Rassegna stampa 8 aprile

 

Giustizia: la Camera "boccia" le ronde e la detenzione nei Cie

 

Corriere della Sera, 8 aprile 2008

 

Doppio colpo di scena alla Camera sul decreto sicurezza. Dopo un accordo con l’opposizione, il governo ha stralciato dal testo la parte relativa alle ronde, (in cambio dell’impegno del centrosinistra di interrompere l’ostruzionismo) salvo poi essere battuto sull’articolo che riguarda i centri di identificazione e di espulsione degli immigrati.

L’Assemblea di Montecitorio ha infatti approvato a scrutinio segreto gli emendamenti del Pd e dell’Udc al decreto che sopprimono di fatto l’articolo del testo sull’esecuzione dell’espulsione degli immigrati. La seduta a quel punto è stata interrotta. "Chiedo la sospensione, così non si può andare avanti", ha detto la leghista Carolina Lussana, relatrice del decreto.

Insorge la Lega - Le molte assenze e 17 franchi tiratori dalle fila della maggioranza hanno portato il governo a soccombere alla Camera. Il voto in Aula ha fatto andare su tutte le furie la Lega. "Quello lì ha messo la fiducia su tutti i decreti che ha voluto e poi su questo ha preferito evitare" ha gridato un deputato leghista in Transatlantico (subito zittito da Andrea Gibelli) dopo la votazione. Ma la rabbia dei deputati del Carroccio è davvero evidente. "Almeno 20 persone del Pdl hanno votato con l’opposizione. Non si tratta certo di casi isolati, ma di una scelta politica ben precisa", ha detto Marco Reguzzoni ai giornalisti.

Non appena il governo è andato sotto sul decreto che conteneva la legalizzazione delle ronde, tutti i deputati leghisti sono usciti dall’Aula e hanno fatto capannello in Transatlantico parlottando tra di loro e accusando gli alleati di "tradimento". Ma la rabbia è evidente anche contro il governo, che ha deciso di non mettere la fiducia sul provvedimento che conteneva la legalizzazione delle ronde e che ora affronta la permanenza degli stranieri nei Cie e misure anti-stupro.

Ronde - La parte relativa alle ronde sarà inserita in un apposito disegno di legge. La decisione è arrivata dopo che lo strenuo ostruzionismo dell’opposizione avevano di fatto reso impossibile l’approvazione del decreto. Una scelta, quella dell’opposizione, che ha costretto all’interruzione delle votazioni e a pervenire ad un accordo che è stato raggiunto dalla conferenza dei capigruppo di Montecitorio.

Sulle ronde fino all’ultimo minuto il governo aveva minacciato il ricorso all’ennesimo voto di fiducia. Una possibilità quest’ultima che era stata ventilata proprio dal ministro della Difesa Ignazio la Russa. "L’ostruzionismo dell’opposizione sul decreto sicurezza costringerà il governo a un voto di fiducia" aveva detto La Russa, intervenendo che a Panorama del Giorno su Canale 5.

Cie - Quanto ai Centri di espulsione, l’emendamento soppressivo dell’articolo 5 del decreto sicurezza in Aula alla Camera è passato a scrutinio segreto con 232 voti a favore e 225 contrari. Dodici gli astenuti, di cui 10 dell’Italia dei Valori (su 22 presenti). Gli altri due sono Paolo Guzzanti e Americo Porfidia.

Secondo i calcoli effettuati dagli uffici del Pd sui tabulati della votazione, sarebbero 17 i deputati del Pdl che hanno votato con l’opposizione per sopprimere la norma che prolungava fino a sei mesi la permanenza degli immigrati in attesa di espulsione nei Cie. Dai tabulati emerge anche che il gruppo del Pdl era quello in cui si registravano più assenze: la percentuale dei presenti era sotto il 70% (186 su 269 componenti). Alla proclamazione del risultato della votazione l’opposizione ha esultato. "È una vittoria del Parlamento e della sua serietà", ha detto Pier Ferdinando Casini.

Soddisfazione dell’opposizione - Soddisfazione per lo stralcio della parte relativa alle ronde era stata espressa dall’opposizione. "Quando vince la ragionevolezza - ha commentato il capogruppo del Pd Antonello Soro - non vince nessuno, vinciamo tutti. Credo che sia stata accolta con favore da tutti la decisione del Governo di riportare nella corsia del disegno di legge il provvedimento riguardante le ronde. Per il resto, un decreto comprensivo di testi largamente condivisi nel corso della giornata avrà uno sviluppo più rapido e ci impegniamo a fare tutto il possibile" perché possa essere approvato entro oggi.

Giustizia: Maroni; sulle ronde scelta dolorosa, ma responsabile

 

Apcom, 8 aprile 2008

 

Quella di spostare la norma che disciplina le ronde dalla conversione del decreto antistupri in discussione alla Camera al ddl sicurezza è stata una "scelta dolorosa ma responsabile". Lo ha detto il ministro degli Interni, Roberto Maroni, spiegando che in questo modo il provvedimento antistupri riuscirà a passare prima della scadenza del decreto, il 26 aprile. Attualmente, infatti, è in discussione alla Camera e deve ancora passare al Senato.

"Domani - ha precisato il ministro - la Camera non sarà convocata e neanche la settimana prossima, per cui in pratica abbiamo dieci giorni in meno. I tempi sono strettissimi". A far maturare la decisione, ha spiegato Maroni, è stato l’ostruzionismo dell’opposizione: "Sapevo - ha spiegato - che ci sarebbe stata un’azione ostruzionistica e ieri sono stato presente in Aula per rendermi conto dell’atteggiamento della minoranza per capire se il provvedimento sarebbe potuto passare entro il 26 aprile.

Ieri in serata mi sono convinto che non c’era possibilità. Ho incontrato il presidente del Consiglio Berlusconi e abbiamo esaminato il problema. Le possibilità erano due: porre la fiducia, ma sarebbe stata una forzatura, oppure spostare la norma nel ddl sicurezza. Non è stato un passo indietro - ha aggiunto - ma un passo laterale". "Oggi pomeriggio - ha annunciato - ci sarà una nuova riunione dei Capigruppo, il capogruppo della Lega, Roberto Cota, chiederà che la norma venga immediatamente calendarizzata. È utile - ha concluso - perché serve a regolamentare un fenomeno che oggi c’è ma non è regolato".

Giustizia: "no" a ronde e a detenzione immigrati; i commenti

 

Redattore Sociale - Dire, 8 aprile 2008

 

Cicchitto (Pdl): gravissimo errore, va recuperato

 

"Chi ha votato con l’opposizione ha commesso un gravissimo errore politico, che va recuperato con la dialettica parlamentare". Lo dice Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera. Cicchitto ribadisce la "lealtà" dell’alleanza tra Pdl e Lega e aggiunge: "La nostra valutazione del provvedimento e della norma nello specifico è positiva. Ora verificheremo i passi da fare col governo e con la Lega".

 

Soro (Pd): ora decreto positivo, Pd ritira i suoi emendamenti

 

Il Pd "intende ritirare tutti i suoi emendamenti", salvo un paio firmati dai Radicali. Lo annuncia - alla ripresa dei lavori in aula - il Capogruppo alla Camera Antonello Soro, sollecitando a questo punto una rapida conclusione dell’esame del decreto sicurezza: "La condizione in cui questo decreto viene ora a trovarsi ci permette di dare un giudizio positivo".

 

Mura (Idv): su ronde passo "di lato? Lega assurda

 

"La Lega è davvero pittoresca perché di fronte alla bocciatura delle ronde che non rappresenta un passo indietro ma dieci, non trova di meglio per mascherare la sconfitta che inventare la nuova categoria del passo di lato". È il commento di Silvana Mura deputata di Idv, che però in una nota prosegue: "Ma ammesso - dice - che abbiano ragione loro gli ricordiamo che di lato di solito si trova il cestino della carta e li è finita infatti la norma sulle ronde". E "il fatto - chiude - che essa sarà riproposta all’interno del ddl sulla sicurezza è un ben misero contentino e c’è da giurare che non mancheranno sorprese provenienti dalla stessa maggioranza".

 

Sereni (Pd): sulle ronde un buon lavoro, ma la battaglia continua

 

"Il fatto che il governo abbia rinunciato oggi a far approvare le ronde con il decreto sicurezza dimostra che il Partito democratico sa fare opposizione in nome di un’Italia in cui la tutela dei cittadini non diventi spot di un partito e resti compito primario delle istituzioni". È quanto afferma Marina Sereni rivendicando il ruolo svolto dal partito: "Gli avvenimenti tragici di questi giorni - sottolinea - confermano che il Partito democratico sa cosa significa collaborazione politica e senso dello Stato". Sereni, Vice Capogruppo del Pd alla Camera, esprime "soddisfazione" per lo stralcio: "Le norme - puntualizza comunque la democratica - saranno trasferite nel disegno di legge e noi continueremo la nostra battaglia parlamentare". Del resto, conclude Sereni, "la compattezza dell’opposizione in Parlamento ha messo a nudo le divisioni della maggioranza. Abbiamo fatto un buon lavoro".

 

Palomba (Idv): senza ronde votiamo sì al decreto

 

"Esprimiamo soddisfazione per l’unità delle opposizioni e per l’atto di resipiscenza operosa del governo sulle indigeribili ronde". Federico Palomba, incassato lo stralcio della norma dal decreto sicurezza, annuncia che Italia dei valori ora dirà sì al provvedimento: "Possiamo votare un provvedimento giusto- dice Palomba- che, anche attraverso una pena più elevata e certa per i violentatori, rende giustizia alle donne e ai minori vittime di un reato infame".

