Rassegna stampa 27 maggio

 

Giustizia: domani il G8, dominato dalla "ossessione sicurezza"

di Mauro Palma*

 

L’Altro, 27 maggio 2009

 

Domani, a Roma, si riuniranno i Ministri della Giustizia e degli Interni dei Paesi del G8. Come un vero governo mondiale (altro che Nazioni unite e organismi di diritto internazionale!), il gruppo delle nazioni più sviluppate non discute più della ragione che li tiene insieme (il loro essere potenze economiche e gli interessi che li dividono o li contrappongono al resto del mondo), ma di ogni e qualsiasi argomento possano avere l’ambizione di regolare in quanto sedicenti "grandi".

Nonostante i magri risultati dell’ultimo decennio (da Seattle in poi); nonostante nei tornanti decisivi della crisi finanziaria internazionale siano stati costretti ad allungare il tavolo fino a trovare il posto per tutte le grandi economie emergenti; nonostante l’associazione di questi appuntamenti a forme violente di repressione del dissenso, fino all’abominio italiano di Genova, della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto, il marchio evidentemente tira ancora, almeno nella visione provinciale dell’ospite di turno, che ne approfitta per guadagnarci un po’ di propaganda a uso interno.

E così Berlusconi prima imbambola gli imprenditori sardi della Maddalena, fantasticando loro dell’arrivo dei grandi della terra e poi trasferisce tutta la baracca tra le tende dei terremotati abruzzesi. E poi a ognuno il suo pezzettino: a chi il G8 dell’agricoltura, a chi quello del turismo; qualcuno addirittura abusa del marchio, come i rettori di Torino, e combina un gran casino. E finalmente arriva anche il G8 della giustizia e degli interni. Poteva mancare, in un Paese governato sotto l’effetto di una continua stimolazione all’insicurezza personale e collettiva?

Naturalmente no, e sennò che gli raccontavano i nostri agli altri? Della immondizia napoletana? O dell’italianità della compagnia di bandiera? La politica italiana questa è, e questa si sorbiranno i carissimi ospiti. Due decreti, un disegno di legge, qualche altro pezzo qua e là vagante: la sicurezza è l’ossessione (collettiva) del nostro Governo e dunque la propaganda del G8 non può far mancare i suoi riflettori su questo pezzo di mondo, senza timore di sfidare il ridicolo, come nel caso della penultima sessione del meeting romano, che sarà dedicato (udite, udite) alla "sicurezza urbana": "problema affrontato per la prima volta dal G8 in considerazione della crescente sensibilità internazionale verso le tematiche del rapporto tra dimensione urbana, sicurezza e qualità della vita dei cittadini", recitano le veline di regime. Al contrario, come è noto, la verità è che al governo in Italia c’è un movimento politico che ha fatto dell’uso politico della paura il proprio principale serbatoio elettorale in gran parte dell’Italia del Nord, e il G8 deve servire anche a loro, per farsi la loro quota di propaganda.

Non sono invece irrilevanti i temi delle altre sessioni, su cui il concerto internazionale serve più delle improvvide iniziative locali: lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata e politiche migratorie. Il problema è sempre che gli andranno a dire i nostri agli altri: che i flussi migratori si fermano con i respingimenti in mare? In violazione del principio di non refou-lement e dell’obbligo di prestare asilo ai rifugiati?

Pur tra mille difficoltà, Obama sta cambiando la politica Usa nella lotta al terrorismo internazionale: sta cercando di riportarla sui binari dello stato di diritto, dopo l’ubriacatura ideologica e repressiva dell’Amministrazione Bush. Intanto, in non pochi Stati dell’Unione si stanno mettendo in discussione i fondamenti e le principali aberrazioni delle politiche di sicurezza che hanno dominato gli Usa negli ultimi trent’anni. E Maroni che farà, gli andrà a raccontare che i diritti umani si fermano sulla cresta di un’onda nel mezzo del Mediterraneo?

E Alfano proverà a spiegare al suo collega americano la vecchia storia degli atti di inciviltà urbana che preludono al crimine? Come se non fosse proprio quello l’incubo da cui gli Usa cercano di uscire? La verità è che la politica della sicurezza in Italia, tutta scaricata contro gli stranieri e gli irregolari, è fuori dal mondo tanto quanto offende i diritti umani e le convenzioni internazionali.

La mobilitazione dell’associazionismo e del mondo cattolico, l’attenzione severa del Presidente della Repubblica agli episodi di razzismo e alle loro "giustificazioni" istituzionali hanno finalmente schierato l’Italia civile e democratica contro la politica del Governo sulla sicurezza. La prossima scadenza elettorale europea può aiutarci a contestare in sede sopranazionale la politica di chiusura e repressione indiscriminata che il Governo sta portando avanti in Italia. Anche per questo è importante tenere alta la mobilitazione in questi giorni e non mancare l’appuntamento con le urne.

 

* Presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura - candidato nelle liste di Sinistra e Libertà nella Circoscrizione Centro.

Giustizia: Csm; "no" alle funzioni diverse da quelle giudiziarie

di Emilio Gioventù

 

Italia Oggi, 27 maggio 2009

 

I magistrati facciano i magistrati e non vadano a occupare poltrone al di fuori di palazzi di giustizia e procure. È l’invito del Csm al ministro della Giustizia, Angelino Alfano.

Quello che lanciano a palazzo dei Marescialli è un vero e proprio allarme. Allarme procure. Non c’è copertura. Tanto per essere chiari: non ci sono volontari, ovvero magistrati che facciano un passo avanti per coprire posti vacanti.

Si pensava che fosse un problema che riguardasse soltanto le cosiddette sedi disagiate, ovvero gli uffici di procura delle regioni del Sud Italia martoriate da gravi fenomeni criminali. Si credeva in un primo momento che la causa fossero i limiti imposti dalla riforma dell’ordinamento giudiziario al passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente, la distinzione ovvero tra giudice e pubblico ministero.

In pratica, mancano pm e la carenza si estende con un effetto domino anche ad altre sedi dove addirittura si toccano picchi di vuoti integrali degli organici. Una situazione che ieri ha spinto la terza commissione del Csm a una seduta straordinaria al termine della quale si è cercato di mettere in piedi un ricettario delle soluzioni possibili per quella che oramai è una vera e propria emergenza, quella dei posti vacanti.

In questa sede, l’organo di autogoverno della magistratura "reputa quanto mai opportuna una nuova e più meditata riflessione sul tirocinio dei nuovi magistrati e sulle procedure di assegnazione della prima sede". In questa direzione, che punta anche a disegnare una nuova geografia della giustizia in Italia, il Csm ipotizza "un’assegnazione provvisoria al termine del tirocinio per un periodo non superiore ai due anni, a uffici giudicanti, al termine del quale avverrebbe l’assegnazione definitiva della prima sede che potrà essere, secondo le esigenze di copertura degli organici, indifferentemente giudicante o requirente".

Non soltanto. Il Csm sottolinea anche "l’assoluta necessità di procedere quanto prima a una revisione delle circoscrizioni giudiziarie" così da "prevedere a una diversa e più moderna distribuzione delle forze lavoro che tenga conto della effettiva domanda di giustizia proveniente dal territorio". Questa ricetta consentirebbe di "sfruttare al meglio la specializzazione dei singoli giudici e dei pm evitando che siano chiamati a occuparsi, con inutile dispendio di energie, delle questioni più disparate".

Strategia che comporta però "la necessità di sopprimere gli uffici giudiziari più piccoli, quelli con meno di 10 unità, con conseguente accorpamento agli uffici di maggiori dimensioni posti nei capoluoghi di provincia". Ma la proposta rivoluzionaria che arriva da palazzo dei Marescialli per fronteggiare i vuoti di organico che rischiano di paralizzare l’attività inquirente in diversi uffici giudiziari, "è una riflessione sulla destinazione dei magistrati a funzioni diverse da quelle giudiziarie".

Insomma, i magistrati devono fare indagini ed emettere sentenze. E basta, perché "pur riconoscendo l’importante apporto che la magistratura fornisce, con il collocamento fuori ruolo dei magistrati, al funzionamento di fondamentali apparati dello stato, oggi si deve considerare prioritaria la necessità di garantire la copertura degli uffici requirenti (quelli dei pm, ndr) e in particolare di quelli più impegnati nel contrasto alla criminalità organizzata".

Alla luce di questo scenario apocalittico, il Csm, pur prendendo atto dell’introduzione di un limite numerico di magistrati che possono essere collocati fuori ruolo, invita il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, "a limitare, alla luce della denunciata situazione di vuoto degli organici, le richieste di destinazione di magistrati a funzioni diverse da quelle giudiziarie".

