Rassegna stampa 15 luglio

 

Giustizia: il pacchetto-sicurezza è "congelato" fino al 30 agosto

di Angelo Picariello

 

Avvenire, 15 luglio 2009

 

Il reato di clandestinità può attendere. Un mese e mezzo, almeno. È vero, all’indomani del due luglio, con l’approvazione del pacchetto sicurezza, tutti i giornali hanno titolato: "La clandestinità da oggi è reato".

In realtà lo sarà, con tutta probabilità, solo a fine agosto. C’è infatti l’esigenza di evitare il caos legislativo che si avrebbe con l’entrata in vigore del reato di clandestinità (con quel che ne consegue per datori di lavoro e pubblici ufficiali) prima che diventi vigente l’altra norma, già messa nero su bianco, che salva non solo colf e badanti, ma anche i comportamenti delle famiglie che le hanno assunte.

Il governo ha ben presente il problema e ha stilato, riservatamente, una sorta di road map, che dovrebbe portare le cose a regime alla fine del mese di agosto. Il ddl sicurezza è in questo momento al vaglio del Presidente della Repubblica. Dal Quirinale trapela che il presidente Napolitano sta attentamente esaminando tutti gli aspetti della norma, assistito dal nucleo di valutazione, e tutto lascia presumere (avendo un mese, a decorrere dal due di luglio, per promulgarla) che potrebbe aver bisogno ancora di qualche settimana prima di licenziarla.

A quel punto il governo dovrà procedere alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, a seguito della quale, dopo quindici giorni, si avrà l’effettiva entrata in vigore della legge. E, allo stato, l’intenzione dell’esecutivo sarebbe quella di procrastinare la pubblicazione sulla Gazzetta ai giorni precedenti la pausa ferragostana, di modo da far scattare l’entrata in vigore con fine agosto. Nel frattempo, però, per non fare pasticci, dovrà entrare in vigore l’altra norma sulle regolarizzazioni. Per la quale si ipotizza una tempistica, viceversa, velocissima.

"Dovrebbe essere inserita come emendamento al decreto anticrisi", conferma il sottosegretario con delega alla Famiglia Carlo Giovanardi. "Il testo non è blindato, può ancora essere oggetto di accorgimenti tecnici - spiega - ma grosso modo non dovrebbe discostarsi di molto da quello già all’esame della Commissione".

E che dovrebbe godere della corsia privilegiata che il governo intende attribuire a tutto il provvedimento anti-crisi, atteso in aula alla Camera per il 20 di luglio, con voto di fiducia già preannunciato. Poi ci sarebbe il passaggio super-blindato al Senato, per il secondo, e verosimilmente definitivo, voto. Quindi la "corsa" alla pubblicazione, per far prima del pacchetto sicurezza che dovrebbe, nelle intenzioni, entrare in vigore dopo, fosse anche di un solo giorno. In realtà il testo della regolarizzazione è ancora oggetto di pressioni.

Ci sono quelle, manifeste, dell’opposizione che spinge per un allargamento anche ai - si stima - 360 mila lavoratori irregolari che non lavorano in ambito familiare. "Limitando il provvedimento a colf e badanti si crea un vulnus di incostituzionalità, non solo fra lavoratori irregolari, ma anche fra datori di lavori", dice il senatore dell’Udc Giampiero D’Alia, fra i firmatari di un contro-emendamento depositato al Senato: "Si trattano in modo diverso situazioni uguali", sostiene.

Ma anche nel governo persisterebbero diversità di vedute, sia sulla portata del provvedimento, sia sull’iter. Per cui resta in campo un’ipotesi "b" che prevedrebbe l’approvazione di un decreto legge ad hoc. Che otterrebbe lo stesso risultato, in termini di tempo, anzi persino migliori, avendo efficacia immediata, già all’indomani dalla pubblicazione. La chiave di questo ginepraio è contenuta ai punti 3 e 7 dell’emendamento del governo che introduce la regolarizzazione.

Il punto tre prevede, infatti, che la dichiarazione di regolarizzazione (attualmente ipotizzata per colf e badanti, come detto) per chi occupa irregolarmente "da almeno tre mesi" lavoratori extracomunitari" possa essere presentata "a partire dal primo settembre e fino al 30 settembre 2009".

Ma poi il punto sette interviene preventivamente a stabilire che il datore di lavoro e il lavoratore occupato irregolarmente "fino alla data di scadenza per la presentazione della dichiarazione cioè fino al 30 settembre, "non sono punibili per le violazioni delle norme relative all’ingresso e al soggiorno nel territorio nazionale e ali impiego di lavoratori extracomunitari irregolari". Inoltre, viene chiarito che "la presentazione della dichiarazione di emersione sospende i procedimenti sanzionatori, anche penali, previsti". Tutto a posto, se, un po’ come accadde con la Bossi-Fini, la regolarizzazione entrerà in vigore prima del reato di clandestinità. Di qui la "melina" del governo sul pacchetto sicurezza.

Giustizia: Csm contro Governo; no a processi fuori da tribunali

di Roberto Miliacca

 

Italia Oggi, 15 luglio 2009

 

Il Csm mette una bella tara sul successo del pacchetto sicurezza e sulla celerità delle procedure di espulsione legate al reato di immigrazione clandestina. Pochi giorni fa, il plenum del Consiglio superiore della magistratura, rispondendo alla richiesta che gli era stata sottoposta nell’ottobre del 2008 dal presidente del Tribunale di Genova, ha stabilito che i processi agli immigrati vanno fatti sempre e solo in un’aula di giustizia.

Niente questure o Cie (Centri di identificazione ed espulsione), insomma: i locali messi a disposizione dal ministero dell’interno non sono luoghi adatti all’amministrazione della giustizia, neppure se imputato è un immigrato e neppure se a richiederlo ci sono esigenze di accelerazione delle procedure di espulsione.

La risposta dell’organo di autogoverno della magistratura guidato da Nicola Mancino, rilasciata a distanza di circa nove mesi dalla richiesta, non ha potuto tenere conto del pacchetto sicurezza varato pochi giorni prima, cioè il 2 luglio, dal senato (si tratta della legge che introduce il reato di immigrazione clandestina e che attribuisce al giudice di pace la competenza penale esclusiva sulla materia).

Ma la pronuncia del Csm rappresenta comunque un precedente "pesante" per il futuro dei processi in materia, visto che obiettivo della norma dovrebbe essere proprio quello di accelerare l’espulsione di chi non ha titolo per restare sul territorio italiano. Una questione che esisteva anche a ottobre del 2008, quando cioè il presidente del tribunale di Genova chiedeva lumi sul da farsi al Csm in ordine ai locali da utilizzare per la convalida dei provvedimenti di accompagnamento alla frontiera degli stranieri, emessi dal Questore.

"La questione", si legge nella pratica del Csm, istruita dall’ottava commissione, "era nata da una richiesta del questore di Genova di intervenire sul coordinatore dell’Ufficio del Giudice di pace affinché, come per il passato, le udienze di convalida dei provvedimenti di cui all’oggetto fossero tenute negli appositi locali allestiti presso la Questura, segnalando che il coordinatore aveva invece disposto che le udienze si tenessero nei locali dell’Ufficio del Giudice di pace, con una serie di conseguenze negative (necessità che gli stranieri fossero trasferiti nei locali dell’Ufficio del Giudice di pace, ritardi nei procedimenti di convalida, pericolo che gli stranieri si sottraessero alla vigilanza degli agenti di polizia, non essendo possibile adottare nei loro confronti i mezzi di coercizione normalmente adoperati nei confronti dei detenuti)".

Tutti temi, questi, dei quali anche il pacchetto sicurezza voluto fortemente dal ministro dell’interno Roberto Maroni, non potrà non tenere conto. Il Csm, a maggioranza, ricalcando peraltro le stesse perplessità che a suo tempo aveva espresso in tema di processo agli immigrati, ha sancito che una piena giurisdizionalizzazione della fase della convalida è necessaria. Costi quel che costi.

Giustizia: legge contro violenze sessuali sì bipartisan di Camera

 

La Repubblica, 15 luglio 2009

 

No alle foto wanted, condanne più severe Via libera alla Camera, ora il ddl passa al Senato. Compromesso sulle immagini dei ricercati. Pene fino a sedici anni.

Per una volta la Lega non fa la faccia feroce, accetta di togliere, dalla legge che aggrava le pene per la violenza sessuale, il via libera alle foto e agli identikit per strada e online dei sospettati. Lo chiede, alla Camera, il Pd contro il rischio di una giustizia fai da te. Sono d’accordo Udc e Idv. Il Pdl accetta perché sulla violenza sessuale sarebbe grave dividersi, con il caso Bianchini aperto e mentre l’85% degli italiani, in un sondaggio Sky, chiede pure la castrazione chimica.

Il testo prende la via del Senato con un voto unanime, 447 sì e solo 29 no, ignoti perché il Pd ha voluto il voto segreto. Per il governo il compromesso è accettabile, soprattutto perché l’emendamento degli wanted non era del governo, ma dei pidiellini Manlio Contento, Enrico Costa e Mariarosaria Rossi. Il ministro per le Pari opportunità Mara Carfagna è "soddisfatta", altrettanto il Guardasigilli Angelino Alfano, perché un delitto "odioso" sarà punito da 6 fino a 12 anni, con un aggravio di altri tre in caso di aggravanti come la violenza su un minore di 16, su una donna incinta, in un luogo di lavoro o per una violenza di gruppo. Se la vittima ha meno di 10 anni il bruto rischia fino a 16 anni. E se muore sarà ergastolo.

Ma fino all’ultimo, con il testo in aula, c’è stata tensione in commissione. Il Pd, con Donatella Ferranti, si è battuto per eliminare il pericolo delle foto pubbliche dei ricercati che avrebbero potuto determinare gravi conseguenze anche per la stessa polizia. Ma l’ex aennino Contento ha insistito documentando come "in altri paesi europei, le foto dei ricercati siano disponibili online nei siti delle polizie o di fondazioni private". Non ha avuto successo il compromesso di pubblicare solo le immagini di chi è già stato condannato, in quanto il Pd si è comunque opposto.

