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Giustizia: dall’ossessione della sicurezza si genera l'insicurezza di Michele Ainis
La Stampa, 4 luglio 2009
All’indomani del nuovo reato d’immigrazione clandestina, alla vigilia del prossimo reato d’intercettazione malandrina, resta in sospeso una domanda: quanti ancora vogliamo sbatterne in galera? Africani itineranti, giornalisti intraprendenti, e poi a seguire drogati impenitenti, automobilisti imprudenti, mendicanti e postulanti, perfino chi ha una casa da affittare, se putacaso sbaglia l’inquilino. Ma questa domanda se ne tira dietro una seconda: c’è in Italia un pozzo così largo e profondo da ospitare i rifiuti umani che gettiamo via dalla cucina? No, non c’è. C’è piuttosto un intero paese chiuso a chiave dentro il Belpaese. È grande quanto L’Aquila prima del terremoto, supera la popolazione di Teramo e Rovigo, ha il doppio d’abitanti rispetto a Enna, Aosta, Nuoro, Belluno, ma non dispone degli stessi chilometri quadrati. Vive in stanze dove si fanno i turni per dormire, talvolta in compagnia di qualche topo, talvolta sottoterra come a Favignana. È il paese dei galeotti: 63.460 residenti a giugno, 70 mila entro il prossimo dicembre, dato che le new entries sono mille al mese. Significa due volte e mezzo la popolazione carceraria del 1990, significa una cifra mai più raggiunta da quando Togliatti nel 1946 firmò la prima amnistia della Repubblica. Ma siccome la capienza dei nostri penitenziari (peraltro spesso fatiscenti) è di 43 mila posti, significa altresì che 20 mila detenuti sono in soprannumero, con un tasso d’affollamento che tocca il 160% in Lombardia, Friuli, Veneto, Sicilia, nonché il 193% in Emilia Romagna. Questo trattamento da sardine in scatola pone in primo luogo una questione di decenza, perché è indecente trattare i carcerati peggio delle bestie, quando le sevizie agli animali sono punite dalla legge. Pone in secondo luogo una questione d’ordine, perché col caldo la situazione finirà per surriscaldarsi ulteriormente, mentre gli agenti penitenziari sono 5 mila meno dell’organico. Pone in terzo luogo una questione di legalità, che a propria volta si traduce nell’offesa a tre principi dichiarati dalla Carta. Primo: il "senso di umanità" cui deve corrispondere la pena. Secondo: la presunzione d’innocenza, che evidentemente non vale per quel 52% di detenuti in attesa d’una sentenza definitiva di condanna. Terzo: l’eguaglianza "senza distinzione di razza", dato che la carcerazione preventiva colpisce il 43% degli italiani, ma il 58% degli extracomunitari. D’altronde vorrà pur dire qualcosa se nelle ultime due settimane sia il Capo dello Stato, sia il presidente della Corte costituzionale hanno manifestato il loro allarme. E d’altronde perfino in California - dove le galere sono le più gonfie al mondo - nel febbraio scorso una Corte federale ha imposto a Schwarzenegger di liberare un terzo dei detenuti entro il prossimo triennio. Sicché serve a ben poco baloccarsi con l’idea delle celle galleggianti, o fantasticare su un piano d’edilizia carceraria che aggiungerebbe 17 mila posti entro il 2012, come ha promesso il governo a inizio anno. Staremmo comunque sotto il necessario, e oltretutto fin qui ogni nuovo carcere ci ha messo non meno di 10 anni prima che gli operai togliessero il disturbo. Meglio, molto meglio, cancellare quel comma della legge Fini-Giovanardi sulle droghe che tiene dentro il 40% dei detenuti, perché non distingue fra consumo e spaccio. Meglio allargare le misure alternative al carcere, dato che nel 2008 la recidiva ha toccato soltanto lo 0,45% dei casi. Meglio infine smetterla con l’abuso dei delitti e delle pene. Anche perché, se diventiamo tutti criminali potenziali, il questurino o il giudice potrà mettere in galera chi gli sta meno simpatico. E infine l’ossessione della sicurezza avrà generato la più acuta insicurezza. Giustizia: un "tintinnar di manette", che non piace alla stampa
www.europaquotidiano.it, 4 luglio 2009
Nella rubrica di ieri avevamo segnalato quelle "pillole di razzismo" inoculate per legge (e per voti di fiducia) e, insieme, le reazioni "troppo flebili". Dalla lettura dei commenti (tutti in prima pagina) della stragrande maggioranza dei quotidiani in edicola dobbiamo ricrederci. Per fortuna. Editoriale non firmato (e quindi attribuibile alla penna del direttore, Gianni Riotta) sul Sole 24 Ore: "Senza nuove leve, stranieri ieri italiani domani, si fermano tutte le aziende, il turismo, la vita familiare (un esercito di badanti assiste i nostri anziani soli) e si inceppa la leva delle pensioni. L’emigrazione è una risorsa, non una piaga: e va regolata con saggezza e lungimiranza, senza strappi di propaganda che oggi assicurano un applauso, domani richiederanno altre sanatorie, altri interventi e sofferenze. Il presidente Obama ragiona su norme per chiudere con decenni di irregolari e anche da noi il tema aperto resterà come garantire un flusso regolare di immigrati, senza illudersi che un tintinnio di manette basti a fermare la storia". Molto più diplomatico, fin dalla titolazione e dalla collocazione (in seconda pagina), il commento di Avvenire affidato a Piero Chinellato: "Messa alla prova di un pacchetto diversificato". Il quotidiano dei vescovi sceglie la linea soft che contrasta con la breve e efficace dichiarazione (finite in prima pagina un po’ ovunque, ma non su Avvenire) del segretario del Pontificio consiglio per la pastorale dei migranti, monsignor Marchetto: "Questa legge porterà dolori e difficoltà". È una svolta che "non aiuta la giustizia" per Carlo Federico Grosso - editoriale de La Stampa. La conclusione dell’articolo è molto chiara: "Il segno distintivo della nuova legge è comunque, senza dubbio, il reato di immigrazione clandestina. Ed è su tale profilo che deve essere, pertanto, misurato il livello di civiltà, o di inciviltà, del "legislatore nuovo" che si accinge, in un modo o nell’altro, a trasformare lo Stato italiano e la sua immagine". Adriano Sofri, sulla prima di Repubblica, dimostra come - con quella pessima legge - da oggi l’Italia "sia più cattiva". E conclude con "un ultimo dettaglio" particolarmente significativo, quello delle carceri. "Mai nella storia del nostro Stato si era sfiorato il numero attuale di detenuti: 64 mila. Dormono per terra, da svegli stanno ammucchiati. la legge riempirà a dismisura i loro cubicoli. Gli esperti hanno levato invano la loro voce: "Le carceri scoppiano. C’è da temere il ritorno della violenza, un’estate di rivolte". Può darsi - è la conclusione di Sofri - Ma non dovrebbe essere lo spauracchio delle rivolte, che non vengono, perché nemmeno di rivolte l’umanità schiacciata delle galere è oggi capace, a far allarmare e vergognare: bensì la domanda su quel loro giacere gli uni sugli altri, stranieri gli uni agli altri. La domanda se questi siano uomini". Giustizia: legge punitiva e in qualche caso perfino persecutoria
Asca, 4 luglio 2009
La legge sulla sicurezza approvata in via definitiva al Senato questa settimana mostra "esiti" che sembrano confermare "una virata tale da tramutare la politica di gestione legale dell’immigrazione in un complesso di misure punitive e in qualche caso addirittura persecutorie". Lo scrive il quotidiano dei vescovi italiani Avvenire in un editoriale firmato da Piero Chinellato dal titolo "Legge sbilanciata che già mostra crepe", che analizza "il risultato finale del lavoro legislativo" da cui emerge "un testo caratterizzato da luci e ombre". Lo stesso Chinellato aveva appena ieri firmato un altro editoriale che parlava della necessità di "mettere alla prova" un "pacchetto diversificato" per le norme disparate contenute al suo interno. "Dobbiamo constatare - scrive oggi Avvenire - come ai segnali di allarme sulle possibili derive xenofobe, recisamente escluse dal governo, si associno rilievi sempre più incalzanti su concretissimi rischi di conseguenze inaccettabili". Tra questi, il problema dei "figli nati in Italia da genitori irregolari", il "rischio" per i neonati di "divenire invisibili", "l’impossibilità di effettuare le pubblicazioni matrimoniali se uno dei due nubendi non dispone del permesso di soggiorno". Sono "esiti" che, conclude Chinellato, "scongiuriamo, convinti che non ci si possa sottrarre dall’individuare spazi e strumenti in grado di evitarli". Giustizia: Coisp; questo è un vero e proprio decreto insicurezza
