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Giustizia: Bonino; carcere specchio della malagiustizia italiana
Ansa, 19 dicembre 2009
"Tenere i lavori di un congresso in un carcere è una scelta politica", ha dichiarato ieri la vicepresidente del Senato Emma Bonino, intervenuta al IV Congresso dell’associazione contro la pena di morte "Nessuno tocchi Caino", in corso nella Casa di Reclusione di Padova. "Le nostre carceri esplodono e la stragrande maggioranza dei detenuti è in attesa di giudizio - afferma Emma Bonino - questa situazione penosa è un sintomo della malagiustizia italiana. In un Paese in cui i processi durano dieci anni, infatti, la giustizia non esiste per nessuno e tutti i tentativi di riformarla, dal caso Tortora in poi, sono andati a vuoto". "Con l’iniziativa di riunirci in un carcere - ha proseguito - Nessuno tocchi Caino intende sottoporre queste priorità all’attenzione generale del Paese, per rendere visibile una realtà che molti, invece, vorrebbero mantenere invisibile". Per Bonino, "oltre alla vita di Caino, difesa con la battaglia vinta per l’approvazione della moratoria universale della pena di morte e con quella in corso per la sua attuazione, quest’associazione difende i diritti di Abele, e lo fa in un luogo come il carcere, dove lo Stato di diritto è venuto a mancare per moltissimi cittadini". Giustizia: Orlando (Pd); le carceri sono fuori dalla Costituzione
9Colonne, 19 dicembre 2009
"Chi entra in carcere oggi smette di essere un cittadino italiano perché lo stato in cui versano le carceri è fuori da ogni norma costituzionale". Lo afferma, intervenendo alla trasmissione Question Time, in onda su YouDem Tv, il responsabile del forum Giustizia del Partito democratico Andrea Orlando. "Abbiamo il dovere di punire i cittadini che commettono reati ma non abbiamo il diritto di torturarli. Lo stato in cui versano oggi le carceri in Italia non è accettabile e, tra l’altro, cominciano a essere un problema di sicurezza dentro le carceri e di vigilanza delle carceri stesse". Giustizia: per Aldo Bianzino nessuna verità e nessuna giustizia
Il Manifesto, 19 dicembre 2009
È un silenzio gelato come la neve che imbianca le montagne dell’Umbria quello che da ieri è sceso sul caso di Aldo Bianzino, il falegname di Pietralunga che ebbe il torto di entrare in prigione un altrettanto fredda sera di autunno per uscirne morto due giorni dopo. La procura di Perugia ha deciso con rapidità inesorabile e stupefacente di archiviare: di chiudere, in una parola, il capitolo. Di ignorare cioè le opposizioni degli avvocati alla richiesta di escludere la possibilità dell’omicidio. Aldo Bianzino morì per cause naturali anche se entrò in carcere sano. Solo preoccupato, forse, per la sua compagna, arrestata inspiegabilmente con lui, e per il figlio tredicenne Rudra, rimasto solo con la vecchia nonna in un casale sperduto sui monti dell’Alta valle del Tevere. La tesi che fu solo il caso a far morire Aldo di quell’aneurisma che implacabile attendeva di scoppiare nella sua testa - tesi liberatoria che sul banco degli imputati mette solo il Fato e il Creatore - è stata dunque ribadita dalla decisione del Gip del tribunale di Perugia che mette i sigilli a un’inchiesta lacunosa su cui grava, lo voglia o meno il giudizio del tribunale, l’ipotesi dell’omicidio a carico di ignoti. Il giudice ha accolto la seconda richiesta di archiviazione del fascicolo avanzata dal pm Giuseppe Petrazzini. A entrambe le istanze si erano invece opposti i famigliari di Aldo. Cui resta tra le mani la sola omissione di soccorso a carico di una guardia penitenziaria e dunque l’ipotesi che alla fine lo Stato sanerà col denaro l’incapacità di accertare la verità. Sarà quel processo, da celebrarsi la prossima estate, l’ultimo appiglio forse per far riaprire il caso. In quella sede, ripercorrendo quelle ore oscure al carcere di Perugia, la tentazione di vederci chiaro potrebbe risaltar fuori. Proviamo a farlo ora. Bianzino entra in prigione il 12 ottobre 2007 ma la mattina di domenica 14 viene rinvenuto, inanimato, sulla branda superiore del suo letto. I suoi indumenti si trovano, ordinati, su quella inferiore. La finestra della cella è aperta e, sebbene sia ottobre inoltrato, Aldo indossa solo una maglietta a maniche corte. Per il resto è nudo. La notte si è lamentato ma solo al mattino viene trasportato fuori della cella e deposto sul pavimento del corridoio dell’infermeria, sita a pochi metri. Viene innalzato un lenzuolo così che gli altri detenuti non vedano. Un medico dirà: "... non so spiegarmi per quale motivo sia stato portato sul pianerottolo davanti alla porta dell’infermeria ancora chiusa poiché (in altri casi) il nostro intervento avveniva direttamente in cella". Si tenta la rianimazione, effettuando il massaggio cardiaco: uno dei punti più controversi. Le indagini rivelano subito "...lesioni viscerali di indubbia natura traumatica (lacerazione del fegato) e a livello cerebrale una vasta soffusione emorragica subpiale, ritenuta al momento di origine parimenti traumatica...". L’inchiesta si ferma lì: qualche interrogatorio, le perizie, i filmati del circuito chiuso. Viene aperto un procedimento nei confronti di una guardia per omissione di soccorso. Ma poiché l’autopsia ha rivelato che Aldo è morto per lo scoppio di un aneurisma cerebrale, il gioco è fatto. Il caso chiuso. E il fegato "strappato" dalla sede naturale? E quella perizia secondo cui la lacerazione epatica deve "...essere ritenuta conseguenza di un valido trauma occorso in vita e certamente non può essere ascrivibile al massaggio cardiaco, in riferimento al quale vi è prova certa che avvenne a cuore fermo"? Ma è anche quella una tragica fatalità: la lesione epatica viene ritenuta estranea all’evento letale facendo escludere "... l’esistenza di aggressioni" perché, sostengono gli inquirenti, quella lesione fu l’effetto di un massaggio cardiaco. Così mal fatto da strappare il fegato che, com’è noto, non è esattamente di fianco al cuore. Non è lecito ipotizzare che quell’aneurisma sarebbe potuto restare dormiente per alti vent’anni se un improvviso fatto traumatico (anche solo emotivo) non lo avesse sollecitato? E non è bizzarro pensare che il massaggio di un esperto possa "strappare" un fegato? Non era sufficiente tutto ciò almeno per un supplemento di indagine? Non aveva, Aldo Bianzino, se non il diritto di continuare a vivere, almeno quello di ottenere giustizia? Giustizia: no all’archiviazione dell'inchiesta sulla morte di Aldo
Comunicato stampa, 19 dicembre 2009
