Rassegna stampa 3 febbraio

 

Giustizia: su certezza della pena solo annunci e nulla di fatto!

di Marco Ludovico

 

Il Sole 24 Ore, 3 febbraio 2009

 

Certezza della pena: in politica tutti la invocano e la pretendono, soprattutto nel caso di scarcerazioni facili. Ma di misure concrete non c’è traccia o quasi. Eppure il Pdl ne ha fatto una bandiera della campagna elettorale ma, nonostante una maggioranza parlamentare che sui numeri non teme confronti, l’unico intervento concepito fino ad ora è una riduzione dei benefici di pena e della custodia cautelare per i mafiosi. Norme inserite nel ddl sicurezza da oggi all’approvazione finale del Senato.

Sull’affollamento delle carceri, gli appelli del ministro degli Interni di turno rimangono inascoltati. Ci provò Beppe Pisanu, con il precedente governo Berlusconi ma non si arrivò neanche a una proposta di legge in Consiglio dei ministri.

Un po’ più avanti, ma sulla carta, è arrivato il governo Prodi con il pacchetto sicurezza di Giuliano Amato, infrantosi però sugli scogli della fine anticipata della legislatura. Un progetto ora ripresentato con una proposta del ministro ombra Pd Marco Minniti: "Disposizioni in tema di reati di grave allarme scoiale e di certezza della pena", perfino il titolo è lo stesso.

In sintesi, si interviene sui termini di prescrizione e sulla sospensione condizionale della pena; si amplia, poi, la possibilità di ricorrere a misure cautelari e per alcuni reati - omicidio, rapina, estorsione aggravata, sequestro di persona, violenza sessuale aggravata - è stabilita l’applicazione della sola misura della custodia in carcere.

È molto probabile che l’apparente mistero di norme da tutti richieste e mai invece approvate continui ad imperare. I motivi sono più di uno. Bisogna distinguere, intanto, tra gli interventi sulla custodia cautelare e quelli sulle misure definitive perché solo questi ultimi rientrano nel concetto di certezza della pena.

Rimane poi un argomento più volte espresso da alcuni tecnici del Viminale: contro la certezza della pena si oppone la lobby dei penalisti presenti in Parlamento: "lobby particolarmente forte - aggiunge qualcuno - nel Popolo della Libertà.

Giustizia: niente riforma, un "accordino" sulle intercettazioni

di Franco Bechis

 

Italia Oggi, 3 febbraio 2009

 

Arriva un accordino sulle intercettazioni che forse due governi dopo può fare diventare legge un provvedimento che Silvio Berlusconi aveva chiesto nel 2005 all’allora ministro della giustizia, Roberto Castelli. Possibili solo per gravi indizi di colpevolezza, da sole non probanti, della durata massima di 30 giorni rinnovabili una sola volta per altri 15 giorni: così la maggioranza ha raggiunto l’accordo sulla nuova legge, fra vivaci contestazioni dei magistrati e di gran parte dell’opposizione.

Resta al palo, nonostante i nuovi annunci del premier, la riforma della giustizia e soprattutto quella del Csm con la separazione delle carriere. Per procedere servirebbe una modifica costituzionale con un iter troppo lungo... L’idea dunque del governo e della sua maggioranza è quella di trovare una via nella legislazione ordinaria per modificare quello che viene ritenuto il vero problema dell’ordinamento giudiziario: il passaggio, volontario od obbligatorio che sia, dalla funzione di pubblico ministero a quella di giudice e viceversa.

Se ne è reso conto lo stesso ministro della Giustizia, Angelino Alfano, quando ha dovuto firmare la raffica di provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati coinvolti nello scontro fra le procure di Catanzaro e di Salerno. Proprio lui, che era sempre stato in prima fila fra chi voleva la separazione delle carriere, si è trovato a mettere la firma in calce a un provvedimento che puniva un pubblico ministero accusandolo di non avere mantenuto l’equilibrio necessario durante le indagini e lo ha "degradato" a giudice in altra sede.

Ai funzionari cui Alfano spiegava l’illogicità della norma i funzionari del ministero hanno spiegato "Così impone la legge". In realtà i magistrati puniti hanno diritto per legge di essere trasferiti al distretto giudiziario più vicino alla sede di lavoro precedente o alla residenza anagrafica, dovendo essere lì assegnati alla funzione disponibile. Proprio per questo motivo da Catanzaro Luigi De Magistris è stato trasferito a Napoli, e da pubblico ministero è stato comandato nella funzione in quel momento disponibile, quella di giudice del tribunale del riesame a Napoli (e da lì ha già emesso un provvedimento, quello sul caso Romeo, che ha suscitato polemiche per le accuse morali rivolte a Francesco Rutelli). Non c’è dubbio che per un cittadino sia incomprensibile sentire dire di un pubblico ministero che è "non equilibrato" e poi sapere che viene punito facendogli fare il giudice. Impedirlo è la sola urgenza...

Giustizia: Berlusconi; entro marzo separeremo i pm dai giudici

di Liana Milella

 

La Repubblica, 3 febbraio 2009

 

Li chiama "ordini", e non carriere, ma la sostanza non cambia. Ha ragione il Guardasigilli ombra del Pd Lanfranco Tenaglia che è solo "un gioco di parole". Berlusconi vuole "separare gli ordini", cioè le carriere della magistratura.

Da una parte i giudici, dall’altra i pm, che non si chiameranno nemmeno più così, ma "avvocati dell’accusa", all’americana. Per metterli sullo stesso piano degli "avvocati della difesa" ai quali saranno dati assai più ampi poteri. Così, nei progetti del Cavaliere, si realizzano finalmente il giusto processo e la parità delle parti. L’ha fortemente voluto tra il 2001 e il 2006, ma non ce l’ha fatta. Adesso continua a volerlo, e lo farà.

"Fine febbraio, metà marzo" calendarizza il ministro della Giustizia Angelino Alfano che oggi, non appena il premier torna da Macherio, dov’è rimasto malato per una settimana ("Ma sono dimagrito quattro chili" annuncia soddisfatto), lo vedrà a palazzo Grazioli per decidere come spalmare le sue riforme nei prossimi consigli dei ministri. E avrà anche un incontro sui testi con la sua maggioranza. È fatta dunque.

E Berlusconi lo annuncia. Trionfante per l’intesa raggiunta sulle intercettazioni dichiara: "Ho incontrato molte difficoltà, ma ora l’accordo c’è per limitarle ai reati più gravi (ma non è, almeno per adesso, vero, ndr.) e per un tempo limitato", anche se il Pd con Donatella Ferranti gli chiede di ritirare "una proposta gravissima che limita il potere investigativo di polizia e pm". Il ministro dell’Interno Roberto Maroni gli tiene sponda e nega che "ci siano limitazioni sui reati, ma solo modalità per il tempo necessario".

Il premier è pronto per i prossimi passi, per la grande riforma. Eccolo, mentre interviene telefonicamente a "Governincontra", meeting dell’ex dc Gianfranco Rotondi ad Avellino, che mischia le parole: "Resta come punto fermo non la separazione delle carriere, ma quella degli ordini. L’ordine degli avvocati dell’accusa, come noi chiameremo i pm, dovrà essere distinto e posto sullo stesso piano degli avvocati della difesa".

Cos’ha in mente Berlusconi l’ha spiegato tante volte Alfano in decine di interventi. Così: "La magistratura non è un potere, ma "un ordine autonomo e indipendente", come scrive la Costituzione all’articolo 104". Questo ordine, al suo interno, sarà ben separato e distinto, come i Csm, due, uno per i giudici e l’altro per i pm. Di tutto questo si parlerà ancora oggi nel summit sulla giustizia in cui Alfano presenterà la riforma, un antipasto indigesto per le toghe in vista di quella costituzionale, in cui si mescolano norme per accelerare i tempi della giustizia (notifiche telematiche e processo digitale) con misure per alterare l’attuale equilibrio tra le parti del processo e per controllare la produttività dei magistrati. Insieme ci saranno le norme per togliere al pm direzione e indirizzo della polizia giudiziaria e quelle per ampliare i poteri delle difese che avranno più chance nel processo. Tra intercettazioni, processo penale, modifiche alla Carta la partita è appena cominciata.

Giustizia: Bernardini; sessismo, "tolleranza zero" e xenofobia

di Castalda Musacchio

 

Liberazione, 3 febbraio 2009

 

Sessismo, violenza, tolleranza zero, razzismo, xenofobia. L’episodio di Guidonia, uno stupro collettivo perpetrato ai danni di una ragazza commesso da alcuni romeni, "ha aperto un varco - commenta Rita Bernardini, deputata Radicale-Pd nonché membro della commissione Giustizia alla Camera - in un paese che rischia di sprofondare nel baratro". Lei stessa è stata vittima di un vero e proprio linciaggio.

Migliaia di e-mail le sono state inviate, "a dir poco atroci", sottolinea. "Fai schifo, ti auguro di essere stuprata da un branco di "merde" come quelle lì, ma magari ti piace pure...", tanto per citarne una. L’accusa? La visita della deputata insieme al suo collega Sergio D’Elia ai romeni arrestati per la violenza di Guidonia. Ora, quelle "mail" sono state pubblicate sul sito dei radicali (www.radicali.it), ma - nota Bernardini - "mi sento quasi di giustificare questi insulti perché provengono purtroppo da chi è abituato ormai a vedere le stesse istituzioni violare la legalità".

 

Dopo tutte quelle minacce gratuite, come si sente?

Non posso certo dire di essere felice. Anzi, provo un grande senso di amarezza. E proprio perché questi messaggi ci danno la vera dimensione di un paese che rischia di precipitare nel baratro. D’altra parte, sento quasi di giustificare chi insulta perché questi provengono da chi è ormai abituato a vedere le istituzioni violare la legalità. Si è perso il senso di qualcosa di profondo.

 

Minacce di natura sessista. Al suo collega D’Elia pare non siano arrivati gli stessi insulti...

Sì, qualcuno è arrivato anche a lui; certamente la maggior parte li ho ricevuti io, e sono tutti a sfondo sessuale, il 99% scritti da uomini.

 

Una domanda che vorrei porle, inevitabile. Perché non è andata a visitare la ragazza stuprata in ospedale?

Credo su questo di aver già risposto. Ma ci tengo di nuovo a chiarire. Mi sono recata a Rebibbia perché ho ricevuto delle segnalazioni di maltrattamenti e percosse ai danni dei romeni accusati dello stupro. Mi sono mossa in seguito a queste segnalazioni. Del resto, per quanto mi riguarda, sono convinta che il modo migliore di essere a fianco della ragazza stuprata sia agire affinché questi terribili episodi non accadano più. La solidarietà deve essere "solida", altrimenti si fanno solo chiacchiere. Per dirne una: Alemanno cosa fa? Accusa, ma poi non mette neppure un lampione nei quartieri più a rischio della città. Questa non è solidarietà.

 

L’accusa mossa al governo, persino dall’ex ministro Pisanu, è di guardare tutto nell’ottica della "tolleranza zero" che ha rivelato al contrario solo un’intolleranza verso il diverso. Concorda?

Il vero nodo della questione è che bisogna aiutare le persone a ragionare. È chiaro che se si va avanti a colpi di spot non si va da nessuna parte. Guardiamo alla situazione della macchina giudiziaria in Italia. Una giustizia che ha 4 milioni di processi arretrati con prescrizioni che viaggiano sulle 140mila l’anno è "giustizia"? Se si riesce a spiegare questo, forse si può cominciare a ragionare su qualcosa di concreto.

 

Eppure in tutta Italia continuano ad essere segnalati episodi a sfondi razzisti. L’ultima vittima è un ragazzo indiano. Napolitano ha lanciato un forte monito contro la xenofobia imperante...

A questo rispondo che è proprio la politica portata avanti fino ad ora ad essere sbagliata. È dimostrato, per esempio, che laddove, nelle carceri, si attuino misure di recupero, queste sono efficaci. Chi esce, non commette più reati. Ma se i detenuti vengono abbrutiti in un sistema che non regge, come si pretende che, una volta usciti, agiscano in modo diverso? Per questo anche l’episodio di Guidonia dimostra quanto siano le istituzioni ad avere le massime responsabilità. E la "tolleranza zero" è il contrario di quello che si vorrebbe far passare come un’azione efficace per la sicurezza delle persone.