 

Casini: non ha vinto l’opposizione, ha vinto il parlamento

 

"Mi rifiuto di leggere questo risultato come una vittoria dell’opposizione contro la maggioranza, questa è una vittoria del Parlamento e della sua serietà". Così Pier Ferdinando Casini - in aula alla Camera - commenta il voto che ha cancellato la norma sui clandestini nel decreto sicurezza.

 

Mantovano (Pdl): franchi tiratori aprano case ai clandestini

 

"Ora chi ha votato contro ci dia il suo indirizzo di casa che i clandestini glieli mandiamo a casa". Alfredo Mantovano, sottosegretario all’Interno, è furibondo con quei colleghi di maggioranza che a Montecitorio hanno votato a favore di un emendamento dell’opposizione sul decreto sicurezza. "Prendiamo atto - dice in Transatlantico - dell’irresponsabilità di una parte della maggioranza". Per Mantovano "la norma era funzionale alle espulsioni". "Ora ci saranno aspetti fortemente negativi: torneranno in circolazione centinaia e centinaia di clandestini".

 

Donadi (Idv): ormai la maggioranza non c’è più

 

"Il primo tiepido sole di primavera ha sciolto la maggioranza parlamentare". Così il capogruppo dell’Italia dei Valori Massimo Donadi commenta lo stralcio della norma sugli immigrati dal dl sicurezza. "Nonostante il gruppo Idv abbia deciso di astenersi sull’emendamento soppressivo dell’articolo 5 - sottolinea Donadi - il centrodestra si è letteralmente frantumato votando massicciamente contro il testo del governo. La nostra astensione, che voleva rimarcare la necessità di norme più rigide contro l’immigrazione clandestina, ha reso ancora più evidente e clamorosa la gravità di questa frattura interna alla maggioranza".

Il parlamentare fa notare che "non sono stati infatti pochi parlamentari a votare con l’opposizione, ma una parte significativa del Pdl. Un dato politico - sottolinea - che evidenzia la debolezza di fondo di questo accordo elettorale tra Pdl e Lega e spiega con chiarezza perché il governo ricorra sistematicamente alla fiducia: non per accelerare i tempi, ma per sedare le risse interne alla maggioranza".

 

Cimadoro (Idv): norma su clandestini chiesta dall’Ue

 

Si sono astenuti in dieci. Italia dei Valori spaccata alla Camera sul decreto sicurezza, proprio nel voto che ha mandato sotto il governo. "Su quell’emendamento io ero d’accordo con la Lega - spiega Gabriele Cimadoro, uno dei dieci -. Perché si tratta di eseguire una direttiva europea". La numero 115 del 2008, che prevede il trattenimento di sei mesi nei centri di accoglienza. Secondo Cimadoro, quindi "la Lega non ha fatto nessuna forzatura su questo", ma si è disciplinatamente limitata a dar corso al dettato europeo. Di più: "Mi sono astenuto seguendo le indicazioni del capogruppo Donadi - ha aggiunto - altrimenti avrei proprio votato a favore", chiude Cimadoro. Il leader Di Pietro non era in Aula al momento del voto.

 

Bernardini (Pd): ma i Dipietristi a che gioco stanno giocando?

 

"Vorrei che ci fosse un incontro ufficiale tra la delegazione radicale e l’Idv per capire qual è la loro posizione e la loro volontà di opposizione, cioè a che gioco stanno giocando". Rita Bernardini, dai microfoni di Radio radicale, polemizza con i dipietristi che si sono astenuti sull’emendamento Pd - Udc contro la norma del decreto sicurezza sui clandestini. "Questa opposizione dell’Idv - attacca la radicale - lascia un po’ a desiderare, fanno spesso sparate contro il governo dicendo di essere l’unica opposizione e poi nel voto segreto, come abbiamo visto oggi, sposano invece le posizioni leghiste". Tanto più, osserva Bernardini, che "l’emendamento è passato per pochissimi voti" e dunque "l’astensione poteva costare cara".

 

Sap (Polizia): stralcio ronde dal dl è un passo importante

 

"Lo stralcio dal dl sicurezza delle norme sulle ronde è un passo importante che viene incontro alle richieste del Sap e della Consulta Sicurezza. Ribadiamo, infatti, la contrarietà degli operatori delle forze dell’ordine ad una norma inutile e pericolosa per gli stessi cittadini, soprattutto nel nostro meridione". Lo scrive Nicola Tanzi, segretario generale del Sap, il Sindacato autonomo di polizia, e presidente della Consulta sicurezza, la principale organizzazione del comparto costituita da Sap, Sappe (polizia penitenziaria) e Sapaf (corpo forestale).

"La sicurezza dei cittadini deve essere garantita in primo luogo dalle forze dell’ordine - afferma Tanzi - in linea con quanto prevede la legge 121/1981 e, soprattutto, nello spirito di quanto avviene nel resto d’Europa e del mondo, dove i compiti di polizia non sono svolti né da associazioni di cittadini e né da militari".

"Occorre invece - conclude il segretario del Sap - riconoscere che da decenni nel nord Italia esistono associazioni di volontari locali che forniscono un contributo alla sicurezza cittadina e per questi gruppi occorre certo trovare una forma di disciplina. Al sud, invece, la situazione è completamente diversa e le ronde rischiano di diventare pericolose in primo luogo per gli stessi cittadini che vi partecipano. Anche per questo, l’istituzionalizzazione delle ronde su scala nazionale va opportunamente valutata e ribadiamo il nostro giudizio positivo sullo stralcio della norma deciso oggi dalla conferenza dei capigruppo a Montecitorio".

Giustizia: Fini; "stop" al trasferimento dei Pm nelle sedi vuote

di Liana Milella

 

La Repubblica, 8 aprile 2008

 

"Inammissibile". Niet di Gianfranco Fini ad Angelino Alfano sui trasferimenti obbligati delle toghe nelle procure senza pm soprattutto al sud, ma anche al nord. Il presidente della Camera lo annuncia in aula, quando elenca la tagliola agli emendamenti al decreto ronde-stupri.

Il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo non fa una piega: "Lo sapevo già. Non è stata una sorpresa. Alfano ha tentato di risolvere una situazione drammatica, anticipando il contenuto del ddl sul processo penale già in discussione al Senato. Se ne riparlerà lì". Il Guardasigilli arriva nel pomeriggio, a notizia fredda.

Ai suoi dice: "Amen. Non la considero una bocciatura politica, perché non lo è. Fini ha posto una questione formale e ha eliminato modifiche che incidevano sull’ordinamento. Se avesse accolto la nostra, ne avrebbe dovuto far passare anche delle altre". E i drammatici vuoti nelle procure? "C’è il nostro ddl". Aggiunge un polemico Caliendo: "Il Csm non ci ha ancora inviato l’elenco delle procure disagiate".

Il che blocca gli incentivi, 2.500 euro al mese, per chi accetta di trasferirsi per quattro anni. Fini parla alle 9 e 30. L’Anm manda in rete il suo entusiasmo mezzora dopo. Parla di "grande e rispettosa soddisfazione", di una decisione, quella di Fini, che "conferma la fondatezza delle perplessità espresse subito al governo e accolte con fastidio".

Era sabato: un duro comunicato del presidente Luca Palamara e del segretario Giuseppe Cascini bocciava il passo del governo di aumentare da 60 a 80 il numero delle sedi disagiate (quelle per cui non ci sono domande di magistrati che ci vogliono andare) e da 100 a 150 il numero delle toghe trasferibili.

Colleghi giovani, con quattro anni di anzianità alle spalle, che "d’ufficio" il Csm avrebbe dovuto spedire da un ufficio all’altro, anche in deroga al divieto di passare da giudice a pm. Per l’Anm una scelta "incostituzionale" che viola il principio di inamovibilità. Loro e il Csm vogliono cambiare l’ordinamento Castelli-Mastella e togliere il divieto per i giovani uditori di fare i pm, peraltro inserito da tre ex toghe (D’Ambrosio, Di Lello, Casson). Alfano ha sempre detto no: "L’ha voluto la sinistra, la mia maggioranza è contraria".

Giustizia: Alfano "bocciato" su soluzione dei giudici ragazzini

di Carlo Federico Grosso

 

La Stampa, 8 aprile 2008

 

Alfano ha ottenuto la sua prima bocciatura in Parlamento. Il presidente della Camera ha dichiarato inammissibile un emendamento al decreto stupri-ronde con il quale il Guardasigilli intendeva riformare la materia dei trasferimenti dei magistrati. La decisione di Fini è stata ineccepibile in quanto il nuovo tema non aveva nulla in comune con il contenuto originario del decreto. Si trattava di mero espediente per ottenere un’approvazione veloce della nuova disciplina. Il ministero, nonostante lo smacco, non pare intenda comunque rinunciare alla riforma e proseguirà, sembrerebbe, utilizzando gli strumenti ordinari della produzione legislativa.

Il nuovo testo prevede, a certe condizioni, la possibilità di trasferire d’ufficio i magistrati allo scopo di supplire alle carenze di organico delle Procure della Repubblica nelle sedi disagiate. Tale trasferimento sarebbe eseguibile in deroga al divieto di passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle inquirenti all’interno dello stesso distretto giudiziario. A tale progetto la magistratura associata ha già reagito a muso duro, definendola "iniziativa grave", che violerebbe "il principio costituzionale di inamovibilità dei magistrati, con effetti disastrosi sulla vita delle persone e sull’organizzazione degli uffici". Il tema merita riflessione, perché la ragione non sembra stare tutta da un parte.

