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Giustizia: alla Camera governo pone fiducia sul ddl-sicurezza
www.rassegna.it, 12 maggio 2009
Alla Camera l’esecutivo ha posto la questione di fiducia sui tre maxiemendamenti al ddl sicurezza. Domani primo voto palese. Human Rights Watch: "Scorretta l’interpretazione italiana sui respingimenti". Alla Camera, il governo ha posto la questione di fiducia sui tre maxiemendamenti al disegno di legge in materia di sicurezza. Lo ha annunciato oggi nell’Aula di Montecitorio il ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito. Alla notizia, il presidente della Camera Gianfranco Fini ha sospeso la seduta dell’assemblea e ha convocato una conferenza dei capigruppo per stabilire l’iter dei lavori. La conferenza dei capigruppo ha previsto per domattina alle ore 10.30 il primo voto di fiducia sul ddl. Le dichiarazioni di voto avranno inizio un’ora prima, alle 9.30. Gli altri voti avverranno a seguire nel corso della giornata. La votazione finale si terrà invece giovedì alle 12.30. I capigruppo hanno, inoltre, stabilito che il question time normalmente previsto il mercoledì si terrà giovedì pomeriggio. La scelta dell’esecutivo di optare per il voto segreto, ha subito scatenato le proteste dell’opposizione. "Queste tre fiducie disattendono le sollecitazioni del Capo dello Stato e del presidente della Camera, e violano la logica su cui in quest’Aula si basa il voto segreto". È stato questo il commento a caldo del capogruppo alla Camera del Pd Antonello Soro. "Il regime c’è, sta avanzando, sta strisciando nonostante le denunce dell’Onu, del Consiglio Ue, del Vaticano", ha invece detto il vicepresidente dei deputati dell’Idv Fabio Evangelisti. "Nonostante ciò - ha proseguito il dipietrista - avete paura della vostra stessa maggioranza, di quelli che ancora possono professarsi liberali". Quindi, si è chiesto Evangelisti, "dove sono quei 100 che avevano scritto una lettera scongiurandovi di non mettere la fiducia?". E ancora: "State umiliando il governo e il paese". Secondo la maggioranza, invece, "è naturale anzi doveroso porre la questione di fiducia" sul ddl sicurezza "perché il governo deve riaffermare il proprio programma elettorale". Lo ha detto il presidente dei deputati della Lega, Roberto Cota, difendendo il voto palese. "Noi manteniamo le promesse fatte ai cittadini", ha aggiunto. Intanto non si placa la buriana di polemiche sul "respingimento" dei barconi di clandestini nel canale di Sicilia. Silvio Berlusconi ha ieri escluso che sui barconi non vi siano persone che potrebbero godere di un diritto d’asilo. "Su questi barconi - ha detto il presidente del Consiglio, a Sharm el Sheikh per partecipare al vertice italo-egiziano - di gente che ha diritto d’asilo non ce ne è nessuno. Lo dicono le statistiche. Vi sono solo casi eccezionali". Rispondendo alle critiche del Consiglio d’Europa, Berlusconi ha detto: "Non mi piace la parola respingimenti". Quanto all’asilo, "ci sono leggi che ci impongono di farlo e diamo asilo a chi viene da Paesi dove non c’è libertà e dove c’è uno stato di polizia. Comunque - ha aggiunto - noi abbiamo sempre uno spirito umanitario". A rispondergli è stato in mattinata Dario Franceschini: "I barconi pieni di disperati sono stati trasformati in uno spot elettorale per le prossime elezioni, come se fossero un manifesto per raccogliere voti e questa è la cosa più immorale". Intanto, anche a livello internazionale la vicenda continua a fare scalpore. Con i "respingimenti" dei migranti l’Italia non rispetta le proprie responsabilità nell’ambito delle regole internazionali. È questa la critica espressa oggi dall’organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani Human Rights Watch (Hrw) che definisce scorretta l’interpretazione del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi delle regole in materia di rifugiati. "Il primo ministro italiano descrive in maniera scorretta gli obblighi dell’Italia", si legge in un comunicato diffuso da Hrw. "Sembra che l’Italia stia tentando di riscrivere il diritto internazionale in tema di rifugiati", dice Bill Frelick, direttore di Hrw per le politiche sui rifugiati. Giustizia: Funzionari Polizia; con le ronde solo maggiori rischi
Asca, 12 maggio 2009
"Se non si torna ad investire sulla sicurezza, se non vengono modificate le norme che limitano l’uso delle intercettazioni, ma vengono invece istituzionalizzate le ronde di cittadini, passeremo in breve tempo da una insicurezza percepita a quella reale". A preconizzarlo è l’Associazione nazionale funzionari di polizia che torna a criticare la sostanza del Ddl del governo al vaglio della Camera. Lo stesso regolamento del ministro dell’Interno Roberto Maroni sulle ronde, secondo il segretario nazionale dell’organizzazione sindacale Enzo Letizia, non servirà a regolare la sicurezza "fai da te" bensì a legittimare la spesa dei fondi sottratti alla polizia. "Non impedirà lo spontaneismo associativo per il controllo del territorio da parte dei comuni cittadini, anzi, assisteremo - ha spiegato Letizia - a un proliferare di rondisti in cerca di padrini politici per accedere ai fondi. La pressione sul governo aumenterà per destinare più fondi alla sicurezza urbana, si consumerà così l’ennesimo assalto alla polizia di Stato. Perché la riduzione di uomini e mezzi delle forze di polizia unita alla limitazione delle intercettazioni provocherà infatti un serio indebolimento del sistema di sicurezza del cittadino dal crimine". Secondo l’Associazione che riunisce i funzionari di polizia lo stesso modello di "tolleranza zero" statunitense, "che si vuol scimmiottare", non ha portato dei buoni frutti. Basta comparare, si sottolinea, i dati sugli omicidi e le rapine commesse a Roma (2,5 milioni di abitanti) e Washington (0,6 milioni di abitanti). Nella capitale italiana nel 2007 (anno del massimo effetto dell’indulto) gli omicidi sono stati 30 e le rapine 4.456, mentre a Washington gli omicidi sono stati 181 e le rapine 3.985. "Perciò, nella capitale italiana - riassume Letizia - si commettono, ogni 100 mila abitanti, una media di 1,2 omicidi e 178 rapine, mentre a Washington si registrano 30 omicidi e 664 rapine ogni 100 mila abitanti". Giustizia: Sappe; più di 62mila detenuti, la situazione è critica
Il Velino, 12 maggio 2009