Asca, 4 luglio 2009
"Il nuovo decreto sicurezza avrebbe dovuto essere il punto di partenza per una nuova era in tema di politiche di difesa del territorio e dei cittadini, costituisce una notevole retromarcia rispetto a tutte le conquiste di libertà e democrazia fatte in questo Paese. Conquiste che si sono anche amaramente colorate del rosso del sangue dei colleghi di tutte le Forze dell’Ordine, che in nome dello Stato, hanno anteposto la salvaguardia della democrazia alla loro stessa vita". A sostenerlo è Franco Maccari, segretario generale del Coisp, il Sindacato Indipendente di Polizia, che critica fortemente l’introduzione delle così dette "ronde". Secondo Maccari un enorme balzo indietro è stato compiuto e "dopo l’introduzione delle ronde non ci sorprenderebbe - dice - se ci proponessero di tornare alle clave per difenderci. Le ronde infatti non sono un’invenzione della Lega, le ronde sono associazioni di cittadini che nel Medioevo, si occupavano della sicurezza del territorio. A parte i richiami storici, è bene che si sappia che c’è il rischio di innescare un meccanismo perverso, in cui qualcuno resterà intrappolato e si farà male". "Altro che decreto sicurezza! Questo Governo, impegnato più a realizzare operazioni d’immagine anziché realizzare interventi concreti per la sicurezza dei cittadini, - conclude il sindacato di polizia - in primis con supporti reali alle Forze di Polizia, ha elaborato un vero e proprio decreto insicurezza per l’Italia!". Giustizia: Fuci; preoccupazione per sordità della classe dirigente
Asca, 4 luglio 2009
"Con grave preoccupazione abbiamo appreso che nella giornata di giovedì il Senato ha dato il via libera definitivo al cosiddetto pacchetto sicurezza, ora divenuto legge dello Stato, che tra gli altri provvedimenti inserisce il reato di clandestinità e permette le ronde di associazioni di cittadini". Lo afferma una nota della Fuci (Federazione Universitaria Cattolica Italiana) che giudica molto negativamente la legge approvata in via definitiva dal Senato specie per quanto riguarda il reato di clandestinità e le ronde. "Tale provvedimento - prosegue la Fuci - è lesivo nei confronti di quelle persone che già arrivano in Italia da condizioni di guerra o estrema povertà, e cercano nel nostro Paese una speranza per loro e per le loro famiglie. Per molti immigrati viene messa a repentaglio la possibilità di usufruire del servizio sanitario e dei servizi sociali per il continuo rischio di subire un processo o la reclusione. Fatichiamo poi a vedere come l’entrata in vigore di questa legge possa portare miglioramenti alla sicurezza dei cittadini e non, al contrario, aumentare sentimenti di razzismo e xenofobia". "Non è processando o incarcerando quanti sono immigrati clandestinamente in Italia - fa osservare la Fuci - che si risolvono i problemi di sicurezza; questo può essere invece possibile garantendo processi quanto più rapidi possibile e la certezza della pena per i condannati. Al contrario con il testo approvato ieri si andrà a intasare un sistema giudiziario e penitenziario che già è in perenne stato di emergenza. Allo stesso modo siamo contrari alla possibilità che i cittadini si organizzino in ronde, un palliativo di fronte al mancato potenziamento di uomini e mezzi delle forze dell’ordine, l’organo preposto al controllo della pubblica sicurezza. Il rischio invece è di trasformare le nostre città e i nostri quartieri in moderni "far west". "Ci rammarichiamo infine per la continua sordità da parte della classe dirigente -conclude la nota- di fronte ai numerosi appelli provenienti dal mondo civile e delle associazioni, in particolare da quanti quotidianamente operano per far convivere l’accoglienza degli stranieri con il rispetto delle leggi. Il pericolo reale è quello di approvare provvedimenti demagogici e populisti per sedare una richiesta - più o meno reale - di sicurezza proveniente dal nostro Paese, andando però contro i più elementari diritti delle persone, immigrate, ma pur sempre persone". Giustizia: le carceri scoppiano di poveracci, di emarginati sociali
Ristretti Orizzonti, 4 luglio 2009
Riceviamo dai volontari del gruppo Carcere - Città di Modena. Su un punto sono tutti d’accordo: le carceri scoppiano. C’è un discreto accordo, almeno a livello di pubbliche dichiarazioni, anche sul fatto che la situazione nelle carceri è disumana e in netto contrasto con le norme costituzionali (art. 27). Ma l’accordo finisce qui. È lecito chiedersi perché siamo giunti a questo punto? Crediamo di sì, ma nessuno lo fa. Ci si ferma alla nuda denuncia del fatto. Sui giornali si leggono i numeri: la percentuale dell’aumento dei detenuti e lo squilibrio crescente tra agenti penitenziari (sempre gli stessi), e detenuti. E basta! Bisogna costruire nuove carceri! Dice il Ministro Alfano e i giornali gli fanno eco creando un enorme "spot". E si fanno piani precisi, lungimiranti, ma poi non si riesce nemmeno ad aprire le carceri già terminate (come a Rieti o Reggio Calabria), per mancanza di personale e dei fondi per farle funzionare. Niente invece sui meccanismi che, da qualche anno, hanno portato a questa situazione. I reati non sono aumentati, le statistiche stanno lì a dimostrarlo. Non c’è quindi una relazione tra l’aumento della carcerazione e l’aumento dei reati. Questo significa allora che si puniscono sempre di più con il carcere anche reati lievi, anche situazioni di vita in cui sempre più persone si vengono a trovare. Sono due le condizioni che portano in carcere con maggiore frequenza: 1) la condizione di clandestinità; 2) la condizione di tossicodipendenza; che molto spesso si intrecciano e si combinano. La terza è la recidiva, perché così come stanno le cose, chi si trova in quelle condizioni in carcere ci torna poco dopo esserne uscito, e con pene sempre crescenti. E il carcere si riempie sempre più di emarginati sociali, di poveracci che nulla hanno a che fare con la grande e vera criminalità (se non, qualche volta, per divenirne la preda e la manovalanza). E la pena non serve a nulla, se non a tener lì, delle persone chiuse per un periodo più o meno lungo, nella disperazione, nella rabbia o al massimo nella rassegnazione o, qualche volta, nello stupore di trovarsi lì. Il carcere non svolge se non su una percentuale molto bassa di detenuti la funzione di ri-educazione e di recupero sociale: il 32% dei circa 90 mila arrestati all’anno resta in carcere non più di tre giorni. In tre giorni non si può avviare nessun percorso di riabilitazione, è soltanto uno spreco di risorse. Il 70% dei detenuti è in attesa di giudizio, per loro non è previsto nessun tipo di intervento, perché ufficialmente sono innocenti, sono solo in custodia cautelare. E, non si dice tanto, ma in carcere non mancano solo gli agenti, ma anche le figure che dovrebbero agire nell’area trattamentale, criminologi, psicologi, educatori, personale amministrativo. Cosa fare? La strada da percorrere è una riforma del codice penale