"Arrestati e condotti nel carcere di Capanne - Aldo viene portato in isolamento e Roberta nel braccio femminile - al termine di una perquisizione, firmata dal pm Petrazzini, trovate solo alcune piante di marijuana e 30 euro in contanti". È l’assurdo inizio della fine di Aldo. Uomo libero, consumatore e coltivatore di canapa che per questo viene arrestato e muore in carcere, in una città che si preoccupa soltanto di reprimere i consumatori e la "manodopera di strada" mentre rimane una piazza centrale del narcotraffico. A più di due anni da questa "misteriosa" morte, si tenta ancora di insabbiare la verità. Infatti, mentre è stato rinviato a giudizio l’agente di polizia penitenziaria accusato di omissione di soccorso, viene archiviato il procedimento per omicidio, volendo farci credere che Aldo sia "stato ucciso" in carcere da un malore accidentale. L’ipotesi di morte naturale viene però formulata solo dopo la seconda autopsia sul corpo di Aldo. Và ricordato che nella prima autopsia vengono riscontrate diverse lesioni "compatibili con l’ipotesi di omicidio" e i medici legali dichiarano probabile la sua morte per percosse. Nella seconda, con l’asportazione del fegato e del cervello, la sua morte viene fatta risalire a cause naturali, negando di fatto l’ipotesi delle percosse. Una terza perizia viene richiesta dal giudice e affidata agi stessi medici legali! Il risultato? Il fegato di Aldo si sarebbe staccato in seguito ad un massaggio cardiaco (effettuato da medici competenti!). Dall’analisi dagli atti che giustificano l’archiviazione permangono diversi dubbi: - Aldo viene ritrovato rannicchiato nel letto nudo con addosso una sola maglietta (che i familiari affermano non appartenergli) e con la finestra aperta, ad ottobre inoltrato. - Al momento del ritrovamento del corpo di Aldo non è stata effettuata alcuna ispezione della cella numero 20 nella quale era stato rinchiuso. - Nonostante viene affermato che dall’analisi delle riprese delle telecamere a circuito chiuso del carcere non risultino elementi rilevanti, non si parla del perché queste all’inizio vengono dichiarate non funzionanti mentre in seguito viene affermato che il loro funzionamento avviene con registrazioni ad intervalli regolari. Inoltre come è possibile che lo stesso pm Petrazzini che ha ordinato l’arresto di Aldo sia anche quello che ha indagato sulle cause della sua morte? Non è corretto che uno stesso magistrato svolga contemporaneamente il ruolo dell’accusa e della tutela (ruolo della difesa) nei confronti della medesima persona. Al limite il magistrato che ha emesso l’ordinanza di perquisizione nei confronti di Aldo poteva essere sentito come parte in causa all’interno dell’inchiesta sull’omicidio, ormai archiviata. Questa è la "storiella" alla quale vogliono farci credere, dandoci come "contentino" il capro espiatorio di turno. In risposta ad uno stato che vuole controllare i cittadini e reprimere qualsiasi comportamento che sia difforme dalla norma, e ad un comune che non si è mai esposto su questa vicenda continuando invece ad alimentare politiche securitarie attraverso la privatizzazione del controllo sui nostri corpi e le nostre vite, noi continueremo ad opporci a questa sicurezza che vuole limitare le nostre libertà individuali e che allo stesso tempo lascia impuniti casi molto simili a quello di Aldo come quelli di Stefano Cucchi, Marcello Lonzi e Stefano Frapporti, solo per citarne alcuni, ma che potrebbe capitare a tutti noi in qualsiasi momento. Continueremo quindi a diffondere lotte dal basso e consapevolezza perché non si può finire in carcere per qualche pianta d’erba in nome di una sicurezza che è solo repressione e morte.
Comitato Verità e Giustizia per Aldo Padova: Casellati; presto 10 milioni € per la Casa Circondariale
Ansa, 19 dicembre 2009
"Cercherò già in questa finanziaria di far destinare 10 milioni di euro al carcere circondariale di Padova per far sì che i lavori già avviati, ed eseguiti per 3,5 milioni di euro siano portati a compimento entro un anno". Lo ha annunciato il sottosegretario alla Giustizia Elisabetta Casellati, che questa mattina ha visitato per oltre due ore il carcere di Padova, teatro nei giorni scorsi di una protesta dei detenuti contro la situazione di sovraffollamento. "La situazione, fatta eccezione per un piano, è seria - ha sottolineato il sottosegretario al termine della visita - Potrebbe essere sicuramente migliore, ma credo che si possa parlare di emergenza solo per un piano della struttura. Gli operatori stanno facendo un ottimo lavoro per contenere eventuali episodi di violenza, che secondo loro però non sarebbero direttamente riconducibili alla situazione di sforamento della capienza teorica". Secondo il sottosegretario Casellati, il carcere di Padova "ha bisogno di un ulteriore ampliamento della struttura destinata ai detenuti in attesa di giudizio". "Con i 10 milioni che ai tecnici del ministero chiederò di sbloccare immediatamente per la struttura circondariale padovana - ha affermato - riusciremmo nel giro di un anno a dare altri 100 posti per altrettanti detenuti: una boccata d’ossigeno per chi si trova a passare e per chi lavora tutti i giorni in questa struttura". Padova: dopo visita della Casellati, nuovi disordini nel carcere
Ansa, 19 dicembre 2009
Dopo la visita del sottosegretario Elisabetta Casellati al carcere circondariale di Padova, è scoppiata la sommossa di una decina di detenuti in attesa di giudizio, con nuovi episodi di vandalismo all’interno delle celle. Circa due ore dopo che il sottosegretario aveva lasciato la struttura, i detenuti hanno battuto i piatti di metallo sulle sbarre, incendiato alcune lenzuola, minacciato le guardie carcerarie e danneggiato le celle. Per fronteggiare la protesta, sono stati fatti arrivare una quindicina di agenti di custodia in servizio nel vicino istituto di reclusione penale e la situazione sta tornando lentamente alla normalità. Siena: detenuti impiegati in impianto di lavorazione dei rifiuti di Franco Tinelli
La Nazione, 19 dicembre 2009
