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Giustizia: Berlusconi; la riforma si farà, con il Pd o senza Pd
Corriere della Sera, 12 gennaio 2009
Silvio Berlusconi ha una certezza: "Sono sicuro che stavolta faremo la riforma della giustizia, con la sinistra se possibile, con la maggioranza se la sinistra non vorrà partecipare. Il piano di riforma lo abbiamo chiaro". Il capo del governo parla in collegamento telefonico con una manifestazione del Pdl che si tiene a Roccaraso. Alla certezza aggiunge un corollario: "Non so se il dibattito di questi giorni, che si legge sui giornali, produrrà dei frutti". La convergenza politica sui punti rimarcati dal presidente della Camera, in una lettera al "Corriere", due giorni fa, non sembra appassionarlo, nonostante Lanfranco Tenaglia, ministro ombra del Pd, definisca quelli suoi degli interventi che hanno il sapore di "diktat e ultimatum" e quello di Fini invece "la base più utile per arrivare ad una riforma davvero condivisa". Sulle intercettazioni il Cavaliere nega di aver fatto marcia indietro. È "clamorosa" secondo il Pd, per lui è inesistente: "Non mi è mai venuto in mente di vietare le intercettazioni per reati come la corruzione. Io non ho mai escluso la corruzione ma tutti gli altri reati contro la pubblica amministrazione". Lo conforta la presunta consapevolezza degli italiani, che "hanno capito che non c’è alternativa al nostro governo, che con la sinistra avrebbero corso un grave rischio". Lo accompagna una speranza, che "questa sinistra possa diventare veramente socialdemocratica, noi saremmo i primi contenti". Anna Finocchiaro del Pd ironizza sulla propensione del capo del governo a "dirsi sempre d’accordo con tutti i suoi alleati solo per nascondere le divisioni". Il premier - nel corso della telefonata a Roccaraso - assicura invece che nell’esecutivo "c’è un’atmosfera molto, molto amichevole". Il suo consenso personale lo misura al 72,3%. La classe dirigente che si sta formando attorno al nuovo Pdl è "giovane, preparata e soprattutto moralmente irreprensibile". Gli alleati leghisti, che qualche problema gli stanno creando, vanno in qualche modo capiti, perché rappresentano "una fascia di popolazione molto attenta al consenso elettorale. Molte delle posizioni che assumono sono dovute alla necessità di mantenere il consenso, ma tutte le volte che si passa alla decisione concreta emerge il grande buon senso di Umberto Bossi. Basta una telefonata. Domani siamo di nuovo a cena insieme, abbiamo ripristinato l’abitudine delle nostre cene come nella precedente esperienza di governo. Con questo approccio ai problemi abbiamo sempre risolto tutto e risolveremo tutto. Calderoli, Maroni e gli altri, quando si tratta di decidere sanno mettere in campo sempre un grande buon senso". Giustizia: Alfano; il 2009 anno di inaugurazione della riforma
Adnkronos, 12 gennaio 2009
Con il Presidente della Camera Gianfranco Fini "non c’è nessuna divergenza" anzi "Fini condivide il testo del governo sulle intercettazioni, la separazione delle carriere, il correttivo all’obbligatorietà dell’azione penale, il biasimo al correntismo. La sua mi sembra davvero un’ottima linea". Lo afferma il ministro della Giustizia Angelino Alfano che, intervistato da La Repubblica, sottolinea di aver apprezzato gli interventi sulla giustizia giunti nei giorni scorsi dalle cariche istituzionali mentre la lettera di Fini di ieri pubblicata dal Corriere della sera "per quanto mi riguarda è utilissima". Alfano nega che vi siano divergenza tra la posizione del presidente della Camera e quella del governo sul ddl Giustizia: "La corruzione e gli altri reati contro la Pubblica amministrazione sono inclusi nel ddl licenziato dal Consiglio dei ministri che era presieduto da Berlusconi" e il testo contiene limiti "per evitare che le intercettazioni diventino il grande fratello o meglio l’orecchio di Dioniso. Dunque, è agli atti che c’è una convergenza tra il governo e la posizione di Fini". Il Guardasigilli annuncia inoltre che "ci accingiamo a porre mano a un robusto intervento sul processo penale (andrà in Cdm il 23), ad affrontare il nodo carceri con risolutezza e poi a febbraio sarà la volta della riforma costituzionale. Ci accingiamo a compiere un intervento organico in materia di giustizia che tocca tutti i settori. Il 2009 sarà l’anno della riforma non più in cantiere, ma con l’inaugurazione". Giustizia: Alfano; sì alle intercettazioni per i reati di corruzione
Agi, 12 gennaio 2009
"I reati contro la pubblica amministrazione continueranno a essere tra quelli intercettabili". Il ministro della Giustizia Angelino Alfano, in un’intervista a Repubblica, conferma che il testo del governo sulle intercettazioni resterà quello uscito dal Consiglio dei ministri e nega, dopo la lettera di Gianfranco Fini pubblicata ieri dal Corriere della Sera, divergenze tra le posizioni del presidente della Camera e quelle del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi: "La corruzione e gli altri reati contro la pubblica amministrazione sono inclusi nel ddl licenziato dal Consiglio dei ministri che era presieduto da Berlusconi - ricorda -. E proprio quel testo include i reati di corruzione e concussione, affermando al contempo un effettivo diritto alla privacy e dei limiti per evitare che le intercettazioni, piuttosto che essere un mezzo d’indagine, diventino un grande fratello o meglio l’orecchio di Dionisio. Dunque - sottolinea Alfano - è agli atti che c’è una convergenza tra il governo e la posizione di Fini". Quanto a Berlusconi, che ha sempre detto che le intercettazioni "andrebbero limitate ai reati più gravi", Alfano assicura: "La conclusione del suo ragionamento è stato il nostro ddl che recupererà in aula un po’ del tempo impiegato in commissione". Il Guardasigilli non esclude la possibilità di riforme condivise con l’opposizione, ma parla chiaro: "Condivisione se possibile, decisione della maggioranza se necessitata da un atteggiamento di chiusura dell’opposizione". Tornando alla giustizia, Alfano illustra i prossimi passi: da un "robusto intervento sul processo penale" al nodo carceri fino all’intervento organico che tocca tutti i settori che prevede la separazione delle carriere dei magistrati che, garantisce Alfano, non porterà a nessun indebolimento dei pm, "semmai a un rafforzamento del contrasto alla criminalità organizzata". Giustizia: a proposito di composizione (e di correnti) del Csm di Virginio Rognoni (ex vicepresidente del Csm)
Corriere della Sera, 12 gennaio 2009
