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Giustizia: sul tema della "sicurezza"; le parole come grandine di Michele Ainis
La Stampa, 28 maggio 2009
Passi per il lodo Alfano, o lodo Mills, lodatelo un po’ come vi pare. Dopotutto, pazienza se 4 italiani su 60 milioni vengono posti dalla legge al di sopra della legge, se possono al limite stuprare le vecchiette, con un salvacondotto stampato a caratteri di piombo sulla Gazzetta Ufficiale. Però, a noialtri rei e reietti, qualche grammo di coerenza renderebbe più lieve la giornata. Se l’indulgenza è il nuovo indirizzo di governo, che almeno sia plenaria, Urbi et Orbi. E invece no, due pesi e due misure. Negli stessi giorni in cui il tribunale di Milano sparava a salve contro il premier, Brunetta bastonava con 5 anni di galera i medici che rilasciano false attestazioni ai dipendenti, e gli stessi dipendenti se si fanno timbrare il cartellino da un collega. Ossia se scimmiottano i pianisti, nome di battaglia di quei parlamentari che votano in luogo del compagno di partito assente, magari perché questo è in missione, così la diaria entra in busta paga. La settimana scorsa erano 47 i missionari della Camera, i pianisti al Senato chissà quanti, tanto non rischiano la galera, al massimo un rimbrotto. Sempre la Camera ha appena inasprito le pene detentive (fino a 3 anni) per il gioco online senza autorizzazione. E soprattutto ha licenziato il decreto sulla sicurezza, un diluvio di 29.150 parole scagliate come pietre sulla testa del popolo italiano. Ecco, le parole. Poiché il diritto è intessuto di parole - diceva Adolf Merkl - la lingua rappresenta un po’ il portone attraverso cui la legge penetra le nostre esistenze collettive. E che lingua parla la nuova legge? Proviamo a farne un’analisi testuale. Il termine "pena" vi ricorre 44 volte, quasi sempre in compagnia di locuzioni come "la pena è aumentata", o altrimenti raddoppiata, triplicata. In altri 26 casi si contemplano "sanzioni", ora amministrative ora pecuniarie (vietate però quelle corporali). La parola "reclusione" rimbalza per 36 volte su e giù lungo quel testo. Le "aggravanti" vengono citate 9 volte, le "attenuanti" 4 (ma per escluderle). Per 5 volte risuonano "misure di sicurezza" del più vario conio. Infine tracima un lago di "delitti" (34) e di "reati" (89), come se non ne avessimo già abbastanza sul groppone. Già, ma quante sono le fattispecie di reato sulle quali ogni italiano può inciampare? Qualche anno fa gli addetti ai lavori azzardavano una stima: 35 mila. Roba da stacanovisti del crimine: se dedichi un’ora a ciascun tipo di reato, ci metterai 4 anni prima di completare il giro. Eppure questa stima non è mai stata confutata, forse perché viziata per difetto. D’altronde il solo governo Berlusconi, nel primo anno della legislatura, è intervenuto 90 volte sul sistema penale. A propria volta i sindaci, con la benedizione del governo, hanno cucinato quasi 700 ordinanze per servirci un fritto misto di divieti. E tuttavia non basta, non basta mai. Il decreto sulla sicurezza menziona per 81 volte il codice penale, per 33 volte quello di procedura penale. Trasforma il disagio sociale in una questione d’ordine (non per nulla parla di "ordine" in 23 casi), istituendo per esempio il registro dei barboni presso il ministero dell’Interno. Infine dà libero sfogo alla fantasia punitiva dei signori della legge, introducendo - per fare un altro esempio - l’aggravante notturna per chi guida in stato d’ubriachezza dopo l’ora del tramonto. Domani sarà la volta dell’aggravante festiva per chi parcheggia in doppia fila di domenica, dell’aggravante anagrafica per chi sorpassa in curva sotto i quarant’anni. Anzi no, quella esiste già: l’ennesima invenzione del decreto-sicurezza. Per ripararci dalla grandine, potremmo fare affidamento sulla proverbiale inefficienza dei controlli. Dopotutto questo rimane il Paese del "severamente vietato", dove però gli automobilisti hanno lo 0,1% di possibilità d’incontrare una volante, dove le verifiche sugli intermediari finanziari toccano lo 0,3% della categoria, dove chi affitta casa riceve la visita del Fisco nello 0,14% dei casi. Magra consolazione, tuttavia; anche perché la salvezza dipende unicamente dal capriccio della sorte. Chi invece si salva di sicuro sono i parlamentari. Hanno trasformato l’insindacabilità per le opinioni espresse nella licenza d’ingiuriare il prossimo: la Camera stoppa i giudici 92 volte su 100, il Senato 95 su 100. Ed è questo doppio registro, questa schizofrenia legislativa, il più incommestibile boccone. Speriamo che ci salvi uno psichiatra. Giustizia: La Russa; portare a 4.200 i militari impiegati in città
Ansa, 28 maggio 2009
C’é un progetto per portare a 4.200 i militari impiegati nelle città nell’operazione Strade Sicure. Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, parlando con i giornalisti al termine dell’incontro con il segretario generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer. Sull’impiego delle forze armate sul territorio nazionale si é soffermato oggi il Consiglio supremo di Difesa, presieduto dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano. L’organismo, nel comunicato finale, ha sottolineato la necessità di valutare le prospettive di questo utilizzo, tenuto conto delle "limitate risorse disponibili" e delle "esigenze crescenti" di impegno operativo nelle aree di crisi internazionale. "Su 190.000 uomini delle forze armate - ha ricordato La Russa - ne abbiamo impiegate solo 3.500 nell’operazione Strade Sicure, per un costo di circa 30 milioni di euro a semestre a fronte di un bilancio complessivo della Difesa che è di 20 miliardi di euro". Si tratta, ha sottolineato, "di interventi eccezionali e ha comunque ragione il presidente Napolitano: se il decreto per l’uso dei militari in città sarà rinnovato, non sarà per sempre, ma di sei mesi in sei mesi". "Io - ha proseguito il ministro - porto avanti un progetto, d’accordo con il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, di rinnovare il decreto (che scade il 4 agosto) aumentando a 4.000 il numero dei militari, senza però un aumento dei costi. Ciò - ha aggiunto - sarà possibile grazie ad una razionalizzazione delle indennità degli uomini delle forze armate, che saranno equiparate a quelle delle forze dell’ordine e ad una riduzione dei costi di trasferimento dei militari". Giustizia: sull'aumento dei militari nelle città Napolitano frena
Il Sole 24 Ore, 28 maggio 2009
Le risorse sono limitate e l’impiego di più militari in città non è così scontato. Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, annuncia che i soldati destinato all’ordine e la sicurezza pubblica potrebbero passare dagli attuali 3.000 a 4.200. Ma ieri, al Consiglio supremo di Difesa presieduto da Giorgio Napoletano, è stato sollevato il problema dei fondi: limitati sempre di più, a causa dei tagli finanziari, e necessari innanzitutto all’impiego delle Forze Armate all’estero. Sul resto, dunque, occorrono verifiche e cautela. La posizione critica del Presidente della Repubblica trapela dalla nota ufficiale del Quirinale: il Consiglio, si legge nella nota finale, ha fatto un punto di situazione "sull’impiego di personale delle forze armate sul territorio nazionale, in concorso con le forze dell’ordine e la Protezione Civile, e ne ha valutato le prospettive, tenuto conto delle limitate risorse disponibili e delle esigenze crescenti dì impegno operativo dello strumento militare nelle aree di crisi". "Il presidente Napolitano ha ragione - riconosce il ministro della Difesa Ignazio La Russa - si tratta comunque di un intervento eccezionale e se il decreto per l’uso dei militari in città sarà rinnovato, non sarà per sempre, ma di sei mesi in sei mesi". Poi annuncia: "Io porto avanti un progetto, d’accordo con il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, di rinnovare il decreto (che scade il 4 agosto) aumentando a 4 mila il numero dei militari in città, senza però far crescere i costi. Ciò - ha aggiunto - sarà possibile grazie a una riduzione delle spese fisse, alla razionalizzazione delle indennità degli uomini delle forze armate, che saranno equiparate a quelle delle forze dell’ordine, e a una riduzione dei costi di trasferimento dei militari". Resta da vedere quale sarà l’effettiva conseguenza economica dei risparmi nei progetti del ministro della Difesa. Contraria al progetto Roberta Pinotti, responsabile Difesa del Pd. "Come concilia La Russa - afferma - le sue ultime dichiarazioni con le posizioni assunte dal Consiglio supremo della Difesa, del quale pure fa parte egli stesso, che in sostanza raccomanda di limitare l’uso dei militari nelle città? È evidente - sottolinea - che non si può chiedere sempre di più alla Difesa avendo drasticamente diminuito le risorse. La coperta è corta". Alla riunione del Consiglio supremo, inoltre, Napolitano ha chiesto al Governo uno sforzo maggiore nelle missioni internazionali, in Afghanistan in particolare: "lì cruciale interesse dell’Europa e dell’Italia in particolare per il conseguimento di questi obiettivi di pace e di crescita induce il nostro Paese a rinnovare e, per quanto possibile, a potenziare sia sul piano militare sia su quello della cooperazione civile - spiega il Quirinale - l’impegno a contribuire allo sforzo che la comunità internazionale sta conducendo". Giustizia: estradizione e mutua assistenza, accordo Italia-Usa