Detenuti protagonisti del programma di reinserimento all’impianto di trattamento della spazzatura di Sienambiente a Pian delle Cortine. Quando la puzza dell’immondizia anticipa il profumo della libertà. Per i detenuti che lavorano nel grande impianto di lavorazione dei rifiuti nato nel 2002 a Pian delle Cortine, vicino a Casetta, e gestito da Sienambiente, quell’odore acre che prende un po’ alla gola è il segnale inequivocabile che la pena sta per finire. In quel grande "stomaco" di ferro e cemento che ogni giorno ingurgita 350 tonnellate di spazzatura portata dall’andirivieni di un centinaio di camion, ci sono infatti anche dei detenuti che si occupano della "digestione" al termine della quale escono separati tutti i materiali di scarto, pronti per andare al riciclaggio. L’idea che occupare detenuti alla fine della pena per il recupero dei rifiuti potesse aiutarli a riscattarsi e a recuperare una vita normale è nata nel 1998 ed è stato il frutto della collaborazione fra Sienambiente e il consorzio di cooperative sociali Arché, che reinserisce nel mondo del lavoro persone in difficoltà. Da allora decine e decine di detenuti, oltre a ex drogati ed ex alcolisti, sono usciti dal tunnel grazie a quelle ore passate ai nastri trasportatori sui quali scorrono gli oggetti che la società ha buttato via. Certo, è un lavoro duro, poco gratificante, ma è sempre meglio che stare dietro le sbarre, dicono quelle persone che provengono dal carcere di Ranza, a San Gimignano o da quello di Santo Spirito, a Siena, e che hanno alle spalle anni o lustri trascorsi nel chiuso di una cella. Il nastro comincia a scorrere all’alba. Uno, quello più rumoroso e puzzolente, trasporta bottiglie di plastica, bottiglie di vetro, lattine, sacchetti di plastica rotti, tappi. Con i guanti alle mani, la tuta e le cuffie, i detenuti, insieme agli altri lavoratori di Sienambiente, devono separare a mano quello che è sfuggito ai vagli meccanici a monte. Le lattine in un contenitore, il vetro in un altro, la plastica in un altro ancora. In una sala più silenziosa e inodore passa invece il nastro con carta e cartone. Anche in questo caso si tratta di separare a mano quello che sfugge al nuovo e sofisticato vaglio appena arrivato a Pian delle cortine. I turni, due, sono di sei ore e quindici minuti. A metà turno, ci si ferma per un quarto d’ora. Si va alla saletta con le macchinette a prendere un caffè, a mangiare qualcosa. Poi si torna. Dal 1998 ad oggi, a Pian delle cortine hanno lavorato una trentina di detenuti, più svariate decine di altre persone provenienti da percorsi di recupero dalla droga o dall’alcol. Undici anni fa, i lavoratori svantaggiati impiegati nell’impianto erano quattro. Oggi, sui cinquanta operai che fanno andare avanti la grande macchina di "valorizzazione dei rifiuti" di Sienambiente, più della metà, vale a dire ventinove, sono persone che hanno intrapreso progetti di reinserimento sociale. Di queste, sette sono detenuti o ex detenuti. Uno è in regime di semilibertà. Quindi deve rientrare in carcere la sera. Un altro invece è in libertà vigilata. Deve cioè andare a firmare una volta alla settimana in caserma. Gli altri cinque infine sono ex detenuti. Persone che hanno finito di scontare la loro pena e che sono rimasti a lavorare a Pian delle cortine. Qui hanno trovato non solo compagni di lavoro ma sono nate anche amicizie. Qualcuno ha fatto carriera e adesso è caporeparto, con incarichi di responsabilità. Lo stipendio è mediamente di 900 euro al mese. Si lavora sei giorni la settimana. La domenica riposo. Non c’è da scialare. Molti hanno moglie e figli. Nessuno recrimina. Periodicamente, tutti i lavoratori vengono sottoposti a controlli sanitari: prelievi del sangue, visite alle vie respiratorie, agli occhi. "Particolari malattie professionali non si riscontrano - afferma l’ingegner Alessio Biagini, il responsabile dell’impianto di Pian delle Cortine. Gli incidenti sul lavoro sono pochissimi e finora nessuno è stato grave". A fine turno, ci si saluta. Chi torna dietro le sbarre, chi invece va a casa. Domani si ricomincia. È la quotidianità, apprezzata, della vita dopo la noia mortale del carcere. Augusta (Sr): 15 detenuti al lavoro per Comune, con 3 disabili
www.giornaledisiracusa.it, 19 dicembre 2009
Al via il progetto "Reload", che impegna 18 tra detenuti in semilibertà e disabili che opereranno per sei mesi per il Comune di Augusta. Sono state avviate nei giorni scorsi le attività del progetto frutto della convenzione stipulata dal sindaco Massimo Carrubba con il consorzio "Laire". Si tratta di un progetto della Direzione Generale per le Politiche per l’Orientamento e la Formazione del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, proposto dall’Assessorato Politiche Sociali della Provincia Regionale di Siracusa, per la realizzazione di azioni sperimentali volte a garantire l’occupazione e l’occupabilità di soggetti con disagio mentale ed ex-detenuti. Il progetto prevede l’impiego di 15 detenuti in semilibertà e di 3 persone che ricadono nell’area della disabilità psichica, presso il comune di Augusta, per 4 ore al giorno per la durata di sei mesi. Si tratta prevalentemente di operai edili e generici che, durante lo svolgimento del tirocinio avranno a disposizione il tutor, Aldo Di Primio che li accompagnerà e supporterà, e saranno coordinati dall’assessore con delega al Verde pubblico Santino Arena, e che saranno impiegati in interventi di piccole manutenzioni e per la riqualificazione di alcune zone del tessuto urbano. Si è iniziato con gli interventi di diserbo e manutenzione dell’area del campetto Carrubba nel quartiere Terravecchia e del lungomare Paradiso per passare, nel periodo di interruzione delle attività didattiche, alla sistemazione delle aree esterne di pertinenza degli istituti scolastici. Eboli (Sa): stand per vendita manufatti, prodotti dai detenuti di Vincenzo Di Gerardo
Ristretti Orizzonti, 19 dicembre 2009
Il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca ha messo a disposizione dell’Istituto a custodia attenuata per il trattamento delle tossicodipendenze (Icatt) di Eboli uno stand per la vendita dei manufatti prodotti dai ristretti. A partire da ieri pomeriggio e fino a domenica prossima, due detenuti al giorno saranno presenti al mercatino di Salerno, per sovrintendere all’esposizione e alla vendita dei prodotti artigianali. Il ricavato sarà utilizzato per l’acquisto di altro materiale con cui si realizzeranno altri prodotti. "Per noi si tratta di un momento importante - sottolinea la dott.ssa Rita Romano, direttrice della casa di reclusione, perché, per la prima volta i detenuti provvedono non solo all’ideazione e alla realizzazione dei prodotti nei laboratori autogestiti, ma anche alla loro commercializzazione. Desidero esprimere un sentito ringraziamento al sindaco De Luca che ci ha dato questa opportunità, consentendoci di uscire al di fuori dei confini ebolitani, e al presidente del tribunale di Sorveglianza Carlo Maria Stallone da sempre attento e vicino alle nostre tematiche". Gli Icatt (cinque in tutta l’Italia) sono case di reclusione la cui funzione istituzionale è non solo la rieducazione dei ristretti ammessi, ma anche la loro formazione professionale e l’inserimento nel tessuto produttivo sociale dopo aver scontato la pena (alcuni lavorano già presso il Nuovo Elaion di Eboli). A questo proposito la dott.ssa Romano ci tiene a specificare che: "Tra i punti caratterizzanti gli istituti a custodia attenuata per il trattamento delle tossicodipendenze si evidenza la realizzazione di molteplici iniziative, da realizzarsi anche con l’intervento della Comunità esterna, tutte finalizzate al recupero