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Giustizia: Alfano; il Paese chiede politiche criminali più severe di Donatella Stasio
Il Sole 24 Ore, 7 maggio 2009
La doppia fiducia su sicurezza e intercettazioni? "Nessuna forzatura, nessun malumore nella maggioranza, solo l’esigenza di approvare prima della tornata elettorale i due provvedimenti e dimostrare che il Governo ha rispettato gli impegni". Dario Franceschini parla di ritorno alle leggi razziali? "La risposta l’hanno già data i cittadini alle elezioni, ma se al Pd va bene continuare a perdere consensi sulla sicurezza, sostenendo che noi cavalchiamo questo tema, contenti loro, contenti noi...". Angelino Alfano, 38 anni, è appena rientrato al ministero della Giustizia dopo l’ultimo vertice di maggioranza sulla sicurezza. Ad aspettarlo ci sono alcuni imprenditori siciliani, tra cui Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia, con cui "festeggia" l’epilogo sulla norma antiracket, e poi il Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, felice che il Governo gli abbia restituito i poteri che la versione originaria del Ddl gli aveva sottratto. Due delle poche norme non contestate del contestatissimo provvedimento su cui il Governo, ieri mattina, ha deciso di porre la fiducia.
Signor ministro, l’opposizione considera la fiducia un colpo di mano per superare divisioni e malumori interni alla maggioranza, una forzatura istituzionale. Nessuna forzatura. I Ddl sicurezza e intercettazioni vanno approvati rapidamente, prima della pausa elettorale, visto che hanno avuto un lungo e approfondito iter parlamentare. E poi, con la fiducia il Governo mette in gioco se stesso. Il nostro è un richiamo a scelte che risalgono all’inizio della legislatura per dimostrare di aver onorato gli impegni con gli elettori sul fronte della sicurezza, del contrasto alla mafia e ai clandestini. La sinistra non ha fondate ragioni per recriminare.
Il ministro Maroni non ha fatto che ripetere che la fiducia doveva essere la garanzia contro "mal di pancia" e "imboscate" della maggioranza. Insomma, lo dice lui che non c’è compattezza. Ribadisco che la scelta della fiducia, in tutti e due i casi, nasce solo dall’esigenza di chiudere rapidamente. Sulla sicurezza, la maggioranza è compatta. Che su singoli aspetti ci sia stato qualche distinguo è fisiologico.
La fiducia deliberata fin d’ora sulle intercettazioni sa di contropartita alla Lega per la fiducia sulla sicurezza. Nessuna contropartita. Il testo sulle intercettazioni nasce da un accordo definito mesi fa, su cui c’è stato un lavoro lungo e approfondito.
Su quel Ddl, però, vi sono piovute addosso critiche da ogni parte: costituzionalisti, Csm, Anm. Nato per tutelare la privacy di terzi estranei alle indagini, è diventato una mannaia sulle indagini e sul diritto di cronaca. Tant’è che An e Lega in più di un’occasione hanno storto il naso. Ci sono stati fior di costituzionalisti e pronunciamenti dell’Authority della privacy che testimoniano quanto sia stata invasa la privacy e quanto sia indispensabile chiarire che le intercettazioni devono essere "assolutamente indispensabili", come recita il nostro traditissimo Codice. Chi critica il Ddl non dice che è scandaloso che le intercettazioni costino meno di 4 euro in una Procura e il quintuplo in un’altra e che nessuno è mai stato condannato per una fuga di notizie. La verità è che la legge è sistematicamente violata e solo il Parlamento può dire come va applicata, senza più alibi.
Per farlo, è necessario dare una spallata a due pilastri della democrazia, come il controllo della magistratura e quello dell’informazione? Abbiamo trovato un punto di equilibrio assolutamente accettabile sia sulle intercettazioni (che scatteranno in presenza di "evidenti" e non di "gravi" indizi di colpevolezza) sia sulla libertà di cronaca (non più oscurata fino alla fine delle indagini). Ovviamente, non contempliamo la libertà di pubblicare atti irrilevanti e di dileggiare terzi del tutto estranei alle indagini.
Torniamo al Ddl sicurezza. È nato di 20 articoli ed ora ne conta 66, molti dei quali, secondo l’opposizione, sono incostituzionali. Anche Fini vi ha dovuto richiamare al rispetto della Costituzione sui presidi-spie. Infatti siamo prontamente intervenuti con un emendamento, perché abbiamo riconosciuto, Maroni per primo, che le osservazioni del presidente della Camera erano pertinenti.
Sì, ma nel complesso, la parte sui clandestini è di una durezza che fa impallidire la Bossi-Fini. Gli immigrati sono trattati alla stregua di criminali, di non-persone. L’Italia è uno Stato sovrano e appartiene a una libera Europa che ha regole precise per l’accesso nel territorio dei paesi membri.
Chi viola queste regole come si chiama? Clandestino... Chiamiamolo come si vuole, ma arrivare violando le regole è una prima offesa al paese in cui si entra.
Le ricadute del reato di clandestinità sulla salute, la famiglia, la casa, l’istruzione fanno dire a Franceschini che c’è un ritorno alle leggi razziali. La migliore risposta la danno gli italiani alle elezioni e poi i romani, quando hanno bocciato la politica della sinistra proprio sulla sicurezza. Se al Pd va bene perdere su questo tema continuando a dire che noi lo cavalchiamo, contenti loro, contenti noi... Il Pdl è un partito garantista, ma ha messo in testa il tema della sicurezza, declinandolo come contrasto sia ai clandestini che alla mafia. La norma antiracket, l’inasprimento del 41 bis e delle misure patrimoniali di prevenzione contro i mafiosi non sono garantiste, ma il frutto di una scelta precisa: sulla sicurezza abbiamo deciso di imboccare ima via di straordinaria durezza. Lo stesso con gli immigrati: pretendiamo il rispetto, da parte di tutti, delle leggi sull’ingresso nel nostro paese e possiamo accogliere chi viene da paesi extracomunitari se vuole lavorare ed è fornito di permesso.
La tolleranza zero porta al cronico sovraffollamento delle nostre prigioni. Il piano carceri prevede, al costo di 1,5 miliardi di euro, che di qui a qualche anno ci saranno 17.129 posti in più, tanti quanti sono, già oggi, i detenuti in esubero rispetto ai posti regolamentari. Meglio nuove carceri o una nuova legislazione penale, più aperta a misure alternative? Non è la nostra linea. Siamo contrari a indulti e amnistie e le nostre politiche su sicurezza e criminalità non possono trovare un argine nella carenza di posti nelle carceri. Perciò costruiremo nuove strutture. Puntiamo a creare dei circuiti differenziati, in base alla pericolosità dei detenuti, per farli vivere in condizioni migliori. E se funzionerà la collaborazione pubblico-privato, metteremo a regime un sistema brillante e funzionante. Nessuno può dire se il trend di crescita avrà una stabilizzazione o no. Quanto alle misure alternative, la sinistra mi ha più volte proposto la depenalizzazione di una serie di reati minori e io ho detto di no, perché il bisogno di sicurezza del paese merita risposte opposte: una politica criminale severa e rigida, che tuteli le vittime e che infligga una pena ai colpevoli mettendoli in condizione di lavorare per rifarsi una vita onesta dopo il carcere.
Le statistiche, però, dicono che il carcere produce una recidiva del 70%: il triplo di quella registrata tra chi sconta la pena in misura alternativa. Le statistiche dicono anche che la recidiva è più alta tra chi non svolge attività rieducativa in carcere e più bassa per chi si costruisce un’altra vita, lavorando in carcere.
Persino negli Usa stanno abbandonandola politica della tolleranza zero e della costruzione di nuove carceri: le misure alternative costano meno e producono più sicurezza. Oggi gli Usa non sono più il nostro modello? Noi interpretiamo il nostro tempo nel nostro paese e i segnali che abbiamo ci impongono una determinata politica.
Perché il Governo non prevede un impegno finanziario altrettanto straordinario per l’effi-cienza della giustizia? Sulle carceri contiamo molto sull’intervento dei privati. Quanto alla giustizia, dopo questo primo anno di riforme legislative, ci sarà un forte impegno sull’organizzazione e sull’efficienza.
Martedì, a Roma, si è svoltala Giornata nazionale della giustizia. Anm, Cgil, Confindustria, avvocati hanno denunciato la grave crisi di funzionalità della giustizia e propongono un confronto con il Governo. Accetterà? Sì, ma se il confronto avrà ad oggetto: "dateci più soldi", ci facciano sapere prima dove li prendiamo; e se avrà ad oggetto i presunti tagli, ci raccontino le magnifiche sorti della giustizia italiana prima dei tagli. Spero in proposte più originali.