Giustizia: Matteoli; applicare massimo della pena a stupratori

 

Ansa, 3 febbraio 2009

 

"In una situazione come questa se c’è un minimo e un massimo della pena noi, chiediamo che sia applicato il massimo". Così il ministro Alterno Matteoli interviene nella discussione sulle misure più adeguate per contrastare la violenza sulle donne.

"I magistrati - dice Matteoli - applicano le leggi che il Parlamento ha votato. Quando si fa un appello per chiedere che intervengano con rapidità, bisogna tenerne conto. Certo non è possibile che nel 2009 le donne vivano con questo terrore".

Giustizia: don Vinicio Albanesi; alla deriva degli istinti peggiori

 

Corriere della Sera, 3 febbraio 2009

 

"Una melma istintuale". Il presidente della Comunità di Capodarco commenta i recenti fatti di cronaca attraverso tre riferimenti: l’economia, la politica, la vita familiare.

Gli ultimi episodi di cronaca nera sono allarmanti. Stranieri che stuprano una ragazza a Guidonia, gruppi di stranieri che fanno la stessa cosa ad altri stranieri, ma anche ragazzi bene italiani che operano nello stesso modo, fino ad arrivare al ragazzo che, per vendetta, violenta la sua ex. Altri che si divertono a dar fuoco a un indiano senza fissa dimora, utilizzando l’ultimo litro di benzina del loro rifornimento ‘fai da tè. Esaminando poi le confessioni degli interessati, la versione è sempre la stessa; nulla di eccezionale: avevamo bevuto, volevamo vivere una forte emozione, volevamo divertirci. La domanda è se si tratta di fatti casuali o di tendenze di comportamento". Domanda che si pone don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, a cui tenta di dare anche delle risposte in un interessante articolo pubblicato sul suo blog.

"Purtroppo si tratta di tendenze - precisa dunque don Albanesi -. Rappresentano l"apice di una deriva. Si dirà che la situazione è complessa: forti tensioni sociali (immigrazione), degrado di periferie abbandonate, crisi economica, crisi di riferimenti educativi. Non è solo questo: si sta perdendo la rete di regole di convivenza. Impressiona il fatto che gli autori di crimini non abbiano coscienza dei loro comportamenti delittuosi. Sono lì a meravigliarsi che qualcuno si meravigli".

Eppure, per don Albanesi, i fatti rivelano due caratteristiche: la violenza, la vigliaccheria. "La violenza è matrice anche dei delitti sessuali. Prendere di mira una coppietta; bastonare il ragazzo e violentare la ragazza non risponde solo a un incontrollato istinto sessuale. La modalità sfida il rispetto dei due e, in qualche modo, li violenta entrambi. La vigliaccheria è l’altro elemento. I forti delinquenti scelgono le loro vittime perdenti. Lo fanno in gruppo: per sentirsi sicuri, per non soccombere ad eventuali reazioni. La donna è la preda preferita. Sola, indifesa, tenuta di mira".

Ma i fatti di cronaca, evidenzia il presidente della Comunità di Capodarco, "non possono essere ridotti a episodi isolati di comportamenti asociali. Rappresentano il culmine di una violenza e di una vigliaccheria ampiamente diffusa nel sentire sociale".

Tre i riferimenti: l’economia, la politica, la vita familiare. "Il crollo del sistema economico è frutto della violenza dell’arricchimento: con inganni, con millantati crediti, con la coscienza della bolla dei numeri". La politica: "Il consenso da acquisire e conservare ad ogni costo autorizza a cavalcare emozioni, a dare notizie false, a comportarsi in modo indegno dei principi di uguaglianza e di equità".

Infine la vita familiare, "ridotta spesso a violenza, prevaricazioni, abbandoni, con l’unico obiettivo del proprio benessere, da ottenere ad ogni costo, calpestando sentimenti, legami, doveri".

Dunque, per don Albanesi, "la melma istintuale sta permeando il nostro sentire: più cattiva di quella animale, orientata solo alla propria conservazione. Certamente la vita sociale offre ancora esempi di rispetto, di donazione, addirittura di martirio. La deriva degli istinti peggiori permea la società. Sta scomparendo la distinzione tra bene e male; tra diritti e doveri; tra il possibile e il proibito. I fatti di cronaca nera dicono qualcosa di più di che cosa sono".

Giustizia: sulla sicurezza Lega sotto pressione anche da destra

di Stefano Folli

 

Il Sole 24 Ore, 3 febbraio 2009

 

Gli "episodi raccapriccianti" che inquietano il presidente della Repubblica si mescolano ormai in forme del tutto irrazionali. Un brodo in cui c’è di tutto: gli stupratori di Guidonia e i razzisti incendiari di Nettuno, il "branco" scatenato, il Centro sovraccarico di Lampedusa, i mille drammi legati all’immigrazione senza integrazione. Ma c’è anche dell’altro: persino l’eco della rivolta inglese contro i lavoratori italiani e poi gli insulti e le minacce contro la segretaria dei Radicali, Rita Bernardini, che ha voluto verificare in carcere le condizioni dei romeni violentatori.

Il ministro dell’Interno Maroni, a proposito degli ultimi fatti, parla di "degrado sociale". E poi aggiunge: "È peggio del razzismo, perché denota la mancanza dei principi fondamentali del vivere civile". Il che lascia un po’ perplessi, perché non è chiaro quale sia il razzismo che rispetta i principi del vivere civile. Ma la sensazione è che, di fronte all’evidente imbarbarimento di una parte della società italiana, la politica - a destra come a sinistra - non sappia cosa fare. I temi della sicurezza sono utili per vincere le elezioni, ma si rivelano poco gestibili nell’azione di governo quotidiana.

Accade così che Maroni non sfugge alla tentazione di snocciolare cifre e statistiche per dimostrare che in Italia i reati più esecrabili sono in diminuzione. È quel che fece nel recente passato un altro ministro dell’Interno di centrosinistra: Giuliano Amato. Con identico spirito razionale. Può darsi che avesse ragione, come Maroni può avere ragione oggi. Ma non ottenne nulla, se non di gettare benzina sulle polemiche. Eravamo vicini alle elezioni e si disse che non contavano i dati, bensì la percezione degli italiani.

Oggi la storia si ripete. Con qualche elemento in più, perché si è dimostrato che non basta cambiare il colore della maggioranza per risolvere il problema. E infatti un altro ex ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu, ha detto al "Corriere della Sera" una verità tanto saggia quanto impopolare: in Italia "una politica dell’immigrazione non esiste. Il tema è importante quanto la recessione, ma il Parlamento non vi ha mai dedicato una seduta".

Disattenzione figlia, nelle parole dell’attuale presidente dell’Antimafia, del folklore anti immigrati della Lega, di quel clima da "osteria padana" in cui vengono prese certe decisioni solo emotive, raramente efficaci. Ovvio che con dichiarazioni tanto esplicite Pisanu ha subito avuto gli applausi del Partito Democratico. Tuttavia ha toccato un nervo sensibile anche all’interno della maggioranza, se è vero che proprio ieri il presidente della Camera - sulla scia del Quirinale - metteva in guardia contro l’intolleranza e le discriminazioni razzistiche ai danni degli immigrati.

Né Fini né tantomeno Napolitano hanno citato la Lega, come si può ben capire. Eppure sulle politiche della sicurezza e sulla gestione degli immigrati, è proprio il Carroccio a trovarsi sotto pressione. Anche nel centrodestra. E in fondo c’è una logica, visto che il partito di Bossi è quello che ha iscritto questi temi sulla sua bandiera da anni. Ed è il partito che esprime il ministro dell’Interno, oggi in prima linea. Ecco allora come nasce l’arringa contro il "buonismo" pronunciata dallo stesso responsabile del Viminale. Accompagnata dall’annuncio che "contro i clandestini bisogna essere cattivi". E non si capisce se si tratti di una svolta o di un’ammissione d’impotenza. In ogni caso, altre polemiche.

Giustizia: soldati-poliziotti?, non li aveva nemmeno il fascismo

 

Liberazione, 3 febbraio 2009

 

Mettere trentamila soldati a guardia del territorio per proteggerci dai criminali crea una confusa situazione di sconfinamento tra esercito e polizia. Nei Paesi democratici questi progetti sono sempre un cattivo segnale perché fanno pensare che qualcuno voglia estendere i campi di intervento dei militari per chissà quale fine. Berlusconi, La Russa e Maroni non ci hanno spiegato finora perché ai soldati si fanno fare cose che spettano, per regole costituzionali, competenza e formazione, ai poliziotti, carabinieri e guardia di Finanza.

II ministro La Russa dovrebbe essere informato che lo stesso fascismo non affidò all’esercito i compiti di polizia nelle colonie, ma creò una polizia speciale, la Pai. Non era nemmeno una cattiva polizia. Quando cadde il fascismo le guardie della Pai combatterono contro i tedeschi a Porta San Paolo e furono massacrate mentre cercavano di rompere l’accerchiamento al ponte della Magliana. Un posto di spicco nella resistenza romana ebbe l’ufficiale della Pai Maurizio Giglio, che durante l’occupazione tedesca di Roma tenne i contatti a mezzo radio col servizio segreto americano. Fu arrestato, torturato e fucilato alle Fosse Ardeatine. Un altro ufficiale della Pai, il capitano Vito Maiorca, organizzò la fuga da Regina Coeli di Sandro Pertini e Giuseppe Saragat. Non ci vuole ovviamente una nuova Pai. Basta rinunciare all’idea di proteggere con l’esercito gli egoismi della zona Italia.

Il controllo dei territorio non è solo una questione di numero. Da anni le forze di polizia fanno analisi strategiche del territorio e concordano piani di intervento con personale specializzato che codifica in una banca dati i passaggi di auto sospette, i luoghi dove avvengono più frequentemente fatti criminosi, le caratteristiche topografiche dei quartieri a rischio. Le pattuglie addette a questo servizio sono dotate di strumenti che permettono di elaborare in pochi secondi, in concerto col 113 e col 112, le mappe della zona in cui è avvenuto il crimine e di individuare le vie di fuga dei criminali. L’efficacia di questa pianificazione si misura non solo con la quantità di reati che avvengono, ma anche con la quantità di reati che non avvengono. I primi impressionano l’opinione pubblica, diventano pane della politica e qualche volta fanno vincere le elezioni. I secondi, che danno l’immagine dell’Italia più rassicurante di quella che appare nei telegiornali, non ricevono attenzione.

La risposta giusta all’opinione pubblica, oggi allarmata soprattutto da aggressioni e stupri, dovrebbe essere quella di mettere a disposizione delle forze dell’ordine e degli enti locali più risorse finanziarie e più mezzi per il controllo pianificato del territorio. Le regioni, le province e i comuni dovrebbero accollarsi la responsabilità di create più argini sociali in quei territori degradati in cui le scelte di vita sono pesantemente condizionate di uno sfruttamento bestiale e da una precarietà senza speranza. Spendere soldi per costruire più carceri invece che per puntellare gli argini sociali significa andare in una direzione sbagliata.

La via giusta è quella di dare obiettivi più avanzati socialmente ai patti di sicurezza tra le forze di polizia e gli enti locali. Bisogna realizzare un raccordo - non a parole, ma di sostanza - tra i piani di controllo del territorio gestiti dagli apparati di polizia e la capacità delle amministrazioni locali di programmare con criteri di assoluta trasparenza gli interventi di risanamento nelle aree degradate.

A che servono i trentamila soldati? Questo nuovo concetto dei soldati "tuttofare" è difficile da condividere. Non abbiano pregiudizi né sui soldati, né sui poliziotti, siamo convinti che siano due professioni difficili e pericolose in cui si investono formazione, competenze e qualità umane. È chiaro a tutti che sono due professioni assolutamente diverse.

I soldati di solito sono impiegati nelle operazioni di polizia durante le occupazioni militari. Spesso nei nostri tempi si è ricorso ai soldati, in numero molto limitato, per presidiare edifici pubblici, ferrovie, impianti televisivi e qualche spiaggia usata come approdo dagli immigrati. La quantità di soldati che oggi si vuole destinare al controllo del territorio, farebbe pensare ad un uso coloniale. Le colonie stanno rinascendo, basta vedere quello che sta succedendo a Lampedusa. Sotto il fascismo è stato un luogo di confino, oggi è diventata una colonia.