e al reinserimento sociale dell’utenza. In tal senso all’interno dell’istituto da me diretto si realizza un’ampia serie di attività che spaziano dalle normali attività lavorative, culturali, ricreative e sportive, ad attività progettuali più complesse mirate ad un coinvolgimento sempre maggiore anche di altre Istituzioni. Recente è l’approvazione da parte della Commissione Europea del progetto "E-laerning in carcere prisioners and prisioners professional" (sullo sviluppo di forme di apprendimento a distanza rivolto agli adulti) presentato in partenariato con il Dipartimento di Sociologia dell’Università degli Studi di Salerno diretto dal Prof. Vittorio Dini e che vede coinvolta l’Università francese di Montpellier e l’Istituto Penitenziario di Buzias (Romania) oltre che, naturalmente l’Icatt di Eboli ed il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria di Napoli. Si tratta di un progetto sperimentale di ricerca di durata biennale, il primo in assoluto nel suo genere per la portata trans-nazionale e per i partner coinvolti, nonché per il particolare ambito (penitenziario) in cui si è sviluppato grazie all’impegno e alla specifica competenza del personale interno che ne ha caldeggiato la nascita, seguito gli sviluppi e consentito il successo. Sotto quest’aspetto, oltre alla creazione della compagnia teatrale "Uommene &Tambure" protagonista di "Rockaria for peace"; da segnalare è il Progetto Impara L’arte finanziato dalla stessa Amministrazione Penitenziaria e realizzato in collaborazione con gli esperti della Soprintendenza per i Beni Artistici, Storici ed Etnoantropologici di Salerno, grazie al quale saranno recuperate le tre tele risalenti alla fine del 1600 presenti nella Cappella Doria d’Angri all’interno dell’Istituto. Per il restauro di quest’ultima, vero e proprio capolavoro per gli affreschi presenti e per le maioliche della pavimentazione, sono stati presentati progetti alla Regione e alla Cassa delle Ammende. Inoltre, dato il valore storico ed artistico dell’intero castello, risalente al periodo normanno, siamo impegnati oltre che nella quotidiana manutenzione dello stesso, in un progetto di più ampio recupero del piazzale interno e delle facciate, nell’intento di ripristinare, per quanto possibile, lo status quo ante dell’antico impianto. È imminente una mostra documentaria sui vari passaggi, nel corso dei secoli, nella proprietà del castello e sui vari interventi ed inventari succedutisi nel tempo. Nell’arco di tutto l’anno scolastico l’Icatt è impegnato, sia con incontri interni sia con le testimonianze esterne dei detenuti, nel progetto "Educazione alla legalità" che ha coinvolto un altissimo numero di Istituti Superiori dell’intera Provincia. L’iniziativa, avente come finalità la fondamentale ed imprescindibile attività di prevenzione della criminalità, è stata realizzata grazie alla professionalità e l’impegno del personale appartenente all’area trattamentale dell’Istituto". Nuoro: la raccolta differenziata rifiuti arriva anche in carcere
la Nuova Sardegna, 19 dicembre 2009
Novità assoluta sul fronte della raccolta differenziata: il servizio fa l’ingresso anche nel carcere di "Badu ‘e Carros". Lo ha deliberato la giunta comunale. L’ente civico si fa carico della spesa. Le celle saranno dotate di 100 set e di altrettanti contenitori (mastelli da 25 litri) di piccole dimensioni, relativi per le diverse tipologie di rifiuti, vetro escluso, comprensivi di buste; 8 contenitori di grandi dimensioni per la raccolta della carta e del secco indifferenziato, insieme a 3 vasche container da 20 metri cubi. Con l’approvazione della delibera dell’esecutivo, presentata dall’assessore alla qualità urbana Ivo Carboni, la giunta ha dato le indicazione al dirigente del settore affinché provveda ad estendere la raccolta al carcere. Il comune si farà carico dell’onere relativo al servizio, pari a poco più di 5 mila euro per la fornitura una tantum dei contenitori carrellati; di circa 18 mila euro per il nolo annuale delle vasche container, per un totale di 31 mila 265 euro. Il sindaco Mario Zidda ha raccomandato all’assessorato e all’ente di recuperare la spesa sostenuta dal Ministero di Grazia e Giustizia. L’operazione relativa alla raccolta differenziata è stata possibile grazia alla collaborazione tra l’assessorato alla qualità urbana, la direzione del carcere e il garante dei detenuti Carlo Murgia. La decisione della giunta arriva dopo una serie di incontri tra Ivo Carboni e l’ufficio del garante, insegnando ai detenuti il modo corretto di selezionare i rifiuti e come conferirli. Grande soddisfazione delle parti, che hanno definito l’operazione "un atto di civiltà". Ora entra in azione "Nuoro Ambiente", che provvederà a consegnare i kit al carcere per passare subito dopo all’attivazione del servizio di raccolta. Teramo: Sinappe; troppi detenuti, si aggiunge la terza branda
Asca, 19 dicembre 2009
Lo rende noto Giampiero Cordoni, segretario regionale del Sinappe, che continua da mesi a denunciare un totale disinteresse da parte di istituzioni e autorità nei confronti dei problemi oggettivi che attanaglierebbero gli agenti. Cordoni rimprovera, senza esclusione di colpi, politici locali e nazionali e mass media, che avrebbero, secondo la sua opinione, gonfiato la vicenda di qualche mese fa senza però tornare successivamente ad accertarsi di quanto fatto. "Ci sono state tante dichiarazioni di denuncia" spiega il segretario regionale, "ma, una volta che il "caso Castrogno" si è sgonfiato, noi siamo rimasti senza una soluzione agli unici due reali problemi del nostro carcere: la mancanza di organico e il sovraffollamento di detenuti". Cordoni porta ad esempio le denunce di Rita Bernardini e gli interventi del ministro Angelino Alfano. "La prima" spiega "ha fatto un giro tra le sezioni e l’unica cosa che ha denunciato è stato il freddo delle stanze". La conseguenza è stata chiedere al provveditorato una proroga di due ore del riscaldamento per i detenuti. "Alfano, invece" continua Cordoni, "ha semplicemente sospeso il comandante, mandandocene un altro. È stato, in altre parole, un intervento politico pensato per mettere a tacere l’opinione pubblica". Nessuno, insomma, si sarebbe preoccupato di trovare un vero rimedio ad una situazione che, di conseguenza, è andata peggiorando. "I problemi principali che i politici avrebbero dovuto notare" lamenta il segretario regionale "sono, invece, passati paradossalmente inosservati. E da 10 giorni ci troviamo con oltre 400 detenuti da gestire". Giampiero Cordoni assicura che la crescita continua ad essere costante e che, in questo modo, il rischio di giungere a quota 500 nella prossima primavera è davvero probabile. "Cresciamo, ma lo spazio rimane lo stesso. Ecco perché si sono preoccupati di aggiungere una branda. Ma nessuno si preoccupa, invece, di diminuire il numero di detenuti. E, nel frattempo, gli agenti penitenziari vanno incontro ai prossimi pensionamenti, che ci costringono a 10 ore consecutive di lavoro e a due accorpamenti di servizio". Genova: Gip non rinnova sospensione a direttore Pontedecimo