Giorni fa, a chi gli chiedeva di che cosa avesse assolutamente bisogno, il Procuratore Grasso ha risposto: della benzina per le auto dell’ufficio. Lo rassicuro. Le auto non resteranno ferme. Giustizia: Laganà (C.n.v.g.); l’altra verità sul sovraffollamento
Ristretti Orizzonti, 7 maggio 2009
Non aumentano i reati, ma i detenuti sono arrivati al massimo storico dall’amnistia Togliatti del 1946 e oggi sono 62.057. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha elaborato un piano da circa 1,5 miliardi di euro che in 18 regioni porterà a un aumento di circa 18mila posti letto (circa 5mila entro il 2010-2011). La Conferenza Nazionale del Volontariato della Giustizia crede che sia arrivato il momento di dirsi la verità, senza demagogia. Partiamo da quanto tutti gli addetti ai lavori, a partire dal ministro Alfano, conoscono molto bene. 1) Aumentare i posti nelle carceri aumenta i detenuti, non diminuisce i reati, anzi alla lunga promuove la crescita del numero dei criminali. È una storia lunga che abbiamo visto in altri paesi che ora stanno cercando di ripensare le politiche di cancerizzazione per arginare l’enorme aumento delle persone detenute. 2) Le misure alternative alla detenzione sono applicate molto poco rispetto al possibile. Eppure abbiamo visto che il 70% di chi sconta la sua pena in carcere torna a delinquere, mentre l’80% di chi sconta la pena (tutta o in parte) con forme alternative non compie più reati. 3) Lo stesso Ministro Alfano aveva dichiarato la propria volontà di introdurre strumenti penali diversi dal carcere (messa alla prova, pene pecuniarie reali e proporzionate al reddito, lavori di pubblica utilità) che avrebbero il pregio di costare meno, di essere certe per tutti (perché ora il carcere spetta solo ai più poveri) e di abbassare la recidiva. 4) I sistemi criminali, specie quelli mafiosi, vanno combattuti anche dall’alto, andando cioè a colpire là dove gli stessi riciclano il denaro e comunque dove si incontrano con sistemi non criminali. Sulla scorta di queste considerazioni, la Conferenza Nazionale del Volontariato della Giustizia auspica un tempestivo incontro con il Ministro della Giustizia al fine di verificare strategie e azioni convergenti per affrontare efficacemente l’emergenza carceraria, con i seguenti obiettivi: 1) Alleggerire il sovraffollamento carcerario diminuendo il numero dei detenuti; 2) Promuovere le misure alternative alla detenzione, attivando le quali potremmo da subito ridurre 10/15 mila persone le presenze in carcere, sviluppando veri e propri percorsi di risocializzazione ed abbattendo la recidiva; 3) Introdurre nuove forme di pene principali; 4) Sviluppare attività di promozione della legalità.
Elisabetta Laganà, Presidente Cnvg Giustizia: Manganelli (Polizia); reati sono calati di 11% in 1 anno
Reuters, 7 maggio 2009
Dopo che nel 2008 in Italia il numero di delitti è calato di oltre l’11% rispetto all’anno precedente, il capo della Polizia dice che ora bisogna aumentare anche il grado di sicurezza "percepita" da parte dei cittadini e punta il dito contro l’immigrazione irregolare. "La criminalità in Italia, declinata nelle sue multiformi espressioni, era andata negli ultimi anni aumentando, anche in conseguenza dell’indulto", ha detto il direttore generale della Pubblica Sicurezza Antonio Manganelli in un editoriale sulla rivista della polizia diffuso oggi. "Nel 2008, invece, grazie all’impegno delle forze di polizia, la delittuosità è diminuita dell’11,4% rispetto al 2007". Per il capo della Polizia, nominato dal precedente governo di centrosinistra, "l’attività investigativa e di intelligence ha consentito di aumentare il numero degli autori di reato denunciati e di catturare un maggior numero di grandi latitanti". Il rapporto sulla criminalità in Italia realizzato nel 2007 dal Viminale indicava la diminuzione tendenziale negli ultimi anni di reati come gli omicidi o gli scippi, con l’aumento delle rapine e delle violenze sulle donne, soprattutto in ambito familiare.Domani la polizia festeggia il suo 157esimo anniversario di fondazione con una manifestazione di tre giorni a Roma, e per l’occasione Manganelli ha lanciato lo slogan "C’è più sicurezza, insieme", spiegando che "è il concetto che sta alla base della complessa azione dispiegata da tutti gli operatori di polizia per aumentare il grado di sicurezza, reale e percepita, dei cittadini". Il capo della polizia, già critico verso l’indulto votato nel 2006 dal Parlamento per rispondere al problema del sovraffollamento delle carceri, è tornato a chiedere alla politica "certezza della pena", dicendo che "una pena limitata ma tempestiva e scontata per intero è molto più efficace di una pena pesantissima che non arriva mai". Ma è lo stesso Manganelli, poche righe dopo, a esprimere un plauso per le disposizioni degli "ultimi tempi", compresi gli "interventi d’urgenza", tra cui cita appunto "norme per assicurare certezza della pena", oltre a "contrastare l’immigrazione clandestina". Gli immigrati irregolari per il Capo della polizia non sono una "risorsa", al contrario di quelli regolari. E i dati citati da Manganelli dicono che il 30% dei reati - addirittura il 70% in certe zone - sono commessi da "clandestini". Sul fronte dei numeri, la polizia dice che nel 2008 sono stati rintracciati oltre 70mila immigrati irregolari e che 24.234 sono stati "effettivamente allontanati", con 8.340 "riammessi nei paesi di provenienza". L’Italia ha anche organizzato 38 voli charter per rimpatriare gli irregolari. Ancora, sono state arrestate 408 persone con l’accusa di aver favorito l’immigrazione clandestina e altre 2.693 sono state "segnalate". Giustizia: Confcommercio; aumenta percezione di insicurezza
Apcom, 7 maggio 2009
La percezione di insicurezza rispetto ai fenomeni criminali in Italia da parte dei cittadini e delle imprese è in aumento, nonostante il numero dei reati in Italia nel 2008 sia diminuito dell’11% (e del 12% le rapine), e che l’Italia si collochi, secondo le rilevazioni dell’Eurostat in tema di delinquenza, al quarto posto in Europa per il numero di crimini denunciati. Collaborazione con le forze dell’ordine e razionalizzazione del loro utilizzo, controllo del territorio, certezza della pena ed efficienza del sistema giudiziario sono le risposte che gli imprenditori del terziario si aspettano dalle istituzioni e che le stesse istituzioni riconoscono essere temi non più rinviabili: obiettivo dichiarato dal Guardasigilli il superamento dell’effetto "porte girevoli" nelle carceri, dalle quali circa il 25% degli arrestati esce entro il terzo giorno. Confcommercio attraverso la Commissione Politiche per la Sicurezza e la Legalità e le organizzazioni territoriali e di categoria ha avviato con il Ministero dell’interno, il Capo della Polizia e le istituzioni presenti sul territorio iniziative finalizzate alla collaborazione con le forze dell’ordine per la prevenzione e il contrasto della criminalità diffusa, in particolare quella urbana collegata a furti e rapine negli esercizi commerciali: fra le più recenti il Vademecum per la sicurezza delle imprese del Commercio realizzato dall’Unione di Milano con la Questura e l’Arma dei Carabinieri e il Protocollo d’Intesa tra il Dipartimento della Pubblica Sicurezza e la Federazione Italiana Tabaccai finalizzato alla formazione.
La criminalità organizzata e il racket
La lotta alla criminalità organizzata sta facendo passi importanti, aumentano di anno in anno i beni confiscati alla mafia (nel 2008 sono passate allo Stato 1.139 imprese, con una dislocazione territoriale che vede la Lombardia come terza regione dopo la Sicilia e la Campania, e un patrimonio immobiliare superiore ai 500 mln) ma rimane pervasiva e devastante l’infiltrazione della criminalità organizzata nell’economia, negli appalti e nella pubblica amministrazione. Oggi la criminalità organizzata fattura oltre 100 mld di euro l’anno, si specializza, amplia l’ambito territoriale e diversifica le sue attività. Le infiltrazioni della criminalità nel tessuto imprenditoriale hanno innanzitutto un effetto destabilizzante sulla concorrenza e nel sistema delle imprese. L’impresa mafiosa può, grazie a vantaggi competitivi indebiti - quali non rispettare i costi della legalità in termini di sicurezza sul lavoro, ambiente, etc., piuttosto che ottenere forniture a prezzi ridotti, ma soprattutto grazie alla pressoché illimitata disponibilità di risorse finanziarie - dare l’impressione di creare benessere sul territorio, ma in realtà contribuisce solo ad affossare il mercato, mortificare la libertà d’impresa e impedire il dispiegarsi di una compiuta democrazia economica.
L’impegno della Confcommercio
Nella lotta al racket e alla criminalità organizzata Confcommercio ha scelto una strada che la vede, anche attraverso le organizzazioni territoriali, al fianco dei propri associati impegnati a collaborare con le forze dell’ordine e la magistratura denunciando gli estorsori durante i processi a loro carico, fornendo supporto legale e costituendosi parte civile contro la mafia; ma allo stesso modo con fermezza e determinazione Confcommercio ha deciso di sospendere quegli associati che coinvolti in tali procedimenti si rifiutino di collaborare con la giustizia. Confcommercio è direttamente impegnata sul fronte della lotta all’usura e al racket anche con un rappresentante nel Comitato di Solidarietà per le vittime del racket e dell’usura, ma sopratutto attraverso le sue organizzazioni territoriali, che operano in stretto contatto con i Consorzi fidi (molti dei quali gestiscono i fondi per la prevenzione dell’usura della legge 108/96), e associazioni antiusura e antiracket, sportelli Legalità, etc.