Caro Direttore, spero che la proposta di una diversa composizione del Csm (un terzo dei suoi consiglieri compostò da magistrati eletti, un terzo da "laici" nominati dal Parlamento, un terzo designato dal Presidente della Repubblica) non sia avanzata per "punire" la magistratura ("meno togati al Csm", si dice e, qualche volta, si grida) ma sia fatta, piuttosto, per rompere il meccanismo perverso delle "correnti", quel puntiglioso correntismo che, presente nella Associazione Nazionale dei Magistrati, bacino prevalente dell’elettorato attivo, si riproduce inevitabilmente nell’organo eletto, cioè il Consiglio. È questo certamente un obiettivo importante, che deve essere perseguito in tutti i modi, il sistema delle logiche correntizie reca danno al Csm. La nomina di un magistrato presidente di Tribunale o di Corte d’Appello che prevalga su altri, forse o senz’altro più meritevoli, solo perché appartenente alla corrente più forte non è accettabile; fa perdere credibilità e autorevolezza al sistema giudiziario, rischia di mettere in discussione il principio sacrosanto dell’autogoverno della magistratura, provoca lentezze nelle procedure di nomina, appesantite da mediazioni interminabili. "Alla larga da questa deriva", mi è capitato di dire molte volte come monito ai colleghi del Csm; e lo ripeto anche oggi, non certo come monito, non avendo alcun titolo per farlo, ma come riflessione di esperienza, mi auguro, non inutile al dibattito in corso. Le varie voci che si sono levate in questi giorni, anche all’interno della stessa magistratura, sono tutte d’accordo nell’auspicio che si volti pagina, che le varie differenti correnti di pensiero, che legittimamente si manifestano nel dibattito culturale tra magistrati e nella loro Associazione, non diventino centri di potere in Consiglio, veicoli di puntigliosa protezione dei propri affiliati e delle loro carriere. Si tratta di un grosso inconveniente che - dobbiamo pur dirlo - è solo mitigato, qui e ora, dal grado non mediocre della preparazione e dell’attrezzatura tecnica della generalità dei magistrati (ma coloro che sono fuori dall’associazionismo militante, "senza angeli in paradiso", corrono sempre il rischio di essere ingiustamente dimenticati). Per porvi rimedio ecco che viene avanzata la proposta, sopra richiamata, di una composizione del Csm diversa rispetto all’attuale: una drastica riduzione del numero dei consiglieri togati, eletti dal corpo della magistratura e, però, togati che vanno al Consiglio a seguito di un’aspra campagna elettorale che, in altra forma, finisce per continuare proprio nelle aule del Consiglio. È possibile che questa proposta (mi limito a considerarne soltanto un aspetto), in relazione alla finalità che vuole raggiungere, possa avere qualche efficacia; ma ne dubito. Già oggi nessuna corrente, anche la più forte, può imporre all’altra o alle altre ad essa contrapposte, qualsiasi nomina a un ufficio giudiziario senza avere il voto aggiuntivo quanto meno di una parte della componente laica. "Oggi i Consiglieri designati dal Parlamento vengono spesso cercati come alleati da questa o quella corrente contro altri togati"; così Barbera, e ha ragione. È vero, infatti, che c’è questa richiesta o interessata offerta di soccorso, ma quando esse sono costanti e costante è il soccorso allora viene fuori una sorta di collateralismo di tipo ideologico della componente laica, meglio di una parte di essa, a sua volta contro l’altra. E così il sistema nefasto delle logiche correntizie non è affatto rimosso, anzi vi è coinvolta anche la parte laica, qualunque sia la sua consistenza numerica. Essa, anziché sottrarsi, sta al gioco, per una sorta di pregiudiziale consenso che è, poi, una pregiudiziale di tipo "politico". Insomma, io non sono convinto che le logiche correntizie possano sparire, come per incanto, a seguito di misure tecniche capaci di impedirle. Barbera e altri ritengono che un nuovo sistema elettorale del Csm, basato su collegi uninominali e introdotto con legge ordinaria, riesca a scardinare il potere delle correnti magistratuali. Me lo auguro, ma non ne sono persuaso. Del resto, qual è lo scenario opposto a quello segnato dal gioco delle correnti con riferimento alle nomine nei vari uffici giudiziari? È lo scenario del "buon governo", del "buon governo" della magistratura, dove non esistono gruppi e i consiglieri, ma i singoli, concorrono alle nomine con assoluta libertà di giudizio, dopo attenta valutazione del merito e dell’idoneità di ogni concorrente, in relazione all’ufficio che si deve coprire. È questo un obiettivo impossibile da raggiungere? È certo un obiettivo che non si raggiunge con il bagaglio tecnico del legislatore, che non può rendere virtuosi comportamenti che non lo sono. Può essere raggiunto solo percorrendo fino in fondo - togati e laici - la via del recupero di moralità civile, di onestà e coscienza professionale, di libertà da interessi di parte e da condizionamenti servili, di forte sentimento del bene comune. Un percorso difficile ma non impossibile, soprattutto oggi, quando, avvertendo tutti il pericolo di toccare il fondo, a tutti vien fatto di pensare per davvero di risalire la china. Sono, queste, riflessioni fuori dal coro? Può darsi; rimane la considerazione, "tecnica", che forse è inutile "scomodare" un processo di legislazione costituzionale (diversa composizione del Csm) che potrebbe non portare al risultato che si vuole raggiungere. Giustizia: al Vaticano manca una legge contro i reati di droga
Ansa, 12 gennaio 2009
Al Vaticano servirebbe una legge contro i reati di droga. Lo ha detto il Promotore di Giustizia Nicola Picardi, all’inaugurazione dell’anno giudiziario vaticano, ricordando i problemi posti alla giustizia vaticana dal recente caso di un dipendente vaticano accusato di detenzione e spaccio. Non essendoci una legge in materia, in mancanza di meglio, per punire il colpevole, alla fine, si è fatto ricorso a una vecchia legge che prevede che "qualora le norme penali del Regno d’Italia richiamate in via suppletiva risultino per qualsiasi motivo inapplicabili e manchi qualunque altra disposizione penale speciale, il giudice, salvi sempre i provvedimenti e le pene spirituali di diritto canonico, può applicare al colpevole la pena dell’ammenda fino a lire 9.000 a quelle dell’arresto sino a sei mesi". Benché anacronistica questa norma è stata comunque applicata, ha spiegato Picardi, per evitare che "una carenza legislativa potesse trasformare lo Stato della Città del Vaticano in una zona franca per detentori e spacciatori di droghe". Ma a suo avviso "la sanzione è inadeguata alla gravità del reato e non in linea con la legislazione degli altri Stati. A giudizio di questo ufficio - ha concluso Picardi - occorrerebbe, quindi, provvedere a emanare una legge speciale in materia". Giustizia: Ld; il Commissario per le carceri? è solo un palliativo
Adnkronos, 12 gennaio 2009
"La proposta di istituire un Commissario speciale per le carceri rischia di essere un palliativo. Il sovraffollamento degli istituti di pena è un fatto strutturale del nostro sistema e non semplicemente un problema amministrativo. In questa situazione un commissario, anche con i poteri speciali, non potrebbe che alzare bandiera bianca". È quanto afferma Daniela Melchiorre, presidente dei Liberal Democratici e componente la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati. "Ebbi modo da sottosegretario alla Giustizia - prosegue Melchiorre - di contestare l’utilità dell’indulto al fine di alleggerire la pressione del sovraffollamento carcerario. Ricordo che, avendo dato al Senato i dati reali dell’indulto, mi vennero sospese per 15 giorni le deleghe da parte dell’allora Ministro Mastella. Faccio notare - continua - che oggi tutti evidenziano ciò che ebbi modo di dire in assoluta solitudine allora: che il sovraffollamento si risolve solo con un piano straordinario di edilizia carceraria e con l’utilizzo più sistematico e strutturale delle pene alternative al carcere almeno per i reati meno gravi". "Non c’è altra soluzione, bisogna affiancare alla certezza della pena carceri più capienti e a misura di persona e al tempo stesso organizzare le forme di detenzione alternativa. Per questo - conclude Melchiorre - occorre calendarizzare al più presto la riforma del codice penale che da questo punto di vista propone alcune importanti soluzioni. Lasciamo stare i commissari e mettiamoci a lavorare seriamente per risolvere un annoso problema che si sta trascinando da anni". Giustizia: un suicidio in silenzio nel carcere-modello di Spoleto di Daniela Domenici