Giustizia: Csm estratto a sorte per controllare la magistratura

di Bruno Tinti

 

La Stampa, 27 maggio 2009

 

I magistrati che compongono il Consiglio superiore della magistratura saranno estratti a sorte. Lo propone il sottosegretario Caliendo: si debbono sorteggiare 100 magistrati; tra questi se ne eleggeranno 16. Così s’impedirà alle correnti di impadronirsi del Csm. Si tratta dell’ennesimo tentativo di controllare i giudici? O è una proposta seria? Dice la Costituzione (art. 105) che al Csm competono assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari.

Perché i magistrati sono (art. 104) autonomi e indipendenti "da ogni altro potere"; e, per garantire questa indipendenza, essi sono inamovibili (art. 107): solo il Csm può rimuoverli, sospenderli, trasferirli (per ragioni disciplinari o di carriera). E siccome il Csm è composto per due terzi da magistrati, l’altro terzo è di nomina politica, l’indipendenza della magistratura è stata assicurata.

C’è un problema: il sindacato dei giudici (Anm) è diviso in "correnti". Sono 4: Magistratura Democratica, Magistratura Indipendente, Movimento, Unità per la Costituzione. Associazioni nate per affinità culturali, per la verità più apparenti che reali: tutte concordi sulla necessità di difendere l’autonomia e l’indipendenza dei giudici, spesso in polemica su questioni marginali.

Il loro sostanziale accordo è provato dal fatto che, nelle periodiche elezioni per gli organi direttivi dell’Anm, ogni corrente fa propaganda per sé, in polemica con le altre. Poi però si mettono d’accordo per mandarci componenti in numero eguale per ognuna. Un po’ come se Berlusconi, vinte le elezioni, chiamasse al governo ministri provenienti da ogni partito e in numero paritario.

C’è di peggio: ogni 4 o 5 anni ci sono le elezioni del Csm e riparte la lotta fra le correnti: ognuna forma proprie liste con un numero di candidati pari ai posti disponibili. L’esito dipende dalla forza delle correnti: quella che conta più aderenti riesce a farne eleggere 6 o 7, le altre si spartiscono i residui 9, 10 posti. Un giudice che non appartiene a nessuna corrente si scorda di essere eletto: anche se tutti quelli che lavorano con lui e lo stimano (in un grande Tribunale, 200 o 300 persone) volessero votarlo, la più piccola delle correnti riuscirebbe sempre a totalizzare, per il suo candidato, un numero di voti superiore.

I magistrati che vanno al Csm appartengono tutti a qualche corrente. Ma non basta: come scelgono, le correnti, i magistrati da mandare al Csm? In genere ci vanno il segretario regionale, quello nazionale, quello che ha fatto parte della Giunta, quello che si è dato da fare nelle precedenti elezioni, insomma gli attivisti, quelli che contano nella corrente o gli amici di quelli che contano. Non ci sono elezioni primarie, non ci sono consultazioni (se non formali): è una designazione. Proprio come in Parlamento. Quali le conseguenze di questo sistema? Due, drammatiche per la credibilità della magistratura. La prima: si creano carriere privilegiate.

I "correntisti" passano da un incarico all’altro: incarichi di vertice nell’Anm, Csm, organismi internazionali, alla peggio posti in sedi comode e ambite. La seconda: a ogni nomina di capi di ufficio le correnti si scatenano. Far nominare il proprio aderente è imperativo: si tratta di dimostrare la propria forza in modo da indurre tanti altri magistrati ad arruolarsi. Si crea così un circolo perverso: i magistrati aderiscono alla corrente sperando in un appoggio nei momenti chiave della loro carriera (anche in quelli disciplinari); ed essa si fortifica quanto più dimostra di appoggiarli con successo.

Così, quasi sempre, l’effettiva capacità professionale dei magistrati è valutata certamente quando nessun aspirante è "correntizio"; o quando il "correntizio" è di capacità professionale indiscussa. Negli altri casi la logica "correntizia" in genere prevale. La prova sta negli annullamenti delle decisioni del Csm fatti dal Tar. Perché è ovvio che nomine fondate su logiche "correntizie" difficilmente possono rispettare i criteri imposti dalla legge; e il Tar ha detto che in alcuni casi il Csm ha violato la legge. Adesso il sorteggio. Non è il massimo, ci sono anche profili costituzionali da salvaguardare (i magistrati del Csm vanno "eletti").

Però si deve pur arginare la deriva provocata dalle correnti, spezzare questo vincolo perverso che orienta le decisioni del Csm in modo clientelare. E poi il sorteggio non è così irragionevole come i "correntizi" lo dipingono. Ogni giudice, ogni giorno, prende decisioni importanti, spesso vitali: infligge ergastoli, affida i bambini a questo o a quel coniuge, stabilisce se un’azienda deve o non deve fallire. E vi sembra che quello stesso giudice, se sorteggiato per il Csm, non possa decidere chi deve fare il presidente del Tribunale di Roncofritto o il procuratore della Repubblica di Poggio Belsito?

Giustizia: Maroni; dopo il ddl sicurezza faremo riforma di vigili

di Stefano Manzelli

 

Italia Oggi, 27 maggio 2009

 

Con la definizione del pacchetto sicurezza diventa prioritario riformare l’ordinamento dei vigili urbani e poi dell’intero comparto nazionale della polizia. E tra le novità in arrivo per il codice stradale si sta pensando anche ad una limitazione dei poteri dei giudici di pace che troppo spesso rendono vano il lavoro degli operatori di vigilanza.

Sono parole molto decise quelle pronunciate ieri dal ministro dell’interno Maroni e dal presidente della Commissione trasporti della camera Valducci in occasione del forum internazionale delle polizie locali che si chiude oggi a Riva del Garda, il presidente dell’Aci, Enrico Gelpi, ha innanzitutto evidenziato le necessità di potenziare le dotazioni operative stradali dei vigili urbani per il contrasto della guida alterata da alcol e droga.

Hanno poi preso la parola i rappresentanti dei vigili evidenziando la cronica mancanza di una identità chiara della polizia municipale che viene lasciata allo sbando da almeno 15 anni. Dopo la relazione del rappresentante dell’Anci, Aldo Zanetti, che ha evidenziato i punti qualificanti della riforma condivisa dall’associazione dei comuni, ha preso la parola il relatore della legge di riforma al senato, Maurizio Saia, che ha ricordato l’iter della legge, finalmente agevolata nel suo percorso normativo. Prima del ministro ha preso la parola il presidente della commissione trasporti della camera, Mario Valducci, evidenziando le novità in arrivo per il codice stradale che proprio in queste ore dovrebbero accelerare per essere approvate definitivamente prima dell’estate.

Tra la innovazioni annunciate anche una imminente limitazione dei poteri dei giudici di pace che spesso si contrappongono troppo drasticamente agli operatori di polizia rendendo vana l’attività di vigilanza. È toccato poi al ministro Roberto Maroni tirare le fila delle numerose questioni sul tappeto riferendosi innanzitutto al modello di sicurezza integrata che meglio si addice alla complessità nazionale. Secondo il ministro il modello vincente è quello che coniuga meglio polizia di stato, locale e anche cittadini. Sul tema delle ronde Maroni è stato molto chiaro.

Esistono da tanti anni sotto diversa fisionomia e natura per cui è stato un preciso dovere del governo regolarne il funzionamento per una più corretta gestione della loro operatività. Ed è proprio questo nuovo intervento sulla sicurezza la risposta del Viminale alle questioni più urgenti. Ora sarà la volta della riforma della polizia locale. "Garantisco il sostegno del governo alle proposte perché sono coerenti con il modello di sicurezza che abbiamo definito", ha promesso Maroni. "Senza la riforma dei vigili avremmo un modello zoppo e non efficace".

Giustizia: Pannella; nelle carceri detenuti e agenti al massacro

 

Ansa, 27 maggio 2009

 

"Se volete conoscere un paese visitate le sue carceri: lo diceva Voltaire, lo dice anche un abruzzese": Marco Pannella, tra gli ospiti di Ballarò, ha affrontato nel corso della trasmissione, un tema caldo a lui caro, quello delle condizioni delle carceri e di chi ci si trova.

E ha lanciato un appello: "Fate una inchiesta sulle carceri, troverete un mondo splendido e tremendo in quella comunità penitenziaria dove detenuti e agenti stanno andando al massacro", ha detto il leader radicale che ha citato, tra gli altri, il caso di Trieste dove "si devono anche compilare i registri dei materassi che si devono mettere negli scantinati".

