Rassegna stampa 6 luglio

 

Giustizia: CNVG; il "pacchetto sicurezza" e la resa dei diritti

 

Ristretti Orizzonti, 6 luglio 2009

 

L’analisi di Elisabetta Laganà, presidente Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia e Seac, dopo l’approvazione del "pacchetto-sicurezza".

L’ennesimo colpo sui diritti è stato sferrato dall’approvazione del pacchetto sicurezza. Ancora una volta la politica si dimostra sorda ai richiami della Chiesa e di tutte le associazioni ed organizzazioni, quotidianamente impegnate in questi settori, che sulla base delle loro quotidiane esperienze si sono attivate per dimostrarne la crudeltà e l’insensatezza dei contenuti della nuova legge. Associazioni che, anche nei prossimi giorni, continueranno con voce forte a ribadirne i contenuti di negazione della democrazia per alcune fasce di persone: voci trattate come echi lontani, metabolizzate nel tritacarne di una politica cieca e sorda alle forme di rappresentatività democratica espressa dalla cittadinanza. Voci neutralizzate nella loro testimonianza di resistenza, oppure utilizzate solo in circostanze di opportunità.

Questa ennesima mossa segna un punto ulteriore verso la quotidiana ingiustizia a danno dei soggetti più deboli, frutto di un populismo penale che promuove il "diritto minimo" per i ricchi e un "diritto repressivo" per poveri ed emarginati, con l’aggravante delle leggi razziste. Si tratta dell’ulteriore passaggio di una giustizia penale, totalmente scollegata dai mutamenti della fenomenologia criminale, che attraverso misure draconiane alimenta una ideologia dell’esclusione. Si difendono, nel contempo, i forti e si criminalizzano i poveri ottenendo l’obiettivo di una carcerizzazione di massa della povertà.

È sempre più evidente il disegno di architettura politica della paura, e c’è da chiedersi quali ulteriori mali usciranno dal vaso di Pandora di questa produzione di leggi. Ora, che cosa si può tentare di ricostruire in questo cumulo di macerie?

Nel cumulo di macerie prodotto da una legislazione che tracima corpi e condizioni umane andrebbero costruite nuove dimore, cioè una diversa vivibilità e tolleranza, e queste dimore dovrebbero essere realizzate a partire dalle fondamenta, partendo da dove ciascuno di noi è e dalle cose che fa. Esiste una dimensione dell’impegno sociale, della vita di relazione, che non solo non andrebbe esclusa dalle leggi, come ora avviene, ma anzi è da questa che le leggi dovrebbero partire: si tratta di sostenere la dimensione dell’incontro, della verifica dello sguardo, della necessità di non sottrarsi alle difficoltà, alla fatica, all’imbarazzo, al lutto, al dolore, che le persone che incontriamo ed il mondo reale ci impongono costantemente, che le storie e le persone ci raccontano e ci mostrano, storie e persone che le leggi, anziché tutelare, paiono eludere.

Esistono, soprattutto, dei diritti costituzionalmente dichiarati. È impossibile non ravvisare una forma di schizofrenia nelle strategie adottate. Si vuole convincere di costruire un mondo più sicuro utilizzando il carcere che, ormai tutti sappiamo, produce infinitamente più recidive di quante ne producano le forme di pene alternative.

Sono discorsi talmente ovvi e scontati che ormai ci si vergogna a farli, e non è facile trovare operatore istituzionale o volontario che non sia disposto a sostenerne la credibilità. È da quando esiste il carcere che si parla di riforma carceraria.

Viene allora spontaneo richiamarsi allo scritto di Franco Basaglia, "Crimini di pace". Nel campo specifico della reclusione, dal tempo della nave dei folli, che, secondo la leggenda medievale, vagava per i mari e i fiumi con il suo carico abnorme e indesiderato, la scienza e la civiltà non pare siano riuscite ad offrire che un ancoraggio più pesante a queste isole di esclusione, anziché diminuirne la portata dell’ormeggio.

Possiamo fare qualche ovvia previsione sul disastro annunciato. Quanti suicidi nelle carceri e nei CIE, sovraffollati in condizioni disumane e disperanti, produrrà questa politica? Come verranno tutelate le condizioni di vita di questi soggetti in condizioni di fortissima penuria degli operatori degli istituti, già sovraccaricati al limite delle condizioni lavorative?

Nei primi cinque mesi dell’anno nelle carceri italiane sono avvenuti 28 suicidi (dati Ristretti Orizzonti), il numero più alto registrato (nel periodo gennaio - maggio) dal 2002. La condizione, già praticamente ingestibile, sarà in brevissimo tempo al collasso delle condizioni della civiltà.

Le attuali condizioni di sovraffollamento esigerebbero la rapida approvazione di almeno una parte delle proposte comprese nel progetto di Riforma Pisapia o di avviare rapidamente una riflessione con tutte le istituzioni interessate per verificare la possibilità di anticipare alcune linee di riforma del sistema penale che siano in grado di superare l’attuale centralità della pena detentiva come unica risposta dell’ordinamento ad ogni forma di devianza.

Bisognerebbe procedere nella direzione di un ampliamento del ventaglio delle sanzioni principali, affiancando alla tradizionale pena detentiva un nuovo catalogo di sanzioni non detentive, irrogate direttamente dal giudice del processo, da gestire all’interno della comunità sociale, quali la messa alla prova (caratteristica della giustizia penale dei minori), l’applicazione della detenzione solo come extrema ratio, per l’elevato numero di persone sottoposte alla misura cautelare della custodia in carcere, l’ampliamento della sperimentazione avviata con il progetto DAPPrima, rivolto ad evitare l’inserimento in carcere di persone tossicodipendenti, arrestate nella flagranza di reato.

La linea della segregazione sta tracciando confini sempre più vasti, nella quantità e qualità delle sue espressioni e manifestazioni. L’impietosa fotografia della realtà carceraria evidenzia drammaticamente il contrasto tra l’affermazione dell’art. 27 della Costituzione e la realtà così come si manifesta negli istituti. Come Conferenza Nazionale Volontariato della Giustizia auspichiamo che l’indignazione emotiva per questi provvedimenti del pacchetto sicurezza coaguli tutte le forze che politiche e sociali affinché sia ribadito il valore e la garanzia dei diritti fondamentali per qualsiasi uomo, a qualunque circostanza o situazione sia soggetto, perché la salvaguardia dei diritti dei soggetti deboli è il metro di giudizio dell’effettiva salvaguardia dei diritti di ciascuno.

Giustizia: oggi in questo modo siamo tutti un po’ meno liberi

 

www.innocentievasioni.net, 6 luglio 2009

 

Oltre quarant’anni fa, l’Avanti! titolava: da oggi ognuno è più libero. Sia detto senza alcuna retorica: con l’approvazione del cosiddetto "pacchetto sicurezza" quell’annuncio (allora motivatamente ottimista) va rovesciato. È vero, nell’anno di grazia 2009 siamo tutti un po’ meno liberi. Le norme approvate vanno analizzate, ma già si può dire che la classificazione come reato dell’immigrazione irregolare e l’introduzione delle "ronde" costituiscono due lesioni profonde come non mai inferte al nostro ordinamento giuridico.

E un significativo passo indietro nel sistema dei diritti e delle garanzie. Il risultato è di criminalizzare i migranti non per i loro comportamenti ma per il solo fatto di non essere nati in Italia, subordinando la regolarità del soggiorno al possesso di un permesso "a punti", che la pubblica autorità potrà azzerare sulla base di criteri alquanto fumosi.

Ma qui emerge una questione ancora più profonda: per la prima volta nel nostro sistema penale viene sanzionata la mera condizione di irregolarità.

È reato, e aggravante nel caso si commettano altri reati, un semplice stato, una condizione, un dato esistenziale (migrante: come, in altre epoche e in altri regimi, povero, omosessuale, zingaro...). Il "pacchetto" contiene, poi, una serie di dispositivi che renderanno i processi di regolarizzazione e di integrazione sempre più complessi e tortuosi. Dall’obbligo di regolarità del soggiorno ai fini dell’accesso ai servizi a quello di dimostrazione di validità del soggiorno per il perfezionamento degli atti di stato civile; dall’obbligo di certificazione dell’idoneità alloggiativa ai fini del ricongiungimento, all’introduzione di un contributo (tra 80 e 200 euro) per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno.

Tutto ciò avrà l’effetto di disincentivare i meccanismi di ingresso nella legalità e nella visibilità del sistema di cittadinanza e la conseguente crescita dell’area dell’irregolarità.

Altrettanto grave è il fatto che si sia riconosciuta a comuni cittadini la possibilità di co-gestire il monopolio della violenza legittima (l’uso della forza legale), da sempre prerogativa esclusiva dello Stato e suo stesso fondamento costitutivo. Lo Stato si spoglia, così, di un suo compito primario per "appaltarlo a privati", che potranno usare il potere terribile della forza verso chi identificheranno come minaccia.

Strana idea di sicurezza, questa, che finisce col subordinare il diritto a un’asimmetria radicale: inflessibile con chi è percepito come diverso, indulgente se non del tutto inerte con chi si arroga il potere di definire il parametro della diversità.

Giustizia: il magistrato; troppa parsimonia nello scarcerare!

di Maria Longo (Sost. Proc. Generale presso la Corte di Appello di Bologna)

 

Ristretti Orizzonti, 6 luglio 2009

 

"Vorrei provare a ragionare sugli spunti introdotti dal collega Maisto in una recente intervista resa ad un quotidiano nazionale. Indiscutibili i dati sui numeri della popolazione detenuta e altrettanto indiscutibile la constatazione dell’attuale "insensatezza" della pena per assoluta carenza di risorse che rendano vivibile la detenzione e fattibile un proficuo lavoro sulla persona.

Tuttavia queste amare constatazioni non possono esimere gli operatori del diritto - in primo luogo i magistrati - dal loro complesso compito istituzionale: garantire senso ad una pena che così come è oggi concepita, deprime la persona e non ne promuove le potenzialità positive. Si tratta quindi di compiere difficili scelte in un periodo di oggettive ristrettezze e di scarsa sensibilità sulla questione. Credo che la proposta di istituire una commissione ad hoc, non risponda oggi a quella che è divenuta una vera e propria emergenza.

Innanzi tutto, i problemi che dovrebbero essere studiati sono già noti a tutti coloro che li vogliono vedere ed affrontare in modo coerente con il dettato costituzionale sulla funzione della pena; in secondo luogo, proprio la scarsità di risorse impone di valorizzare e rafforzare istituti (misure alternative alla detenzione in carcere) e figure già esistenti, che hanno dato negli ultimi anni un forte contributo alla valorizzazione delle persone detenute, alla promozione di diritti, al coordinamento ed al buon utilizza dei pochi mezzi a disposizione.

Mi riferisco alla figura del garante delle persone private della libertà che - per essere effettivamente incisiva e divenire un vero e proprio interlocutore istituzionale - necessita di un rafforzamento legislativo anche attraverso l’istituzione della figura a livello nazionale. Fra l’altro, le commissioni nel nostro paese raramente hanno prodotto utili risultati; molto invece possono incidere libere figure di garanzia in stretto contatto con la realtà territoriale, in un settore in cui la trasparenza è obiettivo che non può mai dirsi raggiunto in modo soddisfacente.