Eccole le nuove colonie: i luoghi di sbarco degli immigrati, i campi rom, le periferie degli esclusi, degli emarginati, dei senza diritti. È per controllare l’ordine pubblico in queste colonie che servono tanti militari?

Giustizia: la Bocconi; le carceri italiane troppo piccole e costose

 

Redattore Sociale - Dire, 3 febbraio 2009

 

Studio della Bocconi: per essere gestiti in modo efficiente i penitenziari spendono 2,5 volte più di quanto necessario. Zanardi: "L’80% delle strutture ha meno di 300 posti, la soluzione è costruirne di più grandi".

Le carceri italiane spendono 2,5 volte più di quanto necessario per essere gestite in modo efficiente. È la stima elaborata da un gruppo di ricercatori dell’università Bocconi di Milano che, nel periodo 2003-2005 hanno studiato 142 penitenziari (su un totale di circa 200) elaborando un modello di "carcere efficiente" che è stato poi raffrontato con le strutture esistenti. La soluzione: costruire penitenziari più grandi.

Primo fattore critico che vene messo in evidenza dal paper è il cronico sovraffollamento dei penitenziari italiani. Una condizione data dal fatto che l’aumento di ricettività delle strutture (+5,5% nel periodo 1999-2005) non ha minimamente tenuto il passo con l’aumento dei detenuti (+22% nello stesso periodo).

"Le carceri italiane sono troppo piccole: l’80% delle strutture hanno meno di 300 posti - spiega Alberto Zanardi, docente del master in economia e Gestione dei Servizi di pubblica utilità in Bocconi e autore della ricerca - . Ma la dimensione più efficiente è quella data da strutture di dimensioni più ampie". La soluzione quindi, potrebbe essere la costruzione di carceri più capienti, che possono portare a un costo per detenuto inferiore anche se, riconosce il ricercatore, "la convivenza di un numero elevato di persone può portare altri problemi".

Altro fattore che incide sui costi di gestione di un carcere è la forza lavoro: la spesa per il personale rappresenta infatti il 70% del costo medio per detenuto, mentre con il rimanente 30% si pagano vitto, spese mediche, strutture. Il rapporto medio tra poliziotti e detenuti poi è di 0,85, con valori più alti al Sud e al Centro rispetto al Nord, dove però si concentra la maggior parte dei detenuti. "I detenuti non possono essere trasferiti da una regione all’altra - aggiunge Alberto Zanardi - mentre il personale della polizia penitenziaria dovrebbe essere più mobile".

Giustizia: Ass. Papa Giovanni; pronti a ospitare detenute-madri

 

Ansa, 3 febbraio 2009

 

"Nessun bambino deve crescere in carcere". Questo l’obiettivo di un progetto dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi.

Non si può non ascoltare il grido di dolore e di sofferenza - viene spiegato - che esce dalle carceri femminili italiane dove più di 60 bambini stanno crescendo in un ambiente assolutamente non adeguato, in luoghi studiati e pensati come pena per adulti.

Tenendo anche conto che il bambino può stare all’interno della struttura carceraria fino al compimento dei tre anni e poi viene allontanato e dato in affido all’esterno finché la madre non abbia finito di scontare la pena.

La legge 663/86 prevede la detenzione domiciliare in caso di figli, il limite di età è stato elevato a dieci anni (legge 165/98) per pene non superiori a quattro anni, con la legge Finocchiaro (40/01) è stata introdotta la detenzione domiciliare speciale per madri con figli di età non superiore a dieci anni per condanne superiori (anche l’ergastolo), se non sussiste il pericolo di commissione di ulteriori reati e purché abbiano scontato un terzo della pena hanno la possibilità di espiare la condanna in strutture protette che non siano il carcere".

Per questo l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII "si impegna a valutare ogni richiesta d’inserimento di mamme con bambini all’interno delle 250 Case-Famiglia o di strutture più appropriate di accoglienza sparse in tutto il territorio italiano affinché questi piccoli possano crescere in un ambiente idoneo con le rispettive madri, concordando con il Governo la modalità migliore che consenta di far scontare la pena senza la possibilità di commettere altri reati anche con l’eventuale applicazione di altre forme di controllo che non siano solo le semplici sbarre".

Padova: 4 "Agenti di rete" per reinserimento degli ex detenuti

 

Redattore Sociale - Dire, 3 febbraio 2009

 

Realtà già collaudata in Piemonte e Lombardia, da oggi in via sperimentale per un anno anche al Due Palazzi. Selezionati da comune e associazioni, saranno l’anello di congiunzione tra il dentro e il fuori.

Sono già una realtà collaudata in Piemonte e Lombardia e da oggi gli "agenti di rete" arrivano in via sperimentale per un anno anche a Padova: nasce così un anello di congiunzione tra il "dentro" e il "fuori" dal carcere, che servirà anche da supporto agli educatori della casa di reclusione Due Palazzi. Il compito è stato assegnato a quattro giovani (tre ragazze e un ragazzo) selezionati dal Comune e dagli altri partner del volontariato - associazione Granello di Senape, Caritas, CSV - attraverso un concorso pubblico.

Nella casa di reclusione padovana ci sono al momento circa 700 detenuti, tutti in espiazione di una pena definitiva. Al loro fianco solo due educatori e il direttore dell’Area pedagogica: "Il rapporto è di un educatore per 230 detenuti circa - commenta il direttore del Due Palazzi, Salvatore Pirruccio -, un dato veramente eccessivo se pensiamo che una proporzione più equilibrata sarebbe di uno per 50 reclusi e non oltre".

Ecco perché è così importante il progetto che stiamo avviando oggi, attraverso il quale potremo dare man forte agli educatori e garantire un rapporto con l’esterno". E aggiunge: "Attraverso queste risposte e questo tipo di attività, dando ai detenuti la possibilità di essere seguiti, possiamo significativamente abbattere la recidiva. Se non si garantiscono invece opportunità di recupero, la persona viene lasciata a se stessa aumentando il rischio che torni a delinquere". Ornella Favero, presidente dell’associazione Granello di Senape (che cura la redazione di Ristretti Orizzonti, il progetto di educazione alla legalità e lo sportello di orientamento giuridico e segretariato sociale) sottolinea dal canto suo la carenza di educatori nelle carceri "nonostante il ministero abbia lanciato un concorso per quattrocento nuove figure: ad oggi è tutto fermo".

Un po’ dentro, un po’ fuori, gli agenti di rete lavoreranno anche sul territorio per gettare quel ponte verso l’esterno necessario al reinserimento dell’ex detenuto da un punto di vista sociale e lavorativo. "È un lavoro cui teniamo molto - spiegano due "agenti", Francesca e Silvia - perché abbiamo già avuto contatti con la realtà carceraria e sappiamo che il passaggio dalla reclusione alla libertà è molto delicato".

E Michela, la terza donna del gruppo, aggiunge: "Dalla mia esperienza ho capito che dietro ogni detenuto c’è una storia che non giustifica le azioni, ma aiuta a comprenderle". Il progetto durerà in via sperimentale un anno, ma Favero già sottolinea l’importanza che queste figure divengano stabili. E dall’assessore alle Politiche sociali del comune, Claudio Sinigaglia, arriva anche la richiesta alla regione di farsi carico di questo progetto "molto importante perché garantisce l’attivazione di progetti di reinserimento e dà un fondamentale sostegno all’attività degli educatori già presenti nella casa di reclusione".

 

Al Due Palazzi è quasi sovraffollamento

 

"Non siamo ancora al sovraffollamento, ma siamo praticamente tornati alla situazione pre-indulto, siamo al limite". Così il direttore della casa di reclusione Due Palazzi di Padova, Salvatore Pirruccio, descrive lo status attuale all’interno della struttura padovana, che conta ora poco più di 700 detenuti, dei quali circa due terzi impegnati in attività di vario tipo. L’occasione per scattare la fotografia aggiornata tra le mura del carcere è offerta dalla presentazione del nuovo progetto "Agenti di rete".

 

Direttore, qual è la situazione attuale nella Casa di Reclusione?

Siamo arrivati allo status pre-indulto, quando c’erano circa 750 persone. In seguito alla legge ne sono uscite 250, lasciandoci con una popolazione carceraria di circa 500 persone. Adesso invece siamo a quota 710-715.

 

Quindi al limite…

Il sovraffollamento così come si intende comunemente non c’è ancora: in una stanza concepita per una persona, in cui però si vive comunemente in due, siamo riusciti a non aggiungere il terzo letto. Possiamo quindi garantire ancora una vita apprezzabile e vivibile all’interno della struttura, anche se siamo arrivati al limite: non abbiamo esaurito i posti, ma sarebbe meglio non oltrepassare questa quota di presenze, altrimenti sì avremmo il sovraffollamento e la situazione diventerebbe anche difficilmente gestibile.

 

Possiamo tracciare un profilo dei detenuti a Padova?

Va innanzitutto sottolineato che in una casa di reclusione si trovano i detenuti "definitivi", che hanno cioè esaurito i tre gradi di giudizio e che devono scontare una condanna di almeno cinque anni. La maggior parte sono italiani, mentre il numero di extracomunitari detenuti rispecchia la media nazionale, intorno al 30-35%. Gli stranieri hanno diverse provenienze: l’anno scorso ho contato circa 30 diverse etnie. Diffusa è l’origine magrebina, ma ci sono anche diversi detenuti dal Sud America: il tutto è legato a reati connessi allo spaccio di stupefacenti, che oggi come oggi portano in carcere la maggioranza delle persone, soprattutto se straniere.

 

Quanti godono di misure alternative o accedono alle attività?

Le persone che aderiscono ai percorsi trattamentali, che accettano i corsi e il lavoro sono i due terzi. Circa quattrocento persone quindi vengono prese in carico, inserite nei vari percorsi risocializzanti e rieducativi e poi accompagnate all’esterno: al momento godono di una misura alternativa circa 50-60 detenuti. A questi si aggiungono tutti gli altri che escono periodicamente con i permessi premio e che pian piano riacquistano così la libertà per poi accedere alle misure alternative più ampie.

 

La recidiva: quanto cala se c’è un progetto alle spalle?

I numeri sono molto a favore di questi progetti, perché se il soggetto viene preso in carico e accompagnato durante i lunghi anni della detenzione riusciamo ad abbattere la recidiva e portarla intorno al 10-12%, mentre se non si riesce a far fare alcun percorso la percentuale sale molto e arriva intorno al 60-65%.

Milano: l'On. Bernardini; la vergogna del carcere di San Vittore

 

Agenzia Radicale, 3 febbraio 2009

 

Non mi ha certo meravigliato la dichiarazione con la quale pochi giorni fa il Presidente della Corte di Appello di Milano, dott. Giuseppe Grechi, intervenendo all’assemblea dei penalisti milanesi ha definito il carcere di San Vittore "un luogo di tortura a pochi passi dal Duomo".

Non mi ha sorpreso perché come deputata, insieme al militante radicale Giorgio Inzani, ho effettuato una visita ispettiva nel carcere milanese il 30 novembre scorso, con il che ho potuto rendermi conto di persona che gli articoli dell’Ordinamento Penitenziario (L. 26 luglio 1975 n. 354) e del Regolamento (D.P.R. 30 giugno 2000 n. 230) sul "trattamento" all’interno delle carceri, se confrontati con la realtà della casa di custodia milanese, rivelano una serie di dati a dir poco sconcertanti: mai violazione di legge è stata così eclatante, così certa e da tutti conosciuta per tantissimo tempo, senza un intervento concreto di chi avrebbe il dovere di intervenire. Ma procediamo con ordine.

Al momento del mio ingresso in carcere, nell’istituto penitenziario milanese - la cui struttura, ricordo, è stata costruita nell’Ottocento e prevede una capienza regolamentare di 700 posti - erano presenti circa 1300 detenuti, il che comporta una carenza di spazi utilizzabili e una loro distribuzione poco sfruttabile dal punto di vista degli investimenti in attività, oltre che condizioni igieniche assolutamente precarie. Peraltro all’interno del carcere in questione sono in corso da diversi anni drastici lavori di ristrutturazione che interessano a turno uno dei raggi detentivi, ciò a riprova del fatto che la struttura non è conforme alle indicazioni contenute nel Regolamento di esecuzione dell’Ordinamento Penitenziario (peraltro la conseguenza immediata di questi lavori di ristrutturazione è una riduzione della capienza della struttura che, non essendo compensata da una riduzione dei flussi di ingresso in istituto, si traduce in un ulteriore peggioramento delle condizioni di sovraffollamento nei raggi non ancora ristrutturati).