 

Osapp: sciopero sete pannella è in nostro sostegno

 

"Marco Pannella riprende lo sciopero della sete a favore del personale della Polizia penitenziaria e di tutto il personale dell’Amministrazione carceraria". È quanto rende noto, in un comunicato, Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, l’Organizzazione sindacale autonoma della Polizia penitenziaria.

"Come tutti hanno avuto modo di vedere nei giorni scorsi - continua l’Osapp - Marco Pannella è in condizioni stremate, che non gli consentono di andare ancora oltre con alcuna forma di protesta, ma che, al tempo stesso, esprimono perfettamente quale è la situazione che sta patendo tutto il mondo che si raccoglie attorno all’istituzione del carcere".

"Un’iniziativa estrema - ritiene l’Osapp - che insieme a tutte le altre e che di comune accordo con le maggiori organizzazioni sindacali stiamo mettendo in atto su tutto il territorio nazionale". Per Beneduci, "come forza rappresentativa ed autorevole raccomandiamo la massima cautela e testimoniamo vicinanza ad un superesponente politico, che come da anni avviene e sin dalla Riforma penitenziaria, è il solo ad esprimere l’unica voce politica a tutela di un Corpo agenti da sempre dimenticato. Quando invece - conclude Beneduci - e chissà perché, le altre forze di partito si ricordano di noi solo durante le campagne elettorali".

Giustizia: Radicali; piano carceri farneticante, serve un indulto

 

Adnkronos, 27 maggio 2009

 

"Non c’è più il tempo di farneticare su un ipotetico piano carceri, la politica rifletta su un nuovo provvedimento di indulto. Non è possibile, a fronte di una situazione nuovamente e ulteriormente esplosiva, a fronte delle migliaia di richieste che ogni giorno provengono dalle carceri, da parte del personale, dei direttori, delle persone detenute che hanno oramai superato la soglia di 63.000 presenze su una capienza regolamentare massima di 43.000 posti, continuare a non affrontare come vera e propria ennesima emergenza lo stato delle carceri italiane". Lo sottolinea Irene Testa, Segretario dell’Associazione Radicale "Il Detenuto Ignoto".

"La politica ha fallito nuovamente perché non è stata capace, dopo l’indulto di tre anni fa, di disporre le riforme necessarie a far sì che le carceri non si tornassero ad affollare e rientrassero nella legalità costituzionale. Ora - prosegue - ci si trova di fronte a una situazione di delirio istituzionale che non trova strumenti per arginare il crimine sempre più irresponsabile che si consuma da parte dello Stato nei confronti dei cittadini detenuti".

A giudizio di Irene Testa "è assolutamente necessario ormai ricorrere nuovamente ad un provvedimento straordinario e d’eccezione come l’indulto, assolutamente previsto dalla legge e fin troppo e a torto demonizzato, che mai come oggi sarebbe nuovamente espressione di buon governo".

Giustizia: Sidipe; coraggio civile per vedere l'agonia delle carceri

 

Adnkronos, 27 maggio 2009

 

Lo stato di agitazione dei direttori e dirigenti penitenziari "rappresenta l’ennesimo responsabile tentativo di svegliare l’attenzione di tutte le forze politiche sul dramma che vive il sistema penitenziario italiano".

Lo afferma Enrico Sbriglia, segretario nazionale del sindacato dei direttori e dirigenti penitenziari (Sidipe) che sottolinea come la "condizione agonica del nostro sistema è sotto gli occhi di quanti abbiano il coraggio civile di vedere. Siamo al collasso". Sbriglia critica l’immobilismo del Governo e spiega come "a distanza di quattro anni dalla legge di riforma, la quale avrebbe dovuto mettere ordine alla carriera dei dirigenti penitenziari, nulla è stato fatto".

Ciò per il leader sindacale "sortisce l’effetto di accelerare lo stato di pericolosa precarietà del sistema penitenziario il quale, alle criticità stratificatesi negli ultimi anni, ora aggiunge pure quella di non potere neanche fare riferimento ad un sistema di regole certe che riguardando i direttori penitenziari responsabili degli istituti carcerari, degli uffici dell’esecuzione penale esterna e di quelli in servizio presso le scuole di formazione del personale penitenziario".

Giustizia: Cipe; medicina penitenziaria, ripartizione fondo 2008 

 

Ansa, 27 maggio 2009

 

Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la delibera del Cipe relativa alla ripartizione del Fondo sanitario 2008 destinato al finanziamento della sanità penitenziaria. Le risorse finanziarie trasferite nelle disponibilità del Servizio sanitario nazionale - a cui è stata trasferita la responsabilità della medicina penitenziaria precedentemente competenza del ministero della Giustizia - sono quantificate complessivamente in 157,8 milioni di euro per l’anno 2008, in 162,8 milioni di euro per l"anno 2009 e in 167,8 milioni di euro a decorrere dall’anno 2010.

I 157,8 milioni di euro per l’anno 2008 sono destinati nel seguente modo: 32.323.602 euro sono ripartiti tra le Regioni a statuto ordinario per il finanziamento delle spese sostenute dalle Aziende sanitarie locali nel periodo 1° ottobre-31 dicembre 2008; 125.476.398 euro costituiscono il finanziamento delle spese sostenute dal Ministero della Giustizia dal 1° gennaio al 30 settembre 2008. Di tale importo una quota di 0,333 milioni di euro resta accantonata a favore delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome tenuto conto che le medesime non hanno ancora adottato i regolamenti di attuazione in applicazione di quanto previsto dall’art. 8 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1° aprile 2008 riguardante il trasferimento alle Regioni a statuto speciale e alle province autonome. (Vedi la delibera del Cipe - pdf)

Sardegna: bambini reclusi con le madri, un problema irrisolto

 

Agi, 27 maggio 2009

 

"Non è stato ancora risolto in Sardegna, nonostante le dichiarazioni di principio del ministro Angelino Alfano, il problema dei minori di 3 anni negli istituti di pena. Attualmente un bimbo di 8 mesi si trova con la madre nel carcere di Buoncammino. Una bambina di 7 mesi invece è reclusa con la giovane mamma, nell’istituto di San Sebastiano di Sassari. È impensabile che due creature innocenti, debbano subire la detenzione in carceri peraltro sovraffollate e strutturalmente inadeguate". Lo denuncia l’ex consigliera regionale socialista Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme".

"In Italia, e la Sardegna purtroppo ancora non fa eccezione, sembra prevalere il principio - ha sottolineato Caligaris - che la permanenza in carcere per i bambini così piccoli sia indifferente e quindi non lasci tracce nel loro vissuto. Le oggettive condizioni in cui versano gli istituti di detenzione sardi di impianto ottocentesco non sono compatibili con la presenza di molti adulti, figuriamoci di neonati e bambini fino ai tre anni. Lo Stato non può continuare a ignorare che esistono situazioni privilegiate anche tra i più piccoli innocenti detenuti per cui una donna con un minore arrestata a Milano può accedere a una struttura protetta mentre ciò non accade nella nostra isola".

Venezia: carcere è inadeguato, un nuovo istituto in terraferma

 

La Nuova di Venezia, 27 maggio 2009

 

"Sarà necessario realizzare un nuovo carcere con l’aumento di 500 posti. Lo faremo in terraferma". Lo dice il presidente del Consiglio comunale Renato Boraso dopo il sopralluogo di ieri a Santa Maria Maggiore. A mezzogiorno Boraso ha varcato i pesanti portoni di ferro e ha incontrato la direttrice Gabriella Straffi. Tra i due un lungo colloquio e numerosi argomenti sviscerati. "Innanzitutto mi è stata evidenziata una carenza di posti letto - spiega Boraso - nonostante a fine anno potranno essere sistemati 40 detenuti con maggiore comodità di tutti grazie alla ristrutturazione di un nuovo reparto".

Boraso aggiunge: "Si è arrivati a valutare la necessità di realizzare un nuovo carcere considerando che la ristrutturazione del carcere femminile della Giudecca ha costi insostenibili. Si parla di 22 milioni di euro". Il presidente del consiglio comunale segnala inoltre la carenza di polizia penitenziaria. Ben 25 persone risultano dislocate in altre sedi e altre 29 prestano servizio nell’adiacente base navale. Il servizio dovrebbe essere potenziato con almeno 30 persone.

Presidente e direttrice si sono soffermati su altre questioni: i problemi igienici con casi di infestazioni da scabbia e infezioni virali, le misure alternative con il lavoro esterno, l’attivazione e il finanziamento di percorsi di lavoro interni alla struttura, la riduzione dei fondi. "È stato un incontro significativo - conclude Boraso - Sostengo pienamente l’operato della direttrice.