"Perché la norma dovrebbe riguardare solo la violenza sessuale e non altri delitti? La materia è delicata e va regolarizzata con attenzione". In sintonia il centrista Roberto Rao che nei manifesti per strada vede "più rischi che vantaggi per la sicurezza dei cittadini e il pericolo di errori forse senza rimedio". Ha prevalso la tesi della leghista Carolina Lussana che, da relatrice del ddl, ha preferito l’intesa politica e "l’importante segnale al Paese" rinviando a una futura legge ad hoc la facoltà per le polizie di rendere pubbliche le foto dei sospettati.

Giustizia: banca del dna; entro 1 anno prelievo a tutti detenuti

di Angela Manganaro

 

Il Sole 24 Ore, 15 luglio 2009

 

A Giuseppina Menna viene in mente il capodanno del 1999. Il vice questore della scientifica di Milano ricorda i tre omicidi in due ore e mezzo in Piazzale Dante rimasti senza colpevole: le vittime erano due stranieri incensurati e un viado brasiliano che probabilmente non si conoscevano tra loro.

In quel caso la banca dati del Dna, prevista dalla legge 85/09 pubblicata sulla "Gazzetta Ufficiale" del 13 luglio e in vigore da ieri, sarebbe stata utile. "Perché dà la possibilità di comparare - spiega Menna - i profili dei Dna inseriti nella banca dati con quelli ricavati da tracce biologiche rinvenute in passato sulla scena di gravi reati. Finora la traccia è stata conservata in attesa che ci fosse un indagato su cui effettuare, su richiesta del giudice, un prelievo di saliva per il confronto".

Adesso si dovrebbe fare prima. "L’inserimento nella banca dati del Dna estratto da un reperto può voler dire individuare in tempi brevi un nome e cognome da cui far partire l’attività investigativa". La banca dati avrebbe fatto comodo anche per il caso di Luca Bianchini, il ragioniere 32enne accusato in questi giorni di una serie stupri a Roma, fermato per lo stesso reato 13 anni fa.

La legge che recepisce il trattato di Prum del 2005 - illustrata per ampi tratti sul Sole 24 Ore, da ultimo il 25 giugno - nell’ottica di colpire anche terrorismo e migrazione illegale, permette la conservazione per massimo 40 anni del Dna di condannati con sentenza definitiva, arrestati in flagranza, persone sottoposte a fermo, custodia cautelare e arresti domiciliari (i reperti biologici si potranno conservare per 20 anni al massimo).

Entro un anno tutti i detenuti nelle carceri italiane saranno sottoposti al prelievo. Nella banca dati confluiranno i profili di sconosciuti raccolti sul luogo di un delitto, persone scomparse e cadaveri non identificati. Potranno essere costretti al prelievo anche persone non indagate purché sia in ballo un reato non colposo punito con tre anni di carcere e l’accertamento sia indispensabile per la prova dei fatti.

Saranno distrutte d’ufficio le tracce genetiche di una persona che poi viene assolta e quelle raccolte in modo irregolare. Niente archivio del Dna per i reati tributari, fallimentari e finanziari. I poliziotti che raccolgono e trattano i reperti aspettano ora direttive su come applicare la legge. "La banca dati sarà gestita in due siti diversi" dice Menna. "Il ministero della Giustizia conserverà i profili genetici dei detenuti. Il dipartimento di pubblica sicurezza dell’Interno conserverà i reperti biologici prelevati sui luoghi dei delitti che servono per i confronti".

Dna usato come le impronte? "Quando si prendono le impronte digitali - precisa Menna - c’è l’esigenza di identificare la persona che commette un reato. La legge sulla banca dati, invece, circoscrive rigorosamente i presupposti per effettuare il prelievo sul detenuto".

Giustizia: il Csm "boccia" riforma del processo penale di Alfano

 

Il Messaggero, 15 luglio 2009

 

La VI Commissione del Csm boccia il Ddl Alfano che riforma il processo penale e che è all’esame del Senato. Una stroncatura che investe soprattutto alcune delle sue norme chiave, come quella che secondo i consiglieri stravolge i rapporti tra polizia giudiziaria e pubblico ministero.

Il "no" di Palazzo dei marescialli è contenuto in un parere approvato all’unanimità, al di là di un unico punto sul quale si è registrato il dissenso del togato di Magistratura Indipendente, Antonio Patrono. Un documento molto lungo (18 pagine) e tecnico. E che sia pure in forma non esplicita pone dubbi di costituzionalità su alcune delle norme.

È il caso soprattutto della disposizione che ridisegna i rapporti tra polizia giudiziaria e pm, dando alla prima ampia autonomia nell’acquisizione e ricerca delle notizie di reato, e che - secondo i consiglieri - comprime e indebolisce il ruolo del pubblico ministero. Ci saranno ricadute negative sia sul controllo di legalità sia sulla stessa obbligatorietà dell’azione penale, che la Costituzione affida al pm come organo di garanzia, avverte la Commissione.

Giustizia: l’uccisione di Gabriele Sandri... un "omicidio colposo"

di Maurizio Bologni

 

La Repubblica, 15 luglio 2009

 

Spaccarotella condannato a 6 anni Il padre di Sandri: "Una vergogna". La sentenza: omicidio colposo, non volontario. Urla in aula. La madre del tifoso: me lo hanno ucciso una seconda volta. Il sindaco di Roma Alemanno: esito del tutto insoddisfacente.

È omicidio colposo, niente assassinio volontario. Sei anni di reclusione a Luigi Spaccarotella, l’agente di polizia che l’11 novembre 2007 sparò da un’area di servizio all’altra dell’autostrada del Sole e uccise il tifoso della Lazio Gabriele Sandri, 26 anni. Alle otto della sera, dopo oltre otto ore di camera di consiglio, a metà lettura della sentenza la voce del presidente della corte d’assise di Arezzo, Mauro Bilancetti, è sovrastata dalle urla e dagli insulti che una decina di giovani, tifosi della Lazio ma soprattutto amici di Gabriele, rivolgono alla corte.

"Vergogna", "buffoni, bastardi", gridano. I carabinieri faticano ad arginare la protesta. A frenare gli scalmanati, a spingerli fuori dall’aula. C’è gente che piange di rabbia. La mamma di Gabbo si accascia in lacrime su una sedia. Un’amica, Cinzia, è colta da malore. Arrivano le ambulanze. È l’epilogo amaro, per un sentenza che non piace a familiari e amici di Gabbo. Cristiano Sandri, il fratello, ha la voce rotta dall’emozione. Commenta: "Un poliziotto che cinque testimoni hanno visto impugnare la pistola con due mani, stendere le braccia, mirare e sparare, è stato condannato per omicidio colposo come un qualsiasi sventurato automobilista per un incidente stradale. Vergogna. Ci sarà un appello. Ci sarà giustizia".

Spaccarotella, che non andrà in carcere in attesa dei prossimi giudizi, era sotto processo per omicidio volontario con dolo eventuale: sparando dall’area di servizio ovest di Badia al Pino sull’A1 nei pressi di Arezzo contro l’auto sulla quale Gabriele si trovava nell’area di servizio est, quella sulla corsia opposta - è la tesi del pm Giuseppe Ledda - ha accettato il rischio di uccidere. L’accusa aveva chiesto 14 anni di pena. Ma la corte, nel verdetto, derubrica il reato di omicidio da volontario a colposo e trova una via mediana. Porta a sei anni di pena affibbiando a Spaccarotella, al posto della volontarietà, l’aggravante della "colpa cosciente" che viene giudicata prevalente sulle attenuanti generiche. È come dire: Spaccarotella non voleva uccidere, ma era cosciente di tenere un comportamento pericolosamente colposo. "Sentenza ottima", commenta uno dei due difensori dell’agente, Francesco Molino.

Quella domenica Sandri era in auto con altri tifosi della Lazio diretti in trasferta a Milano. Nell’area di servizio est aggredirono un gruppetto di tifosi della Juve. Dall’altra area di servizio la scena fu notata dall’equipaggio della polizia stradale di cui faceva parte Spaccarotella. L’agente sparò un primo colpo in aria. Poi prese a seguire in parallelo i laziali che salirono in auto e ripartirono. Infine il colpo di pistola che, dopo aver subito una deviazione, raggiunse al collo e uccise Gabriele. La sorte processuale di Spaccarotella sembrava segnata da cinque testimonianze al processo. "Vidi il poliziotto cercare la mira per cinque secondi a braccia tese, poi esplose il colpo verso l’auto in movimento", la deposizione più robusta, quella di Keiko Korihoshi, guida turistica giapponese. Omicidio volontario? No, secondo la corte fu colposo.

"Me lo hanno ucciso per la seconda volta, la mia vita finisce qui" piange, piegata su un muretto, la mamma di Gabbo. "Vergogna, spero che gli amici di Gabbo sappiano mantenere sangue freddo e aspettare l’appello, perché io Spaccarotella non lo mollo. Ma in questo momento comprendo la rabbia degli amici", dice il papà, Giorgio, mentre un gruppo di giovani inveisce e preme all’ingresso del palazzo di giustizia per rientrare. Sulla sentenza anche i dubbi del sindaco di Roma, Gianni Alemanno: "Assolutamente insoddisfacente".

Giustizia: EveryOne; dubbi su colpevolezza Bianchini per stupri

 

Asca, 15 luglio 2009

 

Stupri Roma: Everyone, vi sono dubbi sulla colpevolezza di Bianchini. Divulgheremo dossier che evidenzia procedure d’indagine non corrette.

Il Gruppo EveryOne, organizzazione internazionale per i Diritti Umani, sta ultimando in queste ore le contro-indagini relative al caso dello stupratore seriale di Roma. Secondo il G.i.p. Riccardo Amoroso, e la Questura di Roma, sarebbero schiaccianti le prove che inchiodano Luca Bianchini, ragioniere 33enne di Roma. "Abbiamo indirizzato le nostre indagini" raccontano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti del Gruppo, "sulle testimonianze raccolte dagli Inquirenti relative agli stupri o alle tentate violenze.

Confrontandole, abbiamo individuato forti contraddizioni e in più di una anche la non-corrispondenza dei fatti e della tempistica con cui si sarebbero svolti. Inoltre" proseguono gli attivisti di EveryOne, "abbiamo operato una ricostruzione al computer con software ad algoritmi, che evidenzia la silhouette del criminale di profilo e di spalle e mostra come apparirebbe Luca Bianchini nello stesso ambiente, ripreso dalla stessa videocamera: lo stupratore è una tipologia normolinea, mentre Luca Bianchini ha una corporatura robusta.

