poi è necessario fare luce sull’altro episodio inquietante: "Cosa è successo - conclude Laratta - a Giovanni Lorusso nel carcere di Ariano Irpino prima del suo trasferimento a Palmi? Come mai da quel penitenziario è uscito con una mano rotta? Cosa è successo veramente?".

Emilia-Romagna: centrosinistra chiede interventi per le carceri

 

Sesto Potere, 23 novembre 2009

 

È stata sottoscritta da 14 consiglieri regionali dei gruppi di maggioranza (Alberti, Zanca, Rossi, Casadei - uniti nell’Ulivo-psi; Montanari, Borghi, Monari, Salsi - pd; Mazza - sd; Delchiappo - misto; Bortolazzi - Pdci; Masella - Prc; Guerra - verdi; Nanni - idv) un’articolata risoluzione in cui si impegna l’Assemblea legislativa ad attivarsi, come previsto dalla l.r.3/2008 (Disposizioni per la tutela delle persone ristrette negli istituti penitenziari della Regione Emilia-Romagna), per eleggere "con urgenza" un Garante regionale dei diritti delle persone private della libertà.

Un ufficio, questo, - scrivono i firmatari - che sia "uno strumento democratico di conoscenza, controllo, garanzia e proposta, relativo alla condizione non solo dei detenuti, ma anche degli agenti di polizia, dei direttori e di tutti gli altri componenti della comunità penitenziaria, vittime tutti della stessa situazione di disastro umanitario e di inevitabile illegalità carceraria".

I consiglieri chiedono inoltre alla Giunta regionale di sollecitare l’intervento del Governo per "predisporre un piano di risorse, a partire da quelle congelate da troppi anni nella Cassa delle ammende, per garantire l’applicazione delle norme previste per l’affidamento speciale dei detenuti tossicodipendenti ed ogni altra misura idonea a potenziare il circuito delle misure alternative alla detenzione; e per un’applicazione estesa delle misure alternative, dal lavoro esterno alla semilibertà, attraverso un piano di lavori socialmente utili, coinvolgendo associazioni, volontariato e comunità disponibili a questo scopo".

La Giunta regionale - si legge ancora nel testo - deve intervenire sul Governo anche per ottenere "risorse nella prossima finanziaria finalizzate ad aumentare il personale organico sia di polizia penitenziaria, che dell’area del trattamento, e di stabilizzare gli psicologi che operano in modo precario da trenta anni; di riaprire ai detenuti prospettive di vita futura e di dare un senso riabilitativo alla pena; di rendere possibile il lavoro di tutte le professionalità, in particolare quella del controllo svolta dalla polizia penitenziaria e del trattamento, compresa l’assistenza psicologica".

I consiglieri domandano infine l’impegno della Regione "ad adoperarsi affinché, a seguito del trasferimento delle competenze sulla salute dei detenuti al SSN, soprattutto per problemi crescenti come le tossicodipendenze, Aids e altre malattie infettive, disturbi mentali e turbe del comportamento, specifiche patologie presentate da persone immigrate, venga effettuata una dettagliata ricognizione e si provveda a stanziare nel prossimo bilancio regionale risorse adeguate alla gravità delle situazioni sopra enunciate".

I firmatari, nel documento, ricordano, tra l’altro, che il 14 ottobre 2009, intervenendo in una seduta della IV Commissione assembleare, il Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria dell’Emilia-Romagna avrebbe sostenuto che in regione "il processo di cancerizzazione aumenta invece di diminuire; che attualmente il 41% della popolazione carceraria è costituito da condannati, mentre il 59% sono imputati in attesa di giudizio; che nel giro di due o tre anni al massimo la ricettività regolare potrebbe raggiungere i 5.000 detenuti, corrispondente alla popolazione che gravita nelle carceri emiliano-romagnole alla luce degli attuali indici di carcerizzazione e considerato che per 900 degli attuali 4.600 detenuti, è stato chiesto lo sfollamento verso carceri di altre regioni".