Non è mai detto a sufficienza quanto investire sulla responsabilizzazione - dando effettività al precetto costituzionale che pone la rieducazione del condannato come prima funzione della pena - significhi prevenire comportamenti recidivanti con alto costo sociale sia come danno provocato alle vittime che come insicurezza indotta. Per ritornare al problema che sta imponendo nuove ed ulteriori riflessioni, il sovraffollamento delle carceri, è vero che è causato da arresti che si moltiplicano per l’irrigidirsi della legislazione penale (a questo proposito, nella precedente legislatura si è persa l’opportunità di intervenire nel senso di alleggerimento della legge penale, perdendo così gli effetti dell’indulto).

D’altronde è altrettanto vero che oggi si dispone la scarcerazione con eccessiva parsimonia: la "diffusa cultura profondamente contraria alle pene alternative" non può e non deve incidere sul potere discrezionale del giudice. La cultura si forma e si promuove anche con la conoscenza ed allora è bene che venga ribadito quanto sia utile a "ricostruire" una personalità disarticolata l’ammissione ad una misura alternativa alla detenzione e come, al contrario, sia quasi certa la recidiva qualora la scarcerazione avvenga per la piena espiazione della pena in carcere.

Un’analoga - non identica - riflessione deve esser fatta per le misure cautelari: valorizzare situazioni familiari, sostegni sociali, risorse comunitarie, incide in modo costruttivo e responsabilizzante sulla persona chiamata a "custodire se stessa" come opportunità, ultima, per l’emancipazione dal reato. La scarsità di risorse ed il rigore della legislazione - tantomeno la diffusa cultura - non possono giustificare un arretramento nel ricorso a misure esterne al carcere per l’espiazione della pena, con un depotenziamento in concreto, di una legislazione che esprime un forte pensiero nel senso della valorizzazione della persona e delle (anche scarse) risorse relazionali che le sono proprie.

Queste riflessioni non debbono certo esimere chi ha la responsabilità di compiere scelte politiche utili alla collettività, dal predisporre mezzi adeguati di osservazione della persona all’interno delle carceri e mezzi adeguati di sostegno e vigilanza all’esterno. Ma la scarsità di mezzi non deve condizionare l’attuazione di un chiaro e irrinunciabile principio costituzionale.

Giustizia: Ass. Papa Giovanni condanna "pacchetto-sicurezza"

 

Asca, 6 luglio 2009

 

L’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi che da oltre 30 anni accoglie immigrati in stato di bisogno, in merito al Ddl Sicurezza dichiara quanto segue: Condanniamo fermamente lo sciagurato Ddl Sicurezza unendoci al diffuso coro di proteste che si levano da più parti del mondo laico e cattolico nei confronti del sancito reato di clandestinità.

Solleviamo eccezione sia sulla costituzionalità del provvedimento che sull’efficacia reale dello stesso il quale procurerà grandi sofferenze, non ignorabili da una società civile, e nuove forme di persecuzioni.

La nostra coscienza si ribella, soprattutto in un momento in cui siamo tutti diventati più poveri e quindi più che mai fratelli, ad una disposizione di legge che disconosce la dignità ed i valori dei più deboli e dei più deprivati. Il nostro Paese perde il senso della democrazia e della solidarietà diventando forte con i deboli e privando i disperati di assistenza e soccorso.

Gli immigrati irregolari vengono così condannati ad una clandestinità ancora più estrema, crocifissi dai prepotenti e da coloro che non conoscono di certo l’indigenza. I Cie (centri di identificazione ed espulsione) diventano ancor più dei "lager" dove si concentreranno coloro che hanno la colpa di essere fuggiti dai propri Paesi nella speranza di trovare dignità e pace per poi finire in pseudo carceri.

Con questo sventurato Ddl l’Italia si presenta al mondo come uno Stato intollerante e incapace di accogliere ed integrare. Siamo dinanzi ad un governo che in nome di una falsa sicurezza per i cittadini sta creando una cultura sempre più razzista ed intransigente anche grazie ad una opposizione debole e all’inconsistenza delle altre istituzioni, anche umanitarie, che non hanno saputo difendere i diritti dei più oppressi. Chiediamo con forza che si rifletta sull’effettiva costituzionalità del disposto, appellandoci al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano perché l’iter di questa nuova normativa possa in qualche modo essere interrotto. Il nostro non è soltanto un appello umanitario ma è un accorato invito a considerare la forza e la verità delle parole di Gesù "ero forestiero e mi avete ospitato".

 

Responsabile Dell’Associazione Papa Giovanni XXIII

Dott. Giovanni Paolo Ramonda

Giustizia: la Chiesa è universale… la Lega invece è "padana"

di Ferdinando Camon

 

Il Giornale del Friuli, 6 luglio 2009

 

Lo scontro sulla nuova legge di sicurezza si combatte soprattutto tra Lega e Chiesa. Non tra centrodestra e Partito democratico: sì, la senatrice Finocchiaro valuta quelle norme come "un pugno battuto sul tavolo", uno sfogo di collera e di impotenza, che lascia le cose come prima; la polizia diffonde un comunicato nel quale prevede che il problema s’aggraverà, perché le norme portano un aumento delle carcerazioni, e le carceri, già sovraffollate adesso, finiranno per scoppiare.

Andate a vederle, io ci sono stato. Mi dicevano che il sovraffollamento è del 30%: ma le celle per due io le ho viste con 6 inquilini, quelle per tre con 9. Almeno le carceri che ho visto io (con l’impegno di non scriverne, ma scrivere per uno scrittore è come respirare) sono sovraffollate del 300%. Ma il vero scontro su queste norme di sicurezza, dicevo, è tra Chiesa e Lega.

Ed è uno scontro che durerà, perché chiama in causa non atteggiamenti o interpretazioni, ma la visione centrale che le due istituzioni, quella politica e quella religiosa, hanno dell’uomo, della società e del futuro. La Lega guarda all’hic et nunc, non dico all’europeo o all’italiano, ma all’italiano del Nord, alle sue città, le sue case, le sue aziende. La Chiesa tiene presente, non dico l’italiano o l’europeo, e nemmeno l’occidentale, ma l’uomo nella sua dimensione di creatura di Dio: se da una parte l’uomo che non è nato in casa mia non è mio fratello, dall’altra parte l’uomo che è stato creato dallo stesso Padre è mio fratello e se non lo tratto come tale commetto una colpa. Tutt’e due le parti, Chiesa e partito, sanno che questa legge sulla sicurezza "porterà dolore": la Chiesa lo dichiara e non è che la Lega non lo sappia.

Solo che la Lega mette a confronto il dolore di chi viene qui in casa nostra perché se no muore, e il dolore per il caos che quella venuta provoca in casa nostra: la Chiesa è "cattolica", che vuol dire "universale"; la Lega è padana, le interessa la pianura bagnata dal Po. Il perno centrale intorno a cui ruota la visione della sicurezza perseguita da questa legge non è l’inasprimento del 41 bis, non sono le ronde, no, il perno è un altro: la concezione della clandestinità come reato.

La Lega ha una percezione dell’uomo come cittadino, i suoi diritti cominciano e finiscono dentro la sua città. La Lega è sostanzialmente un partito da democrazia delle origini, da polis, assemblea del popolo, popolo sovrano e fonte del potere. È per questo che vuol cambiare la scritta nei tribunali, alle spalle della Corte: non più "La Legge è uguale per tutti", ma "la Giustizia è amministrata in nome del popolo". A guardar bene, cancellare la prima scritta vuol dire che la Giustizia non è uguale per tutti. I diritti dei cittadini non sono i diritti dei non-cittadini. La Lega ha la visione del popolo come una fortezza assediata: il popolo si chiude in difesa, la Lega scrive le norme della protezione, la nostra storia è in una fase centripeta, stiamo ripiegando, dobbiamo sopravvivere.

La Chiesa ha una visione opposta: è in fase di irradiazione dal centro, verso una periferia che s’allarga sempre di più, e che in definitiva si estende fin al più lontano dei viventi. La Lega ha una visione politica, la Chiesa ha una visione etica. Non ditemi che la Lega è impolitica o arretrata o sbagliata: no, la Lega è in sintonia col suo popolo, e perfino con tanto popolo del Pd, guadagna consenso, la gente la vota. E non dite che la Chiesa ha torto perché la gente vuole protezione del suo garage e del suo orto: no, la Chiesa può non essere capita adesso o per i prossimi anni, ma fra un quarto di secolo o un secolo la società sarà quella che la Chiesa sta indicando adesso. Anche noi, allora, non saremo giuliani o friulani o veneti. Saremo cittadini del mondo. La Lega vede l’oggi e il domani. Il problema è che dopo verranno i decenni e i secoli.

Giustizia: la storia di A.E., "rieducato"… e rispedito in Albania

di Susanna Marietti

 

www.linkontro.info, 6 luglio 2009

 

È una goccia nel mare, perché trattamenti simili o peggiori di quello che vogliamo qui raccontare sono destinati a masse di esseri umani in Italia, e ancor più lo saranno dopo l’approvazione del nuovo pacchetto sicurezza. È una goccia nel mare, ma continuiamo a pensare che valga la pena di raccontare i casi individuali, quel che accade a singole persone, il modo in cui il nostro Paese tratta il prossimo.

A.E. è un ragazzo di 29 anni. Viene dall’Albania. Nel 2002 è stato arrestato per motivi legati al consumo di droga. Nel 2004 arriva al carcere milanese di Bollate. È un carcere considerato un istituto modello. La direttrice, Lucia Castellano, lo gestisce con apertura e buon senso. Dovrebbe essere la norma, nessuno si stupisce più che sia l’eccezione.

Gli operatori di Bollate - quelli preposti a occuparsi del cosiddetto "trattamento", l’insieme di fattori che dovrebbero portare a un progressivo reinserimento in società delle persone detenute - fanno bene il loro lavoro. Si occupano di predisporre per A.E. un percorso penitenziario che guardi alla finalità rieducativa della sua pena, come si dice nella Costituzione.

A.E. non ha parenti in Italia, i magistrati sono cauti, temono la fuga. Dopo molta fatica, si riesce a fargli ottenere un lavoro ex art. 21 dell’ordinamento penitenziario, l’articolo che regolamenta l’attività lavorativa dei detenuti all’esterno del carcere. I magistrati si convincono a farlo uscire alcune ore al giorno, mandandolo tuttavia in una zona protetta: la mansione di A.E. sarà quella di fare le pulizie presso il Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria. Anche con i permessi premio la situazione aveva cominciato a sboccarsi. A.E. ha una fidanzata, fornisce ai magistrati il suo domicilio come abitazione in cui trascorre quelle notti.