www.giustizia.it, 28 maggio 2009
Oggi, nella Sala verde del Ministero della Giustizia, il ministro Angelino Alfano e l’Attorney General Usa, Eric Holder, hanno sottoscritto lo strumento di scambio delle ratifiche, relativo all’accordo di estradizione e di mutua assistenza giudiziaria tra Stati Uniti e Unione Europea. È stato un incontro cordiale e proficuo durante il quale sono stati affrontati alcuni temi inseriti nell’agenda del G8, al fine di rafforzare la collaborazione tra Italia e Stati Uniti, nell’obiettivo comune di tutelare le frontiere della democrazia. Nel corso dell’incontro, il ministro Alfano ha illustrato al collega americano il seminario, organizzato a nove anni dalla Convenzione di Palermo, denominato "evento Falcone", che si terrà domani, alle 17:30, presso l’Aula Magna della Suprema Corte di Cassazione. Durante i lavori, che commemorano il settantesimo compleanno del giudice Falcone, saranno approfondite, nello spirito e nei contenuti, le nuove normative in materia di aggressione, su scala mondiale, ai patrimoni illecitamente accumulati e di contrasto transazionale alle associazioni mafiose. Holder ha apprezzato l’iniziativa dell’evento Falcone, riconoscendo nel giudice la figura di un eroe non solo italiano ma, a pieno titolo, anche americano. L’Attorney General ha, inoltre, affermato che il modello di legislazione proposto dall’Italia per contrastare la pirateria nel mondo sarà preso da esempio dalla normativa americana, condividendone i contenuti e le modalità di intervento. Sulla richiesta di collaborazione avanzata dagli Stati Uniti all’Italia per la chiusura graduale di Guantanamo, il ministro Alfano si è reso immediatamente disponibile ad affrontare la problematica sotto il profilo nazionale ed europeo. Giustizia: 40mila i minori denunciati aumentano gli "under 14"
Redattore Sociale, 28 maggio 2009
Sono 40.273 i minorenni denunciati per delitti alle Procure presso i Tribunali dei minorenni, compresi anche coloro che, presunti minorenni, non sono stati completamente identificati. I minorenni identificati sono invece in totale 38.193, con una diminuzione rispetto all’anno precedente del 3,6%, e tra i denunciati quelli con età inferiore a 14 anni (penalmente non imputabili) ammontano a 6.495 (+17% rispetto al numero totale). È quanto rileva il "Sistema informativo territoriale sulla giustizia" che fa riferimento all’anno 2007 per le tavole di dati della giustizia penale. Scende progressivamente, invece, il numero dei minorenni stranieri denunciati: da 12.053 nel corso dell’anno 2004, sono 10.390 quelli denunciati nel 2007, di questi sono 2.359 quelli di sesso femminile. I minorenni di cittadinanza non italiana denunciati provengono prevalentemente dalla Romania (3.955) e dal Marocco (1.330). Riguardo alle imputazioni, i minorenni denunciati "per delitti contro il patrimonio" rappresentano il 53,9% del totale, "per delitti contro la persona" sono il 26,5%, "per delitti relativi alle lesioni personali volontarie" rappresentano il 10,7% e "per delitti relativi agli stupefacenti" rappresentano il 9,2% sul totale dei minorenni denunciati. Giustizia: 17mila nuovi posti... e i detenuti crescono di 40mila di Patrizio Gonnella
Italia Oggi, 28 maggio 2009
Sono 17.129 i nuovi posti letto da realizzare entro il 2012. Questo è l’obiettivo presente nel piano carceri presentato al ministro della giustizia da Franco Ionta, commissario straordinario all’edilizia penitenziaria, nonché capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Secondo quanto si legge nella relazione illustrativa per 10.806 posti ci sarebbe una adeguata copertura finanziaria; per 6.323 posti letto invece al momento mancherebbero ancora le risorse economiche. Come anticipato su Italia-Oggi del 12 febbraio e del 16 aprile 2009 si punta tutto sulla realizzazione di nuovi padiglioni da costruirsi all’interno delle mura di cinta di istituti penitenziari già esistenti. Verranno occupati, quindi, spazi oggi a disposizione del personale penitenziario o della popolazione detenuta per attività sportive o ricreative che si tengono all’aperto (giardini, campi di calcio, aree verdi). Per quanto riguarda la individuazione delle risorse viene confermato il ricorso ai fondi della Cassa delle ammende. Vengono genericamente citate la locazione finanziaria, la finanza di progetto e la permuta come possibilità di coinvolgimento dei privati. Altre risorse arriveranno dai Fondi Fas (Fondo aree sottoutilizzate). Guardando alla distribuzione regionale delle nuove carceri o dei nuovi padiglioni in Piemonte l’incremento della capienza totale sarebbe di 1.400 posti entro il 2012. Solo per 1.000 ci sarebbero già le risorse a disposizione. In Lombardia si recupererebbero 3.587 posti ma mancano all’appello 195 milioni di euro ancora non individuati. Nel Triveneto l’aumento della capienza regolamentare sarebbe di 624 posti letto, ma per 159 i finanziamenti sono ancora da individuare. In Liguria sono previsti nuovi 494 posti di cui ben 400 privi di copertura finanziaria. In Emilia Romagna l’incremento della disponibilità alloggiativa sarebbe sempre entro il dicembre 2012 di 1.240 posti per i quali vi sarebbero già interamente i fondi. Anche in Toscana, per i nuovi 500 posti letto, in Umbria per i 200 e nelle Marche per i 50 vi sarebbero le risorse già pronte. Nel Lazio si prevedono nello specifico 200 posti a Velletri, 200 a Frosinone, 200 a Viterbo, 200 a Civitavecchia, 1.456 a Roma, 339 a Paliano, 314 a Latina per un incremento complessivo di 2.909 posti. Solo che meno di 1.300 hanno la copertura economica utile affinché le costruzioni possano essere ultimate entro il 2012. In Abruzzo e Molise l’incremento, già finanziato, sarebbe di 200 posti. In Campania, regione molto colpita dal sovraffollamento, l’aumento sarebbe di 2.254 posti letto di cui 1.000 ancora privi di disponibilità economica. In Puglia si creerebbero nuovi 400 posti e in Calabria 450 per i quali c’è già copertura finanziaria. In Sicilia l’aumento arriva sino a 1.908 posti letto di cui 905 ancora senza soldi per realizzarli. In Sardegna 913 posti nuovi con fondi già a disposizione. L’intera operazione costa più o meno alle casse dello Stato un miliardo e mezzo di euro. Mancano all’appello però ben 980 milioni di euro, quasi i due terzi dell’intera somma. A conclusione della sua relazione lo stesso Franco Ionta riconosce quanto segue: "Si rappresenta che la deliberazione di significativi incrementi di capienza, comportando oneri aggiuntivi per la gestione di servizi sanitari degli istituti erogati dalle Asl territorialmente competenti, andrebbe coordinata con le competenze della Conferenza Unificata Stato - Regioni - Autorità Locali". Un’ammissione di mancata previsione di costi relativa alle spese della sanità, a carico delle regioni. Ma manca anche ogni riferimento a quanto costerà il personale da assumere per le nuove strutture (direttori, poliziotti penitenziari, educatori, assistenti sociali, medici, psicologi), la gestione quotidiana delle carceri (dalla luce alle tasse, dal gas sino all’immondizia e alla manutenzione dei fabbricati), per non parlare dell’eventuale costo del lavoro dei detenuti. Oggi i detenuti crescono di 1.000 unità al mese. A oggi sono poco meno di 63 mila mentre la capienza regolamentare è di 43 mila posti. Per cui anche se a dicembre 2012 tutte le costruzioni presenti nella relazione del capo Dap si dovessero realizzare, anche se i soldi mancanti si troveranno, qualora il trend di crescita della popolazione carceraria rimarrà quello dell’ultimo anno, arriveremo comunque a 100 mila detenuti, mentre i posti letto regolamentari saranno ad andar bene 60 mila. Un gap di 40 mila posti letto. Nella relazione non c’è traccia di riferimento alle navi prigione di cui si è parlato nei giorni precedenti. Probabilmente il ministero ha fatto uscire la notizia prima per sondare le reazioni. Particolarmente negative sono state quelle provenute dagli avvocati, in considerazione di come negli istituti galleggianti potesse essere messo a rischio il diritto alla difesa. Giustizia: il piano carceri è ambizioso ma manca 60% dei soldi di Dimitri Buffa