"L’attuale situazione penitenziaria è davvero arrivata ad un punto di estrema criticità. In soli dodici mesi i detenuti sono aumentati di quasi 10mila unità ed oggi ve ne sono più di 62mila nelle migliaia di celle dei 206 penitenziari italiani. Allarma l’elevato numero di aggressioni di detenuti in danno degli Agenti di Polizia penitenziaria nelle sezioni detentive, ormai nell’ordine delle diverse centinaia. Gli ultimi casi, in ordine di tempo, nelle strutture di Saliceta San Giuliano, Reggio Emilia, Spoleto. Una situazione del genere non è più tollerabile". È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sappe, (sindacato autonomo Polizia penitenziaria). "Servono risposte certe ed urgenti, continua, che non ci sembra siano contenute - almeno da quello che desumiamo dalle indiscrezioni giornalistiche - nel cosiddetto Piano Ionta finalizzato a predisporre interventi straordinari sul sistema penitenziario, incredibilmente a tutt’oggi secretato alle organizzazioni sindacali del Corpo. Il piano straordinario, infatti, non prenderebbe in considerazione le ipotesi di un maggiore ricorso all’area penale esterna per le pene più brevi avvalendosi di sistemi di controllo anche elettronici (come ad esempio il braccialetto elettronico) né la differenziazione dei circuiti penitenziari rispetto alla pericolosità dei detenuti. Non parla affatto di assumere nuovo personale di Polizia penitenziaria, nonostante si preveda un piano di aumento di 18mila posti letto, distribuiti in 18 regioni, di cui 5mila a regime a partire dal prossimo anno". "Intanto - conclude Capece - le inaccettabili aggressioni ai nostri Agenti sono all’ordine del giorno. Auspichiamo un urgente incontro con il Ministro della Giustizia Alfano sulle criticità penitenziarie, nella consapevolezza che ogni ulteriore rinvio comporterà un’assunzione di responsabilità di Ionta e dello stesso Alfano per quanto inevitabilmente potrà accadere di fronte all’inerzia dello Stato a questa emergenza". Giustizia: Dipartimento Giustizia Minorile è destinato a sparire
Ansa, 12 maggio 2009
Il Dipartimento per la Giustizia Minorile è destinato a sparire. Nell’ambito della riorganizzazione del Ministero prevista dai Decreti attuativi, ma anche dal Decreto Brunetta, bisognerà fare una riduzione delle strutture organizzative. Dei 4 Dipartimenti del ministero l’unico ad essere cancellato sarà quello della Giustizia Minorile. I compiti, a livello regionale, saranno dati all’organizzazione giudiziaria. Resterà un Dipartimento a livello centrale che in realtà non avrà più nessun potere d’intervento sui Servizi Minorili. Giustizia: a Padova, dove gli "orizzonti" sono meno "ristretti" di Niccolò Nisivoccia
Il Manifesto, 12 maggio 2009
Una giornata con i redattori di "Ristretti Orizzonti", rivista fatta dai detenuti del carcere di Padova. Per scoprire come assumersi la responsabilità delle proprie azioni attraverso il dialogo con i compagni. Recuperando spazi e tempi considerati ormai perduti. Ornella mi sta già aspettando, il mio treno è arrivato in ritardo; usciamo nella piazza assolatissima davanti alla stazione e ci incamminiamo verso un bar, abbiamo circa un’ora prima di andare in carcere. Ornella è Ornella Favero ed è la fondatrice e il direttore di Ristretti Orizzonti: "Periodico di informazione e cultura dal Carcere Due Palazzi di Padova", nella cui redazione composta esclusivamente da detenuti oggi sono stato autorizzato ad entrare. Ornella è stata insegnante di russo, traduttrice, giornalista; ha una foltissima chioma di capelli castani che quasi le arrivano sugli occhi ed è all’evidenza una donna forte. Ma ha molte sfumature dolci, capisci quasi subito parlandoci; ed è appassionata, e colta. Seduti al bar, le dico che quello che mi piacerebbe è assistere ad una vera riunione di redazione ed essere come il non veduto del racconto di Singer, che tutto osserva senza essere visto; vorrei che tutto si svolgesse come se io non ci fossi e vorrei solo ascoltare, senza inquinare. Ristretti Orizzonti è una rivista bellissima, ed è davvero una rivista "di informazione e cultura". Naturalmente la giustizia e la pena sono i temi d’elezione, ma forse non esistono temi più assoluti: parlare di questi temi vuol dire infatti parlare del mondo, e capire che il bene non può essere nettamente distinto dal male, che tutti siamo capaci dell’uno come dell’altro e che nessuno può essere ridotto all’uno o all’altro una volta per sempre. Non siamo mai solo quello che facciamo, e può essere un soffio di vento a fare la differenza fra il compiere un gesto e il non compierlo. Ma ammetterlo impone intransigenza e sincerità verso se stessi e richiede dunque grande libertà di pensiero, proprio quella che lascia il segno più di ogni altra cosa nella lettura dei numeri di Ristretti Orizzonti. Quello che mi piacerebbe allora è capire come nascano e prendano forma pensieri così liberi nella più tipica delle istituzioni totali, cioè nel più tipico dei luoghi di privazione delle libertà. Ornella mi spiega che per accedere alla redazione bisogna presentare la cosiddetta domandina alla direzione del carcere, ma poi viene ammesso solo chi ha seriamente voglia di impegnarsi; che le riunioni si tengono ogni giorno, dall’una e mezza alle tre e mezza del pomeriggio, e chi vi prende parte ha rinunciato per anni all’ora d’aria, prevista solo in quello stesso frangente della giornata; e che dopo le tre e mezza non sono più previste attività sociali di nessun tipo, dopo la riunione ciascuno torna nella propria cella. La redazione ha anche una sua proiezione esterna, perché da qualche anno ha instaurato un intensissimo rapporto di collaborazione con scuole medie inferiori e superiori di Padova e provincia: quasi cento incontri solo quest’anno scolastico, che significa poco meno di un incontro ogni due giorni. Il programma di collaborazione prevede almeno due incontri con ogni classe, uno a scuola e l’altro in carcere; e l’obiettivo consiste nell’offrire a giovani e giovanissimi la possibilità di aprire sul reato uno sguardo diverso, ripulito dalle opinioni mediatiche. Esporre senza schermi la propria nuda persona, disporsi al racconto di sé e della propria storia ma pure all’ascolto delle paure altrui: è questa la forma probabilmente più seria di prevenzione che sia possibile immaginare, ed è questo dichiaratamente il fine ultimo del lavoro svolto quotidianamente da Ristretti Orizzonti, che proprio sul tema della prevenzione sta organizzando un convegno che avrà luogo nella palestra del carcere il 22 maggio ("Prevenire è meglio che imprigionare"). Intanto è arrivato il momento di andare, Lucia è venuta a prenderci (Lucia è Lucia Faggion ed è una volontaria, assidua frequentatrice di Ristretti Orizzonti). Il carcere di Padova non è nel centro della città, e lo raggiungiamo in macchina in dieci minuti. Davanti all’ingresso ci incontriamo con Elena Baccarin (la quale a sua volta è da un po’ di tempo una presenza pressoché stabile della redazione pur senza esserne parte integrante, come anche Silvia Giralucci, che oggi però non