che trovi il coraggio di mettere un freno all’ossessione, purtroppo sempre crescente, perché alimentata, della pena detentiva come unica ri-sposta ai problemi della sicurezza. Andrebbero ripensate e riscritte soprattutto le leggi sulle droghe, sull’immigrazione e sulla recidiva. Anche la custodia cautelare viene oggi utilizzata in maniera eccessiva. Sono però cose che richiedono volontà politica e tempi lunghi; nella passata legislatura è stata messo a punto un progetto di riforma del codice penale, che ora è arenato. E nell’immediato? Occorre ridare slancio all’attuazione della legge Gozzini che prevede l’uso di misure alternative. Le persone con un residuo di pena inferiore all’anno potrebbero scontarlo fuori dal carcere, in un per-corso di reinserimento lavorativo controllato, che abbasserebbe drasticamente il tasso di recidiva, come è dimostrato dalle stesse statistiche del ministero. Si potrebbe riprendere il progetto di legge del guardasigilli Alfano là dove prevede l’istituto della sospensione del processo penale con la messa alla prova per chi, incensurato, sia accusato di aver commesso un reato punito con una pena non superiore a quattro anni di reclusione, con l’obbligo di prestare un lavoro utile non retribuito per un periodo limitato. Il progetto ha però incontrato un’opposizione netta in sede del Consiglio dei Ministri. E la misura dell’espulsione invocata per alleggerire il carcere dalla presenza di stranieri? È già pre-vista dal 2000, ma è stata attuata solo poche volte, perché mancano gli accordi di riammissione con i paesi di origine, è difficile attribuire un’identità certa alle persone da espellere e poi risulta impra-ticabile rimandare le persone nei posti da cui si fugge. E quando qualche straniero insiste per essere espulso, la procedura davanti all’Ufficio del Giudice di Sorveglianza è lunga e in molti casi inutile! Il sovraffollamento non riguarda solo Modena, anche se la regione Emilia Romagna ha lo squilibrio più alto nel rapporto tra detenuti e agenti in servizio. Si potrebbe almeno pensare, tutte le Istituzioni insieme, come fare per evitare il transito nel carcere a quelle persone che vi rimarranno uno o due giorni prima della convalida dell’arresto, che avviene di norma solo per il 10% di loro. In altre città ci stanno provando. Le cose non si risolvono con nuove carceri che nascono già sovraffollate, ma portando l’esecuzione della pena (anche!) fuori dal carcere e costruendo nuove pene capaci di rendere un vero servizio alla persona e alla collettività.
I volontari del gruppo Carcere - Città di Modena Giustizia: Cgil; con il reato di clandestinità, carceri al capolinea
Ristretti Orizzonti, 4 luglio 2009
Dichiarazione Stampa di Mauro Beschi, Segretario Naz. Fp Cgil e Francesco Quinti, Responsabile Naz. Comparto Sicurezza Fp Cgil. Con l’introduzione del reato di immigrazione clandestina e l’assenza di una prospettiva che ne contenga l’impatto devastante, il Governo ha scelto di decretare la fine di un sistema penitenziario agonizzante, che già oggi, dall’alto delle circa 64.000 presenze detenute, ben 20.000 in più rispetto alla capienza tollerabile, e con un trend che sfiora i mille ingressi al mese, non è in grado di garantire il mandato costituzionale affidato, il rispetto dei diritti umani e quelli del mondo del lavoro in carcere. Carceri per lo più "fuori dalla Costituzione", per dirla con il Ministro della Giustizia Alfano, che però - al di là delle sue roboanti dichiarazioni - nulla in concreto fa per riformare il sistema penitenziario e renderlo capace di rispondere efficacemente al proprio mandato. Anche per questo, la protesta della Polizia Penitenziaria continua: il prossimo 8 luglio a Bologna, davanti al carcere "La Dozza", giungeranno a centinaia dalla Toscana, dalle Marche e da tutta l’Emilia Romagna i poliziotti penitenziari che aderiscono alle organizzazioni sindacali rappresentative del personale, per manifestare tutto il proprio dissenso contro le scelte operate dall’attuale governo. Giustizia: circuito Elevato Indice Vigilanza abolito anzi riformato
Italia Oggi, 4 luglio 2009
Nelle carceri viene abolito il circuito ad elevato indice di vigilanza. Il Dap ha infatti deciso con propria Circolare di disciplinare diversamente i circuiti per i detenuti ritenuti più pericolosi. La creazione dei circuiti penitenziari differenziati ha la sua origine in un provvedimento del 20 gennaio del 1991 che portava la firma dell’allora direttore generale Niccolò Amato. Prima dell’entrata in vigore della circolare ultima (n. 3619/6069) funzionavano i seguenti regimi: 41-bis Riservato (il più duro), 41-bis, Alta sicurezza, elevato indice di vigilanza. Nella circolare non si tocca il 41-bis. Viene abolito il circuito ad Elevato Indice di Vigilanza (cosiddetto Eiv) istituto con circolare n. 3479 del 9 luglio 1998. L’assegnazione a tale circuito avveniva per coloro i quali avevano commesso delitti con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante compimento di atti di violenza, nonché per i soggetti provenienti dal circuito di cui all’art. 41-bis a seguito di revoca dello stesso purché in passato inseriti al vertice delle associazioni mafiose. A tale circuito sono stati inoltre assegnati detenuti che, indipendentemente dal titolo detentivo, hanno avuto un comportamento definito "allarmante" durante la detenzione. Il regime penitenziario dell’Eiv era simile all’Alta sicurezza, da cui si distingueva unicamente per la diversa collocazione logistica. Il Dap ha deciso di abolirlo e contestualmente riscrivere le assegnazioni all’Alta Sicurezza. Secondo quanto si legge nella circolare il nuovo circuito Alta sicurezza continuerà a svolgere il delicato compito di gestire i detenuti ed internati di spiccata pericolosità, prevedendo al proprio interno, tre differenti sottocircuiti con medesime garanzie di sicurezza e opportunità trattamentali. A tali tre sottocircuiti saranno dedicate sezioni differenti, che prevedano impossibilità di comunicazione con gli altri reparti detentivi. Il primo circuito si chiama A.S. 1 e sarà dedicato al contenimento dei detenuti e internati appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso, nei cui confronti sia venuto meno il decreto di applicazione del regime di cui all’art. 41 bis. Nel circuito A.S. 2 saranno inseriti automaticamente i soggetti imputati o condannati per delitti commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza (delitti di cui agli artt. 270, 210-bis, 270-ter, 270-quater, 270-quinquies, 280, 280-bis, 289-bis, 306 c.p.). Per i soggetti detenuti per altri fatti, cui sia contestato a piede libero uno o più dei delitti citati, ovvero nei cui confronti sia venuta meno l’ordinanza di custodia cautelare o, infine, imputati di tali delitti ma scarcerati solo formalmente per decorrenza dei termini di custodia cautelare, l’inserimento nel circuito sarà valutato dall’ufficio detenuti del Dap. Infine il circuito A.S. 3 sarà dedicato alla popolazione detenuta per mafia, sequestro di persona, traffico internazionale di sostanze stupefacenti. È invece prevista l’esclusione dal circuito A.S. per i detenuti e internati per i delitti di cui agli artt. 600, 601 e 602 c.p., i quali dovranno pertanto essere trasferiti nel circuito di media sicurezza. Sarà sempre possibile essere declassificati e tornare nel circuito inferiore e meno duro della media sicurezza con decisione del direttore del carcere avallata dal Ministero. Nella circolare ultima il Dap insiste affinché vi sia il passaggio a un regime meno duro di soggetti che nelle organizzazioni criminali non hanno rivestito il ruolo di capi, promotori, dirigenti, organizzatori e finanziatori. Pertanto le Direzioni degli istituti avranno l’onere di porre all’attenzione del Dap l’elenco dei detenuti che, alla luce delle nuove disposizioni, non hanno più titolo per permanere nel circuito Alta Sicurezza. Non è facile capire se dopo questo terremoto organizzativo aumenteranno o meno i detenuti assoggettati al regime di alta sicurezza. Giustizia: Napolitano convoca Alfano stop al ddl intercettazioni di Liana Milella