Vi sono caratteristiche morfologiche," proseguono Malini, Pegoraro e Picciau, "che mettono in luce la non corrispondenza fra la presenza fisica di Luca Bianchini e quella dell’autore dei crimini seriali, quindi la possibile estraneità del dirigente del circolo Pd alla vicenda dello stupratore dei garage". Il Gruppo EveryOne annuncia l’imminente pubblicazione e diffusione di un dossier sul caso: "Vi sono molti punti oscuri nelle indagini.

Le testimonianze in base alle quali è stato tracciato l’identikit riferiscono, riguardo all’aggressore, un’altezza di 175 cm e una corporatura normale (come risulta anche dal video), mentre Bianchini è alto 165 cm ed è corpulento. Vi è poi il materiale rinvenuto in casa di Bianchini: oggetti comuni, acquistabili dovunque e certamente non fuori-legge, che non dimostrano assolutamente il coinvolgimento del sospettato nelle violenze, e che anzi appaiono diversi da quelli usati negli stupri e descritti successivamente dagli Inquirenti.

Per esempio, lo scotch da pacchi trovato a casa dell’indiziato è marrone e non grigio come quello usato per sigillare la bocca delle vittime. Ci si chiede inoltre perché venga ignorata la testimonianza oculare secondo cui lo stupratore viaggiava a bordo di una Smart di cui conosciamo due numeri di targa. In più, vi è il mistero del Dna.

In un primo momento le autorità hanno dato notizia di una compatibilità fra quello dello stupratore e quello di Bianchini, cambiando poi versione e comunicando che vi sarebbe identità fra i due campioni. Sono procedure e comunicazioni alla stampa che destano sconcerto, come ha sottolineato anche Giorgio Olmi, avvocato difensore di Bianchini e che ci riconducono a casi come quello dei romeni Racz e Loyos, quest’ultimo costretto addirittura a confessare lo stupro della Caffarella, salvo poi risultare innocente.

Anche nel caso di Racz e Loyos, dopo la pubblicazione dei loro foto ritratti, associati a una campagna mediatica colpevolista, si sono susseguiti i falsi riconoscimenti. Esempi simili non mancano, neanche all’estero. Nel 2005 in Virginia emersero ben 20 casi di detenuti condannati a morte, nel corso degli anni, in base a errori del laboratorio scientifico, che aveva rilevato identità fra il loro Dna e quello di altrettanti autori di gravi delitti. In alcuni casi vi era stata contaminazione o manipolazione del Dna e la ripetizione degli esami aveva prodotto ancora falsi positivi".

Giustizia: per liberarsi dalle menzogne sull'indulto e la recidiva

di Andrea Boraschi

 

Terra, 15 luglio 2009

 

L’indulto aprì il carcere a 27.965 detenuti. Di questi tornarono in cella solo in 8.477. E appena 1.705 dei 7.829 che beneficiavano di misure alternative. Nella maggior parte dei casi è di nazionalità italiana chi torna a delinquere.

Proprio in questi giorni Beppe Grillo, neo candidato alla guida del Pd, attacca il partito che vorrebbe guidare dicendo che ha regalato "l’Italia a Berlusconi e l’indulto agli italiani ". Giovanni Torrente, ricercatore dell’università di Torino, e Luigi Manconi, sociologo e sottosegretario alla Giustizia ai tempi di quella clemenza, conducono da tempo un monitoraggio sui risultati dell’indulto del 2006 che rischia di stravolgere il senso dello strale grillino; e, con quello, di zittire la retorica di un fronte amplissimo che tiene insieme Castelli con Travaglio.

Nulla, infatti, come quella misura che fu di ripristino della legalità nelle patrie galere, allora come oggi sovraffollate all’inverosimile, è mai stato più frainteso, mistificato, falsificato. Manconi e Torrente fanno un esercizio semplice e lucido. Essi studiano uno dei parametri che meglio qualificano il funzionamento del sistema penale: la così detta "recidiva". Ovvero, la misurazione di quanta criminalità il carcere riproduce; di quante persone, dopo un soggiorno in un istituto di pena, tornano a delinquere e vi fanno reingresso.

Lo studio che hanno presentato ieri, in una conferenza stampa alla Camera e che hanno realizzato per A Buon Diritto, Associazione per le libertà, sottolinea come il tasso di recidiva (il tasso di reingresso in carcere) si attesti normalmente su una media del 68%. Per 100 persone che sono state detenute, in altre parole, 68, presto o tardi, fanno ritorno in cella. I tassi di recidiva fra gli indultati, a fronte di una campagna mediatico-politica che descrisse quel provvedimento come la messa in libertà di un’orda di criminali pronti alle peggiori gesta, sono, a 3 anni di distanza, eccezionalmente bassi.

Ovvero, questo sembra suggerire la loro ricerca, l’aver sottratto quelle migliaia di persone alla vita carceraria le ha rese mediamente meno inclini a condotte criminali rispetto a quanti, in carcere, espiano la loro pena per intero. L’indulto 2006 dimise 27.965 soggetti agli arresti in carcere. Di questi sono tornati in cella in 8.477 (ovvero, il 30,31%: meno della metà di quel 68% prima ricordato); altresì, rimise in libertà 7.829 soggetti beneficiari di misure alternative alla detenzione: di questi sono tornati in carcere in 1.705, il 21,78% (la media ordinaria, per questa modalità di espiazione della pena, è del 30%).

Nel complesso, sono state 35.794 le persone che hanno beneficiato di quello sconto di pena riacquisendo piena libertà: il tasso di recidiva è il 28,45% (i dati sono aggiornati al 30 giugno 2009 e sono elaborati su statistiche del ministero della Giustizia). E non è suscettibile, questo tasso, di vertiginose impennate: visto che tutti gli studi - e quello di Torrente e Manconi non fa eccezione - suggeriscono come chi torna in carcere, nella maggior parte dei casi, lo fa nei primi o nei primissimi mesi dalla messa in libertà.

Altri due dati: lo studio attesta come quante più volte si è stati detenuti - quanto più tempo si è passato in carcere - tanto più facilmente si torna a delinquere e si torna in cella (il tasso di recidiva tra chi è stato detenuto 3 o 4 volte è molto più alto di quello che si registra tra chi era alla prima o alla seconda detenzione); e, ancora, la ricerca annota come il tasso di recidiva sia sensibilmente più alto tra gli italiani di quanto lo sia tra gli stranieri (31,99% contro 21,36%).

Questo studio appare come la smentita di una ridda di luoghi comuni sulle virtù della pena inesorabile e dura, sul carcere che tanto più ne fai tanto meno hai voglia di tornarci e righi dritto, sugli immigrati criminali irrecuperabili. Esso dice, piuttosto, che le misure alternative funzionano eccome; e che gli atti di clemenza possono indurre a condotte virtuose, estranee al circuito criminale. Intanto 63.460 persone, 20mila in eccedenza rispetto alla "capienza regolamentare" del complesso dei nostri istituti di pena, abitano le patrie galere. Mai così tante dai tempi dell’amnistia di Togliatti.

Giustizia: Manconi; studio dimostra che l'indulto ha funzionato

di Susanna Marietti

 

www.linkontro.info, 15 luglio 2009

 

Sono stati presentati ieri presso la sala stampa della Camera dei Deputati i risultati di uno studio portato avanti da un gruppo di ricercatori dell’Università di Torino coordinato da Giovanni Torrente relativo agli effetti del provvedimento d’indulto varato dal Parlamento nel luglio del 2006. "A tre anni dal provvedimento di clemenza. Indulto: la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità" era l’eloquente titolo della presentazione.

Luigi Manconi, che ha commissionato la ricerca quale seguito di quella da lui promossa all’indomani del voto quando era sottosegretario alla Giustizia con delega alle carceri, ha aperto l’incontro auspicando, tramite la ricerca torinese, di "rendere l’onore perduto al provvedimento di clemenza, che più di ogni altro ha subito un processo di deformazione del suo significato e di travisamento dei suoi esiti". I dati oggi presentati costituiscono la quarta tappa di uno studio di monitoraggio che ha visto altre elaborazioni a 6, 17 e 26 mesi dal provvedimento.

Manconi ha raccontato di aver dovuto pagare di tasca propria quest’ultima fase della ricerca perché, con l’arrivo del nuovo governo, "i pochi fondi necessari per portare a termine un lavoro così importante, che costituisce un piccolo elemento di verità contro un’alterazione tanto profonda dell’indulto, erano stati tagliati".

La ricerca, illustrata da Torrente, ha mostrato come, contrariamente a tutte le rappresentazioni mediatiche fornite in questi mesi, il tasso di recidiva tra coloro che hanno beneficiato dell’indulto provenendo dalla carcerazione sia oggi del 30,31%, contro il 68% circa del tasso ordinario di recidiva. Tra chi al momento del provvedimento era sottoposto a una misura alternativa alla detenzione si scende addirittura al 21,78%. Questi dati, ha spiegato Torrente, si possono considerare sostanzialmente definitivi, poiché i rientri in carcere si sono avuti principalmente nei primissimi mesi dopo il voto parlamentare.

Il tasso di recidiva è dunque di circa dieci punti inferiore tra chi aveva usufruito di una misura alternativa prima di beneficiare del provvedimento di indulto. L’indulto va a confermare un dato che tutte le ricerche su questi temi ci hanno ormai insegnato. Il carcere fa male. Se guardiamo alla variazione del tasso di recidiva tra chi aveva più o meno carcerazioni alle spalle, vediamo come esso vada a crescere fortemente in relazione alla vita penitenziaria passata.

Per chi era in carcere al momento del provvedimento di clemenza, dal 18,38% di chi era alla prima carcerazione al 52,52% di chi ne aveva alle spalle cinque o più. Lo stesso accade per coloro che hanno avuto l’indulto dalla misura alternativa, ma con una minore progressione. Oltre sei persone su dieci, tra chi aveva cinque e più carcerazioni alle spalle e stava usufruendo di una misura alternativa, non sono rientrati in carcere dopo aver beneficiato dell’indulto.