c’è: entrambe sono vittime di reati ed entrambe, attraverso la partecipazione alla rivista, hanno trasformato le proprie esperienze in un’occasione di apertura dialogante proprio verso persone che di reati anche simili a quelli da loro subìti sono state autori). Il tempo di superare i controlli e tutti i cancelli e siamo nella redazione, che è fatta di due stanze grandi e di un lungo tavolo e nella quale vengo accolto calorosamente. Ornella mi presenta e la riunione comincia: l’argomento all’ordine del giorno è l’incontro avvenuto nei giorni scorsi con alcuni studenti. Intorno al tavolo siamo in tanti, e qualcuno sta in piedi. Ornella siede a capotavola, di fianco Elton Kalica e Marino Occhipinti; io sto su un lato, fra Marco Libietti e Daniele Barosco alla mia destra e Lucia alla mia sinistra, e appena più in là Milan Grgic e Serghey Vitali; di fronte a me, Gentian Germani, Prince Maxwho Obayangbon e Maher Gdoura. Poi via via gli altri, fino al lato opposto a quello di Ornella, dove siedono Said Kamel e Franco Garaffoni. Insomma, siamo un gruppo molto misto; degli stranieri, alcuni parlano italiano benissimo mentre altri meno bene, ma c’è comunque una cosa che noto immediatamente, ed è che a tutti è concesso il tempo di parlare con calma, non c’è quell’ansia che impedisce di ascoltarsi. Qui a tutti sono concesse addirittura delle pause di silenzio se occorrono e nessuno mai ne approfitta per infilarcisi e sovrapporvisi: le pause non sono debolezze o indecisioni da sfruttare a proprio vantaggio ma elementi costitutivi del ragionamento, come si conviene; e chi vuole intervenire deve prenotarsi alzando la mano. Il discorso è già entrato nel vivo a cominciare dal primo intervento, che è stato di Marco, critico nei confronti di una certa tendenza ad eludere le domande degli studenti sulle ragioni della commissione di un reato: domande tipiche e spesso identiche perfino nella loro formulazione letterale ("ma non potevi pensarci prima?"), che secondo Marco chiamano ad una precisa assunzione di responsabilità la mancanza della quale rappresenta una forma di mancato rispetto innanzitutto verso se stessi. Le parole di Marco toccano nervi sensibili, e non potrebbe essere altrimenti perché è questo il succo di ogni questione, qui dentro: la piena assunzione di responsabilità verso se stessi e verso gli altri. Non mi stupisce quindi che tutti vogliano dire la loro: alcuni dicono la difficoltà di trovare le parole appropriate da parte di chi parla lingue straniere, e la difficoltà di controllare l’emozione quando ci si racconta comune a tutti; Prince contesta che chi commette un reato sappia sempre e per forza quel che sta facendo, perché il "relativismo culturale" di cui parlano gli "studi antropologici" insegna che spesso fatti considerati come illeciti secondo una cultura non lo sono secondo un’altra; altri aggiungono che è il racconto della propria storia a valere aldilà di tutto, e nessuno ha motivi per mentire o per cambiarla; Marino concorda che sì, la propria storia non si cambia ma c’è modo e modo di raccontarla, e suggerisce di scriverla prima di raccontarla, perché scrivere aiuta a pensare, ad asciugare dal superfluo, ad evitare equivoci. Io ascolto, e mi sembra che stia succedendo quello che speravo, che la mia presenza sia quasi assenza; e mentre la riunione sembra svolgersi come se io non ci fossi, un’altra cosa m’impressiona potentemente come una rivelazione: è la ricerca calibratissima da parte di tutti delle parole più adatte, la loro evocazione dal profondo, un amore per l’esattezza delle cose solo attraverso la quale la realtà può essere detta. Non esiste realtà senza parole, ci ricorda un verso di Biagio Marin; ma occorre aggiungere: non esiste realtà senza parole precise, senza le quali la realtà diventa manipolazione, malinteso, ipocrisia. Ed è un’esattezza delle cose, quella di cui gli interventi che intanto continuo ad ascoltare sono capaci, che arriva a vette quasi metafisiche eppure concretissime, come quando Said - che Marino ha delicatamente rimproverato d’aver abusato d’immagini cruente nella descrizione dell’accoltellamento di cui era stato protagonista - si difende affermando che quella del sangue non era un’immagine del racconto, ma ne era la verità stessa, perché dopo la prima coltellata non c’erano più facce davanti a lui, ma solo sangue; e basterebbe questo a spiegare plausibilmente le ragioni di qualunque reato: il non saper più distinguere e riconoscere, anche solo per un baleno, chi e cosa ci sta davanti e quali saranno le conseguenze delle nostre azioni. Credo che questa attribuzione a cose e parole del loro giusto peso e valore sia già una forma molto alta di assunzione di responsabilità, capace di spiegare anche il suo contrario: cioè l’irresponsabilità della nostra epoca, contraddistinta da un totale disinteresse per la semantica del mondo, sempre di corsa e privi di tempo come diciamo di essere. Ma l’irresponsabilità genera sentimenti retrivi, catene d’odio; e forse allora intuisco come nascono e prendono forma i liberi pensieri di Ristretti Orizzonti: attraverso un recupero di spazi e tempi smarriti, qui invece recuperati per tenace volontà di ciascuno - tempi per capire e spazi per includere, in una dimensione di narrazione collettiva e dialogica di se stessi. È probabilmente in questa volontà il tratto più qualificante della rivista: in una volontà senza la quale non sarebbero possibili riunioni come questa cui sto finendo di assistere, così aperte a qualsiasi pensiero; e senza la quale sarebbe addirittura scandalosa la presenza così discreta e così discretamente accolta di una vittima come Elena (o come Silvia Giralucci). Ma anche qui come ovunque e come sempre il tempo è limitato, pur essendocene in abbondanza: sono le tre e mezza, e gli agenti impongono la chiusura. Ci salutiamo, ripromettendoci di rivederci il 22 maggio, al convegno.
Un periodico per informare dal carcere e sul carcere
Ristretti Orizzonti, "Periodico di informazione e cultura dal Carcere Due Palazzi di Padova", nasce undici anni fa, per iniziativa di Ornella Favero. La rivista assolve anche al ruolo di segreteria della Federazione dell’informazione dal carcere e sul carcere. La redazione è composta esclusivamente da detenuti, attualmente trentadue (di diverse nazionalità). Inoltre, partecipano attivamente alla rivista, pur senza far parte della redazione, alcuni volontari, fra cui Elena Baccarin e Silvia Giralucci, entrambe vittime di reati. Elena Baccarin era stata usata come ostaggio durante una rapina in banca, mentre Silvia Giralucci è figlia di un militante dell’Msi ucciso dalle Brigate Rosse a ventinove anni, quando lei ne aveva tre.