L’Opinione, 28 maggio 2009
Il piano carceri licenziato dal Dap (dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) lo scorso 27 aprile è molto ambizioso: creare 17.129 nuovi posti nell’arco di tre anni. Cosa che deflazionerebbe almeno un po’ l’attuale congestione ritornata con oltre 63 mila detenuti ai livelli di prima dell’indulto. Così l’organismo diretto dall’ex pm romano anti terrorismo Franco Ionta ha individuato tre linee d’intervento per una spesa complessiva di più di un miliardo e mezzo di euro. Peccato che siano ancora "da individuare" fondi per circa 980 milioni di euro e con la crisi incombente la cosa non sembra facilissima. Tre le direttrici per l’ampliamento della capienza carceraria attuale: 4.605 posti dovrebbero venire ricavati da ampliamenti di istituti già esistenti nonché da costruzioni di nuovi istituti già finanziati per la cifra di 205.730 mila euro e questi dovrebbero essere pronti per la fine del 2009 o al massimo per i primi mesi del 2010 perché i soldi sono stati già versati; altri 6.201 posti verranno ricavati da ampliamenti di padiglioni carcerari di istituti già esistenti e da costruzione di nuovi istituti per i quali le coperture finanziarie sono state già individuate, e i lavori dovrebbero essere portati a termine entro la prima metà del 2011; infine altri 6.323 posti carcere dovrebbero essere realizzati, sempre mediante la ristrutturazione di alcuni vecchi penitenziari e la costruzione di altri nuovi, con fondi ancora da individuare pari a 980 milioni di euro. Quest’ultima voce è quella più grande oltre che quella più a rischio: teoricamente tutto dovrebbe essere pronto per la fine del 2012 ma bisogna anche fare i conti con il bilancio dello stato. Regione per regione ecco lo schema dei nuovi posti carcere: Piemonte: 660 posti dalla ristrutturazione dei padiglioni di Cuneo, Biella e Saluzzo, altri 440 dalla ristrutturazione di Alessandria e infine ulteriori 400 dal nuovo istituto di Pinerolo per il quale vanno ancora individuate le risorse; Lombardia: 1040 posti dalla ristrutturazione già finanziata delle carceri di Bollate, Pavia, Voghera e Cremona, altri 1200 dall’ampliamento di ulteriori padiglioni di Bollate, Opera, Bergamo, Busto Arsizio e Monza, e ulteriori 1400 da due nuovi carceri da fare a Milano e a Varese con fondi ancora da individuare; Triveneto: 200 posti dall’ampliamento della casa circondariale di Vicenza, con finanziamento già individuato, 121 posti dall’ampliamento già finanziato di Trento, altri 66 posti dal nuovo istituto di Rovigo, finanziamento già individuato, e ulteriori 159 dalla costruzione di due nuovi istituti a Bolzano e Pordenone con fondi ancora da trovare; Liguria: 94 posti dalla ristrutturazione di Savona, finanziamento già individuato, e 400 posti da un nuovo istituto da fare a Genova, con finanziamento ancora da individuare; Emilia Romagna: due nuovi padiglioni alle carceri di Modena e Piacenza, per un totale di 350 nuovi posti, già finanziati, 800 posti dall’ampliamento già predisposto delle carceri di Parma, Bologna, Reggio Emilia e Ferrara, soldi già trovati ma non erogati, e infine il nuovo istituto di Forlì che amplierà di 90 posti quello vecchio con finanziamenti già individuati; Toscana: il nuovo padiglione di Livorno porterà 100 posti ed è già erogato lo stanziamento, i nuovi padiglioni di Pisa e di Firenze Sollicciano offriranno altri 400 posti, e i soldi sono già stati trovati; Marche: 50 nuovi posti dall’adeguamento del Barcaglione di Ancona, progetto già finanziato; Umbria: 200 posti nuovi dal padiglione ampliato del carcere di Terni, soldi già erogati; Lazio: 400 posti da nuovi padiglioni alle carceri di Velletri e Frosinone, soldi già erogati, 400 altri posti dall’ampliamento di Viterbo e Civitavecchia, soldi già individuati a bilancio, 456 ulteriori posti carcere dall’ampliamento di Rebibbia, soldi ancora da trovare, e infine altri 1653 posti per nuovi istituti da realizzare a Roma e provincia, Paliano e Latina, ma i soldi ancora non ci sono; Abruzzo e Molise: 200 posti nuovi dall’ampliamento di Sulmona, finanziamento individuato; Campania: 854 posti nuovi dalla ristrutturazione delle carceri di Avellino, Santa Maria Capua Vetere, Carinola e Ariano Irpino, tutti progetti già finanziati, più 400 posti dall’ampliamento di Napoli Secondigliano e Salerno, soldi già stanziati, e ulteriori mille posti letto dal nuovo carcere che si farà a Nola con soldi però ancora da trovare; Puglia: 400 nuovi posti dalla ristrutturazione dei padiglioni delle carceri di Taranto e Lecce, finanziamenti già individuati; Calabria: 300 posti dal nuovo padiglione della casa circondariale di Catanzaro, già finanziato, 150 altri posti dal nuovo istituto di Reggio Calabria, finanziamento individuato; Sicilia: 500 posti da progetti già finanziati per ampliare il carcere di Agrigento e il Pagliarelli di Palermo, altri 500 dalla ristrutturazione delle case di Siracusa, Trapani e Gela, soldi a copertura già trovati, e ulteriori 908 posti da due nuovi istituti di pena da costruire a Catania e a Sciacca con finanziamenti ancora da individuare; Sardegna: 90 nuovi posti dall’ampliamento già finanziato del padiglione principale del carcere di Nuoro, Bad e Carros. Giustizia: Uil; raggiunti i 63.000 detenuti con suicidi in aumento
Il Velino, 28 maggio 2009
"Alla mezzanotte del 25 maggio negli istituti penitenziari italiani si registrava una presenza pari a 62.879 detenuti (39.525 italiani, 23.264 stranieri). Dal primo gennaio 2009 a oggi i suicidi in carcere ammontano a 22 (il 23 per cento del totale in istituti campani), un trend in sensibile crescita e in netta controtendenza rispetto ai dati degli ultimi anni". A dichiararlo è Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa penitenziari, intervenuto al convegno "Morire di Pena" organizzato dall’Unione camere penali di Caserta preso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere. "I numeri parlano chiaro e non possono essere smentiti - ha detto Sarno - mentre parlo quota 63mila è, probabilmente, stata sfondata. Quella quota che a detta di tutti segna il punto di non ritorno. Nonostante ciò si perpetua il silenzio delle istituzioni e del governo sul fronte penitenziario. Le condizioni incivili e indegne della detenzione nel sistema penitenziario italiano costituiscono fattori di rischio che contribuiscono ad alimentare l’aggressività,che si trasforma in atti violenti e favorisce la depressione, che porta al suicidio. Dai 69 suicidi del 2001 siamo passati ai 42 del 2008, segno evidente di uno sforzo prodotto dall’amministrazione e dal personale in tale periodo". "Il trend, invece - spiega Sarno -, si inverte per il 2009. Le proiezioni indicano in 52-55 suicidi il consuntivo di fine anno. Una netta inversione di tendenza dovuta all’assenza di risposte sul piano della prevenzione e sul piano organizzativo - gestionale. Non vorrei si dimenticasse, inoltre, quante vite sono state salvate in extremis dalla polizia penitenziaria. Ovvero a quante persone è stata materialmente sfilata, all’ultimo secondo, la corda dal collo. Questo è un dato che andrebbe monitorato. Dei 22 suicidi di quest’anno 21 sono avvenuti a mezzo impiccagione. Un metodo che spesso porta alla morte istantanea per la frattura delle vertebre , in casi rari per soffocamento, e quindi vanifica ogni tempestivo soccorso. Uno solo il caso, quest’anno, di suicidio per inalazione di gas". "Do questi dati anche per polemizzare - ha sottolineato il segretario Generale - contro il tentativo del Dap di mettere a tacere gli operatori e nascondere la realtà. Noi non abbiamo nulla da nascondere, anzi la trasparenza deve essere un dovere amministrativo. Invece da qualche settimana il servizio dati dal Dap è stato oscurato e fermato". Nell’intervento odierno, Sarno ha nuovamente posto all’attenzione il dato che vede la