Sicilia: chiuse 4 sezioni di alta sicurezza, sono antieconomiche

 

Ansa, 23 novembre 2009

 

Chiuse le quattro sezioni di Alta Sicurezza, che ospitano i detenuti mafiosi a Palermo (carcere Ucciardone), Termini Imerese Enna e Ragusa. Il provvedimento, su ordine del Ministero della Giustizia, è stato notificato ai direttori delle carceri interessate qualche giorno fa, con effetto immediato. La disposizione ha riguardato circa 250 detenuti che sono stati trasferiti nelle altre carceri siciliane, una decina, che ospitano le sezioni di Alta Sicurezza. "Si tratta di un piano nazionale - dice Orazio Faramo, provveditore del Dap, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria della Sicilia - Il numero dei detenuti di alta sicurezza è diminuito nel corso degli anni anche a causa della declassificazioni di alcuni reati mentre è aumentato il numero dei detenuti di media sicurezza. Tenere aperte tante sezioni era dispendioso e antieconomico".

Mantova: 223 detenuti, nelle celle "singole" ci sono tre brande

 

La Gazzetta di Mantova, 23 novembre 2009

 

Le cellette progettate per un unico detenuto, in via Poma sono stabilmente utilizzate come doppie e all’occorrenza diventano triple. La direzione del carcere non ha altre possibilità, può contrastare il sovraffollamento solo aprendo brandine su brandine. Non è un albergo che può rifiutare clienti. Il tentativo della Procura di limitare gli accessi attraverso un maggiore ricorso alle celle di sicurezza delle forze di polizia e ad un confronto con il tribunale per ridurre i tempi delle direttissime, è il benvenuto, ma non basta a sanare una situazione che resta di piena emergenza.

I numeri parlano chiaro: tra persone in custodia cautelare e condannati (la maggior parte dei detenuti a Mantova sono in attesa di appello, minore è la quota di coloro che scontano una pena definitiva), nelle scorse settimane il carcere ha superato più volte quota 220 detenuti (con una punta di 223), vale a dire il doppio della capienza ottimale.

E ben oltre il limite ufficiale, quello che, anno dopo anno, nel tempo è stato innalzato fino alla quota di 190 persone. Non che siano stati effettuati decisi interventi strutturali né recuperati troppi spazi; più che altro sono stati aggiunti letti alle camere esistenti. È così che nelle cellette pensate per un’unica persona sono comparsi i secondi letti, le stanze da sei sono diventate da otto e in quelle da dieci s’è fatto posto per dodici. Nelle settimane che sono seguite all’indulto è bastato, ma da tempo ormai sono tornare fuori le brandine d’emergenza, con tutti i problemi che ciò implica in termini di vivibilità, ordine e rischio sanitario.

 

La procura: i processi subito

 

La procura e il tribunale di via Poma insieme per accelerare i processi e limitare al massimo il numero dei detenuti in attesa di giudizio. Una collaborazione obbligatoria, richiesta nei giorni scorsi dal procuratore capo Antonino Condorelli al presidente del tribunale Filippo Nora. Motivo? Quello che lo stesso Condorelli chiama una "intollerabile situazione di sovraffollamento della casa circondariale di Mantova".

Del resto, che il carcere di via Poma sia al limite del collasso è cosa nota a tutti e non da oggi. Attualmente i detenuti sono più di 220, a fronte di una capienza che un tempo era di 120, oggi ritoccata a 190. Ma in una stessa stanza, laddove dovrebbero esserci sette-otto persone, a volte ce ne sono dodici o tredici, con i conseguenti disagi di vivibilità e rischi natura sanitaria.

Nei giorni corsi il procuratore capo Condorelli ha scritto al presidente del tribunale chiedendo "la necessaria collaborazione per organizzare in ciascun giorno non festivo, fatte salve le specificità del caso, l’immediata celebrazione dei giudizi direttissimi entro le ventiquattro ore dal momento dell’arresto, consentendo così alle forze di polizia giudiziaria di trattenere l’arrestato nelle proprie strutture senza procedere alla traduzione in carcere".