Convegni
Nel corso del tempo, Ristretti Orizzonti ha organizzato diversi convegni, l’ultimo dei quali l’anno scorso dedicato all’ascolto delle vittime e alla giustizia riparativa. Ora un nuovo convegno si terrà il 22 maggio, nella palestra del carcere Due Palazzi di Padova. Il titolo del convegno è "Prevenire è meglio che imprigionare. Ma quale prevenzione, se l’istigazione a delinquere spesso avviene a mezzo informazione?"; e sono state raccolte già quattrocento iscrizioni su poco più di cinquecento posti disponibili (fra operatori del settore, magistrati, avvocati, criminologi, sociologi, giornalisti, semplici cittadini). Parleranno esperti a diversi titoli (Gianfranco Bettin, Elena Valdini, Mauro Grimoldi, Lorenzo Guadagnucci). Interverranno detenuti e vittime di reati (Benedetta Tobagi, figlia di Walter, e Paola Reggiani, sorella di Giovanna, la donna aggredita a Roma da un romeno il 30 ottobre 2007 e morta due giorni dopo). Modererà Adolfo Ceretti, docente di criminologia e coordinatore dell’Ufficio per la mediazione penale di Milano. Per l’iscrizione al convegno e per ulteriori informazioni (anche sulla rivista): www.ristretti.it. Lazio: la denuncia del Garante; nel 2009 già 7 i detenuti morti
Ristretti Orizzonti, 12 maggio 2009
Nelle carceri del Lazio scatta l’emergenza decessi: sono sette quelli noti nei primi mesi del 2009. Il Garante dei detenuti Angiolo Marroni: "Se continua così quest’anno sarà peggiore del 2008, quando registrammo la cifra record di 18 morti". Nel Lazio scatta l’emergenza morti nelle carceri: dall’inizio del 2009 alla fine di aprile sono, infatti, sei i decessi accertati fra le persone sottoposte a limitazioni della liberta personale cui si deve aggiungere il suicidio della donna tunisina della settimana scorsa al C.I.E. di Ponte Galeria. La denuncia è del Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Dei decessi ufficialmente accertati dai collaboratori del Garante, ci sono tre suicidi (uno nel carcere di Velletri, uno in quello di Viterbo e uno nel C.I.E. di Ponte Galeria), uno per malattia (Sandro C. nella clinica "Villa Immacolata" di Viterbo) e tre ancora da accertare (uno nel C.I.E. di Ponte Galeria, uno a Rebibbia Nuovo Complesso ed uno agli arresti domiciliari). Di queste morti le ultime tre si sono verificate il 1 aprile a Rebibbia Nuovo Complesso (Luciano C., 37 anni, trovato morto nella sua cella per cause in corso di accertamento), il 9 aprile, quando Massimo C., 40 anni è stato trovato morto in casa dopo essere stato scarcerato poche ore prima dal carcere di Regina Coeli e il 7 maggio, con l’immigrata tunisina che si è impiccata a Ponte Galeria. "Se in carcere si continua a morire, come adesso, il 2009 sarà ancora peggio dello scorso anno, quando contammo la cifra record di 18 decessi in tutta la regione - ha detto il Garante dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni - Il sovraffollamento, considerando che in tutta Italia siamo ormai arrivati a contare oltre 62mila detenuti, la carenza di personale, di fondi e strutture, la difficoltà a svolgere una adeguata attività trattamentale rendono, di fatto, inapplicabile il dettato Costituzionale sul recupero sociale del reo e fanno del carcere un luogo ancor più invivibile, soprattutto per i più deboli". Puglia: Sappe; dopo riforma in crisi il sistema sanitario carceri
Il Velino, 12 maggio 2009
"Nel mese di luglio scorso tra l’indifferenza quasi generale, il Sappe - Sindacato autonomo Polizia penitenziaria, lanciò l’allarme sulle eventuali disfunzioni che avrebbe provocato al sistema penitenziario pugliese, il passaggio della sanità penitenziaria a quella pubblica. Sicuramente ciò non è una problematica solo pugliese poiché lo sciagurato D.p.r. del 1 aprile 2008 (che avrebbe dovuto migliorare la qualità della sanità ai detenuti) investe il sistema penitenziario nazionale, ma quello che sta accadendo nelle carceri pugliesi è preoccupante poiché abbiamo registrato in alcuni casi diminuzione dell’assistenza ai detenuti ma soprattutto l’aumento vertiginoso delle uscite dei detenuti che vengono trasportati presso strutture sanitarie esterne, anche per togliere punti di sutura, fare medicazioni, cure dentarie semplici radiografie, patologie che prima erano trattate all’interno delle carceri (circa 1400 uscite di detenuti nei sei mesi prima, e circa duemila uscite nei sei mesi dopo il passaggio)". A dichiararlo è il segretario regionale Federico Pilagatti. "Nei giorni scorsi - aggiunge - il Sappe ha trasmesso un dettagliato resoconto della situazione al presidente della regione, all’assessore alla Sanità, al ministro della Giustizia, ai prefetti e magistrati di sorveglianza pugliesi denunciando con numeri alla mano, la gravità della situazione che rischia si sfuggire di mano, soprattutto in un momenti come questo in cui, la popolazione detenuta pugliese ha superato le quattromila unita a fronte di non più di 2.200 posti, in strutture fatiscenti e con grave carenza di poliziotti penitenziari tanto che in alcune carceri, un solo agente deve sorvegliare fino a 100 detenuti. Nel 2006 prima dell’indulto i detenuti in Puglia non superavano le 3600 unità". "Ciò - prosegue Pilagatti - oltre a creare forti disagi alla polizia penitenziaria che deve comunque assicurare l’accompagnamento dei detenuti presso le strutture pubbliche (nonostante la carenza degli organici) sguarnendo ancora di più le sezioni detentive, sta diventando un serio problema di ordine pubblico poiché tantissimi detenuti (ergastolani, o appartenenti alla criminalità organizzata, mafia, camorra, ndrangheta) che non hanno nulla da perdere, percependo una maggiore possibilità di uscire dal carcere,potrebbe mettere in essere azioni violente, anche eclatanti, attraverso aiuti esterni. Tali azioni se praticate in vicinanza di luoghi popolati quali ospedali o strutture sanitarie, potrebbero provocare tragiche conseguenze sia al personale di scorta che ad inermi cittadini che avrebbero l’unico torto di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato". "Il Sappe - conclude il segretario regionale - apprezza la responsabilità nonché l’interesse con cui la regione Puglia segue la vicenda, ma si aspetta che vengano messi in campo con urgenza, tutti i correttivi che possano far invertire la tendenza. Significativa è stata poi la disponibilità mostrata nel voler garantire i mezzi e le risorse necessarie per migliorare l’assistenza ai detenuti, nonché a ridurre in maniera significativa le uscite dei detenuti dai penitenziari". Milano: i Radicali visitano San Vittore; situazione drammatica
Ansa, 12 maggio 2009
L’istituto di pena milanese è sovraffollato e le condizioni di vita all’interno sono "disastrose". Nel carcere ci sono oltre 1.400 detenuti, contro una capienza regolamentare di 900. Una delegazione dei Radicali ha visitato la casa circondariale e il Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli nel capoluogo lombardo, denunciando la situazione. La delegazione era composta dal deputato Elisabetta Zamparutti, dal segretario dell’Associazione Enzo Tortora, Valerio Federico, da Alessandro Litta Modigliani, membro della direzione nazionale dei Radicali e dal medico dell’Humanitas, Chiara Oggioni. "Abbiamo trovato a San Vittore una situazione drammatica, addirittura peggiore delle ultime volte", ha detto Federico, che poi parlando del Cis ha aggiunto: "Per via Corelli siamo soprattutto colpiti dalle storie personali dei singoli ospiti. Ce ne sono alcuni che vengono da carceri dove hanno scontato interamente la loro pena e quindi sono già stati riconosciuti, ma sono stati mandati per un supplemento di pena del tutto ingiustificato ed inapplicabile in questi altri istituti di pena". L’esponente radicale ha insistito: "Ci ha colpito la storia di due ragazzi che sono cresciuti in Italia da genitori ambedue residenti in Italia e italiani, che hanno fatto la scuola italiana, parlano addirittura con un dialetto locale ed appena hanno compiuto la maggiore età sono stati privati del permesso e rinchiusi". Per Modigliani "ci sono due raggi del carcere di San Vittore, il terzo e il quinto, che funzionano come dei pezzi di un carcere normale e ci sono altri due raggi, il secondo e il quarto, che sono in questo momento chiusi". Elisabetta Zamparutti ha dichiarato: "Ci sono 1200 persone per novecento posti ed io davvero inviterei il ministro a venire a visitare il carcere, ci sono nove persone, dico nove persone, per meno di nove metri quadrati, con una cucina inventata lì per lì, accanto al water". La situazione in carcere è stata definita "disastrosa, allarmante e drammatica", in particolare nelle zone non ancora sottoposte a ristrutturazione. Il Cie invece è stato trovato in condizioni relativamente "migliori", anche se con le porte arrugginite, sporco e con una assistenza sanitaria che per nulla si interessa di "prevenzione". Mantova: i Radicali in visita all’Opg; più ospedale che prigione di Roberta Marcuccilli