Crisi economica ed usura
Non c’è dubbio che la crisi economica sia un pericoloso volano per il diffondersi dei fenomeni legati all’usura. Le imprese sono strette fra calo della domanda, ritardi nei pagamenti da parte dei clienti oltre che della pubblica amministrazione, e un sistema creditizio che si è irrigidito, rigidità di cui soffrono particolarmente le Pmi. Per questo motivo Confcommercio ritiene che l’attivazione presso le Prefetture degli osservatori territoriali sul credito, vanno nella giusta direzione, e potrebbero dare impulso, in una logica di integrazione e di complementarietà, alla fattiva attivazione degli osservatori e delle iniziative già previste dall’accordo siglato nel 2007 con il Ministero dell’Interno, l’Abi, gli enti locali e le altre forze sociali per la prevenzione dell’usura e il sostegno alle vittime di questo fenomeno e del racket. Il dibattito in corso sulla normativa in materia di usura, le cui modifiche sono attualmente all’esame della Camera, sembra aver colto quali siano le esigenze e le aspettative delle vittime dell’usura e dell’imprenditoria in norme quali l’introduzione della procedura per crisi da sovra indebitamento, o l’inasprimento delle pene, soprattutto per la riduzione della possibilità di patteggiamento, laddove vi siano aggravanti di estorsioni finalizzate all’usura e l’utilizzo dell’incidente probatorio con modalità analoghe a quelle utilizzate nei processi ove sono coinvolti i minori. È necessario mettere in campo tutte le risorse possibili per contrastare un fenomeno tanto diffuso quanto difficilmente quantificabile, e assolutamente non misurabile attraverso l’esiguo numero delle denunce (505 nel 2008), che è addirittura sceso rispetto al 2007 (592).
La contraffazione
Se in Italia il fatturato del falso, ossia il giro d’affari legato alla contraffazione ha superato i 7 miliardi di euro, secondo i dati più recenti dell’Ocse si attesterebbe intorno ai 200 miliardi di dollari il valore dei prodotti contraffati scambiati su scala internazionale nel 2005. Nell’area dell’Unione Europea le attività di contraffazione e pirateria, che costituiscono circa il 5-7% del commercio mondiale, oltre a creare una perdita per le imprese comunitarie tra i 400 e gli 800 milioni di euro nel mercato interno e circa 2.000 milioni di euro sui mercati esterni, portano alla perdita di circa 17.000 posti di lavoro all’anno. Il Rapporto della Commissione relativo all’attività delle dogane nell’anno 2007 mostra un fenomeno in continua espansione: un aumento dei sequestri di beni contraffatti del 17% rispetto all’anno precedente, con un incremento particolarmente significativo (oltre il 50%) registrato nel settore dei medicinali. Il fenomeno della contraffazione è assolutamente transnazionale e come tale deve essere affrontato ed è chiara quindi la necessità di mettere in campo strumenti di valenza internazionale, quale potrebbe essere l’Agenzia Europea per la lotta alla contraffazione, da realizzare anche potenziando con funzioni di coordinamento e operatività l’attività di organismi già esistenti, quali l’Osservatorio sulla Contraffazione. Sul versante della legislazione italiana, è fondamentale nel contrasto al fenomeno che nel dibattito sulle norme in materia di lotta alla contraffazione e di tutela della proprietà industriale, attualmente all’esame del Parlamento italiano, non vengano limitati i poteri investigativi e di indagine delle autorità di polizia giudiziaria e che sia mantenuto il giusto equilibrio fra la severità delle sanzioni - sia nei confronti dei consumatori che degli operatori coinvolti - la loro reale applicabilità e la effettiva gravità del coinvolgimento.
Il processo di ratifica del trattato di Lisbona
La lotta alla criminalità e lo sviluppo della legalità, la creazione di un contesto di sicurezza per le Pmi, la lotta alla contraffazione e all’abusivismo sono temi che sempre più assumono una rilevanza europea e che necessitano di una politica coordinata con gli altri Stati membri. Il rinnovo del Parlamento Europeo coinciderà con una fase di profonde trasformazioni e di rinnovati impegni da parte dell’Europa anche nel settore Giustizia, Libertà e Sicurezza. Ma molto dipenderà dal processo di ratifica del Trattato di Lisbona, che pone questo settore al centro delle sue priorità. L’accelerazione dei tempi del processo di ratifica del Trattato di Lisbona è quindi la prima discriminante per realizzare effettivamente uno spazio comune su queste materie e, di conseguenza, una politica efficace e coordinata su temi quali l’immigrazione, la gestione integrata delle frontiere, la lotta al terrorismo e alla criminalità, temi che diventano ancor più urgenti in una fase di recessione economica quale quella in corso. Così come, in un ottica di sviluppo deve essere promossa una strategia europea sulla migrazione legale - sono cinque milioni i cittadini di paesi terzi che attualmente lavorano nell’Unione europea - che tenga conto del diritto d’asilo e della gestione dell’integrazione, anche in funzione dell’apporto dei lavoratori migranti regolari - e ora sempre più numerosi, anche dei nuovi imprenditori - nonché dei mutamenti del mercato del lavoro. L’entrata in vigore delle decisioni collegate alla Convenzione di Prum - che prevede un rafforzamento nella cooperazione fra Stati membri sulla prevenzione dei reati e le indagini giudiziarie - a cominciare dall’istituzione di banche dati del Dna e dallo scambio di informazioni fra i Paesi aderenti, costituirebbe inoltre uno stimolo efficacie per il contrasto a quella criminalità organizzata le cui ramificazioni sono ormai chiaramente sopranazionali, nonché per scoprire gli autori di reati quali furti e rapine, e che oggi, in larga parte, rimangono ignoti. Favorire il reciproco riconoscimento in materia penale e civile - tema peraltro già inserito fra le iniziative prioritarie della Commissione - costituirebbe una ulteriore impulso al contrasto alla criminalità, da perseguire anche attraverso iniziative quali la interconnessione dei casellari giudiziari. Giustizia: Confcommercio; imprese ostaggio della criminalità
Apcom, 7 maggio 2009
A Palermo, nella suggestiva cornice di Palazzo dei Normanni, si è tenuta la sesta tappa del Roadshow Pmi con il Convegno dal titolo "Pmi: legalità e sicurezza per un nuovo ciclo di sviluppo" dedicato al tema della Criminalità e Pmi. Nel corso del convegno sono stati illustrati i risultati di una ricerca di Confcommercio, in collaborazione con Format, sull’argomento. Contraffazione, abusivismo e criminalità incidono negativamente sulla competitività delle Pmi. A indicarlo sono in particolare le imprese del commercio. Al di là della crisi economica, della riduzione dei consumi e delle difficoltà di accesso al credito a generare incertezza sullo sviluppo e sul futuro delle imprese sono i fenomeni legati alla microcriminalità e alla criminalità organizzata. Per il 24,5% delle Pmi negli ultimi due anni è peggiorato il livello di sicurezza. Due imprese su tre destinano in media il 2% dei propri ricavi al sostegno dei costi per la sicurezza. Ciò implica che una quota rilevante dei margini lordi (tra il 10% e il 25%) è destinata ad essere sottratta al reddito degli imprenditori o agli investimenti per spese connesse alla sicurezza e alla sopravvivenza stessa dell’attività. Il 4,1% delle Pmi considera la possibilità di trasferire altrove la propria attività o di cederla a causa del rischio di rapine, furti o estorsioni. Tra le cause principali della criminalità, il 71,1% degli imprenditori indica l’impunità dei criminali e la mancanza di certezza della pena, il 31,6% l’immigrazione clandestina, il 22% il degrado urbano e sociale, anche in termini di mancanza di infrastrutture. Le forze dell’ordine (per il 33,3% delle Pmi) e le associazioni di categoria (per il 22,9%) sono i soggetti che le imprese sentono più vicini nella lotta alla criminalità. Ai lavori del convegno hanno partecipato il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli; il responsabile Sicurezza del Pd, Marco Minniti; il presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo; il presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, Francesco Cascio; il presidente di Confcommercio Palermo, Roberto Helg; coordina Rosanna Montalto, vice presidente Commissione Naz.le Politiche per la Sicurezza. Giustizia: Opg potrebbero essere meno infernali con riforma? di Giovanni Russo Spena e Gennaro Santoro
Liberazione, 7 maggio 2009
Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari sono luoghi dove viene attuata la pratica di legare le persone ai letti. In questi non luoghi sono presenti una o più sale di coercizione, con letti dotati di cinghie di cuoio o fascette e in alcuni casi un buco al centro per i bisogni fisici. Si costringe un soggetto con disagio mentale ad essere legato al letto per un periodo di tempo indefinito. Gli unici dati ufficiali risalgono al 2004 e indicano che sono 515 le contenzioni, su una popolazione detenuta di circa 1300 persone. Un internato su sei, spesso più di una volta, vive questa tortura. Non esistono dati relativi ai tempi medi della coercizione. Secondo il libro inchiesta di Dario Dell’Aquila, "Se non ti importa il colore degli occhi" (Fidema editore), si sono riscontrati casi di internati costretti al letto di coercizione addirittura sino a 14 giorni di seguito, senza che esista un protocollo unico di intervento, né un registro apposito che consenta di monitorare l’uso che viene fatto dalla pratica della coercizione. Senza che sia possibile stabilire in che misura abbia una efficacia terapeutica e in quale sia invece uno strumento di mero contenimento fisico. Contenzioni che ben rappresentano la tragedia dei sei manicomi criminali italiani, dove il degrado e l’abuso di psicofarmaci abbondano, dove una misura di sicurezza per un danneggiamento può diventare carcere a vita, se fuori non hai nessuno che ti accoglie. Nell’inferno degli ospedali psichiatrici giudiziari vi finiscono gli internati, coloro i quali hanno commesso un reato e nel processo, o durante la pena, viene dichiarata l’incapacità di intendere e di volere. A costoro viene applicata una misura di sicurezza che può essere prorogata dal magistrato di sorveglianza. Le proroghe di 2, 5 o 10 anni possono ripetersi, all’infinito. Circa il 50% degli internati ha avuto una proroga della misura di sicurezza. Avviene così che nel più grande tra i manicomi criminali italiani, Aversa, una struttura che addirittura risale al seicento, vi sono 300 internati per 180 posti disponibili, e in poco più di un anno si sono riscontrati dodici suicidi. L’ex direttore di questo manicomio criminale, intervistato dal Corriere della sera, ha dichiarato che il 60% degli internati nel centro potrebbe uscire "se ci fossero fuori strutture adatte ad accoglierli e curarli". Ma le strutture non ci sono o, nel caso delle Asl competenti, sono latitanti. I malati di mente, dicono, fuori dai manicomi, costano troppo. E così pure a pena scontata, spesso al giudice non resta altro che applicare la proroga della reclusione. Un ergastolo bianco dove rischi di finire giorni interi su un letto di contenzione. Un buco nero della nostra democrazia che a trenta anni dalla Legge Basaglia andrebbe finalmente superato. Con la riforma della medicina penitenziaria, ora di competenza delle regioni e delle Asl, gli Opg potrebbero divenire, ci si auspica, dei luoghi meno infernali. Ma non basta. La commissione per la riforma del codice penale presieduta da Giuliano Pisapia, nella scorsa legislatura, aveva proposto al posto degli internamenti nei manicomi criminali delle "misure di cura e di sostegno". graduate, con la previsione di strutture sanitarie specifiche solo nei casi in cui fosse assolutamente necessario un controllo quotidiano. La commissione aveva saggiamente previsto che l’applicazione delle misure di sostegno non potessero superare l’entità della pena proprio per evitare, con il meccanismo della "proroga" all’infinito, internamenti per decenni, indipendentemente dal tipo di reato commesso. Oggi non vi è alcun disegno di riforma organica del codice penale, ma solo un Legislatore forcaiolo e propagandista disinteressato alla tortura delle contenzioni e al degrado in cui versano gli ospedali psichiatrici giudiziari. È non vi sono neanche più forze di sinistra che monitorino lo stato di civiltà delle istituzioni totali. Ci appelliamo al Presidente della Repubblica e alle forze democratiche che siedono in Parlamento affinché il disegno di riforma delle misure di sicurezza approvato dalla Commissione Pisapia venga ripreso e finalmente diventi legge. Per quanto ci riguarda noi che non siamo in parlamento, insieme alle forze dell’associazionismo, condurremo una campagna di sensibilizzazione sul piano culturale e sociale. Giustizia: Osapp; per piano carceri occorrono 8.000 poliziotti
Il Velino, 7 maggio 2009
"Quello che l’attuale governo per voce del ministro Alfano sembra non considerare, come già non facevano i precedenti governi, è che nell’attuale organizzazione dei servizi e degli istituti penitenziari per ogni mille posti-detenuto in più sono necessari almeno 500 unità del corpo di Polizia penitenziaria". È quanto afferma il segretario generale Leo Beneduci dell’Osapp in risposta alle dichiarazioni del ministro Alfano fatte ieri in sede di question time e sulla presentazione in Consiglio dei ministri del piano carceri del commissario Ionta. "Degli attuali 42.435 agenti, a cui viene oggi pagato lo stipendio, continua Beneduci, nelle sezioni detentive a diretto contatto con la popolazione detenuta non ci sono più di 20mila unità. Si arriva ad avere un rapporto di un agente di Polizia penitenziaria per ogni 12/15 detenuti nei turni ordinari. Un rapporto di un agente per 50/100 detenuti nei turni serali, notturni e festivi. Per il piano che Ionta promuove occorrerebbero non meno di 8mila poliziotti in più: 3.500 sarebbero destinati alle attività custodiali, 500 alle incombenze legate agli spostamenti della relativa popolazione detenuta (traduzioni, piantonamenti ospedalieri e udienze giudiziarie) e 4mila alle attività di carattere amministrativo-gestionale per il funzionamento delle infrastrutture e dei relativi servizi al personale e all’utenza". "Altro che articolo 27 della Costituzione. Un sistema che rimane in piedi su stanziamenti ingenti come questi - conclude il segretario dell’Osapp - che secondo quando si apprende non sarebbero inferiori al miliardo e mezzo di euro, è destinato a sicuro fallimento e non rispetta la dignità del detenuto e dell’agente". Giustizia: il "Governo della paura" blinda ddl sulla sicurezza di Andrea Scarchilli
Aprile on-line, 7 maggio 2009
Il Consiglio dei Ministri autorizza la fiducia sul ddl che contiene le norme sulle ronde e sui Cie, Maroni esulta: "Così evitiamo imboscate". Stesso trattamento anche per il provvedimento sulle intercettazioni. Franceschini evoca il ritorno delle leggi razziali, Soro ipotizza uno scambio tra i partiti che compongono la maggioranza, Di Pietro strepita: "È un vergognoso tentativo di regime". In fibrillazione anche le Acli e le associazioni che hanno aderito alla campagna "Non aver paura" contro il razzismo. Sulle ronde, l’allungamento a sei mesi della permanenza degli irregolari nei Cie, il reato di immigrazione clandestina, su tutto questo il governo ha scelto la via della fiducia. L’ha autorizzata in mattinata il Consiglio dei ministri, che ha detto sì anche a quella sul provvedimento sulle intercettazioni. Il vice capogruppo Italo Bocchino l’ha giustificata così: "Il provvedimento sulla sicurezza è uno dei pilastri centrali del programma di governo del Pdl e del centrodestra in generale. Proprio per questo il governo pone la fiducia, per sottolinearne l’importanza". Argomentazione un po’ avventurosa, visto che sono note anche ai sassi le reali motivazioni e chi le ha poste. Ovvero il ministro dell’Interno Roberto Maroni, stando attento a cautelarsi dai tranelli che i franchi tiratori del Popolo della libertà gli - è sua e della Lega nord la paternità delle norme - hanno già teso due volte, alla Camera e al Senato. Non a caso, Maroni ha commentato risolutamente: "Finalmente poniamo la parola fine ad una telenovela che si è prolungata fin troppo". Maroni considera il voto di fiducia "la cosa migliore per evitare i rischi di possibili imboscate su una materia così difficile e importante". Più tardi avrebbe aggiunto: "I malumori che ci sono in una parte della maggioranza, ed escludo che questa parte sia la Lega, si rendono evidenti con il voto segreto". Più chiaro di così. Dopo l’autorizzazione del Cdm, è seguita la conferenza dei capigruppo. La maggioranza ha scelto lo "spacchettamento" del disegno di legge in tre maxiemendamenti, ognuno dedicato ad un tema preciso: immigrazione, sicurezza e criminalità comune. La Lega ha poi ingaggiato una battaglia per velocizzare il più possibile l’iter del provvedimento, con l’obiettivo di cominciare a votarlo da domani e passarlo al Senato - è necessario un altro passaggio - già la settimana prossima. Ma è solo una questione di tempistica, la sostanza delle cose era già stata scritta a partire dal primo pomeriggio. L’opposizione non fa sconti. Duro il segretario del Partito democratico Dario Franceschini, che prima ha commentato l’autorizzazione del voto di fiducia in relazione alla sconfitta subita dal governo in commissione su un emendamento ddl di ratifica del trattato di Prum che istituisce la banca dati nazionale del Dna: "Appena c’è un voto segreto vanno sotto. La maggioranza va sotto e usano la fiducia per tenerla unita con la forza". Nel pomeriggio, Franceschini è tornato ad attaccare, stavolta sui contenuti del ddl: "È immorale usare la domanda legittima di sicurezza per tornare 70 anni dopo alle leggi razziali nel nostro paese. Abbiamo già vissuto un momento in questo paese in cui i bambini venivano cacciati dalla scuola per la loro religione. Ci opporremo in tutti i modi. Adesso è il momento di alzare la voce contro la destra più brutta e becera che c’è in giro". Il capogruppo Antonello Soro ha ipotizzato uno scambio: "Questo brutto ddl per un voto di fiducia in materia di intercettazioni". Praticamente, Lega