"Le misure alternative", ha detto Torrente, "aprono uno spazio. Ma invece di imparare dai dati, le politiche odierne si muovono in direzione opposta, limitando l’utilizzo delle alternative alla detenzione". Se guardiamo poi alla nazionalità delle persone rientrate in carcere dopo aver usufruito del provvedimento, vediamo come, a dispetto di tutte le campagne mediatiche che ci raccontavano di una "tipica faccia da indultato" (La Stampa, La Nuova Sardegna) che avrebbe ovviamente avuto la carnagione nera od olivastra, tra gli italiani la recidiva sia stata pari al 31,99% dei rimessi in libertà mentre tra gli stranieri si sia fermata al 21,36%.

La parlamentare radicale Rita Bernardini, dati alla mano, ha fornito la misura delle devastanti campagne televisive sulla sicurezza, affatto scollate da ogni attinenza alla realtà. Campagne che sono la causa dell’opinione diffusa che vede nell’indulto un episodio dannoso della recente storia italiana. A seguito di un’analisi condotta su circa 5.100 edizioni di telegiornali annue per oltre cinque anni, ha mostrato come il tempo dedicato a notizie di cronaca nera, cronaca giudiziaria e criminalità organizzata sia più che raddoppiato dal 2003 al 2007, passando dal 10,4% al 23,7%.

È a partire dal 2006 che si è prodotta l’accelerata, nonostante i dati raccontino di una diminuzione generale dei reati più gravi. Il presidente di Antigone Patrizio Gonnella ha chiuso ridicolizzando il piano di edilizia penitenziaria portato avanti dal ministro Angelino Alfano e dal capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta.

"Noi siamo contrari all’edilizia penitenziaria per ragioni di principio", ha detto. "Ma qualcuno dovrebbe smascherare il ministro e dire ad alta voce che il suo piano è irrealizzabile. Franco Ionta è commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, e già quando c’è un commissario c’è un fallimento. Ci dice di voler creare 17 mila posti letto entro il 2012. Primo, con questi tassi di crescita della popolazione detenuta questi numeri sono inutili. Secondo, è impossibile dal punto di vista edilizio essere così veloci. Terzo, perfino dopo aver rubato dalla Cassa delle Ammende, a tutt’altro destinata, il ministro sa bene che mancano i due terzi dei fondi necessari".

Giustizia: Radicali presentano dati su indulto; evitata la tragedia

 

Il Velino, 15 luglio 2009

 

"Si dice in giro che l’indulto stato inutile e che le carceri italiane sono nuovamente affollate, ma senza indulto oggi, nelle strapiene carceri italiane, ci sarebbero tra i 10 e gli 11 mila detenuti in più. Con effetti tragici". Così la parlamentare radicale Rita Bernardini ha presentato alla Camera lo studio messo a punto da Luigi Manconi presidente dell’associazione A buon diritto dal titolo "A tre anni dal provvedimento di clemenza. Indulto: la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità".

Lo studio, difende la bontà del provvedimento di clemenza adottato dal parlamento nel 2006 esprimendo un giudizio positivo sull’impatto prodotto dall’indulto. In base ai dati forniti dallo studio e aggiornati al 30 giugno 2009, infatti, si evidenzia che, a tre anni di distanza dall’indulto, il tasso di recidiva tra i beneficiari si ferma al 30,31 per cento. Percentuale che scende al 21,78 per cento fra coloro che al momento dell’entrata in vigore della legge stavano scontando la pena in misura alternativa. E questo a fronte di un tasso medio di recidiva "ordinario" del 68% e del 30% fra coloro che hanno scontato la pena prevalentemente in misura alternativa.

Lo studio conferma inoltre la maggiore efficacia della misura alternativa, rispetto al carcere, nella limitare i comportamenti recidivanti anche fra "coloro che hanno alle spalle un percorso deviante consolidato". I dati offrono infine informazioni relative alla nazionalità dei soggetti recidivanti: gli italiani si sono mostrati recidivi in misura maggiore rispetto agli stranieri, essendo la percentuale di recidivi italiani di ben 10 punti percentuali superiore a quella rilevata fra gli stranieri.

"L’indulto - ha commentato Manconi - è stato un provvedimento criminalizzato, di cui si parlava con vergogna, che ha subito una campagna di disinformazione sui risultati e di alterazione degli esiti. Con questi numeri, a tre anni di distanza, possiamo rovesciare da cima a fondo tutti questi luoghi comuni e dimostrare l’inequivocabile successo del provvedimento di clemenza".

Giustizia: Bernardini; parlamentari visitino carceri a Ferragosto

 

Ansa, 15 luglio 2009

 

"È necessario aiutare la mobilitazione della comunità penitenziaria perché le carceri italiane stanno letteralmente esplodendo, non solo per il sovraffollamento dei detenuti, ma anche per la mancanza di agenti della polizia penitenziaria (5.000 in tutta Italia). E allora mobilitazione generale il 14, 15 e 16 agosto". È questa la proposta lanciata dalla parlamentare radicale Rita Bernardini a margine della conferenza sull’indulto indetta dai Radicali e tenutasi questo pomeriggio presso la sala del Mappamondo alla Camera; portare nelle 205 carceri italiane un nutrito gruppo di parlamentari per far prendere loro coscienza della situazione in cui versa il sistema penitenziario italiano.

"Il carcere - aggiunge la Bernardini - dovrebbe tendere alla rieducazione e al reinserimento sociale dei detenuti, ma in queste condizioni è difficile portare avanti questo discorso. Sono sempre più convinta - conclude la deputata radicale eletta nelle liste del Pd - della necessità di istituire un’anagrafe pubblica delle carceri, per avere maggiore trasparenza sui numeri dei detenuti e sulle loro condizioni".

Giustizia: contro le morti in cella, toglieranno i fornelletti a gas?

di Adriano Sofri

 

Il Foglio, 15 luglio 2009

 

"Una donna di 27 anni, madre di un bambino, detenuta per piccoli reati legati alla tossicodipendenza, è morta lunedì in cella a Sollicciano, Firenze. Dall’istituto si spiega che non si tratta di morte violenta o suicidio: si pensa a un malore. Al vaglio diverse ipotesi, compresa quella che la donna possa aver sniffato gas da un fornellino".

Così il breve articolo della Repubblica fiorentina di ieri. Ancora l’articolo: "Talvolta i detenuti sniffano il gas dei fornellini da campeggio per stordirsi…". Leggevo, e mi è venuto in mente l’Albatro: "Sovente, per trastullo, gli uomini d’equipaggio fan prigioniero un albatro…".

Le detenute di Sollicciano, informa Franco Corleone, sono 103 e con loro sette bambini. La notizia è a suo modo completa di tutto: una giovane donna, madre di un bambino, futili reati, tossicodipendenza trattata a forza di galera, forse gas aspirato dalla bomboletta.

Ah no, per perfezionarla mancava la richiesta qualche sindacato di polizia penitenziaria, che venisse vietato l’uso dei fornelletti campeggio nelle celle. Non l’uso delle celle per le giovani madri tossicodipendenti da piccoli reati, ma l’uso dei fornelletti gas. Cioè la possibilità di farsi il caffè. Ecco: ora la notizia è perfetta.

Giustizia: gli psicologi in carcere, 3 ore l’anno per ogni detenuto

 

Ristretti Orizzonti, 15 luglio 2009

 

Psicologi penitenziari a Montecitorio, 3 ore l’anno per detenuto: impossibile valutare pericolosità, contenere rischio recidiva e suicidi.

Cinquanta psicologi che operano con Adulti e Minori e una rappresentanza di criminologi, provenienti da diverse regioni, hanno partecipato alla manifestazione tenuta a Roma davanti al Parlamento. Per la prima volta le problematiche di queste professionalità specifiche sono state portate fuori dalle mura del carcere.

La protesta non è solo rivendicazione di una categoria ormai stabilmente precaria da trenta anni, ma vuole evidenziare la quasi totale impossibilità, dovuta alle riduzioni drastiche sugli orari di lavoro, a svolgere funzioni che contribuiscono alla sicurezza perché aiutano a ridurre la tensione nelle carceri e contenere il rischio di recidiva quando i detenuti torneranno alla società per fine pena o concessione di benefici.

psicologi e criminologi che lavorano nelle carceri italiane possono dedicare solo tre ore l’anno ad ogni detenuto: troppo poco per fornire le valutazioni richieste dalla magistratura che concorrono a definire la pericolosità dei detenuti per la concessione di pene alternative alla detenzione ed al difficile compito, reso obbligatorio anche da recenti leggi per autori di reati ad alto allarme sociale, di restituire alla società civile persone consapevoli delle ragioni del danno arrecato e garantire alla collettività la correttezza dei propri comportamenti. È un paradosso che, in una fase in cui il sovraffollamento e il clima di allarme sociale chiedono una maggiore attenzione per contenere le tensioni all’interno degli istituti e monitorare i soggetti in esecuzione penale esterna, si assista alla totale precarietà e riduzione dell’impiego di competenze specifiche.

Hanno aderito alla manifestazione, promossa dalla Società Italiana di Psicologia Penitenziaria e dai criminologi, l’Ordine Nazionale Psicologi, il sindacato degli psicologi (Aupi), il Forum Nazionale per la Tutela della Salute dei Detenuti, il Garante Diritti Detenuti del Lazio, l’Ispettorato Nazionale Cappellani, la Cgil funzione Pubblica che ha diffuso un comunicato stampa, il sindacato della Polizia Penitenziaria Ugl e varie associazioni.

L’Ordine Psicologi Lazio ha elaborato un documento sulla illegittimità dell’esclusione degli psicologi esperti ex art. 80 dal passaggio della Sanità Penitenziaria al Ssn, la cui conseguenza è che, allo stato attuale, solo i tossicodipendenti possono continuare ad usufruire dell’assistenza psicologica prestata da questi psicologi già passati, per questo servizio, al Ssn.

Per tutti gli altri detenuti non vi è assistenza sanitaria di natura psicologica, se non quella che continua, nei singoli istituti, di fatto ad essere chiesta allo psicologo esperto, il quale continua a prestarla (anche se limitatamente, viste le ore a disposizione in cui devono convergere anche le funzioni di Osservazione e Trattamento), perché tale funzione di assistenza psicologica è parte peculiare ed inscindibile dell’intervento dello psicologo, e per la crescente necessità dell’istituzione di dare una risposta alle emergenze.

Basti pensare al triste primato di suicidi raggiunto: 28 nei primi 5 mesi del 2009, suicidi che, essendo legati, come gran parte del disagio psichico in carcere, a problematiche di carattere psicologico, accentuate dal contesto e dalle condizioni di vita, richiederebbero non solo cure medico-psichiatriche, ma ascolto e l’uso di tecniche psicologiche.