Ora la città intera dovrà essere coinvolta. Per questo domani proporrò in Consiglio una mozione con l’elenco di tutte le problematiche. Mi appellerò anche al ministro della giustizia Angelino Alfano". Un altolà al presidente Boraso viene dal cappellano don Antonio Biancotto. S’infuria e sbotta il sacerdote: "È una linea sbagliata. La sicurezza sociale è positiva, la giustizia sommaria è negativa perché fomentatrice di risentimenti. Bisogna puntare alla rieducazione, al reinserimento dei detenuti. Questa modalità è articolata e difficile ma per risolvere il problema è l’unica soluzione. Costruire nuove carceri non funziona. Non si può blindare uno Stato. Questa è la linea comune di tutti i cappellani carcerari".

Mantova: per carcere di Revere 21 anni di lavori, mai terminati

 

La Gazzetta di Mantova, 27 maggio 2009

 

I lavori al carcere di Revere cominciati 21 anni fa, nel 1988; sono stati ripetutamente sospesi e dal 2000 il cantiere è totalmente chiuso, dopo una spesa di due milioni e mezzo di euro. Era nato come casa mandamentale, cioè un carcere per i reati minori, per condannati in attesa di giudizio o per reclusioni inferiori ad un anno, con una capacità ricettiva di una sessantina di posti.

Dopo anni di assoluto silenzio, l’anno scorso si è fatto vivo il Dipartimento di giustizia minorile di Roma che aveva manifestato il suo interessamento per la struttura ed aveva chiesto al Comune planimetrie e relazioni. Ma poi, più niente, fino al 22 ottobre scorso quando una delegazione del ministero ha incontrato la giunta reverese, effettuando poi un sopralluogo nelle carceri, stanza per stanza. L’assessore ai lavori pubblici all’epoca aveva giudicata positivo tale interessamento.

Vista la vicinanza dell’ospedale era stata ipotizzata anche una destinazione a struttura sanitaria per i detenuti. La delegazione ministeriale se n’era andata promettendo risposte in tempi brevi. Ma così non è stato, benché della vicenda si fosse interessato, in modo particolare, l’onorevole Giovanni Fava della Lega.

Di recente le carceri di Revere sono state oggetto di un blitz da parte dei Radicali. Un sopralluogo per mettere l’accento sullo stato di degrado della struttura incompiuta da ben 19 anni, da parte dei parlamentari Maria Antonietta Farina Coscioni e Maurizio Turco. Un’ispezione di protesta contro il piano Alfano, che secondo i Radicali non risolverebbe affatto il problema del sovraffollamento.

Fermo (Ap): due detenuti intossicati dall'incendio dei materassi

 

Il Messaggero, 27 maggio 2009

 

Nottata drammatica quella tra lunedì e ieri nelle carceri di via della Misericordia dove le fiamme avrebbero avvolto alcuni materassi delle celle di alcuni detenuti ed il fumo che ne è scaturito ha provocato l’intossicazione di due carcerati. Questi sono dovuti ricorrere alle cure dei sanitari del "Murri". Fortunatamente le loro condizioni non sono risultate gravi.

Tutto sarebbe iniziato intorno alle 22 di lunedì quando alcuni detenuti, per ragioni ancora sconosciute, avrebbero dato fuoco, nelle loro celle, a dei materassi. Immediatamente sono intervenute gli agenti penitenziari con gli estintori che hanno subito spento il fuoco. La nube che si sarebbe formata ha invaso diversi locali. La polizia penitenziaria a quel punto ha trasferito i detenuti della sezione coinvolta in una zona arieggiata e non pericolosa.

"Esprimo la mia più viva soddisfazione per l’egregio intervento di tutto il corpo della polizia penitenziaria presente ieri sera (lunedì per chi legge; ndr) nell’istituto fermano - afferma Aldo Di Giacomo, segretario regionale del Sappe, il sindacato dei poliziotti - il quale in modo solerte, anche se non in condizioni ottimali di organico è intervenuto evitando che la situazione potesse trasformarsi in una ancor più drammatica. Infatti mi risulta che solo due detenuti sono stati trasportati in ospedale in condizioni non gravi e che tutta l’altra popolazione detenuta è stata posta in situazioni di sicurezza, in un luogo nel quale le fiamme non potessero raggiungerla. Ripeto che solo grazie alla professionalità straordinaria del personale è stato possibile risolvere la situazione in modo così veloce e incisivo".

Terni: troppi detenuti, personale ridotto all’osso e... pochi soldi

di Nicoletta Gigli

 

Il Messaggero, 27 maggio 2009

 

I detenuti a Sabbione sono diventati 320 e vivono in due in una cella di nove metri quadrati, con un bagno di un metro senza finestre. Un numero impressionante per un carcere realizzato per ospitare al massimo 200 persone.

Aumentano i reclusi ma gli agenti della polizia penitenziaria sono sempre sotto organico. E con l’arrivo dell’estate e delle ferie, la situazione a Sabbione rischia di diventare esplosiva. L’emergenza sovraffollamento e la carenza di risorse sia umane che finanziarie è un’amara realtà e Terni non fa eccezione. Anche qui si debbono fare i conti con lo stato di agitazione proclamato dalla polizia penitenziaria, che lavora senza vedere garantiti i livelli minimi di sicurezza. In stato di agitazione anche i direttori dei penitenziari, che rivendicano un contratto e che operano senza uno status giuridico certo. E che fanno carte false per cercare di gestire al meglio celle che scoppiano di detenuti.

In questo quadro a tinte fosche per il carcere di Sabbione c’è una buona notizia che non ha effetti immediati ma che nel giro di un anno e mezzo contribuirà a risolvere l’emergenza sovraffollamento. Ieri sono cominciati i lavori per raddoppiare il penitenziario ternano. Il nuovo padiglione, una volta realizzato, potrà ospitare altri duecento detenuti. E quello di Terni diventerà il carcere più grande dell’Umbria.

Il progetto per l’ampliamento della struttura di Sabbione è stato approvato poco prima di Natale e ora il cantiere è ufficialmente aperto. Le nuove celle sorgeranno accanto al campo sportivo. La presenza dei muri di cinta e degli impianti a servizio del penitenziario ternano consentiranno di risparmiare tempo e denaro nei lavori d’ampliamento di una struttura che oggi rischia di scoppiare.

Perché passata la felice pausa dell’indulto, che a Terni spalancò le celle a centoquaranta detenuti e che ha permesso di fare lavori di ammodernamento delle sei sezioni detentive, oggi la presenza media è tornata a toccare cifre da record. Una soluzione all’emergenza andava trovata e la costruzione del nuovo padiglione da altri duecento posti consentirà di alleggerire, entro la fine del 2010, una situazione complicata.

Ma questo non basta. Perché nel carcere di Sabbione c’è da risolvere il problema della cronica carenza degli organici della polizia penitenziaria. Qui il personale di polizia penitenziaria è di duecento unità, con un agente ogni due detenuti. Oltre agli ospiti delle sezioni ordinarie c’è da gestire anche la sezione speciale 41bis, dove sono recluse venticinque persone. A frenare l’emergenza non bastano i dieci nuovi agenti appena assegnati al penitenziario ternano, che entreranno in servizio a giorni.

La situazione attuale rende impossibili percorsi di riabilitazione e di recupero della dignità dei detenuti e molte attività esterne sono state sospese proprio perché gli organici della polizia penitenziaria sono ridotti all’osso. Anche i volontari di Arci-Ora d’Aria e della Caritas che operano a Sabbione hanno dovuto sospendere diverse attività e il sabato non possono più entrare. Pochi agenti, poche risorse finanziarie e quindi iniziative "tagliate". Con la conseguenza diventa difficile pensare a un percorso di recupero di persone che dovranno tornare a vivere tra gli altri. Il resto dei tagli è da imputare alla crisi. Come la "sparizione" delle risorse del fondo sociale europeo che finanziava corsi e attività.L’emergenza carcere preoccupa anche il vescovo, Vincenzo Paglia, che visita spesso il penitenziario ternano. E che avrebbe manifestato l’intenzione di convocare un incontro in ambito nazionale per tentare di trovare risposte a problemi la cui soluzione non è più rinviabile.