Nel frattempo, gli operatori del carcere di Bollate avevano trovato un impiego per A.E. presso una cooperativa, tramite una borsa-lavoro. Un lungo percorso fatto, tutti i presupposti per un positivo reinserimento in società. A.E. ha finito di scontare la sua pena in questi giorni. È in possesso del passaporto. Nel 2002 aveva fatto richiesta di permesso di soggiorno. Da allora, mai ricevuta una riga. Nessuna approvazione, nessun rigetto. Pare che per la questura chi sta in carcere non abbia diritto a risposte. Ma se il rigetto viene consegnato alla fine della pena e contestualmente al decreto di espulsione, che possibilità si lasciano per muovere un ricorso? Dall’Albania? A.E. avrebbe voluto ricorrere, ma non gli è stata data la possibilità. Da questo punto, la legge ha fatto inesorabile il suo corso.

Volete dunque sapere come va a finire la storia? Lo sapete già. Appena A.E. mette il piede fuori dal cancello dell’istituto, la polizia lo prende e lo porta al Centro di Identificazione ed Espulsione di via Corelli a Milano. Il giudice di pace convalida il trattenimento. A breve A.E. sarà rispedito in Albania, buttando all’aria tutto il lavoro fatto, buttando all’aria il senso dell’articolo 27 della Costituzione. Buttando all’aria la vita di un ragazzo di neanche trent’anni.

Giustizia: Garanti; Desi Bruno eletta coordinatore nazionale

 

Agi, 6 luglio 2009

 

Il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna, l’avvocato Desi Bruno, è stata rieletta all’unanimità Coordinatrice Nazionale dei Garanti territoriali, nel corso dell’assemblea nazionale svoltasi giovedì. Insieme all’elezione a Coordinatrice nazionale dell’attuale Garante del Comune di Bologna Desi Bruno, sono stati eletti i due vice-coordinatori nelle persone di Franco Corleone, Garante del Comune di Firenze, e Giuseppe Tuccio, Garante del Comune di Reggio Calabria.

I relativi mandati avranno la durata di un anno. Fra le prossime iniziative che il Coordinamento ha messo in agenda vi è la richiesta di un incontro con il Ministro della Giustizia al fine di confrontarsi sugli orientamenti di politica penitenziaria che il Governo sta sviluppando, in particolare relativamente al cosiddetto piano carceri, rispetto al quale il Coordinamento ha già espresso contrarietà e preoccupazione. Il Coordinamento dei Garanti territoriali ha ultimato l’elaborazione di un progetto di legge, che fa tesoro dei vari testi che nel corso degli anni sono stati prodotti sul tema, per l’istituzione di un organismo nazionale di garanzia per la tutela dei diritti delle persone ristrette che verrà presentato ai Presidenti di Camera e Senato. Nel mese di ottobre è previsto il terzo convegno sul tema sull’esecuzione della pena, organizzato dal Coordinamento a Torino, che fa seguito alle precedenti iniziative di Reggio Calabria e Bologna.

Giustizia: piano-carceri; Garanti sono "contrari e preoccupati"

 

Redattore Sociale - Dire, 6 luglio 2009

 

Il coordinamento nazionale dei Garanti dei detenuti intende chiedere un incontro con il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, "al fine di confrontarsi sugli orientamenti di politica penitenziaria che il Governo sta sviluppando, in particolare relativamente al cosiddetto piano carceri" sul quale il coordinamento ha già espresso "contrarietà e preoccupazione".

Ed è solo una delle iniziative in agenda, come fa sapere l’avvocato Desi Bruno, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna, che giovedì scorso è stata rieletta all’unanimità coordinatrice nazionale dei Garanti territoriali. Sono anche stati eletti i due vice coordinatori: Franco Corleone, Garante del Comune di Firenze, e Giuseppe Tuccio, Garante del Comune di Reggio Calabria. I mandati avranno la durata di un anno.

Inoltre il Coordinamento dei Garanti territoriali, come si legge in una nota, "ha ultimato l’elaborazione di un progetto di legge, che fa tesoro dei vari testi che nel corso degli anni sono stati prodotti sul tema, per l’istituzione di un organismo nazionale di garanzia per la tutela dei diritti delle persone ristrette, che verrà presentato ai presidenti di Camera e Senato". Nel mese di ottobre è previsto il terzo convegno sul tema sull’esecuzione della pena, organizzato dal Coordinamento a Torino, che fa seguito alle precedenti iniziative di Reggio Calabria e Bologna.

Giustizia: le foto dei violentatori saranno esposte su autobus

di Giovanna Cavalli

 

Corriere della Sera, 6 luglio 2009

 

Comincia oggi alla Camera la discussione sul testo unificato in materia di violenza sessuale. Il provvedimento, messo a punto dalla Commissione Giustizia di Montecitorio, è una sorta di legge quadro che, dopo 13 anni, ridisegna la normativa e completa le disposizioni urgenti già previste nel decreto antistupro e in quello sulla sicurezza.

Pene più dure - L’inasprimento delle sanzioni è il filo rosso del testo. Perciò per la violenza sessuale, oggi punita con la detenzione da 5 a 10 anni, si passa dai 6 ai 12. Quando è aggravata, invece che dai 6 ai 12 anni, gli stupratori ne sconteranno dai 7 ai 15. Verranno giudicati più duramente i maltrattamenti in famiglia. Si introduce il patrocinio gratuito. Più severità con i pedofili: oggi chi abusa di un minore di dieci anni rischia dai 7 ai 14 anni. Pena minima e massima si alzano rispettivamente a 8 e 16. In caso di violenza recidiva inoltre l’aumento della pena diviene obbligatorio, non più a discrezione del giudice. Cui è sottratta anche l’ammissione come parte civile di associazioni ed enti locali: diventa automatica Confermate le disposizioni del decreto antistupro: custodia cautelare in carcere, benefici penitenziari ridotti, ergastolo per chi violenta e uccide la vittima.

Contro il gruppo - In questi casi cambia il concetto di colpevolezza. In caso di violenza del branco paga più duramente non solo chi commette fisicamente lo stupro ma anche chi comunque vi partecipa. Non più minimo 6 e massimo 12 anni, ma dai 7 ai 16, che possono arrivare a 20 con le aggravanti.

La molestia sessuale - "Abbiamo introdotto una nuova fattispecie di reato che finora mancava", spiega la relatrice Carolina Lussa-na (Lega Nord). Una categoria "minore", rispetto a stupro e stalking, in cui rientrano tutti quei comportamenti dove non c’è minaccia o violenza, ma che finora restavano in un limbo giuridico. Un gesto, un apprezzamento a sfondo sessuale, forse persino un biglietto. "Non serve che sia reiterato, basta una volta sola", avverte l’onorevole Lussana. Qualche caso pratico un po’ di scuola: è molestia sessuale rivolgersi con frasi volgari, magari per ottenere favori, mostrarsi nudi alla finestra apposta per farsi vedere, toccarsi davanti ad un’altra persona non consenziente. Reclusione fino ai 2 anni più sanzione pecuniaria.

Nuove aggravanti - La violenza è aggravata se commessa a danno di una persona disabile e una donna incinta. L’onorevole Beatrice Lorenzin (Pdl) ha intenzione di presentare un emendamento che ne introduca un’altra a effetto speciale: nel caso che la violenza sia consumata sul posto di lavoro e tra vittima e stupratore vi sia un rapporto di subordinazione. "Questa è un’aggravante culturale", spiega la Lorenzin. "Perché è evidente che un capoufficio approfitta della soggezione psicologica del dipendente". La deputata ha pronto poi un secondo emendamento che introduce un programma di prevenzione e sensibilizzazione nelle scuole all’interno magari dei corsi di educazione civica. A breve sarà firmato un protocollo di intesa tra Pari Opportunità, Interno e Istruzione.

Foto segnaletiche - Questa è la norma che farà più discutere. Prevede che il questore possa disporre l’affissione degli elenchi dei condannati per stupro o delle foto dei ricercati per questo tipo di reati in bar, stazioni, autobus. "Negli Usa accade normalmente, lo stupro è un reato gravissimo, pensiamo a come sarebbe servito nel caso del violentatore seriale di Roma", spiega la Lussana. Non è d’accordo l’onorevole Donatella Ferranti (Pd) della Commissione Giustizia: "Non ci piace l’idea si esporre liste e foto al pubblico. Ammesso che, caso per caso, si trovi una motivazione concreta, il principio allora dovrebbe valere per tutti i reati. E poi questa misura potrebbe incitare a linciaggi e istigare i cittadini alla giustizia fai da te". L’opposizione in genere contesta che la normativa sia soltanto più repressiva e trascuri la promozione di una cultura di non violenza.

Il 9 e 10 settembre, nell’ambito delle iniziative del G8 e su impulso del governo italiano, si svolgerà a Roma un summit internazionale sulla violenza contro le donne.

Giustizia: Cassazione; senza una gamba, è "a rischio di fuga"

 

Ansa, 6 luglio 2009

 

"Il boss è senza una gamba ma può ancora fuggire". Alla conclusione, per certi versi paradossale, è giunta la Cassazione nel negare i domiciliari ad un capo clan, Nazzareno C., portatore del neuroma di Norton per l’amputazione di una gamba. Dovendosi sottoporre a "lunghe pratiche fisioterapiche", il boss ha chiesto alla Cassazione di sostituire il regime carcerario con la detenzione domiciliare, ma piazza Cavour è stata inflessibile: anche se non ha più una gamba, visto il "radicato inserimento dell’imputato con ambienti criminali organizzati sussiste il concreto pericolo di fuga".

In effetti, il Tribunale del Riesame di Milano, nel marzo scorso, aveva autorizzato per Nazzareno C. il ricovero presso una struttura sanitaria per il tempo necessario alla prestazione delle terapie chirurgiche e mediche "necessarie in relazione allo stato di salute del capo clan, portatore di neuroma di Norton da amputazione parziale della gamba sinistra con ipotrofia della muscolatura residua". Date le condizioni di salute e visto che i reati addebitati risalivano a dieci anni prima, la difesa del boss ha chiesto la concessione dei domiciliari per consentirgli di sottoporsi "alle lunghe pratiche fisioterapiche".

La Sesta sezione penale (sentenza 23509) ha respinto il ricorso del capo clan e ha evidenziato che "il Tribunale, pur tenendo conto della lontananza temporale dei fatti per i quali è stata applicata la misura cautelare, ha non illogicamente espresso un giudizio di elevata caratura criminale di Nazzareno C., in considerazione della gravità dei reati, realizzati nell’ambito di un contesto di criminalità organizzata di alto spessore, caratterizzato dal ricorso alle armi da parte del sodalizio di cui egli era a capo contro clan rivali, e dalla circostanza che tali reati, stando all’accusa, erano stati realizzati quando egli già si trovava in condizioni fisiche estremamente menomate a seguito dell’amputazione parziale di un arto". Insomma, conclude piazza Cavour, il boss deve restare in carcere perché c’è il "concreto pericolo di fuga ove fosse adottato un regime diverso".

Lombardia: 4,7 mln di euro per inclusione sociale dei detenuti

 

Ristretti Orizzonti, 6 giugno 2009

 

La Regione Lombardia nel biennio 2009-10 finanzierà una serie di azioni sperimentali volte allo sviluppo di politiche attive di inclusione sociale delle persone carcerate e delle loro famiglie per una somma complessiva di 4milioni 700mila euro, di cui 1milione 450mila euro destinati alle azioni e agli interventi per i minori e 3 milioni 250mila euro alle azioni e agli interventi rivolti agli adulti. ha sostenuto negli anni.