Pesano sicuramente, da un lato, le esigenze di garanzia dell’ordine giudiziario. In questa prospettiva l’art. 107 della Costituzione stabilisce che "i magistrati sono inamovibili". E soggiunge che essi possono essere destinati ad altre sedi o funzioni soltanto con il loro consenso o con decisione "adottata con le garanzie stabilite dall’ordinamento giudiziario". Si è inteso, in questo modo, tutelare l’indipendenza di ogni magistrato assicurando che nessuno possa intimorirlo con la prospettiva di una rimozione forzata se non per ragioni disciplinari. Alla luce di questo principio è verosimile ipotizzare che il primo giudice trasferito d’ufficio potrebbe ricorrere al Tar, sollevare questione d’illegittimità costituzionale e, nell’immediato, garantirsi anche la sospensiva da parte del giudice amministrativo.

In realtà, nonostante le probabili censure, la situazione è più complessa e non può essere valutata senza considerare l’emergenza che si è venuta a creare in numerose Procure. La copertura delle sedi disagiate costituisce da anni un problema, in quanto molti magistrati sono restii a trasferirsi in una di esse. Fino a qualche anno fa la questione era affrontata facendo leva sui magistrati di prima nomina. Il Csm selezionava, per le loro assegnazioni, in grande maggioranza sedi vacanti nel Sud. Il gioco, così, era fatto: per essere assunti i nuovi arrivati non potevano che accettare, e i posti erano pertanto coperti. Poco contava, perché costituiva male minore, che uffici difficili venissero affidati a ragazzini. Molte volte, d’altronde, questi ragazzini s’impegnavano oltre ogni limite e la giustizia era comunque bene amministrata.

Con la riforma dell’ordinamento giudiziario questo meccanismo è saltato. Introducendo una norma diretta a evitare che le funzioni inquirenti fossero affidate a persone senza esperienza, si è stabilito che a inizio carriera i magistrati non potessero fare i pubblici ministeri. Di qui la Caporetto di molte Procure: quasi nessun trasferimento volontario, più nessun neomagistrato nominato.

Progressivamente, il vuoto degli organici. Il ministero ha chiesto al Parlamento di approvare una legge che promettesse vantaggi a chi si fosse trasferito in una sede giudicata difficile. Tale legge non ha peraltro prodotto gli effetti sperati. Ecco allora l’idea del nuovo intervento: il trasferimento d’ufficio. Davvero, tuttavia, si tratta di progetto palesemente tutto incostituzionale come hanno subito sostenuto i magistrati?

A mio parere la risposta dipende dalla specificità della disciplina che s’intende approvare. Se, ad esempio, si stabilisse che tale trasferimento deve essere circoscritto all’interno del distretto, e che sono coinvolti i magistrati obbligati a cambiare ufficio perché hanno esaurito i dieci anni di permanenza consentita, il problema potrebbe anche essere gestito. Si tratta infatti, comunque, di soggetti che devono lasciare il posto ricoperto e che vengono inviati ad amministrare la giustizia non lontani dal luogo dove esercitavano precedentemente le funzioni. Diversamente, sorgerebbero dubbi d’incostituzionalità ove s’intendesse, come sembra prospettare il progetto Alfano, imporre indiscriminatamente il trasferimento d’ufficio ai magistrati più giovani, innescando in questo modo anche problemi di stato giuridico differenziato in ragione della mera anzianità di servizio.

Per affrontare in qualche modo l’emergenza sarebbe stato comunque preferibile, nell’immediato, seguire la strada, più tranquilla, di rimuovere la norma che preclude agli uditori giudiziari di iniziare la carriera come pubblici ministeri, ritornando alla pregressa disciplina. Ci spieghi il ministro perché qualche mese fa, sollecitato, aveva prospettato come possibile questa scelta, e perché, oggi, ha preferito invece l’altra strada.

La politica ha le sue colpe per le disfunzioni cagionate al funzionamento della macchina giudiziaria. La magistratura ha tuttavia, anch’essa, una parte di responsabilità. Sarebbe auspicabile che, anziché limitarsi a recriminare, essa cooperasse alla ricerca di soluzioni condivisibili accettando, magari, qualche piccolo disagio o rinunciando a qualche privilegio.

Giustizia: sulle intercettazioni un ddl che è dannoso e grottesco

di Ennio Fortuna

 

Italia Oggi, 8 aprile 2008

 

Siamo certamente il paese che intercetta di più e che spende di più, né è detto che i risultati, in termini di successi investigativi premino sempre e su tutta la linea gli sforzi dei magistrati inquirenti. E tuttavia il testo del governo sulle intercettazioni non può essere approvato, apparendo certamente punitivo delle esigenze investigative e, sotto alcuni profili addirittura grottesco.

Si potrà intercettare solo a patto che vi sia almeno un indagato raggiunto da gravi indizi di colpevolezza. Lo strumento investigativo finora utilizzato essenzialmente o soprattutto per scoprire l’autore del fatto, dovrà servire a consolidare una prova già acquisita al processo.

Se un colpevole è già individuato e iscritto nel relativo registro, l’intercettazione è in realtà del tutto inutile, sia perché la prova è già raggiunta e il pm può chiedere senz’altro il rinvio a giudizio senza ulteriori indugi, sia perché l’indiziato iscritto (che sa quindi di essere inquisito) non parla al telefono e l’eventuale intercettazione lo favorisce e comunque non lo danneggia.

Si è parlato di sostituire l’espressione "gravi indizi con "indizi obiettivi o evidenti", ma è chiaro che non è così che cambia la sostanza. Se il presunto colpevole è già stato scoperto e il suo nome figura nel registro degli indagati, l’intercettazione è inutile o addirittura pregiudizievole alle indagini. Ciò è tanto vero che nel caso dei reati di mafia o di terrorismo il disegno di legge parla semplicemente non di indizi di colpevolezza ma di indizi di reato, avallando quindi la versione oggi in vigore. Al di fuori di tali casi, perciò, l’intercettazione non serve (quando non danneggia), e la formulazione della legge sembra studiata apposta per negarne la possibilità e comunque l’utilità.

Ma il grottesco emerge nel caso si tratti allo stato, di reato commesso da autori ignoti (con colpevole ancora da scoprire). Di fronte alla fin troppo palese insostenibilità di una scelta del tutto negativa (si tratterebbe di un insperato premio alla criminalità), la legge si è vista costretta ad escogitare una sorta di singolare compromesso.

L’intercettazione diventa esperibile se viene richiesta direttamente dalla vittima. Ciò significa che nei numerosi casi di reati senza offeso individuato l’intercettazione rimane preclusa in partenza, mentre negli altri casi si costringe la polizia giudiziaria a rivolgersi all’offeso, sollecitandolo all’istanza e così esponendolo alle ritorsioni o vendette della criminalità. Un reato ad azione pubblica, come sono tutti i reati punibili con la reclusione oltre i cinque anni (salvo eccezioni), diventa quindi concretamente perseguibile solo ad istanza della vittima.

Giustizia: Berlusconi; pene più severe per reato di sciacallaggio

 

Ansa, 8 aprile 2008

 

Il governo intende introdurre un nuovo reato penale per punire gravemente lo sciacallaggio. Lo ha annunciato il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi dopo che si sono fatti più numerosi i furti nelle abitazioni alla periferia dell’Aquila, abbandonate dopo il violento sisma che ha colpito la popolazione abruzzese. "Con il ministro Alfano abbiamo deciso di dare vita a questo nuovo reato che non sappiamo ancora quale nome avrà. In ogni caso posso annunciare già da ora che le pene saranno molto severe", ha detto il premier.

La Protezione civile parla di "sciacalli provenienti da diverse parti d’Italia". Ma le Forze dell’ordine affermano che negli appartamenti dell’Aquila abbandonati non risultano azioni di sciacallaggio e al momento non risultano arresti. I carabinieri hanno avuto sei segnalazioni di sciacallaggio, ma tutte con esito negativo. La vigilanza diurna e notturna è stata concentrata nei luoghi più colpiti dal terremoto e in particolare nel centro storico dell’Aquila. Oltre mille gli uomini delle forze dell’ordine sono impegnati dentro la città e nei paesi colpiti dal terremoto.

Giustizia: salute bambini dietro le sbarre, primo studio italiano

 

Ansa, 8 aprile 2008

 

Loro non vanno al parco il fine settimana. O al mare d’estate. Non ricevono regali sotto l’albero a Natale. Loro, il sole lo vedono solo a scacchi. Fino a prima dell’indulto (2006), erano un centinaio i bambini sotto i tre anni che vivevano in carcere, assieme alle loro madri che stanno scontando una pena detentiva o sono in attesa di giudizio. Oggi sono un po’ meno. La legge prevede che, per evitare il dramma della separazione madre-neonato, queste mamme possano portare con sé i bambini in apposite aree nido del carcere. Rimangono però le difficoltà dei piccoli che vivono in una situazione così poco accogliente.

Per la prima volta in Italia, medici dell’Istituto di Clinica pediatrica dell’Università Cattolica - Policlinico Agostino Gemelli di Roma sono entrati nella Casa di Reclusione di Roma Rebibbia, dove si concentra la maggioranza di questi sfortunati bambini, per valutarne le condizioni di salute. Lo studio è stato pubblicato sull’ultimo numero dello Scandinavian Journal of Public Health.

"Quando abbiamo iniziato questo lavoro", spiega Pietro Ferrara, ricercatore dell’ Istituto di Clinica pediatrica dell’Università Cattolica - Policlinico Agostino Gemelli di Roma e principale autore dell’articolo, "grazie alla collaborazione della Direzione del carcere di Rebibbia, abbiamo avuto accesso a tutte le cartelle cliniche dei bambini che erano passati dal carcere nel corso di un anno e mezzo, dall’inizio del 2003 a metà 2005".