Diversi organi di informazione sono intervenuti alla manifestazione: Rai 3, Tg 5; sono stati pubblicati comunicati stampa dalle agenzie nazionali Ansa, Adn Kronos, Agi e diversi articoli su alcuni quotidiani sia nazionali che regionali.

Una delegazione di esperti psicologi è stata ricevuta dal Consigliere dr. Solia, Capo Segreteria del Presidente della Camera on. Fini e da diversi parlamentari. A tutti è stata presentata una piattaforma contenente criticità, proposte riguardanti gli psicologi del settore adulti, minori, vincitori di concorso, criminologi e sociologi, per individuare possibili soluzioni.

 

Alessandro Bruni, presidente Sipp

Paola Giannelli, segretario nazionale Sipp

Giustizia: incontro tra la Cnvg e Delrio, Vicepresidente dell’Anci

 

Comunicato stampa, 15 luglio 2009

 

Comunicato stampa della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia: incontro tra Cnvg e Graziano Delrio, Sindaco di Reggio Emilia e Vicepresidente Anci.

Si è tenuto oggi un incontro tra Elisabetta Laganà, presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia e Graziano Delrio, Sindaco di Reggio Emilia e Vicepresidente Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani). L’incontro è avvenuto a seguito di una richiesta espressa al Sindaco alcuni mesi fa dalla Cnvg per sollecitare, nella sua veste di Vicepresidente Anci, la convocazione della "Commissione Nazionale per i rapporti tra il Ministero della Giustizia, le Regioni, gli Enti Locali e il Volontariato".

La Commissione, istituita nel 1978 in conseguenza del Dpr 616/77 che trasferiva agli Enti Locali l’assistenza alle famiglie di detenuti e l’assistenza post penitenziaria, ha compiuto un grande lavoro di coordinamento approvando, il 19 marzo 2008, le "Linee guida in materia di inclusione sociale a favore delle persone sottoposte a provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria". Il documento, approvato all’unanimità, ipotizza un patto per l’inclusione sociale delle persone (adulte e minori) afferenti al circuito penale. Non si tratta di prescrizioni vincolanti ma di indicazioni sviluppate per sistematizzare buone prassi già sperimentate.

Il documento richiama, nei contenuti, i principi costituzionali, la riforma penitenziaria e le regole penitenziarie europee; dà particolare rilevanza alla specificità dell’esecuzione penale esterna e al settore della giustizia minorile; fa riferimento alla gestione dell’esecuzione delle pene attraverso un’azione che investa tutte le componenti sociali, sottolineando l’importanza del ruolo delle Regioni, degli Enti locali e della società civile organizzata. in virtù del principio di sussidiarietà, prevede accordi a livello locale tra i vari livelli di governo, anche in merito alla destinazione delle risorse. Particolare risalto viene dato al ruolo del Terzo settore.

Il Sindaco Delrio, pur avendo prontamente inviato la richiesta di convocazione al Ministero della Giustizia, ha riferito di non avere ancora ricevuto risposte in merito.

Il Sindaco Delrio e la Cnvg hanno convenuto sulla drammaticità della situazione delle carceri e quindi sull’urgenza di provvedimenti orientati in modo diverso dalla carcerazione, peraltro ampiamente sottolineati dalle Linee Guida. Lo stesso Ministro Alfano ha affermato ieri, nel corso di un convegno, che "occorre fare una seria riflessione sulle misure alternative"

La Cnvg ha sottolineato l’importanza del ruolo dell’Anci sia in questo momento in cui il sovraffollamento registra cifre drammatiche ma, più in generale, per concretizzare queste Linee Guida che offrono un modello di "governance" che nega la "centralità" del carcere come unica forma di pena, affermano l’importanza dello sviluppo delle misure alternative, riconoscono la necessità dell’integrazione, nei rispettivi ruoli, tra Ministero della Giustizia, Regioni, Enti Locali, Servizi Territoriali e Società, offrendo le modalità per stabilire un piano organico e stabile, adeguato alle necessità locali, uscendo finalmente dal rincorrere di volta in volta l’emergenza che si presenta. L’attuale situazione del sovraffollamento impone ancora di più l’urgenza di risposte.

Il Volontariato della giustizia ritiene necessaria una rapida azione da parte di tutti i soggetti istituzionali e non, coinvolti ed impegnati sui temi della pena e della sua esecuzione affinché si assumano, in attuazione dei principi di leale collaborazione e di sussidiarietà, la responsabilità condivisa della lotta all’esclusione sociale anche delle persone sottoposte a provvedimenti dell’autorità giudiziaria, nella consapevolezza che gli investimenti per gli interventi sul disagio sociale in genere ed orientati all’inclusione influiscono in modo positivo sul fenomeno della recidiva, sulla sicurezza dei territori, sulla qualità della vita delle comunità, e non devono quindi essere considerati un aggravio di costi per la collettività, ma al contrario, nei tempi lunghi, un investimento produttivo in termini di sicurezza sociale.

Giustizia: il Sappe incontra Fini "stato di calamità per le carceri"

 

Il Velino, 15 luglio 2009

 

Proseguono gli incontri istituzionali della Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, il più rappresentativo della Polizia penitenziaria, sulle problematiche del Corpo e del sistema carcere, oggi alle soglie dello "stato di calamità" con 64mila detenuti presenti, a fronte di 42mila posti letto, e cinquemila agenti in meno in organico. Ieri pomeriggio il Sappe ha incontrato il presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini, nel suo ufficio a Montecitorio.

"Nel corso dell’incontro" dichiara il segretario generale Donato Capece "sono stati affrontati e portati all’attenzione del presidente Fini, come sempre cordiale ed attento alle nostre rivendicazioni e sollecitazioni, alcune priorità di intervento per il Corpo di Polizia Penitenziaria e per il sistema carcere. Il Sappe ha chiesto al presidente Fini di individuare e porre all’attenzione del Parlamento ogni utile soluzione legislativa che possa decongestionare concretamente le carceri.

Abbiamo chiesto il suo autorevole intervento perché si individuino con ragionevole urgenza adeguati stanziamenti di denaro a favore della Polizia penitenziaria e per fare in modo che i circa 200 agenti che stanno attualmente frequentando il corso annuale di formazione nelle Scuole del Corpo possano fruire di un corso ridotto di sei mesi per averli presto in servizio nelle carceri. Gli abbiamo anche chiesto di intervenire presso il ministro della Difesa Ignazio La Russa perché, almeno fino a quando non si arriverà ad una assunzione straordinaria di 1.500 agenti, la vigilanza esterna dei muri di cinta dei principali penitenziari del Paese possa essere affidata alle Forze Armate. Il presidente Fini ci ha assicurato che adotterà ogni provvedimento di suo competenza per risolvere le criticità rappresentate, anche invitando il presidente della commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno a calendarizzare una nostra audizione presso la commissione".

Campania: carceri al collasso; inchiesta dei Consiglieri regionali

di Eleonora Gitto

 

www.ecostiera.it, 15 luglio 2009

 

Le carceri in Campania sono al collasso. Disagi e sovraffollamento oltre a rendere difficoltosa la gestione dei detenuti, fanno registrare suicidi ed episodi di autolesionismo. La soluzione dei nodi dell’emergenza penitenziaria è uno degli obiettivi su cui i consiglieri regionali Tonino Scala e Nicola Marrazzo hanno concentrato la loro attenzione, per questo hanno iniziato un tour istituzionale nelle Case Circondariali regionali.

Secondo i dati del ministero della Giustizia, sono quasi 64 mila i detenuti in Italia raddoppiati rispetto al 2007, a fronte di una capienza regolare delle strutture che è di circa 43mila posti. Un esubero di 17mila unità, delle quali il 21% si trova nelle celle dei 17 istituti penitenziali della Campania. Dai dati forniti all’inizio del 2009 dalle Associazioni Antigone Campania e la Mansarda Onlus impegnate nel monitoraggio delle condizioni della detenzione nella regione, si evince che nelle carceri campane si è registrata la presenza di 7.378 detenuti: 7.060 uomini e 318 donne.

Ci sono, quindi oltre 2.000 detenuti rispetto alla capienza. La capienza ufficiale complessiva è di 5.328 posti (5117 per uomini e 211 per le donne). Nel 2005 erano presenti 7.310 detenuti (7.034 uomini e 276 donne). Nel 2006, con l’indulto, i detenuti erano diventati 5.312 (5.155 uomini e 219 donne). Poi di nuovo un aumento. Nel 2007 c’erano 6.164 detenuti (5945 uomini e 219 donne), nel 2008 6.934 (6.663 uomini e 271 donne).

 

Poggioreale

 

Il caso limite, secondo le associazioni, è rappresentato dal carcere di Poggioreale con 2.544 detenuti presenti su una capienza di 1.387. Oltre 1.000 in più (1.157). Complessivamente ben 4.351 detenuti (su 7.378) sono in attesa di una sentenza definitiva. Circa il 30% della popolazione detenuta è tossicodipendente ma solo il 4,1% è in trattamento metadonico. Il 20% dei detenuti è costituito da immigrati.

Una popolazione che cresce costantemente di almeno 150 unità ogni sei mesi, una popolazione che attende processi troppo lunghi e attuazioni di programmi di recupero che a causa della carenza di personale sono lenti e irrealizzabili. Recenti dati diffusi dal Dap (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) hanno rivelato che in Italia ben il 51% dei detenuti è in attesa di giudizio.

La Campania è la regione con il maggior numero di giudicabili, ben 4351, e proprio in Campania il carcere di Poggioreale detiene il record di affollamento nazionale ed europeo, con 2544 detenuti, di cui 2200 in attesa di giudizio, tanto che nel settembre 2008 una delegazione del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, organo del Consiglio d’Europa, ha effettuato una visita a Poggioreale, allo scopo di verificare le condizioni di vita dei detenuti. A Poggioreale, al problema dell’affollamento si aggiunge la carenza di agenti penitenziari, che impone anche a loro un regime di minimo movimento e di pressoché costante chiusura in cella.