Nel corso della visita ispettiva, in celle di circa dieci metri quadrati ho trovato accorpate anche sei persone che dormono in letti a castello di due o tre piani. Nelle celle i letti occupano la quasi totalità dello spazio, tanto da impedire ai detenuti di stare in piedi tutti contemporaneamente; quando le persone ospitate sono sei e vi sono due letti a castello composti ciascuno di tre piani, non è possibile aprire la finestra e, di conseguenza, risulta impraticabile il ricambio d’aria all’interno del luogo di detenzione.

A San Vittore i servizi igienici sono inadeguati e le docce comuni sono insufficienti per garantire a tutti i detenuti l’utilizzo quotidiano delle stesse, il che impone ai reclusi la turnazione delle docce anche nei mesi estivi; il riscaldamento è mal funzionante, per cui sia nelle celle che nei corridoi la temperatura è molto rigida e c’è un tasso di umidità altissimo, ciò che costringe i detenuti ad indossare cappotti o giubbotti anche all’interno delle celle (peraltro non tutti i detenuti sono in possesso di vestiario adeguato; alcuni extracomunitari incontrati durante la visita ispettiva, ad esempio, indossavano magliette a maniche corte e/o camicie leggere nonostante avessero più volte chiesto di ricevere capi di abbigliamento più pesanti).

Nel reparto "comuni", le mura ed i soffitti sono sporchi e fatiscenti; il pavimento è sudicio e la presenza di scarafaggi è all’ordine del giorno, mentre all’interno delle celle le lenzuola vengono cambiate ogni 40 giorni in quanto la lavanderia non funziona da tempo. Inoltre a causa dell’eccessivo sovraffollamento riscontrato nel carcere milanese, il livello di promiscuità è così allarmante che insieme ai detenuti cosiddetti "comuni" convivono sieropositivi, malati di epatite, tubercolotici e persone affette da scabbia.

Secondo gli operatori del settore, a San Vittore esistono seri rischi per la salute dei detenuti e degli stessi agenti di polizia penitenziaria, oltre al rischio di diffusione di malattie infettive. Ciononostante, ad oggi, non sono stati adottati i provvedimenti più urgenti e necessari per tamponare l’emergenza e rendere almeno un po’ più sicuri e salubri gli ambienti di lavoro e di detenzione. Pertanto attualmente la situazione all’interno del carcere di milanese continua ad essere al limite della tollerabilità, senza considerare che, viste le condizioni decrepite dei soffitti, in qualsiasi momento pezzi di cemento potrebbero staccarsi dai muri per colpire detenuti e poliziotti penitenziari.

Per questi motivi nel mese scorso ho depositato una interrogazione parlamentare a risposta scritta nella quale chiedo al Ministro della Giustizia cosa intenda fare per riportare il carcere di San Vittore nella legalità e, soprattutto, "se ritenga di dover urgentemente intervenire per scongiurare il rischio della diffusione di malattie infettive, per salvaguardare l’incolumità dei detenuti e del personale e per tutelare la salute psico-fisica dei detenuti".

Oltre all’interrogazione scritta, qualche settimana fa, insieme a Giorgio Inzani, ho depositato anche un esposto presso la Procura della Repubblica di Milano affinché si proceda nei confronti dei responsabili dell’amministrazione e della gestione della struttura carceraria di Piazza Filangieri chiedendone espressamente la punizione a norma della legge penale per l’eventuale ricorrenza dei reati di omissione di atti d’ufficio e di maltrattamenti e/o per tutti gli altri reati che gli organi inquirenti vorranno ravvisare nei fatti da me esposti.

I motivi della denuncia, elaborata dall’avv. Alessandro Gerardi, sono rinvenibili nel fatto che alle persone ristrette nella casa di custodia milanese risultano soppressi i diritti più elementari garantiti dalla Costituzione, dagli ordinamenti giuridici e dalle convenzioni internazionali. A tal proposito ricordo che l’art. 27, comma 3, della Costituzione, prevede che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e che il trattamento penitenziario deve essere realizzato secondo modalità tali da garantire a ciascun detenuto il diritto inviolabile al rispetto della propria dignità sancito dagli artt. 2 e 3 della Costituzione; dagli artt. 1 e 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 2000; dagli artt. 7 e 10 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1977; dall’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali del 1950; dagli artt. 1 e 5 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948; nonché dagli artt. 1, 2 e 3 della Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa del 12/02/1987, recante "Regole minime per il trattamento dei detenuti" e dall’art. 1 della Raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa dell’11 gennaio 2006 sulle norme penitenziarie in ambito europeo.

Inoltre: a) l’art. 4 delle "Regole penitenziarie europee" stabilisce che "la mancanza di risorse non può giustificare condizioni di detenzione che violino diritti umani"; b) il diritto alla salute, sancito dall’art. 32 della Costituzione, rappresenta un diritto inviolabile della persona umana, insuscettibile di limitazione alcuna ed idoneo a costituire un parametro di legittimità della stessa esecuzione della pena, che non può in alcuna misura svolgersi secondo modalità idonee a pregiudicare il diritto del detenuto alla salute ed alla salvaguardia della propria incolumità psico-fisica; c) ai sensi dell’art. 1, commi 1 e 6, della Legge n. 354/1975, "il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona", dovendo altresì essere attuato "secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti".

Spero dunque che la magistratura voglia verificare nell’immediato se ed in che misura le condizioni detentive presenti all’interno di San Vittore siano dovute alla grave trascuratezza omissiva di cui si sono resi responsabili nel corso del tempo le autorità e gli organi statali e/o comunali preposti all’amministrazione e gestione dell’istituto penitenziario in questione e se ed in che misura in tutti questi anni gli stessi abbiano costantemente evitato di adottare i comportamenti attivi specificamente richiesti dalla concreta situazione esistente all’interno del carcere milanese.

Come ha scritto il Professore Tullio Padovani nella lettera indirizzata al VII Congresso di Radicali Italiani: "Per i detenuti che on ricevono il trattamento previsto dalla Legge, ma subiscono i maltrattamenti puniti dalla Legge, c’è qualcuno che debba rispondere? E soprattutto: fino a che punto si tollererà che il delitto continui a commettersi? La domanda va posta a chi di dovere, e nelle forme di legge, vale a dire denunciando ogni episodio, ogni situazione, ogni circostanza alle varie procure della repubblica: quelle stesse che gli ordini di carcerazione le emettono. Denunce e ancora denunce, una alla volta senza stancarsi mai: un vasto orizzonte per una battaglia di legalità nel più schietto stile dei radicali".

Firenze: Opg di Montelupo sovraffollato; agenti sono la metà

di Andrea Ciappi

 

La Nazione, 3 febbraio 2009

 

"Opg di montelupo sovraffollato, mentre gli agenti sono poco più della metà di quelli che dovrebbero essere". Alessandro Miranda, segretario regionale dell’Unione Sindacati Polizia Penitenziaria (Uspp), ha fatto questa denuncia nel corso dell’audizione dell’organizzazione sindacale nella commissione sociale del consiglio provinciale di Firenze. Tutto ciò mentre alla direzione fiorentina dell’amministrazione penitenziaria, l’Uspp ha avanzato al richiesta affinché la domenica gli internati dell’Opg rimangano ristretti nelle loro celle, visto il numero inferiore di operatori (personale medico, volontari) e di conseguenza il rischio più elevato di scontri con gli agenti.

Contattato dopo l’audizione, Miranda ha spiegato: "Il confronto con la commissione provinciale su Montelupo ed altre realtà toscane è stato positivo, perché la commissione stessa si è presa l’impegno di proporre una mozione ai livelli regionale e statale affinché si risolva il problema del sovraffollamento". Problema che sta in questi numeri senza pietà: la popolazione carceraria all’Opg è ad oggi di 180 elementi (l’obiettivo è, ricordiamo, di ridurre a non più di 60, tutti detenuti toscani); gli agenti effettivi di polizia penitenziaria sono 70 a fronte dei 130 stabiliti dalla pianta organica del Ministero della Giustizia.

"L’impressione che ho avuto - prosegue Miranda - è che qualcosa si stia muovendo dopo gli ultimi episodi di violenza ai danni di agenti, accaduti a Montelupo ma anche a San Gimignano e a Sollicciano. Non solo pericolo per la polizia penitenziaria: all’Opg nei giorni scorsi un recluso ha incendiato un materasso, che non era di materiale ignifugo. Ecco, nei pacchetti sulle carceri che andranno in discussione, si dovranno inserire anche misure su tutto ciò che comporta sicurezza. Come si fa a lasciare materiali infiammabili in un ospedale psichiatrico giudiziario?". "Aggressioni e fatti di questo genere - aggiunge - sono solo alcuni esempi delle condizioni nelle quali noi agenti siamo costretti a lavorare".

Intanto, domani sera il consiglio comunale di Montelupo vara la commissione speciale voluta da maggioranza ed opposizione per verificare l’obiettivo del ridurre a 60 il numero di internati all’Opg. "A patto - hanno detto i consiglieri - che non si riduca anche il personale della penitenziaria, altrimenti si rischia di non risolvere nulla".

In proposito, spiega il consigliere Pdl di Montelupo, Federico Pavese: "C’è soddisfazione nel constatare che finalmente sull’Opg ci si muove coralmente. Ho apprezzato anche il coinvolgimento dei sindacati della Polizia Penitenziaria, invitati dalla VI commissione provinciale dopo l’interessamento del consigliere provinciale Nicola Nascosti". Pavese conclude: "Passo di distensione importante che era da tempo necessario per il nostro territorio".

Torino: un medico denuncia; "detenuti maltrattati e picchiati"

di Massimo Numa

 

La Stampa, 3 febbraio 2009

 

"Squadrette" di agenti picchiatori, scene-horror nei reparti psichiatrici, medici complici o conniventi dei violenti o costretti a dimettersi se non "allineati".

È la sintesi della pubblica denuncia di un ex medico delle Vallette, Ilaria Bologna. Adesso la senatrice Pd Donatella Porretti presenterà un’interrogazione al ministro della Giustizia, Angelino Alfano. "Se vera, la situazione è a dir poco gravissima. Mi sono già messa in contatto con la dottoressa. Vogliamo sapere la verità".

Scrive Bologna: "Mi sento di sottolineare che all’interno delle strutture carcerarie i pestaggi da parte degli agenti, addirittura organizzati in apposite "squadrette", sono all’ordine del giorno, sono l’ovvietà". Poi: "Nella maggior parte delle Case Circondariali il medico, presente 24 ore su 24, volente o nolente a stretto contatto con gli agenti, ha un ruolo da "manutentore"... L’istituzione per cui lavora esige ordine, e non esiste ordine se non attraverso "la salute" del detenuto".

Ancora: "Il pestaggio raramente avviene nella totale ignoranza del medico: è piuttosto frequente che il detenuto picchiato venga poi portato in infermeria per "un controllo" e che siano palesi segni che rendono possibile, e francamente non solo al cosiddetto "occhio clinico", risalire all’accaduto. A seconda di quanta complicità-connivenza esista tra il medico e gli agenti, più o meno espliciti nel riconoscere cosa è effettivamente successo: potranno sostenere che "sono stati costretti", che "il detenuto era agitato e aggressivo", o addirittura apertamente compiacersi di "aver dato una lezione"". E i detenuti pestati? "Non parlano per paura - osserva il medico - e in alcuni casi non vengono nemmeno portati in infermeria".

Quindi l’agghiacciante capitolo delle "violenze praticate nei Reparti di Osservazione Psichiatrica: "La contenzione a mezzo di manette, la sedazione non consensuale con iniezioni di psicofarmaci, la rimozione degli oggetti personali e di abiti, lenzuola e coperte "a scopo precauzionale" sono comuni ed "automatiche", e anche quando sono iniziative autonome degli agenti di polizia penitenziaria devono comunque essere confermate ed autorizzate in cartella clinica dal medico, quasi sempre uno psichiatra".