Il totale dei bambini entrati e usciti da Rebibbia ammontava a 150. Per confronto sono stati utilizzati i dati di circa 150 bambini della stessa età visitati negli ambulatori di pediatria del Gemelli, e quelli di un centinaio di bambini figli di genitori immigrati e residenti in Italia.

Il primo dato che hanno misurato i ricercatori è stata l’età gestazionale, ossia la durata della gravidanza. Ben il 20% dei bambini che hanno vissuto in carcere aveva avuto un’età gestazionale di meno di 37 settimane (la durata media di una gravidanza). Per confronto, il 9% dei figli di immigrati erano nati prima del tempo, mentre solo il 5% dei bambini in Italia nasce prematuro. Perché questa differenza? "Certamente un ruolo importante lo giocano fattori di rischio di tipo ambientale", risponde Ferrara. "Spesso le donne che finiscono in carcere vanno soggette a infezioni, hanno abitudini scorrette, come il fumo o l’assunzione di sostanze stupefacenti, e spesso la gravidanza non è seguita come si deve".

Un altro fattore importante è l’allattamento. Circa il 70% delle mamme di tutti e tre i campioni decide di allattare. Questo non sorprende: tutte le mamme vogliono stare dietro ai propri figli. Ma in carcere l’età di svezzamento è più precoce: sia le mamme italiane, sia le mamme straniere tendenzialmente smettono di allattare a 5 mesi. In carcere, invece, lo svezzamento inizia prima. "Uno svezzamento troppo precoce - ricorda Ferrara - può predisporre al rischio di ipertensione e obesità. L’interruzione anticipata del contatto con il latte della mamma può anche portare alla sensibilizzazione nei confronti degli antigeni alimentari, predisponendo alle allergie, e aumentare il rischio di intossicazione di sostanze come i conservanti o i coloranti che sono presenti negli alimenti: nei neonati, infatti, i processi di detossificazione non sono ancora ben sviluppati".

Ma l’aspetto che più differenzia lo stato di salute dei bambini dentro e fuori dal carcere è certamente il loro stato di immunizzazione. "Quando ce ne siamo accorti, siamo rimasti davvero sorpresi", ricorda Ferrara. "Nei bambini italiani il tasso di copertura vaccinale è circa del 100%, cioè quasi tutti sono stati correttamente vaccinati. I figli di immigrati, che scontano maggiori difficoltà logistiche e culturali, raggiungono comunque oltre l’80%. In carcere non più del 14% dei bambini è correttamente vaccinato. Certo, parliamo di pochi bambini come numeri assoluti, ma non dimentichiamo il pericolo che corrono questi piccoli".

Nonostante tutto, Pietro Ferrara e i suoi colleghi pediatri sono molto ottimisti. "Innanzitutto perché abbiamo verificato che all’interno del carcere oggi esiste un buon livello di assistenza sanitaria", dice Ferrara. "E poi si fa una grande opera di prevenzione. Si spiega alle mamme come funziona lo svezzamento, si adegua lo stato vaccinale, e di fatto la percentuale di bambini vaccinati raddoppia. Certo, si può ancora migliorare, ma ricordiamo che i bambini hanno una permanenza molto variabile all’interno della casa circondariale, e non si riescono a seguire tutti nel tempo. L’idea comunque è di cercare di estendere anche alle mamme in carcere il concetto dei bilanci di salute, quegli incontri regolari che si fanno col pediatra per valutare la salute del bambino, per parlare di prevenzione e dare consigli ai genitori".

Fino a poco tempo fa questo argomento era tabù, tanto che è la prima volta che in Italia viene effettuato uno studio del genere. "Molti colleghi stranieri ci hanno scritto dicendoci: finalmente abbiamo dei dati anche sull’Italia", racconta Ferrara. "Abbiamo trovato una situazione certo migliorabile sotto molti punti di vista. Per esempio, sarebbe bene informatizzare le cartelle cliniche anziché dover scartabellare, o rendere regolari gli incontri con queste mamme. Ma possiamo affermare che l’assistenza preventiva e terapeutica in carcere è di buon livello. Un livello a cui molti di questi bambini non avrebbero mai avuto accesso. Se non temessi di essere frainteso, quasi mi verrebbe da dire che per questi bambini meno male che c’è stato il carcere", conclude il pediatra.

Abruzzo: terremoto; preoccupazione per le carceri e i processi

di Tara Fernandez

 

www.osservatoriosullalegalita.org, 8 aprile 2008

 

Il mondo della giustizia non è stato risparmiato dal terremoto dell’Abruzzo, che ha determinato ripercussioni e misure anche per quanto riguarda le carceri e i tribunali.

Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha affermato ieri che "Dopo aver effettuato un’approfondita verifica, possiamo affermare che le carceri delle zone interessate dal terremoto hanno complessivamente tenuto" ed ha reso noto che la Polizia penitenziaria è pronta a collaborare per i soccorsi necessari. "A tal fine, - ha spiegato il Guardasigilli - è stata tempestivamente istituita, dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, una unità di crisi anche per assicurare supporto e aiuti alle famiglie del personale della Polizia penitenziaria eventualmente coinvolte nei danni provocati dal sisma".

Il terremoto non avrebbe comunque danneggiato il carcere locale tanto da mettere a rischio la sicurezza dei detenuti. È quanto appreso dal garante dei detenuti del Lazio Angelo Marroni, che è anche coordinatore dei garanti a livello nazionale. Al momento, ha spiegato Marroni, "non sono previsti trasferimento dei detenuti aquilani in altre strutture italiane", perché il carcere, dopo i necessari controlli, sarebbe stato dichiarato "sicuro". Si è comunque deciso di trasferire i minori ristretti nell’Istituto penale minorile de L’Aquila in altre sedi. Sei di essi - tutti stranieri - sarebbero già ospitati presso l’Istituto Penale Minorile di Roma Casal del Marmo, mentre altri 7 ospiti dell’Istituto penale minorile abruzzese stanno per essere trasferiti a Potenza, Bari e Firenze.

Il Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura Nicola Mancino, a nome suo personale e di tutto il Csm, in un messaggio inviato al Presidente della Corte di Appello e al Procuratore Generale della Repubblica de L’Aquila, ha espresso la massima solidarietà a tutti i cittadini e in particolare agli operatori di giustizia delle zone colpite dal grave sisma. "I rilevanti danni che, dalle prime notizie di cronaca, sembrano aver colpito le strutture giudiziarie dell’Abruzzo - ha scritto ieri il vicepresidente del Csm - impongono misure immediate per consentire il ripristino del funzionamento della giurisdizione nel più breve tempo possibile. Insieme a tutto il Consiglio Superiore della Magistratura - ha aggiunto Mancino - mi farò interprete di questa grave emergenza presso il Ministro della Giustizia, sollecitando ogni possibile intervento in tal senso".

Dal canto suo, l’Unione Camere Penali ha chiesto ai Presidenti delle Corti di Appello di voler dare le opportune disposizioni agli uffici giudiziari di rispettiva competenza affinché l’assenza dei legali abruzzesi alle udienze penali, di qualsivoglia natura, venisse ascritta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento. Infatti, hanno fatto notare il presidente ed il segretario UCPI Oreste Dominioni e Lodovica Giorgi, "la quasi totalità degli edifici sono radicalmente compromessi ed inagibili, se non persino andati distrutti, e molte vie di comunicazione sono interrotte. Inutile dire come questa situazione renda di fatto impossibile l’esercizio dell’attività professionale e non soltanto nell’ambito del circondario dell’Aquila".

"I fascicoli processuali sono spesso sepolti dalle macerie e comunque custoditi entro immobili cui è inibito l’accesso, di talché il loro studio è radicalmente precluso; le vie di comunicazione, salvo le maggiori arterie in queste ultime ore ripristinate, sono spesso interrotte e comunque inibite al traffico civile; il traffico telefonico e telematico è interrotto; le stesse necessità operative conseguenti al disastroso evento impongono la presenza della popolazione locale nelle vicinanze dei luoghi colpiti dal sisma. - continua l’Ucpi - Tali oggettive difficoltà, anche volendo prescindere dalla condizione di personale sofferenza e spesso di lutto che affligge la gran parte dei nostri colleghi abruzzesi, precludono agli avvocati del foro aquilano l’esercizio della professione e con esso della partecipazione alle udienze dinanzi ai diversi uffici giudiziari del territorio nazionale".

Abruzzo: terremoto; iniziato sgombero del carcere di L’Aquila

 

Ansa, 8 aprile 2008

 

A partire da questa mattina è iniziato lo sgombero del carcere dell’Aquila. Lo rende noto il garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, coordinatore della Conferenza Nazionale dei Garanti, secondo cui la misura è stata dettata da "motivi precauzionali".

A quanto appreso dal garante, lo sfollamento è stato deciso dopo in sopralluogo compiuto dal Dap. "La struttura ha risposto bene al sisma di questi giorni - ha detto Marroni - ma non possiamo sapere cosa accadrà nei prossimi giorni. Quello de L’Aquila è in istituto particolare, con una sezione importante di 41 bis. In caso di nuove forti scosse i cittadini sono stati già tutti allontanati dalle zone a rischio, ma i detenuti dove possono trovare riparo? ..Per questo giudico saggia la decisione del Dap."