Italia Notizie, 12 gennaio 2009
Un altro detenuto non ce l’ha fatta e si è suicidato nella sua cella nel carcere modello di Spoleto, era giovane, sconosciuto e pure extracomunitario. Quindi non interessa a nessuno, non c’è bisogno di parlarne, non fa notizia. Un detenuto in meno da mantenere a spese dello stato (e quindi anche a spese nostre, vero?), in quegli hotel a 5 stelle che sono le carceri italiane. Abbiamo avuto l’occasione di conoscere e parlare con l’on. Fleres, il Garante per i Diritti del Detenuto, che ci ha fornito una visione d’insieme della situazione delle carceri siciliane, quelle che lui conosce perfettamente e che visita quotidianamente. Un esempio tra tutti: nel carcere di Catania ci sono anche 12 persone in una sola cella che dormono per terra in mezzo ai topi: questa è rieducazione, questo è far diventare il detenuto un uomo migliore per quando avrà finito di scontare la sua pena! Siccome in Italia non esiste la pena di morte (che molti vorrebbero di nuovo) ci pensano i detenuti stessi a "sparire" da soli togliendo il disturbo: suicidandosi uno a uno, lentamente. Giustizia: talenti gastronomici scoperti tra le mura del carcere
Adnkronos, 12 gennaio 2009
Chef non si nasce, ma si diventa. E il percorso per apprendere i segreti della buona cucina può essere intrapreso anche tra le mura di un carcere. Spopolano i corsi di cucina dietro le sbarre, e i detenuti si scoprono improvvisamente chef raffinati, esperti pizzaioli, esemplari pasticceri e maestri di gastronomia. Molte le testimonianze dei nuovi talenti culinari nati in cella, dove un hobby può diventare professionalità da spendere una volta tornati in libertà. E c’è anche chi, dietro le sbarre, non perde la voglia di mettersi in gioco e gareggiare per la miglior ricetta; è il caso della sezione Itis carceraria di Larino, che lo scorso mese, presso l’Auditorium della Provincia di Caserta è stata premiata nell’ambito del Concorso Nazionale "Cib… Arti" per lavori creativi sul tema dell’alimentazione promosso dal Ministero della Pubblica Istruzione. Un concorso che prevedeva quattro diverse sezioni, dal miglior spot al disegno, dall’inno al video di comunicazione sul diritto all’alimentazione. La sezione carceraria ha ricevuto il Primo premio per la sezione video Intervista… al piatto, realizzando il miglior piatto povero, con il miglior risultato organolettico, valore nutritivo, il minor numero di ingredienti e il minor costo per la realizzazione. Tra i talenti nati tra le mura del carcere, l’esempio modello è quello dei detenuti del carcere di Padova, che negli ultimi anni nel loro laboratorio di pasticceria, hanno creato capolavori di dolcezza, tra i quali l’ormai noto panettone artigianale. Un dolce sempre più gettonato, che durante le scorse festività natalizie ha toccato quota 30mila contro i 13.500 dello scorso anno, e ne è stato lanciato sul mercato uno da cinque chili in tiratura limitata raffigurante una cappelliera giottesca. Grazie alla cooperativa sociale "Giotto", nel laboratorio del "Due Palazzi", dove lavorano detenuti di diverse nazionalità, il panettone è diventata una vera arte. Muovono invece i primi passi per apprendere i segreti di uno dei piatti preferiti italiani, i giovani detenuti dell’Istituto Penale per i Minorenni "Silvio Paternostro" di Catanzaro, dove il mese scorso si è concluso il corso per pizzaiolo, finanziato dalla Camera di Commercio di Catanzaro e gestito dalla Cicas. La formazione dei ragazzi dell’Ipm è stata affidata al maestro pizzaiolo Salvatore Megna, punto di riferimento, anche sul piano umano, per i giovani detenuti. Attraverso tale iniziativa, il Presidente della Camera di Commercio di Catanzaro, Paolo Abramo, e il Direttore dell’Istituto, Francesco Pellegrino, hanno puntato proprio a potenziare la qualificazione professionale degli ospiti del Paternostro, propedeutica per il loro successivo reinserimento socio-lavorativo. L’arte di elaborare ricette in carcere, dalle più elementari alle più sfiziose, può diventare anche opera letteraria dove, tra una portata e l’altra, si assapora parte della quotidianità dei reclusi. È il caso di un libro, uscito nel 2005, dal titolo Avanzi di galera, le ricette della cucina in carcere, ambientato a San Vittore, dove non c’è una mensa comune. Ma si mangia chiusi in cella, alle 11,30 si pranza e alle 17,30 si cena. L’attrezzatura addestra i detenuti alla sopravvivenza, con i fornelli che emanano profumi a pochi centimetri dal bagno. Niente coltelli e niente alcolici. Insomma, ci si arrangia, creando qualche piatto semplice raccontato nel libro. Come il caso delle polpette di pane alla umile, fatte di ingredienti poveri, dal pane alle patate, dalla cipolla al pomodoro; un piatto che descrive appunto l’arte di arrangiarsi, cercando di non sprecare nulla di quello che passa il convento. E c’è anche chi porta la sua esperienza e il suo talento, sulle tavole e sui banchetti imbanditi per conferenze ed eventi di festa. Come i detenuti del carcere napoletano di Secondigliano, avviati all’attività di catering. I detenuti napoletani per sette mesi hanno seguito lezioni, imparato trucchi del mestiere, e oggi sono pronti a mettere in piedi un vero e proprio servizio catering, sia per la realizzazione dei pasti all’interno del penitenziario, che per imbandire le tavole del mondo esterno. Commis di cucina, ovvero addetto alla preparazione dei pasti, è la qualifica professionale che ricevono i cuochi made in carcere, che ora possono avere una possibilità di riscatto sociale. Il corso è stato realizzato dalla Scuola di formazione del consorzio di cooperativa sociale Gesco, e ha visto come maestro Mauro Improta, chef di Antonella Clerici nella trasmissione Rai "La prova del cuoco". Esiste poi "l’Abc la sapienza in tavola", il servizio catering offerto dalla omonima cooperativa sociale costituita dai detenuti del carcere milanese di Bollate. Un’attività ormai decollata, dove il livello dei prodotti e del servizio sono considerati eccellenti, e a prezzi competitivi. Molto gettonati i buffet di pasticceria da asporto, ottime le torte e i mignon, come pure i piatti freddi e le pizze. I cuochi del carcere milanese si avvalgono della collaborazione di alcuni soci esterni: dalla sua nascita, "Abc la sapienza in tavola" ha preparato centinaia di buffet per privati, istituzioni, e anche per la Polizia Penitenziaria e il Tribunale di Milano. Sicilia: l'assistenza sanitaria per detenuti assicurata per 6 mesi di Giovanni Ciancimino
La Sicilia, 12 gennaio 2009