Condorelli sottolinea anche di aver ricevuto puntuale ed immediato riscontro da parte del presidente del tribunale. In sostanza la procura della repubblica chiarisce che per alleggerire la situazione di sovraffollamento del carcere di Mantova non sarà - ovviamente - ridotto in numero degli arresti, bensì si cercherà di ridurre il numero delle persone che a seguito dell’arresto debbano essere condotte in carcere prima della decisione del giudice competente.

Condorelli ha già impartito le opportune direttive sia ai sostituti procuratori che alle forze di polizia. Militari e agenti potranno trattenere la persona arrestata nelle celle di sicurezza delle proprie strutture senza doverle trasferire nel carcere di via Poma in attesa del processo, naturalmente in tutte quelle ipotesi in cui il reato commesso consente di utilizzare la formula del rito direttissimo nelle ventiquattrore successive al fermo.

Teramo: nel carcere di Catrogno… un reportage dall’inferno

di Lorenzo Colantonio

 

Il Centro, 23 novembre 2009

 

"Spenga il cellulare, dall’inferno non si telefona". Ore 9 di ieri, il carcere di Teramo è avvolto dalla nebbia. La porta blindata si chiude alle spalle e fa un rumore sordo. Al di là del vetro un agente ordina di depositare il telefonino, diffida a scattare fotografie e ripete: "Sono solo, mandatemi qualcuno in appoggio".

Al di qua c’è la fila. Ci sono il clan rom di Sante Spinelli, lo zingaro arrestato per l’omicidio di Alba; l’avvocato teramano Nello Di Sabatino e una donna che chiede di incontrare Ivano Cocciadiferro, personaggio pescarese legato al mondo dello spaccio. Dieci anni fa evitò il carcere perché diceva di soffrire di claustrofobia. Ora è al Castrogno, dove 400 detenuti vivono in stanze di otto metri quadrati, due dei quali sono occupati da bagni con pareti di cartongesso senza manutenzione da dieci anni.

L’odore dev’essere nauseabondo, d’estate è insopportabile. I detenuti gettano dalle finestre i rifiuti organici. Ma non c’è un euro per fare le pulizie, neppure per acquistare la carte per la fotocopiatrice, persino la carta igienica è finita. Nessuno, qui dentro, però può dirlo. Se un agente parla rischia un procedimento disciplinare. Se racconta che l’appalto delle pulizie non è più stato fatto, che a pulire il carcere, grande come un ospedale, ci sono solo due persone che non hanno i detersivi e che sotto le finestre dei detenuti i cumuli di rifiuti marciscono da mesi, rischia di essere sospeso.

La porta d’ingresso si chiude, l’agente ripete: "Sono solo, mandatemi un appoggio", la rom Spinelli deposita un euro e 20 centesimi come cauzione per la chiave dell’armadietto dove le zingare, arrivate con due bimbi di 4 e 5 anni, lasciano anelli e collane d’oro, e dall’altra porta entra un graduato: "Niente foto", dice, "cancelli subito quelle che ha fatto. Niente visita ai reclusi, niente domande agli agenti".

È un clima teso quello che si respira al Castrogno: il carcere dello scandalo del pestaggio al detenuto, del cd anonimo finito su tutti i giornali d’Italia e del comandante delle guardie sospeso, Giuseppe Luzi, che nel cd dice a un subalterno: "I detenuti li devi massacrare in sezione". Ma nessuno parla dell’ex comandante, né dice che le guardie carcerarie sono 184 sulla carta, ridotte a 110 per permessi, ferie e malattie, contro 400 detenuti, il doppio di quelli che Castrogno può contenere. Nessuno può rivelare che nelle quattro sezioni sono rinchiusi 60 sieropositivi insieme a 50 malati psichiatrici, tutti a rischio di gesti autolesionistici.