Contestualmente il Dap ha disposto lo sgombero dell’Istituto minorile del capoluogo abruzzese. I detenuti comuni sono stati trasferiti nelle altre carceri abruzzesi. Sarebbero già stati sfollati anche 80 detenuti in 41 bis, tutti trasferiti a Spoleto. Due donne in 41 bis sarebbero state trasferite a Rebibbia femminile fra cui ci sarebbe anche la Br Nadia Desdemona Lioce.

Abruzzo: la terra trema… anche per i dimenticati del carcere

di Paolo Persichetti

 

Liberazione, 8 aprile 2009

 

"Dopo aver effettuato un’approfondita verifica, possiamo affermare che le carceri delle zone interessate dal terremoto hanno complessivamente tenuto", è stato questo il messaggio rassicurante reso noto subito dopo il sisma dal ministro della Giustizia Alfano. Ma quella tipica precauzione semantica che si cela dietro l’avverbio complessivamente accende più di un dubbio. Infatti accanto alle case crollate col passar delle ore sono emerse anche le prime crepe nella versione ufficiale diffusa dal ministero di via Arenula.

Se è vero che la gran parte degli istituti penitenziari abruzzesi non hanno subito danni alle strutture, molto diverso invece è stato l’impatto delle scosse sulle carceri aquilane. L’istituto penale minorile è stato evacuato. I tredici ragazzi presenti sul posto sono stati trasferiti in altre sedi. Sei di loro nel carcere minorile romano di Casal del Marmo, gli altri sette nei minorili di Potenza, Bari e Firenze. È quanto reso noto dall’ufficio del Garante dei detenuti del Lazio.

Nonostante il tentativo di minimizzare la situazione, importanti sarebbero i danni inferti dal sisma alla casa di reclusione di L’Aquila. Un istituto penitenziario particolarmente sensibile perché ospita un’intera sezione di massima sicurezza, dove sono rinchiusi i detenuti sottoposti al regime del 41 bis (massime restrizioni e isolamento) e un’area riservata, cioè un regime detentivo ancora più aspro e nel quale l’isolamento, anche sensoriale, è praticamente assoluto.

Non a caso poche ore dopo il sisma, il capo del Dap Franco Ionta ha inviato sul posto il direttore del Gruppo operativo mobile (il reparto speciale della polizia penitenziaria che gestisce i reparti di massima sicurezza), generale Alfonso Mattiello. Lo stesso Ionta è arrivato a L’Aquila nella serata di lunedì. In un comunicato ufficiale, emesso ieri, si dice che nella caserma del carcere sono state rilevate "solo lievi lesioni"; ma la versione che viene dall’interno dell’istituto aquilano è un po’ diversa.

Secondo la testimonianza rilasciata a Irene Testa, segretaria dell’associazione "Il detenuto ignoto", da un agente di servizio la notte del terremoto, l’edificio sarebbe inagibile, parte degli appartamenti della polizia penitenziaria sarebbero crollati mentre nel resto della struttura e nelle celle vi sarebbero danni "non rilevanti". Nel frattempo sei detenuti, di cui quattro in regime di 41 bis, più un ex collaboratore di giustizia e un "comune", tutti bisognosi di cure cliniche, sono stati trasferiti, alcuni a Roma. Il crollo dell’ospedale aquilano non permetteva più di fornire loro l’assistenza medica adeguata. Altre tre traduzioni sarebbero in attesa.

Sembra invece che il protocollo d’emergenza previsto in questi casi abbia funzionato bene. Almeno è quanto rivelano fonti dell’amministrazione penitenziaria. Dopo la scossa anche i detenuti della massima sicurezza sarebbero stati raccolti per gruppi e portati nei cortili del passeggio, dove forniti di coperte hanno trascorso la notte.

Anche a Sulmona è stato seguito un protocollo analogo. Solo un detenuto è stato colto da malore a causa di una crisi d’ansia. Nelle situazioni d’emergenza (terremoti, incendi, alluvioni) ogni carcere segue un suo specifico protocollo dettato dalle caratteristiche dell’istituto: tipologia architettonica e requisiti di sicurezza.

Ma intanto la terra continua a tremare per questo c’è chi chiede l’evacuazione completa dell’istituto di pena

Lazio: la regione finanzia progetti per "trattamento" detenuti

 

Iris, 8 aprile 2008

 

Via libera dalla Pisana allo scorrimento della graduatoria per il bando "Criteri e modalità per la concessione di finanziamenti per iniziative a sostegno dei detenuti del Lazio". Il relativo schema di deliberazione di Giunta ha ricevuto oggi parere favorevole prima dalla commissione Sicurezza, presieduta da Luisa Laurelli (Pd) e poi dalla commissione Affari istituzionali, presieduta da Wanda Ciaraldi (Popolari per Marrazzo-Pd).

Attraverso lo scorrimento della graduatoria le iniziative complessivamente finanziate, a partire dal 2008, arrivano a 41. Si tratta di progetti - presentati da cooperative, associazioni e organizzazioni di volontariato - finalizzati al reinserimento sociale e/o accesso al lavoro di persone sottoposte a misura penale (adulti e minori), al miglioramento della qualità del trattamento di adulti, minori e bambini figli di madri detenute e al miglioramento delle condizioni di lavoro degli operatori penitenziari. I primi 25 progetti sono stati finanziati lo scorso anno attraverso i 750 mila euro destinati agli interventi a sostegno della popolazione detenuta, per lo scorrimento della graduatoria si fa ricorso ad ulteriori 710 mila euro stanziati nel bilancio 2009.

La seduta della commissione Sicurezza è stata l’occasione per discutere e fare il punto su una serie di questioni che riguardano la condizione dei detenuti del Lazio. In particolare si è parlato dello stato di realizzazione dell’istituto per la custodia attenuata delle madri detenute con figli minori e della mancata apertura del nuovo carcere di Rieti, "una struttura ben attrezzata, che può accogliere fino a 250 detenuti - ha precisato Annamaria Massimi (Pd) - ma priva di personale".

La presidente Laurelli ha, quindi, proposto di presentare una mozione urgente al Consiglio Regionale per sollecitare l’intervento del Ministero della Giustizia: "la struttura rischia il deperimento per mancata utilizzazione. Il Ministero deve assumere personale e ad avviare almeno il trasferimento delle persone attualmente detenute nel vecchio carcere, assolutamente inadeguato ad ospitarle".

Il consigliere Giuseppe Mariani (Lista civica per il Lazio), nel sottolineare la necessità di trovare al più presto una soluzione per i figli delle madri detenute, ha evidenziato una serie di criticità riscontrate negli istituti di detenzione regionali. In particolare ha posto l’attenzione sull’incapacità delle strutture "di rispondere alle esigenze sanitarie e lavorative dei detenuti, sempre più numerosi. Il paradosso - ha detto - è che si chiedono più carceri, il problema della sicurezza è nell’ordine del giorno di tutte le agende istituzionali, ma non si fa nulla per risolvere la vera emergenza: quella della carenza degli operatori penitenziari".

In conclusione la Presidente Laurelli ha proposto al consigliere Mariani, presidente della commissione Lavoro e politiche sociali, la convocazione di una seduta congiunta per verificare lo stato di attuazione della legge regionale sui diritti dei detenuti (7/2007) da parte dei diversi assessorati interessati.

Umbria: psicologi del carcere; 16 "precari stabili" da 34 anni

 

www.orvietonews.it, 8 aprile 2008

 

Oltre ai precari "normali" esiste una categoria di lavoratori precari "stabili". Sono gli psicologi penitenziari del settore Adulti e Minori che operano con contratti a termine presso il Ministero della Giustizia da 34 anni, in modo "stabilmente precario".

In Umbria, - come si legge in una nota stampa diffusa questa mattina dalla Cgil Umbria, - sono 16 (tra cui un criminologo) distribuiti nei quattro istituti penitenziari, presso gli Uffici del Servizio Sociale e del Servizio Minorile. Una parte di essi, transitata dal 2003 al SSN, svolge il Servizio Tossicodipendenti in modo tuttora precario. L’anno 2009 è iniziato con un provvedimento del ministero della Giustizia che taglia, fino a rendere inconsistente, il servizio psicologico in carcere e addirittura sospende quello destinato ai Minori.

Questo arreca un grave danno, sia a coloro che lavorano in condizioni di "inadempienza obbligata" a causa delle già scarse risorse, sia a servizi di fondamentale importanza perché finalizzati a dare valutazioni sulla personalità e/o pericolosità delle persone detenute e ad attivare processi psichici di riabilitazione. Poiché tali obiettivi sono legati, oltre che al contenimento del disagio psichico e alla gestione dei detenuti, alla riduzione della recidiva, svilire questi servizi non può non comportare serie ricadute su una reale tutela della sicurezza della collettività.

La continua riduzione delle ore (in media 30% in tutti gli istituti d’Italia, compresa la nostra regione, con una presenza per ciascun esperto che varia da 10 a 30 ore mensili) ha portato il rapporto tra detenuti-operatori esperti a 1 su 854 rendendo impossibile un lavoro già complesso che riguarda sia le valutazioni sui soggetti che la loro assistenza.

A tale proposito, - continua il comunicato, - va rilevato che, nella attuale fase di transizione dell’assistenza psicologica dal Ministero della Giustizia al Ssn, si è creato un "vuoto" di assistenza, dato dalla impossibilità ad operare da parte di questi professionisti che l’hanno finora garantita e dovrebbero continuare a farlo. Non esistono peraltro, al momento, soluzioni alternative da parte delle aziende sanitarie e questo appare particolarmente allarmante data la richiesta del Ministero della Giustizia, di un monitoraggio straordinario atto a scongiurare gesti suicidari, com’è noto 21 volte più frequenti in carcere rispetto all’esterno. Attualmente anche alcune udienze del tribunale dei Minorenni sono state rinviate a causa della mancanza della relazione fornita dalla psicologa a cui è stato interrotto il rapporto di lavoro.