Forlì: detenuti fanno smaltimento ecologico dei rifiuti elettronici

 

Vita, 27 maggio 2009

 

Accade a Forlì con il progetto "Raee in carcere" dove i detenuti lavorano per lo smaltimento ecologico dei rifiuti elettronici. Il recupero delle apparecchiature elettriche ed elettroniche entra in carcere. È stato sottoscritto il progetto "Raee in carcere" per il reinserimento lavorativo dei detenuti della casa circondariale di Forlì. L’iniziativa, lanciata dal ministero della Giustizia, dal ministero del Lavoro e dalla Provincia di Forlì-Cesena, vede l’importante collaborazione del consorzio Ecolight, insieme al Centro Servizi Raee, alla cooperativa sociale Gulliver, al Gruppo Hera Spa e Techne Scpa, Cclg spa, Confederazione Nazionale Artigianato Forlì Cesena, oltre all’amministrazione penitenziaria della Casa circondariale di Forlì.

Il progetto prevede la realizzazione di un laboratorio dove, attraverso lo smontaggio dei rifiuti elettrici ed elettronici, si arriva alla separazione dei diversi materiali per il recupero di materie prime seconde.

Alla cooperativa Gulliver saranno affidate le commesse e la gestione del laboratorio; al consorzio Ecolight invece, il conferimento e il ritiro dei raee, nonché il pagamento per la lavorazione dei rifiuti. Secondo l’accordo di cooperazione che è stato firmato, nel laboratorio è previsto l’impiego di due o tre persone, con impegno di 25 ore settimanali ciascuna, per smaltire circa 300 tonnellate all’anno, in grado di permettere un flusso di lavoro costante e, nel tempo, l’impiego di un numero crescente di lavoratori. L’obiettivo dichiarato è formare persone con "competenze professionali e trasversali adeguate per raggiungere un’occupazione stabile nelle imprese profit del territorio", spiega Giancarlo Dezio, direttore generale di Ecolight, sistema collettivo in grado di trattare tutte le tipologie di raee.

Continua Dezio: "Ecolight ha aderito prontamente all’iniziativa, confermando la finalità sociale della propria attività. Piccoli elettrodomestici, apparecchiature informatiche, lampadari, utensili, giocattoli e grandi elettrodomestici ferrosi, ovvero rifiuti non pericolosi di provenienza prevalentemente domestica, troveranno una nuova vita grazie a questo progetto innovativo. Il fatto di operare quotidianamente per l’ambiente ci spinge non solamente a sostenere campagne di sensibilizzazione per un corretto smaltimento dei rifiuti elettronici, ma anche a contribuire per dare vita ad un processo a carattere industriale capace di creare competenze professionali e nuove opportunità di lavoro per il reingresso nella legalità dei carcerati".

Oltre alla finalità sociale, questo progetto ha un valore aggiunto per l’integrazione in rete di diversi partner: "Finalità e obiettivi, strategie e risultati - conclude Dezio - sono condivisi da tutti i soggetti che hanno voluto dare vita a questa iniziativa capace di conciliare tutela ambientale con impegno sociale".

Ecolight - Costituito nel 2004, è uno dei maggiori sistemi collettivi per la gestione dei raee. Il consorzio Ecolight, che raccoglie oltre mille aziende, è il terzo a livello nazionale per quantità di immesso e il primo per numero di consorziati. È stato inoltre il primo sistema collettivo in Italia ad avere le certificazioni di qualità ISO 9001 e ISO 14001. Rappresentando più del 90 per cento del settore, è punto di riferimento per la grande distribuzione (Gdo) e per i produttori di apparecchi di illuminazione. Tratta tutte le tipologie di raee.

Firenze: il Garante; 928 detenuti, ma solo 24 chiedono di votare

 

La Repubblica, 27 maggio 2009

 

Le procedure sono complicate, c’ è chi non lo sa, chi non sa come si fa, chi lo giudica davvero troppo macchinoso". Detenuti stipati a Sollicciano, 928. Di cui 816 uomini, 112 donne e 4 bambini. Hanno chiesto di poter votare solo in 24.

Il garante dei detenuti, Franco Corleone, che da giorni si sta dando da fare perché i prigionieri vengano informati e facilitati nel loro diritto, si preoccupa. "Aiutiamo i carcerati a votare. Siamo vicini alla scadenza elettorale e le richieste sono troppo poche, segno che qualcosa non va", lancia l’appello.

Ha anche scritto al presidente della commissione di vigilanza Rai, Sergio Zavoli, sollecitando iniziative televisive sulla questione del diritto di voto in carcere. Sull’esempio, spiega, degli spot che si mandano in onda per far sapere che i disabili possono. Anche i detenuti possono. "Solo che per loro è molto difficile - dice Corleone Sembrerebbero piccolezze, ma quando uno è chiuso dentro, diventano ostacoli insormontabili, spiega Corleone.

"Per esempio farsi mandare da casa la tessera elettorale: chissà dov’è, chissà in quale cassetto. Sono obbligati a scrivere a casa, chiedere, spiegare. I familiari devono cercare la tessera, poi la devono spedire, per tempo, al carcere. Avuta la tessera, si deve fare la domanda. Se a tutto questo lavoro si aggiunge la sfiducia politica, si capisce che non è facile".

Comunque Corleone si batte, convinto, ha anche detto di volere iniziare un digiuno di protesta appena detenuti di Sollicciano raggiungeranno quota mille. Dovrebbero essere per regolamento 450, al massimo si può arrivare, dice il garante, a 600. Figuriamoci come si sta in 900 e passa. Di cui un 60% è straniero. Corleone ha però calcolato che almeno 300 persone potrebbero votare, non si arriva per ora neanche al 10%. È necessario impegnarsi, non si stanca di ripetere.

Fossano (Cn): malore detenuto; overdose, o abuso di farmaci?

 

www.grandain.com, 27 maggio 2009

 

Overdose di cocaina causata dalla rottura di un ovulo o intossicazione da farmaci? Per ora queste sono le tue ipotesi più plausibili che avrebbero causato il ricovero d’urgenza al Santissima Annunziata di Savigliano di un detenuto del carcere di Fossano sentitosi male sabato in cella e soccorso dai compagnie dal personale.

L’uomo, giunto al Pronto Soccorso in coma, ora sta rispondendo alle cure mediche ma il suo quadro clinico è complesso e i sanitari fanno sapere che ci vorrà qualche giorno prima di capire la vera causa dell’acuto malessere. In carcere può capitare che i famigliari riescano a passare ovuli di droga: il metodo più semplice è nasconderli nelle gomme da masticare. La polizia penitenziaria può solo perquisire borse e tasche.

Treviso: tre agenti a processo, per il pestaggio ad un detenuto

 

La Tribuna di Treviso, 27 maggio 2009

 

Andranno a processo i tre agenti di polizia penitenziaria di Treviso accusati di abuso d’ufficio, percosse e minacce per le presunte botte a un detenuto rumeno nel carcere di Santa Bona. Dopo la chiusura delle indagini da parte del sostituto procuratore Giuseppe Salvo, è scattata ora la citazione a giudizio. Il processo si terrà il prossimo 25 settembre.

I fatti contestati, stando alla Procura, sono accaduti nell’ottobre 2007 ai danni del rumeno venticinquenne Lucian Elwis Andricsak, finito in cella per aver stuprato una donna a Spresiano, mentre la signora stava tornando dal lavoro. Tre gli episodi di percosse al centro delle indagini, avvenuti il 12 e 13 ottobre e cinque gli agenti inizialmente coinvolti nell’inchiesta.

Lucian Elwis Andricsak, sentito in sede di incidente probatorio, aveva riconosciuto però solo tre agenti su cinque. Sul corpo del rumeno c’erano in effetti segni di percosse: gli agenti avevano spiegato l’accaduto sostenendo di essere intervenuti per calmarlo, dopo una reazione violenta da parte sua. Andricsak aveva denunciato le lesioni in sede di udienza di convalida davanti al giudice Umberto Donà: in aula aveva alzato la maglietta mostrando i lividi.

"Ho esaminato il materiale dalla Procura e sono convinto che i fatti verranno chiariti nel senso dell’assoluzione. Un conto è l’uso del controllo, un altro l’uso della violenza e di mezzi di coercizione non consentiti. E comunque c’è la versione di tre servitori dello Stato contro quella di un violentatore", ha commentato l’avvocato Francesco Murgia.

Libri: "Diritti e castighi", di Lucia Castellano Donatella Stasio

 

Ristretti Orizzonti, 27 maggio 2009

 

Diritti e castighi. Il Saggiatore

Collana Infrarossi - € 15,00 / pp. 256

ISBN 978-88-428-1585-3

 

Dentro il sistema carcerario italiano. Dannazioni e speranze nelle storie di quanti, ogni giorno, sono costretti a viverci. "Napoli, carcere di Poggioreale. Paradigma del sistema penitenziario nazionale. 700 poliziotti per 2.500 detenuti. Il carcere più affollato d’Europa. Il più sovraffollato d’Italia: 1.200 carcerati in più del previsto. Vivono stipati in celle che contengono fino a 14 persone. Mancano gli spazi per la socialità. Non c’è neanche il campo di calcio, quasi una regola in carcere."