Il carcere è al gelo, il riscaldamento è acceso poche ore di mattina, poi lo spengono perché i soldi sono finiti. Metà dei padiglioni è coperta d’amianto, d’inverno si vive al gelo, d’estate sembra un braciere. I vetri rotti non vengono sostituiti. E 100 stanze, prima occupate dagli agenti, ora sono vuote.

Ma i detenuti vivono dall’altra parte, stretti come sardine, e la tensione è cresciuta per mesi. Cinque aggressioni agli agenti, un recluso pestato, finché non è arrivato il nuovo commissario, Sabatino De Bellis, che ripete: "Le regole vanno rispettate. Occorre rigore". "Ora può entrare, la faccio accompagnare al bar. Attenda lì", dice il graduato.

La scala interna del padiglione centrale è buia, sembra di stare in montagna con la maglietta di cotone. Il pavimento del bar è una lastra di linoleum marcia, i termosifoni sono gelidi, su una colonna sono appese le foto degli agenti morti, chi per incidente stradale chi per tumore, su un’altra colonna c’è l’unico messaggio che dà un senso di umanità: "Il 13 dicembre pranzo alla fattoria Rurabilandia, costo 20 euro".

È la fattoria di Atri dove i detenuti lavorano insieme ai disabili in un programma di riabilitazione. Ma qui, nel carcere che sembra un pollaio, è difficile riabilitarsi. In un qualunque momento può esplodere la rabbia. Ciascun detenuto vive in 6 metri quadrati, anzi in 3 metri perché in ogni cella ci sono due reclusi. Dormono su letti a castello, in alcune stanze i posti sono persino tre ed è come passare la vita in un ascensore. Ma anche in questo caso non può trapelare nulla. Così come non si deve sapere che l’ambulatorio dentistico è rimasto rotto per due anni e che ora che l’hanno riparato non funziona perché la Asl non ha soldi. Gli agenti non parlano, non possono dire che per coprire i turni quando si è meno della metà dell’organico saltano i riposi e fai lo straordinario che non verrà mai pagato. Nessuno deve sapere che dei sei psicologi previsti ce ne sono solo due a tempo pieno per 400 detenuti. E che il parlatorio è una stanza di dieci metri per due con sette sedie da una parte e sette dall’altra, senza divisori, dove storie disperate si incontrano e non hanno più segreti.

Modena: Casa Lavoro; proteste, per sospensione dei permessi

 

La Gazzetta di Modena, 23 novembre 2009

 

Da circa un mese per i residenti nella zona attorno alla Casa di Lavoro di Saliceta San Giuliano la "ninna nanna" è assicurata dagli internati. Puntuali ogni sera dalle 23 alle 24 circa, gli ospiti della struttura penitenziaria fanno esplodere rumorosamente la loro protesta contro il rifiuto, da parte del magistrato di sorveglianza, di concedere i permessi di uscire dalla casa di lavoro per poter lavorare o usufruire dei permessi di cui avrebbero diritto per la loro condizione, non di carcerati, ma di ospiti di una casa di lavoro.

Invece, da alcuni mesi, la loro condizione è quella di detenuti a tutti gli effetti senza alcuna possibilità di uscire. A questo vanno aggiunte le condizioni igieniche e ambientali in cui sono costretti a vivere con celle da cinque persone trasformate in camerate da 10 detenuti. Una protesta rumorosa, si diceva, che si manifesta ogni sera per circa un’ora con lo sbattere di pezzi di ferro o altri oggetti contro le grate delle finestre o le porte in ferro, fatto sta che il tambureggiare rimbomba all’esterno.

I residenti - che ci hanno segnalato il problema - si sono rassegnati e sperano che la protesta prima o poi finisca, confidando che le rivendicazioni degli internati trovino udienza. Rivendicazioni contenute in una lettera che gli ospiti della casa di lavoro hanno inviato al ministro Alfano, al magistrato di sorveglianza Angelo Martinelli, alla direzione della casa di lavoro e al tribunale di Sorveglianza di Bologna.