I percorsi progettuali, promossi attraverso la legge regionale 8/2005, hanno favorito la realizzazione di interventi e servizi innovativi, riuscendo talvolta ad attuare, in alcune aree territoriali, politiche integrate, attraverso stabili azioni di coordinamento e coinvolgimento delle diverse istituzioni interessate.

Con il patto di inclusione sociale, Regione Lombardia intende promuovere lo sviluppo di una rete integrata, stabile, estesa e qualificata con la finalità di aumentare le connessioni tra il sistema territoriale e il sistema penitenziario e della giustizia minorile. Il piano di intervento è lo strumento per attivare e governare la realizzazione del patto di inclusione sociale, attraverso la valorizzazione e la partecipazione attiva dei soggetti territoriali, organizzati in forma di partenariato. Il piano può essere costituito da un massimo di 6 macro progetti per Asl inquadrati nelle sei aree di intervento (tre per il settore adulti e tre per il settore minori).

Il piano di intervento dovrà essere presentato dalle Asl d’intesa con gli Uffici di Piano, le strutture dell’Amministrazione Penitenziaria, l"Amministrazione della Giustizia Minorile e i soggetti capofila dei macroprogetti. Nel biennio 2009-10 Regione Lombardia finanzierà i macro progetti per una somma complessiva di 4milioni 700mila euro, di cui 1milione 450mila euro destinati alle azioni e agli interventi per i minori e 3 milioni 250mila euro alle azioni e agli interventi rivolti agli adulti. (Vedi il bando, con scadenza 20 luglio 2009 - in pdf).

Modena: per più sicurezza la detenzione non è la sola risposta

 

La Gazzetta di Modena, 6 luglio 2009

 

Carceri modenesi che scoppiano: i reati non aumentano, ma si puniscono sempre di più i reati lievi. I volontari del gruppo Carcere-città intervengono e il senatore Pd Barbolini interroga Alfano. "Le carceri scoppiano di poveracci, di emarginati sociali - dicono i volontari di Carcere Città - i reati non sono aumentati, le statistiche lo dimostrano.

Non c’è una relazione tra l’aumento della carcerazione e l’aumento dei reati. Questo significa che si puniscono sempre di più con il carcere anche reati lievi, anche situazioni di vita in cui sempre più persone si vengono a trovare. Sono due le condizioni che portano in carcere con maggiore frequenza: la condizione di clandestinità; la condizione di tossicodipendenza; che molto spesso si intrecciano e si combinano. La terza è la recidiva, perché chi si trova in quelle condizioni in carcere ci torna poco dopo esserne uscito, e con pene sempre crescenti.

Il carcere non svolge se non su una percentuale molto bassa di detenuti la funzione di rieducazione e di recupero sociale: il 32% dei circa 90mila arrestati all’anno resta in carcere non più di tre giorni. In tre giorni non si può avviare nessun percorso di riabilitazione, è solo uno spreco di risorse. Il 70% dei detenuti è in attesa di giudizio. La strada da percorrere è una riforma del codice penale che trovi il coraggio di mettere un freno all’ossessione della pena detentiva come unica risposta ai problemi della sicurezza.

Andrebbero ripensate e riscritte soprattutto le leggi sulle droghe, sull’immigrazione e sulla recidiva. Occorre ridare slancio all’attuazione della legge Gozzini che prevede l’uso di misure alternative". Barbolini: "La situazione modenese al momento non rientra tra le priorità del Ministero della Giustizia. Il Provveditore Regionale ha reso noto che non esistono comunicazioni ufficiali da parte del Ministero sul trasferimento di altri 100 detenuti. Pertanto l’annunciato trasferimento di 150 detenuti ospitati a S. Anna sarà limitato a meno di 50 unità e in due tranche". Barbolini chiede al ministro Alfano quali provvedimenti intenda adottare per affrontare "le gravi condizioni per agenti e detenuti" a Modena.

Genova: la visita di Rifondazione, nel carcere di Pontedecimo

 

www.ilponente.com, 6 luglio 2009

 

Proseguono le visite che periodicamente ormai da diversi anni deputati, senatori, parlamentari europei e consiglieri regionali del Prc della nostra regione effettuano nei diversi istituti penitenziari liguri incontrando detenuti e personale di custodia per monitorare la situazione del sistema carcerario.

La Casa Circondariale di Pontedecimo, ultimo paese all’estrema periferia montana di Genova, è una struttura inizialmente utilizzata per minori e successivamente, dagli anni 90, come unico reclusorio per donne nella nostra regione, ed ora è a presenza mista con reparto maschile con celle a 2 letti con doccia e servizi e reparto femminile con soli servizi igienici e doccia al piano ( oltre ad una zona "nido" riservata alle madri detenute con figli piccoli).

A seguito dell’odierna visita del consigliere regionale di Rifondazione Comunista Marco Nesci, accompagnato dal responsabile settore carceri Giorgio Barisone, si sono evidenziate alcune notevoli positività, rispetto alle precedenti visite, ed in particolare il fatto che dai primi mesi di quest’anno sono ripartiti i lavori di ristrutturazione del reparto sanitario - che sarebbe dovuto diventare un vero centro clinico penitenziario -, bloccati da quasi 7 anni per il fallimento della ditta appaltatrice e di cui si erano particolarmente interessati anche l’attuale neo segretario regionale del PRC Sergio Olivieri con una interpellanza alla camera dei Deputati nel luglio 2006 e la senatrice Haidi Giuliani, che più volte hanno visitato il carcere in questi anni.

Una notizia sicuramente importante, se tutto procederà per il meglio, è quindi che alla fine di quest’anno si dovrebbe poter riutilizzare questa area per il settore infermeria che oggi è ancora costretta in anguste stanzette non adatte allo specifico compito.

Analoga positività si è riscontrata per quanto concerne il passaggio della Assistenza Sanitaria del sistema penitenziario al servizio Asl, che veniva vissuto, dagli stessi operatori da noi interpellati nel periodo immediatamente precedente il cambiamento, con sospetto e timore. Ad oggi, almeno a Pontedecimo, pare che la situazione sia notevolmente migliorata, anche grazie alla disponibilità degli operatori e dirigenti Asl, mentre prima era forte il problema di mancanza fondi ministeriali per la sanità penitenziaria con impossibilità di far fronte al regolare pagamento dei medici ed acquisto medicinali.

Ma di negativo è emerso che sono sempre meno le possibilità di accesso al lavoro interno per i detenuti, con una riduzione di circa la metà (dai 30/35 del 2007 agli attuali 15/20) dei posti di lavoro intramurario causa la mancanza di fondi a disposizione.

Stessa situazione, praticamente d’emergenza, anche per l’impossibilità comunque di far fronte a spese di ordinaria manutenzione (come la sostituzione di un lavello o di un water) a seguito dei forti tagli subiti dal settore.

Allo stesso modo è sempre grave la situazione del personale di custodia che vede una mancanza di più del 35 % degli effettivi con conseguenti pesanti turnazioni.

Il numero di reclusi è comunque nella norma, a differenza di altri istituti della regione dove la situazione è assolutamente insostenibile, e vede oggi la presenza di 79 donne e tre bambini sotto i tre anni, e circa sessanta uomini. Altissima la percentuale di detenuti extracomunitari (circa il 65%) e di persone in carcere per piccoli reati principalmente legati al problema della tossicodipendenza.

Genova: accuse di concussione e violenza a direttore carcere

di Matteo Indice

 

Secolo XIX, 6 luglio 2009

 

Concussione e violenza sessuale. Sono i due reati per i quali il direttore del penitenziario femminile di Pontedecimo Giuseppe Comparone ha ricevuto un avviso di garanzia venerdì, contemporaneamente alla perquisizione nel suo alloggio. È l’ultimo, e clamoroso, sviluppo dell’indagine sul carcere a luci rosse che da settimane mette in fibrillazione la Procura di Genova, nata dalle "confidenze" di un’ex detenuta che ha dichiarato di aver ricevuto trattamenti privilegiati in cambio di favori sessuali.

Una specie di "ricatto" messo in atto da alcuni superiori, che avrebbe dato corpo all’accusa di concussione, unito alla consumazione di alcuni rapporti che giustificherebbe l’addebito di violenza sessuale. L’inchiesta, rivelata nei mesi scorsi dal Secolo XIX, sembrava essersi arenata finché due giorni fa non è scattato il blitz.

Un gruppo di poliziotti ha passato al setaccio l’appartamento di Comparone alla Foce cercando "lettere e biglietti d’amore" ai quali Z.E. (la nordafricana che con le sue rivelazioni ha dato il la agli accertamenti ed è stata trasferita a Monza per motivi di sicurezza) avrebbe fatto riferimento nel corso di tre interrogatori.

Sono in tutto cinque, al momento, gli indagati in uno dei fascicoli più spinosi che il palazzo di giustizia genovese si sia trovato a gestire di recente: oltre al direttore, almeno un altro funzionario dell’amministrazione penitenziaria e tre poliziotti, nei confronti dei quali sono stati avviati rilievi disciplinari da parte del provveditore regionale Giovanni Salamone. Senza dimenticare che le accuse dalle quali s’è alzato il polverone sono state "corroborate" nei giorni scorsi da altre due poliziotte e almeno un paio di detenute: le loro rivelazioni sono state talvolta un po’ confuse, ma a giudizio degli investigatori meritevoli di approfondimento.

A questo punto è però doverosa una precisazione. Da quando è deflagrato lo scandalo, Comparone (in casa gli hanno sequestrato due cartelle di documenti relativi proprio alla detenuta Z.E.) ha sempre ribadito d’essere estraneo ad ogni addebito, sostenendo che tutte le accuse mosse nei suoi confronti sono frutto d’una macchinazione, forse "una vendetta", senza escludere che qualcuno l’abbia attuata in qualche modo per "stroncarne" una carriera apparentemente in ascesa.

Non è un mistero che si fosse vociferato d’una sua imminente "promozione", mentre negli ultimi tempi lui stesso avrebbe confidato d’essere pronto ad andare in pensione non appena i termini lo consentiranno.

Il suo avvocato, Mario Iavicoli, contattato dal Secolo XIX, conferma le contestazioni contenute nell’avviso di garanzia, ma ammonisce: "Un conto è l’iscrizione sul registro degli indagati per poter condurre accertamenti, un altro l’effettiva responsabilità. In questa vicenda ci sono molte cose che non tornano e veleni gratuiti. Prima d’incolpare una persona andiamo molto, ma molto cauti".

Nuoro: Caligaris (Psi); "ora evitiamo di creare un altro lager"

 

La Nuova Sardegna, 6 luglio 2009

 

Le regole del nuovo regime penitenziario "Alta sicurezza 2" sono dure. E hanno fatto montare la protesta di alcuni dei reclusi, che sono riusciti a fare filtrare fuori dalle mura del carcere una lettera di protesta, in cui Macomer viene definita la "Guantanamo" sarda. Lettera che contiene accuse di violenze subite e vessazioni varie da parte delle guardie carcerarie. Condite con la descrizione di un trattamento carcerario "inumano".