La Gazzetta di Mantova, 12 maggio 2009
C’è chi cammina con gli occhi rivolti verso il basso, chi osserva la vita attraverso le sbarre. Chi guarda la tv, chi gioca, chi piange. Ritratto d’un ospedale psichiatrico giudiziario, quello di Castiglione delle Stiviere, dove vivono duecento pazienti. Novanta donne. Tutti figli di una strana relazione, quella fra delitto e malattia dell’anima. Soprattutto casi di schizofrenia, ma anche disturbi psichici, affettivi e ritardi mentali. Ieri alcuni radicali candidati alle europee per la circoscrizione nord-ovest, presenti due parlamentari, hanno visitato la struttura mantovana. La loro intenzione era quella di valutare capienza e condizioni di vita ed assistenza degli internati. Un blitz inaspettato, il loro, da cui l’Opg di Castiglione delle Stiviere esce decisamente a testa alta. Nessun problema di sovraffollamento, un personale numeroso (205 unità) ed efficiente, una sorveglianza costante. Ma questo, a quanto pare, avviene solo a Mantova. "Gli altri ospedali psichiatrici italiani - denunciano i radicali - sono a tutti gli effetti delle carceri". Ma a Castiglione ci si sente più in ospedale che in prigione. Non ci sono agenti di polizia penitenziaria e la vigilanza è affidata a personale specializzato. Medici, educatori, psicologi, infermieri e ausiliari. collaborano per il reinserimento sociale del paziente. È anche l’unico Opg in Italia ad avere un reparto femminile. "Questa struttura - spiega Farina Coscioni, tra i fautori dell’ispezione a sorpresa - si distingue per il carattere prettamente sanitario. Resta però un problema che non possiamo sottovalutare: il superamento di questi ospedali. È opportuno trovare una collocazione diversa a tutte quelle persone che non rappresentano più un pericolo. Una volta appurato il buon esito del processo riabilitativo, che ne sarà di loro? Dove andranno?". "Quello che abbiamo visto oggi - aggiunge Michele Rana - è un esempio positivo, un modello che funziona. Ma altrove non è così. Riconosciamo al direttore Antonino Calogero il merito di fare del suo meglio, ma non basta. La nostra volontà politica è quella di trasformare gli ospedali psichiatrici giudiziari, affinché la salute prevalga sulla sanità". Dal canto suo, il direttore Calogero è soddisfatto: "I parlamentari hanno tutto il diritto di ispezionare e fare un quadro della situazione. Non abbiamo motivi per essere perplessi". Sotto il sole, alla Ghisiola, è un viavai di gente. Tante visite, soprattutto la domenica. I pazienti sono in giardino, nelle sale di gioco, davanti a un libro. In settimana fanno anche sport: idro-ginnastica, gare di bocce, tornei di tennis, ping-pong. Qualcuno dipinge, qualcun altro gioca a carte. Ci sono corsi di cultura generale, storia della poesia, del teatro. C’è la vita che va avanti. È vero, molti di loro hanno sbagliato, ma la rieducazione e il recupero restano l’obiettivo primario. Qui interessa salvare la dignità delle persone, non giudicarle. Trattarle come pazienti e non reclusi. Riportarle alla normalità, o, almeno, provarci. Agrigento: Uil; sezioni lunghe 80 metri ma senza una finestra di Erika Grado
Agrigento Notizie, 12 maggio 2009
Il segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, si è recato sabato scorso in visita al carcere di contrada Petrusa, nel corso della quale ha discusso su diverse tematiche riguardanti la struttura, tra le quali il numero di clandestini al suo interno e l’individuazione di un villino per mamme detenute con figli di età inferiore a tre anni. "La visita alla casa circondariale - ha detto Sarno - ci consegna un quadro denso di contraddizioni. La struttura penitenziaria, a prima vista, si presenta molto bene ed è ben curata, ma non assicura condizioni ottimali di vivibilità. Chi ha progettato quel penitenziario doveva essere un grande incompetente, e questa non è una novità. Mi chiedo come si sono potuti realizzare ambienti detentivi senza alcuna finestra. Ad Agrigento nessuna delle otto sezioni, lunghe anche 80 metri, ha alcun punto luce naturale. Non sono aerate perché mancano le finestre e lasciamo immaginare la commistione di odori, meglio dire di puzze, che albergano in quei corridoi. Ancor più in presenza di un sovrappopolamento della struttura. Non bastasse, le celle sono costruite ad "L" ed impediscono al personale di sorveglianza una completa vista dei locali. Affiderò gli esiti della visita, come da prassi, ad una dettagliata relazione che invierò ai vertici dipartimentali e al Provveditore Regionale. Occorre - ha inoltre sottolineato Sarno - agire urgentemente anche per ripristinare le dovute condizioni di igiene. Le garitte del muro di cinta sono invase e pervase da nidi di uccelli, con notevole sedimentazione di escrementi. Il perimetro delle sezioni è invaso dai rifiuti che i detenuti gettano dalle finestre favorendo il proliferare delle colonie di ratti e di gatti. La gestione del personale presenta qualche lacuna ed occorre ridefinire l’organizzazione del lavoro. Da un dato immediatamente rilevabile abbiamo anche potuto accertare che il 30 percento degli ingressi è costituito da persone, in genere proveniente dal Ctp di Lampedusa, arrestate in flagranza di reato per le quali è previsto il giudizio per direttissima. Mi pare doveroso sottolineare che queste persone non possono essere allocate in carcere ma dovrebbero permanere nelle camere di sicurezza delle caserme della varie forze dell’ordine. Invito, pertanto, la procura di Agrigento a rivedere queste disposizioni, in quanto palesemente contra legem e il competente ufficio del Dap ad approfondire la questione. Riguardo alla struttura per le mamme detenute io sono certo che il ministro Alfano è fermamente intenzionato a risolvere la barbarie dei bambini in carcere. L’individuazione di ambienti detentivi compatibili ci pare una delle possibili soluzioni. Però se a Favara si acquisisce un villino per ospitare detenute mamme e poi non lo si attiva per la mancanza di personale, una qualche contraddizione evidente emerge. Alfano - ha concluso il segretario generale della Uil Penitenziari - sa bene che quella dell’organico della polizia penitenziaria è una emergenza nell’emergenza, pertanto spinga quanto può per superare il blocco del turn-over per la polizia penitenziaria anche proponendo un piano di assunzioni straordinarie. Si avvicina l’estate e le ferie sono a rischio da Aosta ad Agrigento. Basti pensare che nella sola Sardegna sono circa 47mila le giornate di congedo ordinario non fruite dalla polizia penitenziaria nel quadriennio 2005-2008". Milano: i detenuti di Bollate, che "rigenereranno" i computer
Ansa, 12 maggio 2009