"Si tratta di uno sciopero pacifico - spiegano nella lettera - con la chiusura dei lavoranti e il rifiuto dei pasti dell’amministrazione per una serie di motivi. In primo luogo per motivi di Giustizia riguardanti la nostra attuale situazione di libertà personali che ci è sistematicamente negata dal magistrato di sorveglianza Angelo Martinelli; a nostro avviso è dovuto esclusivamente ai suoi problemi personali, quindi senza valutare adeguatamente le nostre situazioni caso per caso". A questo proposito gli internati chiedono quanto prima un incontro con il presidente del tribunale di sorveglianza per risolvere questa situazione. "Vorremmo chiarire una volta per tutte le differenze che ci sono tra internato e detenuto, benefici e termini visto che ora a tutti gli effetti siamo detenuti, pur avendo già pagato i nostri reati, ci ritroviamo reclusi all’interno di una casa di lavoro".

Gli internati chiedono di avere risposte sincere e garantiste sulle reali possibilità di ottenere i permessi. Da parte sua il magistrato di sorveglianza ha già spiegato che il divieto di concedere i permessi gli è imposto dal Ministero di Grazia e Giustizia in seguito a quanto accaduto nell’estate 2008, quando un internato della casa di lavoro in permesso andò a Pescara e uccise una persona. Fu lo stesso Martinelli a concedere quel permesso e per quei fatti è stato sottoposto a un’ispezione disciplinare interna.

Arezzo: Cisl; troppi detenuti, ristrutturazione non può partire

 

Il Tirreno, 23 novembre 2009

 

Da tempo siamo impegnati a risollevare le sorti della Casa Circondariale di Arezzo, dove la Struttura è ormai inadeguata e dove il sistema di gestione del Personale è collassato. Alle porte della scorsa estate tutto sembrava pronto per l’avvio, in autunno, di una importante opera di ristrutturazione del Penitenziario Aretino, tanto era avanti la questione che presso il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Toscana era in fase avanzata anche un eventuale protocollo d’intesa sull’uso del Personale nel periodo dei lavori.

Purtroppo la grave situazione di sovraffollamento detenuti, in tutta la regione ed in Italia, ha fatto sì che il Prap decidesse, insieme al Dipartimento Centrale, di rinviare al 2010 i lavori e di mantenere ancora tutto l’Istituto di Arezzo in piena funzione ed al massimo delle presenze detenuti possibile. Questo ha fatto però riemergere un problema legato anche ad una decisa conflittualità tra la Direzione del Carcere e le OO.SS. del Personale di Polizia Penitenziaria. I Protocolli d’Intesa sulla gestione sono sistematicamente ignorati dalla Direzione e nonostante le continue contestazioni nulla sembra far prendere coscienza all’Amministrazione Penitenziaria che così non si può continuare.

Nei giorni scorsi abbiamo ripetutamente investito della problematica il Prap della Toscana ed ora auspichiamo che, in brevissimo tempo, sia convocata la Commissione Arbitrale Regionale, un organo di garanzia previsto dal Contratto delle Forze di Polizia e - specificatamente - per la Polizia Penitenziaria. Intanto però queste Lavoratrici e questi Lavoratori sono impegnati, nonostante i loro diritti siano diffusamente ignorati, a garantire il corretto funzionamento del Carcere ed il mantenimento dell’ordine e sicurezza interna, nell’interesse più generale della Collettività.

Chiedono però all’Amministrazione Penitenziaria Regionale di fare presto, perché così ad Arezzo non è più possibile proseguire, mentre invece in un ambiente tanto difficile come il carcere la serenità di chi ci lavora dovrebbe essere una delle priorità che andrebbero assicurate. Se a breve non arriveranno segnali di cambiamento la Cisl Fns non esclude di mettere in atto azioni di lotta più incisive, perché finalmente anche ai Poliziotti Penitenziari di Arezzo siano assicurate le giuste attenzioni.