Accuse riprese in rete da decine di blog. E di cui ha chiesto conto anche l’ex consigliera regionale Maria Grazia Caligaris. "La situazione creatasi nel carcere di Macomer - spiega Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme - dopo il cambio di destinazione della struttura che ospita attualmente molti detenuti arabi in regime di sorveglianza speciale richiede la visita urgente della Commissione "Diritti Civili".

Anche perché si moltiplicano le segnalazioni di un presunto regime carcerario particolarmente rigido con trattamenti per molti aspetti disumani. Troppo spesso la Sardegna - continua l’esponente socialista - viene utilizzata come isola-carcere di detenuti extracomunitari provenienti dalle regioni del Nord del Paese. Ciò avviene sistematicamente nel carcere di Buoncammino, dove il sovraffollamento è insostenibile. Nel caso di Macomer desta preoccupazione il fatto che la struttura carceraria possa divenire il luogo ideale per ospitare cittadini arabi ritenuti pericolosi ma soprattutto la mancanza delle infrastrutture necessarie a rendere la detenzione secondo i dettami della Costituzione e delle dichiarazioni internazionali sul rispetto dei diritti umani".

"In assenza a livello regionale del garante dei detenuti - sottolinea Caligaris - la Commissione "diritti civili" con una visita potrebbe verificare le condizioni di vita dentro la struttura, dialogare con gli operatori penitenziari e sentire i diretti interessati su ciò che avviene nella casa circondariale. Ciò rassicurerebbe i cittadini sardi liberi oltre che i detenuti ed eviterebbe illazioni. Non vorremmo che l’Italia - continua Maria Grazia Calligaris - dopo la disponibilità ad accogliere uno o due detenuti del famigerato carcere di Guantanamo, si dovesse caratterizzare negativamente per un trattamento penitenziario irrispettoso nei riguardi di cittadini extracomunitari di fede islamica".

"Non può essere accettabile - ha concluso Caligaris - che non vengano garantiti la diversità di cibo, nel rispetto della religione, l’assenza di ministri di culto e di informazione. È facile prevedere che siano insufficienti i mediatori culturali, ma per realtà come quelle in cui convivono in regime carcerario extracomunitari di aree linguistiche differenti sono indispensabili anche per far capire i complessi meccanismi della vita detentiva. Ciò a maggior ragione per chi è in attesa di giudizio e non può comunicare con i congiunti".

Aosta: carcere affollato, mancano agenti e soldi straordinari

di Moreno Vignolini

 

Aosta Sera, 6 luglio 2009

 

La casa penitenziaria di Brissogne è sotto organico di agenti mentre i carcerati sono quasi il doppio. I pagamento degli straordinari subiscono ritardi, il piano ferie, presentato il 1° luglio, crea polemiche. Ulteriori tensioni all’orizzonte.

C’è tensione e preoccupazione al carcere di Brissogne. Ad una casa circondariale che ha quasi il doppio dei detenuti corrisponde un organico di guardie penitenziarie dimezzato. Di fatto i carcerati sono 261, il carcere ne dovrebbe contenere 100, mentre le forze di polizia penitenziaria sono rappresentate da 150 unità, invece di 210. I conti non tornano così come non tornano ultimamente anche i conti economici. Il sindacato Osapp di Piemonte e Valle d’Aosta ha chiesto, infatti, al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria un’ispezione amministrativo-contabile del carcere di Brissogne-Aosta relativamente "all’operato del Provveditore regionale e a quello dei dirigenti che lo stesso provveditore ha inviato ad Aosta in servizio di missione in questo momento di grave congiuntura economica che impedisce il pagamento o comunque il puntuale pagamento delle ore straordinarie".

"Esprimiamo a nome di tutti - si legge ancora nella nota del sindacato - la rabbia per essere stati abbandonati a noi stessi. Nessuno sembra essersi accorto che il carcere di Aosta può tranquillamente essere definito terra di nessuno, un vero e proprio colabrodo". La polemica è riferita in particolare al piano ferie delle guardie carcerarie, affisso lo scorso 1° luglio, un piano ferie che, come evidenzia la nota "presenta sconcertanti lacune e disuguaglianze; invitiamo quindi l’attuale Direttore, in missione, ad una immediata rivisitazione dello stesso".

Intanto, all’orizzonte il direttore del Carcere di Brissogne Salvatore Mazzeo, su "La Stampa" di sabato 4 luglio scorso si dice preoccupato per le possibili conseguenze del "Pacchetto sicurezza" approvato dal Governo: la paura è di un ulteriore sovraffollamento dell’istituto penitenziario valdostano.

Il carcere ha 261 detenuti contro una capienza massima di 100: 156 sono detenuti stranieri. Ogni camera, progettata per 1 detenuto, ne contiene 2. La maggior parte sono stranieri e arrivano da altre carceri del Piemonte. Il sovraffollamento delle carceri per il direttore Mazzeo è dovuto "Ad una tendenza dell’uso smodato verso il carcere: si chiede il carcere per i graffitari, per i mendicanti, per chi imbratta i muri. - dice Mazzeo - Mi pare che questa linea politica generi soltanto sovraffollamento e una tensione ad altissimi livelli tra detenuti e la polizia penitenziaria, già penalizzata da carenza di personale".

Macerata: si torna a sperare per nuovo carcere di Camerino

di Emanuele Pieroni

 

Corriere Adriatico, 6 luglio 2009

 

Il senatore Piscitelli interessa il ministro Alfano. La prossima settimana un incontro a Roma. Camerino La settimana che sta per cominciare potrebbe essere decisiva per il nuovo carcere di Camerino.

Il senatore marchigiano del Popolo della libertà Salvatore Piscitelli, infatti, ha informato il sindaco della città ducale, Dario Conti, di un incontro avuto con il ministro Angelino Alfano e con il sottosegretario Giacomo Caliendo. "Già in passato - ha spiegato il senatore Piscitelli - avevo parlato proprio con Caliendo della situazione di Camerino, di cui ero stato messo al corrente dall’assessore Gianluca Pasqui. Il progetto per la costruzione del nuovo carcere è sul tavolo del ministro e proprio nei giorni scorsi ne ho avuto la riprova".

Piscitelli, come già accennato, ha infatti avuto un incontro con Alfano. "Mi ha spiegato - ha proseguito il senatore - di essere bene a conoscenza delle richieste di procedere alla fase operativa di un progetto che, di fatto, esiste già. Richieste che lo stesso ministro ha avuto non solo dalla città ducale, come diretta interessata, ma anche dall’intero territorio marchigiano. Non voglio alimentare facili entusiasmi, ma sono molto ottimista per l’evolversi della questione".

Fino ad oggi, il problema principale per la costruzione del nuovo carcere di Camerino era stato quello relativo alla mancanza di finanziamenti, con il governo che, come si legge da ormai diverso tempo, sarebbe pronto a stanziare i fondi necessari per aumentare il numero delle strutture carcerarie presenti in tutto il territorio nazionale.

Alla luce di questo, Camerino si troverebbe già in una buona posizione, poiché c’è già un progetto e c’è già un’area individuata nell’immediata periferia della città ducale. A questo, poi, si aggiunge la situazione di estremo disagio che vive il personale dell’attuale carcere, costretto a enormi sacrifici per mantenere accettabili le condizioni di vivibilità della sede storica, ma non adeguata, in cui è attualmente ubicata la casa circondariale.

"La costruzione del nuovo carcere - ha spiegato l’attuale vicesindaco di Camerino, Gianluca Pasqui - è stato un obiettivo prioritario delle precedenti amministrazioni camerti. Ognuno ha fatto quel che ha potuto, in passato, per avvicinarsi alla meta e forse, adesso, siamo arrivati al punto di svolta. Con il sindaco Dario Conti ed il senatore Piscitelli, forse già questa settimana, ci recheremo a Roma per un appuntamento con il sottosegretario Caliendo ed il ministro Alfano. Motivo dell’incontro sarà l’individuazione di un percorso che possa portare Camerino a disporre finalmente del nuovo carcere, ma sicuramente faremo presente anche la situazione del nostro tribunale, di cui troppo spesso si è parlato circa una possibile chiusura".

La data, almeno stando a quanto è dato sapere, non è ancora stata fissata, ma l’impressione è che nel giro di pochi giorni si potranno conoscere meglio gli sviluppi della questione.

"Camerino - ha aggiunto dal canto suo il sindaco, Dario Conti - ha assoluta necessità di dare seguito al progetto del nuovo carcere, troppo spesso entrato e uscito dalla graduatoria delle strutture finanziate. È importante non solo per la situazione dell’attuale casa circondariale, ma anche per l’economia dell’intero territorio montano della nostra provincia, in termini di indotto e naturalmente posti di lavoro". Nella bozza del progetto per il nuovo carcere di camerino, presentata già negli anni scorsi, si prevede un numero di 100, 150 detenuti circa e dovrebbe esservi la capacità perché la struttura possa essere un carcere scuola. Quindi torna ad accendersi la speranza - e lo fa in modo concreto - che Camerino possa a breve vedere aprirsi i cantieri per la costruzione della nuova struttura di pena.

L’Aquila: 3 detenuti cucinano per terremotati del campo di Cri

di Claudia Farallo

 

Terra, 6 luglio 2009

 

La Croce Rossa li vuole ancora con sé, ecco perché ha appena chiesto di prorogare fino a fine ottobre il lavoro di tre detenuti attualmente responsabili del servizio cucina nel campo base di L’Aquila Ovest. È dal 14 giugno, infatti, che Pasquale, Gianpiero e Luciano coordinano una dozzina di volontari nella preparazione di circa 1.500 "giornate alimentari", per i terremotati e per le forze della Croce Rossa impegnate nel territorio.

"È stata una bella scommessa e sta andando tutto bene", confessa Alberta Ianni di e-Team, che insieme all’altra cooperativa Men at work gestisce da sei anni il progetto di ristorazione nella Casa circondariale Rebibbia nuovo complesso, dove prima erano impiegati i detenuti. Ma a puntare su di loro sono stati, prima di tutti, loro stessi, che subito dopo l’emergenza hanno messo in atto con gli altri detenuti di Rebibbia diverse iniziative, tra cui una raccolta fondi.

Poi hanno deciso di proporsi in prima linea come volontari nelle mense allestite nel campi. A questa richiesta è stata data attuazione nel tempo record di quattro giorni, grazie alla mobilitazione delle due cooperative e all’appoggio della Direzione del carcere e del Tribunale di sorveglianza. Così, dal 18 aprile, Pasquale, Gianpiero, Luciano e un altro detenuto oggi in semilibertà hanno deciso di rinunciare a quasi due settimane di permessi con parenti e amici per impiegarli come volontari nella mensa.

L’aiuto apportato al campo è stato tale che il progetto è continuato, ma sotto un’altra forma: ora i tre detenuti sono non solo soci della cooperativa Men at work, da cui vengono regolarmente stipendiati, ma veri e propri responsabili della cucina del campo, dove si recano tutti i giorni partendo alle sei da Rebibbia e rientrando in cella alle undici di sera.