Carcere di Poggioreale, di Eboli, di Agrigento e di Genova. Carcere di San Vittore a Milano. Sono alcune tappe di un’esplorazione terribile ma rivelatrice della realtà carceraria italiana: sovraffollamento insopportabile, condizioni igienico - sanitarie disumane, violenza e abbrutimento, sprechi incalcolabili di risorse economiche e sociali. Carceri che violano quotidianamente i principi costituzionali della rieducazione e del recupero dei detenuti.

Un sistema carcerario così profondamente ingiusto e così distante dai suoi veri scopi assolve almeno la funzione di accrescere la sicurezza dei cittadini? Scoraggia i criminali dal delinquere? Le autrici di Diritti e castighi rispondono no. Ma la risposta, più che da loro, arriva soprattutto dall’umanità cancellata che vive dentro il carcere, attraverso le tante storie che il libro narra in presa diretta. Carcerati, agenti di polizia penitenziaria, semplici cittadini, familiari, responsabili delle istituzioni raccontano le loro vite dentro e fuori le mura delle prigioni. Il carcere è il sintomo più grave della patologia della nostra società, ma può essere anche un simbolo di speranza e responsabilità come dimostra l’esperienza del carcere sperimentale di Bollate, a Milano, diretto da Lucia Castellano, una delle autrici del libro. L’esperimento di Bollate è il contro esempio che fa da filo rosso a tutto il libro, indicando, una possibilità concreta di ripresa e rinascita.

 

Lucia Castellano, dopo essere passata per le carceri di Eboli, Marassi e Secondigliano, dirige dal 2002 il penitenziario di Bollate.

Donatella Stasio, giornalista, si occupa di giustizia e politica sulle pagine del Sole 24 Ore.

Teatro: "Massima libertà"… in un carcere di massima sicurezza

di Benedetta Pintus

 

La Repubblica, 27 maggio 2009

 

Sette detenuti hanno recitato in uno spettacolo scritto durante il laboratorio tenuto tra le mura di via Burla da Carlo Ferrari e Franca Tragni di Europa Teatri. Una riflessione sulla vita dietro le sbarre affrontata con toccante ironia.

Dietro la tenda in fondo al piccolo palcoscenico si intravede la sagoma di un crocifisso. Lo stesso simbolo che uno degli attori porta appeso al collo, sopra la maglietta nera. Il rosso del sipario stride con il colore delle seggiole della platea e delle divise degli agenti, rigorosamente azzurre. Così come le mura dei lunghi corridoi che si devono attraversare per arrivare nello stanzone che in via Burla chiamano teatro. Il pubblico è rumoroso, ma quando si spengono le luci basta un battito di mani per spegnere ogni voce.

Gli occhi sono tutti rivolti su Antonio, Claudio, Luigi, Mario, Marcello, Vincenzo e Wilson. Sette detenuti che per un’ora, la mattina del 26 maggio, sono stati attori. "Per dimostrare che non siamo solo delinquenti, ma anche umani". Capaci di arrivare al cuore dello spettatore senza conoscere i trucchi del mestiere, che studiano da soli sei mesi, grazie al laboratorio di Carlo Ferrari e Franca Tragni di Europa Teatri.

Sono bastate poche parole, semplici gesti, per strappare gli applausi e provare a far intuire a chi vive "fuori" cosa significa stare "dentro". In un carcere di massima sicurezza. Accettando la solitudine, provando a tenere stretti gli affetti nonostante la lontananza, aspettando quella mezz’ora di colloquio con un viso amico che li farà tenere duro ancora un po’, per continuare a sperare, magari ricordando il sogno che custodivano da bambini pensando al proprio futuro.

Un canovaccio proposto dagli stessi carcerati della sezione paraplegici del penitenziario, che hanno contribuito a scrivere il copione partendo dalle proprie emozioni quotidiane. Senza rinunciare a scherzare e a divertirsi: la rappresentazione è un invito all’ironia a partire dal titolo, "Massima libertà". Di esprimersi, improvvisare, riflettere, imparare. Anche dietro le sbarre della massima sicurezza. "Impegnarci per questo spettacolo è stato un modo per riscattarci", afferma Luigi sorridendo dalla sua sedia a rotelle. "Una motivazione", aggiungono i colleghi di palcoscenico. "Qualcosa che ci fa capire di non essere soli, di avere qualcuno che si interessa a noi e vuole darci una mano".

Brindisi: il progetto "Altro Luogo", percorso di teatro e musica

 

Comunicato stampa, 27 maggio 2009

 

Domani, giovedì 28 maggio, alle ore 10.00, presso la Casa Circondariale di Brindisi, l’Assessorato alle Politiche sociale della Provincia di Brindisi, guidato da Ada Spina, nell’ambito de "L’altro luogo" progetto culturale, volto alla creazione di un percorso di teatro e musica all’interno del carcere di Brindisi, promuove un evento culturale come strumento di aggregazione e integrazione sociale.

All’interno del carcere i detenuti, che hanno frequentato il laboratorio di Drammaturgia e Musica Popolare proposto dall’Associazione Pietrevive del Salento, ideato ed elaborato da Tonino Papaia, porteranno in scena, insieme all’attrice Alessandra Mandese, lo spettacolo "Quando il sole ballava la notte" un graffiante percorso narrativo nella memoria e nella storia con una rilettura aggiornata che accomuna musiche, canti e danze del Mediterraneo.

"Questo progetto di intervento nelle carceri di Brindisi - dichiara l’assessore Ada Spina - nasce dall’esperienza già fatta in alcune case circondariali italiane con risultati più che positivi. L’idea quindi è stata quella di costruire un percorso culturale di teatro e musica con interventi esterni ma soprattutto con i detenuti che sono i protagonisti del progetto.

La finalità, infatti, è di stimolare percorsi formativi per intervenire sulla marginalità e sulla esclusione comunicativa e relazionale determinate dalla carcerazione. In questo senso un ringraziamento va rivolto alla direttrice della casa circondariale di Brindisi, agli agenti penitenziari e agli educatori che hanno sostenuto il progetto".

Le attività culturali previste per l’attuazione del progetto hanno avuto inizio lo scorso gennaio con la realizzazione dei corsi di teatro e musica (chitarra, tamburello e recitazione). I corsi sinora hanno interessato decine di reclusi che si sono avvicendati nelle varie discipline, una esperienza molto interessante e suggestiva per allievi e docenti, sia nei percorsi musicali collettivi che, soprattutto, nella costruzione di percorsi individuali, una sorta di viaggio interiore, che scavano dentro la propria condizione.

 

Ufficio Stampa Provincia di Brindisi

Larino (Cb): "Oltre le sbarre", venerdì premiazione del concorso

 

Agi, 27 maggio 2009

 

"Oltre le sbarre": si terrà il 29 maggio alle ore 9.30 nella sede carceraria la premiazione della seconda edizione del concorso che quest’anno è intitolato "Caro amico ti scrivo...".

L’iniziativa ha visto coinvolti gli alunni della scuola primaria e secondaria della regione. Il progetto si inserisce nel percorso della riflessione sulla legalità che ha visto come protagonisti gli alunni detenuti dell’Itis Majorana. C’è stata una grande partecipazione, con più di mille lettere arrivate.

La commissione esaminatrice è composta dagli studenti detenuti, da padre Enzo Ronzitti, ideatore del concorso, dalla professoressa Italia Martusciello, dal dirigente scolastico dell’Itis di Termoli Stefano Giuliani, dal direttore del penitenziario Rosa La Ginestra, dal comandante della Polizia penitenziaria Luigi Ardini.

Immigrazione: lecito affittare ai clandestini, se il canone è equo

di Giovanni Negri

 

Il Sole 24 Ore, 27 maggio 2009

 

Affittare a un extracomunitario senza permesso di soggiorno si può. A patto che il canone richiesto sia equo. A queste conclusioni approda la Corte di cassazione, con la sentenza 19171/2009 della Prima sezione penale depositata il 7 maggio, nella prima dettagliata analisi di una delle norme più contestate del "pacchetto sicurezza" varato l’anno scorso dal Governo a poche settimane dalla vittoria elettorale del centrodestra.