maggior parte della popolazione detenuta ancora senza una condanna definitiva: "Noi riteniamo che ci sia una oggettiva distorsione del dato complessivo delle presenze detentive ascrivibile allo stato della giustizia in Italia. Una qualche riflessione deve ingenerare la condizione per la quale i detenuti senza una sentenza definitiva (31.106) siano in numero superiore ai detenuti condannati in via definitiva ( 29.776). È evidente che occorre intervenire strutturalmente sui meccanismi e sui tempi dei processi". Il segretario della Uil Pa Penitenziari chiudendo il suo discorso ha fatto cenno anche alle prossime, future, manifestazioni di protesta: "Proprio oggi tutte le organizzazioni sindacali del comparto sicurezza hanno redatto un documento congiunto in cui denunciano sostanziale abbandono e disinteresse da parte del governo verso gli operatori della sicurezza. Sul versante penitenziario sono già state calendarizzate manifestazioni di protesta a Roma per il 4 e il 17 giugno". "Voglio esprimere - ha chiuso Sarno - la mia personale vicinanza a Marco Pannella che ha intrapreso due giorni di sciopero della fame e della sete a sostegno delle nostre rivendicazioni e per sollecitare una vera attenzione a quella che lui, a ragion veduta, definisce la comunità penitenziaria. Ritengo doveroso sottolineare lo storico impegno e la concreta attenzione del Partito radicale verso i bisogni dell’universo penitenziario e mi piace credere che l’azione di Marco Pannella possa favorire quelle sinergie utili a risolvere le emergenze in atto. Se non altro contribuisce concretamente alla formazione di quella coscienza sociale e politica sul problema,senza la quale il problema carcere è e resterà un tabù. Per questo, anch’io come Pannella,chiedo ad Oreste Dominioni di schierare la sua organizzazione per una battaglia in favore del diritto, della civiltà e della dignità". Giustizia: "Diritti e castighi", l’umanità cancellata dal carcere
Il Sole 24 Ore, 28 maggio 2009
Pubblichiamo uno stralcio dal capitolo "Dentro e fuori" del libro Diritti e castighi, di Lucia Castellano e Donatella Stasio. "Sono e ccà fore" risponde Salvatore. Poi s’accorge che l’interlocutore non ha capito bene, si scusa e traduce: "Sono di qua fuori. Vivo a Secondigliano, alle Vele, qua di fronte". Salvatore è un omone di 40 anni, con una maglietta rossa aderentissima che mette generosamente in vista la sua obesità. Dal girocollo spunta una catenina d’oro con una medaglietta a forma di cuore su cui è stampato il viso di una donna. "È mia moglie" spiega orgoglioso; la madre dei suoi quattro figli (11, 8, 7 e 5 anni) che lo aspettano a casa per il 2016, quando tornerà libero. In carcere è entrato nel 1991, prima a Poggioreale, poi a Enna e infine a due passi da casa, nel centro penitenziario di Secondigliano, dove la camorra riempie, ufficialmente, più di 400 posti letto, ma nessuno giurerebbe che tra gli oltre 800 detenuti comuni non siano imboscati numerosi appartenenti ai clan camorristici. "Fuori non lavoravo", prosegue Salvatore con quel suo dialetto sporco e gergale, che gli consente di dire quanto basta per non apparire reticente o scortese. Non ha mai lavorato? "Mai, mai, ero disoccupato", risponde, come se fosse la cosa più normale del mondo. In carcere, però, un lavoro l’ha trovato: fa il porta vitto, trascina il carrello del pranzo e della cena lungo i corridoi del reparto Adriatico e guadagna 300 euro al mese. "Poi ho gli assegni familiari", aggiunge. I soldi li dà a sua moglie? "No, no... Li tengo io per la spesa, le sigarette...". E come vive la sua famiglia? "Ehhh...! - esclama, alzando occhi e mani al cielo - L’aiuta mia suocera, perché neanche mia moglie lavora". Quando esce, che cosa farà? "Mah...". E sorride. Più che un dialetto, il suo è il linguaggio primitivo e un po’ omertoso imparato alle Vele, le piramidi sgarrupate alte nove, dieci piani, simbolo del degrado urbano e dello Stato che non c’è. Li finita la galera, avverrà il reinserimento sociale di Salvatore, in quella casba senza regole dov’è cresciuto luic dove stanno crescendo i suoi figli Poggioreale, Erma, Secondigliano non cambieranno la sua vita. Sono una parentesi, che descrive con brandelli di frasi. "Le carceri sono tutte uguali. Se ti comporti bene, o qua o là è uguale. Io qui sto bene. Il mio compagno di cella non lavora. Non ho amicizie, solo buongiorno e buonasera. Con gli agenti vado d’accordo, sono socievoli". Tutto qua. Gli sembra di aver detto anche troppo. Prima di andarsene, commenta: "Eh, con tutto quello che vi ho raccontato, potete scrivere un libro!". La Costituzione, all’articolo 27, dice che la pena deve "tendere alla rieducazione". Può darsi che, dopo diciassette anni di galera, Salvatore, oltre a pentirsi dei suoi crimini, sia diventato più educato, e che gli altri otto anni che gli restano da scontare lo renderanno educatissimo. Ma quando uscirà dal carcere, Salvatore attraverserà la strada, svolterà a sinistra e tornerà da uomo libero alle Vele, dove non basta aver imparato a dire "buongiorno e buonasera" per buttarsi alle spalle una vita criminale. "È già tanto se qui imparano che esiste una forma di convivenza in cui non è necessario ammazzarsi", osserva mestamente Liberato Guerriero, direttore del carcere di Secondigliano. A vederlo da fuori, questo penitenziario del Sud assomiglia incredibilmente a Bollate, a Opera e a molte altre prigioni di nuova generazione. Sovraffollato, a ottobre del 2008 aveva oltre 1.200 detenuti, poco meno dei 1.300 posti considerati "tollerabili"; solo il 30% con una condanna definitiva; il resto in attesa di giudizio; 382 sottoposti al regime di "alta sicurezza", 21 a quella di "elevato indice di vigilanza" e tra gli uni e gli altri fior fiore di boss; 705 i "comuni", ma anche tra loro, spiega Guerriero, ce ne sono tantissimi che gravitano in organizzazioni criminali. Insomma, di tutto, di più, con la conseguenza che questa coabitazione tra diverse tipologie di detenuti rende più che mai complicato, se non impossibile, progettare percorsi individuali di reinserimento sociale. "Noi proviamo almeno a far capire quanto sia importante osservare le regole - dice il direttore - la legalità intesa come rispetto dell’altro. La scuola, per esempio, è fondamentale e qui ci vanno quasi 300 persone. Non è che ci illudiamo più di tanto, ma già il fatto di andare in aula a orari prestabiliti, di ascoltare in silenzio il professore, di aspettare la pausa per fumare la sigaretta, sono tutti comportamenti che servono, forse, a introiettare l’idea che le regole si possono rispettare e che esiste una possibilità di convivenza serena e pacifica, senza spargimenti di sangue. E però - conclude - bisogna ricordarsi che la riforma dell’ordinamento penitenziario non si rivolge soltanto a noi che lavoriamo dentro il muro di cinta, ma a tutta la collettività. Quella è ancora oggi una grande riforma, un vero capolavoro, perché non è stata approvata sull’onda dell’audience, dell’emergenza. Ma per attuarla è indispensabile anche il "fuori". E nessuno sembra accorgersene". A Secondigliano, come in tante altre carceri del Sud, il "fuori" ha un volto ancora più inquietante del "dentro". Spesso non ha volto. Francesco, detto Ciccio, era un ragazzo della periferia nord di Napoli, tossicodipendente con disturbi psichiatrici, uno di quelli "a doppia diagnosi". Era detenuto a Eboli. Per compensarlo bisognava somministrargli un certo tipo di farmaco. Due volte al mese, Ciccio andava in infermeria per la "puntura"; solo così riusciva a convivere pacificamente con se stesso e con gli altri Scarcerato, tornò a vivere con la mamma. Un mese dopo, madre e figlio si presentarono al carcere di Eboli. Erano usciti di casa alle cinque di mattina; la donna era disperata e continuava a urlare: "Facitece ‘a puntura! Facitece ‘a puntura!". Avevano affrontato un viaggio di tre ore: da Scampìa alla stazione di Napoli in pullman, poi con il treno fino a Battipaglia, da qui di nuovo in pullman fino a Eboli e infine, a piedi, in cima alla rocca, al carcere. "Nu sperpetuo...", si sfogò la donna, spiegando che aveva inutilmente cercato un ambulatorio, un medico, qualcuno che aiutasse il figlio a stare bene. In fondo si trattava semplicemente di fargli una puntura.. E se soltanto il carcere era in grado di farlo, valeva la fatica del viaggio. Nel deserto degli altri servizi, si era rivolta all’unico da cui, in genere, appena liberi ci si tiene il più lontano possibile.