Questa possibilità gli è stata data grazie all’articolo 21 dell’Ordinamento penale, che prevede la possibilità di uscire dal carcere per lavorare. Il progetto, che ha rischiato di chiudere a fine giugno per mancanza di fondi, sembra invece destinato a protrarsi di due mesi in due mesi, fino a quando il disagio non sarà passato.

"Adesso sono diventati indispensabili - commenta Alberta Ianni -. Per loro è una forma di riscatto molto forte - spiega - perché non solo si sono impegnati, e bene, ma lo hanno anche fatto in un momento e in un posto dove c’è stata una forte esigenza. Il riscatto sociale di chi ha scontato con dignità una pena sta anche in questo: poter restituire qualcosa alla società".

Il clima vissuto nel campo facilita molto i rapporti con i tre detenuti, in quanto di fronte all’emergenza e al disagio ogni nuovo aiuto è accolto con gioia e ringraziamenti, indipendentemente dalla loro condizione di detenzione. "Io non me l’aspettavo - confessa Pasquale, un detenuto -, qui è tutto unito, non conta da dove vieni, chi sei o cosa hai fatto. Questa è stata la cosa più bella".

Gli eventuali pregiudizi sembrano aver lasciato posto all’esperienza vissuta. "Gli altri volontari neanche ci hanno chiesto del nostro passato", prosegue Pasquale, "e anche quando qualcuno ce l’ha chiesto, ha detto non sembrate proprio".

Reggio Emilia: domani ci sarà la Giornata di studio sugli Opg

 

La Gazzetta di Reggio, 6 luglio 2009

 

"Ospedali psichiatrici giudiziari, a che punto siamo?". Questo è il tema della giornata di studio che si svolgerà martedì 7 luglio, dalle 9.30 alle 17 al Centro Loris Malaguzzi. L’iniziativa è organizzata dal Forum nazionale per il diritto alla salute delle persone private della libertà personale e dalla Conferenza nazionale dei garanti dei diritti dei detenuti. L’incontro sarà un’occasione di riflessione sul decreto del Presidente della Repubblica del 1º marzo 2008 che ha sancito il passaggio delle competenze sanitarie degli istituti di pena, fra cui gli Opg dal Ministero di giustizia ai Servizi sanitari regionali e di conseguenza alle Aziende Usl. Il Ministero di giustizia mantiene invece le competenze amministrativo-penitenziarie.

Viterbo: presentazione di "Volare liberi. Racconti di detenuti"

 

Asca, 6 luglio 2009

 

Sarà presentato domani sera alle 19 nella chiesa di San Salvatore, il libro di Claudio Mariani "Volare liberi. Racconti di detenuti". Interverrà Pierpaolo D’Andria, direttore della casa circondariale Mammagialla.

Ci sono luoghi al mondo che non hanno voce, luoghi che nessuno vorrebbe conoscere, luoghi in cui lo scorrere del tempo è dilatato, imprigionato; luoghi la cui identità sfumata e impalpabile rende invisibili persino i contorni di chi li abita. Di quelli che sono dentro. Ignorati da quelli fuori. Sono le carceri, quei non-luoghi, dove centinaia di detenuti passano le loro giornate nella loro muta solitudine, al di là di quelle fredde sbarre, aspettando di oltrepassare il confine verso il fuori. Il confine della propria libertà.

Certe volte sì, riescono a volare, ad uscire con la mente da quel gelo grigio e ad esternare la loro anima. Si chiama "Volare liberi" il libro di Claudio Mariani, che sarà presentato a Caffeina domani alle 19 nella Chiesa di San Salvatore, un libro che raccoglie racconti di detenuti, di chi il carcere è la sua casa, la sua prigione, la sua ossessione.

"Per descrivere davvero quel che è un carcere e chi lo abita, ho pensato che solo dall’interno e solo dalle penne dei suoi abitanti può scaturire un’immagine autentica: un’immagine che non sia l’ennesima ed inutile descrizione di un ambiente, ma che diventi energia in movimento per portare fuori il clima, i sentimenti, le paure e le speranze.

Nessuna intenzione di indulgere al vittimismo, ma solo desiderio di non mettere le sbarre anche alle riflessioni tra chi scrive e chi legge". Alla presentazione, organizzata in collaborazione con il Gavac, interverrà anche il direttore della casa circondariale di Viterbo, Pierpaolo D’Andria. Una nuova serata di Caffeina, per dare volto a chi non ha tempo. Per regalare sorsate di libertà a chi non ha più voce.

Roma: Rebibbia; inaugurazione dell’impianto solare termico

 

Comunicato stampa, 6 luglio 2009

 

Martedì 7 luglio sarà inaugurato, con un convegno di presentazione, l’impianto solare termico realizzato presso la Casa di reclusione di Rebibbia, al cui progetto ha collaborato il Cirps-Centro interuniversitario di ricerca per lo sviluppo sostenibile della Sapienza.

Al convegno parteciperanno Stefano Ricca, direttore del carcere CR Rebibbia, Stefania Prestigiacomo, ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, Bruno Agricola, direttore generale per la salvaguardia ambientale presso il ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, Vincenzo Tricarico, responsabile per il ministero della Giustizia per la solarizzazione dei penitenziari, Andrea Micangeli e Vincenzo Naso del Cirps-Centro interuniversitario di ricerca per lo sviluppo sostenibile della Sapienza, Roberto Salustri della cooperativa Reseda e i rappresentanti dei detenuti che illustreranno la fase realizzativa e esecutiva del lavoro.

L’impianto della Casa di reclusione di Rebibbia è stato istallato nell’ambito del Programma nazionale di solarizzazione degli istituti penitenziari che ha come obiettivo la solarizzazione di 15 istituti penitenziari in tutta Italia, da realizzarsi in cinque anni attraverso 5000 metri quadrati di pannelli solari termici.

Il programma, al quale il Cirps collabora con attività di tutoraggio, prevede il coinvolgimento attivo dei detenuti stessi per la gestione degli impianti, tramite corsi di formazione professionale, e rappresenta quindi un’opportunità di professionalizzazione e di avviamento di attività imprenditoriale nel comparto del solare termico.

La realizzazione di questi impianti e l’esperimento di autoproduzione di collettori solari avviato nel carcere di Rebibbia ha recentemente permesso di mettere a disposizione dei campi di accoglienza aquilani più di 70 mq di collettori solari costruiti dai detenuti.

I giornalisti interessati a seguire l’evento dovranno inviare una richiesta di accredito entro le ore 12.00 di lunedì 6 luglio 2009 al seguente indirizzo di posta dell’Ufficio stampa e comunicazione: stampa@uniroma1.it. La richiesta deve contenere nome e cognome del giornalista, data di nascita, testata, numero del tesserino dell’Ordine. Per accedere alla Casa di reclusione è strettamente necessario inoltre presentarsi muniti di tesserino professionale e di documento di riconoscimento valido. Per ulteriori informazioni chiamare il numero 06.49910034 o 06.49910035.

Vigevano (Pv): spettacolo teatrale sul mondo della televisione

 

La Provincia Pavese, 6 luglio 2009

 

Uno spettacolo dedicato al mondo della televisione e dei reality show, che ha coinvolto 13 detenute del carcere di Vigevano, e il centro territoriale di educazione permanente della scuola media Bramante di Vigevano. Lo spettacolo teatrale, intitolato The cheapest show, è stato presentato all’interno della casa circondariale.

"In parte è danzato ed in parte recitato - dice Laura Avico, insegnante e responsabile del Cpt della Bramante - il lavoro, diretto dal regista Marino Spadini, è frutto di un laboratorio teatrale che coinvolge detenute del reparto alta sicurezza. Lavoro con detenute e detenuti dal 1996. E quello che mi colpisce ogni volta è il rapporto che si instaura e la loro gioia di partecipare". Lo spettacolo prende in giro il mondo della tv, dai reality alla serie televisiva "La signora in giallo".

"Lo spettacolo - dice il regista Spadini - si basa molto sulle emozioni e sulle aspirazioni delle ragazze, sulle loro riflessioni, che hanno contribuito molto alla stesura e alla realizzazione". "Uno spettacolo impegnativo, anche da un punto di vista organizzativo - dice il direttore della casa circondariale dei Piccolini, Davide Pisapia - Ma rientra nell’ambito del cammino verso il reinserimento educativo. Non rappresenta solo un momento di svago, ma anche di riflessione".

Gorgona (Li): il rock dei "Mariposa" ha risvegliato il carcere

di Fulvio Paloscia

 

La Repubblica, 6 luglio 2009

 

Anche un carcere ha i suoi suoni. Il cancello d’ingresso che si chiude e recide ogni rapporto con il mondo esterno. I sussurri e le grida che si levano dalle celle. L’inudibile fruscio del tempo che non passa. Il silenzio è il suono più bello della colonia penale della Gorgona.

Lassù, sulla cima di questo pugno di terra immerso nel Tirreno da dove s’intravede uno spicchio di mare quasi a farsi beffa del destino di reclusione dei 70 detenuti, si sentono solo i gabbiani, gli uccelli, i suoni della natura che interrompono un silenzio tranquillo, sospeso. Ma oggi no. Oggi al carcere della Gorgona è arrivato il rock.

Italia Wave ha portato nel cortile-campo di calcio (con tanto di gradinate) le chitarre acide e i ritmi mutevoli dei Mariposa, una delle più inventive band del panorama italiano. I detenuti, al cinquanta per cento stranieri, scontano tutti pene per reati comuni, e hanno gli occhi che brillano di festa. Anche perché qua dentro il rock ha uno spazio tutto suo, quotidiano.

La band si chiama "Liberi di evadere". Tutto merito di Fabio. Il postino del paese che di punto in bianco, qualche settimana fa, ha visto ridurre l’orario di lavoro per colpa della crisi. D’ora in avanti l’ufficio postale, quello dove arrivano le lettere per i detenuti, rimarrà aperto un solo giorno alla settimana. Ma Fabio non molla: continuerà a stare qui, "io sono la loro via di fuga verso il mondo là fuori, sono il loro collegamento con la realtà" dice con il suo panama in testa, accento romano, le mani piene di anelli.

Di più. È l’amico che fa suonare quattro detenuti, che li ha avvicinati alla musica, "un giorno questi ragazzi mi hanno visto con una chitarra e mi hanno detto perché non ci insegni a strimpellare?". Così, Fabio trascorre tre pomeriggi alla settimana in carcere, come volontario. E, in una piccola sala prova perfettamente insonorizzata, con un minipalco e tanti strumenti, fa musica, e la musica s’infila nei buchi delle cancellate e scappa via verso la campagna, scende giù verso il mare ed è come se anche loro, per un po’, fossero fuori.