Gli esperti, psicologi e criminologi, nel settore Adulti e Minori, hanno garantito per oltre trent’anni un servizio specialistico previsto dalla legge sull’Ordinamento Penitenziario, maturando nel tempo una preziosa ed insostituibile esperienza, offrendo una qualità di lavoro estremamente qualificato. La decisione di ridurre drasticamente gli interventi specialistici mirati all’osservazione e trattamento dei detenuti e dei soggetti in esecuzione penale esterna, è inaccettabile poiché alla luce di un contesto sociale di forte disagio, che invoca la certezza della pena e l’inasprimento delle pene, dovrebbe corrispondere un’azione più incisiva che faccia della detenzione un tempo e luogo di cambiamento e crescita della persona e prevenzione, non certo di rafforzamento del suo potenziale distruttivo. Dovrebbe altresì incrementare l’attenzione verso coloro che, adulti, ma soprattutto minori, usufruiscono delle misure alternative al carcere, per garantire il corretto andamento della misura stessa e la prevenzione della recidiva.

L’Amministrazione offre un accordo di lavoro, "unilaterale" perché privo di tutele: assistenza per malattie, contributi pensionistici, ferie, retribuzione dignitosa, continuità e stabilità del rapporto: una condizione insomma di estrema fragilità professionale che non tutela noi come lavoratori e professionisti, né tutela la professionalità e il servizio per gli utenti.

Pensiamo, - conclude la nota stampa Cgil, - che sia arrivato il momento che il lungo viaggio a fianco dell’amministrazione penitenziaria giunga ad una meta contrattuale in cui le due parti abbiano parità di ascolto e venga data attenzione alle persone, alla peculiarità e utilità sociale del lavoro che svolgono da 34 anni in questo delicato ambito della giustizia, riconoscimento e tutela a professionalità altamente specialistiche.

Chiediamo pertanto alla Dirigente del Prap e dell’Usm dell’Umbria, alla Regione, ai direttori degli Istituti Penitenziari di Perugia, Terni, Spoleto e Orvieto di farsi parte attiva al fine di contribuire a risolvere questa cronica situazione di precariato.

Emilia Romagna: le carceri scoppiano; Errani scrive ad Alfano

 

Apcom, 8 aprile 2008

 

Il presidente dell’Emilia-Romagna, Vasco Errani, scrive al ministro della Giustizia Angelino Alfano, per descrivere la situazione degli istituti penitenziari della regione e chiedere un intervento urgente. La lettera di Errani, scritta in seguito alla riunione della Commissione regionale per l’area dell’esecuzione penale adulti, che si è svolta lo scorso 23 marzo a Bologna, parla della gravità in cui versano le carceri, sotto più punti di vista. "Particolarmente preoccupante - spiega - è la situazione del sovraffollamento nella nostra regione, che sarebbe la più grave in Italia".

Emergenza, sovraffollamento, quadro allarmante, carenza di risorse nazionali. Sono le parole utilizzate dal presidente Vasco Errani nella lettera scritta al ministro della Giustizia Angelino Alfano, in cui lancia l’allarme per la situazione degli istituti penitenziari dell’Emilia-Romagna e chiede un intervento urgente. "La situazione del sovraffollamento è la più grave in Italia". L’indice di sovraffollamento in regione supera il 180%, mentre il dato nazionale è attorno al 140%.

I detenuti nelle carceri dell’Emilia-Romagna sono infatti 2049 in più rispetto alla capienza regolamentare, mentre mancano 644 agenti di polizia penitenziaria. Una lettera, quella di Errani, scritta in seguito alla riunione della Commissione regionale per l’area dell’esecuzione penale adulti, che si è svolta lo scorso 23 marzo a Bologna, da cui è emersa l’estrema gravità in cui versano le carceri, sotto più punti di vista.

"L’obiettivo del "Piano carceri", recentemente varato dal Governo, "è quello di portare i posti regolamentari, a livello nazionale, a 60.000 - prosegue Errani - . La costruzione di nuove carceri avrebbe tuttavia tempi tali da non permettere comunque alcun impatto nella situazione attuale. Inoltre, il numero di nuovi posti previsto risulterebbe già esiguo rispetto alle presenze in esubero".

Nella lettera, Errani ricorda come la Regione abbia confermato il proprio impegno, rafforzato dall’apposita legge regionale di tutela delle persone che si trovano negli istituti penitenziari, intervenendo con azioni specifiche. Per quanto riguarda la tutela della salute, la Regione sta attuando quanto previsto dal Decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 1° aprile 2008 (che ha sancito in maniera definitiva il passaggio delle funzioni di assistenza sanitaria in carcere dal ministero della Giustizia a quello della Salute); "ma quest’impegno - sottolinea Errani - rischia di essere vanificato per diversi motivi. Il già ricordato sovraffollamento rende preoccupanti le condizioni igienico-sanitarie, e crea dei grossi rischi dal punto di vista infettivologico, soprattutto in previsione di quanto potrà succedere durante la stagione estiva", mentre "la carenza di personale con finalità di custodia e di trattamento rende inapplicabili le misure di alleggerimento del regime carcerario".

"Esiste infine un grave ritardo - aggiunge Errani - da parte dell’Amministrazione penitenziaria sugli adeguamenti alla normativa nazionale sulla sicurezza. A questo proposito va anche fatto notare come il Piano carceri non è stato minimamente condiviso con le Regioni per quanto riguarda gli aspetti di sanità pubblica, con il rischio che a cose fatte ci si trovi di fronte a problemi di non agibilità o di inefficienza". Di fronte alla gravità della situazione, che rende sempre più difficile l’opera di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, "chiedo quindi a Lei - conclude Errani - di intervenire innanzitutto a tutela della garanzia dei diritti delle persone che si trovano nelle nostre carceri, dei minorenni in carico alla giustizia minorile, del personale che vi opera e per sollecitare azioni efficaci rispetto alle criticità normative".

 

La situazione nelle carceri dell’Emilia-Romagna

 

I numeri citati da Errani nella lettera risalgono a meno di un mese fa, e precisamente al 22 marzo 2009: in quella data, nelle carceri dell’Emilia-Romagna sono presenti 4323 detenuti, di cui 145 donne (la fonte è il Prap, il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria), quando la capienza regolamentare è di 2274 detenuti e quella tollerabile è di 3765. L’indice di sovraffollamento in Emilia-Romagna supera il 180%, rispetto al dato nazionale che è attorno al 140% e a quello medio europeo che si attesta sotto il 130%. Fra le cause del sovraffollamento c’è la diminuzione dell’accesso all’area penale esterna (per gli stranieri le possibilità di misure alternative incontrano molti ostacoli).

Carenze strutturali e igieniche gravi, a causa della mancanza di risorse economiche; ma anche carenza di organico - questo l’altro punto critico evidenziato da Errani - , indispensabile al lavoro di reinserimento sociale dei detenuti. Attualmente mancano infatti all’appello 644 agenti di polizia penitenziaria (quasi il 27% in meno dell’organico previsto), ci sono 26 educatori per 4323 detenuti e le ore mensili degli psicologi ammontano a 389. Circa il 30% dei detenuti è affetto da dipendenze patologiche; c’è un forte aumento della richiesta di interventi specialistici di tipo psichiatrico e psicologico.

Estremamente delicata è la situazione dell’area minorile: nell’Istituto penale di Bologna, dove i lavori di ristrutturazione e ampliamento sono appena terminati, sarebbero necessari almeno 41 agenti per il corretto funzionamento di uno solo dei piani dell’edificio; attualmente sono disponibili 28 agenti. L’Ussm (Ufficio di servizio sociale per minorenni), è alloggiato da 5 anni in una struttura provvisoria; a quest’ufficio, nei primi tre mesi del 2009, sono state presentate dalla procura minorile oltre 950 richieste di indagine socio-familiare, con presa in carico di 402 minori a piede libero; ma attualmente l’Ussm può contare solo su 8 assistenti sociali operativi per tutto il territorio regionale, mentre l’organico previsto sarebbe di 13 assistenti sociali compreso il direttore. Va segnalata, infine, la situazione - definita "insostenibile" nella lettera - dell’Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Reggio Emilia, dove le persone nel giro di un anno sono passate da 180 a 292.

Sardegna: i sindacati degli agenti; la situazione è drammatica

 

Asca, 8 aprile 2008

 

La situazione negli istituti penitenziari sardi è "drammatica". Lo hanno detto i sindacati delle guardie carcerarie, ricevuti in audizione, presso la Seconda Commissione del consiglio regionale, presieduta da Silvestro Ladu (domani saranno ricevuti i direttori delle carceri, ed il provveditore generale dell’amministrazione penitenziaria).

Come ha sottolineato Ladu la commissione ha accolto immediatamente la richiesta di un incontro, per rendersi conto delle difficoltà che gravano sul sistema penitenziario isolano, "verso le quali la Commissione Diritti civili è particolarmente sensibile, sia per quanto concerne le condizioni di lavoro del personale di sorveglianza, sia per le condizioni in cui si trova la popolazione detenuta". All’audizione hanno partecipato Roberto Picchedda (Uil), Angelo Tedde (Sape), Bruno Melis (Cnpp), Giovanni Villa (Cisl), Giorgio Mustaro (Cisl), Ignazio Usai (Cisl), Antonio Cois (Cgil) ed Efisio Trincas (Cgil).