Scongiurata la sospensione dell’assistenza sanitaria ai detenuti nelle carceri siciliane. Almeno per ora. Il ministero della Giustizia ha trasferito all’amministrazione penitenziaria della Sicilia la somma di 6 milioni di euro per far fronte alle spese di assistenza da affrontare nelle more del passaggio delle competenze dalla stessa amministrazione penitenziaria alla Regione. Ma si tratta della copertura di sei mesi, posto che il budget complessivo per l’assistenza sanitaria penitenziaria in Sicilia si aggira sui 12-13 milioni di euro annui. Evidentemente si ritiene che entro i primi sei mesi dell’anno possa definirsi il passaggio di competenze alla nostra Regione che, in base allo Statuto speciale, ha ben altre esigenze rispetto a quelle ordinarie. Intanto, l’assessore alla Sanità, Massimo Russo, su sollecitazioni del Garante dei diritti dei detenuti, Salvo Fleres, ha disposto la ricostituzione di una commissione di studio che dovrà elaborare un piano di passaggio in grado di assicurare e migliorare l’assistenza sanitaria in carcere che, comunque, passerà tra le competenze della Regione. Anche sul piano del lavoro dei detenuti qualcosa si sta sbloccando. Ieri è andato in pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della Regione siciliana il bando per i finanziamenti che i reclusi possono richiedere per l’avvio di piccole attività lavorative autonome in carcere, fino ad un importo di 25.000 euro in attrezzature e materie prime. In tal senso, il garante Fleres ha chiesto ai direttori delle carceri e al provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria di dare ampia comunicazione del bando stesso, così da favorire l’inoltro delle istanze da parte dei reclusi. Soddisfazione per i provvedimenti adottati ha espresso il senatore: "Ero certo che le mie ripetute segnalazioni al ministro Alfano e all’assessore Russo avrebbero sortito l’effetto desiderato e scongiurato il pericolo della sospensione delle prestazioni sanitarie in carcere. Non posso però trascurare la necessità che si sblocchi immediatamente il concorso per psicologi penitenziari anche perché, purtroppo, il 2008 ha registrato un preoccupante aumento dei suicidi ed il 2009 si è aperto con alcuni casi assai gravi che ripropongono drammaticamente la situazione non solo in Sicilia, ma in tutto il Paese". Non a caso, alla luce di quanto si verificando nelle carceri, il garante chiede anche l’assunzione di psicologi che hanno già vinto il concorso indetto dal ministero della Giustizia e di cui sembra che in via Arenula si parli sempre meno. Forse per continuare a dare spazio ai consulenti esterni. Da sottolineare che la citata commissione assessoriale ha carattere amministrativo, mentre il passaggio delle competenze dallo Stato alla Regione comporta approfondite verifiche in materia finanziaria, che potranno essere definite dalla Commissione paritetica Stato-Regione. La Regione chiede precise garanzie corrispondenti agli oneri finanziari che verranno a gravare sul suo bilancio. L’intervento della Paritetica è stata invocata dall’assessore alla Sanità Russo. Ma quando se ne occuperà se fino a questo momento non è stata nominata? Come è noto, ne fanno parte due componenti nominati dal governo centrale e due da quello regionale e decadono con la fine della legislatura nazionale e regionale per le rispettive competenze. Forlì: Cisl; detenuto sfonda porta della cella, carcere è insicuro
Comunicato stampa, 12 gennaio 2009
Egr. Dott. di Somma, Lo scrivente Coordinamento Nazionale Cisl Fp Penitenziario desidera porre al Sua attenzione la gravissima situazione nella quale versa il personale operante presso la C.C. di Forlì. In questa struttura penitenziaria l’assenza di sicurezza e di incolumità del personale appare in tutta la sua gravità e chiarezza dalla denuncia che segue. L’episodio del 27 dicembre dove un detenuto ha abbattuto la porta della propria cella attraverso l’uso della porta di lamiera del bagno usata come testa d’ariete, mostra in tutta la sua pienezza il costante pericolo nel quale opera quotidianamente il personale in servizio presso questa struttura penitenziaria. L’azione di sfondamento è stata possibile in quanto la struttura, nata ad origine come struttura per detenuti minorenni, presenta oramai caratteristiche strutturali obsolete e inadeguate. Basti pesare che i blindati e i cancelli sono ancora quelli di legno. Il concetto di sicurezza appare quanto mai lontano da quel minimo di standard che dovrebbe essere invece assolutamente garantito per il benessere, la protezione e la tutela del personale. L’episodio non è isolato ma fa il paio a quello già avvenuto nei mesi passati e che quindi a questo punto pone dei seri problemi in ordine alla responsabilità. A chi appunto debba essere attribuita questa responsabilità. Lo sconforto di chi presta il servizio in questa realtà si racchiude tutto nella stessa domanda posta dai ns. colleghi: "cosa dobbiamo attendere ancora? Forse il prossimo episodio di violenza? Un sequestro? Un’evasione?". Uno smarrimento psicologico del personale che mostra forse proprio qui il limite e la distanza di alcuni dirigenti dell’amministrazione penitenziaria. La mancanza di una netta risposta alla drammatica denuncia indicata, creerà i presupposti per aumentare ancor più il distacco tra il benessere del personale e l’amministrazione penitenziaria. Stante quanto sopra la Cisl Fp Penitenziario chiedendo un Suo intervento urgente e risolutorio non può quindi che concludere aderendo completamente alla richiesta fatta dai nostri colleghi ovvero quello di richiedere la chiusura immediata della sezione ed interventi urgentissimi per l’ordine e la sicurezza dell’istituto. In attesa di un favorevole riscontro si porgono distinti saluti. Nuoro: l’Associazione "Icaro" raccoglie i vestiti per i detenuti
La Nuova Sardegna, 12 gennaio 2009
L’Associazione Icaro, da diversi anni, intraprende iniziative varie a sostegno dei detenuti della Casa di Reclusione di Mamone, ubicata in agro di Onani e Bitti. Attualmente l’impegno è rivolto alla raccolta di vestiario, considerato l’inverno particolarmente rigido. Un appello in merito è stato lanciato dal presidente Giuseppina Ruiu. Cosa si chiede? Soprattutto indumenti pesanti e biancheria: giubbotti, maglioni, magliette, biancheria intima, pigiami, lenzuola, coperte e quant’altro di utile "purché sia in buone condizioni". Si può telefonare ai numeri 328.1316177 o 338.8777836: "La raccolta viene attuata in continuazione. Chi è interessato alla donazione ci contatti e noi, previo accordo, andremo a prendere il vestiario offerto". L’appello è rivolto non solo agli abitanti di Bitti ma anche alle comunità dei paesi limitrofi e oltre. "L’ultima volta - afferma Icaro - la risposta è stata positiva. Confidiamo in una risposta altrettanto positiva anche in questo frangente. Ci rivolgiamo ai cittadini di buona volontà, compresi i negozianti che sono stati sempre solleciti e magari dispongono dei fondi di magazzino. Tutto è utile". L’associazione distribuirà il vestiario, ogni martedì, ai diretti interessati che, purtroppo, in questo momento sono tanti e, quindi, è in fase di crescita il fabbisogno. La Casa di Reclusione di Mamone che, dopo l’indulto, si era ridotta a poche decine di ospiti, adesso ospita circa 270 detenuti e il numero tende a lievitare ancora. È bene sottolineare che la stragrande maggioranza lavora in azienda, da agricoltori, ortolani, allevatori, e nei laboratori in condizioni climatiche non certo favorevoli. Basti pensare il paesello centrale è situato a oltre 900 metri di altitudine, poco meno le altre diramazioni. L’atto di solidarietà, in queste condizioni, serve a far capire a chi paga il conto con la giustizia che la società non li ha dimenticati. E rappresenta un messaggio forte per il loro reinserimento nel consenso civile, da uomini liberi. Mantova: convegno "La donna da vittima ad autrice di reato"