E i medici? "La risposta è duplice... i medici penitenziari si dividono grossolanamente in due categorie. Alcuni, sia per convinzione, comodità o quieto vivere, assumono totalmente il ruolo dei garanti dell’ordine e nella pratica... indistinguibili dagli agenti, se non perché rispetto a loro hanno più potere. Certamente non saranno loro a denunciare i pestaggi.

Altri, la minoranza, pur riconoscendo la realtà della sistematica violenza di Stato, arrivano comunque presto a considerarla la "tragica quotidianità" con cui devono avere a che fare… i pochi che condannano e tentano di denunciare sono voci sole facilmente zittite, anche con la perdita del posto di lavoro: un medico "disallineato" crea diseconomia nel sistema".

La dottoressa Bologna non lavora più nel carcere, per una "sua scelta... francamente anche indotta". Dopo avere realizzato "l’enormità dell’aberrante meccanismo".

Gelida la reazione dei sindacati della polizia penitenziaria. Dice Gerardo Romano, segretario regionale Osapp: "È tutto falso. Ma ora si rischia di pregiudicare ulteriormente la già difficile situazione che c’è nel carcere, dove le condizioni di lavoro sono pesantissime. Viene infangata l’immagine degli agenti, che in passato hanno pagato un alto tributo di sangue nel nome delle istituzioni. A questo punto, solo la magistratura potrà fare chiarezza".

Sulmona: i sindacati denunciano; "una situazione al collasso"

 

Il tempo, 3 febbraio 2009

 

Si apprestano ad organizzare "tutte le forme di protesta consentite, quali auto consegna, astensione dalla mensa, sit-in davanti il provveditorato e presso il ministero della giustizia, se i problemi lamentati da anni non troveranno rapida soluzione".

Sono i sindacati del supercarcere di Sulmona, Cgil, Cisl, Uil, Sappe, Osapp, Ugl, Sinappe e Cnnpp, che in una conferenza stampa tenuta davanti ai cancelli del carcere nel primo pomeriggio, hanno criticato l’amministrazione penitenziaria. "La situazione nel supercere sta per esplodere - si legge in un documento condiviso inviato alle istituzioni preposte - le nostre richieste sono inascoltate da anni. Il ripetersi di ulteriori e gravi fatti (agenti di polizia penitenziaria aggrediti in continuazione e numerosi episodi autolesionistici da parte dei detenuti) sono da imputare all’immobilismo dell’amministrazione penitenziaria, la quale nonostante abbia convocato numerosi tavoli di contrattazione, a tutt’oggi non ha risolto alcun problema".

I sindacati hanno denunciato aggressioni nei confronti degli agenti; insufficienza di personale medico che è anche non pagato; presenza di un elevato numero di detenuti con patologie psichiatriche da gestire; personale al di sotto dei livelli minimi di sicurezza; numero esiguo di operatori, numero eccesivo di detenuti. Al documento unitario, la Uil ha aggiunto una nota in cui "denuncia l’elevata presenza di psicotici, tossicodipendenti ed internati all’interno della struttura peligna che stanno rendendo davvero impossibile la vita a tutti gli operatori di Polizia Penitenziaria e al personale medico e paramedico.

Le aggressioni fisiche e verbali nei confronti dello stesso sono aumentate a livello vertiginoso sintomo che la struttura è al limite del collasso. Senza tener conto del fatto che a causa del sovraffollamento sono notevolmente aumentati anche gli eventi critici tra i quali auto ed etero lesionismo, scioperi della fame e tentativi di suicidio.

La situazione non solo è peggiorata ma rischia di precipitare se non si farà qualcosa prima che la casa circondariale di Avezzano riapra. È da considerare, infatti, che, allo stato attuale, gran parte del personale che operava, prima che chiudesse, presso l’istituto marsicano sta lavorando, in regime di distacco, presso il complesso sulmonese".

La casa di reclusione di Sulmona ospita 460 detenuti, 70 dei quali ergastolani, 40 in regime di massima sicurezza perché pentiti o legati a reati di mafia; la gran parte di loro arriva da Campania e Sicilia; 120 in assistenza psichiatrica; 130 tossicodipendenti. Gli agenti sono invece 280, il personale sanitario conta 18 persone, fra medici e infermieri.

Larino: contro l’ergastolo, Consigliere regionale visita il carcere

 

Ansa, 3 febbraio 2009

 

Il Consigliere regionale Michelangelo Bonomolo è stato in visita nel carcere di Larino, aderendo alla campagna nazionale per l’abolizione dell’ergastolo intitolata "Mai dire mai", iniziata il 1 dicembre dello scorso anno con uno sciopero della fame da parte di centinaia di ergastolani proseguirà a staffetta, dentro le carceri italiane fino a marzo. Stamattina Bonomolo ha fatto visita alla Casa Circondariale di Larino, accompagnato dal presidente dell’Associazione Liberarsi di Firenze, Giuliano Capecchi.

Secondo Bonomolo si tratta di "Una campagna di notevole importanza, che si inserisce in un momento particolarmente delicato, nel quale è necessario opporsi alle derive securitarie sempre più predominanti nel Paese. Del resto, sul tema, si sono registrati gli interventi di alte cariche religiose del Paese: al termine della messa di Natale nel carcere di Opera, il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, raccogliendo l’appello degli ergastolani, aveva dichiarato che "l’ergastolo toglie la speranza" e quindi va abolito.

Lo scorso 30 dicembre la Comunità Papa Giovanni XXIII, oltre a sostenere la sopra citata affermazione del cardinale Tettamanzi, aveva diffuso un comunicato stampa dal titolo "Comunità invece dell’ergastolo".

Dall’esponente della sinistra in Consiglio Regionale è stato preso anche l’impegno a presentare una mozione affinché la Regione Molise solleciti la discussione e approvazione da parte del Parlamento nazionale della proposta di legge per la cancellazione della pena dell’ergastolo.

Fossombrone: tenta l’evasione scavando il muro con un mestolo

 

Ansa, 3 febbraio 2009

 

Ha cercato di bucare il muro maestro della sua cella con un mestolo. Un gesto disperato più che un tentativo di evasione quello attuato da un detenuto, visto che sarebbe sempre sbucato all’interno del supercarcere di Fossombrone.

Sabato 31 gennaio, l’uomo - un extracomunitario quarantenne condannato a dieci anni di reclusione per spaccio di stupefacenti - ha scavato durante la notte con un mestolo un buco di 30-40 centimetri nel muro dietro il termosifone della cella. Ancora dieci centimetri e avrebbe forato il muro portante dell’edificio, ma sarebbe rimasto pur sempre nel cortile. Il servizio di controllo si è accorto del cunicolo e della terra ammassata sotto la branda. Il detenuto è stato immediatamente spostato ad un’altra cella e messo in isolamento.

Per quanto malriuscito, il suo tentativo di evasione andrà comunque ad aggravare il monte pena. Una denuncia nei suoi confronti è stata inviata alla procura della Repubblica di Urbino.

Bando: il Premio Girolimoni, per un’informazione responsabile

 

www.osservatoriosullalegalita.org, 3 febbraio 2009

 

"In tempi in cui tutti vogliono soffocare la libertà di stampa per evitare che i cittadini sappiano, come è loro diritto costituzionalmente garantito, cosa accade nel paese, cosa e chi non funziona, la difesa intransigente del diritto - dovere di cronaca deve obbligatoriamente essere affiancata da un esercizio sempre più responsabile della professione giornalistica. I cronisti non accettano imposizioni, censure e bavagli, ma quando - come in questo Premio - si tratta di promuovere modelli positivi, per evitare che errori e comportamenti sbagliati provochino gravi danni alle persone, sono pronti a farlo volentieri".

È la motivazione con la quale il presidente, Guido Columba, ha spiegato la decisione dell’Unione Nazionale Cronisti Italiani di dare il patrocinio e mettere una targa a disposizione della giuria del Premio Girolimoni per un’informazione responsabile, ideato e promosso dall’Associazione culturale Presi per Caso - gruppo costituitosi all’interno del Carcere di Rebibbia - con il Patrocinio della Facoltà di Scienze della comunicazione dell’Università della Sapienza di Roma. Alla presentazione hanno partecipato anche il presidente della Fnsi Roberto Natale, i colleghi Vittorio Roidi, Roberto Martinelli, Franco Zeffiri e il preside della Facoltà, Mario Porcellini.

Il Premio - ispirato a Gino Girolimoni, ingiustamente accusato di omicidio e pedofilia negli anni Venti del secolo scorso, scagionato dalla magistratura, ma non riabilitato dalla stampa che lo additò come un mostro - ha spiegato Lorenza Somogyi Bianchi, dell’Associazione Presi per caso, nasce per dare voce e concretezza all’esigenza di un approccio e di una cultura non scandalistiche alla cronaca e al giornalismo di attualità. Il Premio, ha detto, "vuole stimolare un giornalismo che, nel perseguimento della sua funzione informativa, di impegno civile, di garanzia delle libertà sociali, colga e rispetti quelle cautele processuali previste dai nostri codici e si faccia così garante del principio di presunzione di non colpevolezza dell’indagato/imputato così come previsto dalla nostra carta costituzionale. Ciò nella convinzione che il rispetto di tali principi di diritto sia condizione irrinunciabile di un vivere civile a cui il giornalismo deve ispirarsi in tutte le stagioni".

L’Associazione Presi per Caso è l’espressione di un progetto culturale curato dalla rock band nata all’interno delle mura del carcere di Rebibbia. Obiettivo dell’iniziativa è quello di abbattere il muro del pregiudizio e sensibilizzare l’opinione pubblica, attraverso i canali della musica e dello spettacolo ma non solo, attorno ai temi del carcere e dell’emarginazione.

Dall’inverno 2008 i Presi per Caso hanno portato avanti una campagna di riabilitazione di Gino Girolimoni: un appello in musica in Cd con due tracce musicali, numerosi concerti, la richiesta a gran voce di una via intitolata a Girolimoni per restituire la dovuta dignità ad una vittima dei mass media e dei pregiudizi della gente. La vicenda della band Fra le prime attività della Band figurano i concerti per le famiglie dei detenuti ma anche la partecipazione come spalla di tutti quegli artisti che sono transitati per solidarietà per il complesso carcerario. Fra gli altri: Claudio Baglioni, 99 Posse, Modena City Ramblers, Teresa De Sio etc.

Numerose le trasformazioni in questi primi anni: le scarcerazioni e gli arresti, infatti, influiscono direttamente sulla composizione del gruppo e, caso raro in un gruppo rock, ogni defezione (dovuta, appunto, a scarcerazione) viene salutata con gioia da tutti gli altri. Dopo il 2001 iniziano le prime aperture da parte dell’amministrazione penitenziaria e del Tribunale di Sorveglianza: i primi permessi, alcune autorizzazioni e le misure alternative. Oggi i componenti della Band sono tutti liberi: le atmosfere si riempiono di ironia, i testi sono permeati da più umorismo. Da progetto nato per sopravvivere all’interno, quello dei Presi per Caso diventa un progetto per far conoscere "fuori" la condizione carceraria. Arrivano con il tempo anche la visibilità e il successo nazionali.

Il Premio "Girolimoni: per un’informazione responsabile" nasce per dare voce e concretezza all’esigenza di un approccio e di una cultura non scandalistiche alla cronaca e al giornalismo di attualità. L’iniziativa giunge a ideale coronamento di una lunga campagna di riabilitazione, promossa dal gennaio 2008 dai Presi per Caso, gruppo costituitosi all’interno del Carcere di Rebibbia e, proprio in questi giorni trasformatosi in Associazione Culturale.

Ispirato a Gino Girolimoni che, ingiustamente accusato di omicidio e pedofilia negli anni Venti, fu scagionato dalla magistratura, ma mai dalla stampa che l’aveva sbattuto in prima pagina come un mostro, il Premio vuole stimolare un giornalismo che, nel perseguimento della sua funzione informativa, di impegno civile, di garanzia delle libertà sociali, colga e rispetti quelle cautele processuali previste dai nostri codici e si faccia così garante del principio di presunzione di non colpevolezza dell’indagato/imputato così come previsto dalla nostra carta costituzionale. Ciò nella convinzione che il rispetto di tali principi di diritto sia condizione irrinunciabile di un vivere civile a cui il giornalismo deve ispirarsi in tutte le stagioni. È questa un’auspicabile missione che i media, sull’onda della ricerca di una presunta audience indispensabile alle vendite, sembrano talvolta sottovalutare.