Ansa, 19 dicembre 2009
Il Gip del tribunale di Genova Adriana Petri non ha rinnovato la misura cautelare inflitta a Giuseppe Comparone, direttore del carcere femminile di Genova Pontedecimo, sotto inchiesta perché accusato da una detenuta marocchina di averle concesso dei favori in cambio di rapporti sessuali. Il Gip non ha rinnovato la misura, ovvero la sospensione dall’incarico, in quanto Comparone (difeso dagli avvocati Stefano Savi e Mario Iavicoli) tra 12 giorni andrà in pensione e attualmente è fermo per malattia. Comparone è accusato dai pm Alessandro Bogliolo e Vittorio Ranieri Miniati di avere consumato rapporti sessuali con una avvenente detenuta nordafricana concedendole in cambio vari favori, tra cui anche il permesso di lavorare all’esterno del carcere durante i giorni feriali. Un beneficio non richiesto dalla donna. Erano stati i due sostituti a chiedere la Gup la sospensione dal servizio del direttore della Casa Circondariale. Gli inquirenti si erano accorti inoltre che la detenuta aveva a disposizione un cellulare nel quale custodiva vari numeri di agenti di polizia penitenziaria che non avrebbe dovuto avere. Nella rubrica aveva anche il numero di cellulare del direttore del carcere. Interrogata sul fatto, la donna aveva rivelato di essere stata più volte oggetto di attenzioni sessuali da parte del direttore ottenendo in cambio favori. I fatti risalirebbero al 2007 e al 2008. Dopo l’apertura dell’indagine la detenuta, che sta scontando una pena di due anni e otto mesi per violenza e lesioni su minore, era stata trasferita nella Casa Circondariale di Monza. Cagliari: da "Socialismo Diritti Riforme", un aiuto ai carcerati
Ansa, 19 dicembre 2009
Un gesto di solidarietà e di vicinanza per chi trascorrerà il Natale in cella, senza mezzi e lontano dagli affetti familiari. Lo riceveranno 150 detenuti indigenti che potranno così disporre del necessario per curare l’igiene personale. L’iniziativa, promossa dall’associazione "Socialismo Diritti Riforme", con la collaborazione dell’assessorato provinciale delle Politiche Sociali, guidato da Angela Quaquero, sarà illustrata in una conferenza stampa in programma a Cagliari mercoledì prossimo, 23 dicembre, alle ore 10, nella sala riunioni della Direzione del carcere di Buoncammino. Nell’occasione ci sarà anche la consegna alla Direzione della Casa Circondariale dei pacchetti-regalo. Saranno presenti il Direttore Gianfranco Pala, il Comandante degli Agenti di Polizia Penitenziaria, Michela Cangiano, e il responsabile dell’area educativa Claudio Massa. Libro: "La memoria e l’oblio"…. per un mondo senza prigioni di Sandro Padula
Mai dire mai, 19 dicembre 2009
Introdotto dalla scrittrice francese Fred Vargas e accompagnato alla fine da un contributo di Raffaele Russo su Albert Camus, "La memoria e l’oblio" (Edizioni Colibrì, 2009, 160 pagine, 10 euro) è un libro di Roberto Silvi composto da un romanzo di carattere autobiografico, che dà il titolo all’opera, e un saggio intitolato "Shakespeare e il ciabattino". Nato a Napoli nel 1952 da una famiglia proletaria, Roberto Silvi intraprese la militanza politica prima nella sua città, con Lotta Continua, e poi a Milano, dove per un breve periodo fece parte dell’organizzazione denominata Proletari armati per il comunismo (Pac). A causa del "pentitismo remunerato" di alcuni ex dirigenti di quel gruppo fu costretto a fuggire. Fece l’esperienza dell’esilio in Francia dal 1982 al 1992. Colpito da una grave malattia (sclerosi a placche), decise di tornare in Italia per curarsi, ma prima dovette scontare un anno e mezzo di carcere e un altro anno e mezzo di "lavoro esterno". Nel 2000 si stabilì definitivamente a Parigi e lì, pur con le difficoltà di contrastare un processo irreversibile di paralisi anche dei propri arti superiori, ha sempre continuato a lottare. Ad esempio per l’amnistia ai prigionieri politici e agli esuli della lotta armata italiana degli anni ‘70 e ‘80 e contro le estradizioni richieste dall’Italia. Non solo: nella capitale francese è anche riuscito a produrre il romanzo "La memoria e l’oblio". La trama di quest’ultimo ci porta nel vivo del movimento che attraversò l’Italia degli anni ‘70. In particolare nella città di Napoli, dove incontriamo i manifesti delle Pantere rosse, collettivi di prigionieri che - nella prima metà di quel decennio - lottavano per l’abolizione del codice penale fascista, e persone come i militanti dei Nuclei Armati Proletari (Nap) Giuseppe Romeo "Sergio" e Alberto Buonoconto, il primo ucciso dalla polizia a Firenze nell’ottobre del 1974, dopo una rapina per finanziare i Nap, e il secondo morto suicida nel dicembre del 1980. Ho letto le pagine del romanzo preso dalla curiosità. Tutto d’un fiato. Immerso in una di quelle rare circostanze che, perfino senza volerlo, ti fanno tornare alla mente mille ricordi persi per strada. Gioie e dolori dell’esistenza. Entusiasmi e amori giovanili da un lato e delusioni e sofferenze dall’altro. Se dovesse succedere "qualcosa", dice il nappista Sergio ad un amico, pensa tu al cane. A quel tempo se un militante di organizzazioni come Lotta Continua, i Nap o le Br veniva ucciso, altre persone avrebbero cercato di alleviare dolori e sofferenze a chi restava in vita. Cani compresi. C’era un’etica molto difficile da spiegare oggi. "La memoria e l’oblio" è uno schiaffo contro le ipocrisie. Parla del passato e di persone morte per criticare il presente. Non è un testo di politica o di storia, ma contribuisce a trasformare la memoria degli anni ‘70 in qualcosa di utile alla ricerca della verità storica e alle nuove lotte contro le diverse forme di oppressione. Fa rivivere i valori condivisi da centinaia di migliaia di persone. Coglie così l’essenza, il nocciolo duro di un vasto sistema autogestito di lotte antagoniste che, nonostante periodici riflussi e il riciclaggio di ex dirigenti della sinistra extraparlamentare nel mondo politico-affaristico e nei mass-media, durò almeno un decennio e poi, a partire dalla Fiat, fu sconfitto negli anni 80. Nel saggio "Shakespeare e il ciabattino", scritto quando aveva 32 anni, Silvi si tuffa invece nell’oceano della riflessione filosofica e lì risulta condizionato da un periodo particolarmente buio della propria esistenza, quello in cui le galere italiane si riempiono di migliaia di prigionieri politici e lo Stato promuove specifiche leggi premiali a favore dei tradimenti ("pentitismo") e