 

Il degrado nelle carceri

 

Dentro le celle delle carceri, troppo spesso, si vive una situazione drammatica: padiglioni fatiscenti, settori strapieni e condizioni di vita a volte impossibili, mancanza di cure mediche adeguate. E sovraffollamento non significa soltanto difficoltà di gestione del popolo delle carceri, significa anche gravi i rischi per la sicurezza e per la salute del personale e degli stessi detenuti. Sempre secondo i dati di Antigone e Mansarda Onlus, infatti, nel corso del 2008 si sono verificati 5 suicidi, 14 decessi per cause naturali, 42 tentati suicidi e 255 atti di autolesionismo e all’inizio del 2009 si erano già contati 2 suicidi.

Questa situazione genera difficoltà per le persone detenute ma anche per il personale penitenziario civile e per gli agenti di polizia penitenziaria. Permane poi una forte criticità nel rapporto tra educatori e detenuti, che è pari a circa uno a 200. Una criticità segnalata ovunque, che rilancia un allarme inascoltato anche sei mesi dopo il primo appello legato alle statistiche di giugno 2008.

La Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere, per esempio, nel corso del 2008 ha registrato un incredibile boom di ingressi figlio dell’offensiva dello Stato al clan dei Casalesi. La popolazione carceraria è aumentata sensibilmente, fino a toccare un esubero di 313 detenuti.

Segno "più" che preoccupa, così come preoccupano i numeri nelle celle di Fuorni, a Salerno, dove alla fine di dicembre i carcerati in esubero erano già oltre il muro delle 200 unità. In affanno anche le case circondariali di Bellizzi, Aversa e Benevento (per un totale di 477 detenuti in più rispetto al numero previsto).

 

Crisi nel sistema penitenziario

 

E proprio la casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere è stata la prima tappa del tour istituzionale che il Presidente del gruppo regionale "La Sinistra" Tonino Scala e il Presidente della commissione Bilancio Nicola Marrazzo hanno iniziato nei penitenziari della Campania.

"Ci siamo recati in visita presso la Casa Circondariale di Santa Maria Capua a Vetere. Un carcere in ottimo stato ma che come tutte le strutture italiane vive una situazione di sofferenza. Su cinquecentotrenta detenuti ospitabili questa struttura né ospita ben novecentosettanta". - Ha dichiarato Scala - "Ci sono stanze costruite per contenere quattro letti e che invece né contengono in media otto. Una situazione di affollamento che crea notevoli disagi non solo per i detenuti che scontano qui la loro pena ma anche per gli operatori che con sforzo e generosità operano all’interno della struttura".

Tanti i disagi. Disagi che sono sotto gli occhi di tutti. Disagi che rendono ancora più difficile la situazione "poiché strutture come questa oltre che posti dove scontare la pena dovrebbero essere luoghi di recupero sociale". Anche quella di Santa Maria Capua a Vetere, come le altre strutture italiane, fa i conti con il sovraffollamento. Immigrati e detenuti per piccoli reati la maggior parte dei reclusi nella struttura di via Strada Statale.

"Nel corso degli ultimi anni in Italia si rischia di finire in carcere per aver sottratto un pacco di biscotti di pochi euro e questo perché si sta puntando molto sul dare una percezione di sicurezza al paese. Sicurezza che però nei fatti resta solo percezione". Ha continuato il capogruppo regionale de La Sinistra.

 

Carcere di Fuorni

 

"Da alcuni colloqui avuti, è emersa chiaramente la paura, faremo un esempio per rendere l’idea, che in questa struttura presto si potrebbe finire come in alcuni ospedali ossia a ospitare i detenuti in brandine nelle stanze adibite agli agenti, tale è la situazione di affollamento. Basterebbe, in una terra di camorra come questa una retata, come quella di poche ore fa, per trovarsi in una situazione come quella illustrata prima. Crediamo sia giusto intervenire in modo concreto per affrontare la situazione e rendere più agevole la permanenza per i detenuti che scontano la pena e per gli operatori e gli agenti che lì lavorano. Nel caso specifico a Santa Maria Capua a Vetere, in questo momento occorrerebbe, con urgenza, un intervento alle pompe di sollevamento per portare l’acqua per lavarsi ai piani superiori e un’opera di disinfestazione. I segni lasciati dalle punture degli insetti, visti sulle braccia di queste persone, non sono certamente da paese civile".

Un viaggio lungo quello che intendono fare i consiglieri Scala e Marrazzo che proseguirà nelle prossime settimane. Un tour finalizzato a fotografare una situazione di crisi molto seria che rischia di aggravarsi in assenza di una strategia d’intervento da parte del governo e se saranno approvate le proposte di legge che vanno a criminalizzare gli immigrati, regolari e non.

Nell’immediato, come suggeriscono Samuele Ciambriello e Dario Stefano Dell’Aquila, rispettivamente presidente de la Mansarda e di Antigone Campania, "Ci sono solo due azioni che potrebbero contribuire ad alleviare questo stato di cose. Da un lato è necessario immettere nuove risorse e personale negli istituti di pena, dall’altro estendere la possibilità di ricorrere a misure alternative alla detenzione. Se ciò non dovesse avvenire e se si dovesse proseguire con scelte demagogiche in materia di sicurezza, si rischia di mettere in crisi tutto il sistema penitenziario e di creare condizioni di invivibilità in tutti i penitenziari campani e italiani".

 

Poggioreale

Capienza massima 1.387

Detenuti ospitati 2.544

E il carcere più affollato d’Europa. Tutti uomini i detenuti ospitati nei padiglioni della struttura partenopea, e di questi il 12,61%, cioè quasi 300, sono stranieri.

 

Secondigliano

Capienza massima 1.079

Detenuti ospitati 1.174

Anche quella di Secondigliano è una casa circondariale dove sono reclusi detenuti in attesa di essere giudicati dalla magistratura. Anche qui la situazione è allarmante, anche se gli ospiti in esubero sono ancora in una media definita "tollerabile". A Secondigliano sono detenuti solo uomini e di questi il 7,16% sono cittadini stranieri.

 

Salerno

Capienza massima 270

Detenuti ospitati 480

Quella di Fuorni è una casa circondariale: qui sono rinchiusi 428 uomini e 52 donne in attesa di giudizio. 18% stranieri.

 

Pozzuoli

Capienza massima 91

Detenuti ospitati 169

Unica Casa Circondariale Femminile, nella quale si registra un sovraffollamento considerevole. Le

straniere sono il 25%.

 

S. Maria Capua Vetere

Capienza massima 800

Detenuti ospitati 1.113

Una Casa circondariale "mista" che si è affollata dopo l’inizio della guerra ai Casalesi. Qui gli

stranieri sono il 26%.

 

Ariano Irpino

177 detenuti nella casa circondariale invece di 130

 

Arienzo

114 detenuti nella casa circondariale invece di 100

 

Bellizzi

395 detenuti nella casa circondariale invece di 200

 

Aversa

277 detenuti nella casa circondariale invece di 150

 

Benevento

405 detenuti nella casa circondariale invece di 350

Piemonte: 900mila € per contrasto devianza e sostegno detenuti

 

Ansa, 15 luglio 2009

 

Un bando per l’assegnazione di contributi per il contrasto alla devianza e alla criminalità ed a favore delle persone in esecuzione penale ed ex detenuti è stato approvato dalla Giunta regionale su proposta dell’assessore al Welfare, Teresa Angela Migliasso. Le risorse assegnate, che ammontano a complessivi 900.000 euro, derivano dalle sinergie economiche e progettuali degli assessorati al Welfare, alla Cultura, al Turismo e Sport.

I progetti, da presentare alla direzione Politiche sociali e Politiche per la famiglia entro il 14 settembre 2009, sono relativi a tre ambiti specifici - sociale, culturale e sportivo - e dovranno prevedere interventi di orientamento e informazioni all’accesso al sistema dei servizi, azioni di miglioramento delle condizioni di vita durante la detenzione mediante l’offerta di opportunità formative e lavorative finalizzate al reinserimento e alla futura autonomia, misure a sostegno della genitorialità delle persone in esecuzione penale e a favore delle loro famiglie, iniziative culturali e sportive.

Sono anche previsti progetti specifici a favore delle donne detenute e dei bambini presenti negli istituti penitenziari e per particolari fasce di popolazione in esecuzione penale, come stranieri, sex-offender, persone con problemi di dipendenza e persone con disabilità Le iniziative e i progetti dovranno essere realizzati con la collaborazione fra enti locali, enti pubblici, Amministrazione penitenziaria e altri soggetti funzionali, quali agenzie formative, associazioni culturali, sportive e di volontariato, cooperative, cooperative sociali e loro consorzi.

La partnership deve obbligatoriamente comprendere il Gruppo operativo locale del territorio di appartenenza e, per i progetti che si attuano all’interno degli istituti penitenziari, la direzione degli stessi. "Interventi in questo settore - sostiene l’assessore Migliasso - costituiscono ormai da anni l’espressione di una progettualità in rete tra diverse realtà istituzionali e del mondo del lavoro e del volontariato, una rete territoriale che ha portato alla costituzione dei cosiddetti Gol (gruppi operativi locali), che garantiscono comunicazione e coordinamento tra le diverse iniziative.

Il successo delle proposte sinora realizzate dà vigore ad un costante e crescente impegno a favore di cittadini che vivono una condizione di vita difficile. Costruire politiche di integrazione si configura da un lato come rinuncia alla sola repressione penale dei comportamenti considerati, dall’altro come un contributo significativo alla difesa sociale per mezzo del contenimento del rischio di recidiva".

Civitavecchia: spesi 3 mln di €, ma il nuovo reparto resta chiuso

 

Ansa, 15 luglio 2009

 

Oltre tre milioni di euro spesi presso la casa di reclusione di via Tarquinia per un nuovo reparto capace di ospitare 50 detenuti risultano attualmente buttati. La denuncia, inoltrata al Presidente dell’Amministrazione Penitenziaria, arriva dalla Cgil Funzione Pubblica che definisce paradossale la situazione, considerando che nel carcere circondariale di Borgata Aurelia, si riscontra attualmente un sovraffollamento di 140 detenuti, visto che risultano 480 ospiti a fronte di una capienza di 340.

Egregio Presidente, in un momento storico in cui, nel nostro paese, il problema del sovraffollamento detentivo ha raggiunto picchi a dir poco allarmanti, la Fp Cgil intende sottoporre alla Sua attenzione un caso che sta destando perplessità per come è stato gestito negli ultimi anni. Presso l’istituto in oggetto nell’anno 2007 è stato completamente ristrutturato ed adeguato alla normativa vigente un reparto in grado di ospitare circa 50 detenuti. Per portare a termine questa iniziativa l’Amministrazione Penitenziaria ha investito circa 1.000.000,00 di euro.