e Pdl si avrebbero trattato per mettere in cassaforte i provvedimenti che stanno loro più a cuore. Maroni ha replicato: "Stronzate". Il leader dell’Italia dei valori Antonio Di Pietro aveva già detto, in mattinata: "Il governo chiede la fiducia sul decreto sicurezza e la annuncia su un secondo provvedimento, quello sulle intercettazioni. È un vergognoso tentativo di regime, che l’esecutivo sta portando avanti". Critiche anche "dall’esterno". Dalle Acli, che con il presidente Andrea Olivero rilevano: "È vero che sono stati corretti, per giunta parzialmente, i passaggi che imponevano l’obbligo di denuncia ai presidi e al personale sanitario, ma restano aperte questioni ugualmente gravi che riguardano l’iscrizione anagrafica dei minori, il diritto al matrimonio, i ricongiungimenti familiari, per non parlare delle ronde e del prolungamento della permanenza degli stranieri nei Centri di identificazione per l’espulsione". Olivero ha proseguito: "Il problema purtroppo è a monte nell’idea che l’immigrazione sia una minaccia più che una risorsa. Nell’illusione che si possa ottenere la sicurezza senza garantire contemporaneamente percorsi reali d’integrazione per i cittadini stranieri". Nettamente contrarie anche le altre organizzazioni che aderiscono alla campagna contro il razzismo "Non aver paura": Antigone, Arci, Unhcr, Sant’Egidio, Caritas Save the Children, per citarne alcune. In un incontro allargato, sono state prospettate, come contromisure, il referendum abrogativo e una legge di iniziativa popolare. Grazia Francescato di "Sinistra e libertà" ha parlato della fiducia come di "un atto di prepotenza inaudita", mentre il segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero ha detto che "il governo sta mostrando molta fretta per legalizzare le ronde leghiste e introdurre il reato di immigrazione clandestina. Norme che produrranno solo guai, aumentando la clandestinità". Giustizia: Pd; con ddl sulla sicurezza tornano le leggi razziali di Liana Milella
La Repubblica, 7 maggio 2009
En plein. Quattro fiducie. Tre sulla sicurezza, cioè sul reato di clandestinità, le ronde, i Cie a sei mesi. Una sulle intercettazioni. Roberto Maroni e Angelino Alfano la spuntano. Berlusconi autorizza perché, dopo un anno d’attesa (sono ddl del 22 maggio e del 3 giugno 2008), vorrebbe spendersi in campagna elettorale il sì alle due leggi. E per la sicurezza lo vuole soprattutto la Lega. Ma la forzatura in consiglio dei ministri produce una nuova giornata al cardiopalmo per la maggioranza che, non appena si diffonde la notizie delle fiducie a raffica, va sotto alla Camera sul prelievo forzoso del Dna. Sette franchi tiratori, 90 assenti, tra i 40 in missione e i 50 che non ci sono proprio. Finisce 229 a 224. E pure sul voto finale si rischia con un 235 a 229. Non basta. Le opposizioni insorgono. Si ribella Antonio Di Pietro che vede in quelle fiducie "su cattive leggi un vergognoso tentativo di regime". Il segretario del Pd Dario Franceschini si produce in un affondo fortissimo. Spara ad alzo zero sul reato di clandestinità e sulla mano dura di Maroni contro gli immigrati. Dice che "non è moralmente accettabile strumentalizzare la paura per tornare settant’anni dopo alle leggi razziali". Ricorda che "c’è stato un momento nella storia in cui i bambini venivano cacciati da scuola per la loro religione e non dobbiamo permettere che questo accada mai più". Previene l’inevitabile reazione furiosa del centrodestra e cita il settimanale cattolico Famiglia Cristiana che, giusto il 10 febbraio scorso, parlò di leggi razziali. Gli dà manforte monsignor Agostino Marchetto, segretario del Pontificio consiglio per i migranti che vede il "peccato originale" del ddl sicurezza nella "criminalizzazione" degli stranieri. La macchia più grave è il reato di immigrazione clandestina che scatenerà denunce a raffica. Scontata la raffica di proteste del centrodestra, Fabrizio Cicchitto dà a Franceschini dell’"irresponsabile", Italo Bocchino lo accusa di "vaneggiare", Jole Santelli parla di "clamorosa gaffe", Maurizio Lupi di affermazioni "pericolose", Roberto Cota di essere "un leader politico fuori dalla realtà". Ma il Pd non si ferma e batte il tam tam contro il nuovo reato. La maggioranza cerca di reagire ai colpi, ma è profondamente spaccata al suo interno, da una parte il Pdl dall’altra la Lega. Dopo il consiglio e un paio di vertici di maggioranza impiega ben otto ore per decidere quando mettere la fiducia. Il ministro dell’Interno la vuole subito. Spende subito una carta tecnica: "Una settimana di ritardo significa far uscire dai Cie altri 250 clandestini". Il sottosegretario Alfredo Mantovano tiene i conti: "Da quando i Cie sono stati bocciati nel decreto ne sono già usciti 1.400". Poi Maroni usa la carta politica, quella che mette in mora il Pdl: "Noi siamo pronti, la Lega è compatta, abbiamo già presentato i tre maxi-emendamenti, possiamo votare giovedì, venerdì, anche sabato. Noi non abbiamo problemi". Sul suo ddl nessun dubbio, "è costituzionale", sulla fiducia neppure un tentennamento, "stiamo ponendo fine a una telenovela". Troppi gli oltre 50 voti segreti. Lui non vuole rischi. Il rifiuto di qualsiasi retro lettura: a chi gli chiede se è vero che c’è stato uno scambio tra la Lega e Berlusconi, a lui la fiducia sulla sicurezza, al Guardasigilli Alfano quella sulle intercettazioni, risponde ridendo così: "Userò il linguaggio che usano gli ambasciatori, è un’ipotesi che appartiene alla categorie delle stronzate...". Ma nonostante il suo "picchetto" alla Camera alla fine Maroni perde. Di nuovo per mano del presidente della Camera Fini: il governo chiederà la fiducia solo martedì prossimo e si voterà tra mercoledì e giovedì. Quella dopo toccherà alle intercettazioni su cui Alfano, per il momento, non preannuncia novità sul testo che aspetta il dibattito in aula da mesi e da cui era scomparsa la famosa lista dei reati. Giustizia: a detenuto muore il figlio, informato 11 giorni dopo
www.radiocarcere.com, 7 maggio 2009
Il mio nome è Jan. Sono un cittadino polacco e ho 41 anni. Dal 2005 sono detenuto nel carcere di Civitavecchia. Tra poco finirò di scontare la mia pena e sarò un uomo libero. Una libertà che per me avrà un sapore amaro. Infatti il 14 marzo mio figlio Gregori è morto in un incidente stradale. È stato investito a Santa Marinella, località balneare vicinissima al carcere di Civitavecchia, mentre tornava dal lavoro. Gregori aveva solo 20 anni. Il fatto è che dell’incidente di mio figlio, anche se avvenuto a pochi chilometri da dove sono detenuto, nessuno mi ha detto nulla. Nessuno del carcere di Civitavecchia mi ha avvisato che quel 14 marzo mio figlio era ricoverato in fin di vita in ospedale, che era stato operato, ma che non aveva superato l’intervento. Non un educatore, non un dirigente del carcere mi ha informato. Eppure la legge, o meglio l’art. 29 dell’ordinamento penitenziario, prevede che al detenuto sia dato tempestivo avviso del decesso o di una grave malattia di un prossimo parente. Ed invece io, in barba alla legge e a quel minimo senso di umanità, ho saputo della morte di mio figlio ben undici giorni dopo. Ma non solo. Il ritardo con cui mi è stata data la notizia della morte di mio figlio mi ha di fatto impedito di chiedere un permesso per andare ai suoi funerali. Insomma, io detenuto mi sono trovato a fare i conti non solo con la notizia di un figlio morto 11 giorni prima, ma anche con l’impossibilità di essere presente al suo funerale. Il 25 marzo i miei fratelli, che abitano all’estero, mi sono venuti a trovare in carcere. È stato allora che ho saputo di mio figlio. Durante quel terribile colloquio mi hanno detto dell’incidente, di come è morto mio figlio e della decisione, da me condivisa, che fossero donati i suoi organi. Il giorno successivo la direzione del carcere di Civitavecchia mi ha fatto compilare un modulo per essere autorizzato dal magistrato di sorveglianza a visitare la tomba di mio figlio. Il 3 aprile, il magistrato mi ha concesso il permesso e così mi hanno messo dentro a un furgone della polizia penitenziaria. Lì, chiuso in una gabbietta e ammanettato, mi hanno trasportato nel cimitero di Roma a Prima Porta. Arrivati al cimitero, mi hanno tolto le manette e mi hanno portato sulla tomba di mio figlio. C’ero io, vestito come un barbone e senza neanche un fiore, cinque agenti e un impiegato del cimitero. Difficile descrivere come mi sono sentito in quel momento. Tornato nel carcere di Civitavecchia, il medico mi ha prescritto dei tranquillanti. Tranquillanti che, a dire del medico, potevo prendere in infermeria quando mi sentivo agitato. Dopo pochi giorni, il dolore per la morte di mio figlio si è fatto ancora più insopportabile e sentivo che per la disperazione stavo perdendo la lucidità. Così ho chiesto all’agente, che era in sevizio, di potermi far uscire dalla cella per andare in infermeria e prendere i tranquillanti. Ma quell’agente, con tono arrogante, mi ha detto che non potevo andare in infermeria perché non ero nell’elenco di chi poteva assumere degli psicofarmaci. Io ho provato a spiegargli la situazione che stavo vivendo. Gli ho anche suggerito di chiamare il medico per avere una conferma, ma è stato inutile. Quell’agente ad ogni mi parola diventava sempre più arrogante, tanto che ad un certo punto mi ha detto: "Ma chi comanda qui? Tu? Ma tu non sei nessuno! Hai capito? Ne-ssu-no!". Morale, sono rimasto in cella con la mia disperazione e con un pensiero che si faceva sempre più insistente nella mia mente. Forse quell’agente aveva ragione. Io non ero nessuno. Infondo i fatti parlavano chiari. Io sono solo un detenuto, uno senza diritti. Neanche quello di sapere che suo figlio è morto. Sono solo un detenuto, che non ha diritto neanche di andare al funerale di suo figlio. Io non sono nessuno. Campania: Antigone; l’emergenza sovraffollamento e i suicidi