Dall’incontro è emerso un quadro a tinte fosche delle condizioni di vita e di lavoro all’interno delle case di pena della Sardegna: carceri sovraffollate, strutture decrepite, condizioni di lavoro del personale al limite della sopportazione ("Per noi non esistono quasi più i diritti degli altri lavoratori"), a fronte delle quali è stata sollecitata una iniziativa forte, attraverso la commissione consiliare, della Regione nei confronti dei vertici romani.

"Non si sa cosa vuol dire riposo settimanale, e non si sa cosa vuol dire ferie", a Buon cammino, è stato sottolineato, "si registrano complessivamente 12 mila giornate di ferie arretrate dal 2006 a oggi; 1000 riposi settimanali non goduti; con una carenza di organico di 400 unita"‘. Per questo hanno detto i sindacati "vorremmo poter aprire, tramite la commissione, una breccia nel muro che ci separa da Roma". Come hanno sottolineato i rappresentanti delle guardie carcerarie, da tempo tutto il comparto è in stato di agitazione: "da decenni non esiste il turnover - hanno sostenuto i sindacalisti- gli organici sono allo stremo, con gravi ripercussioni anche sulla sicurezza all’interno delle carceri".

Fra le varie carenze, è stata segnalata anche l’aspetto della formazione professionale e dell’aggiornamento. "A causa delle carenze di organico non vi è più la possibilità - è stato segnalato- per gli agenti di svolgere regolarmente i periodi di addestramento e aggiornamento nella Scuola di Monastir, che ospita strutture adatte". Il rischio è stato sottolineato è che la scuola possa prima o poi chiudere battenti, e quindi costringere eventualmente il personale a recarsi nella Penisola, con aggravio di costi per l’amministrazione.

C’è poi il problema della vetustà della maggioranza degli istituti penitenziari sardi, che si aggiunge aggravandolo, alla carenza di personale. Alcune previsioni che riguardano progetti di ampliamento e ristrutturazione di alcune case di pena fanno ipotizzare per il 2010 un aumento dei detenuti di mille unità: "Una situazione esplosiva, a fonte di organici ridottissimi, turni di lavoro massacranti". Problemi, come hanno illustrato i rappresentanti sindacali, che si ripercuotono gravemente "anche sui detenuti, sia per quanto concerne la rieducazione in vista del reinserimento nella società, e sia gli stessi diritti costituzionalmente garantiti dalla Costituzione".

Ancora un aspetto negativo è rappresentato dalle strutture sanitarie, con il rischio che anche in Sardegna venga demandato alle aziende sanitarie la tutela della salute dei detenuti, con ulteriori problemi riguardanti i piantonamenti nelle strutture sanitarie pubbliche le traduzione e così via: "un sistema - è stato sottolineato - che nelle regioni ove è stato introdotto ha sollevato forti proteste". Dopo i rappresentanti sindacali, numerosi i quesiti posti dai consiglieri della Seconda commissione.

Friuli: consiglieri regionali Idv visitano il carcere di Pordenone

 

Agi, 8 aprile 2008

 

I consiglieri regionali del gruppo Italia dei Valori-Cittadini, Piero Colussi e Alessandro Corazza, e di Sinistra l’Arcobaleno, Stefano Pustetto, hanno fatto visita alla Casa circondariale di Pordenone. Il sopralluogo rientra nelle prerogative di vigilanza dei consiglieri, che hanno potuto così verificare le reali condizioni di vita e di tutela sanitaria dei detenuti e di tutti coloro che vivono, lavorano e frequentano la struttura pordenonese, anche alla luce della necessità di realizzazione di un nuovo carcere.

Accompagnati dal direttore della struttura Alberto Quagliotto e dal comandante della Polizia penitenziaria Attilio Napoletano, i consiglieri regionali hanno potuto soffermarsi sui tanti aspetti che caratterizzano la vita carceraria. I limiti oggettivi di cui soffre la struttura pordenonese (con la conseguente necessità di arrivare alla realizzazione di una nuova sede) sono noti, come è nota la carenza di personale penitenziario, composto da quarantanove agenti a fronte di un organico che prevede dieci operatori in più.

Attualmente il carcere di Pordenone detiene sessantacinque tra detenuti protetti e comuni (che rappresentano i due terzi del totale). Colussi, Corazza e Pustetto si sono soffermati sulla necessità di dare risposte concrete e urgenti sul reinserimento nella società dei detenuti. A maggior ragione se si pensa che proprio in Friuli Venezia Giulia sono state adottate per prime le politiche di inserimento lavorativo tramite la cooperazione sociale. Sono da incentivare le politiche di inserimento lavorativo di persone uscite dal carcere e di creazione di occasioni di lavoro all’interno delle case di detenzione.

Non solo. Particolare attenzione è stata posta ai casi di disagio sociale, dove a un percorso di aiuto terapeutico effettuato all’interno del carcere non segue un accompagnamento al di fuori della struttura. Il rischio, infatti, è che le persone escano senza un indirizzo o un aiuto specifico con la diretta conseguenza di un loro rientro. I consiglieri hanno assicurato un loro interessamento presso l’assessore Vladimir Kosic affinché venga definita quanto prima la procedura che disciplina l’intesa tra Stato e Regione sulla riforma della sanità penitenziaria (quest’ultima trasferita dal ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale e dallo Stato alla Regione) per consentire alle Aziende sanitarie regionali di darne piena attuazione.

L’intesa, sancita dalla Conferenza Stato Regioni, prevede l’equiparazione sotto il profilo della tutela del diritto alla salute tra i cittadini in stato di detenzione e tutti gli altri utenti, e mira a realizzare una più efficace assistenza sanitaria, migliorando la qualità delle prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione negli istituti penitenziari.

Milano: arrestati due agenti polfer; uccisero a calci un clochard

 

Asca, 8 aprile 2008

 

Sono accusati di avere massacrato, probabilmente a calci e pugni, un clochard. A finire in manette sono stati due giovani agenti della Polizia ferroviaria di Milano. L’episodio risale al 6 settembre scorso, ma gli arresti sono eseguiti una settimana fa. È stato necessario attendere gli esami dell’autopsia per capire che quel barbone, Giuseppe Turrisi, 58 anni, originario di Agrigento, era stato picchiato tanto da fratturargli una costola e provocare un’emorragia interna, per lo spappolamento della milza.

È stato necessario, inoltre, visionare i filmati delle telecamere della Stazione Centrale per ricostruire quanto accaduto quel giorno. Dai fotogrammi emerge che il clochard, insieme ad altri senzatetto, è impegnato a parlare, fuori dalla Stazione Centrale che affaccia su Piazza IV Novembre, nel capoluogo milanese. Gli agenti sarebbero stato avvertiti da alcuni passeggeri, infastiditi dal gruppo di ubriachi.

Le immagini testimoniano un battibecco tra gli agenti e la vittima, che era ospite del dormitorio di viale Ortles, che viene portata all’interno della stazione, dove si trova il posto di polizia. Il clochard entra barcollando e uscirà di lì in barella.

Gli agenti, ora in carcere a Opera, sentiti dal gip Zelante avevano riferito di essere intervenuti attorno alle 20 del 6 settembre scorso per una discussione animata tra alcune persone davanti a una delle entrate laterali della Stazione Centrale, e di aver trovato Turrisi, con qualche precedente, a terra in preda ai fumi dell’ alcool. Secondo la versione dei due, l’uomo, che si lamentava dicendo di stare male anche per problemi di cuore, è stato portato nei loro uffici dove avrebbe dato in escandescenza e li avrebbe minacciati con un coltellino.

Dopo averlo disarmato, sempre secondo i due, è stato trasferito in ambulanza in ospedale in condizioni apparentemente non gravi. Poco dopo, però, è morto. L’autopsia ha rivelato in realtà che il pensionato-clochard era deceduto per le botte, in particolare una costola fratturata che gli aveva perforato la milza, e i filmati delle telecamere della stazione hanno raccontato una vicenda diversa.

Pavia: Cgil; detenuto morto... anche per carenza di personale

 

La Provincia Pavese, 8 aprile 2008

 

La procura indaga alla ricerca della verità, per cercare di capire se la morte di Marcello Russo - avvelenato in cella, nel carcere di Prati Nuovi, dal gas del fornelletto - sia stata una fatalità o siano mancati i necessari controlli. Ma la sua storia e la sua morte sono diventati subito, insieme ad altre storie ed altre morti, ragione di battaglia da parte di chi tutela i diritti dei detenuti.

"Marcello Russo non doveva morire così - dice Franco Vanzati, Cgil -. La Camera del Lavoro di Voghera l’aveva conosciuto pochi giorni dopo essere uscito dal carcere; chiedeva solo di essere ascoltato e aiutato, chiedeva di non essere abbandonato. Con noi anche l’Associazione Insieme e la Caritas per gli aiuti immediati, poi il vuoto. Il vuoto istituzionale, quello del Comune per intenderci, nonostante Marcello Russo vivesse dentro un rudere di macchina abbandonata e quello della città, nonostante le iniziative pubbliche per portare alla luce questa situazione.

La Camera del Lavoro di Voghera aveva più volte chiesto una soluzione più umana, una ospitalità nelle strutture, ma il "peccato" di Marcello era quello di non essere residente. Nel suo girovagare per carceri, aveva partecipato a più corsi professionali, aveva tentato una risalita e aspettava che la cosiddetta società dei liberi potesse tendergli una mano. Sarebbe bastato poco: un po’ di ascolto, un "accompagnamento" da parte dei servizi sociali, una "borsa lavoro" e un letto nelle strutture del territorio". La Cgil, con Vanzati, sottolinea anche come il problema delle morti in carcere, al di là dei casi di eventuale rilevanza penale, sia sempre più attuale.