 

Il Segretario Generale Cisl Fns

Fabrizio Ciuffini

Sassari: carenza di personale, affollamento, direttore precario

 

La Nuova Sardegna, 23 novembre 2009

 

Carenza di personale, sovraffollamento, direttore precario. Per non parlare degli spazi insufficienti e della precarietà delle strutture che limitano lo svolgimento anche delle attività primarie. Analisi impietosa quella della commissione Diritti civili del consiglio regionale dopo le quattro ore di visita al carcere di San Sebastiano.

Il presidente Silvestro Ladu ha sottolineato che "le problematiche sono le stesse degli altri istituti di pena visitati in precedenza". "Il secondo piano del carcere - ha spiegato Ladu - dove dovrebbero svolgersi le attività ricreative non viene utilizzato perché necessita di una importante ristrutturazione, per cui i 215 detenuti sono concentrati in poco spazio". Situazione di disagio anche tra gli agenti della polizia penitenziaria: "L’organico è ridotto alla metà perché il personale è di 80 unità mentre ne servirebbero almeno 160". La commissione - dopo una prima valutazione della situazione - ha cominciato a ragionare anche sulle proposte: "Chiederemo al ministero, - ha affermato Silvestro Ladu - di fare svolgere i concorsi in Sardegna e non solo a Roma.

Questo per evitare che i vincitori, che per la stragrande maggioranza vivono nella penisola, chiedano il trasferimento vicino a casa dopo pochi mesi di lavoro nell’isola, lasciando buchi in organico che non vengono mai colmati". Anche a San Sebastiano la commissione regionale ha verificato "la mancanza di occasioni di lavoro per i reclusi. Infine i direttori: "La metà sono precari o a scavalco".

L’ultimazione del nuovo carcere di Sassari e degli altri previsti, secondo Ladu potrebbe consentire a tanti agenti che lavorano nella penisola di rientrare in Sardegna, "ma anche di avvicinare alle famiglie i detenuti che si trovano in carceri oltremare dando applicazione al principio della territorialità della pena".

Firenze: rimpatrio detenuto suicida a carico regione e comune

 

Ansa, 23 novembre 2009

 

La Regione Toscana e il Comune di Firenze provvederanno alle spese per il rientro in Marocco della salma del diciassettenne marocchino suicidatosi martedì scorso nel carcere minorile di Firenze dove era detenuto per tentato furto. Lo hanno deciso insieme, si spiega in una nota, l’assessore regionale per il diritto alla salute Enrico Rossi e il sindaco Matteo Renzi. Per rendere possibile il trasferimento, ricorda la nota, una associazione fiorentina aveva annunciato una raccolta di fondi. Il giovane si trovava in carcere dall’agosto scorso, in attesa di giudizio.

Padova: congresso Nessuno Tocchi Caino, in Casa Reclusione

 

Agenzia Radicale, 23 novembre 2009

 

Il prossimo Congresso di Nessuno tocchi Caino si svolgerà il 17 e 18 dicembre 2009 in un luogo particolare: la Casa di Reclusione di Padova. È la prima volta che un congresso - non solo di un’associazione Radicale, ma in assoluto - tiene i suoi lavori in un penitenziario e Nessuno tocchi Caino ringrazia il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria di aver condiviso l’idea e concesso le necessarie autorizzazioni.

Il Congresso si svolgerà proprio nei giorni del secondo anniversario dello straordinario successo sulla Moratoria Universale delle esecuzioni capitali all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Con quel voto abbiamo raggiunto un obiettivo di portata storica per il nostro Paese e di grande rilievo umano e civile per il mondo intero e il Congresso sarà anche occasione per il rilancio della campagna per la Moratoria, un rilancio assolutamente necessario per evitare che sia dissipato quello straordinario risultato.