Il bando è rivolto a tutti giornalisti ed alle testate giornalistiche italiane, con particolare attenzione a chi ovviamente si occupa di cronaca. Una sezione speciale è anche riservata ai Blog, nuovo strumento di dibattito ed approfondimento per quanto non strettamente giornalistico.

Il premio è promosso dall’Associazione Presi per Caso con il Patrocinio della Facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza Università di Roma e dall’Unione Nazionale Cronisti Italiani; L’aspetto formativo: l’iniziativa ha trovato rilevanti punti di contatto con il percorso intrapreso dal gruppo di ricerca "Cattive notizie", con la direzione scientifica del Prof. Mario Morcellini, che ha tra gli altri obiettivi lo studio della rappresentazione giornalistica proprio della cronaca nera nei media italiani.

La scadenza delle domande di partecipazione è fissata al 30 aprile 2009. Le premiazioni sono programmate per settembre 2009. Il bando fa riferimento agli articoli pubblicati o trasmessi fra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2008.

 

Il Bando di concorso

 

L’Associazione Culturale Presi per Caso, in collaborazione con la Facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza Università di Roma e con il Patrocinio dell’Unione Nazionale Cronisti Italiani, indice il Premio Girolimoni: per un’informazione responsabile. Un’iniziativa nata per dare voce e concretezza all’esigenza di favorire un approccio non scandalistico all’attualità e per sollecitare un giornalismo sempre più attento al tema della responsabilità.

Ispirato a Gino Girolimoni che, ingiustamente accusato di omicidio e pedofilia negli anni Venti, fu scagionato dalla magistratura, ma mai dalla stampa che l’aveva sbattuto in prima pagina come un mostro, il Premio vuole stimolare un giornalismo che, nel perseguimento della sua funzione informativa, di impegno civile, di garanzia delle libertà sociali, colga e rispetti quelle cautele processuali previste dai nostri codici e si faccia così garante del principio di presunzione di non colpevolezza dell’indagato/imputato così come indicato dalla nostra carta costituzionale.

Nella convinzione che il rispetto di tali principi di diritto sia condizione imprescindibile di un vivere civile a cui il giornalismo deve ispirarsi. Attenzione che i media sembrano invece trascurare, preoccupati di inseguire l’attenzione di un’audience indispensabile alle vendite.

1. oggetto del bando: il premio verrà assegnato ai giornalisti e alle testate che abbiano dimostrato particolare sensibilità ed attenzione nella trattazione di una vicenda di cronaca;

2. requisiti per la partecipazione: il bando è aperto a tutte le testate giornalistiche italiane regolarmente registrate presso il Tribunale di competenza e ai giornalisti iscritti all’Albo "professionisti" o "pubblicisti" dell’Ordine dei giornalisti italiano. Sono esclusi dalla partecipazione i giornalisti membri della Giuria, i loro familiari e tutte le persone che abbiano legami contrattuali con i giurati o con l’organizzazione; ciascun partecipante potrà partecipare con un solo servizio o gruppo di servizi correlati allo stesso fatto di cronaca;

3. la sezione blog: una sezione particolare è poi riservata ai Blog, nuovo strumento di comunicazione non proprio tecnicamente giornalistico, che tuttavia sta catalizzando un’importante area della comunicazione;

4. periodo di riferimento: saranno ammessi al concorso articoli e servizi in lingua italiana pubblicati o trasmessi nel periodo 1 gennaio 2008 - 31 dicembre 2008. Per quanto attiene agli articoli pubblicati a mezzo stampa, saranno presi in considerazione quelli pubblicati su quotidiani o riviste effettivamente distribuiti e diffusi sempre entro il citato limite del 31 dicembre 2008;

5. i premi e il doppio canale di accesso: sono previsti due ordini di premi: un premio alla Testata più responsabile e uno al Giornalista più responsabile, che verranno assegnati dopo una valutazione dei materiali inviati. Un premio speciale Facoltà di Scienze della Comunicazione assegnato dagli studenti della Facoltà impegnati in un gruppo di ricerca e di formazione sul tema, appunto, della Comunicazione Responsabile: anche in questo caso il riconoscimento sarà suddiviso in premio alla testata e premio al giornalista. Oltre che in relazione al merito, i vincitori saranno premiati con un’opera d’arte espressamente dedicata;

6. termine e modalità di consegna: tutto il materiale utile alla valutazione del lavoro dei candidati dovrà essere inviato in busta chiusa con raccomandata a/r o corriere entro e non oltre il 30 aprile 2009 a: Premio Girolimoni per un’informazione responsabile. Telelab c/o Facoltà di Scienze della Comunicazione, Sapienza Università di Roma, Via Salaria 113, 00198 Roma. Con in allegato (modulo 1): - un foglio firmato ed eventualmente timbrato, nel caso di testate giornalistiche, riportante: nome della testata e del giornalista, riferimenti al caso di cronaca individuato, breve descrizione dei criteri utilizzati per la trattazione; - riferimenti anagrafici e biografia, nel caso di giornalista, indirizzo, telefono, cellulare, e-mail. Breve scheda descrittiva nel caso di testata giornalistica meno nota. Oltre, ovviamente, agli articoli - in formato cartaceo e su supporto audio-video - utili alla valutazione del candidato. Farà fede il timbro postale.

7. la selezione dei vincitori: i materiali presentati saranno sottoposti ad una selezione preliminare per la valutazione della sussistenza dei requisiti di partecipazione del presente bando. L’esame sarà affidata inizialmente ad una commissione composta dagli studenti della Facoltà di Scienze della Comunicazione impegnati in attività di ricerca su questi temi, dal personale docente incaricato e dai membri dell’Associazione culturale Presi per Caso. L’obiettivo ultimo è quello di coniugare un’attività di sensibilizzazione e formazione al problema della responsabilità giornalistica, con la volontà di dare respiro ad una voce quanto più corale possibile. Successivamente, i prodotti editoriali verranno esaminati da una giuria di studiosi ed esperti della comunicazione con il fine di stabilire i vincitori del premio. Gli esiti della valutazione saranno pubblicati sul sito del premio: www.premiogirolimoni.org

8. la giuria: Fanno parte della Giuria: Alessandro Barbano, Corrado Calabrò, Guido Columba, Alessandro Cristaldi, Franco Ferrarotti, Sergio Lepri, Roberto Martinelli, Raffaella Messinetti, Mario Morcellini, Roberto Natale, Paolo Nepi, Vittorio Roidi, Paolo Zefferi.

9. la premiazione: la premiazione dei vincitori avverrà in occasione di un evento pubblico organizzato dall’Associazione culturale Presi per Caso in collaborazione con la Facoltà di Scienze della Comunicazione e l’Unione Nazionale Cronisti Italiani. La data della premiazione sarà resa nota sul sito www.premiogirolimoni.org

8. modifiche: l’organizzazione si riserva di apportare modifiche al bando qualora si rendesse necessario per cause di forza maggiore, impegnandosi a darne tempestivamente notizia agli organi di stampa.

Teatro: "Princese", un diario di bordo dalla Sezione femminile

 

www.persinsala.it, 3 febbraio 2009

 

Princese. Diario di bordo. Memorie di teatro e carcere: sezione femminile. Una narrazione teatrale di Donatella Massimilla con Gilberta Crispino, Donatella Massimilla, Francesca Romana Nascè. Accompagnata dalle canzoni di Fabrizio De Andrè eseguite da Juri Aparo. Installazione video Fabio Giorgetti.

Una storia di Princese, di donne segnate dalla droga, donne immigrate, madri di famiglie mafiose… donne che attraverso il teatro si ri-conoscono, da Le Serve di Genet a Victoria Station di Harold Pinter, rivivendo sulla scena frammenti di vita, memorie di teatro, speranze di futuro.

Dopo essere stato presentato alle donne del carcere di San Vittore e alla rassegna Dieci Palchi per Fabrizio De Andrè a Osnago, "Princese" arriva a Roma in una versione studiata ad hoc per il piccolo spazio dell’Accento Teatro, dal 5 all’8 febbraio.

Una versione da camera che racconta l’incontro tra il teatro e le donne recluse con la consapevolezza e l’onestà di chi ha lavorato in molte carceri italiane ed europee da San Vittore a Rebibbia, da Berlino a Barcellona.

La regista Donatella Massimilla, insieme alle attrici Gilberta Crispino e Francesca Romana Nascè, riscrive per la scena un "Diario di bordo" intenso e insolito, accompagnato alla chitarra dalle canzoni di Faber, eseguite da Juri Aparo, e dalle immagini di repertorio di anni di lavoro teatrale recluso.

Una narrazione che viaggia sul filo dei personaggi imperfetti di De Andrè, grazie a quei versi che più di altri sono ancora oggi in grado di raccontare solitudini, rifiuti, marginalità e "quell’amore per l’amore" (Dori Ghezzi) che vive nei grandi dolori e nelle grandi assenze. Il Centro Europeo Teatro e Carcere sta realizzando il progetto europeo Movable Barres, che promuove la musica e la danza nelle carceri d’Europa.

E proprio a Milano, durante il Lombardia Edge Festival 2008, con il Patrocinio della Fondazione Fabrizio De Andrè, insieme al gruppo della Trasgressione, Donatella Massimilla e Juri Aparo (psicologo del carcere di San Vittore e interprete raffinato del cantautore genovese) hanno iniziato, con i detenuti delle carceri milanesi, un nuovo percorso artistico all’insegna dell’auto drammaturgia e dei testi poetici di De Andrè come materia di nuova creazione musicale e teatrale che proseguirà in un viaggio a più tappe a Roma e in Europa.

Immigrazione: associazioni cattoliche; no a pacchetto sicurezza

 

Vita, 3 febbraio 2009

 

Sant’Egidio, Acli, Fondazone Astalli e Comunità Giovanni XXIII in un documento comune hanno individuato i 5 punti critici del ddl.

Un no secco, seguito da alcune proposte alternative, è quello giunto oggi al "pacchetto sicurezza" in discussione domani al Senato, da alcune importanti realtà cattoliche che hanno indetto assieme una conferenza stampa (svoltasi a Roma). Sono la Comunità di Sant’Egidio, le Acli, la Fondazione Astalli, la Comunità Papa Giovanni XXIII, che hanno espresso la loro preoccupazione per le iniziative che il governo si appresta a far approvare all’interno del "pacchetto sicurezza" e che in realtà - hanno sottolineato sia Marco Impagliazzo che Andrea Olivero, rispettivamente presidente di Sant’Egidio e delle Acli - mirano a rendere più difficile la vita agli immigrati. "Si parla degli stranieri con sempre meno rispetto", ha detto il primo, e "si introduce, in un clima generale pesante, l’idea che siano cittadini di seconda categoria. Come cattolici, sentiamo il dovere di batterci a favore di una reale integrazione". "Tanto più", incalza Olivero, "che la sicurezza o è di tutti o non è per nessuno. Occorre garantirla a tutti, italiani e non. Viceversa assistiamo a chiusure preoccupanti".

Sono cinque, in particolare, i punti critici del pacchetto. Anzitutto l’impossibilità di matrimonio per uno straniero privo del permesso di soggiorno (una misura che limita i diritti della famiglia e non aiuta la sicurezza, anzi - è stato sottolineato). In secondo luogo l’introduzione del reato di ingresso e permanenza illegale sul territorio: il cosiddetto reato di clandestinità oltretutto ingolferebbe la già bloccata giustizia italiana e non fermerebbe il flusso. L’allungamento dei tempi per la detenzione dei migranti irregolari (il pacchetto prevede fino a 18 mesi nei centri di identificazione) è il terzo punto contestato.

Il quarto passaggio critico è quello che prevede (per i residenti italiani e per gli stranieri) il divieto di iscrizione anagrafica in mancanza della disponibilità di un alloggio dotato di idonea certificazione. Anche l’Anci ha commentato negativamente questa misura, hanno sottolineato le associazioni nel corso della conferenza stampa. Il disegno di legge prevede inoltre l’obbligo di presentare il titolo di soggiorno per la presentazione di istanze o per autorizzazioni (come le pubblicazioni per il matrimonio) e chiede ai medici di segnalare i clandestini che hanno visitato (una proposta che ha spinto Medici senza frontiere a organizzare una manifestazione, in corso sempre oggi a Roma).