www.farmacia.it, 12 gennaio 2009
L’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere organizza, in collaborazione con la Società di Psichiatria Forense, il III Congresso Nazionale dell’Opg di Castiglione delle Stiviere, sul tema "La donna da vittima ad autrice di reato". Il Congresso è sviluppato in diversi moduli che prevedono la patologia di genere, la clinica, la vittimologia, la terapia e l’assistenza infermieristica. Si svolgerà nella Facoltà di Architettura Politecnico di Milano polo di Mantova, presso la Fondazione Università di Mantova, Via Scarsellini 2, dal 22 al 24 gennaio 2009. Il Congresso focalizzerà l’attenzione sulle "donne autrici di reato" che si trovano presso l’Opg di Castiglione e, da queste situazioni "estreme", si vogliono analizzare le diverse cause di disagio psichiatrico, fino alla malattia conclamata ed al reato. In un mondo in continua evoluzione, solo la donna è assoggettata ad un mutamento più radicale della sua identità, con l’inserimento nel mondo del lavoro. In questo nuovo ruolo, aggiuntivo rispetto a quello suo tradizionale, la donna si sente un po’ "costretta" a farlo, sia per una migliore ricerca della propria identità, sia perché "spinta" da una percezione svalutativa del suo sé, a livello sociale, (isolamento, dipendenza economica). La stessa finisce per diventare l’anello più debole della famiglia e della società, per la complessità ed il sovraccarico dei compiti. I dati in letteratura e le statistiche internazionali mostrano come nella donna siano prevalenti alcune patologie psichiche ed in particolare: depressione maggiore, attacchi di panico, disturbi del comportamento alimentare ed ansia. Dalle ricerche presentate dall’Oms emerge che le ipotesi genetiche, ormonali e psico-costituzionali sono scarsamente suffragate da dati e da correlazioni significative. Mentre emergono maggiori dati significativi sui fattori legati alle molteplicità dei ruoli ed agli eventi di vita a cui la donna è assoggettata. La discriminazione di genere, il superlavoro, la violenza domestica e la violenza sessuale sono fattori psico-sociali correlati con la salute psichica della donna. Inoltre la donna risente maggiormente dei mutamenti sociali relativi alle aree industrializzate e ai grandi centri urbani, dove la famiglia diventa mononucleare, con scarsi contatti con altri componenti familiari ed anche del vicinato che, seppure talvolta "invasivi", sono un filtro ed anche una protezione in caso di disagio e difficoltà. Finisce per essere sola in una moltitudine di gente. Questa è la sensazione che si ricava dalle numerose storie delle donne dell’Opg di Castiglione: storie, personalità e contesti tutti diversi, per dinamiche e motivazioni, ma che, alla fine convergono in un fattore comune: "la solitudine". Il contesto sociale, apparentemente attento al disagio, talora diventa settorializzato con scarsa capacità di osmosi e comunicazione e quasi impermeabile ai bisogni della gente. L’Opg di Castiglione delle Stiviere è un Presidio dell’Azienda Ospedaliera "C. Poma" di Mantova in regime convenzionale dal 1939 al 2008 con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) del Ministero della Giustizia. Dal 2009, in virtù del Dpcm del 1 aprile 2008 (passaggio della medicina penitenziaria dal Ministero della Giustizia a quello della Salute), è diventato una struttura della sanità della Regione Lombardia, all’interno della medesima Azienda Ospedaliera di Mantova. Consente di accogliere malati di mente in varie tipologie giuridiche. Mira all’eliminazione della pericolosità sociale dei pazienti autori di reati, non imputabili per vizio parziale o totale di mente, attraverso la cura della malattia mentale che sta alla base del comportamento reato. Gestisce le esecuzioni delle Misure di Sicurezza, su delega del Dap, in una struttura sanitaria "residenziale" a valenza riabilitativa. Permette, nel contempo, di affrontare le complesse problematiche della psichiatria forense, per ambo i sessi, con il controllo esclusivo di personale sanitario, senza agenti di polizia penitenziaria. Fornisce ai pazienti giudiziari parità di cura e trattamento alla pari di quelli civili, anticipando e realizzando i principi del Dpcm del 2008. La struttura è adagiata sulla collina sovrastante la cittadina di Castiglione delle Stiviere ed immersa nel verde. Ospita, unico Opg in Italia, la sezione femminile. Il complesso è moderno, costruito in modo da permettere una funzionale distribuzione degli spazi in relazione ai bisogni dei pazienti. L’Opg di Castiglione rappresenta un "Osservatorio nazionale" per l’esecuzione delle misure di sicurezza dei reati al femminile, ritenuti non imputabili per vizio totale o parziale di mente. Nel caso delle donne il disagio mentale, sicuramente, si associa maggiormente ad una storia evolutiva fatta di sofferenza. In una grande maggioranza dei casi il connubio vittima-carnefice è più stretto di quanto si possa pensare ed è rimasto, come la patologia di genere, un territorio poco esplorato e sviscerato da meritare una particolare attenzione nell’ambito della ricerca scientifica. È un obiettivo del congresso quello di contribuire ad una migliore conoscenza della donna nei suoi molteplici ruoli in famiglia e nella società, e ad una maggiore sensibilizzazione al mondo femminile, forse perché viene esaminato a partire da questi casi estremi. Il Congresso vuole essere, anche, un momento di confronto tra i clinici, di diversi ambiti istituzionali, su questo delicato ed attuale tema della donna, vittima e autrice di reato, esaminato da varie angolazioni, ma soprattutto nella specificità del trattamento sia farmacologico che riabilitativo. Inoltre, la Sezione femminile presso l’Opg di Castiglione impone, per la sua complessità, una preparazione specifica, raggiunta dopo anni di esperienza, una attenta selezione dei suoi operatori ed un aggiornamento continuo (dal 1950 ad oggi). Concluderà il Congresso una tavola rotonda che vuole fare il punto sul nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm del 1 aprile 2008) che sancisce il passaggio della Medicina Penitenziaria dal Ministero della Giustizia al Ministero della Salute e quindi alle Regioni e DSM competenti per territorio. I relatori presenti daranno il loro contributo su quanto è stato fatto nelle rispettive regioni per favorire questo passaggio e tutelare la salute mentale del cittadino del circuito penitenziario, al pari del paziente psichiatrico civile. Cioè lo stato dell’arte dell’applicazione del decreto che è diventato legge il 14 giugno 2008. Per informazioni e contatti: Segreteria Direzione Opg: Tel. 0376.949552-553-554. Libri: "Prima di tutto le regole", per dare aiuto alle prostitute
Redattore Sociale - Dire, 12 gennaio 2009