La Repubblica, 4 luglio 2009
Irragionevole, incostituzionale, gravemente dannosa per le indagini, foriera di scontri con una stampa già pronta allo sciopero del 13 luglio. La legge sulle intercettazioni, così com’è, non va. Napolitano poteva rinviarla alle Camere e dare uno schiaffo a Berlusconi. Ma fedele al motto che "gli strappi tra le istituzioni vanno sempre evitati" (almeno fin dove è possibile), il capo dello Stato l’ha fermata prima del suo ultimo passaggio al Senato. Con un governo pronto a mettere la fiducia come aveva fatto alla Camera. Dopo un anno di ininterrotta moral suasion, dopo aver messo in allerta Fini e Schifani, il presidente della Repubblica ha compiuto il passo definitivo, ha chiamato al Quirinale il Guardasigilli Alfano. Che arriva lesto lesto. Poco meno di un’ora di colloquio, accanto i suoi esperti giuridici, un esordio che non consente spiragli di trattativa: "Sono molto preoccupato e turbato per la tensione che si sta creando nel mondo della giustizia e della stampa su questa legge. I miei consiglieri mi spiegano che se dovesse passare così al Senato i vizi di palese incostituzionalità mi costringerebbero a fare un passo che di certo non vi sarebbe gradito". Il ministro della Giustizia, che si è sempre mostrato rispettoso del Colle, non tenta neppure una difesa. Alla fin fine sa che al premier questa legge non è mai piaciuta perché lui ne avrebbe voluta una molto più dura, con gli ascolti autorizzati solo per mafia e terrorismo. Nel rinviarla, soprattutto in ore in cui, per le voci su procure in azione, non vuole scontri con toghe, polizie, servizi, non soffrirà troppo. Napolitano prosegue: "È vero che avete intenzione di mettere la fiducia?". Alfano si allarga in uno dei suoi sorrisi da bravo ragazzo: "Assolutamente no, presidente, il governo non pensa di farlo. Tutt’altro. Il testo non è blindato, siamo pronti a far tesoro del lavoro della commissione Giustizia. Certo, dopo che è rimasto un anno alla Camera, ci auguriamo che non succeda lo stesso al Senato". Il ghiaccio è rotto, si può pure ragionare dei dettagli e mettere sul tavolo i palesi dubbi di costituzionalità. Non uno, ma numerosi. A cominciare da quella che il Quirinale considera una pessima, irragionevole, incostituzionale, norma transitoria, forse la buccia di banana più platealmente inaccettabile su cui scivola il ddl. "Le disposizioni della presente legge non si applicano ai procedimenti pendenti alla data della sua entrata in vigore". Doveva servire, è servita, per far dire all’avvocato del premier Niccolò Ghedini (e ora anche presidente della Consulta del Pdl sulla giustizia, sempre per tenere ben vivo il conflitto d’interessi) che "questa non è una legge ad personam, visto che non si applica ai processi in corso". E in effetti è così, ma con il rischio di un tal guazzabuglio tra chi godrà di norme più favorevoli e chi no, di giornalisti in galera e altri fuori, di intercettazioni pubblicate ed altre censurate, che l’incostituzionalità è manifesta. Dunque la norma va cambiata. Ma non solo. Il Colle punta il dito sugli "evidenti indizi di colpevolezza" necessari per ottenere un ascolto. Che ne sarà delle indagini contro gli ignoti (autori anche di omicidi), di quelle sui reati che poi portano a scoprire la mafia (usura, racket, rapine e tanti altri)? Giusto nelle stesse ore in cui Alfano è seduto di fronte a Napolitano, al Csm protestano i più noti procuratori antimafia. Alle orecchie di Alfano risuonano le tante insistenze di Giulia Bongiorno, la presidente della commissione Giustizia della Camera e alter ego di Fini per la giustizia, che si è battuta nella sua maggioranza per "limitare i danni". Ma anche lei, di fronte ai falchi ghediniani e alfaniani che insistevano, ha dovuto piegare la testa sugli "evidenti indizi di colpevolezza" che adesso diventeranno "evidenti indizi di reato". E infine il capitolo sulla stampa, dal carcere (fino a un anno) per i giornalisti che pubblicano intercettazioni da distruggere e che fanno protestare anche il Garante della privacy Pizzetti, alle supermulte contro gli editori, ai testi delle telefonate che non si potranno pubblicare neppure per riassunto, creando così una marchiana e irragionevole differenza tra una prova, gli ascolti, e un’altra, una lettera, un verbale d’interrogatorio che invece, quelli sì per riassunto, potranno essere pubblicati. Non prende appunti Alfano, ma il terremoto che si abbatte sul suo ddl è intensissimo. Non di modifiche formali si tratta, ma di cambiamenti sostanziali. A Napolitano non era affatto piaciuto il grido dell’Anm, "sarà la morte della giustizia", ma i suoi rilievi sono la riprova che la legge stoppa indagini e cronaca giudiziaria. Il Guardasigilli se ne va tranquillizzando il presidente: "Non abbiamo fretta, seguiremo i lavori del Senato". Alfano sa che Berlusconi non vuole spingere l’acceleratore sulla giustizia. La decisione della Consulta sul lodo Alfano è alle viste, le procure incombono, il premier continua ad avere il dubbio che il Bari-gate sia esploso a ridosso del voto della Camera giusto sulle intercettazioni. Questo ddl e la famosa riforma costituzionale della giustizia possono aspettare. Alfano l’ha detto al presidente preoccupato di uno scontro estivo con le toghe: "I prossimi consigli dei ministri saranno dedicati all’economia. Io sono soddisfatto del mio lavoro. Domani (oggi, ndr.) entra in vigore la riforma del processo civile, in cui ho profondamente creduto ed è legge la sicurezza con le norme antimafia più forti da quando è morto Falcone. Che senso avrebbe una riforma costituzionale a metà luglio?". C’è tempo. Magari quando si saprà se la Consulta conferma o boccia il lodo Alfano. Modena: le carceri al collasso, ma in Italia 20 istituti inutilizzati
Ansa, 4 luglio 2009
Mentre a Modena il carcere di S. Anna è ormai al collasso e i sindacati di polizia penitenziaria denunciano le pessime condizioni di lavoro degli agenti, in altre parti d’Italia - soprattutto al centro sud - ci sono almeno una ventina di strutture penitenziarie completamente inutilizzate. E la costruzione di 2 nuovi istituti di pena, a Savona e Marsala, è bloccata dai contenziosi tra ditte esecutrici e amministrazione dello Stato. La denuncia arriva dal senatore Giuliano Barbolini del Pd che sull’emergenza carceri ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia Alfano. "I 110 lavoratori preposti alla vigilanza di 575 detenuti nel carcere di S.Anna - spiega il parlamentare del Pd - sono suddivisi in tre turni da 8 ore e sono costretti ad effettuare circa 4 mila ore di lavoro straordinario mensile peraltro retribuite solo in minima parte. La situazione igienico-sanitaria sta producendo effetti preoccupanti considerato che in molte celle adibite ad alloggiare due sole persone convivono 5 detenuti costretti a dormire in terra". Nonostante le promesse più volte fatte da esponenti locali della maggioranza di Governo - prosegue Barbolini - la verità è che "la situazione modenese al momento non rientra tra le priorità del Ministero della Giustizia. Infatti il Provveditore Regionale ha reso noto che non esistono comunicazioni ufficiali da parte del Ministero sull’eventuale trasferimento di altri 100 detenuti. Pertanto l’annunciato trasferimento di 150 detenuti