Sebastian Back (non è uno scherzo, si chiama così) polistrumentista polacco, George Sava, rumeno, bassista da appena 5 mesi, Francesco Gabriellini livornese purosangue, batterista, il brasiliano Serginho Da Silva alla chitarre insieme a Fabio Mandatori, il postino anche lui chitarrista. Suonano quello che gli capita: "Improvvisiamo, mescoliamo un po’ di rock e di jazz con tanta melodia. Non c’è una voce perché è difficile trovarla, non ci sono parole anche se abbiamo provato a scrivere testi ognuno nella nostra lingua" dice George, 24 anni, muscoli tatuati ma occhi di bambino ("sei meglio di Michael Jackson" gli urlano gli altri) mentre Francesco, quando era in libertà, suonava in qualche club, "qui buttare giù il ritmo sulla batteria mi serve a scaricare la tensione, a non rifarmela con le persone che mi sono accanto, a calmarmi".

Giovanni Martano, vicecomandante del reparto di polizia penitenziaria ha fatto di tutto perché questa esperienza diventasse stabile, facilitando le pratiche di acquisizione di mixer, strumenti, impianto d’amplificazione, purché i detenuti musicisti suonassero Riccardo Zappa, star della chitarra degli anni Settanta e sua grande passione. Anche se loro amano altro: Laura Pausini, Biagio Antonacci.

Grazie ai loro testi, tanti detenuti stranieri imparano l’italiano. Sul palco, costruito da Gennaro, un detenuto minuto, piccolo, abbronzato, con i baffetti, suonano i Mariposa ma anche i ragazzi del carcere. Ed è come se si conoscessero da sempre. Il battito della batteria e i graffi della chitarra solcano l’aria verso il carcere che sembra un palazzo popolare delle periferie di oggi, se non fosse per le grate alle finestre e le porte blindate azzurre a sigillare le celle, ognuna con il suo bagno, la sua doccia. I detenuti lavorano i campi, allevano gli animali, c’è un caseificio, fanno lavori di manutenzione.

A fine mese, percepiscono uno stipendio inferiore ai due terzi dei contratti nazionali che regolano le diverse mansioni. E persino quel maledetto 2004, quando a distanza di pochi mesi furono uccisi due detenuti, Martino Vincenzo Zoroddu e Francesco Lo Presti, sembra lontano: "È seguito un periodo di restrizioni, ma tutto è tornato alla normalità" dice il direttore Alberto Mazzerbo.

La musica ora riempie il silenzio, sovrasta i gorgheggi rauchi dei gabbiani. E già i Mariposa propongono progetti. Tornare ancora. O campionare voci e suoni dal carcere per un album. E da qualche parte, si leva un grido: "Perché non si va tutti da Maria de Filippi?".

Massa: la ludoteca di Telefono Azzurro festeggia il primo anno

 

Il Tirreno, 6 luglio 2009

 

Oggi i volontari di Telefono Azzurro di Massa Carrara festeggiano il primo compleanno della "Ludoteca di Telefono Azzurro", realizzata presso la Casa di Reclusione di Massa, grazie al contributo di tanti e in particolar della Provincia di Massa-Carrara, inaugurata il 23 giugno 2008. Quella di oggi è una festa voluta dai volontari, in comune accordo con il direttore Salvatore Iodice e l’Area tratta mentale, per regalare alle famiglie e ai bambini che frequentano la ludoteca ore di allegria e di gioco. Per questo compleanno speciale la ludoteca si vestirà a festa con tanti palloncini di Telefono Azzurro: e come in ogni compleanno non mancherà la torta, con tanto di candelina.

I volontari apuani di Telefono Azzurro sono da anni impegnati nel progetto "Bambini e Carcere-Ludoteca in Carcere", realizzato inizialmente nell’area verde del carcere di Massa, che rientra nell’ambito delle attività per la tutela dei bambini ed adolescenti ed è attivo negli Istituti di pena di numerose città italiane.

Questo progetto prevede, infatti, l’allestimento di uno spazio strutturato ed attrezzato adatto alle esigenze relazionali dei bambini ed adolescenti che varcano le porte delle strutture penitenziarie per incontrare il proprio genitore recluso. Il comitato per il Telefono Azzurro di Massa Carrara ringrazia per la disponibilità il direttore della Casa di reclusione di Massa, Salvatore Iodice, il comandante, gli agenti di polizia penitenziaria e gli educatori dell’Area trattamentale da sempre sensibili al problema dei bambini con un genitore detenuto.

Immigrazione: respinti dall’Italia, sospesi tra carcere e morte

di Gabriele Del Grande

 

L’Unità, 6 luglio 2009

 

In Eritrea ragazzi e ragazze, raggiunta la maggiore età, sono obbligati alla coscrizione militare a tempo indeterminato e i disertori sono puniti col carcere. La maggior parte di chi era su quell’imbarcazione fuggiva da questo. Erano eritrei i passeggeri dell’imbarcazione respinta al largo di Lampedusa lo scorso primo luglio. Rifugiati eritrei. Che adesso rischiano il rimpatrio. O la detenzione a tempo indeterminato nelle carceri libiche, dove già sono stati tratti in arresto. 165 uomini si trovano nel campo di detenzione di Zuwarah. Le 9 donne nel campo femminile dì Zawiyah, a ovest di Tripoli.

La lista - Abbiamo ricevuto la lista completa dei loro nomi dalla comunità eritrea di Tripoli. Non possiamo pubblicarla per evidenti motivi di sicurezza. Si tratta nella maggior parte dei casi di disertori dell’esercito. Sono una piccola parte degli almeno 130.000 eritrei rifugiati in Sudan. Da anni in Eritrea ragazzi e ragazze, raggiunta la maggiore età, sono obbligati alla coscrizione militare a tempo indeterminato e i disertori sono puniti col carcere. E la stessa fine fanno giornalisti, obiettori di coscienza, uomini politici e leader religiosi in un Paese che dopo l’indipendenza, dal 2001 è stretto in una morsa sempre più autoritaria.

Richiedenti asilo - L’Italia conosce bene la situazione eritrea. La conosce talmente bene che lo scorso anno ha concesso un permesso di soggiorno alla maggior parte dei 2.739 eritrei sbarcati sulle coste siciliane. In nome degli obblighi internazionali verso i rifugiati politici. Ma i tempi adesso sono cambiati. I respingimenti in mare sono la regola. Poco importa se si rimandano in Libia persone che rischiano la vita in caso di rimpatrio. Dopotutto Maroni è stato chiaro: "L’Unhcr può fare in Libia l’accertamento delle persone che chiedono asilo". Il ragionamento non fa una piega. Perché un rifugiato deve chiedere asilo in Europa quando può comodamente farlo in Libia? Chissà se la pensano allo stesso modo i 75 eritrei respinti e arrestati. L’Alto commissariato dei rifugiati dell’Orni è già stato informato del caso. E se tutto va bene il rimpatrio sarà annullato e i profughi saranno trasferiti a Misratah. Un campo di detenzione 200 km a est di Tripoli, dove dal 2006 altri 600 eritrei aspettano una soluzione.

Il resettlement - La soluzione - che è quella proposta da Maroni - si chiama resettlement. Consiste nel trasferimento dei rifugiati politici in un Paese terzo disposto ad accoglierli volontariamente. L’Italia lo fece nel 2007 con 60 donne eritree che da oltre un anno erano detenute a Misratah. In quello stesso campo ci sono rifugiati detenuti da tre anni. Piuttosto che tornare nelle galere eritree o nelle trincee al confine con l’Etiopia, preferiscono rimanere lì. A buttare gli anni migliori della propria vita. In attesa che l’Italia e l’Europa aprano il rubinetto col contagocce.

È uno degli effetti più nefasti delle politiche dei respingimenti. Il diritto è diventato un bastone tra le ruote. Quello che non tutti sanno infatti, è che ognuno dei 74 eritrei respinti avrebbe diritto di presentare ricorso alla Corte europea - e con tutta probabilità di vincerlo - per violazione del diritto d’asilo, del divieto di torture e del diritto a un ricorso effettivo. Esattamente come hanno fatto il mese scorso 24 rifugiati somali ed eritrei respinti a Tripoli e assistiti dall’avvocato Giulio Lana del foro di Roma. Avrebbero diritto, ma non hanno accesso a un avvocato. Ormai è tutto più sbrigativo.

Ritorno obbligato - Lo hanno imparato a loro spese due degli eritrei deportati. Ancora una volta non possiamo fare i loro nomi. Quando si sono accorti che il pattugliatore Orione della Marina italiana stava facendo rotta verso sud, hanno vivamente protestato a bordo. Secondo il racconto dei nostri testimoni ne sarebbe nata una colluttazione con alcuni ufficiali e il ferimento dei due profughi. Niente paura. Gli italiani dormano sogni tranquilli. "Abbiamo fermato l’invasione", come recitavano i manifesti elettorali della Lega.

Immigrazione: Anm; gli irregolari presenti saranno tutti puniti 

 

Redattore Sociale - Dire, 6 luglio 2009

 

Il presidente dell’Associazione nazionale magistrati smentisce i ministri Maroni e Sacconi: la norma si applica non solo a chi fa ingresso, ma anche a chi si trattiene sul territorio italiano.

"È vero che un reato non può essere retroattivo, ma questa legge, all’articolo 10 bis, punisce non solo chi fa ingresso ma anche chi si trattiene irregolarmente sul territorio italiano. E quindi interessa tutti gli immigrati irregolari presenti in Italia". È il parere di Luca Palamara, presidente dell’Associazione nazionale magistrati, sulla parte del pacchetto sicurezza riguardante il "reato di clandestinità". Un parere che sarà meglio definito dall’Anm durante la settimana con un’analisi approfondita, ma che con questa anticipazione smentisce di fatto le dichiarazioni dei ministri Maroni e Sacconi sulla "non retroattività" del pacchetto sicurezza e quindi sul fatto che le numerose badanti senza permesso di soggiorno che lavorano in Italia non dovranno avere timori di essere punite con le ammende previste e con la successiva espulsione.

Palamara conferma anche le preoccupazioni della magistratura italiana sul pesante aggravio di lavoro che le nuove norme porteranno al lavoro dei tribunali: "Avevamo già affrontato questo tema in Commissione Giustizia e nella mia relazione al congresso di un anno fa, nella quale esortavamo la politica ad incamminarsi verso una razionale depenalizzazione dei reati. Qui invece non solo ne viene introdotto uno nuovo che va a incidere per giunta su grandi numeri, ma si colpisce uno status piuttosto che un’azione specifica".

Immigrazione: Asgi; colpiti gli irregolari già presenti in Italia

 

Redattore Sociale - Dire, 6 luglio 2009

 

Lorenzo Trucco, avvocato e presidente dell’associazione smentisce Maroni: "Dal giorno dopo in cui entrerà in vigore la legge, ogni straniero senza permesso di soggiorno è autore del reato per il solo fatto di essere in Italia".

Il reato di clandestinità colpisce anche gli irregolari che sono già presenti in Italia. "Quel che dice il ministro Maroni è sconcertante e privo di fondamento giuridico". Lorenzo Trucco, avvocato e presidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) commenta così le dichiarazioni del ministro dell’Interno, nell’intervista pubblicata dal quotidiano Libero venerdì scorso, secondo il quale "qualsiasi studente del primo anno di giurisprudenza sa bene che la legge penale non ha effetto retroattivo. Pertanto, il reato di immigrazione clandestina non si può applicare a chi è già entrato in Italia anche se irregolarmente". Per il presidente dell’Asgi non è vero. "Il disegno di legge approvato il 2 luglio punisce non solo l’ingresso illegale nel nostro Paese, ma anche la permanenza. E quindi dal giorno dopo in cui entrerà in vigore, ogni straniero senza permesso di soggiorno è autore del reato di clandestinità per il solo fatto di essere in Italia".