Nuove opportunità di reinserimento per i detenuti di Bollate, il carcere alle porte di Milano: questa è la finalità dell’incontro tra la direttrice dell’istituto penitenziario, Lucia Castellano, e la cooperativa sociale Retech Life Onlus. La cooperativa rappresenta un nuovo modello di impresa sociale e ambientale che si fonda sulla considerazione che il lavoro, da solo, non basta al recupero della dignità della persona e al suo pieno reinserimento nel tessuto sociale. In più, è necessaria una dimensione imprenditoriale in cui il personale carcerario lavora fianco a fianco con i tecnici della cooperativa in un luogo neutro, fuori dal carcere. Dal 2006, anno di fondazione, a oggi, grazie all’impiego di 15 persone che lavorano ogni giorno, sono più di 178mila le apparecchiature informatiche movimentate da Retech life. La cooperativa nasce infatti come modello di impresa sociale che si basa su nuovo approccio ai temi ambientali, in particolare al Raee, trasformandoli in occasioni di sviluppo e di occupazione per il personale soggetto a detenzione. La cooperativa rigenera ogni anno migliaia di computer dismessi da grandi aziende per poi destinarli a scuole, progetti sociali in Italia, in paesi in via di sviluppo e, in parte, al mercato dell’usato. Insomma, Retech life rappresenta un caso di integrazione fra impresa sociale e impegno ambientale. A questo modello di integrazione guarda il mondo carcerario di Milano e della Lombardia, per offrire una reale opportunità di reinserimento nel mondo del lavoro alla popolazione detenuta grazie alla rigenerazione dei computer. Sassari: il corso pizzaiolo per i detenuti, per un futuro migliore
La Nuova Sardegna, 12 maggio 2009
L’idea è nata in un ufficio del carcere ed è stata messa a punto davanti a una pizza fumante. Non poteva essere altrimenti, visto che Massimiliano Cilia ha fatto delle pizze una vera e propria arte. Il "pizzaiolo acrobatico", come è stato ribattezzato per la sua spettacolare capacità di maneggiare la pasta delle pizze, ha insegnato il mestiere a nove detenuti della casa circondariale di San Sebastiano. Nove apprendisti pizzaioli che ieri, sotto gli sguardi ammirati dei compagni di reclusione, hanno ritirato altrettanti attestati di frequenza di un corso superveloce che Cilia ha tenuto per loro dietro le sbarre. Prima, però, i nove hanno dovuto dare prova di quanto avevano imparato confezionando pizze per tutti. È andata benissimo, ovviamente, anche perché a controllare che nessuno degli allievi commettesse errori c’erano il maestro e i veri ideatori della bella iniziativa: i Tressardi, vale a dire i fratelli Umberto, Gigi e Angelo Graziano. "Sono stati loro a proporci questo corso e a organizzarlo" racconta con grande soddisfazione la direttrice della casa circondariale, Elisa Milanesi. Grazie al quello che ieri sembrava un gioco, forse nove persone hanno imparato un mestiere. Tutto è cominciato quando dal carcere è arrivata la proposta ai Tressardi di fare uno spettacolo per i detenuti. Nella casa circondariale sassarese, i tre fratelli cabarettisti sono molto amati per le loro impareggiabili gag incentrate sui tic e i tormentoni cittadini. L’invito a dare spettacolo quindi non li ha sorpresi, ma questa volta i tre artisti hanno voluto allargare l’invito al loro amico pizzaiolo Massimiliano Cilia. L’acrobata della quattro stagioni ha accettato e, appunto davanti a una pizza, ha proposto alla direttrice del carcere di fare lezione a qualche detenuto. Lezioni veloci in cinque pomeriggi trascorsi in cucina, per trasmettere giusto i rudimenti dell’arte di impastare e di condire le pizze. Quanto basta, comunque, a guadagnare un attestato di partecipazione alle lezioni di un istruttore accreditato. "Tressardi e Cilia hanno fatto tutto da soli - racconta la dottoressa Milanesi -, anche trovato gli sponsor che hanno interamente finanziato l’iniziativa: Marongiu Catering, Cedinord srl, Coapla e Cinque Stagioni. Noi abbiamo messo a disposizione solo i locali, gli allievi, l’acqua e il sale per le pizze". L’esperimento è riuscito e ha dato lo spunto per uno spettacolo gastronomico che ieri ha visto impegnato Cilia nei suoi numeri pizzaioli acrobatici, i Tressardi nei loro strepitosi sketch, ma anche nove futuri pizzaioli. Già a metà mattinata il profumo di pizza appena sfornata ha invaso ogni angolo della casa circondariale. Al termine dello spettacolo, tranci di pizza fumante sono stati distribuiti ai detenuti, direttrice, educatori e agenti della polizia penitenziaria. L’esperimento realizzato a San Sebastiano non dovrebbe limitarsi al tempo di una pizza. La riuscita della iniziativa, infatti, ha dato spunto a un progetto a più vasto respiro. Il corso per pizzaioli, quindi, potrebbe diventare una delle (scarse per mancanza di fondi ministeriali) offerte di formazione professionale nella casa circondariale di Sassari. Chissà che da un momento difficile, come è certamente la detenzione, non possano scaturire anche le competenze professionali per svoltare definitivamente la vita una volta fuori dal carcere. Enna: carcere affollato e protesta agenti, situazione esplosiva
Ansa, 12 maggio 2009
Carceri sovraffollati e personale in stato di agitazione per una situazione che potrebbe diventare esplosiva. Se ne è fatto interprete l’Organizzazione sindacale autonoma di Polizia Penitenziaria, che, attraverso il segretario provinciale, Gianfranco Greco, ha inviato una nota dove si denuncia la grave situazione in cui versano, in questo momento, gli istituti penitenziari della provincia, che registrano un sovraffollamento di detenuti e nel contempo una carenza di personale di polizia e di tutte le figure degli operatori che vi lavorano dal personale amministrativo a quello educativo,a quello sanitario. "La situazione è maggiormente aggravata - sottolinea Gianfranco Greco - dalle strutture fatiscenti che rendono al vita dei detenuti ancor di più invivibile, perché ammassati in stanze idonee al massimo per 6-8 detenuti,quando invece ne ospitano da 10 a 12, dal taglio alle spese con conseguente riduzione dello strumento per il trattamento penitenziario del lavoro, delle spese penitenziarie. In queste condizioni non si possono garantire nemmeno le regole minime di normale civiltà". L’Osapp lancia un grido di allarme verso le istituzioni preposte a prendere quei provvedimenti urgenti e necessari che consentano di garantire quanto previsto dalle leggi e dai regolamenti vigenti. Se non ci sono interventi urgenti si rischiano conseguenze gravi per chi lavora Lecce: "Fuga di notizie", un giornale realizzato dalle detenute
Ansa, 12 maggio 2009
Dall’idea di un gruppo di giovani operatori sociali e giornalisti, nasce "Fuga di Notizie", il primo giornale di informazione e approfondimento realizzato interamente dalle detenute del carcere Borgo San Nicola di Lecce e all’interno del settore femminile dell’Istituto penitenziario. Si tratta di un Progetto pensato e messo in essere dall’Associazione Il Borgo Onlus di Lecce, vincitore del concorso Principi Attivi - Giovani Idee per una Puglia Migliore promosso dalla Regione Puglia e sostenuto anche dall’Ufficio della Consigliera di Parità Provinciale. La Conferenza stampa di presentazione del Progetto è tenuta stamattina, presso la Sala Stampa di Palazzo Adorno a Lecce. Sono intervenuti Maria Sasso, Dirigente Assessorato alla Trasparenza e Cittadinanza Attiva - Regione Puglia; Loredana Capone, Vicepresidente della Provincia di Lecce; Serenella Molendini, Consigliera di Parità Provinciale; Anna Rosaria Piccinni, Direttore del Supercarcere "Borgo S. Nicola" di Lecce; Patrizia Calabrese, Direttore dell’Uepe - Ufficio Penale Esecuzioni Esterne - Lecce; Marta Morello, Presidente dell’Associazione Il Borgo Onlus. Roma: studenti liceali fanno visita a Rebibbia, contro il bullismo