ospitati presso la casa circondariale di Modena sarà limitato a meno di 50 unità e per di più diviso in due tranche". Problemi di sovraffollamento si registrano anche nella Casa di Lavoro di Saliceta San Giuliano di Modena e nella Casa di reclusione di Castelfranco Emilia, riservata ai detenuti tossicodipendenti, ma che ospita anche internati in misura di sicurezza. Oggi la popolazione carceraria in Italia supera le 63 mila unità, 20 mila in più del dovuto, e si prevede che cresca fino a 100mila unità entro il 2012. Il piano carceri del governo prevede, entro quella data, una spesa di oltre un miliardo e mezzo di euro per aumentare la capienza di 17200 posti. "Del tutto insufficienti - commenta il sen. Barbolini - a risolvere il dramma del sovraffollamento". Nella sua interrogazione il parlamentare del Pd chiede al ministro Alfano se intenda "dare seguito all’annunciato piano carceri, impiegando ingenti risorse che potrebbero essere invece destinate a colmare carenze di personale penitenziario"; o, al contrario, non reputi necessario valutare "la possibilità di un funzionamento ottimale delle strutture già disponibili". Chiede infine quali provvedimenti intenda adottare per affrontare "le gravi condizioni, per agenti e detenuti", in cui versano le carceri di Sant’Anna di Modena, la casa lavoro di Saliceta San Giuliano e la struttura di Castelfranco Emilia. San Gimignano: Cenni (Pd); impegno per i problemi del carcere
www.agenziaimpress.it, 4 luglio 2009
Seguire l’evoluzione della situazione, sollecitare il ministero della Giustizia a rispettare gli impegni presi per migliorare la vivibilità e la sicurezza del carcere, e rappresentare, in qualità di parlamentare, le accresciute difficoltà dell’istituto, a fronte di un aumento dei detenuti e di una diminuzione del personale. È quanto ha confermato ieri, venerdì 3 luglio, la deputata Pd Susanna Cenni, in visita al carcere di Ranza insieme al sindaco di San Gimignano, Giacomo Bassi, per incontrare la nuova direttrice. Preoccupazione per la situazione di Ranza - "La stabilità nella gestione dell’istituto penitenziario - commenta Cenni - è un elemento fondamentale per poter gestire l’attuale situazione di ingovernabilità. Per questo abbiamo accolto con piacere l’arrivo della nuova direttrice, intenzionata a lavorare da subito per migliorare la condizione di vita e di lavoro degli agenti di Polizia penitenziaria e dei detenuti. Alla direzione ho assicurato piena collaborazione, continuando a portare all’attenzione del Parlamento la situazione del carcere". "Guardo con preoccupazione - ha aggiunto Cenni - l’introduzione del reato di immigrazione clandestina, previsto dal Ddl sicurezza e da ieri legge dello Stato. Questo tipo di provvedimenti non aiuteranno di certo le situazioni di quei carceri che già vivono la questione del sovraffollamento di detenuti". Sostegno ai lavoratori del carcere - "Prima di ogni altra cosa voglio esprimere la mia vicinanza e quella di tutta la comunità sangimignanese a tutti i lavoratori che operano all’interno del carcere di Ranza in maniera e a condizioni non più accettabili. Nell’appoggiare in pieno le loro istanze - prosegue il sindaco di San Gimignano, Giacomo Bassi - ho illustrato alla nuova direzione del penitenziario tutte le iniziative che la nostra amministrazione ha attivato negli anni per migliorare le condizioni di lavoro di tutti i dipendenti del carcere e, al contempo, la qualità della vita dei detenuti. Con gli stessi principi di collaborazione muoveremo i prossimi passi con l’augurio che si possa risolvere una situazione che rischia il collasso". Impegno per risolvere le criticità - "Da parte nostra - continua Bassi - approveremo nelle prossime settimane un Regolamento Urbanistico dove si individua un’area per l’alloggio del corpo di polizia oltre ad aver rinnovato la disponibilità ad attivare un servizio di trasporto pubblico che colleghi il centro storico con la casa penitenziaria. Rimane poi aperta per quanto ci riguarda l’ipotesi progettuale relativa all’autonomia idrica. A tale proposito l’amministrazione comunale ha rinnovato il proprio impegno economico e tecnico per l’attivazione di una linea stabile di adduzione di acqua potabile. Nell’augurare un buon lavoro alla nuova direzione del carcere - conclude Bassi - rinnoviamo pertanto la completa disponibilità nei limiti della nostra competenza a collaborare affinché le criticità possano essere risolte quanto prima". Foggia: tra Uepe e Provincia, convenzione per il reinserimento
www.teleradioerre.it, 4 luglio 2009
"Il principio della solidarietà è uno dei pilastri sui quali si regge la convivenza civile di una comunità. Offrire ai cittadini condannati la possibilità di un pieno reinserimento sociale è un dovere cui l’Amministrazione provinciale non si è sottratta, percorrendo la via di una seria ed intelligente collaborazione istituzionale che, a costo zero, ci permette di applicare uno dei valori cardine della Costituzione, potenziando nel contempo i servizi offerti alla cittadinanza di Capitanata". Così Antonio Pepe, presidente dell’Amministrazione provinciale, commenta la sottoscrizione della convenzione siglata tra la Provincia di Foggia e l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Foggia (organo periferico del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che si occupa delle misure alternative alla detenzione per i condannati) per il reinserimento sociale dei cittadini sottoposti a misure di sicurezza - libertà vigilata, semidetenzione e libertà controllata - in attività da espletare nella Biblioteca Provinciale La Magna Capitana. La convenzione, che avrà la durata di un anno, prevede una stretta e sinergica collaborazione tra le due Istituzioni, al fine favorire i processi di inclusione sociale per i condannati e le loro famiglie attraverso la collaborazione con gli Enti Locali e la promozione della conoscenza e lo sviluppo di attività riparative a favore della collettività. Con la sottoscrizione dell’accordo, la Biblioteca Provinciale si impegna a collaborare con l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Foggia, che provvederà a segnalare il nominativo di ogni soggetto in esecuzione di pena che aderisce all’attività a favore della comunità. L’adesione del condannato, ovviamente, avverrà previa acquisizione di un impegno scritto da parte dell’interessato. Per tutti i soggetti verrà fornita una scheda di presentazione in cui verrà specificato il tempo che la persona potrà dedicare all’attività prescelta e la qualifica professionale dello stesso, in modo da individuare la migliore collocazione all’interno della struttura della Biblioteca. Ogni soggetto sarà affiancato da un’assistente sociale, cui sarà demandato il compito di seguirlo e di rapportarsi con l’Amministrazione provinciale per ogni necessità. La Biblioteca Provinciale, per parte sua, assumerà l’onere dei premi per l’assicurazione (contro i rischi derivanti dallo svolgimento dell’attività e per responsabilità civili) e predisporrà per ogni soggetto la presenza di un referente che lo supporti nello svolgimento dei compiti ricevuti. I condannati che usufruiranno di questa possibilità, inoltre, dovranno partecipare a periodiche verifiche sull’andamento dell’inserimento che consentiranno di individuare eventuali problemi tra il soggetto in esecuzione di pena ed il contesto sociale in cui è inserito. L’Ufficio Esecuzione Penale Esterna di Foggia collabora con gli Istituti Penitenziari di Foggia, Lucera, San Severo e con le Case Mandamentali di Trinitopoli e Rodi Garganico, con la Magistratura di Sorveglianza di Foggia per l’esecuzione delle misure alternative alla detenzione e delle misure