Anziché accrescere gli oneri per permessi di soggiorno che spesso arrivano scaduti, andrebbe, a giudizio delle associazioni , rilanciato un forte programma di integrazione sociale, ripristinando i fondi erosi nel passaggio dal ministero della Solidarietà sociale a quello dell’Interno, sanando alcune situazioni (come quella che riguarda i circa 20mila minori apolidi, figli di profughi provenienti dalla ex Jugoslavia), creando la possibilità di ingresso regolare (vedi la proposta presentata l’altro giorno per l’istituzione del permesso per cercare lavoro), favorendo i ricongiungimenti e creando un percorso di cittadinanza per i circa 700mila minori stranieri, molti dei quali sono nati in Italia.

Immigrazione: trattato Italia-Libia; l'appello contro la ratifica

 

Redattore Sociale - Dire, 3 febbraio 2009

 

Dopo il film-verità sulle violazioni dei diritti umani in Libia, artisti, scrittori tra cui Dario Fo e Erri De Luca si appellano ai senatori oggi riuniti a Palazzo Madama. E la pellicola "scomoda" non trova distributori.

Un appello ai senatori a non ratificare il Trattato d’amicizia Italia-Libia, sul quale si apre oggi la discussione a palazzo Madama dopo l’approvazione della Camera. Tremila firme raccolte per chiedere una missione umanitaria e una commissione d’inchiesta internazionali per le violazioni dei diritti umani di cui è accusata la polizia di Gheddafi nell’attività di controllo dei flussi migratori.

"Io stesso sono stato deportato nel carcere di Kufrah e rivenduto dai poliziotti libici ai trafficanti. Le cifre sono di 30 o 50 dinari, tanto vale una persona", denuncia Dagmawi Yimer, uno dei promotori dell’iniziativa e autore del film documentario "Come un uomo sulla terra", in cui ha raccolto per la prima volta le testimonianze di altri rifugiati africani passati dalle carceri libiche per poi approdare in Italia.

Un viaggio al limite della sopravvivenza che anche lui ha intrapreso per fuggire dalla repressione politica di Addis Abeba nel 2005. "Patiscono soprattutto le donne e i bambini, trasportati nel deserto dentro ai container - racconta Yimer - ci sono persone in prigione da due anni senza processo. Gli immigrati non hanno modo di rimanere legalmente in Libia, è questo che li spinge a imbarcarsi per raggiungere l’Italia".

Con l’accordo firmato a Bengasi in occasione della visita del premier Berlusconi lo scorso 30 agosto, che pone fine al contenzioso dovuto al passato coloniale, l’Italia si impegna a versare alla Libia oltre 200 milioni di euro per 20 anni, per un totale di circa 5 miliardi di dollari. La cooperazione ha nel contrasto all’immigrazione illegale uno dei punti chiave.

"Nel Trattato non è previsto per il governo di Gheddafi alcun obbligo concreto e verificabile di accoglienza, di tutela del diritto d’asilo e di rispetto della dignità umana", si legge nell’appello rivolto ai senatori dagli autori del documentario e dall’osservatorio Fortress Europe.

"Come un uomo sulla terra" dipinge un’odissea libica fatta di deportazioni, soprusi, corruzione, compravendita dei disperati che fuggono dalle guerre e dalle dittature dei Paesi sub sahariani e del Corno d’Africa. Sono oltre 95 mila i fermati in Libia tra il 2006 e il 2007, secondo le cifre fornite dal film. Le prigioni in mezzo al deserto sono ‘lager’ anche per alcuni parlamentari italiani del Partito democratico promotori di interrogazioni parlamentari stimolate dal film nei mesi scorsi.

Il documentario di Dagmawi Yimer, Andrea Segre e Riccardo Biadene, auto-prodotto dall’associazione Asinitas Onlus e da Zalab è un dito puntato contro la miopia e il silenzio dei governi europei sulle sorti di chi attraversa il Sahara, il Sudan e la Libia tra violenze e torture, prima di sbarcare a Lampedusa. Una pellicola scomoda che non trova canali di diffusione, lamentano gli autori. "Nessuno ha voluto distribuirlo - afferma Yimer - anche le case cosiddette indipendenti non sono andate oltre gli apprezzamenti formali per quello che abbiamo prodotto".

In occasione della discussione in Senato, il film può essere visto sul sito comeunuomosullaterra.blogspot.com in edizione integrale, oggi alle 9.30, 14.30 e 21.00. Hanno sottoscritto l’appello nomi di spicco della cultura italiana, dal premio Nobel Dario Fo a Marco Paolini, Ascanio Celestini, Gad Lerner, Emanuele Crialese, Erri De Luca.

Immigrazione: trattato Italia-Libia; testo dell'appello a senatori 

 

Redattore Sociale - Dire, 3 febbraio 2009

 

Testo sottoscritto da personalità del mondo della cultura. Chieste una commissione di inchiesta internazionale sulle modalità di controllo dei flussi migratori in Libia e una missione per verificare la condizione delle persone detenute.

Oggi si apre al Senato la discussione per l’approvazione del Trattato Italia-Libia. Per l’occasione, un appello è stato rivolto ai senatori italiani contro quelle che vengono definite le "deportazioni e le violenze a danno dei migranti africani in Libia". L’appello è sottoscritto da numerose personalità del mondo della cultura e dello spettacolo, tra i quali Dario Fo, Marco Paolini, Ascanio Celestini, Franca Rame, Gad Lerner, Erri De Luca, Goffredo Fofi, Francesca Comencini. Assieme a loro altri 2500 firmatari da Italia, Francia, Germania, Spagna, Inghilterra, Tunisia, Marocco, Senegal, Mali e altri paesi.

Si legge nel documento: "Con questo appello vogliamo rilanciare la petizione contro le deportazioni dei migranti in Libia, promossa dagli autori del film ‘Come un uomo sulla terrà e dall’osservatorio Fortress Europe ed oggi firmata già da oltre 2500 persone".

"Nel Trattato Italia-Libia - è scritto nell’appello - non è previsto per il governo di Gheddafi alcun obbligo concreto e verificabile di accoglienza, di tutela del diritto d’asilo, di rispetto della dignità umana: la Libia semplicemente li deve fermare, non importa come. Questa direzione non fa altro che confermare la riduzione dei migranti a strumento politico di cui poter liberamente predisporre. Gheddafi potrà continuare ad utilizzare i flussi di migranti come strumento di pressione per accrescere il suo potere contrattuale con l’Italia e l’Europa. I migranti, tra i quali vi sono anche molte donne e minori, continueranno a rischiare la vita, tanto nelle carceri, nei container e nei centri della polizia libica, quanto nel deserto e nel mare, che saranno spinti ancor più ad attraversare proprio a causa delle violenze da parte della polizia libica stessa".

"In Libia - precisa l’appello - si compiono continue violazioni dei diritti umani fondamentali: arresti indiscriminati, violenze, deportazioni di massa, torture, connivenze tra polizia e trafficanti. Ai migranti, molti dei quali in fuga da paesi in guerra o dittatoriali come Etiopia, Sudan, Eritrea, Somalia, non è garantito alcun diritto, a partire proprio da quelli di asilo e di protezione umanitaria, perché la Libia semplicemente non ha mai aderito alla Convenzione di Ginevra. Per questo alla Libia non può essere affidato con tanta noncuranza e superficialità il compito di fermare i migranti.

Chiediamo pertanto che nella discussione al Senato sul trattato si tenga presente quanto richiesto nella petizione, dove le centinaia di firmatari chiedono che Parlamento italiano ed europeo, insieme a governo italiano, Ce e a Unhcr promuovano: una commissione di inchiesta internazionale e indipendente sulle modalità di controllo dei flussi migratori in Libia anche in seguito agli accordi bilaterali con il Governo Italiano; l’avvio rapido, vista l’emergenza della situazione, di una missione internazionale umanitaria in Libia per verificare la condizione delle persone detenute nelle carceri e nei centri di detenzione per stranieri".

Conclude l’appello: "Invitiamo tutti gli italiani ed in particolare senatori e deputati, a vedere lunedì 2 febbraio alle 21.00 (ieri, ndr), martedì 3 febbraio alle ore 9.30, 14.30 e 21.00 il film ‘Come un uomo sulla terrà, che in questa delicata fase autori e produzione hanno deciso di mettere in onda via web sul sito del film: http://comeunuomosullaterra.blogspot.com".

Immigrazione: Maroni; bisogna essere "cattivi... non buonisti"

 

Corriere della Sera, 3 febbraio 2009

 

"Per contrastare l’immigrazione clandestina non bisogna essere buonisti ma cattivi, determinati, per affermare il rigore della legge". Lo ha detto il ministro degli Interni Roberto Maroni intervenendo ad Avellino alla manifestazione "Governincontra". Maroni ha inteso così rispondere "a chi in questi giorni - ha ricordato - ci ha accusato di fare discorsi da osteria padana".

Le parole del ministro suonano come una risposta a quelle dell’ex titolare del Viminale, che in un’intervista al Corriere della Sera ha parlato di immigrazione attaccando la Lega: "È un fenomeno che orienterà i processi economici e sociali dell’Europa per un secolo, non lo si può affrontare con l’orecchio teso alle voci delle osterie della Bassa padana. Esiste un clima emotivo che eccita gli istinti più bassi ed esistono fatti inaccettabili, le violenze, gli stupri che lo alimentano. Ma la tolleranza zero è uno slogan fortunato che non vuol dire nulla". Secondo l’ex ministro, l’Italia dovrebbe accogliere 200-300mila immigrati all’anno. "In Italia non esiste una politica dell’immigrazione - aggiunge -, il Parlamento non via ha mai dedicato una seduta, si è limitato a piccoli provvedimenti sulla spinta di fatti che avevano scosso l’opinione pubblica e la responsabilità della Lega non può essere nascosta". Pisanu, interpellato dopo le dichiarazioni del collega di maggioranza, si è limitato a dire: "Si commenta da solo".

Pd: "parole pericolose" - Parole che il Pd definisce "pericolose. "Per affermare il rigore della legge non bisogna essere né buoni né cattivi, bisogna esser seri dando alle forze dell’ordine gli strumenti necessari e cessando la propaganda - dice il portavoce Andrea Orlando -. Di questi giorni in cui la cattiveria non manca, pensiamo al tragico episodio di Nettuno, dal ministro Maroni ci aspettiamo più misura nell’utilizzo di parole che possono essere pericolose. In una sola giornata esponenti della maggioranza come Maroni e Pisanu hanno detto cose opposte: è un altro segnale di divisione su un argomento di grande importanza".

Ferrero: "razzismo" - Con Pisanu si schiera il segretario di Rifondazione Comunista Paolo Ferrero, secondo cui l’ex ministro fa bene a denunciare "gli atti di razzismo che continuano a verificarsi nel nostro paese, ma il problema che non vede è che non si può tollerare e accettare che sia un ministro dell’Interno a professarsi apertamente razzista e xenofobo". Secondo Ferrero, "Pisanu si rende conto che le posizioni più razziste e xenofobe stanno prendendo sempre più piede nella sua coalizione. Razzismo e xenofobia sono arrivate ai vertici massimi delle istituzioni".

"Stupri in calo" - Ad Avellino Maroni ha anche affrontato l’argomento degli stupri, sottolineando che il fenomeno è in calo: "Non confondere le emozioni con il fenomeno: i reati e anche quelli a sfondo sessuale sono in calo. In pochissimo tempo i risultati ci sono stati: non c’è oggi un’emergenza sicurezza. Nel 2008 rispetto al 2007 sono diminuiti i reati dell’11 per cento, del 12 per cento sono diminuite le rapine. È diminuito anche il numero di reati contro le donne, di violenza sessuale, del 9 per cento. Se ne fa un gran parlare a causa di episodi terribili, ma non confondiamo l’indignazione e l’emozione". Maroni ha sottolineato che sul tema della sicurezza vanno messe da parte le polemiche: "È interesse di tutti, destra e sinistra, affrontare il tema della sicurezza come un obiettivo comune. Purtroppo sento ancora polemiche che non servono e che portano all’allarmismo".