Il Tempo, 12 maggio 2009
L’iniziativa "Stop al Bullismo, tu bulli io no" è sbarcata al Carcere di Rebibbia. Ieri mattina alcune scolaresche delle medie superiori della Capitale accompagnate da psicologi, psichiatri ed educatori hanno visitato l’Istituto Penitenziario della Capitale dove hanno incontrato alcuni detenuti impegnati in un progetto teatrale legato al fenomeno del bullismo. La visita è stata organizzata dalla Presidenza del Consiglio comunale di Roma. "Il giorno della presentazione del progetto, - ha spiegato il presidente Marco Pomarici - molto prima che scoppiassero le polemiche sulle dichiarazioni del sindaco Alemanno abbiamo avuto tra i testimonial Francesco Montanari, che nella serie Romanzo Criminale è interprete del "Libanese". Lo avevamo scelto apposta per dire ai ragazzi che il suo personaggio era un eroe negativo da non imitare. Il rischio emulazione che ha preoccupato il sindaco è concreto ed è confermato anche dalle parole degli attori che vengono sistematicamente elogiati per strada da molti ragazzi, come lo stesso Montanari ci ha confermato. Ho detto agli studenti che il vero "Libanese", alias Franco Giuseppucci, finì recluso qui dentro per le sue "prodezze" - prosegue - Questa visita è stata realizzata con l’ausilio degli specialisti della collaborazione e grazie alla disponibilità del direttore Cantone per introdurre i giovani ad un luogo di sofferenza ma anche di riabilitazione, un luogo che può essere la conseguenza di atteggiamenti delinquenziali, come l’uso dei coltelli, ai quali molti giovani si prestano senza la consapevolezza della gravità e delle conseguenze". Dopo il carcere, Stop al Bullismo farà tappa al Bioparco di Roma. Questa volta parteciperanno studenti delle scuole medie. Immigrazione: Consiglio d’Europa e Fini, sono critici con Maroni
La Repubblica, 12 maggio 2009
Un colpo da Fini e uno dal Consiglio d’Europa. Uno più duro dell’altro. Contro Maroni e la politica di ributtare in Libia gli immigrati prima di qualsiasi verifica sui possibili diritti d’asilo, indifferente a bambini e donne incinte. Con il ministro dell’Interno resta quello degli Esteri Frattini ("Attuiamo le norme europee"), ma anche chi, tra gli ex di An come La Russa e Ronchi, mal vede le aperture umanitarie del presidente della Camera. Alla vigilia della fiducia a Montecitorio sul pacchetto sicurezza (sarà posta oggi, votata domani e giovedì), la svolta di Maroni continua a dividere la maggioranza, ma anche il Pd. L’interrogativo è uno: l’Italia può respingere in Libia gli stranieri senza verificare se c’è chi avrebbe diritto all’asilo? La Chiesa si è spesa con tante voci per un no netto. Fini l’aveva anticipato subito e ieri l’ha ridetto mentre era ad Algeri per un incontro con il presidente Bouteflika. "Non si può dire che respingere l’immigrato che entra clandestinamente violi il diritto internazionale, ma abbiamo il dovere di verificare se tra i respinti c’è chi ha diritto di chiedere asilo". Soprattutto perché "è noto che in alcuni paesi non vengono rispettati i diritti dell’uomo". È quanto sostengono l’Onu e organizzazioni come Amnesty International e Save the children. Perché non ci siano equivoci, Fini ribadisce: "Un conto è l’immigrato clandestino, un conto chi può chiedere l’asilo". Esulta il segretario di Rifondazione Ferrero perché "dice cose di buon senso, parla da esponente di una destra europea, né fascista né razzista". Fascismo e razzismo che "starebbero nel governo". In contemporanea, a Bruxelles, parla Thomas Hammarberg, il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, che ha già bacchettato Maroni per via dei rom e del Cpt di Lampedusa. "Spero che l’Italia non vada avanti con questa politica perché la sua iniziativa mina totalmente il diritto di ogni essere umano di chiedere asilo". E ancora: "Io sono totalmente in linea con la posizione del Vaticano". A bilanciare le sue parole ci sarebbe, ma a dirlo è la sottosegretaria agli Esteri Margherita Boniver, quanto le avrebbe comunicato il commissario Ue per la giustizia Jacques Barrot. Un via libera all’operazione italiana con l’appoggio anche all’ipotesi di aprire in Libia un punto Ue o Onu per gestire i clandestini. Per Hammarberg un’idea non "risolutiva". Respingere o accogliere? Destra e sinistra si dividono. Come nel Pd dove Rutelli è favorevole ai respingimenti ("Basta con le ipocrisie"), Franceschini e Bersani contro. E mentre 69 migranti, su un barcone a 70 miglia da Lampedusa (quindi in acque Sar, "search and rescue", maltesi), vengono recuperati dalla nave Spica della Marina militare cui Malta rifiuta l’ingresso in un suo porto. Ne nasce uno scontro, l’ennesimo, tra i due stati. Ma il salvataggio passa in secondo piano perché gli approdi in Italia diventeranno un’eccezione. Lo prova il sostegno che tre ministri, La Russa (Difesa), Alfano (Giustizia) e Ronchi (Politiche comunitarie) danno a Maroni. Il primo va contro Fini perché "il diritto d’asilo va esaminato solo quando si entra in acque italiane". Il secondo definisce l’asilo "un diritto soggettivo". Il terzo rampogna Hammarberg che "non conosce la realtà italiana" e lo sfida a chiedere alla Ue di "assumersi l’onere dei clandestini". È il tema posto da Maroni, che vede d’accordo Casini (Udc) e Nucara (Pri), ma su cui l’Europa non ha finora risposto. Glielo rimprovera il leader siciliano dell’Mpa Lombardo che boccia i respingimenti ("Non mi piacciono per nulla, la penso come il Vaticano"), ma critica la Ue che "predica bene e razzola male perché non investe in quei paesi". Immigrazione: Mantovano; a Strasburgo si parla senza sapere
Il Tempo, 12 maggio 2009
"Su 31.000 persone solo l’8% erano rifugiati politici". Interviene sulla questione immigrazione il sottosegretario agli Interni Mantovano: "L’Ue dovrebbe collocare nei territori libici proprie postazioni per valutare le richieste di asilo "Thomas Hammarberg? Quello che parla sempre senza sapere come stanno effettivamente le cose? Le dico solo che non è la prima volta che lancia strali verso l’Italia vedendosi poi costretto a rimangiarsi tutto. Non vuole accettare che il nostro ruolo nella gestione del problema clandestini è fondamentale in Europa. Non voglio essere polemico ma bisogna capire da che pulpito viene la predica". Il sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano, non ha proprio digerito le denunce del commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa, e tuona: "I nostri interlocutori siedono in Commissione europea. Lui non ne fa parte, è solo il presidente di un comitato".
Sottosegretario, polemiche a parte, vorrebbe spiegare come mai ancora una volta Malta ha negato l’attracco alla nave italiana? "Non voglio dichiarare guerra a nessuno soprattutto se si tratta degli amici di Malta, ma non è possibile che ogni volta succedano queste cose. Pensi che loro godono dei nostri stessi contributi per gestire le funzioni di soccorso in mare. L’Ue ci mette a disposizione circa venti milioni di euro all’anno con l’unica differenza che noi soccorriamo, loro no".
Crede sarà possibile trovare una soluzione al problema? "Quello che mi auguro è che a breve la Commissione detti delle nuove regole. Come possiamo chiedere la collaborazione ai Paese fuori dall’Ue come la Libia se poi, al nostro interno, litighiamo?".
Se dovesse dare un suggerimento? "Le faccio un rapido esempio molto significativo. Ci accusano, introducendo il respingimento, che non riconosciamo i diritti di asilo politico a chi tra i clandestini ne avrebbe bisogno. Nel 2008 sono state presentate circa 31 mila domande di asilo. L’8% di queste hanno avuto il riconoscimento dello status di rifugiato. Ad un altro 30% è stata garantita una protezione umanitaria. Crede che sia corretto accogliere tutti i clandestini se solo in minima parte godono di particolari diritti?"