di sicurezza non detentive; con il Tribunale di Sorveglianza di Bari; avendo inoltre attivi Sportelli Territoriali nei comuni di Manfredonia e Vieste. "Siamo particolarmente orgogliosi di questa convenzione - aggiunge l’assessore provinciale alle Politiche Cultuali, Billa Consiglio - che ci permette da un lato di favorire concretamente il reinserimento sociale dei cittadini condannati e dall’altro di contribuire ad un miglioramento della nostra offerta culturale in favore della comunità. Ogni attività dei soggetti condannati - precisa Consiglio - sarà sottoposta ad una approfondita fase di controllo: da verifiche con cadenza periodica circa l’inserimento dei partecipanti al progetto, in modo da valutare la possibilità di interrompere il rapporto qualora non vi fossero risultati soddisfacenti, fino alla comunicazione trimestrale delle presenze". "Applicheremo questa misura di civiltà - conclude il vicepresidente della Provincia - fissando rigidi paletti che impediscano forme di degenerazione del progetto, vincolando l’adesione ad un reale impegno nei confronti della società. Proseguiremo inoltre nel nostro impegno a creare le condizioni perché sia reale anche il recupero dei detenuti, che abbiamo coinvolto da tempo in iniziative di carattere culturale, come la presentazione nella Casa circondariale di Foggia dei volumi del progetto Libri a Trazione Anteriore. Si è aperta dunque una fase di intensa collaborazione con la direzione della Casa circondariale, che è nostra intenzione rafforzare ed implementare". Belluno: detenuto trans denuncia agente, per violenza sessuale
Il Gazzettino, 4 luglio 2009
Sesso in carcere. La magistratura indaga su un episodio denunciato da un trans detenuto a Baldenich. Il fatto si sarebbe verificato nei giorni scorsi. Secondo quanto denunciato dal transessuale, una guardia carceraria lo avrebbe costretto a un rapporto orale, abusando così della propria posizione di forza nei confronti del detenuto. A rafforzare la sua denuncia, il trans avrebbe consegnato un sacchettino dove aveva riversato il liquido seminale conseguente all’atto sessuale. Il tutto sarebbe dunque stato sequestrato dagli stessi colleghi del poliziotto penitenziario e consegnato in Procura. Il magistrato di turno, il sostituto Martina Gasparini, che preferisce non commentare la notizia, avrebbe dunque aperto un’indagine per verificare l’attendibilità della denuncia nei confronti della guardia. Sulla questione, estremamente delicata, come è comprensibile vige il più totale riserbo. Da quanto si è potuto apprendere, all’interno del carcere i colleghi della guardia accusata non escludono che si possa trattare di un’accusa totalmente inventata dal transessuale in questione, magari per poter essere trasferito o cercare di ottenere altri benefici. I detenuti transessuali occupano un’ala apposita nella casa circondariale di Baldenich, ristrutturata da poco in seguito alle disposizioni del decreto presidenziale di Carlo Azeglio Ciampi emanato dopo le rivolte carcerarie del 2000. In virtù delle cure ormonali cui vengono sottoposti per sviluppare e mantenere caratteristiche fisiche femminili hanno spesso reazioni particolari e vengono considerati detenuti a rischio. Per quanto riguarda comunque l’episodio denunciato l’altro giorno, secondo il detenuto non sarebbe stata la prima volta che quella guardia avrebbe approfittato del suo ruolo per costringere gli ospiti dell’ala trans a rapporti sessuali. Stavolta, con la consegna del liquido seminale la denuncia potrebbe essere suffragata da una prova importante. Sta ora alla Procura, che effettuerà le analisi del Dna per stabilire a chi appartenga lo sperma raccolto nel sacchetto dal detenuto e consegnato ai colleghi dell’accusato, portare avanti le indagini. Il caso è delicatissimo e, se l’accusa lanciata dal detenuto si rivelasse fondata, ciò potrebbe avere effetti molto pesanti sulla struttura carceraria, la cui ala destinata ad accogliere i trans è considerata un vero fiore all’occhiello dell’edilizia carceraria nazionale. Alghero: in carcere nuovo sportello di mediazione interculturale
www.alguer.it, 4 luglio 2009
Verrà inaugurato il 6 luglio, alle ore 11, nel locale biblioteca "Fabrizio de Andrè", della Casa Circondariale di Alghero. Il 6 luglio 2009, alle ore 11, nel locale biblioteca "Fabrizio de Andrè", della Casa Circondariale di Alghero, si terrà l’inaugurazione dello sportello di mediazione interculturale per detenuti. Il percorso di mediazione culturale, denominato Progetto "Mosaico" si è potuto attivare grazie al finanziamento fornito dalla Provincia di Sassari, nella figura dell’assessore Dr.ssa Laura Paoni, su proposta dell’Associazione "Mediatori Insieme" che ne ha reso possibile la realizzazione. Il percorso organizzato dalle Dott. Francesca Maieli e Annina Sardara ha visto la collaborazione di diverse professionalità nel campo giuridico, antropologico,culturale e sanitario, si è concluso nel 2009. Hanno partecipato un gruppo costante di detenuti italiani e stranieri, affiancato da operatori penitenziari interni ed esterni. Il Progetto "Mosaico" è stato realizzato nell’ambito del Progetto Pedagogico dell’Istituto. L’indice di gradimento e di partecipazione tra i detenuti è stato alto e stimolante, soprattutto in virtù dell’aspetto innovativo dell’esperienza stessa, che ha visto interagire sullo stesso piano gli operatori penitenziari, i quali hanno per un momento accantonato il loro ruolo istituzionale, in favore di un rapporto più empatico con i detenuti e per i detenuti. L’impegno riposto nel progetto da parte di tutti i partecipanti prevede la costituzione di uno sportello permanente, gestito da un detenuto e da un operatore della Comunità esterna, con la supervisione dei Mediatori Culturali, attraverso il quale fornire ai detenuti uno spazio di osservazione e orientamento sulle dinamiche della comunicazione e della gestione dei conflitti. Immigrazione: chiesa contro governo sul pacchetto-sicurezza di Alberto Custodero
La Repubblica, 4 luglio 2009
È ancora scontro fra governo da una parte, gerarchie ecclesiastiche e opposizione dall’altra, sul ddl sicurezza approvato definitivamente l’altro ieri dal Senato la cui firma del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano pare non arrivi prima della conclusione del G8 dell’Aquila. Alle accuse di monsignor Agostino Marchetto - segretario del Pontifico consiglio dei migranti - secondo cui il pacchetto "porterà solo dolore", il ministro dell’Interno Roberto Maroni replica dicendo "è la solita liturgia". Quest’espressione provoca la reazione di Rosy Bindi: "Vuol dire che il ministro non sa di cosa parla". In serata Maroni a Repubblica dice: "Ma io ho detto litania". "In ogni modo chi ha criticato il pacchetto - aggiunge il titolare del Viminale - o non ha letto queste norme oppure dovrebbe ripensare alle sue critiche". A dar mano forte al ministro interviene Umberto Bossi: ""Il Vaticano ha i suoi problemi e in Vaticano è vietato far entrare i clandestini. E Marchetto è solo un prete, uno dei tanti". Al coro di critiche sollevate dal suo giudizio sulla legge anti-clandestini, monsignor Marchetto risponde secco: "Un arcivescovo quando pensa di aver fatto il suo dovere, non si ferma a raccogliere le pietre che gli buttano dietro". Sul caso interviene pure il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi, per chiarire che "dal Vaticano in quanto tale non c’è stata alcuna presa di posizione ufficiale sull’argomento". Sulla precisazione di padre Lombardi, il centrodestra esulta. Parte il ministro della Difesa Ignazio La Russa, secondo cui "scambiare monsignor Marchetto per il Vaticano è un peccato da confessare in