Il giornalista Rai Nelson Bova pubblica il racconto "Prima di tutto le regole", per sensibilizzare i clienti "ingenui". I diritti d’autore andranno all’associazione bolognese Fiori di strada. È il contributo di Nelson Bova, giornalista Rai e vincitore del Premio Ilaria Alpi nel 2002, alle attività di aiuto alle prostitute dell’associazione bolognese Fiori di strada. "L’obiettivo è sensibilizzare i clienti - spiega il giornalista - che spesso non vogliono sapere e fanno finta di non vedere la realtà che esiste dietro la prostituzione". Il libro di Bova, intitolato "Prima di tutto le regole" e pubblicato da Tespi Editore (www.tespi.it), ha come protagonista proprio un potenziale cliente: "è un uomo un po’ ingenuo, impegnato nel sociale, che vorrebbe andare con una di queste ragazze ma è preso da sensi di colpa - spiega Bova -, pian piano si avvicina al mondo della prostituzione e scopre come stanno effettivamente le cose". Una versione ridotta del racconto era già comparsa nell’antologia "Qui tutto va a puttane", realizzata da Fiori di strada insieme a Gingko Edizioni, ma ora "Prima di tutto le regole" viene pubblicato come era stato originariamente scritto e pensato. Il libro costa 10 euro e si può ordinare sul sito e nelle altre librerie on-line: tutto il ricavato spettante all’autore, ovvero il 10% del prezzo di copertina, andrà a Fiori di strada. "La speranza è che le vendite superino le 250 copie - continua Bova - soglia che l’editore ha fissato per iniziare la distribuzione nelle librerie". "Il racconto - spiega il giornalista - nasce da due anni di esperienza accanto a Fiori di strada e altre associazioni in cui ho raccolto storie e testimonianze". Non è la prima volta che Bova collabora con Fiori di strada. Dal loro sodalizio è nata a fine 2008 la compagna di comunicazione "Si tratta di persone", per cui il giornalista ha ideato tre spot televisivi. In attesa della messa in onda sui canali "Rai per il sociale" e su "Pubblicità progresso", gli spot sono stati inclusi nel dvd "Lavoravo a strada", insieme a un documentario realizzato da Alessandra Marolla. Il dvd e l’antologia di racconti "Qui tutto va a puttane" si possono ordinare sul sito dell’associazione Fiori di strada (www.fioridistrada.it). Immigrazione: sentenza; la malattia grave blocca l’espulsione di Giovanni Parente
Il Sole 24 Ore, 12 gennaio 2009
Il diritto alla salute prima di tutto. Anche quando lo straniero si trova irregolarmente sul territorio italiano. E va quindi annullata l’espulsione se l’extracomunitario affetto da grave patologia potrebbe subire un irreparabile pregiudizio in seguito all’esecuzione del provvedimento. Una linea interpretativa seguita dal Giudice di pace di Bergamo con l’ordinanza del 22 dicembre 2008 n° 256. Al centro della vicenda una cittadina straniera di origine marocchina, che si era sposata con un uomo italiano nel 2002 ed era entrata nel nostro Paese con un visto d’ingresso in qualità di familiare al seguito. In conseguenza dello spostamento all’estero del marito, la donna restava da sola ma, essendo analfabeta, non era in grado di presentare nei termini di legge la domanda per il rinnovo de) permesso di soggiorno. A que1 sto si aggiungeva la malattia: un tumore che dal 2005 la costringeva a sottoporsi a chemioterapia. Il 4 settembre dello scorso anno il Prefetto di Bergamo le notificava il decreto di espulsione, seguito dall’ordine di lasciare il territorio da parte del Questore. La difesa della donna chiedeva l’annullamento di entrambi i provvedimenti sia per la sussistenza delle cause di forza maggiore (che avrebbero determinato l’impossibilità di chiedere il rilascio del permesso), sia per motivi umanitari legati alle condizioni di salute. Il Giudice di pace di Bergamo nell’accogliere la richiesta della ricorrente si rifà a un precedente della Corte costituzionale del 2001. Nella sentenza 252 di quell’anno, la Consulta aveva affermato che il diritto ai trattamenti sanitari necessari è "costituzionalmente condizionato dalle esigenze di bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti". Salvo, comunque, la garanzia di un "nucleo irriducibile del diritto alla salute", che impone di impedire situazioni prive di tutela e tali da pregiudicarne l’attuazione. In quell’occasione, ricorda l’ordinanza del giudice di Bergamo, la Corte costituzionale aveva ritenuto che lo straniero presente, anche irregolarmente, nello Stato avesse diritto a usufruire di tutte quelle prestazioni "indifferibili e urgenti". Si tratta, infatti, di "un diritto fondamentale della persona che deve essere garantito, così come disposto, in linea generale, dall’articolo 2 del decreto legislativo 286/1998". Nel caso specifico, proprio perché la donna è affetta da gravi patologie per le quali necessita di almeno due controlli annuali a tempo indeterminato, il Giudice di pace ha valutato che se fosse stata eseguita l’espulsione ne sarebbe derivato un irreparabile pregiudizio alla salute. Immigrazione: gli stranieri non fanno aumentare la criminalità
Ansa, 12 gennaio 2009
L’arrivo degli immigrati in Italia non ha portato a un aumento della criminalità. È il risultato di uno studio su Immigrazione e crimine pubblicato dalla Banca d’Italia e realizzato da tre ricercatori (Milo Bianchi, Paolo Buonanno e Paolo Pinotti) per analizzare l’eventuale "relazione tra immigrazione e criminalità", un tema "al centro di un intenso dibattito in tutti i paesi interessati da rilevanti flussi migratori". Nell’indagine, affermano quindi i tre studiosi, "impiegando appropriate tecniche econometriche, si mostra come i dati consentano di escludere nettamente l’ipotesi che l’immigrazione contribuisca direttamente all’aumento della criminalità". Il working paper diffuso da Palazzo Koch, spiegano i ricercatori, punta dritto alla questione tanto discussa, ovvero se la presenza degli immigrati "abbia effetti diretti" sull’incidenza di diversi tipi di reato (crimini contro il patrimonio, contro la persona e violazioni della legge sulle droghe). Per questo, l’indagine si basa sui dati del ministero dell’Interno sui permessi di soggiorno, incrociati con quelli del ministero della Giustizia sui crimini denunciati tra il 1990 e il 2003. In questo periodo, "a fronte di una rapida crescita della presenza straniera, non si è registrato nell’intero Paese un aumento sistematico del tasso di criminalità, che invece mostrerebbe una lieve flessione". A livello provinciale, tuttavia, "i territori che hanno attratto un maggior numero di immigrati hanno anche registrato tassi di criminalità più elevati, dovuti in particolare a una maggiore incidenza dei crimini contro il patrimonio (80% dei crimini totali)". Esclusa quindi "nettamente", sulla base di analisi econometriche, l’ipotesi di un collegamento diretto tra immigrati e crescita della criminalità, "l’associazione statistica tra presenza straniera e tasso di criminalità - secondo lo studio - è dovuta a fattori che muovono entrambe le variabili nella stessa direzione". "Un più alto tasso di criminalità e una maggiore presenza di stranieri - concludono i ricercatori - potrebbero entrambi riflettere il più elevato grado di sviluppo di quelle province. Da un lato, gli immigrati vi sarebbero attratti dalle maggiori opportunità d’impiego offerte; dall’altro, costituirebbero un obiettivo preferenziale per compiere crimini contro la proprietà a causa della maggiore ricchezza media, del più elevato grado di urbanizzazione e della maggiore densità di popolazione". Immigrazione: Maroni; sui permessi volevamo fare uno sconto