delle abiure ("dissociazione"). Avendo sempre criticato lo Stato penale, le carceri e il connesso "trattamento differenziato", non accetta per niente le logiche desolidarizzanti, mercantili e liberticide dei tradimenti e delle abiure dei propri ex compagni di lotta, ma la sua riflessione diventa critica spietata e sproporzionata verso se stesso e i rivoluzionari degli ultimi anni 70. Quando perciò leggiamo "Shakespeare e il ciabattino" dovremmo tener presente il contesto in cui nacque e la storia della sua genesi per coglierne i contenuti migliori. In particolare per comprendere quella che di fatto è una delle sue tesi di maggiore spessore etico e culturale: "quando la necessità di trasformare la rivolta in rivoluzione si imporrà, che sia una rivoluzione fedele alle sue origini. Guidata da una filosofia della misura e non dell’onnipotenza, del relativo e non di un impossibile assoluto. Che lotti per una giustizia specchio di una libertà limitata dalla solidarietà tra gli uomini, non per una giustizia vendicatrice in nome di una libertà assoluta che può dare come frutto solo un’oppressione generalizzata". Con tale riflessione Silvi conclude il proprio saggio. Poco prima, rivolto a coloro che in Italia fecero parte del movimento degli anni 70, lancia questo messaggio: "Saremo sconfitti ma ancora vivi se sapremo rivoltarci ancora. Contro gli errori del nostro passato ma anche contro chi ci vorrebbe finiti." A Parigi, nell’aprile del 2008 e a 56 anni di età, Roberto Silvi muore. Le sue parole sono però qui. Ancora vive. Dobbiamo perciò dire grazie a tutte le persone che hanno lavorato per far pubblicare "La memoria e l’oblio". E grazie di cuore a Roberto. Da decenni soprannominato "Roberto senza galere" perché amava un mondo senza prigioni materiali, economiche, politiche e mentali. Immigrazione: stranieri e media una gigantografia in negativo
Redattore Sociale, 19 dicembre 2009
È l’immagine degli stranieri che emerge da stampa e tv in Italia. Il ritratto è sempre lo stesso: un criminale, maschio, spesso clandestino. L’identikit è stato tracciato da una ricerca dell’Università La Sapienza di Roma. Una gigantografia in negativo, sostanzialmente statica e apparentemente immutabile, focalizzata sulla dimensione dell’emergenza, della sicurezza, degli stereotipi e di una visione problematica del fenomeno migratorio. È questa l’immagine degli stranieri in Italia che emerge da stampa e tv. L’identikit è stato tracciato dalla ricerca nazionale "Immigrazione e asilo nei media italiani", realizzata dalla facoltà di Scienze della comunicazione dell’Università La Sapienza di Roma e presentata oggi alla Camera. Il risultato è che il ritratto delle persone straniere immortalato dai media è lo stesso delle rilevazioni degli ultimi 20 anni: è spesso un criminale, è maschio (nell’80% dei casi) e la sua personalità è schiacciata sul solo dettaglio della nazionalità o della provenienza etnica (rom e rumeni sono i più frequentemente citati nei titoli di Tg). Su tutto, poi, domina l’etichetta della "clandestinità" che, prima di ogni altro termine, definisce l’immigrazione in quanto tale. L’indagine è stata finanziata dall’allora ministero della Solidarietà sociale e la rilevazione dei dati è avvenuta su una settimana campione durante i primi sei mesi del 2008. Lo studio ha riguardato le edizioni serali dei sette telegiornali nazionali (Tg1, Tg2, Tg3, Tg4, Tg5, Studio Aperto e TgLa7), i sei quotidiani più diffusi in base al differente orientamento politico-culturale (Corriere della Sera, La Repubblica, L’Unità, il Giornale e Avvenire), più il free press Metro. In totale sono stati analizzati 1.084 Tg, grazie al contributo del Centro d’ascolto sull’informazione radiotelevisiva, e 1.540 articoli. L’indagine è stata intesa come ricerca-pilota anche in merito al lavoro del centro studi dell’Osservatorio "Carta di Roma", la carta deontologica dei giornalisti in merito al linguaggio da usare quando si parla o si scrive di immigrazione. Le notizie di cronaca nera o giudiziaria con protagonista una persona straniera (come autore o vittima di reato) sono sempre la maggioranza - raggiungendo quasi il 60% nelle edizioni dei Tg, un livello mai rilevato in passato - e nello specifico gli stranieri sono protagonisti di fatti criminali molto più facilmente degli italiani (60% contro 36% nei telegiornali, 43% contro 36% sulla stampa). Un’altra possibile fonte di distorsione è presente nella tipologia di reati che vengono rappresentati nei media. Se in generale si assiste a una sovra-rappresentazione di quelli contro la persona, nel periodo di rilevazione considerato le persone straniere compaiono più frequentemente di quelle italiane quando sono responsabili o vittime di fatti particolarmente brutali come la violenza sessuale (più del triplo, 24% contro 7%), le lesioni personali (più del doppio, 24% contro 11%) o il sequestro (più del quadruplo, 17% contro 4%). Solo 26 servizi di Tg affrontano l’immigrazione in tutte le altre possibili dimensioni del fenomeno (economica, di confronto culturale, d’integrazione, di solidarietà sociale, eccetera); in po’ meglio fanno i quotidiani. Ma c’è anche una "buona notizia": nel complesso le news con protagonista un "migrante, un minore straniero, un richiedente asilo o rifugiato, una vittima di tratta o un appartenente a minoranze etniche" rappresentano poco più di un quinto do tutte le notizie di cronaca rilevate su stampa e tv. Guardando invece alle caratteristiche del dibattito che si sviluppa sui media intorno al fenomeno migratorio e all’asilo, un dato evidente è la netta sproporzione fra la presenza di esponenti politici e quella di altri soggetti interessati quali le forze dell’ordine, la magistratura o, soprattutto, le comunità straniere. Questo fatto sposta l’attenzione più sul dibattito ideologico fra gli schieramenti che sul reale contenuto dei provvedimenti. Immigrazione: Natale (Fnsi); c’è un’imprenditoria della paura
Redattore Sociale, 19 dicembre 2009