Redattore Sociale - Dire, 7 maggio 2009
Il primo maggio si è tolto la vita Gennaro Iorio, 41 anni: è il quarto suicidio a Poggioreale e il sesto in Campania dall’inizio dell’anno. "L’emergenza sovraffollamento è sotto gli occhi di tutti". Le associazioni Antigone e la Mansarda onlus di Napoli denunciano la situazione drammatica nelle carceri campane, dopo che un detenuto si è tolto la vita nella casa circondariale di Poggioreale. La notizia è stata resa nota ieri da Antigone Campania, ma il suicidio, il quarto a Poggioreale e il sesto in Campania dall’inizio dell’anno, si è consumato il primo maggio. Gennaro Iorio, 41 anni, finito dentro per reati di droga e lui stesso tossicodipendente, si è impiccato il giorno della festa dei lavoratori. "In poco più di quattro mesi - ha dichiarato il portavoce di Antigone Dario Stefano Dell’Aquila - siamo a cinque suicidi: in pratica, a maggio del 2009 abbiamo già raggiunto il numero dei suicidi che si sono verificati negli istituti di pena campani in tutto il 2008". "Una tragedia prevedibile - ha spiegato il responsabile dell’associazione di Napoli - se consideriamo che il sistema penitenziario conta in Campania 7.425 presenze a fronte di una capienza si 5.348 posti. Poggioreale, che ha una capienza ufficiale di 1.387 posti e che registra oltre 2.500 presenze, è il caso limite di un’emergenza che è sotto gli occhi di tutti. Non si può più rimandare il problema: è necessario intervenire subito per evitare altre tragedie". Non è la prima volta che Antigone e la Mansarda, impegnate in un osservatorio permanente sulle condizioni della detenzione nella regione, denunciano questa situazione di crisi. Già a marzo i responsabili Dario Dell’Aquila e Samuele Ciambriello avevano lanciato l’allarme: "Siamo arrivati ad una situazione insostenibile tra suicidi che continuano ad aumentare, sovraffollamento e problemi psichici dei detenuti". I numeri forniti da Antigone Campania, in effetti, raccontano che gli ingressi nel carcere riguardano, per oltre il 60%, immigrati e tossicodipendenti. In Campania il 20% della popolazione detenuta è tossicodipendente, ma solo il 4% è in trattamento metadonico. L’aumento della popolazione detenuta, inoltre, è inversamente proporzionale alle risorse, umane e economiche, che vengono investite: ad oggi il rapporto tra figure sociali e detenuti è di 1 a 200. "Questa situazione già molto preoccupante - hanno sottolineato i rappresentanti del mondo associativo - andrà inevitabilmente ad aggravarsi in assenza di una strategia di intervento da parte del governo". Due le proposte che secondo le associazioni potrebbero essere immediatamente attuate per alleviare questa situazione così drammatica: da un alto l’aumento di nuove risorse e personale negli istituti di pena, dall’altro l’ampliamento di misure alternative alla detenzione. Su quest’ultimo punto concorda anche Riccardo Polidoro, avvocato e presidente dell’associazione napoletana Il Carcere Possibile onlus, che ha commentato: "Siamo di fronte a una situazione che fa rabbrividire, mentre non s’intravedono soluzioni concrete", invitando i media a vigilare attentamente su quanto sta accadendo. Roma: immigrata tunisina si suicida, nel Cie di Ponte Galeria
Ristretti Orizzonti, 7 maggio 2009
Il Garante dei detenuti Angiolo Marroni: "ormai i C.I.E. sono veri e propri centri di detenzione senza quel poco di buono a livello di assistenza ed accoglienza psicologica che può trovarsi all’interno delle nostre carceri". "Il vero problema è che i C.I.E. come quello di Ponte Galeria sono sempre meno centri di accoglienza e sempre più centri di reclusione mascherata che, con la possibilità di protrarre la permanenza degli immigrati fino a 180 giorni, oggi sono molto peggiori delle carceri". È questo il commento del Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni alla notizia del suicidio di un’immigrata tunisina di 49 anni ospite del C.I.E. di Ponte Galeria. "Oggi i Centri di Identificazione ed Espulsione - ha proseguito Marroni - sono affollati all’inverosimile; al loro interno le famiglie, appena arrivate, vengono divise nei settori maschile e femminile e le condizioni di vita sono difficili nonostante il prodigarsi degli operatori che vi lavorano". Attualmente nel C.I.E. di Ponte Galeria sono ospitate 221 persone, 137 uomini e 84 donne. Oltre al Garante dei detenuti operano nel Centro quattro associazioni di volontariato. "In più in quello di Ponte Galeria, dove noi operiamo grazie ad un accordo con Provincia di Roma, Prefettura e Croce Rossa, non c’è un grande appoggio esterno della società civile volontariato. E, a ben vedere, l’opera dei volontari è una delle cose buone che si ritrovano in carcere. In queste condizioni è assai facile che possa prendere piede la disperazione, che porta a gesti terribili come quello compiuto questa notte da questa donna. Bergamo: dalla CdC 70.000 euro per reinserimento di detenuti
Sesto Potere, 7 maggio 2009
La Camera di Commercio Bergamo mette a disposizione un fondo di € 70.000,00 per sostenere l’inserimento lavorativo di soggetti privati o limitati nella libertà personale. Possono accedere ai benefici tutte le imprese iscritte al Registro delle Imprese di Bergamo, attive e in regola con il pagamento del diritto camerale annuale. L’aiuto viene concesso in regime de minimis e non è cumulabile con altre agevolazioni pubbliche per i medesimi interventi. A fronte della sottoscrizione di una lettera di impegno dell’impresa ad inserire lavorativamente per un periodo minimo di un anno soggetti privati o limitati nella libertà personale (es. detenuti ammessi al lavoro esterno ai sensi della L. 354/75 art. 21, semiliberi, affidati al servizio sociale, ecc.), verrà erogata un’agevolazione che prevede: un contributo di € 5.000,00; voucher del valore massimo di € 2.000,00 finalizzato a sostenere il costo dei servizi di accompagnamento. I servizi dovranno essere erogati da organismi accreditati presso la Camera di Commercio, dotati di documentata capacità tecnica e professionale. Ogni impresa può richiedere una sola agevolazione La domanda di partecipazione può essere presentata o inviata all’Ufficio Agevolazioni Economiche della Camera di Commercio, allegando copia di un documento del firmatario. In caso di spedizione con raccomandata o fax rileva la data di invio. Le domande sono accettate fino ad esaurimento del fondo, che sarà comunicato sul sito web camerale. Il modulo può anche essere compilato elettronicamente, firmato digitalmente e inviato all’indirizzo di posta certificata cciaa.bergamo@bg.legalmail.camcom.it. Il modulo e il bando sono scaricabili dal sito internet della Camera di commercio. Roma: De Luca (Pd); contro bullismo progetto "scuola-carcere"
Adnkronos, 7 maggio 2009
"L’esperienza umana e il contatto diretto con i detenuti e l’ambiente carcerario non si dimenticano e fanno nascere una forte consapevolezza negli adolescenti sulle gravissime conseguenze di comportamenti violenti, singoli o di gruppo". Lo ha dichiarato in una nota il consigliere Pd al Comune di Roma, Athos De Luca, in riferimento al progetto della ‘Scuola e Carcere contro la Violenzà, auspicando che questa iniziativa, già sperimentata con successo a Padova, sia attuata anche a Roma e provincia, attraverso le amministrazioni locali, l’istituzione carceraria e con la collaborazione dell’ufficio del Garante regionale dei Diritti dei detenuti. "Ascoltare la storia di un giovane detenuto all’interno di un carcere, conoscere dalle sue parole come sia giunto tra una bravata e l’altra ad abituarsi alla violenza e all’illegalità - continua De Luca - è molto più efficace di tante urla manzoniane, di propaganda per leggi più severe, o di scaricare la responsabilità dei comportamenti giovanili sulla violenza mediatica". De Luca riporta le linee del progetto che è stato sperimentato a Padova. "Un progetto educativo, coraggioso ed efficace - si legge - che vede protagonisti i giovani delle scuole medie e superiori e le istituzioni carcerarie, per prevenire i fenomeni di violenza, devianza e bullismo tra gli adolescenti. Il progetto prevede tre fasi. Una prima fatta di incontri nelle scuole con magistrati di sorveglianza, educatori, agenti di polizia penitenziaria, psicologi e assistenti sociali, per ascoltare i giovani e metterli a conoscenza delle leggi e delle gravi conseguenze di certi comportamenti, spesso sottovalutati dagli adolescenti e della durezza della vita nel carcere". "Poi - spiega ancora l’esponente del Pd - sono previsti incontri nelle scuole con detenuti (che godono dei permessi di buona condotta) che raccontano la loro esperienza di come da giovani attraverso bravate, violenza e illegalità, si sono rovinati la vita. Infine, la visita al carcere e l’incontro con i detenuti per rendersi conto direttamente cosa significa il carcere e a cosa possono portare l’illegalità e la violenza usata con irresponsabilità, spesso solo per sentirsi più forti e importanti in mezzo agli altri e nei gruppi. A conclusione del progetto vengono raccolte in una pubblicazione tutte le testimonianze dei detenuti, le lettere e le osservazioni dei ragazzi". Trento: i detenuti scrivono; ridateci Servizio di guardia medica