Nello stesso istituto, in attesa dell’assegnazione dei detenuti che avrebbero dovuto essere ubicati nel suddetto reparto, l’amministrazione da Lei presieduta ha inteso investire ulteriori 2.600.000 euro circa per altri lavori di ristrutturazione.

Ad oggi, trascorsi circa 2 anni dal termine dei lavori, quel reparto resta ancora inutilizzato e non vi sono mai stati assegnati detenuti. Considerato che, nel nostro Paese, il limite massimo di tollerabilità in tema di capienza degli istituti penitenziari è stato superato da tempo e che la popolazione detenuta continua ad aumentare di circa 1.000 unità al mese, preso atto che "il piano carceri" da Lei presentato necessita di alcuni anni per essere attuato, risulta del tutto evidente che, una serie di interventi tesi ad alleviare le gravi condizioni lavorative che la Polizia Penitenziaria si trova a fronteggiare giornalmente, non possono essere ulteriormente rinviati.

Per quanto sopra esposto la perplessità della Fp Cgil e di tutti i dipendenti dell’amministrazione penitenziaria in servizio presso la C.R. di Civitavecchia aumenta di giorno in giorno. Non si riesce a comprendere in base a quale logica politica si sia investito per anni denaro pubblico senza poi raccogliere i frutti dell’investimento - si tenga presente che, nella stessa città, esiste un altro istituto penitenziario in cui a fronte di una capienza di 340 detenuti, ne risultano ristretti circa 480.

Nella logica di alleviare i carichi di lavoro della Polizia Penitenziaria in servizio c/o il nuovo complesso penitenziario di Civitavecchia, di rendere le condizioni di vita dei detenuti più dignitose e di giustificare le ingenti somme di denaro investite, la Fp Cgil chiede un Suo celere intervento che consenta di superare i cavilli burocratici che hanno impedito, ad oggi, di utilizzare al meglio le strutture penitenziarie presenti sul territorio di Civitavecchia.

 

Fp-Cgil di Civitavecchia

Eugenio Censasorte

Imperia: detenuto suicida; la morte avvenuta per soffocamento

 

Secolo XIX, 15 luglio 2009

 

Pare sia stato il soffocamento, stando almeno ai primi provvisori rilievi, la causa della morte di Salah Rachid Dibe, 35 anni, di origine algerina, il detenuto che nei giorni scorsi ha tentato il suicidio in carcere. Ieri alle 12 il professor Francesco Ventura ha eseguito l’autopsia sul cadavere dell’uomo. Probabilmente è stato il laccio stretto attorno al collo a provocare l’arresto cardiaco, lo stato di coma e dopo due giorni il decesso dell’uomo. Altri accertamenti per stabilire l’eventuale ingestione di farmaci o altro saranno resi noti dai medici legali nei prossimi giorni. Rachid Salah Dibe, ricordiamo, era stato ricoverato nella notte mercoledì e giovedì scorsi nel reparto di cure intensive dell’ospedale e, in coma profondo irreversibile, mantenuto in vita dalle macchine. L’altra mattina il suo cuore non ha retto. Immediatamente il pubblico ministero Maria Paola Marrali aveva disposto l’autopsia a completamento dell’indagine avviata per stabilire le esatte cause del decesso. L’uomo era stato condannato a 10 mesi per aver contravvenuto ad un decreto di espulsione. In cella si è stretto intorno al collo il cavo della tv.

Imperia: l'evasione è stata possibile perché allarme disattivato

 

Secolo XIX, 15 luglio 2009

 

Oggi pomeriggio sarà presente il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta a Imperia. Consegnerà attestati di partecipazione al corso di formazione ai detenuti che hanno fornito il loro contributo al progetto "Hansel & Gretel". La cerimonia è apparsa a molti inopportuna visto il momento. Il sistema di allarme della Casa Circondariale era stato disattivato. Pare che, a causa della presenza di un cantiere all’interno delle mura, suonasse troppo spesso e senza motivo particolare: suonavano sia il cicalino che l’allarme generale. Per cui era stato... disattivato.

Lo era per lo meno nel momento in cui l’evaso si arrampicava sulle mura del carcere e fuggiva martedì della scorsa settimana. Questo il motivo principale per cui, oltre all’assenza ingiustificata di personale attento a seguire i monitor collegati alle telecamere, Farah Ben Faical Trabelsi, il detenuto di origini tunisine autore della clamorosa fuga dalla casa circondariale di Imperia, è riuscito indisturbato a fuggire, violando tutti i sistemi di controllo.

Ma non è l’unica novità che emerge dalle nuove conclusioni del rapporto dei carabinieri del nucleo investigativo di Imperia. Ad esempio - ed ecco perché il procuratore capo Bernardo Di Mattei assieme alla collega Maria Paola Marrali, titolare dell’inchiesta, non nega le responsabilità colpose del personale nell’evasione - Trabelsi avrebbe dovuto lasciare Imperia quel martedì per essere trasferito a Marassi. Il personale della polizia penitenziaria perciò l’aveva segnato già "in uscita" dal penitenziario. Ecco perché solo alla conta serale è emersa la sua assenza.

Resta il fatto che quando venne disposta l’ora d’aria da trascorrere nel campetto per il 16 detenuti compreso Trabelsi, nessuno degli agenti fece la conta al rientro. Si sarebbe accorto che uno dei 16 mancava. Le novità ultime, che sembrano tutte preludere a provvedimenti disciplinari e altrettanto probabilmente a iscrizioni nel registro degli indagati, giungono proprio nel giorno in cui nel piccolo penitenziario è attesa una visita importante, a celebrazione di un progetto di prestigio svolto a Imperia.

Oggi pomeriggio sarà presente il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta. Consegnerà gli attestati di partecipazione al corso di formazione ai detenuti che hanno fornito il loro contributo al progetto "Hansel & Gretel". Si tratta di un’iniziativa di recupero ambientale che ha permesso di impiegare i detenuti in due aree verdi individuate nei Comuni di Imperia e Sanremo. Alle 15 in carcere, alle 16 al Parco Urbano e poi alle 16,30 alla Scuola Edile.

Non potrà non essere anche un’occasione di confronto sulla sicurezza del penitenziario tra il direttore, Nicolò Mangraviti e il capo dipartimento. Intanto si annunciano altri atti utili per le indagini che sono ormai prossime alle conclusioni. È previsto un sopralluogo presso la casa circondariale da parte del sostituto procuratore, Maria Paola Marrali e del capitano dei carabinieri, Sergio Pizziconi. Dovrebbe svolgersi entro domani.

La prossima settimana invece è fissata l’udienza in tribunale per il processo per l’evasione del giorno di Ferragosto del 2006. Un altro detenuto, dei tre evasi, è chiamato a testimoniare come fece, facilmente anche in quell’occasione, a guadagnare la fuga.

Roma: la "band" di Rebibbia suona a Italia Wave ed a Gorgona

 

Ansa, 15 luglio 2009

 

Doppia tappa toscana per "I presi per caso", la band musicale nata nel carcere di Rebibbia e divenuta celebre per le numerose campagne sociali (una per tutte quella per la riabilitazione di Girolimoni) e per la capacità di fare della musica uno strumento di comunicazione e di incontro fra uomini e storie differenti. Il gruppo si esibirà nell’isola di Gorgona il 18 luglio e il giorno seguente sarà su uno dei palchi dell’Italia Wave Love Festival.

Entrambe le iniziative nascono nel contesto di Gorgona Wave, l’iniziativa organizzata da Italia Wave Love Festival in collaborazione con il direttore del penitenziario Carlo Mazzerbo. Sull’isola è attiva una colonia penale agricola che ospita detenuti a bassa pericolosità sociale, liberi di muoversi sul territorio e che si dedicano ad attività di agricoltura, pastorizia, carpenteria, acquacoltura e artigianato.

Immigrazione: Cir; i "respingimenti"… devono cessare, subito

 

Adnkronos, 15 luglio 2009

 

"La politica di respingimento di rifugiati e richiedenti asilo verso la Libia deve subito cessare" ha dichiarato Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir).

"Non è tollerabile che il Canale di Sicilia diventi una zona franca in cui nessuna legge è rispettata - aggiunge Hein. Attraverso interviste con gli interessati in territorio libico, si è infatti evidenziato che le operazioni di respingimento delle ultime settimane hanno colpito principalmente persone bisognose di protezione internazionale". Il Cir conferma poi quanto affermato oggi dall’Unhcr, che ha chiesto chiarimenti in merito al Governo italiano: "Il 1 luglio scorso - scrive il Cir in una nota - 82 rifugiati e migranti sono stati consegnati, in alto mare, dalla nave militare italiana Orione a navi militari libiche per essere respinti in Libia".

"76 di questi sono eritrei, di cui 4 donne e 3 minori. 33 di queste persone erano già state precedentemente riconosciute rifugiate sotto il mandato delle Nazioni Unite. Tutti gli altri, subito ammessi in vari centri di detenzione in Libia, hanno richiesto all’Unhcr di essere riconosciuti rifugiati. Secondo le dichiarazioni di queste persone, almeno 8 eritrei hanno subito violenza fisica da parte dei militari italiani, al punto che 6 di loro sono stati ricoverati in ospedale a Tripoli - prosegue il Cir - Uno di essi, detenuto nel centro di Zuwarah, ha addirittura riportato ferite alla testa provocate da bastoni elettrici, documentate anche fotograficamente".

"Non appena i migranti si sono resi conto che sarebbero stati consegnati alle forze libiche hanno opposto resistenza e costretti con la forza al trasbordo. Queste dichiarazioni sono state rilasciate separatamente in diversi centri di detenzione al personale del Cir e dell’Unhcr, operante in Libia. Sempre secondo tali dichiarazioni a tutti sono stati arbitrariamente sequestrati cellulari, documenti personali e denaro.

Il Cir ricorda che negli ultimi anni migliaia di rifugiati e migranti sono stati salvati nel Mediterraneo da forze militari italiane, e che proprio la nave Orione si è distinta per particolare impegno e coraggio in operazioni di salvataggio. Ora - conclude il Cir - chiediamo che sia fatta immediatamente un’indagine per chiarire gli eventi della notte tra il 30 giugno e il 1 luglio e che i responsabili di eventuali reati siano identificati. Chiediamo anche che il Parlamento sia tempestivamente informato".