Ansa, 12 gennaio 2009
"Volevamo fargli lo sconto": così il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha commentato l’emendamento al decreto anti crisi della Lega per istituire una tassa di 50 euro sulla richiesta dei permessi di soggiorno che è stato bocciato ieri dal governo. Intervenendo al congresso provinciale del Carroccio a Varese, Maroni ha infatti letto parola per parola il comma del disegno di legge sulla sicurezza che prevede una tassa di 200 euro sulla richiesta di rilascio del rinnovo del permesso di soggiorno. "Questo è un emendamento che la maggioranza ha scritto, sostenuto e votato nel disegno di legge sulla sicurezza che va in Aula martedì al Senato" ha detto il ministro. "Sono francamente un po’ sorpreso delle polemiche. La Lega ha solo cercato di anticiparlo nel decreto legge e mi aspetto che il Senato confermi una decisione che tutta la maggioranza ha condiviso". "Volevamo fargli lo sconto" ha concluso fra gli applausi. "Hanno bocciato i 50 euro? Torneremo ai 200". Rimanendo in tema immigrazione Maroni ha raccolto nuovi applausi quando ha ribadito: "Il 2009 sarà l’anno della fine degli sbarchi di clandestini a Lampedusa". Dopo le notizie di nuovi sbarchi ha anche confermato che chi arriva a Lampedusa resterà sull’isola e non sarà trasferito in altri centri d’Italia anche se ormai la capienza è stata superata. Il ministro ha spiegato che per la questione del sovraffollamento delle carceri c’è chi ha proposto come soluzione l’indulto, chi la costruzione di nuove carceri ed è questa seconda la filosofia che Maroni intende seguire. "A Lampedusa si realizzano nuove strutture - ha concluso - di spazio ce n’è". Immigrazione: un nuovo Cie a Lampedusa? il sindaco contrario
Corriere della Sera, 12 gennaio 2009
Un Centro di identificazione ed espulsione da allestire a Lampedusa per far fronte agli sbarchi di clandestini. Non si ferma il flusso di arrivi dalla Libia e il ministro dell’Interno sceglie la platea leghista della sua città, Varese, per ribadire che sull’isola siciliana vuole costruire nuove strutture non escludendo la possibilità di creare un carcere. Quanto basta per scatenare la reazione dura del sindaco Bernardino De Rubeis che, di fronte all’emergenza, invoca addirittura l’intervento del Papa. Appena tre giorni fa Roberto Maroni aveva assicurato che "quest’anno a Lampedusa arriveranno soltanto turisti, nessun barcone". Ma il giorno dopo sono approdati quasi 500 stranieri e adesso, pur ripetendo che "gli sbarchi finiranno", il titolare del Viminale annuncia di voler affrontare la situazione con rimpatri immediati e nuove costruzioni. Anche perché le notizie che arrivano dall’altra parte del Mediterraneo sono tutt’altro che confortanti. Nel porto libico di Zwara e sulle spiagge limitrofe sarebbero ammassate migliaia di persone che attendono di mettersi in viaggio verso l’Europa. La maggior parte proviene da quegli Stati africani dove sono in corso guerre civili e spera di ottenere asilo politico. Con il mare calmo è prevedibile che ricomincino a salpare le carrette del mare che fanno rotta verso le nostre coste - prime fra tutte quelle siciliane - ma anche la Calabria e la Sardegna. Una situazione di massima allerta, visto che nel 2008 è stato segnato il record di arrivi con un aumento del 70 per cento rispetto all’anno precedente. Il piano del governo italiano prevede di fermare le partenze pattugliando il tratto di mare antistante la Libia, ma il regime di Gheddafi non appare disposto ad avviare entro breve le operazioni di controllo congiunte, tanto che la scorsa settimana Maroni ha chiesto al premier Silvio Berlusconi di intervenire direttamente sul colonnello. Come sempre avviene, è stata assicurata "massima collaborazione", ma la realtà appare diversa perché non c’è stato neanche il via libera al trasferimento delle motovedette e del personale di polizia che dovrà agire assieme ai colleghi di Tripoli e dunque è prevedibile che non sarà rispettata la data di avvio del 15 gennaio come era stato annunciato. "Chi arriva sull’isola - dichiara Maroni - non sarà trasferito in altri centri. Resterà lì in attesa del rimpatrio". L’annuncio ha provocato tensione nel centro di accoglienza lampedusano, dove domenica sera un gruppo di tunisini ha iniziato uno sciopero della fame. In realtà gli unici clandestini che possono essere rimandati nel Paese d’origine sono quelli provenienti dall’Egitto, con cui l’Italia ha un accordo bilaterale. Non a caso lo stesso Maroni aveva annunciato la scorsa settimana di voler incontrare i suoi colleghi del Maghreb per mettere a punto una strategia di cooperazione. E sul fronte interno attacca: "Per la questione del sovraffollamento delle carceri c’è chi ha proposto come soluzione l’indulto, chi la costruzione di nuove carceri. A Lampedusa si possono realizzare nuove strutture, di spazio ce n’è". Il ministro torna anche ad affrontare la questione dell’emendamento leghista al decreto anticrisi - poi ritirato per volontà del governo - che introduceva una tassa di 50 euro per gli immigrati: "Questo è un emendamento che la maggioranza ha scritto, sostenuto e votato nel disegno di legge sulla sicurezza che va in aula martedì al Senato. Sono un po’ sorpreso per le polemiche. La Lega ha solo cercato di anticiparlo nel decreto legge e mi aspetto che il Senato confermi una decisione che tutta la maggioranza ha condiviso". La platea del congresso provinciale applaude e lui cavalca l’entusiasmo: "Volevamo fargli lo sconto. Hanno bocciato i 50 euro? Torneremo ai 200". Francia: riforma Sarkozy può essere pericolosa per la giustizia di Lionello Mancini
Il Sole 24 Ore, 12 gennaio 2009
"È vero: davanti alla Corte europea di Strasburgo, la Giustizia italiana è maglia nera per la durata dei procedimenti civili. Ma Francia e Regno Unito sono i Paesi con più condanne per la violazione delle garanzie. Meglio tenerlo ben presente prima di infervorarsi per i sistemi giudiziari riformati con uno schiocco di dita". Il Procuratore aggiunto della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati, è prudente sull’annunciata rivoluzione francese in Tribunale targata Sarkozy: via i giudici istruttori, nuove figure di controllo sulle indagini, collegio e contradditorio per le richieste di arresto. L’idea che un Paese civile ed efficiente come la Francia, voglia liberarsi di giudici superpotenti, non controllabili e intoccabili, ha fatto risuonare recentissime polemiche italiane sugli eccessi della magistratura e sulla necessità di porvi rimedio. "Se anche l’annuncio di Sarkozy diventerà legge - aggiunge Bruti Liberati, che ha anche svolto diversi stage presso le Procure francesi - non cambierà comunque nulla per il 95% dei processi "normali", quelli che non passano dal Giudice Istruttore". Quell’approfondimento d’indagine, infatti, è riservata ai fatti più eclatanti, i delitti più gravi, i grandi reati economico-finanziari, quelli di terrorismo. L’idea di abolire il potentissimo juge d’istruction, non è nuova. Già nel 1990 la commissione guidata da Mireille Delmas-Marty e solo l’anno scorso quella presieduta da Andres Vallini (creata per indagare sugli errori giudiziari nel caso di pedofilia Outreau) hanno concluso allo stesso modo: possibile abolire il Giudice Istruttore, ma allora le Procure vanno rese indipendenti dal Governo. "Questo