La Corte si è trovata ad affrontare il caso di un italiano che aveva affittato un immobile a un cittadino indiano privo di titolo di soggiorno. La cifra pattuita, ma, a quanto è emerso, neppure mai pagata, era stata di 150 euro mensili. L’immobile interessato era stato messo sotto sequestro dal Gip, ma, in seguito, il riesame aveva annullato l’ordinanza.

Contro quest’ultimo provvedimento aveva presentato ricorso in Cassazione il pubblico ministero, sostenendo che il cosiddetto "dolo specifico" e cioè la volontà di ottenere un profitto illecito dal reato non doveva riguardare il caso di chi affitta, ma solo quello di chi "da alloggio - così recita il comma 5 bis dell’articolo 12 del decreto legislativo 286/98 come modificato dalla legge 125/08 - ad uno straniero privo di titolo di soggiorno, in un immobile di cui abbia la disponibilità". L’affitto, invece, secondo la tesi dell’accusa, non richiede l’obiettivo dell’ingiusto profitto.

Questa scissione della norma penale in due arti non ha però persuaso la Cassazione che, a sua volta, ha ricostruito l’illecito in maniera unitaria. Quel "ovvero" tra una fattispecie e l’altra, per la Cassazione non rappresenta tanto una disgiunzione, quanto una maniera per dare continuità, magari in modo non limpidissimo, alla frase. Tanto è vero che in altri casi il termine è usato dal legislatore per descrivere una pluralità di condotte punibili in un contesto unitario di reato (vedi i reati di riciclaggio o di falsità ideologica).

In sostanza, l’interpretazione corretta della norma, sostiene la Cassazione è quella che fa leva su 4 elementi: una parte iniziale "di salvezza" ("salvo che il fatto costituisca più grave reato"); e l’indicazione del soggetto attivo generale ("chiunque"); una sanzione finale ("è punito con la reclusione da 3 mesi a 3 anni"); una parte centrale descrittiva delle possibili forme di condotte punibili indicate con le proposizioni "dà alloggio" e "cede in locazione", considerate in maniera equivalente. Quel "a titolo oneroso", accostato solo a chi dà alloggio, nella lettura della Cassazione, si giustifica invece, e in tale senso soccorrono i lavori parlamentari, perché il legislatore ha voluto escludere le condotte umanitarie dalla sanzione penale.

"La sicura conclusione di unitarietà - sottolinea la Cassazione - che deve affermarsi conduce, dunque, inevitabilmente, ad assumere il fine di ingiusto profitto come necessario anche alla forma di condotta consistente nel cedere in locazione". E l’ingiusto profitto si realizza quando l’equilibrio delle prestazioni è fortemente alterato a favore del titolare dell’immobile, con sfruttamento dello straniero irregolare. Nel caso esaminato dalla Corte, però, il riesame aveva ritenuto che i 150 euro non costituivano un fine ingiusto perché si trattava di un canone sostanzialmente equo e senza sbilanciamento a favore della parte più forte.

Stati Uniti: un afghano è finito a Guantanamo... all’età 12 anni!

 

Ansa, 27 maggio 2009

 

Un afghano detenuto a Guantanamo da oltre sei anni, ne aveva 12 quando è iniziata la sua prigionia, e non 16 o 17 come riporta la documentazione ufficiale, afferma il rapporto di una commissione afghana per la tutela dei diritti umani diffuso oggi anche a Washington. Mohammed Jawad non era nemmeno adolescente quando è stato arrestato nel 2002 dalla polizia afgana. Come molti afghani che vivono in condizioni di estrema povertà, anche Jawad non conosceva la sua esatta data di nascita, afferma il rapporto.

Jawad era accusato di aver preso parte a un attacco a Kabul in cui erano stati feriti da granate due soldati americani e il loro interprete afgano. Jawad era finito in galera in Afghanistan, per poi essere trasferito nel 2003 nel carcere militare americano di Guantanamo a Cuba. Jawad, spiega la commissione afghana, avrebbe anche subito abusi e torture prima dalla polizia afghana e poi dalle guardie del penitenziario americano.

La commissione, mentre cercava di ottenere il rilascio e il rimpatrio del ragazzo, ha chiesto alla madre quale fosse l’evento più importante vicino alla nascita di Jawad che ricordava. La donna ha risposto che il ragazzo era nato sei mesi dopo la morte di suo padre: questa sarebbe avvenuta nel 1991 in una battaglia nella città di Khost.

Una petizione a nome di Jawad è stata presentata questo mese alla corte Suprema afgana, da due avvocati americani, per indurre il presidente Hamid Karzai ad intervenire per il rilascio. "Abbiamo cercato di sollevare la questione davanti al governo afghano e americano in passato, ma senza successo", ha affermato Nader Nadery, membro della commissione.

Egitto: un giovane scrittore arrestato, con l’accusa di apostasia

 

www.webangel.it, 27 maggio 2009

 

Un giovane scrittore egiziano, è detenuto da due anni nella prigione di Borg Al-Arabi, località desertica situata a metà strada tra il Cairo e Alessandria D’Egitto. Kareem, che al momento dell’arresto aveva solo 22 anni, è stato accusato di apostasia e condannato a quattro anni di reclusione (tre per apostasia ed uno per offesa al presidente egiziano Mubarack) a causa dei suoi scritti su internet.

Tra le frasi incriminate e considerate elemento probatorio per formulare l’accusa di oltraggio alla religione islamica ce n’è una in particolare, rivolta ai professori di diritto islamico: "Sceicchi e professori di Al-Azhar che perseguitate chi la pensa diversamente da voi finirete nella spazzatura della storia".

Kareem attraverso articoli, pubblicati sul suo blog e sul sito arabo Discussione moderna, si dichiara ateo ed affronta la spinosa questione della difficoltà di fare giornalismo in Medio-Oriente e di esprimere liberamente le proprie convinzioni religiose e politiche. A causa di queste sue idee viene espulso dalla facoltà di giurisprudenza di Alessandria D’Egitto, alla quale si era iscritto esclusivamente per volere del padre. La sua aspirazione era infatti studiare biologia.

Il difficile clima che si respira all’interno della facoltà di diritto islamico e sopratutto il suo rifiuto di accettare la materia che studia, ovvero la Sharja (legge coranica) che definisce nei suoi articoli, "legge contro ogni logica, che può essere accettata soltanto dai poveri d’intelletto", lo avvicina alla scrittura ed alle tematiche inerenti i diritti umani, in particolare a quelli dell’universo femminile, maggiormente oppresso dalla legge coranica.

A causa della condanna per apostasia Kareem è stato disconosciuto dalla famiglia di origine. Riesce a pagarsi gli avvocati attraverso il sostentamento economico delle associazioni locali ed internazionali per i diritti umani. Abbiamo tentato di chiedere con insistenza un incontro con Kareem in carcere, ma attualmente le visite sono state vietate perfino ai suoi due legali.

Secondo i dati riportati dall’associazione egiziana per i diritti umani sono più di cinquanta i giornalisti e gli scrittori che da gennaio di quest’anno ad oggi hanno deciso di intraprendere una causa legale per le minacce e le persecuzioni di cui sono stati oggetto a causa dei loro scritti. Il numero degli intellettuali che è vittima di ritorsioni di vario genere, perché ha scelto di manifestare liberamente le proprie idee, è molto più alto. Ma non tutti hanno la possibilità o il coraggio di parlarne pubblicamente. Molti di loro hanno preferito abbandonare la professione e l’impegno civile per la libertà di pensiero.

 

Noemi Novelli

 

Scrivere su internet, unica forma di comunicazione mediatica che non subisce censura in Egitto, diviene quindi il primo passo verso quella che lui definisce "la liberazione".

Ecco la traduzione dall’arabo dell’ultimo articolo di Kareem prima dell’arresto.

"L’Essere umano può essere forzatamente vincolato da qualcosa, risultando incapace di liberarsene anche se rifiuta o addirittura odia questo qualcosa. Comunque, può sopravvenire un certo momento in cui può essergli garantito di affrancarsene senza alcuna conseguenza negativa. Raramente questa "liberazione" è accompagna da effetti dolorosi o indesiderati.

Non si può negare, però, che talvolta questi effetti negativi ci siano. È quanto sta avvenendo a me, quello che sto affrontando in questi giorni, ne è un esempio.

Ho frequentato l’ateneo Al-Azhar per soddisfare le aspirazioni dei miei genitori. A causa del mio completo rifiuto del pensiero religioso trasmesso attraverso i miei scritti, che fortemente criticano l’insinuazione della religione nella vita pubblica, il controllo che essa esercita sul comportamento degli esseri umani e sui loro rapporti interpersonali, liberarsi dai vincoli imposti dal mio essere un (ex) studente dell’Università di Al-Azhar, è stato ancor più difficile di quanto potessi immaginare.