Se è "aperto" produce più sicurezza
Il carcere che funziona produce libertà e sicurezza collettiva. Cosi fu concepito dai costituenti e così è stato disciplinato dalle riforme degli anni 70-2000. La quotidianità penitenziaria, invece, continua a produrre finzione, recidiva e sprechi. Diritti e castighi. Storie di umanità cancellata in carcere (il Saggiatore, da domani in libreria) è un viaggio al di là del muro, sul senso della pena detentiva oggi. Scritto da Lucia Castellano, direttrice della casa di reclusione di Milano Bollate, e da Donatella Stasio, giornalista del Sole 24 Ore racconta, anche attraverso le voci di chi ci vive d entro, lo scarto tra la realtà e gli obiettivi indicati dalla legge. Uno scarto aggravato dal sovraffollamento ormai cronico e dalle politiche contemporanee sulla sicurezza, che hanno riempito le prigioni di stranieri, tossicodipendenti, malati psichiatrici. Sono loro e, in generale, gli appartenenti agli strati più bassi della popolazione, i clienti abituali del carcere, da cui entrano ed escono come dalla porta girevole di un hotel, nell’arco di pochi mesi, settimane, giorni, senza che questo passaggio abbia per loro e per la collettività alcun senso, meno che mai rieducativo. Tuttavia, se il carcere è il sintomo patologico più grave di una società, può anche diventare un simbolo di speranza e responsabilità. Come testimoniano alcuni tentativi dì trovare una via che restituisca ai detenuti i diritti di cittadinanza e dia alla collettività la prospettiva concreta di una maggiore sicurezza sociale. Ma restano eccezioni, anche se hanno il conforto dei numeri: il carcere "chiuso" produce il 70% di recidivi contro il 16% del carcere "aperto". E la diminuzione di un solo punto percentuale della recidiva -scriveva il Parlamento già nel 2001 -fa risparmiare alla collettività circa 51 milioni di euro l’anno. Campania: nelle carceri, in condizioni igieniche da Terzo mondo
Il Mattino, 28 maggio 2009
Aumenti di suicidi (in Campania sono quattro in un mese), sovraffollamenti (incremento nazionale di mille detenuti al mese), atti di autolesionismo, condizioni igieniche da terzo mondo, detenuti che sfogano l’insofferenza verso gli agenti. Sono alcuni degli argomenti trattati ieri a Santa Maria Capua Vetere nel corso di un appuntamento del coordinamento regionale delle Camere Penali Campane. Ad ospitare il convegno dal tema "Morire di pena", la Camera Penale sammaritana presieduta dall’avvocato Camillo Irace (segretario del coordinamento è Claudio Sgambato) che ha introdotto gli interventi chiedendo, in conclusione, risposte dalla giurisdizione e dalla politica. "Il carcere è privazione della libertà ma alla pena se ne aggiungono altre non previste", ha spiegato il garante dei detenuti, Adriana Tocco, che presiede l’ufficio istituito sette mesi fa. "Il tema della sofferenza dei detenuti fa girare la testa dall’altra parte - ha detto Michele Cerabona - presidente dell’Ucp e della Camera Penale di Napoli - perché spesso si considera il carcere una discarica sociale dove oltre il 50 per cento, su 63mila detenuti italiani, sono ancora in attesa di giudizio e quindi presunti non colpevoli". In Campania, è emerso dai dati forniti da Eugenio Sarno, segretario della Uil Polpen - a fronte di una capienza di 5.306 posti, nei 18 istituti penitenziari della regione trovano posto 7.256 detenuti. Nel carcere sammaritano, sono 372 i detenuti in più: 894 su 522 previsti. E poi i casi limite: nella sezione femminile convivono 12 donne in una cella per 2 e con 4 letti a castello (con difficoltà a stare erette e il cucinino accanto al posto per i bisogni corporali). Applauditi anche gli interventi degli avvocati Giuseppe Pellegrino (coordinatore camere penali campane), Francesco Piccirillo (delegato centro studi penali), Riccardo Polidoro (presidente associazione "Il carcere possibile" alla quale ha aderito la Camera Penale sammaritana) e Angelica Di Giovanni (presidente Tribunale di Sorveglianza di Napoli). Apprezzati gli interventi sull’applicazione delle misure alternative degli avvocati Alfonso Quarto (Aiga) e Raffaele Costanzo (vice Camera Penale). Calabria: accordo tra la Regione e il Centro giustizia minorile
Agi, 28 maggio 2009
Per garantire il diritto allo studio dei minori detenuti è stato sottoscritto, questa mattina, nella sede del Dipartimento Istruzione, il protocollo d’intesa tra la Regione Calabria e il Centro per la giustizia minorile per la Calabria e la Basilicata. Alla firma dell’atto - informa una nota dell’Ufficio stampa della Giunta - erano presenti la dirigente del settore Istruzione Sonia Tallarico, Nino Zumbo per la Vicepresidenza e il direttore del Centro di giustizia minorile Angelo Meli. Il protocollo d’intesa prevede un finanziamento di 50mila euro. "L’obiettivo dell’intesa - ha detto il vicepresidente della Giunta regionale Domenico Cersosimo - è quello di realizzare corsi scolastici e altre attività culturali a favore dei minori che si trovano momentaneamente in strutture penitenziarie regionali". Secondo Cersosimo "garantire il diritto allo studio ai minori detenuti deve essere un obbligo imprescindibile di ogni istituzione pubblica, rivolto ad assicurare sostegno a tutti gli studenti, in particolare ai ragazzi che versano in situazioni di particolare disagio. Attraverso gli interventi finanziati dalla Regione e attuati dal Centro per la Giustizia minorile - ha specificato il vicepresidente - stiamo tentando non solo di creare le premesse per recuperare i ritardi accumulati nel percorso formativo dei minori privati della libertà personale, ma anche di gettare le basi per il loro riscatto sociale. Il nostro obiettivo ultimo è infatti quello del reinserimento dei minori nel sistema dell’istruzione al fine di accrescere competenze e capacità dei ragazzi e per questa via potenziare le loro opportunità di inserimento nel mercato del lavoro. I buoni risultati auspicabili da questa prima esperienza ha concluso Cersosimo -ci porteranno a rifinanziare i progetti anche per il prossimo anno, magari con la previsione di un maggiore investimento finanziario". Lettere: i detenuti da varie carceri scrivono a Riccardo Arena
www.radiocarcere.com, 28 maggio 2009
A Regina Coeli, in attesa di un trapianto. Caro Arena, sono detenuto e malato di cirrosi epatica, insomma il mio fegato non funziona più e, come puoi leggere dal certificato fatto dalla direzione sanitaria del Policlinico Umberto I, avrei bisogno di un trapianto. Trapianto di fegato senza il quale la mia fine è segnata. Purtroppo il magistrato di sorveglianza mi ha rigettato il differimento della pena e ora la parola spetterà al tribunale di sorveglianza. Ti faccio anche presente che mi mancano solo 2 anni di detenzione e che ho già scontato più della metà della pena. Poter avere il differimento della pena per me significa potermi mettere in lista d’attesa per il trapianto di fegato e così sperare di salvarmi la vita, anche perché se è difficile trovare un donatore già da libero, figuriamoci da detenuto! Io lo so che ho commesso un reato e che devo pagare, ma non mi sembra giusto essere lasciato in cella, abbandonato e destinato a morire. Vedo detenuti eccellenti uscire dal carcere con malattie meno gravi della mia e con reati più gravi e questo non è giusto. Non è giusto dividere i detenuti in due categorie, chi è di serie A e chi di serie B. Credimi Riccardo come in tribunale, anche in carcere la legge non è uguale per tutti!
Massimo dal carcere Regina Coeli di Roma
La nostra vita a Teramo. Cara Radio Carcere, l’altro giorno ho parlato con il direttore del carcere di Teramo per fargli capire tutte le difficoltà che dobbiamo affrontare noi detenuti. Ho fatto presente che siamo costretti a dormire su letti pieni di muffa, e che di muffa sono invasi anche i bagni delle nostre celle, ma è stato inutile. Come inutile è stato il far notare quanti pochi di noi riescano a incontrare un educatore o uno psicologo. Il fatto è che qui nel carcere di Teramo tutto diventa difficile e a volte impossibile. Anche solo poter ricevere un libro dalla biblioteca è una impresa eccezionale, figuriamoci riuscire a trovare un lavoro. Come se non bastasse, da qualche giorno sono arrivati nuovi detenuti provenienti dal carcere di Pescara e qui si è creato il caos! Il risultato è che anche nel carcere di Teramo noi detenuti siamo costretti a passare 22 ore chiusi in cella, ovvero una pena nella pena, in quanto non fare nulla non ci aiuta di certo a uscire migliori rispetto a quando siamo entrati in carcere. Ovviamente ho chiesto al direttore del carcere Teramo come mai qui non ci sono attività per noi detenuti e la risposta è stata: perché non abbiamo soldi. Come dire che il carcere non ha soldi per rieducarci!