Il Trentino, 7 maggio 2009
I problemi legati all’assistenza sanitaria all’interno del carcere di Trento sono annosi e nell’agosto dello scorso anno, dopo la morte per infarto di un giovane detenuto algerino, la protesta dei carcerati conobbe il momento più eclatante e di maggiore tensione con l’occupazione del cortile da parte di una cinquantina di magrebini. Ora, dalla struttura di via Pilati arriva una lettera firmata da "i detenuti della locale casa circondariale" denuncia un ulteriore peggioramento della situazione. "Chi scrive - inizia la missiva - lo fa a nome dei detenuti ristretti in codesto istituto carcerario ed in particolare, di quei detenuti già in età avanzata con patologie e malattie dovute all’età le quali comportano fattori di rischio multipli come ipertensione arteriosa e cardiopatica ischemia e problematiche circolatorie a rischio d’infarto". Premessa necessaria, chiarisce la lettera, visto che dal 1º di aprile è stato soppresso il servizio di guardia medica e adesso, per qualsiasi emergenza sanitaria, i detenuti possono contare solo sull’intervento del 118. "Ma la preoccupazione di chi è in carcere, ben conoscendo i tempi necessari per far capire che un detenuto sta male, è quella che ha il dovere di decidere se chiamare il 118 sia inevitabilmente lungo". Minuti che possono valere una vita, ai quali occorre sommare il tempo che impiegherà l’ambulanza ad arrivare al carcere ed entrare nella struttura. "Se poi il problema è grave - concludono i detenuti, che non mancano di sottolineare la situazione di sovraffollamento della struttura con 153 persone stipate in celle pensate per accogliere un singolo uomo e costrette a dormire su letti a castello a tre livelli - non è affatto salutare che chi ha bisogno urgente di un medico sia costretto ad aspettare a lungo, con il rischio di andare incontro ad ulteriori aggravamenti. Cosa che invece non avveniva quando la guardia medica era presente nel carcere 24 ore su 24 e l’intervento avveniva in tempi molto veloci". Un quadro più che preoccupante, insomma, che spinge i firmatari della lettera a chiedere a chi ne ha la facoltà di ripristinare la guardia medica. Empoli: incontro sulle possibili soluzioni alternative agli Opg
Adnkronos, 7 maggio 2009
Definire le prospettive e i percorsi riabilitativi più adeguati alle persone sottoposte a misure di sicurezza, e consentire la revisione del giudizio di pericolosità sociale nei confronti di chi presenta disturbi psichici verificando possibili soluzioni alternative agli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). È quanto si prefigge la giornata di studio organizzata per il 13 maggio prossimo a Empoli, rivolta a medici, infermieri, educatori e tecnici sanitari operanti negli Opg; l’evento si svolge presso il Centro direzionale Ausl 11 di Empoli (Firenze). A questa prima giornata dedicata all’ipotesi di misure alternative alla detenzione negli Opg ne seguirà una a giugno. Nel presentare la giornata di studio si sottolinea come recenti sentenze della Corte Costituzionale hanno ribadito il principio per cui "le misure di sicurezza devono essere limitate a casi di effettiva pericolosità e che esse devono essere sostituite da differenti misure di sicurezza, cura e controllo quando è garantita la sicurezza sociale e nei casi in cui l’internamento in Opg possa determinare danni alla persona". Cremona: rubò 20 centesimi; condanna a due mesi di carcere
Asca, 7 maggio 2009
La notizia arriva da Crema, in provincia di Cremona, ed è una notizia che ci fa comprendere come il nostro sistema giudiziario penale sia inflessibile. Un uomo è stato condannato a ben due mesi di carcere e 79 euro di multa dal tribunale di Crema per furto. Il condannato infatti si rese protagonista di un furto rubando la ragguardevole cifra di 20 centesimi di euro da una cassetta per le elemosine. Fortunatamente passava da quelle parti una pattuglia della polizia che lo colse in flagranza di reato e provvide alla relativa denuncia. Oltre la condanna alla reclusione e la multa l"uomo ha dovuto anche restituire i 20 centesimi. E il ladro se l"è cavata bene se pensiamo che il giudice è stato clemente. La richiesta del pubblico ministero infatti era ben più pesante: 4 mesi di carcere e 110 euro di multa. Il ladro attualmente è in libertà. Roma: Sant’Egidio; "kit della cicogna" per detenute Rebibbia
Ristretti Orizzonti, 7 maggio 2009
In questi giorni sono stati consegnati dalla Comunità di Sant’Egidio i primi kit della "cicogna" a due donne detenute al 9º mese di gravidanza. Nel reparto Infermeria della Casa Circondariale Femminile di Rebibbia sono frequenti i casi di donne detenute in attesa di giudizio e "di parto". Trattandosi di detenute in situazione di grave svantaggio sociale, spesso non sono dotate di tutto ciò che può risultare necessario al momento del parto. Un presupposto che genera ansia e depressione, sia nei giorni precedenti l’evento sia in quelli successivi e che arreca sofferenza anche al nascituro. Per alleviare la sofferenza delle mamme e dei bimbi la Comunità di Sant’Egidio in collaborazione con la Direzione del Carcere, e grazie al generoso aiuto dell’Associazione "Salva bebé / Salva mamme" ha deciso di fornire ad ogni donna un kit-parto minimo da portare con sé al momento del trasferimento in ospedale. Ogni kit della "cicogna" contiene: 4 body neonato; 4 tutine neonato; 1 pacco di pannolini neonato; camicie da notte per la mamma; 1 confezione di biancheria per la mamma; 1 pacco di pannolini da dopo parto per la mamma; biancheria intima per la mamma; bavaglini per il bimbo; 1 vestaglia da camera per la mamma; 1 paio di pantofole per la mamma; un ciuccio. Il kit sarà consegnato a tutte le donne detenute dal settimo mese di gravidanza in poi che ne facciano richiesta. Grande è stata la commozione della nostra prima amica che ha ricevuto il kit e che, pur non sapendo parlare in italiano, ha ripetuto più volte "grazie". Grande commozione anche la nostra, quella delle sue compagne e delle agenti che hanno gioito con noi per questa bella e opportuna iniziativa nella speranza che presto sia possibile trovare soluzioni per vivere la gravidanza in luoghi alternativi al carcere. Sassari: "pizze acrobatiche", per i detenuti di San Sebastiano
La Nuova Sardegna, 7 maggio 2009
Pizza e buonumore sono un connubio perfetto anche dietro le sbarre. Ed è nella Casa Circondariale di San Sebastiano che, domenica dopo le 10,30, il "pizzaiolo acrobatico" Massimiliano Cilia intratterrà detenuti e detenute. La preparazione delle pizze di Cilia è uno spettacolo, in questa occasione arricchito dal gruppo comico Tressardi. La manifestazione, organizzata dalla direzione della casa circondariale, è il momento finale di un breve corso di formazione che Massimiliano Cilia ha condotto per alcuni ospiti di San Sebastiano. Gli allievi aiuteranno il maestro a preparare pizze che saranno offerte a detenuti e personale. "Scopo della iniziativa - si legge in una nota - oltre a quello immediato di offrire ai detenuti e detenute un piacevole momento di intrattenimento, è anche quello di orientare al lavoro e fornire competenze in un settore, appunto quello della preparazione delle pizze, che può offrire spazi di inserimento lavorativo e di realizzazione personale". Immigrazione: la linea "cattiva" del ministro, con i clandestini di Mino Fuccillo
Messaggero Veneto, 7 maggio 2009