Quando ho ottenuto la mia libertà (nel senso che sono stato espulso dall’università nel marzo 2006) avevo pensato che quella questione fosse definitivamente chiusa e che con quel decreto mi ero affrancato dal vincolo dell’ateneo e dal suo autoritarismo, esercitato sia verso la vita degli studenti, sia verso i membri della società, sia verso la vita del nostro Paese a vari livelli.

Ignoravo che il quotidiano Al-Gomhuria avesse pubblicato copia dei fogli investigativi inviati dalla sessione disciplinare alla quale ero stato sottoposto (che per mia scelta non firmai) al Sostituto procuratore.

Così come non sapevo che l’amministrazione universitaria non avesse comunicato che si era rifiutata di consegnarmi il mio fascicolo. Lasciai che la vita scorresse evitando di pensare a cosa sarebbe potuto accadere dopo quel fatto. Loro mi avevano espulso e quindi avevano tutto sommato chiuso la questione. Avevo pensato che quella era la fine della mia relazione con loro e mi dissi: si tengano pure il mio fascicolo. Infatti chiesi solo che mi venissero restituiti i miei documenti in originale poiché ne avevo bisogno. Comunque, sembra che la "benedizione" di Al-Azhar sui suoi studenti non sia facilmente rimovibile.

Hanno l’abitudine di seguire gli studenti come ombre. Per esempio, uno studente che ottiene il certificato Azzarita di secondo livello non può farsi consegnare l’attestato per presentarlo ad un’altra università pubblica. Ne ho ripetutamente fatto richiesta quest’anno e negli anni precedenti alla mia espulsione, ma tutti i miei sforzi sono risultati vani. L’unico effetto che sei riuscito ad ottenere con quest’attestato è che ti dequalifica rispetto agli altri studenti, agli altri cittadini, che hanno un "semplice" certificato generale di secondo livello.

Sembra, peraltro, che l’autorità di Al-Azhar sui suoi allievi non si limiti ad impedire loro di completare gli studi fuori da quella università. Ciò che è accaduto e ciò che mi accadrà nei prossimi giorni, ha pienamente dimostrato che queste "benedizioni" azzarite non abbandonano uno studente che cerca di ribellarsi contro l’università e che cerca di rifiutare ciò che è obbligato a studiare; cose contro ogni logica che incitano alla violenza contro coloro che non condividono la stessa fede religiosa.

Si può arrivare ad un passo dalla morte. Essere ucciso infatti è esattamente ciò che ho rischiato mettendomi contro gli studenti della facoltà di legge coranica, (la Sharia). Hanno tentato di uccidermi con le loro "armi bianche" (i loro pugnali), nella loro cieca difesa della religione di Allah. Come mi riferì uno studente delle classi superiori, lo scorso maggio nei pressi della facoltà.

Ad ogni modo, la provvidenza, (alla quale io non credo), aveva previsto per me un nuovo "affitto" nella vita, perciò sono riuscito a fuggire dalle loro mani o almeno fino a quando non varcherò le porte della prigione.

Sembrerebbe proprio ciò che dovrò affrontare nei prossimi giorni. Nonostante non mi piaccia prevedere il futuro e parlare di quello che ancora non si sa, mi aspetto il peggio. Diverse ore fa mi è stata consegnata una citazione invitandomi a comparire per un confronto, lunedì prossimo, presso l’Ufficio del Procuratore, a causa della denuncia presentata da Al-Azhar nei miei confronti per ciò che ho scritto e pubblicato fuori dalle mura universitarie, nel cyberspazio che non impone alcuna censura su ciò che gli utenti vi pubblicano. Sembra invece che la benedizione di Al-Azhar, dalla quale pensavo di essermi finalmente salvato, dopo la documentazione liberatoria che avevo ottenuto, continui a seguirmi.

La citazione del Procuratore relativa alle indagini nei miei confronti è una delle manifestazioni delle loro benedizioni , che non abbandonano mai coloro che marchiano, come nel caso del Dr. Nasr Hamid Abu Zayd, spinto a separarsi dalla moglie, o del Dr Ahmed Sobhi Mansour, incarcerato e forzato ad espatriare definitivamente, o della Dottoressa Nawal Al-Saadawi, e di Ahmed Al-Shahawy ed altri ancora, per i quali Al-Azhar ha sempre "consigliato" - e continua a consigliare - il sequestro delle pubblicazioni in commercio cercando di vietarne la divulgazione.

Non ho molta paura. Anzi, sono felice che i nemici del libero pensiero debbano impegnarsi nei miei confronti impiegando metodi così bassi (condivisibili soltanto da chi è povero intellettualmente). Sono più fiducioso in me stesso, più saldo nei miei principi e più disponibile ad affrontare qualsiasi cosa per difendere le mie libere opinioni, senza alcuna restrizione impostami da governi, istituzioni religiose o addirittura da una società totalitaria, che continuamente serve con vili metodi i nemici del libero pensiero e coloro che drogano la gente, sia con le religioni sia con vere e proprie droghe.

La sola esistenza di meccanismi legali che criminalizzano la libertà di pensiero, e puniscono con la prigione chiunque critichi la religione in qualsiasi modo, è già un grave difetto della legge. Si presuppone che la legge debba regolare i rapporti tra soggetti all’interno di una società, non che sopprima le loro libertà a vantaggio della religione, della legge stessa o dell’ordine sociale. L’essere umano - l’individuo - è al primo posto, e la sua esistenza è sopra ogni altra cosa.

Su questa base, criminalizzare l’uomo per il suo criticare l’ordine sociale, la religione l’autorità - che sono successive alla comparsa del primo essere umano - deve essere considerato un grave difetto della legge.

E queste leggi vanno oltre i loro poteri di intervento nelle questioni relative alla libertà dei singoli, un’area sacra che nessun essere umano, a prescindere da chi egli sia, può violare. Io quindi dichiaro, in tutta franchezza e chiarezza, il mio rigetto e rifiuto di qualsiasi legge, legislazione, regime che non rispetta i diritti degli individui e la libertà personale, e che non riconosce l’assoluta libertà d’azione degli individui ( fino che questa non lede altri sul piano fisico) e non riconosce l’assoluta libertà degli individui di esprimere le loro opinioni, qualsiasi esse siano, su qualsiasi argomento e che non siano accompagnate da azioni fisiche dannose per altri.

Allo stesso modo, io dichiaro in tutta chiarezza che queste leggi non mi vincolano in alcun modo ed io non riconosco la loro esistenza. Detesto, dal profondo della mia anima, chiunque lavori per attuarle, chiunque le usi come guide, chi trae soddisfazione o beneficio dalla loro esistenza.

E se queste leggi ci vengono imposte, non abbiamo né il potere né la forza di cambiarle perché esse stesse sono utilizzate da chi gestisce il potere, e ne trae benefici. Non di meno tutto ciò non mi spingerà alla sottomissione o nell’attesa del perdono e della rassegnazione.

Io quindi dichiaro che non riconosco la legittimità dell’avviso di reato su un argomento come questo, che è parte del mio diritto di esprimere personali opinioni. Questa libertà è stata sancita dalla Dichiarazione Universali dei Diritti Umani, che presumo sia stata sottoscritta anche dall’Egitto. Comunque, anche mettendo da parte questa dichiarazione e facendo finta che essa non esista, o che l’Egitto non l’abbia firmata, i diritti umani sono una materia così evidente da non aver bisogno di nessuna legislazione che li regoli o li definisca nella loro essenza.

Ad ogni persona che gode di ciò che mi sta accadendo e che spera che così io possa cambiare le mie posizioni, possa sentirmi più debole, o possa spingermi su un sentiero diverso da quello che io ho scelto per me stesso, io dico: morite nella vostra rabbia e nascondetevi nelle vostre trincee.

Non recederò, neanche di un millimetro, da ogni parola che ho scritto. Queste restrizioni non possono precludermi di sognare di ottenere la mia libertà. Ciò che ho desiderato sin da quando ero un ragazzo. Continuerò ad inseguire la mia libertà per sempre almeno nella mia immaginazione.

All’Università di Al-Azhar, ai suoi docenti, ai suoi studiosi islamici, che sono così duri contro chiunque la pensi in modo libero, lontano dai loro pensieri metafisici e dalle loro superstizioni, dico: finirete tra gli scarti della storia e quando sarà il momento non ci sarà nessuno a piangere per voi. Siate certi che il vostro dominio scomparirà come è già successo ad altri come voi. Sia felice colui che riesce a recepire i consigli altrui!"

 

Kareem Amer

 

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