chiesa". Lo segue il ministro per le Politiche Comunitarie Andrea Ronchi: "Ora - dice - sono smentiti quanti hanno cercato di strumentalizzare il Vaticano a fini meramente politici, attraverso false ricostruzioni". Ma quando ormai fra esecutivo e gerarchie ecclesiastiche sembrava pace fatta, a riaccendere la tensione è la Conferenza episcopale italiana, scesa in campo con un’altra dura critica al ddl sicurezza. Per il direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali e sottosegretario della Cei, don Domenico Pompili, "di fronte al fenomeno complesso dell’immigrazione, è evidente che una risposta dettata dalle sole esigenze di ordine pubblico - che è comunque necessario garantire in un corretto rapporto tra diritti e doveri - risulta insufficiente". Mentre la maggioranza di governo si schiera compatta per difendere il ministro dell’Interno dalle critiche delle gerarchie ecclesiastiche ("Non c’è nulla di cristiano nel lasciare la gente sotto i ponti o a vendere droga", dice Maurizio Gasparri, presidente senatori pdl), i cattolici impegnati nelle organizzazioni di solidarietà verso gli immigrati, dai salesiani ai gesuiti, sono tutti indignati. L’organizzazione cattolica "Pax Christi", definendo il ddl sicurezza "una bestemmie civile e cristiana", esorta, in una nota, ad una "insurrezione non violenta". Don Domenico Ricca, presidente della Federazione "Scs-Cnos-Salesiani per il sociale", sostiene che il ddl provoca un "danno simbolico perché si vanno a rinsaldare le paure e le fobie che tanti hanno sugli stranieri. E un danno reale quando si scopriranno tutte le implicanze pratiche e gli ostacoli di natura burocratica". Contro il ddl sicurezza si schiera ancora l’opposizione. Leoluca Orlando, dell’Idv, parla di "legge inumana e anticristiana". Il vicepresidente del gruppo pd alla Camera, Gianclaudio Bressa, lamenta che "ponendo la fiducia ci è stato impedito di votare a favore delle parti che condividevamo e contro quelle che consideriamo xenofobe, pericolose e inutili come quelle sugli immigrati e sul reato di clandestinità". Al centrosinistra ribatte ancora il titolare del Viminale. Maroni: "Dispiace solo che per motivi politici e di pregiudizio ideologico l’opposizione abbia criticato il pacchetto e deciso di contrastarlo". Immigrazione: Acli; le badanti temono l’arresto e l’espulsione di Vladimiro Polchi
La Repubblica, 4 luglio 2009
"Tra le 500mila badanti irregolari è scattato il panico: temono di essere arrestate ed espulse". Andrea Olivero, presidente nazionale delle Acli, lancia l’allarme. Sul tavolo degli imputati il nuovo reato d’immigrazione clandestina, pronto a colpire tutti i migranti senza permesso di soggiorno. Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, però rassicura: "Nessuna colf e badante, anche se entrata irregolarmente, sarà espulsa". Il reato infatti non è retroattivo. "Il ministro sbaglia - replicano in coro i giuristi - la legge punisce anche il soggiorno illegale e dunque colpirà tutti gli irregolari già in Italia. Senza distinzioni". Calciatori extracomunitari compresi. Un passo indietro. Come ha funzionato finora la legge? L’attuale disciplina configura come reato l’ingiustificato trattenimento nel territorio dello Stato dello straniero, in violazione dell’ordine di allontanamento del questore. Ora invece si incrimina l’ingresso e la semplice presenza illegale, indipendentemente dall’intervento del questore. Si applica a chi è già in Italia irregolarmente? Secondo Maroni, no. "Qualsiasi studente del primo anno di giurisprudenza - sostiene il responsabile del Viminale - sa bene che la legge penale non ha effetto retroattivo. Pertanto, il reato di immigrazione clandestina non si può applicare a chi è già entrato in Italia anche se irregolarmente". Chiaro? Non proprio. "Per quanto riguarda l’ingresso il ministro ha ragione - spiega Stefano Merlini, costituzionalista a Firenze - peccato che si dimentichi che il reato colpisce anche il soggiorno illegale e dunque riguarda tutti gli irregolari che sono già qui in Italia". La nuova norma infatti si occupa dell’"ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato" e punisce con l’ammenda da 5mila a 10mila euro "lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico". Dunque a prescindere dall’ordine del questore. "In una prima versione si colpiva solo l’ingresso - precisa Renzo Orlandi, ordinario di procedura penale a Bologna - poi si è deciso di comprendere anche il soggiorno, dunque una condotta già in essere quando viene applicata la legge. Quello che sostiene il ministro non ha fondamento. Oltretutto, come fai a dimostrare se l’ingresso è avvenuto prima o dopo l’entrata in vigore del nuovo reato?". Sulla stessa linea, l’avvocato Marco Paggi dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione: "Non c’è nessuno dubbio. È un reato a condotta permanente, dunque riguarda anche chi sta già qui, badanti o muratori". Calciatori compresi. La legge vale anche per loro: un giovane calciatore extracomunitario deve infatti avere un permesso di soggiorno, legato al suo settore giovanile, oltre al lavoro o allo studio. E superati i 19 anni, gli serve il contratto da professionista. Solo sessanta stranieri mai tesserati nel loro Paese finora ce l’hanno fatta: oggi giocano nei club dalla A alla C. Per tutti gli altri, si sta per aprire una terra di nessuno. Immigrazione: il reato di "clandestinità" negli altri stati dell’Ue
Il Secolo XIX, 4 luglio 2009
Francia. Nicolas Sarkozy, già quand’era ministro dell’Interno, ha fatto della lotta all’immigrazione clandestina uno dei suoi cavalli di battaglia. Nel 2005 è stata introdotta in Francia una rigida regolamentazione degli ingressi, con la schedatura di tutti coloro che fanno richiesta di visti o permessi di soggiorno. Obbligatorio registrare impronte digitali e dati biometrici. La "carta di residenza" viene concessa dopo cinque anni trascorsi in Francia. Il requisito fondamentale per ottenerla è la conoscenza della lingua e dei principi della Repubblica. La "detenzione amministrativa" in attesa di espulsione è stata aumentata nel 2008 da 12 a 32 giorni. In Francia ci sono "centri aperti", i cosiddetti Cada, per l’assistenza durante la richiesta di asilo politico e "centri chiusi" per la detenzione di chi viene arrestato. Chi è rimasto sul territorio senza permesso può essere condannato sino a un anno di carcere e a 3.750 euro di multa. Spagna. Sin dal Duemila il governo di Madrid ha stabilito una rigida programmazione dei flussi, ha previsto sanzioni amministrative per chi favorisce l’immigrazione clandestina (compresi i datori di lavoro), oltre all’immediata espulsione degli stranieri illegali. Per entrare nel territorio spagnolo serve la prova di avere sufficienti mezzi di sostentamento per la durata del soggiorno. I Cie, Centro de internamento extranjeros, si trovano nelle vicinanze delle principali città e il limite massimo di permanenza è fissato in 40 giorni. Alle Canarie e a Ceuta e Melilla, le enclave africane della Spagna, si trovano invece i Ceti (Centro de estancia temporal) dove vengono rinchiusi gli immigrati che varcano il confine o arrivano via mare. Il 90 per cento, dopo aver analizzato le eventuali richieste di asilo, viene espulso. Germania. Dal 2005 ha avviato una politica di incoraggiamento dell’"immigrazione qualificata", con modalità che consentono di ottenere la residenza e il permesso di lavoro fin dal primo momento. Requisito essenziale: una concreta offerta di lavoro e un particolare permesso rilasciato dall’"Agenzia tedesca per l’impiego". In Germania esiste il reato di immigrazione clandestina, che è punito con la reclusione fino a tre anni in caso di recidiva. I