La scelta è caduta a ragione sulla Casa di Reclusione di Padova, essendo nel generalmente disastrato pianeta carcerario italiano il luogo dove negli ultimi anni si è manifestata una realtà - pensiamo ad esempio all’esperienza di "Ristretti Orizzonti" - particolarmente viva e attenta alle questioni del carcere, della pena e della risocializzazione dei detenuti. Per i tempi molto stretti dell’organizzazione e le comprensibili esigenze sicurezza per le quali l’ingresso in carcere va individualmente autorizzato, Nessuno tocchi Caino invita i propri iscritti a preannunciare la partecipazione al Congresso inviando subito una mail a gaia.rosini@nessunotocchicaino.it.

Ferrara: incontro pubblico sulla situazione carceraria italiana

 

Sesto Potere, 23 novembre 2009

 

Il sistema carcerario italiano è al collasso. La popolazione detenuta ha ormai raggiunti limiti insopportabili (quasi 65.000 unità a fronte di una capienza regolamentare di 43.262) ed il continuo allargamento della sfera penale per i deboli a fronte di una tendenziale impunità per i potenti non fa altro che aggravare la situazione. Le soluzioni non possono essere limitate alla costruzione di nuove carceri assecondando leggi criminogene come quelle sull’immigrazione e sulle droghe, bensì è necessario un ricorso allargato alle misure alternative e il superamento del Codice Rocco con una riforma - invano richiesta da decenni - indirizzata finalmente ad un Diritto Penale minimo.

La situazione è grave anche nel carcere di Ferrara, come hanno messo in luce le proteste degli stessi operatori della Polizia Penitenziaria: i detenuti sono arrivati anche a quota 530 (oltre il doppio della capienza regolamentare) e - come ha relazionato recentemente al Consiglio comunale la Garante dei Diritti dei Detenuti: - lo spazio nelle celle è ridotto a 3mq per detenuto (brande e suppellettili comprese), le condizioni di vita prevedono di stare in piedi a turno, ogni sezione di 78 detenuti è controllata da una sola unità di Polizia Penitenziaria.

"In questa situazione - affermano gli organizzatori dell’incontro - l’arrivo a Ferrara di 6 poliziotti appare più che una soluzione, un tentativo goffo di questo Governo di chiudere qualche falla di una nave ormai affondata". Di questo discuteranno oggi alle ore 17,30 presso la Sala dell’Arengo in un incontro promosso dai Radicali e dai Verdi di Ferrara Sergio Alberti, capogruppo dei Socialisti in Regione, Bruno Mellano, presidente di Radicali Italiani, e Franco Corleone, presidente de La Società della Ragione, Garante dei Diritti dei Detenuti a Firenze ed ex sottosegretario alla Giustizia. Coordinerà i lavori Leonardo Fiorentini, consigliere dei Verdi nella Circoscrizione 1.

Nel corso dell’incontro sarà anche presentato l’appello "Le carceri scoppiano: potenziamo le misure alternative, liberiamo i tossicodipendenti!", promosso da Forum Droghe, Antigone, Gruppo Abele, Arci, La Società della Ragione, Ristretti Orizzonti, Comunità San Benedetto al Porto, Coordinamento nazionale dei Garanti territoriali dei diritti delle persone private della libertà personale, Conferenza nazionale volontariato giustizia, Cnca, Seac-Coordinamento enti e associazioni volontariato penitenziario, Fondazione Basaglia, Cooperativa Cat.

Kenya: otto detenuti morti di colera… nella prigione di Kamiti

 

Ansa, 23 novembre 2009

 

Sette detenuti sono morti di colera tra ieri e la notte scorsa nella prigione di Kamiti, a Nairobi, un penitenziario di massima sicurezza. Lo annunciano oggi fonti ufficiali. Nei giorni scorsi, sempre a Kamiti, era morto dello stesso male un altro detenuto. Altri decessi per colera erano stati segnatati in precedenza in alcuni slum della capitale keniana. Zone, come del resto il carcere di Kamiti, del tutto prive di seppur minime strutture igienico-sanitarie.

 

 

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