Lorenzo dal carcere di Teramo Trieste: un "registro-materassi"... per chi dorme sul pavimento di Riccardo Arena
www.radiocarcere.com, 28 maggio 2009
"Caro Arena, quando ho iniziato a fare il direttore penitenziario sapevo che avrei dovuto confrontarmi con persone che avevano commesso reati e che avrebbero dovuto pagare giustamente un prezzo alto in termini di libertà. Sapevo anche che dovevo imporre ai miei detenuti il valore morale della legge e della Costituzione. Oggi, invece, mi ritrovo moderno burocrate. Ovvero direttore del carcere di Trieste dove non si riesce ad applicare la legge. Un direttore che ciononostante deve dire a quanti hanno violato la legge di non farlo più!" Inizia così la lettera inviata a Radio Carcere da Enrico Sbriglia, direttore del carcere di Trieste e Segretario Nazionale del Sindacato dei direttori penitenziari. Poche righe scritte da un dirigente dello Stato che non vuole essere concorrente nell’illegalità, nel non rispetto della legge, presente nel carcere da lui diretto. Un’illegalità che è diretta conseguenza del sovraffollamento e dell’inadeguatezza della struttura. Il carcere Coroneo di Trieste potrebbe ospitare 150 detenuti, ma oggi ne contiene più di 250. Questo significa che in celle fatte per quattro detenuti oggi ce ne sono dieci. Ma non basta. Infatti, in quelle celle lo spazio per dieci brande non c’è. E così in ognuna di quelle celle due detenuti su dieci sono costretti a dormire col materasso per terra. Si tratta spesso di persone indagate che attendono di essere giudicate, quindi presunti non colpevoli. Ma si tratta anche di persone malate, oppure di persone condannate, che non per questo devono essere trattate in un modo così distante da quanto prevede la legge. Per fronteggiare tale situazione, la direzione del carcere di Trieste ha dovuto creare "un registro per la rotazione dei materassi a terra". In altre parole un librone in cui si annota ogni giorno chi ha dormito per terra. Lo scopo: consentire a tutti, almeno per un paio di notti, di coricarsi su una branda. Solo raccontare che in un carcere, che è un istituto dello Stato, si sia dovuto creare un registro dei materassi per terra, appare una follia. E forse lo è. Ma a ben vedere non è altro che un tentativo disperato di gestire una condizione di vita carceraria che va oltre qualsiasi nostra immaginazione. Un degrado che coinvolge tutti, detenuti, agenti di polizia penitenziaria e direzione del carcere. Una condizione degradata e degradante, ignorata dai vertici del Dap, ma certificata da un provvedimento di un Giudice. Infatti, Massimo Tomassini Gip di Trieste, pronunciandosi circa l’istanza di scarcerazione di alcuni indagati detenuti che chiedevano la libertà in quanto costretti a dormire per terra nel carcere triestino, ha affermato: "Non è facendo dormire le persone per terra, in stanze sovraffollate, che si rende Giustizia. Nessuno pretende carceri stile Grand Hotel, ma altrettanto nessuno dovrebbe tollerare scempi come quelli ai quali quotidianamente assistiamo, e dei quali un giorno ben potremo essere chiamati a rispondere quanto meno di fronte alle nostre coscienze". Parole sante, anche se purtroppo raramente sono state scritte da un magistrato. Il fatto è che, al di là di Trieste, il sovraffollamento è ad una quota mai raggiunta nella storia della Repubblica. 63.100 persone detenute sono oggi chiuse in celle che ne potrebbero ospitare, come ha detto il Ministro Alfano, 39. 452. Non a caso persone detenute dormono per terra, non solo nel carcere di Trieste, ma anche in quello San Vittore di Milano, in quello di Poggioreale, in quello di Ascoli Piceno e così via. È il collasso del sistema penitenziario. Ora attendiamo con ansia che il Ministro Alfano ci informi sul varo del piano straordinario per le carceri. Piano predisposto dallo straordinario commissario Ionta. Nell’attesa un suggerimento: perché non inserire nel piano carceri anche il registro per i materassi a terra? Venezia: carcere nel dramma, senza fondi per i bisogni primari
La Nuova Venezia, 28 maggio 2009
Un invito politico forte a tutti i partiti della città, maggioranza ed opposizione, affinché si uniscano "per chiedere al ministero di Giustizia di stanziare i fondi per i bisogni primari dei detenuti, per garantire nel carcere maschile veneziano un’adeguata offerta lavorativa e per coprire i 50 posti vacanti tra gli agenti di polizia penitenziaria, perché la situazione a Santa Maria Maggiore è esplosiva e non bastano certo i due barconi di generi di prima necessità che abbiamo fornito o i 3 mila euro del Consiglio comunale a risolvere la situazione". A lanciare l’appello è Gianni Trevisan, presidente della cooperativa Il Cerchio, che interviene così nel merito della protesta che da una settimana sta infiammando i detenuti della Casa Circondariale veneziana per il gravissimo sovraffollamento che li affligge (310 persone in spazi che potrebbero ospitarne 180), senza sapone, detergenti, carta igienica a causa del taglio dei fondi alla direzione per le spese di gestione, compresa la pulizia. Una situazione drammatica. "È inutile chiedere, come ha fatto il presidente del Consiglio Boraso, la costruzione di un nuovo carcere in terraferma", prosegue Trevisan, "perché ci vorrebbe troppo tempo: il problema è urgentissimo, ne va della dignità delle persone, invece sono sempre tagli. Bisogna intervenire con finanziamenti e con nuovi regolamenti: a Santa Maria Maggiore c’è un grande turnover di arrestati, magari scarcerate dopo l’udienza. Gravano sulla struttura, sui pochi agenti che fanno i salti mortali e sulla qualità di vita dei detenuti definitivi: bisognerebbe dotare le Questure di adeguate celle di sicurezza per le prime 48 ore, in modo tale da alleggerire il carcere". E poi il lavoro, fondamentale strumento di recupero di uomini e donne detenuti: al femminile della Giudecca, ad esempio, i due-terzi delle detenute sono coinvolte nelle attività didattico-lavorative organizzate da Il Cerchio e Rio Terà dei pensieri. "Con la sola lavanderia il mese scorso abbiamo fatturato 25 mila euro, con le attività ricettive veneziane", prosegue Trevisan, "lavoro ce n’è, ma al maschile è impossibile. L’anno scorso è stata chiusa per tagli la casa di lavoro della Giudecca, che serviva da sfogo, con il risultato che i nostri dipendenti in regime i semilibertà arrivano dal carcere di Padova, perché a Venezia non ce ne sono più. L’intero Consiglio comunale si unisca in un intervento fermo e corale sul ministero". Rimini: Cgil; evitiamo di mettere 10 detenuti, in celle di 12 mq!
Ansa, 28 maggio 2009
In vista della stagione estiva, e del ritorno, fra qualche mese, a pieno regime del carcere dopo la fine dei lavori di ristrutturazione, La Fp Cgil ha inviato, in rappresentanza della Polizia Penitenziaria di Rimini, una lettera alle autorità locali, regionali e nazionali in materia. Lettera in cui si fanno presenti le carenze di organico e le difficoltà legate al sovraffollamento d’estate: con aumenti dei detenuti anche del 100%. Situazione aggravata, in questo periodo, dai lavori di ristrutturazione in corso. Sul fronte dell’affollamento, al Dap, Dipartimento di polizia penitenziaria, la Fp Cgil chiede in particolare che venga evitato che all’interno delle celle - al massimo di 12 mq - "vengano ammassati 10 detenuti". Per il capitolo organici, il sindacato sottolinea che la detenzione per lo più per periodi brevi a Rimini, crea un carico di lavoro per gli uffici del carcere. Un numero consistente di agenti - una quindicina - sono poi impegnati ogni giorno nell’accompagnamento in tribunale dei detenuti per le direttissime e le convalide. Provvedimenti da prendere, spiega la nota, "prima che si verifichino ulteriori spiacevoli episodi che hanno visto coinvolti i detenuti e il personale di Polizia penitenziaria". Bollate (Mi): vanno all’asta gli arazzi realizzati dalle detenute
www.milanoweb.com, 28 maggio 2009
"Arazzi delle legalità". Questo il titolo della mostra, con battuta d’asta delle opere, al via stasera allo spazio San Cristoforo di pizza Formentini. In mostra, gli arazzi realizzati dalle detenute del carcere di Bollate assieme alle artiste dell’Accademia di Brera, secondo un progetto voluto dal ministero della Giustizia e sostenuto dal Comune di Milano. Obiettivo, dare alle detenute una formazione in campo artistico-lavorativo nella prospettiva del dopo carcere. Il ricavato della vendita degli arazzi andrà a finanziare la creazione di un laboratorio per la lavorazione del feltro per le detenute di Bollate. La mostra è stata presentata questo pomeriggio a Palazzo Marino dall’assessore alla Cultura, Massimiliano Finazzer Flory, dal presidente del consiglio comunale Manfredi Palmeri e da Tiziana Tacconi, docente di Brera che ha coordinato i lavori. Se l’assessore Finazzer Flory ha insistito sul "bisogno di nuove Penelope del terzo millennio" e di un "lavoro che salva la vita", il presidente Palmeri ha insistito sul valore dell’iniziativa perche "è vero che chi sbaglia merita una sanzione, ma la sanzione deve tendere alla rieducazione e tenere presente che ci sarà un dopo carcere". "Bollate - ha aggiunto - da questo punto di vista si è sempre distinto per cercare di favorire l’uscita delle detenute e il loro reinserimento lavorativo". L’asta degli arazzi partirà questa sera alle 18. Madrina della serata, l’attrice Lella Costa. Bollate: "Psycopathia Sinpathica", la realtà carceraria in teatro