è lo scoglio su cui si è sempre arenata ogni riforma in Francia, perché se l’accusa non può agire ma deve seguire le istruzioni del Governo, il meccanismo rischia di incepparsi. Là, come in Italia" dice ancora Bruti Liberati. Il livello di garanzie italiano è complicato, farraginoso, migliorabile, ma solido. In Francia, per fare qualche esempio, all’arresto in flagranza di reato può seguire l’interrogatorio senza difensore; solo da qualche anno (e dopo clamorosi errori giudiziari) a Parigi esiste la Corte d’Assise d’appello, quindi per i delitti più gravi e le condanne più severe; e il terzo grado, la Cassazione, è difficilissimo accesso. Quanto agli indirizzi del Governo ai Pm, "sono istruzioni scritte, allegate al fascicolo, che prevedono relazioni quotidiane dei capi degli uffici. Insomma, massima trasparenza. Né il Codice prevede "istruzioni negative", cioè di non indagare su qualcosa. Ma se si accetta il sistema dell’indirizzo politico, non c’è bisogno di vietare, basta indicare, circoscrivere". Anche l’ultimo scandalo giudiziario da cui ha mosso Sarkozy - gli arresti di innocenti nel caso Outreau - secondo il Procuratore aggiunto è poco significativo, se non pretestuoso: "Ai giudici istruttori contestano di essere super specializzati e di istruire processi lunghissimi. Nel caso di pedofilia, ci sono stati errori di un giovane juge di provincia, inesperto e non consigliato dai capi". Secondo la riforma, il nuovo Juge de l’instruction sarà una figura più simile al nostro Gip, cioè un giudice che non indaga ma vaglia e valuta il lavoro dell’accusa. Chissà se la vignetta dei giorni scorsi su "Le Monde" - due lapidi: su una inciso "GI" e sull’altra "grandi processi economico finanziari" - esagera la critica alla riforma Sarkozy. Ma su un concetto il Procuratore milanese è netto: "Un riequilibrio accusa-difesa di cui la Francia ha forse bisogno, compreso l’arresto discusso con gli avvocati davanti a un collegio di giudici, non può significare per la difesa una discovery totale degli atti in ogni fase dell’istruttoria. Perché è chiaro che, scoperte le carte, il lavoro dell’accusa finisce lì. Non credo che questo convenga a nessuno". Brasile: Cesare Battisti; la mia vita in pericolo se torno in Italia
La Repubblica, 12 gennaio 2009
L’estradizione in Italia metterebbe "la mia vita in pericolo". Lo ha affermato l’ex terrorista di estrema sinistra, Cesare Battisti, 54 anni, in un’intervista al settimanale Epoca realizzata dalla prigione di Brasilia dove è detenuto. "Sono sicuro che se vado in Italia, sarei assassinato", ha affermato Battisti che è in attesa di una decisione della giustizia brasiliana sulla richiesta di estradizione depositata dall’Italia. Battisti, condannato all’ergastolo nel nostro Paese per quattro omicidi, compiuti quando faceva parte del Proletari armati per il comunismo, dopo aver vissuto per anni in Francia, è fuggito in Brasile, dove è stato arrestato nel 2007 mentre si trovava sulla spiaggia di Copacabana. Nel novembre scorso, il Comitato nazionale per i profughi del Brasile ha respinto la sua domanda per ottenere lo statuto di profugo politico, cosa che ha aperto l’iter per la sua estradizione verso l’Italia. Spetta ora al ministro della Giustizia brasiliano, Tarso Genro, decidere sull’estradizione. "Spero che il ministro Genro, che ha sofferto la repressione politica quando era militante (sotto la dittatura, ndr) non accetterà le argomentazioni del governo italiano che ricorre a tutti i sotterfugi per falsificare il carattere politico del processo contro di me", ha affermato Battisti proclamando ancora una volta la sua innocenza. L’ex componente dei Proletari armati per il comunismo, 54 anni, ha ricordato di soffrire di una grave epatite B, di ulcere gastriche, di problemi di glicemia e di insonnia. Fino ad ora, il Brasile ha sempre respinto le domande di estradizione verso l’Italia per gli ex terroristi italiani, in particolare appartenenti alle Brigate rosse, perché rifugiati politici. Ma nell’aprile scorso, il procuratore generale della repubblica, Antonio Fernando Souza, ha espresso parere favorevole alla domanda di estradizione di Battisti, rifiutando di considerare i suoi crimini come "politici". Iran: pena di morte; lapidati due uomini, accusati di adulterio
Agi, 12 gennaio 2009
Due esecuzioni per adulterio sono state effettuate in Iran con il barbaro e primitivo sistema della lapidazione: le vittime però non erano donne, come accade di solito, bensì uomini. Un terzo condannato a morte, un cittadino afghano identificato solo come Mahmoud, ha invece riportato gravi ferite ma è comunque riuscito a salvarsi perché in qualche modo è stato capace di divincolarsi dalla buca per terra nella quale era stato imprigionato, prima di essere bersagliato a sassate: secondo l’interpretazione locale della sharia, la legge coranica, se il reo fugge ha salva la vita; cosa relativamente meno difficile per gli uomini rispetto alle donne, giacché i primi sono interrati fino alla vita, mentre le seconde sepolte fino all’altezza delle spalle. Teatro del macabro rituale, eseguito alla fine di dicembre, un cimitero di Mashhad, nel nord-est del Paese. La vicenda, riportata dal quotidiano filo-riformista Etemad Melli, è stata denunciata da un gruppo di avvocati e di attivisti per i diritti femminili, che si sono appellati al capo della magistratura, l’ayatollah Mahmoud Hashemi Shahroudi, affinché "si ponga fine a questo tipo di punizione" nella Repubblica Islamica. Nel 2002 lo stesso ayatollah Shahroudi, il quale pure appartiene all’ala dura del regime, emanò una direttiva che imponeva una moratoria sulle lapidazioni; e in agosto l’ordine giudiziario annunciò di aver abrogato tale sistema di applicazione della pena capitale dal nuovo codice penale iraniano. La normativa è già stata adottata in linea di principio dal Majlis, il Parlamento monocamerale di Teheran: ma, per entrare definitivamente in vigore, occorre ancora un formale dibattito in aula tra i deputati. Teoricamente, e qualche volta anche di fatto, in Iran resta così possibile che un condannato sia giustiziato a sassate; anche se spesso le sentenze sono state sospese e commutate in pene detentive, magari accompagnate da un numero variabile di frustate. Attualmente nelle carceri della Repubblica Islamica sono in attesa di lapidazione due uomini e otto donne, mentre per altre quattro di queste ultime è appunto intervenuta una commutazione. La pena di morte in ogni caso continua a essere applicata con regolarità in larga parte del mondo islamico, e in particolare in Arabia Saudita: l’ultimo caso in ordine di tempo, reso noto da fonti del ministero dell’Interno, è quello di un individuo, tale Khaled bin Dhahawi Hamoud, decapitato oggi stesso ad Arar, nel nord del regno wahabita; era stato condannato per l’omicidio a coltellate di un certo Sultan al-Rawili. Particolare degno di nota, mentre la vittima era cittadino saudita l’omicida, pur vivendo nel Paese, era privo della nazionalità perché appartenente a una delle tribù nomadi che vivono del deserto, i cui membri sono considerati persone ai margini della società in molti Paesi arabi. È stata la quarta esecuzione in Arabia Saudita dall’inizio del 2009; l’anno scorso furono in tutto ben 102.
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