Immigrazione: Corte conti condanna ex direttore Cpt di Lecce

di Emilio Gioventù

 

Italia Oggi, 15 luglio 2009

 

L’immigrazione clandestina è un affare. È questo il succo della sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Puglia, che condanna monsignor Cesare Lodeserto a rimborsare allo Stato 133.651 euro, la metà dì quanto richiesto dal procuratore, avuti per "maggiori prestazioni a favore degli immigrati rispetto a quelle effettivamente rese".

Nel mondo dell’immigrazione Lodeserto non è proprio uno sconosciuto: condannato (pena sospesa) nel 2005 per simulazione di reato; condannato per violenza privata e lesioni aggravate nei confronti di 17 immigrati che nel novembre 2002 avevano tentato la fuga dal Cpt di San Foca a Lecce; arrestato nel 2005 con l’accusa di sequestro di persona e di abuso dei mezzi di correzione.

Il monsignore, che l’arcivescovo di Lecce ha spedito in Moldavia, all’epoca dei fatti contestati dalla Corte dei Conti, ovvero nel biennio 1999-2000, era direttore del centro di prima accoglienza per immigrati "Regina Pacis" con sede a Modugno in provincia di Lecce. Ebbene, a detta del procuratore regionale pugliese che ha portato il monsignore davanti alla Corte dei conti, ci sarebbero "irregolarità" nella modalità con la quale Lodeserto avrebbe provveduto "a rendicontare il numero dei cittadini extracomunitari, elemento che, in base al rapporto convenzionale in essere, determinava l’ammontare complessivo dei compensi spettanti al centro".

Già, perché il Cpt "Regina Pacis" incassava rimborsi dal ministero dell’Interno, che all’epoca dei fatti era guidato da Giorgio Napolitano prima e da Rosa Russo Jervolino poi, in base a precise convenzioni rinnovate di volta in volta.

In pratica, dal raffronto dei dati numerici è emerso che nel 1999 la differenza tra il totale delle presenze fornito dall’uffi-cio immigrazione della questura e quello presentato dal direttore del "Regina Pacis" era di 9.390, mentre nel 2000 era di 6.294 per somme "indebitamente percepite da Lodeserto" pari a un totale di circa 517 milioni di lire ovvero 267.303,60 euro. In pratica, sentenzia la Corte dei conti che "per entrambi gli anni 1999 e 2000 il numero di immigrati assistiti dichiarato nei prospetti mensili predisposti al centro di accoglienza è risultato superiore al numero di presenze riportate sui prospetti predisposti dalla questura competente".

Nulla ha potuto, invece, la Corte dei conti in merito all’altra contestazione avanzata nei confronti del monsignore: ovvero il trasferimento di parte dei rimborsi dal conto corrente della curia arcivescovile a conti risalenti allo stesso monsignore, "trattandosi oramai di denaro di proprietà del soggetto privato che non risulta sottoposto a vincolo di destinazione una volta che è transitato dall’amministrazione (il ministero dell’Interno, ndr) ed è entrato nella disponibilità dell’ente.

Ovvero, essendo la onlus un ente privato, "ciò che importa all’amministrazione pubblica, in sostanza, è l’espletamento delle prestazioni pattuite". Quindi la richiesta del procuratore della sezione regionale della corte dei conti non può essere accolta. Così come del resto non è stata accolta la prescrizione alla quale si era appellato il monsignore perché i fatti contestati sono emersi a seguito di ulteriori indagini e controlli.

Droghe: "Black Tar"; a Torino in 3 mesi 15 morti per overdose 

 

La Repubblica, 15 luglio 2009

 

È caccia aperta al "piccolo chimico" che sta seminando panico e morte tra i tossicodipendenti torinesi - quindici i decessi da maggio a oggi - vendendo dosi di eroina in cui è presente un’alta concentrazione di 6-mam, ovvero 6-monoacetilmorfina, una molecola che attraversa la barriera ematoencefalica con la stessa velocità dell’eroina, ma è istantaneamente attiva sui ricettori e ha un effetto più rapido sui meccanismi di innesco dell’overdose.

Quella che viene venduta come normale eroina, dunque, potrebbe essere in realtà la cosiddetta Black Tar, catrame nero, prodotta soprattutto in Messico e diffusa nella West Coast americana, una sostanza di colore più scuro dell’eroina ma dagli effetti simili. Quella che sta uccidendo a Torino, tuttavia, pare non provenga dall’America centrale, ma sia prodotta qui, probabilmente in qualche scantinato.

Ora quindici decessi in tre mesi, tra cui una donna, hanno fatto scattare l’allarme, visto che si tratta di un dato triplo rispetto alla media. Il sostituto procuratore Andrea Padalino ha aperto un’inchiesta e coordina le indagini dei carabinieri del comando provinciale. L’ultimo decesso è del 9 luglio: si tratta di un uomo morto al Giovanni Bosco dopo tre giorni di agonia e non ancora identificato. Ma le indagini si concentrano soprattutto su un uomo sopravvissuto all’overdose: aveva acquistato la droga con un amico che se l’è iniettata in vena ed è morto, mentre lui, che l’aveva fumata, è vivo.

All’inizio si era fatto strada il sospetto che a causare le prime overdosi fosse una partita di droga mal tagliata. Ma il susseguirsi delle morti fa pensare piuttosto che si tratti di qualcuno che lavori l’eroina in un laboratorio artigianale, visto che la molecola sotto accusa è il prodotto di un livello intermedio della raffinazione. Anzi, probabilmente di spacciatori-killer ce n’è più d’uno, visto che sempre più spesso nei sequestri di ovuli effettuati dalle forze dell’ordine si riscontra un’alta presenza di 6-mam, fino al 50 per cento. Ora l’inchiesta della procura dovrà accertare se vi sia un filo rosso che unisce queste morti e le leghi alla Black Tar. O se invece la ragione dell’overdose non sia nella maggior purezza: nei campioni sequestrati, infatti, sono state trovate concentrazioni di principio attivo dal 3 al 30 per cento, contro una media del 10-12.

 

L’unico rimedio sono le narcosale

 

"Se c’è un grosso problema in questa vicenda è che i Sert vengono avvisati oggi di un evento che è in osservazione da maggio", attacca Paolo Jarre, coordinatore del Gruppo regionale di riduzione del danno.

Voi non sapevate nulla di questo picco di overdosi?

"È possibile che qualche paziente avesse accennato a un amico morto o a un altro in overdose, ma nessuno aveva un quadro completo della situazione. Ci sono stati addirittura tre morti in due giorni: sarebbe stato opportuno che al quarto, quinto decesso in un periodo circoscritto partisse un’informativa".

Dal punto di vista medico, quali sono gli effetti della 6-monoacetilmorfina?

"Nella letteratura scientifica non ci sono pubblicazioni che mettano in relazione questa molecola con un maggiore tasso di mortalità. Potremmo essere di fronte a un fenomeno nuovo".

Oppure?

"Oppure a provocare la morte per overdose non è la 6-mam, ma una maggiore purezza dell’eroina in circolazione. Questa non sarebbe una novità, è più o meno quello che accade tutte le estati, quando il personale dei Sert diminuisce per le ferie e anche i pusher si spostano verso altre località. Vengono rimpiazzati da nuovi spacciatori, che immettono sul mercato droga diversa, magari raffinata in maniera dilettantesca".

Dunque potrebbe essere solo un’anticipazione di quello che di solito accade ad agosto, quando c’è un aumento delle overdosi?

"Potrebbe, ma soprattutto questa è la conseguenza del fatto che il consumo di droga per strada è troppo poco governato. I dati mostrano infatti che nelle zone della città dove ci sono servizi di strada e unità di bassa soglia le overdosi mortali sono più rare. E meglio ancora se ci fosse un luogo protetto per il consumo".

Che vantaggio può dare una narcosala se il tossicodipendente acquista droga mal tagliata o troppo pura?

"Salva la vita. L’overdose non uccide in pochi secondi: se si hanno a portata di mano gli strumenti per intervenire si hanno altissime probabilità di sopravvivenza. Lo si è visto a Sydney, dove le statistiche dimostrano che su decine di migliaia di dosi consumate, ci sono state diverse overdosi ma nessuna mortale".

L’aumento delle overdosi è anche il segnale dell’aumento dei consumatori?

"Sicuramente. Negli ultimi anni avevamo assistito a una diminuzione del fenomeno, mentre adesso chi fa uso di eroina sta di nuovo aumentando, anche se non ai livelli degli anni 90. E soprattutto sta aumentando tra gli adolescenti il consumo di eroina fumata, che è diventata droga di passaggio, come una volta era la cannabis, per arrivare per esempio alla cocaina".

Droghe: due ex carabinieri condannati per il traffico di cocaina

 

Ansa, 15 luglio 2009

 

Un ex maresciallo dei carabinieri è stato condannato a 5 anni e 6 mesi di reclusione, per fatti commessi quando era in servizio a Cesano Boscone (Milano), dalla decima sezione penale del Tribunale di Milano, in un processo che vedeva imputati altri due ex militari, uno condannato a 2 anni e 6 mesi e l’altro assolto.

Come coimputati figuravano anche tre stranieri, un albanese, un marocchino e un colombiano, che, secondo l’accusa, avrebbero fornito cocaina in particolare a un ex militare. Uno dei tre presunti spacciatori è stato assolto, mentre gli altri sono stati condannati a 5 anni e 6 mesi e a 6 anni di reclusione. In particolare, poi, l’ex maresciallo della stazione di Cesano Boscone (Milano), Antonio Cazzato, è stato condannato a 5 anni e mezzo, accusato di non aver impedito la cessione degli stupefacenti e le condotte omissive durante i controlli. A 2 anni e mezzo invece è stato condannato Giuseppe Iuculano, ex carabiniere del radiomobile di Corsico, accusato di aver ricevuto la droga. Assolto un loro collega, che doveva rispondere di un falso verbale.

Il processo che si è concluso ieri è un filone di un’inchiesta più ampia del pm Alessandra Dolci. Davanti alla decima sezione sono ancora a processo cinque carabinieri, accusati a vario titolo di calunnia, falso in atto pubblico, concussione e altri reati.

 

 

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