www.milanoweb.com, 28 maggio 2009
Vi siete mai chiesti se la criminalità possa essere considerata una malattia? Lo psichiatra Oskar Panizza l"ha fatto e il risultato è stato "Psycopathia Criminalis", un saggio di satira politica che, pubblicato nel lontano 1898, legge la lotta contro il sistema come un disturbo mentale, riconoscibile da un elenco dettagliato di sintomi, che colpisce soprattutto gli "illuminati" - democratici inveterati, pensatori, ideologi, artisti - spesso fautori dei grandi movimenti rivoluzionari proprio per una sensibilità e un"intelligenza che li rende superiori e al contempo distanti da tutti gli altri. Michelina Capato Sartore, prendendo spunto proprio da quest’opera, dirige la Compagnia Teatrale e.s.t.i.a. - cooperativa sociale formata da attori detenuti e non che da anni organizza eventi culturali in ambiti carcerari finalizzati al reinserimento socio-lavorativo dei galeotti - in "Psycopathia Sinpathica", in scena oggi alle ore 21 presso Teatro In-Stabile - Casa di Reclusione Milano Bollate (via Belgioioso, 120), nell’ambito del Festival "Liberi di vivere". Una manifestazione resa possibile grazie ai contributi della Fondazione Cariplo elargiti nell’ambito del "Progetto Etre" che, finalizzato alla promozione delle compagnie lombarde, ha permesso ad e.s.t.i.a. di ampliare la propria programmazione teatrale e d"impegnarsi in un"attività residenziale stabile di produzione. Attraverso le coreografie di Maria Carpaneto, la musica e i video, gli attori, tramite la satira politica, rappresentano come vengono trattati i soggetti considerati più facilmente colpiti da psicopatia criminale e con una mimica accentuata si fanno i portatori dei loro sintomi. Dei corpi alla ricerca di gesti e comportamenti che li rendano normali agli occhi degli altri, si muovono in uno spazio ovale sormontato da 2 schermi bianchi in cui vengono proiettati filmati di vita carceraria reale e lo scontro tra questa e la sua rappresentazione rende ancora una volta il gioco del teatro nel teatro un invito alla riflessione e alla catarsi. Immigrazione: Amnesty; in Italia c'è disprezzo dei diritti umani di Federica Di Carlo
Ansa, 28 maggio 2009
È un bocciatura su tutti i fronti quella di Amnesty Italia del pacchetto sicurezza del governo italiano "che - denuncia l’organizzazione nel Rapporto 2009 - non fa altro che aumentare l’insicurezza delle persone che già sono in grandissime difficoltà". Nel mirino dell’associazione leader nella difesa dei diritti umani e del neopresidente della sezione italiana Christine Weise sono finite soprattutto le ultime misure in materia di immigrazione varate dal governo che, una volta applicate, hanno dato prova di un "disprezzo dei diritti umani" a danno di chi, "fuggendo da situazioni molto critiche cerca riparo nel nostro Paese". Ma Weise non si limita ad attaccare i respingimenti, ma parla più apertamente di "un clima di razzismo crescente" in Italia verso le minoranze, come "dimostrano gli sgomberi dei campi rom - ha detto - popolazioni in molte occasioni al centro del disprezzo e di una spirale di violazioni dei diritti umani". In occasione della presentazione dell’ultimo rapporto sulla situazione dei diritti umani nel mondo, l’attacco di Amnesty al governo è frontale: "La politica dell’immigrazione italiana e i respingimenti dei rifugiati che arrivano con le barche in alto mare - ha detto Weise - è espressione di un disprezzo dei diritti umani e delle persone veramente disperate che qui cercano solo aiuto". "L’Italia sarà inoltre ritenuta responsabile di quanto accadrà ai migranti e richiedenti asilo riportati in Libia", si legge poi in una scheda allegata al dossier, dedicata al paese africano. Dove, ricorda Amnesty, non esiste "una procedura d’asilo" e non viene offerta "protezione a migranti e rifugiati". Pertanto "considerato l’effettivo controllo che l’Italia ha potuto esercitare, seppur in zona extraterritoriale sulle persone soccorse l’Italia sarà ritenuta responsabile di quanto accadrà ai migranti e ai richiedenti asilo riportati in Libia". Le preoccupazioni di Amnesty sono del resto supportate dai dati che arrivano dal paese guidato dal colonnello Gheddafi, peraltro atteso a giorni a Roma per una visita che già in molti contestano. Secondo lo stesso rapporto, in Libia si praticano "tortura e altri maltrattamenti nei confronti di migranti, rifugiati e richiedenti asilo in stato di detenzione", mentre "a questi ultimi non è stata data protezione, come richiesto dal diritto internazionale sui migranti". Sempre nella sezione dedicata al Paese amico dell’Italia si legge che "il 15 gennaio le autorità hanno annunciato l’intenzione di espellere tutti i migranti illegali e hanno conseguentemente condotto espulsioni di massa di ghanesi, maliani, nigeriani e cittadini di altri Paesi". Inoltre "700 eritrei, uomini, donne e bambini che sono stati detenuti, sono ora a rischio di rimpatrio forzato malgrado i timori che li avrebbero visti esposti a gravi violazioni dei diritti umani in Eritrea". Netta infine la condanna di Weise anche della norma che "fa distinzione fra i reati commessi da italiani o da immigrati irregolari" e che s’inserisce in un trend di "criminalizzazione dei gruppi minoritari, elemento tipico di ogni campagna elettorale". Weise non tralascia di contestare il governo per la vicenda della nave cargo Pinar dell’aprile scorso quando "sia le istituzioni italiane che maltesi hanno disatteso - ha denunciato - una delle regole nota a tutta la gente di mare: salvare vite umane è un imperativo assoluto e deve avere priorità su tutto". Immigrazione: campagna "Io non respingo", di Fortress Europe di Gabriele Del Grande
Redattore Sociale - Dire, 28 maggio 2009
Il leader libico Muammar Gheddafi visiterà l’Italia dal 10 al 12 giugno. Una tappa storica, che segna il riallineamento di Roma e Tripoli. Gheddafi parlerà di affari, ma anche e soprattutto di immigrazione, e di respingimenti in mare. Chi conosce quale destino attende gli emigranti e i rifugiati respinti al largo di Lampedusa e imprigionati nelle carceri libiche, non può rimanere indifferente e complice. Per questo invitiamo tutti a manifestare il proprio dissenso, per non rimanere indifferenti, e per essere migliori di chi ci rappresenta. Siamo tanti. Siamo molti di più di quanto possiate immaginare. Siamo decine di migliaia di persone. Siamo una rete i cui nodi non si conoscono ancora, ma che in due anni ha sostenuto più di 350 iniziative e eventi in tutta Italia, quali la presentazione del libro Mamadou va a morire (Fortress Europe), il film documentario Come un uomo sulla terra di Asinitas e Zalab, la commemorazione civile dei morti in mare alla Scuola di Italiano di Asinitas, l’esposizione dei manifesti Luoghi Comuni nella rete di trasporti a Milano e tra breve a Roma, gli incontri formativi e di condivisione di iniziative da Torino a Trieste, da Milano a Napoli, da Trento a Palermo. Grazie a voi, sono state raccolte 7.000 firme in pochi mesi per chiedere una commissione parlamentare d’inchiesta sulle condizioni dei migranti in Libia. Grazie a voi, negli ultimi 20 giorni più di 30.000 persone hanno scaricato da Fortress Europe i reportage sulla Libia. Ma informarsi non basta. È arrivato il momento di fare di più. Vi chiediamo di organizzare un evento nel periodo compreso tra il 10 giugno, data di arrivo di Gheddafi in Italia, e il 20 giugno, giornata mondiale del rifugiato. Scendete nelle strade, davanti alle Prefetture, raccogliete firme per la nostra petizione, distribuite il kit informativo che trovate sui nostri siti, organizzate proiezioni del documentario e dibattiti, coinvolgete gli emigrati e i rifugiati del vostro territorio. Per essere visibili, abbiamo bisogno di decine di iniziative, in tutta Italia, accomunate da un unico slogan: Io non respingo. Penseremo noi a fare da ufficio stampa nazionale, voi comunicateci le adesioni e spediteci foto e video. Fare una grossa manifestazione a Roma è difficile. Farne cento in tutta Italia è più facile e può avere maggiore visibilità. Il governo italiano e quello libico devono sapere che esiste una massa critica, consapevole di quanto accade nei campi libici, che manifesta il proprio dissenso e chiede il rispetto del diritto internazionale, come già hanno fatto le Nazioni Unite, il Consiglio d’Europa, il Tavolo Asilo, la Cei. Droghe: sulla "riduzione del danno" una trappola del governo di Giuseppe Vaccari
Il Manifesto, 28 maggio 2009