centri di identificazione sono in prossimità degli aeroporti; esistono poi 32 centri di detenzione in cui il periodo di permanenza prima dell’espulsione può essere esteso sino a 18 mesi. Lo straniero può essere detenuto per sei settimane anche mentre è in attesa della decisione sull’espulsione. Gran Bretagna. Per i "lavoratori qualificati" le pratiche seguono un processo più veloce. Esiste un sistema a punti basato su diversi parametri. L’età, la situazione finanziaria, il livello di istruzione, le eventuali qualifiche e la conoscenza della lingua inglese. C’è poi l’obbligo, dal quale sono esentati solo i lavoratori particolarmente qualificati, di presentare uno "sponsor" che offra un lavoro. Sono previsti arresto e sanzioni amministrative per chi ha documenti falsi, per chi entra illegalmente (sei mesi) ma anche per i datori di lavoro di irregolari con pene durissime, fino a 14 anni. Le persone fermate alla frontiera sono detenute in centri gestiti da privati per conto della Bia (Border and immigration agency), in attesa di espulsione. Non esiste un termine di tempo definito per la permanenza. Olanda. L’immigrazione clandestina è reato. Allo straniero viene intimato di lasciare il Paese; se non ottempera, al successivo fermo può essere condannato fino a sei mesi. Belgio. Sono reati l’ingresso e la permanenza illegale. La sanzione va da tre giorni a otto mesi di reclusione, più una multa da 143 a 1.100 euro. Segue l’espulsione. Svizzera. Fino a un anno di carcere per chi viola le leggi sull’ingresso, soggiorna con il permesso scaduto, entra o esce dal Paese senza passare per un posto di confine. Stessa pena per chi "incita o agevola" questi reati. Gran B.: sospetto terrorista, detenuto per 8 anni, senza accuse
Ansa, 4 luglio 2009
"Ritengo responsabile Tony Blair, la Camera dei Lord, la Regina, i politici e il Parlamento: tutti loro hanno le mani sporche in questa storia". È il durissimo j’accuse di Dina Al Jnidi, moglie di Mahmoud Abu Rideh, rifugiato palestinese arrestato nel 2001 in Gran Bretagna per sospette attività terroristiche e detenuto per otto anni senza mai vedere uno straccio di accusa. Un’ordalia che lo ha lasciato menomato nella mente oltre che nel fisico. "Ricordo perfettamente il giorno che la polizia è venuta a prendersi mio marito: era il 19 dicembre del 2001". Inizia così il racconto di Dina, pubblicato oggi a doppia pagina dal quotidiano britannico Independent. "Erano in 30, tutti armati: hanno puntato i fucili in faccia a me e ai miei bambini. Alcuni si sono fatti la pipì addosso. Hanno scaraventato a terra mio marito, gli sono saliti sulla schiena. Lui urlava. "Zitto, fottuto terrorista", hanno risposto". Mahmoud Abu Rideh a quel punto sparisce. Per 40 giorni Dina lo cerca invano ma le autorità britanniche tengono la bocca cucita. Alla fine Mahmoud spunta presso la prigione di Belmarsh. "Sono andata a trovarlo, con i miei figli", ricorda Dina. "Lo hanno tenuto dietro a un vetro: mio marito non conosce bene l’inglese ma non gli hanno permesso di parlare in arabo". Mahmoud denuncia comunque alla moglie le violenze e le privazioni che avrebbe subito di continuo in carcere. Alla fine i suoi nervi cedono e viene trasferito all’ospedale psichiatrico di Broadmoor dove, stando a Dina, Mahmoud ha iniziato a ferirsi da solo. Poi, nel 2005, Rideh è stato liberato e posto agli arresti domiciliari secondo le disposizioni contenute nel Prevention of Terrorism Act: braccialetto elettronico, obbligo di firma digitale, niente internet per sé o i suoi familiari, niente visite se non autorizzate dal ministero dell’Interno. Condizioni che, nonostante le sentenze contrarie della Corte europea di giustizia e dei diritti umani, permangono tuttora. Dina, esasperata, ha infine lasciato il Regno Unito e si è trasferita in Giordania da alcuni parenti. A Mahmoud è stato però negato il permesso di espatriare. Sino ad oggi. Dopo anni di battaglie legali, grazie anche al sostegno di Amnesty International, Rideh si è infatti presentato all’Alta Corte del Regno Unito con una sola richiesta: quella di poter lasciare per sempre il paese. E davanti ai giudici dell’Alta Corte il governo ha finalmente accettato di emettere un "permesso di viaggio" della durata di cinque anni. "Io e mio marito - scrive Dina - siamo scappati dalle torture degli israeliani per trovare una situazione peggiore in Gran Bretagna. Io sono britannica, anche i miei figli lo sono. Perché è accettabile che si venga trattati in questo modo?". "Sin dal 2001 - ha detto Kate Allen, direttore di Amnesty International UK - Mahmoud è stato imprigionato senza accuse formali o soggetto a limitazioni della libertà. Non gli è mai stato permesso di vedere le prove che sono state raccolte a suo carico. Nessuna sorpresa che la sua stabilità mentale sia così severamente compromessa. Se il governo reputa che Rideh abbia dei legami con organizzazioni terroristiche lo mandi a processo". "Il mio assistito - ha detto Gareth Peirce, avvocato di Rideh - farà richiesta questo pomeriggio e speriamo di ottenere il documento entro due settimane al massimo. Era in uno stato di completa disperazione: oggi questa condizione è stata in qualche modo alleviata. 0ra dobbiamo solo aspettare e vedere cosa accade". Spagna: detenuto tenta di evadere, con l’aiuto.... di un dirigibile
Apcom, 4 luglio 2009
Fuggire dal carcere grazie a un dirigibile: il fantasioso piano era stato preparato dai complici di Giulio B. narcotrafficante italiano detenuto nel carcere spagnolo del Salto del Negro, nelle isole Canarie; un tentativo andato a vuoto grazie all’intervento della polizia spagnola, come riferisce il quotidiano El Pais. Tre complici si erano accampati su una collina a 600 metri dal penitenziario, muniti di teleobbiettivi e cannocchiali e per mesi hanno studiato le misure di sicurezza del carcere. Per agire aspettavano solo l’arrivo di un pacco da Bergamo, contenente un dirigibile telecomandato di quattro metri di lunghezza, che avrebbe dovuto trasportare fino alla cella del narcotrafficante tutto il necessario per la fuga: un visore a infrarossi e gli attrezzi per scalare il muro di cinta. Al di là del muro lo avrebbe aspettato un macchina e successivamente un Paese straniero da dove continuare l’attività di spaccio di stupefacenti. La polizia tuttavia era al corrente dell’esistenza di un tentativo di fuga e ha intercettato il pacco, oltre a sequestrare delle lettere del detenuto che contenevano piantine del carcere: il dirigibile è risultato essere di color bianco, non certo discreto. I tre complici, uno uruguaiano e due spagnoli, sono stati arrestati e a Giulio B. - detenuto in attesa di processo per spaccio di droga - verrà imputato anche il reato di tentativo di fuga. Usa: nel carcere di San Quintino i detenuti recitano Shakespeare
Apcom, 4 luglio 2009
Il carcere californiano di San Quentin non è certo il posto dove ci si aspetterebbe di assistere ad un’opera di Shakespeare; ma grazie alla William James Association e alla compagnia teatrale Msc, che hanno avviato un programma di recupero attraverso la recitazione, dieci detenuti hanno messo in scena Sogno di una notte di mezza estate. Impresa non facile, considerando che l’inglese elisabettiano non è quello odierno, e che molti dei prigionieri non hanno un livello di istruzione elevato. Gli attori - che stanno scontando pene per crimini che vanno dal furto con scasso all’omicidio - dicono di aver scoperto un nuovo mondo tra i versi del bardo: "Sono cambiati radicalmente i rapporti con i miei compagni - osserva uno di loro -; adesso, quando la sera torniamo in cella, abbiamo qualcosa che ci lega".
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