Quindi cosa propone? "Sarebbe giusto, come ha sostenuto anche il ministro Frattini, che l’Ue, concorde con la Libia, decida di collocare nel loro territorio delle postazioni, gestite dalla stessa Commissione, che raccolgano le domande di asilo politico. Questo eviterebbe molti "viaggi della disperazione" e soprattutto permetterebbe di destinare, chi fa richiesta di asilo politico, anche ad altri Paesi comunitari. Pensi che sia Fassino che Rutelli hanno condiviso questa idea".
Un’apertura da sinistra che manca però sul ddl sicurezza. "Nemmeno io, come loro, sono d’accordo sull’equazione immigrazione uguale sicurezza. Quella giusta però non si discosta molto ed è: immigrazione clandestina uguale favore alla criminalità. Con il ddl sicurezza noi andiamo a porre delle regole fisse. Basta con penitenziari dove i detenuti clandestini sono dieci volte quelli regolari".
Che immagine uscirà domani dell’Italia? "L’Italia come sempre sta dando una dimostrazione di grande sensibilità. Al primo posto mette sempre la tutela della vita e delle persone. Dall’altro lotta perché gli accordi internazionali vengano rispettati, ma non sentirà mai che per rispettare il secondo punto si metta a repentaglio il primo. Questa è la lezione che l’Italia dà sia a Malta che a tutta la Commissione europea". Francia: due detenuti riconosciuti come "coppia convivente"
Ansa, 12 maggio 2009
Due detenuti si fanno riconoscere come "coppia convivente" e riaprono il dibattito nel Paese sul sesso nelle prigioni. La storia di un amore nato dietro le sbarre di una prigione del sud della Francia. La cosa non sarebbe notizia da prima pagina se non fosse che i due detenuti vivono in coppia nella stessa cella e hanno anche siglato un Pacs, l’unione civile tra conviventi molto diffusa in Francia. Per la stampa francese si tratta di un fatto unico. "Non ci sono precedenti" ha sottolineato una giurista dell’Osservatorio internazionale delle prigioni, intervistata dal quotidiano Liberation. La vicenda non solo ha riaperto il dibattito su un argomento molto delicato, quello del sesso nelle prigioni, ma - da quando ne ha scritto il quotidiano locale Sud Ouest - ha creato tensioni nelle stesse prigioni, al punto che ora i due detenuti temono di venir separati. I due, uno di una sessantina d’anni, l’altro sui quaranta, si sono incontrati nell’istituto di pena di Eysses, nel sud-ovest, dove scontano entrambi una lunga condanna. Dopo diverse domande e ricorsi, ha raccontato Liberation, hanno finalmente ottenuto di dividere la stessa cella e l’estate scorsa hanno così potuto stipulare un Pacs perché, come vuole la legge, vivono sotto lo stesso tetto. In questa prigione, dove gli amori gay non sono "autorizzati" ma "tollerati", e dove i preservativi circolano anche se i rapporti sessuali sono vietati, l’amministrazione centrale ha permesso al cancelliere del tribunale di venire sul posto per la firma ufficiale dell’unione. I due hanno quindi potuto vivere tranquilli la loro storia d’amore sotto gli occhi indulgenti delle guardie. Fino a quando la loro vicenda non è diventata di dominio pubblico. È stato un detenuto della stessa prigione a parlarne all’associazione La Mouette, per denunciare quella che secondo lui è "un’ingiustizia". Non senza ragione il detenuto ha dichiarato "Perché io posso a malapena appoggiare una mano sul ginocchio della mia ragazza in parlatorio?". Altre voci di detenuti si sono unite a questa. "Perché se io avessi una moglie non avrei lo stesso diritto? Se si accettano le coppie in prigione allora deve valere per tutti", ha aggiunto un altro prigioniero parlando con Sud Ouest. Usa: il test del dna scagiona detenuto dopo 24 anni di carcere
Ansa, 12 maggio 2009
Dopo 24 anni di ingiusta detenzione è uscito oggi dal carcere di Tampa, in Florida, Alan Crotzer. A dimostrare la sua innocenza è stato il test del Dna. L"uomo, che ha 45 anni, era stato condannato a 130 anni di reclusione per rapina a mano armata, stupro e rapimento di due donne, madre e figlia. A notare delle incongruenze nel suo caso era stato un pubblico ministero di Tampa che aveva chiesto il test del Dna, riaprendo di fatto il caso. Lo Stato dovrà risarcire Crotzer con circa due milioni di dollari, ma l"uomo ha dichiarato: "niente potrà compensare quello che mi è stato fatto". Quella di Crotzer è l"ultima d"una serie di vicende analoghe: dal 1981 a oggi, in 31 stati americani, sono 172 le persone ingiustamente condannate che sono tornate in libertà grazie al test del Dna. Brasile: Battisti; non arriverò vivo in Italia, ho troppa paura Alfano: nulla da temere, le nostre carceri sono sicure...
Adnkronos, 12 maggio 2009
L’ex militante dei Pac: "Non penso che lascerò scegliere la mia morte ad altri". Il ministro La Russa: "Sfrontatezza senza limiti, se davvero meditava il suicidio avrebbe potuto pensarci dopo gli omicidi da lui commessi". Amnistia ai terroristi? La proposta di Cossiga accende il dibattito tra i Poli. Cesare Battisti dichiara di aver "troppa paura" di venire in Italia e afferma che non vi arriverà vivo. "Non andrò in Italia, non arriverò vivo in Italia, ho troppa paura di arrivare in Italia, vi sono delle cose che si possono ancora scegliere, è il momento della nostra morte", ha dichiarato dal Brasile l’ex militante dei Pac, intervistato dalla rete televisiva franco-tedesca Arte mentre è in attesa della sentenza della Corte Suprema brasiliana sulla richiesta italiana di estradizione. "Non penso che lascerò scegliere la mia morte ad altri, per l’ingiustizia del governo italiano", ha proseguito Battisti, attualmente in carcere in Brasile. "Trent’anni dopo - afferma ancora - mi mettono in carcere per dei crimini che non ho commesso, non ho mai ucciso, facevo parte di un’organizzazione armata... ero un militante qualsiasi e hanno fatto di me il mostro, l’assassino". Immediata la replica del ministro della Difesa, Ignazio La Russa: "Quella di Battisti è una sfrontatezza senza limiti. Se davvero meditava il suicidio avrebbe potuto pensarci dopo gli omicidi da lui commessi" ha dichiarato il titolare della Difesa. Battisti "non ha nulla di cui aver paura - ha assicurato da parte sua il ministro della Giustizia, Angelino Alfano - perché le nostre carceri sono sicure e sono luoghi dove vengono rispettati i diritti individuali dei singoli cittadini". A stretto giro anche la replica dell’Udc. "Battisti ha paura dell’Italia? È il nostro Paese, semmai, che ha avuto paura e continua ad averne di terroristi efferati come lui - afferma il presidente dei senatori dell’Udc Gianpiero D’Alia - Le sue vergognose dichiarazioni dall’esilio dorato sudamericano infangano ancora una volta la memoria delle vittime della sua carriera terroristica e irridono famiglie che attendono giustizia da troppo tempo. Se il Brasile non restituirà Battisti all’Italia, non ci sarà altra soluzione che interrompere ogni tipo di relazione tra gli Stati: non si può condividere nulla con chi ha gli stessi canoni di giustizia di un terrorista pluriomicida".
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