L’attacco alla riduzione del danno sferrato dallo "zar" Carlo Giovanardi rischia di far tornare indietro la politica delle droghe di almeno dieci anni. Bisogna infatti risalire alla legge n. 45 del 18 febbraio 1999 sul Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga: allora, dopo accesa discussione parlamentare, per la prima volta la riduzione del danno entrò a pieno titolo nella legislazione italiana, prevedendo la diffusione e il finanziamento sul territorio di servizi sociali e sanitari di primo intervento, come le unità di strada per lo scambio siringhe e i programmi di bassa soglia. Si realizzava finalmente il pieno riconoscimento delle tante esperienze maturate dalla metà degli anni 80, sia per arginare il crescente numero di morti per overdose, sia per combattere l’emergenza Aids. La Riduzione del Danno usciva dalla disputa ideologica per diventare un importante intervento di sanità pubblica. La salute delle persone prima di tutto, senza pregiudiziali moralistiche (ti curo solo se smetti di usare sostanze) La sconfitta di una sadica teoria: per aiutare una persona ad uscire dalla droga bisogna fargli "toccare il fondo"! Quel "fondo" che purtroppo per molti ha significato la morte. Certo, non fu un percorso lineare, vuoi per il persistere delle ideologie, vuoi per il condizionamento esercitato sull’Agenzia antidroga Onu dagli Usa, da sempre contrari alla riduzione del danno, vuoi per la "lentezza" di diverse regioni a farla entrare a pieno titolo nelle politiche sanitarie. Nel 2000 furono elaborate le prime Linee Guida in materia, approvate dai ministri Turco e Veronesi, che purtroppo non fecero in tempo a diventare atto ufficiale della conferenza Stato-Regioni prima del cambio di governo del 2001. Nei successivi cinque anni di governo Berlusconi, Giovanardi, subentrato a Fini nella delega alle tossicodipendenze, si limitò a mettere la sordina a tutte le iniziative di riduzione del danno, preso com’era a far passare una legge di pesante criminalizzazione di chi consuma droghe. Con il nuovo incarico di governo e sfruttando l’appuntamento della Conferenza Nazionale, ha lanciato un attacco diretto alla riduzione del Danno cassandola dai temi oggetto di verifica e di rilancio nelle politiche nazionali. Quella di Trieste è stata indubbiamente la conferenza più penosa tra quelle celebrate dopo il 1990 (a parte la "non conferenza" di Palermo del 2005 voluta sempre da Giovanardi a dispetto di tutti, per ottenere un avallo formale alle sue proposte di modifica legislativa che nemmeno i pochi amici intimi presenti legittimarono): in un vuoto assoluto di idee e di proposte, è mancata una valutazione della legge Fini-Giovanardi e del suo fallimento. Per tener buone le organizzazioni e gli operatori che hanno egregiamente operato in questi anni, Giovanardi si è dotato di una vistosa "foglia di fico" ricostituendo un dipartimento antidroga privo di ogni potere effettivo e senza risorse economiche; e mettendo a capo del dipartimento Giovanni Serpelloni, abile nel sollevare cortine fumogene sui problemi reali e nell’aizzare il mondo delle comunità terapeutiche e dei professionisti contro le Regioni. Prima della conferenza di Trieste, Serpelloni aveva ricevuto dal sottoscritto un corposo aggiornamento delle Linee Guida sulla riduzione del danno, prodotte dal gruppo di lavoro insediato nel 2007 dal Ministro della Salute: materiale che teneva conto dell’inserimento della riduzione del danno fra i "quattro pilastri" fondanti della politica delle droghe, come sancito dalla Ue. A Trieste non se n’è fatto minimamente cenno, ma è proseguito il gioco delle parti: Giovanardi liquida le politiche di seria tutela della salute dei tossicodipendenti, mentre Serpelloni avvia un "gruppo di consultazione" sul tema della "prevenzione delle patologie correlate all’uso di sostanze stupefacenti", spacciandolo per un gruppo sulla riduzione del danno (ben sapendo che nel governo nessuno la vuole). Preoccupa che tanti stimati professionisti stiano cadendo nella trappola di essere "usati" per avvallare proposte ambigue che prefigurano un inscindibile legame tra riduzione del danno e drug-free: ripiombando in una visione moralistica che si pensava di avere ormai alle spalle grazie all’affermazione del "diritto alla salute" anche per chi consuma sostanze stupefacenti.
* Membro della Consulta Sanità del PD, già Consigliere del Ministero della Salute per le Dipendenze Patologiche Droghe: Milano; poliziotti-spacciatori, chieste pene fino 15 anni
Ansa, 28 maggio 2009
Il pm Lucilla Tontodonati ha chiesto condanne fino a 15 anni di reclusione, nel processo milanese a carico di quindici ex agenti del servizio Volanti e del servizio Scorte della Questura di Milano e di un’altra persona. Sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere, corruzione, peculato, falso in atto pubblico, perquisizioni illegittime, furti, lesioni e rapina aggravata. Gli imputati (alcuni sono stati sospesi dal servizio, mentre altri sono stati trasferiti in altre sedi) avrebbero, secondo l’accusa, messo in atto perquisizioni illegittime a partire dal febbraio del 2002 e fino al gennaio del 2006. Gli agenti si sarebbero appropriati di merce sequestrata, che poi non veniva denunciata nei verbali e di cui veniva trattenuta una parte. Allo stesso tempo, sempre secondo l’accusa, alcuni agenti, grazie alle soffiate di alcuni spacciatori, avrebbero operato sequestri di droga che non venivano messi a verbale. Il tutto, per l’accusa, con un sistema di coperture reciproche. Davanti al collegio della decima sezione penale, presieduto da Nicoletta Gandus, il pm ha chiesto la condanna più alta (15 anni) per Paolo C., ritenuto il promotore dell’associazione. Dodici anni, invece, sono stati chiesti per Vincenzo C. e 10 anni per Giancarlo C. Per gli altri imputati sono state chieste pene da un anno e 3 mesi di reclusione fino a 7 anni e 10 mesi. Nel maggio 2007, quattro ex agenti erano stati condannati con rito abbreviato a pene fino a 11 anni e 2 mesi di reclusione. Le prossime udienze sono state fissate per l’11 e il 15 giugno e per il 10 luglio, data in cui potrebbe arrivare la sentenza. Francia: detenuto-cannibale, messo in isolamento psichiatrico
Ansa, 28 maggio 2009
Forse Hannibal Lecter avrebbe gradito il pranzo del detenuto francese, Nicolas Cocaign, detenuto nel carcere di Rouen. Il 37enne prigioniero, in galera per stupro, ora rischia, a causa di un insolito menù, di restare tutta la sua vita dietro le sbarre ed in isolamento. Alla base del suo piatto c’era il suo compagno di cella, gli ha squartato il petto, dopo di che ha preso uno dei suoi polmoni, lo ha cucinato con cipolle, olio d’oliva, sale, pepe e lo ha mangiato. L’agghiacciante storia ha convinto le autorità a trasferire Cocaign, nel reparto psichiatrico criminale del carcere, e ora l’uomo dovrà comparire davanti al tribunale di Parigi, per rispondere all’accusa di omicidio e cannibalismo: l’Hannibal francese rischia l’ergastolo. Nel frattempo i criminologi già stanno provvedendo ad inserirlo negli elenchi dei più cruenti e efferati killer della storia. Usa: soldi ai paesi europei che accolgono detenuti Guantanano
Ansa, 28 maggio 2009
Gli Usa si impegnano a dare compensazioni ai paesi europei che saranno disponibili ad accogliere ex detenuti del carcere di Guantanamo: è questo uno dei punti in discussione tra Ue e Stati Uniti che dovrebbe portare ad una dichiarazione congiunta sulla prigione speciale che Barack Obama intende chiudere entro il gennaio del 2010. Oggi la questione è stata affrontata dal Coreper, il Comitato tra i 27 ambasciatori presso la Ue. "È stata una discussione preliminare", riferiscono fonti europee, "in vista del consiglio giustizia e interni del 4-5 giugno, che dovrebbe definire il quadro comune europeo per l"accoglienza degli ex detenuti, e di quello esteri del 15 giugno, che è la sede per una decisione sulla dichiarazione congiunta con gli Usa". La road map per definire l"impegno della Ue nella chiusura di Guantanamo procede in modo parallelo su due binari, spiegano le fonti. Il primo riguarda la necessità di un quadro comune tra i 27 che impegna i paesi che accetteranno di accogliere ex detenuti ad uno scambio di informazione, sia preventivo che successivo, con i partner. La questione sarà al centro del confronto tra i ministri della giustizia della Ue. Ci sono ancora problemi da superare, in particolare con l’Austria e la Germania. Vienna, in particolare, vorrebbe esplicitare nel quadro comune l"impossibilità per gli ex detenuti accolti di muoversi liberamente nell’area Schengen. Ma considerato che gli ex prigionieri che saranno accolti in Europa saranno solo persone riconosciute innocenti dalla giustizia, se si mettesse nero su bianco un impedimento alla loro libera circolazione - rilevano le fonti - si commetterebbe una violazione dei loro diritti. Il secondo aspetto in discussione - oggetto di una video conferenza oggi con la controparte Usa - riguarda i contenuti della dichiarazione congiunta, nella quale, oltre a precisare che i detenuti inviati in Europa non devono avere rilievi penali, si dovrebbe chiarire che la responsabilità della chiusura di Guantanamo è soprattutto degli Usa e che gli Usa agiranno nel pieno rispetto delle convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo. Due i punti della bozza di dichiarazione che devono ancora essere chiariti con gli americani: il tipo di compensazioni che saranno date ai paesi cooperanti; l’impegno degli Usa ad accettare detenuti. La questione sarà oggetto di discussione del consiglio esteri del 15 giugno prossimo, ma non è certo che il documento sarà finalizzato in quella data. Alcuni paesi, tra cui Olanda, Belgio, Grecia e, soprattutto, Germania chiedono ai partner prudenza. Altri, tra cui Italia, Francia, Spagna e Gran Bretagna, insistono invece per tempi brevi. La dichiarazione congiunta è stata chiesta - precisano le fonti - dagli Usa durante la visita a Washington del commissario Ue alla giustizia Jaques Barrot nel marzo scorso.
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