Immigrazione: Pisanu; Berlusconi non subisca slogan leghisti

 

Corriere della Sera, 3 febbraio 2009

 

"Guardiamo tutto nell’ottica della sicurezza, e con gli occhiali appannati dalla paura. Dalle elezioni politiche in poi, è prevalso un approccio molto emotivo e poco razionale all’immigrazione. Il clima di questi giorni - la tentazione di farsi giustizia da sé, l’odio, il timore - è legato anche alla disinvoltura e alla strumentalità di cui si è data prova. L’immigrazione è un fenomeno che orienterà i processi economici e sociali dell’Europa per un secolo; non lo si può affrontare con l’orecchio teso alle voci delle osterie della Bassa padana. Il sonno della ragione genera mostri. Comportamenti aberranti da una parte. Dall’altra, misure rivolte a tranquillizzare l’opinione pubblica e a giustificare slogan elettorali".

Giuseppe Pisanu, presidente dell’Antimafia, ex ministro dell’Interno, quarant’anni di politica alle spalle, premette di voler evitare polemiche personali, tanto meno con il successore. "Purtroppo si è formata una subcultura impressionante, che rende difficile il lavoro anche a chi, come Maroni, vuole affrontare i problemi in modo razionale. Si sono create condizioni in cui ci si ritrova come l’apprendista stregone che non riesce a dominare i fantasmi da lui stesso evocati. Quando ero al Viminale spuntò un piano, preparato da un illuminato ministro tra l’altro non della Lega, in cui si parlava di cannonate al peperoncino da sparare contro gli scafisti e missili a testata elastica per fermare le eliche delle barche. Dissi che, se me l’avessero portato, quel piano sarebbe volato dalla finestra insieme con il portatore...". Pisanu non nega la gravità delle premesse. "Esiste un clima emotivo, che eccita gli istinti più bassi, ed esistono fatti inaccettabili, le violenze, gli stupri, che lo alimentano.

La "tolleranza zero" è uno slogan fortunato, che però non vuol dire nulla. Già la tolleranza 0,1 verso l’illegalità sarebbe troppo; ma più d’una volta ho avuto la sensazione che la tolleranza zero servisse a giustificare l’intolleranza. L’intolleranza verso l’estraneo, verso chi la pensa diversamente, appartiene ad altre culture o ha altre convinzioni religiose ". L’impulso a farsi giustizia da soli, sostiene Pisanu, nasce solo in parte dal lassismo, dalle scarcerazioni facili, dal meccanismo delle garanzie che appare troppo indulgente. "La vera battaglia è la prevenzione. Concentrarsi sulla repressione di reati già commessi significa aver già perso. Andrebbe affermato il principio che l’immigrazione clandestina è solo l’aspetto patologico di un fenomeno positivo: se vogliamo mantenere il nostro tasso d’attività, e quindi la nostra ricchezza, con l’attuale trend di nascite dobbiamo accogliere 2-300 mila immigrati l’anno.

Numeri che, tranne forse in questo anno di crisi, coincidono con il fabbisogno di manodopera indicato dagli industriali del Nord. Il paradosso è che l’estremismo anti islamico e la speculazione politica vengono alimentati soprattutto dove dell’immigrazione c’è più bisogno". La recessione è destinata a rendere il quadro ancora più inquietante: "Penso alla vicenda penosa dei lavoratori italiani contestati in Inghilterra. Se persino loro sono guardati come concorrenti, cosa può accadere agli extracomunitari?". Ma l’allarme sociale, ragiona Pisanu, non è legato solo al disagio economico. "Stiamo arrivando alla seconda generazione di immigrati. Nella banlieue parigina la rivolta nasce dall’emarginazione sociale e dall’isolamento culturale, più che dalla povertà. Gli attentatori di Madrid problemi economici non ne avevano, così come i terroristi di Londra, esponenti della piccola e media borghesia dell’immigrazione pachistana.

Segnali di rivolta sono sempre più evidenti anche in Italia. Le bandiere cinesi sventolate in via Paolo Sarpi; la ribellione dei giovani nigeriani nel Casertano; le grandi manifestazioni sfociate nelle preghiere in piazza Duomo a Milano, al Colosseo, davanti a San Petronio ". Preghiere da vietare? "Sì. Perché rivelano un progetto pericolosissimo: dare contenuto religioso a una protesta politica. È il meccanismo con cui si sono affermati Hamas e Hezbollah. Va disinnescato. Ma non soltanto con i divieti. La verità è che una politica dell’immigrazione non esiste. Il tema è importante quanto la recessione, ma il Parlamento non vi ha mai dedicato una seduta; si è limitato a piccoli provvedimenti qua e là, sempre sulla spinta di fatti che avevano scosso l’opinione pubblica e sempre sul versante della repressione. In questo clima di intolleranza un atteggiamento razionale, intelligente, umano - penso ad esempio al cardinale Tettamanzi - viene additato come eversivo. E qui la responsabilità politica della Lega non può essere nascosta". Un esempio di irrazionalità appare a Pisanu l’emergenza di Lampedusa. "Gli sbarchi rappresentano appena il 15% dell’immigrazione clandestina.

La forma più povera e debole, su cui si concentra un’attenzione esasperata. Da ministro andai a visitare il centro di Lampedusa: 800 persone vivevano in condizioni indegne, in un posto che ne teneva a stento un quarto. Feci costruire un nuovo centro, e diedi ordine di trasferire in tempi rapidi i nuovi arrivati". Ora si è scelta la via opposta: tutti resteranno sull’isola, in attesa di essere rimpatriati. "Ma per rimpatriare un clandestino occorre prima identificarlo; e tutti o quasi hanno gettato via i documenti. Poi bisogna verificare che non abbia lo status del rifugiato. Infine serve l’accordo con il Paese di provenienza. A Lampedusa molti arrivano dalla Tunisia; e noi con la Tunisia facemmo buoni accordi. Ma non possiamo pensare che accolga in blocco centinaia di clandestini". Per quanti c’è posto a Lampedusa? "Dicono 800. Secondo me, di meno. Oggi sono 1.200. La situazione è esplosiva; può succedere di tutto. Si dovrebbe alleggerire la pressione sull’isola. Invece si accumula tensione, accumulando immigrazione in un solo posto". Che impressione le fa vedere l’esercito nelle vie delle città? "È solo mostrare la bandiera. L’ostentazione apparente, ma non efficace, della forza dello Stato. Ognuno deve fare il proprio lavoro.

Noi abbiamo ottimi militari, che sanno e vogliono fare i militari. Possono essere utili per presidiare obiettivi fissi, zone sensibili. Ma le funzioni di ordine pubblico non le sanno e non le vogliono fare. In tutto il mondo la tendenza è opposta: nella gestione della sicurezza e della pace sociale la professionalità è sempre più elevata". Pisanu è stato il ministro dell’Interno di Berlusconi per tre anni. In cuor suo, il presidente del Consiglio come la pensa? "Se lo conosco, e credo di conoscerlo, Berlusconi la pensa come me. Un po’ per la sua carica di umanità, un po’ per la sua apertura naturale ai problemi del lavoro. Ricordo quando sostenni in sede europea che la miglior arma contro l’immigrazione clandestina sono gli immigrati regolari, e occorrono accordi con i Paesi poveri per scambiare posti di lavoro da noi con maggiori controlli da loro. Berlusconi mi incoraggiò su questa linea. Lui è un uomo senza pregiudizi. Purtroppo subisce il peso condizionante della Lega".

Droghe: Padova; "canna" in Consiglio comunale, per dissenso

 

Notiziario Aduc, 3 febbraio 2009

 

La capogruppo dei Verdi in Consiglio comunale a Padova, Aurora D’Agostino, ha acceso stasera nell’aula dell’assemblea una sorta di spinello, per protesta contro la recente ordinanza anti droga del sindaco Zanonato.

"E ora voglio la multa", ha detto l’esponente verde, mentre si accendeva seduta al proprio banco quella che lei stessa più tardi ha definito una "canna". Mentre il sindaco, Flavio Zanonato, non degnava d’uno sguardo la consigliera, la presidente del consiglio comunale, Milva Boselli, ha invitato D’Agostino ad uscire dall’aula, ricordando che in ogni caso c’è il divieto di fumare in luogo pubblico.

"Il fatto ridicolo di questa vicenda - ha commentato D’Agostino, riferendosi alle multe da 500 euro che rischiano a Padova quanti consumano o si scambiano droga nei luoghi pubblici - è che nella sede del Municipio nessuno sa cosa fare e prima che i vigili mi sequestrassero la canna è passata più di un’ora". L’esponente dei Verdi ha rilevato che i vigili urbani non sono dotati di narco-test, ed infatti "decideranno solo domani se farmi o meno la multa. Ho il sospetto che anche le sanzioni fatte nei primi giorni dell’ordinanza siano state arbitrarie".

Gran Bretagna: sedia-scanner, per scoprire i telefonini nell’ano

 

Ansa, 3 febbraio 2009

 

Uno speciale scanner elettronico che rileva la presenta all’interno dell’organismo di cellulari, armi e qualsiasi oggetto di metallo. Con questo apparecchio le amministrazioni carcerarie dell’Inghilterra e del Galles intendono fermare il continuo traffico di telefonini e altro, tra detenuti e visitatori.

Telefonini nascosti dove non batte il sole - In effetti le carceri britanniche non sono affatto inespugnabili per i contrabbandieri di telefonini. Solitamente i detenuti riescono a portarsi in cella i cellulari che gli vengono portati dai visitatori infilandoseli su per l’ano. Secondo il ministro David Hanson, competente in materia penitenziaria, l’installazione di questi particolari scanner in ogni prigione è l’unico deterrente al traffico illegale di cellulari.

Una sorta di "sedia elettrica" - La macchina infernale si chiama B.O.S.S., ovvero Body Orefice Security Scanner, una sorta di sedia sulla quale viene fatto accomodare il soggetto da perquisire e che in pochi secondi viene esaminato da cima a fondo evitando a lui e alle guardie il vecchio sistema dell’ispezione rettale manuale.

Lo scanner presto in 102 prigioni - Le prove che sono state fatte nel carcere inglese di Woodhill hanno consentito di "portare alla luce" 21 telefonini custoditi tra le chiappe dei detenuti. Presto 102 penitenziari britannici avranno la loro "sedia elettrica" trova cellulari. Giorni contati dunque per le comunicazioni tra malviventi che d’ora in avanti dovranno escogitare nuovi sistemi per contattare l’esterno.

Stati Uniti: sperimentato primo carcere che va ad energia eolica

 

Ansa, 3 febbraio 2009

 

Se nelle carceri italiane è stato portato il sole, nella prigione statunitense di West Boylston sarà l’energia del vento a fare capolino.

Le sbarre in questione sono quelle della prigione e Casa di Correzione Worcester County nella cittadina di West Boylston, dove lo sceriffo federale Guy Glodis ha recentemente reso nota l’intenzione di ridurre i costi dell’istituto di detenzione passando alle rinnovabili e più precisamente all’eolico.

Non è certamente la prima volta che le fonti rinnovabili fanno capolino oltre le mura carcerarie come dimostra il progetto italiano "Programma Nazionale di Solarizzazione degli istituti Penitenziari", ma si tratta pur sempre di notizie che suscitano piacere. "Ora più che mai abbiamo bisogno di pensare al di fuori dal coro", ha spiegato Glodis in un comunicato stampa. "Investendo nella pulita energia eolica stiamo innanzitutto facendo risparmiare centinaia di migliaia di dollari ai contribuenti, mentre pianifichiamo il nostro futuro a lungo termine".

Il progetto realizzato in collaborazione con il Massachusetts Renewable Energy Trust, procederà attraverso due fasi: la prima vedrà un periodo di test (12 mesi) attraverso l’installazione di una torre anemometrica alta 48,7 metri che misurerà velocità, direzione e turbolenze del vento. Contemporaneamente saranno studiati i livelli di rumore, lo spazio aereo ed ambientale.

Il passo successivo sarà invece l’installazione della prima di tre turbine da 2,5 Mw ciascuna, che in condizioni ideali potrebbe produrre oltre 5,2 milioni di Kwh di energia elettrica in un anno, a fronte di un consumo da parte del penitenziario di circa 6 milioni di kWh l’anno. Sulla base di dati preliminari, una volta in opera le turbine porterebbero ad un risparmio superiore ai 350.000 dollari, con l’ulteriore possibilità di vendere il surplus alla rete elettrica.

 

 

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