Il reato di clandestinità è "una ferita profonda nella cultura dei diritti umani del nostro Paese", aggiunge Lorenzo Trucco. Le conseguenze indirette per gli immigrati irregolari saranno molte: "Non potranno fare gli atti di stato civile, per esempio un padre non potrà riconoscere il figli appena nato, né potranno registrare la morte di un congiunto. Non potranno più neanche mandare i soldi nel Paese d’origine perché le agenzie di money trasfert dovranno chiedere l’esibizione del permesso di soggiorno". In Italia ci saranno persone di serie A e serie B. "Viene istituzionalizzata la nascita di una categoria di persone che non ha più accesso ai diritti fondamentali", conclude il presidente dell’Asgi.

Immigrazione: "sanatoria" delle badanti, nel governo si litiga

 

Corriere della Sera, 6 luglio 2009

 

Una regolarizzazione per gli extracomunitari che sono già in Italia senza permesso di soggiorno, ma con un rapporto di lavoro in corso. A chiederla al governo, attraverso un provvedimento d’urgenza simile alla regolarizzazione attuata nel 2002, prima dell’entrata in vigore della legge Bossi-Fini, è il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla famiglia Carlo Giovanardi. Obiettivo, gestire l’emergenza di colf e badanti - circa mezzo milione di persone ora in Italia, che si troverebbero fuorilegge con l’ok al pacchetto sicurezza - e rendere più efficaci le nuove norme varate dal Parlamento. Giovanardi l’ha spiegato all’Ansa precisando che non si tratta di una sanatoria, perché non indiscriminata ma rivolta ai cittadini extracomunitari già in Italia e il cui datore di lavoro sia disponibile ad assumerli e quindi regolarizzarli.

"Le nuove norme sulla sicurezza saranno efficaci soltanto se accompagnate da un provvedimento indirizzato agli extracomunitari già in Italia con un rapporto di lavoro in essere che non possono trasformare in contratto di lavoro in quanto irregolari - dice Giovanardi all’Ansa - Come responsabile delle politiche familiari di questo governo, chiedo al presidente del Consiglio di mettere all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri un provvedimento d’urgenza, come quello che funzionò benissimo nel secondo governo Berlusconi, soprattutto per quanto riguarda l’emergenza colf e badanti". Una richiesta sostenuta dall’auspicio che "i nuovi strumenti a disposizione di forze dell’ordine e magistrati non rimangano grida senza alcun effetto", per cui, ha concluso Giovanardi, "ora si può e si deve risolvere questo problema che riguarda centinaia di migliaia di famiglie italiane e centinaia di migliaia di lavoratori extracomunitari".

A stoppare l’idea di Giovanardi è intervenuto il ministro leghista Roberto Calderoli. "È ora di finirla con l’idea che questo sia il Paese del "fatta la legge, trovato l’inganno". La proposta di Giovanardi sulle colf e le badanti non è altro che una sanatoria, peraltro già realizzata nei fatti nel 2002 e poi con l’approvazione, da parte del governo Prodi, delle quote di flussi superiori al numero delle domande. Sanatorie non se ne possono fare, non solo per scelta, ma anche perché le stesse sono state vietate dal "Patto europeo per l’immigrazione ed il diritto di asilo" approvato all’unanimità dal Consiglio Europeo nell’ottobre 2008 su proposta di Sarkozy".

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Bonaiuti, dopo aver premesso che "le nuove norme sulla sicurezza non incidono sulle persone che già sono in Italia perché le norme penali riguardano solo il futuro e non sono retroattive non si può procedere ad alcun tipo di sanatoria generalizzata perché ciò è vietato dal Patto europeo per l’immigrazione e l’asilo, firmato dai Capi di Stato e di Governo al Vertice europeo dell’ottobre scorso".

Sulla questione è intervenuto anche il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi che ha invitato a non avere approcci "superficiali o semplificatori" sulla eventuale regolarizzazione di badanti e colf dopo l’ok al pacchetto sicurezza. Piuttosto, sottolinea in una nota, il governo nella sua "collegialità" dovrà ora "verificare tanto i modi di gestione della transizione, quanto la nuova programmazione dei flussi in termini necessariamente selettivi e compatibili con il primario dovere di tutelare l’occupazione dei cittadini e degli stessi immigrati che hanno perso il lavoro".

A gettare acqua sul fuoco ci ha poi provato Daniele Capezzone, portavoce del Pdl che in una nota nega che il problema posto da Giovanardi esista: "Come sanno tutti, un reato penale non è mai retroattivo. E quindi anche il reato penale di immigrazione clandestina (giustamente inserito dal ddl sicurezza) non potrà certo applicarsi a chi oggi è in Italia e lavora come colf o badante, anche se il suo ingresso fu irregolare. Il Governo non si sogna di mettere in difficoltà colf e badanti".

Immigrati: Calderoli; no a sanatoria, troppe badanti sono finte

 

Asca, 6 luglio 2009

 

Nessuna regolarizzazione per le badanti, come chiesto ieri dal sottosegretario Carlo Giovanardi. Lo ribadisce il ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli, in un’intervista al Corriere della Sera. Per Calderoli, i numeri certificati dalle organizzazioni umanitarie sulla presenza di badanti nel nostro Paese "sembrano tutti teorici e astratti. E comunque, mi dispiace, ma di regolarizzazione non se ne parla".

Il ministro dice di non credere poi che siano "così tante. E comunque chi non è regolare è di certo perché non ha voluto farlo rimanendo a lavorare in nero. Così non vengono pagate tasse e contributi". E ricorda che "quando abbiamo fatto le verifiche per valutare le domande di ingresso delle badanti nel nostro Paese è venuto fuori che i due terzi di queste richieste erano prostitute".

Dunque, pur dicendosi "dispiaciuto per qualche badante che dovrà andare via", il ministro ribadisce che "se per regolarizzarne una devo fare entrare dieci prostitute e cinquanta spacciatori, allora preferisco lasciar perdere tutto".

Olanda: la criminalità diminuisce, il governo chiude 8 carceri

 

Press Europ, 6 luglio 2009

 

A causa della mancanza di detenuti, la giustizia olandese ha annunciato la chiusura di otto carceri. Da qualche anno la criminalità in Olanda è in diminuzione. Una conquista che non fa piacere a tutti, ironizza Bert Wagendorp.

I Paesi Bassi soffrono una penuria di delinquenti e per questo si apprestano a chiudere otto carceri. Oggi alla camera dei deputati è in programma un dibattito sulla questione: come si è arrivati a questo punto e chi sono i responsabili? Per risolvere il problema, importeremo delinquenti belgi per mantenere in funzione il nostro sistema penitenziario.

Già mi vedo il nostro ministro degli esteri, Maxime Verhagen, implorare i colleghi stranieri affinché spediscano nel nostro paese i loro delinquenti in eccesso, in modo da conservare i posti di lavoro nel nostro regime carcerario. Il dibattito è stato chiesto dal Vvd (liberali di destra) e dal Pvv (estrema destra). Partecipa anche l’Sp (Partito socialista): vuole garanzie sull’impiego del personale penitenziario. Proprio dei veri socialisti: non capiscono niente delle leggi del mercato. D’accordo, le spieghiamo un’ultima volta: il calo dell’offerta di delinquenti comporta il calo della domanda di carcerieri.

Il progetto della segretaria alla giustizia, Nehabat Albayrak, è stato accolto male soprattutto da Vvd e Pvv, com’era logico: il messaggio è troppo positivo e gli toglie il terreno sotto i piedi. Sono anni che i partiti di destra fanno credere agli elettori olandesi che la criminalità è oltre ogni limite, che se escono dopo le sei di sera è a loro rischio e pericolo, che i loro quartieri si stanno trasformando in ghetti.

Gli dicono che sono necessari il pugno di ferro e l’incarcerazione a vita di questi individui. Gli dicono che il corpo di polizia è composto soprattutto di agenti agorafobici e che i giudici sono mediocri e fin troppo tolleranti: è necessario sterminare tutta la propria famiglia prima di vedersi assegnare una stanza in questi alberghi di gran lusso dotati di ogni comfort che chiamiamo "carceri". Tutt’al più per un mese. È per questo che le celle sono vuote, dicono. È un miracolo che ci sia ancora qualcuno in prigione, visto il numero di pene commutate in lavori di pubblica utilità e i centri specializzati per accogliere i tipi aggressivi.

Sissignori, ecco a che punto siamo arrivati nel nostro paese, dicono. Per fortuna ci sono ancora pirati da incarcerare, altrimenti bisognerebbe chiudere altre prigioni. Del resto, non è da escludere che questi individui finiscano presto a spasso con un braccialetto elettronico, a studiare a nostre spese l’oceanografia o la letteratura africana. Povera Olanda! Era un discorso facile da propinare agli elettori; ecco invece che la signora Albayrak ci racconta il contrario: bisogna chiudere le carceri a causa della poca criminalità. È un brutto colpo per la destra. È come prendere uno strofinaccio in faccia. Non c’è niente di più meschino. È proprio il genere di brutti scherzi di cui la Albayrak è specialista.

L’altro giorno ho visto al telegiornale l’ex procuratore Fred Teeven (liberale di destra): aveva l’aria disperata. È come se la Albayrak, con il suo progetto funesto, gli avesse tolto ogni ragion d’essere. Non mi stupirebbe se Fred attaccasse una banca o rapinasse una vecchietta poco prima del dibattito solo per mostrare che la lotta contro la criminalità non va nella giusta direzione. Fred Teeven sa benissimo che la criminalità è in calo dal 1995, che le alternative alla pena carceraria danno spesso buoni risultati e che i Paesi Bassi sono un paese abbastanza sicuro. Ma la paura costituisce il capitale di Fred, del Vvd e soprattutto del Pvv, che non sono affatto disposti a rinunciarvi.

Gran Bretagna: "La Gattabuia", ristorante di lusso nel carcere 

 

Ansa, 6 luglio 2009

 

Un ristorante di alta cucina ha aperto i battenti nella High Down Prison, un carcere della contea inglese del Surrey. Chi vi vuole cenare deve superare i controlli di sicurezza e accontentarsi di posate di plastica. Ma una volta preso posto a un tavolo di "The Clink" ("la Gattabuia") potrà gustare a prezzi stracciati pietanze degne di un locale di prima categoria. Il ristorante è interamente gestito dai detenuti sotto la supervisione di Alberto Crisci, ex chef dell’esclusivo "Mirabelle" di Mayfair, nel centro di Londra. Il servizio penitenziario vi ha investito 300mila sterline e Crisci vi ha impegnato fondi personali per permettere ai carcerati di trovare lavoro nel catering una volta in libertà.

 

 

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