Intervento nel corso della presentazione questa mattina a Roma dei dati dell’Osservatorio sulla Carta di Roma. Morcellini: "C’è poca innovazione, mentre emerge un convenzionalismo esasperato". "In questi giorni si parla molto di responsabilità dell’informazione e si fanno appelli per misurare i toni. Ci piacerebbe se questi appelli venissero fatti anche per altri temi rilevanti come l’immigrazione". Lo ha dichiarato Roberto Natale, presidente della Federazione nazionale della stampa (Fnsi), nel corso della presentazione questa mattina a Roma dei dati dell’Osservatorio sulla Carta di Roma. "Uno strumento - ha ricordato Natale - nato dalla strage di Erba, che ci ha restituito ventiquattro ore terribili per l’informazione italiana con la caccia ad Azouz Marzouk, che per conformismo giornalistico poteva essere l’unico colpevole". Da allora "l’esigenza di questo strumento non è venuta meno", ha aggiunto il presidente della Fsni, ricordando però che per quanto riguarda la distorsione della rappresentazione dei migranti nei media, gli unici colpevoli non sono soltanto i giornalisti. "C’è un’imprenditoria della paura - ha detto- che specula sui temi dell’immigrazione in termini di sicurezza per fini politici". Marco Volpati, consigliere dell’Ordine dei giornalisti, ha aggiunto che la Carta di Roma verrà inserita nei testi per l’esame di Stato dei praticanti giornalisti, "un atto scontato, mentre è meno ovvio far entrare nella mentalità delle redazioni i concetti e le regole deontologiche per il trattamento dei migranti". "I soggetti deboli che possono essere violentati da un atteggiamento di cronaca troppo disinvolto devono essere, invece, tutelati- ha aggiunto-. Lo straniero dall’informazione è sempre visto come un problema e mai come una persona". Mario Morcellini, preside della facoltà di Scienze della comunicazione dell’università La Sapienza ha invece sottolineato come dalla ricerca emerga la "difficoltà del giornalismo di rinnovare le pratiche discorsive". "C’è poca innovazione, mentre emerge un convenzionalismo esasperato - ha detto. È un problema etico dei giornalisti, c’è un’autoreferenzialità impressionante che rispecchia i valori della classe media. Per trattare questi temi si usa sempre lo stesso fazzoletto di parole, un problema che riguarda anche i giovani giornalisti." Secondo Morcellini per ovviare a questo stato di cose è necessaria un’alleanza tra giornalisti e ricercatori, "questi dati non li terremo nel cassetto, li diffonderemo il più possibile perché non ha senso stare zitti". Per quanto riguarda i risultati, Marco Binotto, coordinatore della ricerca ha sottolineato come emerga una "povertà di linguaggio" nel trattare i temi dell’immigrazione e come le notizie che hanno come protagonisti cittadini stranieri siano quasi sempre riconducibili a fatti di cronaca. "Gli immigrati sono sovra rappresentati quando commettono crimini e sottorappresentati quando si parla dei processi - ha detto. Binotto ha sottolineato, inoltre, come molto spesso nelle notizie l’uso dei termini riferiti agli immigrati sia inappropriato e come si violino sempre più spesso i codici deontologici e la tutela della privacy. Immigrazione: i media appiattiti sulla "minaccia alla sicurezza"
Redattore Sociale, 19 dicembre 2009
La portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati commenta l’indagine dell’Osservatorio sulla Carta di Roma. "Per le redazioni dovrebbe diventare un utile strumento di lavoro". "Quello che fino a ieri era una sensazione oggi è un dato di fatto. Questa ricerca ci restituisce una fotografia preoccupante di come i media siano appiattiti sull’equazione immigrazione uguale minaccia alla sicurezza. Per noi è un campanello d’allarme, che se non viene accolto ci dice che non c’è la volontà di raddrizzare il tiro. Per le redazioni, invece, dovrebbe diventare un utile strumento di lavoro". Lo ha dichiarato questa mattina a Roma, Laura Boldrini, portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), a margine della presentazione dei dati dell’Osservatorio sulla Carta di Roma. Il portavoce dell’Unhcr ha poi ribadito l’importanza dell’uso di un linguaggio appropriato e corretto quando si parla di immigrazione. Un atteggiamento, che secondo i dati della ricerca è poco praticato da larga parte dei giornalisti italiani. "Clandestino è ormai una parola inflazionata. Vengono chiamati così tutti i migranti che arrivano via mare, senza fare attenzione se si tratti di richiedenti asilo o rifugiati - continua Boldrini. È un termine che ha un’accezione decisamente negativa, bisogna cominciare a pensare che non è certo un privilegio non avere i documenti". Secondo Boldrini un altro problema legato alla rappresentazione dell’immigrazione nei media italiani è il legame, quasi esclusivo, delle storie degli stranieri ai fatti di cronaca nera o giudiziaria. "I giornali dovrebbero uscire dagli stereotipi e cercare storie di un’Italia che fa tanto, in termini di integrazione, ed è invece completamente oscurata - ha detto. Queste persone non hanno nessun riconoscimento mediatico, per i mezzi d’informazione gli eroi del quotidiano non esistono. C’è un’Italia della solidarietà e del lavoro. Perché dobbiamo leggere solo di gente impaurita e non vedere mai l’altra parte del paese che porta avanti le esigenze reali?" . Immigrazione: Cie Roma; stop a cooperazione Croce Rossa-Asl
Adnkronos, 19 dicembre 2009
"Si interrompe la collaborazione tra Croce Rossa Italiana e Asl Roma D che, fino ad aggi, aveva garantito l’erogazione delle prescrizioni sanitarie alle decine di ospiti immigrati del Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria". Lo rende noto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni secondo cui, alla base dell’interruzione della collaborazione "ci sarebbe anche la presa d’atto, da parte della Asl, di una nota della Prefettura di Roma del maggio scorso secondo cui i Cie devono essere considerati aree operative riservate all’interno delle quali possono prestare servizio esclusivamente personale amministrativo, sanitario e tecnico dell’Amministrazione dell’interno". "La gravità della decisione - ha detto Marroni - sta tutta nel fatto che essa mette concretamente a rischio la salute degli ospiti del Cie, ora costretti ad essere accompagnati all’esterno per poter ottenere le prescrizioni mediche necessarie. Cosa tutt’altro che semplice data la situazione giuridica degli immigrati, trattenuti nel Centro e impossibilitati ad entrare ed uscire liberamente. Inoltre, tutto ciò comporterà un inutile spreco di risorse umane ed economiche per garantire queste trasferte; soldi che potevano, ad esempio, essere impegnate per migliorare le condizioni di vita all’interno del Centro". Il caso era stato sollevato a più riprese dal Garante che, "con lettere inviate alla Direzione Generale della Asl Rm D, al Distretto Sanitario competente, al Prefetto di Roma e alla Croce Rossa, aveva ricordato come nel Cie fosse scarsa la disponibilità di ricettari, fondamentali per le prescrizioni di prestazioni mediche, forniti dalla Asl sulla base di un Protocollo d’Intesa scaduto ad ottobre 2008 e mai rinnovato. Nonostante ciò, questa mattina la Asl Rm D ha comunicato ufficialmente alla Direzione Sanitaria del Centro di Identificazione ed Espulsione l’interruzione di ogni rapporto di collaborazione e pertanto, da oggi, gli ospiti del Centro per avere prescrizioni mediche di qualsiasi natura dovranno essere accompagnati fuori dal Cie". Droghe: Parma; dipendenze stanno diventando un’emergenza