Il ministro Maroni aveva fretta, fretta di un voto di fiducia entro oggi. E portava a sostegno della sua premura un argomento a suo dire risolutivo e concreto: senza la trasformazione immediata in legge vigente del disegno di legge governativo sulla sicurezza, ci sarebbe stata un’altra settimana con la vecchia norma. Il che sarebbe equivalso a 250 clandestini da liberare, non potendoli più trattenere nei centri di identificazione ed espulsione. La legge che c’è dice che possono stare lì 60 giorni; la legge che Maroni vuole dice che possono e debbono restarci 6 mesi. Dunque, secondo Maroni, urgenza da ordine pubblico. Ma non era tutta la verità e non era la sola verità. Infatti Maroni si è accontentato del voto di fiducia fissato a giovedì prossimo. È questo che gli sta a cuore: votare con il meccanismo della fiducia, il resto è contorno. E perché mai ministro e governo hanno bisogno e voglia del voto di fiducia quando hanno una larga maggioranza alle Camere? Sul frontespizio, sulla copertina del nuovo corpus di leggi e disposizioni potrebbe agevolmente essere scritto per chiarezza: "Disciplina e strumenti per rendere la vita impossibile ai clandestini e difficile agli immigrati, anche se regolari". Tale dicitura non mentirebbe, anzi tutti la leggono facilmente anche se non è stampata. Reato di immigrazione clandestina, anche se punibile solo con un’ammenda dopo che l’Europa ha spiegato all’Italia che il carcere è troppo e incongruo visto che esistono vari e diversi motivi di clandestinità (rifugio politico, pericolo di vita…). E dopo che qualcuno ha fatto i conti: non ci sarebbero mai carceri sufficienti. Detenzione di fatto coatta per 6 mesi nei Centri di permanenza, una pena detentiva superiore a quella comminata per molti reati. Tassa suppletiva sul rinnovo dei permessi di soggiorno, vincoli rigidissimi ai ricongiungimenti familiari. L’anagrafe come setaccio e spia per individuare i clandestini. Leggi e disposizioni che sono in sintonia con gran parte dell’opinione pubblica, ma che forzano e talvolta travolgono il confine culturale e materiale dei diritti umani. Al punto che la Chiesa cattolica segnala da tempo, lo faceva ancora ieri il quotidiano della Cei, il suo dissenso. Dissenso che si manifesta ogni volta che in Parlamento si vota in materia potendo lavorare sugli emendamenti e/o sul voto segreto. Regolarmente accade che qualcuno nella maggioranza non ci sta, ritiene quel confine varcato e vota di conseguenza. Con il voto di fiducia la linea dura contro gli immigrati, anzi la linea "cattiva" secondo la definizione dello stesso Maroni, diventa di fatto obbligatoria. Dice il leader del Pd, Franceschini, che è l’alba di "nuove leggi razziali". Forse coglie l’essenza o forse grida al lupo senza misura. Di certo con il voto di fiducia non sapremo cosa ne pensa il Parlamento e, peggio, se il Parlamento pensa quando fa. Immigrazione: prigionieri nel limbo di Ceuta, senza speranza di Riccardo Valsecchi
www.rassegna.it, 7 maggio 2009
Nell’enclave spagnola sul territorio africano 1.209 militari difendono la frontiera. Sono circa 440 gli immigrati clandestini sul territorio. 54 indiani da tredici mesi sopravvivono tra i boschi, in attesa che l’Unione Europea si accorga di loro. Ceuta, enclave spagnola all’estremità settentrionale del territorio africano: sei metri di doppia maglia metallica che circonda il perimetro continentale, decine di motovedette a sorvegliare il litorale, 1.209 militari in difesa della frontiera. La città autonoma di Ceuta, sotto giurisdizione spagnola dal XVI secolo, è nota per i tristi fatti del settembre del 2005, quando centinaia d’immigrati tentarono di oltrepassare la barriera difensiva e furono violentemente respinti dalle forze militari spagnole e marocchine: il risultato, 18 morti e 50 feriti. "Grazie a un maggior controllo e alla stretta collaborazione con le autorità marocchine", spiega la portavoce della Delegazione del governo spagnolo, "la situazione è molto migliorata: solo 351 accessi illegali nel 2008, contro la media superiore alle 2.000 unità del primo quinquennio del nuovo secolo". Nonostante ciò a Ceuta si muore ancora: Sambo Sadiako, 30 anni, originario del Senegal, è deceduto per dissanguamento il 7 marzo scorso, imbrigliato nella rete di metallo che circonda la città. E il 24 aprile il mare ha restituito i cadaveri di due giovani sub sahariani, intenzionati ad attraversare a nuoto lo Stretto di Gibilterra. Se a Ceuta è difficile entrare, uscire è praticamente impossibile. Da una parte il governo spagnolo, a fronte di un massiccio movimento migratorio che ha portato in Spagna in pochissimi anni 4 milioni e mezzo di stranieri, ha attuato una politica restrittiva per la concessione del permesso di soggiorno. "Le probabilità di ottenere la famosa yellow card sono meno del 10% - spiega l’avvocato Blanch Cardín della Croce Rossa Internazionale - e si tratta di casi d’attestata necessità d’asilo politico o protezione umanitaria". Dall’altra parte il governo spagnolo ha ritardato notevolmente i tempi di risoluzione delle pratiche per il rimpatrio: "In caso d’espulsione - spiega sempre Cardín -, la legge prevede il trasferimento al centro di permanenza temporanea di Algeciras, sul continente europeo, ma, dato che spesso per motivi burocratici è impossibile rispettare il limite di fermo di quaranta giorni, con conseguenza l’immediato rilascio del detenuto in loco, le autorità preferiscono trattenere gli immigrati qui, in quanto ancora suolo africano". Il Ceti - Centro de Estancia Temporal de Inmigrantes - è una moderna struttura finanziata dal Ministero del lavoro spagnolo e adibita all’assistenza dei clandestini presenti sul territorio: 512 posti letto e 90 operatori; un pronto soccorso, due uffici legali, corsi di spagnolo, educazione sessuale, attività sportive e d’intrattenimento. Al momento sono 380 gli ospiti del centro, con una media di permanenza di circa due anni. Qualcuno di loro lavora in città, in nero, con salari da schiavitù: cinque euro al giorno per i fortunati che trovano impiego come tuttofare, qualche spicciolo d’elemosina guadagnato nei parcheggi o fuori dai supermercati per gli altri. È proprio in ragione di questa situazione che 54 immigrati originari dell’India si sono rifugiati dal 7 aprile 2008 nei boschi circostanti:"Dopo le parole dissuasive dell’ambasciatore indiano, dopo tutta quell’attesa spasmodica all’interno del centro, abbiamo capito che non c’era alcuna possibilità," spiega Gurpreet, giovane portavoce dei ribelli. I volti e le parole raccontano le angherie sofferte nel lungo viaggio migratorio alla mercé dei trafficanti di uomini: "In schiavitù - rivela Gurpreet -, a volte anche incatenati. Rinchiusi dentro stalle dove nemmeno la luce osava filtrare. L’incubo peggiore era la polizia marocchina: percosse, galera, umiliazioni e l’abbandono senza viveri nel deserto, sotto il sole cocente". "Leggiamo i giornali, sappiamo che in Europa c’è la crisi, non c’è lavoro, ma di certo ci sono più possibilità rispetto ai paesi da cui proveniamo! Guardate", continua Gurpreet indicando sedie dissestate, materassi e contenitori ammassati in un angolo dell’accampamento, "con il vostro pattume noi siamo stati in grado di sopravvivere all’inverno e alle intemperie!" "Non vogliamo la vostra elemosina, solo la possibilità di essere trattati come esseri umani! Quando arriviamo, ci date viveri, medicinali, c’insegnate una nuova lingua, ma a che pro, se non avremo mai la possibilità di usarla?" Ceuta, confine estremo del mondo civilizzato o limbo senza speranza per un’umanità che l’Europa preferisce tenere lontana? Francia: non si arresta la protesta delle guardie penitenziarie
Ansa, 7 maggio 2009
Non si spegne il fuoco della protesta che infiamma le carceri francesi. I dipendenti dei penitenziari hanno nuovamente incrociato le braccia, chiedendo un aumento del personale e dei fondi. Dato che per legge i guardiani non possono sfilare e manifestare, la loro protesta si concentra sul blocco dell’accesso alle carceri. Quasi duecento gli istituti coinvolti nelle azioni sindacali. "Nonostante la situazione critica nelle nostre prigioni - spiega un rappresentante sindacale - il ministro della giustizia non intende prevedere un aumento del personale. La proposta di Rachida Dati non ci soddisfa, dunque continuiamo la nostra protesta". Le carceri francesi sono sovraffollate: 63 mila detenuti per 52 mila posti. I secondini sostengono di non riuscire più a gestire la situazione. Anche il Consiglio d’Europa ha redarguito Parigi, e alcune associazioni sottolineano il preoccupante aumento dei suicidi tra i detenuti. Progressi nei negoziati, ma il movimento non si ferma. Nel quarto giorno di protesta delle guardie carcerarie francesi sindacati e governo hanno raggiunto un accordo: saranno creati 174 nuovi posti di lavoro per far fronte all’emergenza della sovrappopolamento delle carceri. Accordo già respinto dai secondini de La Santé, a Parigi, che continueranno a protestare contro le proposte del ministro della Giustizia Rachida Dati. L’accordo è sottoposto al voto in tutti i penitenziari di Francia come in quello di Fleury-Mérogis, alla periferia sud della capitale, il più grande d’Europa. Qui nei giorni scorsi le guardie hanno bloccato gli ingressi, al di là del loro orario di lavoro perché non hanno diritto allo sciopero. Iran: eseguite 5 condanne a morte, già 94 dall’inizio dell’anno
Ansa, 7 maggio 2009
Nuove impiccagioni in Iran: sono stati uccisi nella prigione di Kerman, nel sud del Paese, cinque trafficanti di droga. Lo riferisce l’agenzia Fars. Ieri, nel carcere di Evin a Teheran, la pena capitale era stata applicata nei confronti di quattro persone, fra cui una donna, perché giudicate colpevoli di omicidio. Secondo il conteggio dell’agenzia France Presse, le esecuzioni di oggi portano il numero totale, nel 2009, a 94. Nel 2008, sono state messe a morte 246 persone.
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