Dire, 19 dicembre 2009
Aumentano gli utenti seguiti dal Sert di Parma: dai 2.536 del 2006 ai 2.602 dello scorso anno. "Il problema delle dipendenze, da sostanze stupefacenti, alcol, tabacco, gioco d’azzardo e internet, sta diventando una vera e propria emergenza sanitaria", afferma il direttore generale dell’Ausl di Parma, Massimo Fabi, nel presentare i dati del Rapporto 2008 "Le dipendenze nella provincia di Parma: sostanze, consumi, utenti e attività dei servizi dell’Ausl". "Cambia la tipologia di utenza - aggiungono gli esperti dell’Azienda di strada del Quartiere - crescono il poliabuso e l’uso di sostanze nei week end, detto uso ricreativo, e alle vecchie si aggiungono nuove forme di dipendenza come il gioco d’azzardo e internet". Delle 2.602 persone che hanno bussato alla porta del Sert per ricevere aiuto e sostegno, 2.038 sono tossicodipendenti (erano stati 1.952 nel 2006), 543 alcoldipendenti (574 nel 2006) e 21 giocatori d’azzardo (10 due anni fa). Nello specifico, dei 2038, sono 1.352 i pazienti nuovi, già incarico e i detenuti seguiti dall’Azienda. Nei Sert dell’Ausl di Parma, nel 2008, si è registrata una crescita dell’11,1% dell’uso di cocaina e la diminuzione di eroina: meno 3,3%. Un dato, quest’ultimo, legato all’aumento della somministrazione di metadone: dal 47,7% del 2007 al 51,33% di 12 mesi dopo, con particolare aumento per quanto riguarda il metadone a medio termine (30 giorni, sei mesi). I percorsi in comunità terapeutica (Betania, Centro solidarietà l’Orizzonte, associazione Amici per la Liberazione delle droghe di Fidenza) hanno coinvolto il 9,3% degli utenti. Per quanto riguarda, invece, gli alcoldipendenti in carico all’Ausl (tra pazienti nuovi e già in carico, compresi i detenuti in carcere) sono stati 422 nel 2008. Quelli complessivi continuano a comunque a restare prevalentemente consumatori di oppiacei (74%) e per il 46,9% policonsumatori. Rilevante il dato sull’alcolismo tra gli stranieri che ha registrato una variazione positiva del 10,5%. Il 71% consuma vino, il 15,2% birra e il 10,9% superalcolici. Già disponibili i riferimenti sul 2009, i dati sono ancora in corso di elaborazione ma evidenziano un lieve aumento di coloro che fanno uso di eroina (quasi tutti in carico ai servizi), di cocaina (il numero di persone che si rivolgono al Sert è inferiore rispetto a quelle che hanno dipendenza) degli alcolisti e delle nuove dipendenze. Iran: giovane impiccato, per uno stupro commesso da minore
Ansa, 19 dicembre 2009
Un giovane iraniano, Mosleh Zamani, è stato impiccato dopo essere stato condannato a morte per uno stupro che avrebbe commesso quando era minorenne. Lo riferiscono oggi diversi siti riformisti iraniani, sottolineando che la presunta vittima della violenza, una donna più matura con la quale Zamani aveva una relazione, aveva affermato che i rapporti sessuali tra loro erano stati consenzienti e aveva quindi chiesto ai giudici di risparmiargli la vita. Amnesty International, che ha chiesto inutilmente all’Iran di non eseguire la sentenza capitale, ha condannato l’impiccagione, affermando che Zamani è il quinto giovane giustiziato nel 2009 dopo essere stato condannato per un reato commesso quando aveva meno di 18 anni. L’esecuzione è avvenuta giovedì nel carcere Dizel Abad della città di Kermanshah, nell’ovest dell’Iran. Oltre a Zamani, secondo i siti che danno la notizia, altre quattro persone sono state impiccate lo stesso giorno nello stesso carcere, ma non se ne conoscono i nomi né i reati per i quali erano state condannate. Zamani era stato condannato a morte nel 2006, quando aveva 17 anni. L’anno dopo la Corte suprema aveva confermato la sentenza. Secondo Amnesty International, sono non meno di 46 a partire dal 1990 le persone messe a morte in Iran dopo essere state condannate per reati commessi quando erano minorenni. Una pratica che continua, nonostante sia proibita dalla Convenzione internazionale per i diritti del fanciullo, alla quale la Repubblica islamica aderisce. Brasile: ministro giustizia; su Battisti "giocata" governo Italia
Ansa, 19 dicembre 2009
Il pronunciamento del Supremo Tribunal Federal con il quale si chiede al presidente brasiliano - nella decisione se estradare o no Cesare Battisti - di rispettare il trattato bilaterale del 1989 è figlio di una "giocata politica" del governo italiano. Lo ha detto il ministro brasiliano della Giustizia Tarso Genro commentando l’intervento con il quale il Stf precisava che il potere di Inacio Luis Lula da Silva nella decisione non fosse totalmente discrezionale. Una precisazione che circoscriveva a soli due casi la possibilità di non apporre la firma sul decreto di estradizione: sostenendo che l’ex terrorista in Italia sarebbe un perseguitato politico o che in un carcere italiano rischia la vita o gravi violazioni dei diritti umani. "L’affermazione che il presidente Lula deve osservare il trattato di estradizione non fa che ribadire l’ovvio", ha detto Genro secondo cui il pronunciamento non ha portato nessuna "modifica a quanto già era stato scritto" nella sentenza del 18 novembre. Per il ministro il governo italiano, sollecitando la precisazione dell’alta corte, avrebbe fatto una "giocata politica per creare l’immagine che non era stato sconfitto". Giovedì il "Supremo" si era pronunciato su una questione sollevata dal governo italiano "in merito al voto espresso da uno dei magistrati, Eros Grau". Quest’ultimo, già il mese scorso, aveva obiettato che il potere di Lula su questo caso non era illimitato ma deve basarsi sul dettato del trattato d’estradizione dell’89. Il verdetto conferma la lettura di Grau e avvicina il rimpatrio di Battisti, che in Italia è stato condannato con sentenza definitiva all’ergastolo per due omicidi e complicità in altri due, avvenuti durante il periodo in cui militava nei "Proletari armati per il comunismo". Ora per confermare l’asilo politico a Battisti, concesso dal ministro della Giustizia Tarso Genro, Lula dovrà insistere con la tesi che l’ex terrorista in Italia sarebbe un perseguitato politico o che in un carcere italiano rischia la vita o gravi violazioni dei diritti umani. Sono queste, infatti, le uniche argomentazioni valide che potrebbero passare sopra il dettato della Carta del 1989. E a queste si appella anche la famiglia di Battisti. Il fratello maggiore Vincenzo, in un’intervista al Corriere della Sera, sostiene che Cesare "teme di fare una brutta fine in carcere" e che in Italia "si sente aria di fascismo". Vincenzo Battisti si dice convinto dell’innocenza del fratello e ricorda che in Brasile c’è anche qualche terrorista di destra italiano: "E l’estradizione in quel caso? Se esiste la giustizia deve esserci per tutti".
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