Il mese di marzo, ricorda il sindacalista citando "Ristretti Orizzonti", la più importante rivista sul carcere fatta dai detenuti del carcere di Padova, "ha segnato un drammatico record nella storia delle carceri italiane: 10 detenuti si sono uccisi (5 di loro erano ventenni o poco più), quindi si è verificato in media un suicidio ogni tre giorni. In questo contesto continua la cronica insufficienza numerica del personale deputato al "trattamento" (psicologi, educatori) e alla sorveglianza (agenti di polizia penitenziaria) determinando di fatto un abbandono dei detenuti nelle celle. Se c’è una responsabilità nella morte di Russo, va ricercata soprattutto in questa carenza di personale qualificato e nell’abbandono dei detenuti con problematiche".

Trieste: detenuto con problemi psichici, aggredisce un agente

 

Il Piccolo, 8 aprile 2008

 

Un agente della Polizia Penitenziaria è stato aggredito da un detenuto sofferente di problemi psichici. L’episodio, che fortunatamente non ha causato gravi conseguenze alla guardia, si è verificato nella notte di venerdì nell’infermeria del Coroneo. "È stato un momento di tensione che si è risolto in breve", ha commentato il direttore della Casa Circondariale Enrico Sbriglia.

L’episodio, secondo la Uil penitenziari, è una conseguenza della mancanza di operatori sanitari a causa del passaggio delle competenze dell’assistenza ai reclusi dallo Stato alla Regione. Spiega Sbriglia: "Noi facciamo il possibile per affrontare la situazione, ma non è detto che tutto questo sia sufficiente". Per definire il quadro reale della emergenza sanitaria a Trieste basti immaginare che la terapia, fino a ieri, è stata distribuita dal Comandante del locale Reparto di polizia penitenziaria. Dopo quello che è accaduto la terapia sarà distribuita dal medico di guardia notturna.

"Queste sono le degenerazioni del Dpcm del primo aprile 2008, - dice il segretario generale Uil Penitenziari Eugenio Sarno - fortemente voluto dall’allora sottosegretario Manconi che lo impose contro tutto e tutti. È evidente che occorre rivedere quella norma troppo frettolosamente promulgata e che tanti seri problemi sta creando in tutto il Paese sul fronte della medicina penitenziaria. Credo che avvieremo - rivela - una raccolta di firme per sollecitare la revisione del dpr. I tempi sono maturi e troppe sono le complicanze per non sperare in un intervento diretto anche del ministro Alfano".

Pordenone: sindaco pronto a firmare la chiusura del carcere

 

Messaggero Veneto, 8 aprile 2008

 

Nessuna certezza sul fronte del nuovo carcere di Pordenone. Se l’ennesima visita da parte di consiglieri regionali alla struttura ha evidenziato le carenze da tempo segnalate, da Roma non ci sono novità circa l’inserimento nel piano carceri.

Un atto atteso dal sindaco che mantiene sul proprio tavolo l’ordinanza di sgombero. Con la nomina di Franco Ionta a commissario del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia sono scattati i 60 giorni di tempo affinché possa essere presentato il piano carceri, ovvero il programma nazionale volto a delineare le nuove edificazioni e le ristrutturazioni di edifici esistenti con l’indicazione dei finanziamenti relativi.

È passato poco meno di un mese e notizie da Roma non ne giungono nonostante il pressing da parte della Provincia e del Comune capoluogo, col coinvolgimento dei parlamentari locali. "Il programma ministeriale - afferma il sindaco, Sergio Bolzonello - deve essere prodotto entro il mese di maggio. Se non ci saranno novità, questa volta firmerò l’ordinanza a giugno perché non è più tollerabile un’ulteriore attesa".

Il presidente della Provincia, Alessandro Ciriani, ha affidato al segretario generale, Giovanni Blarasin, il compito di seguire dal punto di vista tecnico la procedura. Ma il peso politico è determinante per fare in modo che la struttura pordenonese possa essere inserita nell’elenco delle priorità da finanziare subito. Ionta, da parte sua, al fine di ampliare le poche risorse disponibili subito sta pensando di procedere per strade parallele: la dismissione a titolo oneroso delle carceri in centro per rimpinguare i piani finanziari delle nuove strutture; l’utilizzo della procedura del leasing, depurata delle difficoltà che sono emerse nella passata legislatura.

La Regione, nel corso del vertice che si è tenuto nel febbraio scorso a Roma, ha dato la disponibilità, formalizzata con una lettera dal presidente, Renzo Tondo, a intervenire finanziariamente per supportare l’investimento che ammonta a 40 milioni di euro, se la struttura avrà 150 posti. La Provincia, da parte sua, ha dichiarato di poter mettere in campo le proprie risorse tecniche al fine di seguire progettazione, direzione lavori e appalto in delegazione amministrativa. Il problema è che manca ancora la definizione dei fondi statali effettivi su cui Pordenone potrà contare ed è per questo che il piano carceri di Ionta sarà la chiave di volta dell’intera operazione.

Libri: Bunker; io, scrittore criminale... e le radici dei miei libri

 

La Repubblica, 8 aprile 2008

 

L’introduzione dell’ultima opera di Bunker: l’America vista dalla parte dei neri e degli ultimi. Sempre ispirata da furti e razzismo. "Come ladro, ero un tipo eclettico. In compenso non ho mai svaligiato case". "Mi trovai le luci rosso ciliegia alle spalle. Mi presero e mi massacrarono di botte". Il brano di Edward Bunker che qui anticipiamo è l’introduzione - una lettera dello scrittore al suo editore Nat Sobel - di "Mia è la vendetta" che Einaudi Stile Libero pubblica in anteprima mondiale (pagg. 211, euro 17, in libreria da oggi). Cinque racconti folgoranti, da grande letteratura, in cui l’autore "di culto" racconta un secolo di scontri tra neri e bianchi, come chiave per capire non solo il carcere, ma l’intera storia degli Stati Uniti.

Caro Nat, eccoti la prima bozza dei racconti. Era mia intenzione che ciascuno potesse essere una storia a se stante. Potrei scriverne altri e raccoglierli tutti in un grosso volume. Penso che le storie migliori siano quelle non ancora scritte. Quanti dei tuoi scrittori sono stati giudicati "soggetto criminale affetto da infermità di mente"?

È una storia buffa, molto simile a quella di Qualcuno volò sul nido del cuculo. Come ladro, ero un tipo eclettico. Ero pronto a commettere una rapina a mano armata se i soldi erano giusti e il colpo era facile: tanto per fare un esempio, beccare uno nel parcheggio e riportarlo dentro per costringerlo ad aprire la cassaforte. Ma ero molto cauto in fatto di rapine a mano armata; la pena da scontare era così lunga se ti beccavano. Specie se eri un ex detenuto. Io avevo alle spalle due condanne scontate in carcere. Potevo darmi da fare con le "truffe lampo", sul genere di quelle raccontate in La stangata, il film più bello in assoluto mai realizzato sui truffatori. Ma con la truffa lampo bisognava arrabattarsi giorno per giorno, come un lavoro. Ci sbarcavi il lunario, ma non facevi mai il colpo grosso che ti cambiava la vita (...)

Andai dal ricettatore a piazzare la refurtiva. Mentre ero lì, il tizio ricevette una telefonata da un ladro, uno di colore, che disse di trovarsi in un vicolo dietro Western Avenue con un mucchio di roba da vendere. Il ricettatore mi passò il telefono. Quello all’altro capo del filo mi spiegò la faccenda e quel che avrei dovuto fare. Mi sembrava un lavoro da taxisti. Non c’era niente di male a montare in macchina e ad andare a vedere.

Era sulla via, un tipo mingherlino di cui non ricordo più il nome. Come aveva detto, ammucchiata nel vicolo, nascosta sotto una pila di cassette, c’era un bel po’ di refurtiva, tra cui un televisore, alcune pistole e un cappotto di volpe argentata. Caricammo la roba in automobile e tornammo dal ricettatore. Comprò tutto, tranne la pelliccia. Sarei riuscito a ricavarne più io, offrendola a una delle ballerine in topless di uno dei locali nella Sunset Strip.

Il ladro mingherlino di colore era un tossico, per cui la prima cosa da fare era procurarci la roba. Poiché la droga messicana solitamente era di miglior qualità di quella piazzata dai neri, andammo a East L. A., dagli spacciatori di mia conoscenza. Poi lo portai a casa sua. Ci stavamo facendo in bagno, lui e io, quand’ecco che la moglie venne a dire che c’erano dei tizi alla porta. Sembrava sconvolta. Pensai che era ora di sloggiare.

Esco, e quei due neri, giovani e ben piantati, mi squadrano da capo a piedi. Cammino sul marciapiede e li vedo che escono dal portone e mi seguono. Salgo in macchina. Vengono verso di me. Apro il coltello a serramanico e lo appoggio sul sedile. Non appena il primo tizio si avvicina alla macchina, infila una mano nel finestrino posteriore e arraffa la pelliccia. - Il cappotto di mia madre, - dice. In un attimo capisco tutto. Il mio socio ha fregato la pelliccia a qualcuno di sua conoscenza. Il tizio aprì la portiera del passeggero, voleva tirar via le chiavi. Gli feci una finta col coltello e lui arretrò con un balzo. Accesi il motore e filai via.

A pochi isolati di distanza, mi ritrovai con le luci rosso ciliegia alle spalle. Si lanciarono all’inseguimento. Ero fuori del mio territorio e, comunque imboccassi le curve, non riuscivo a seminarli. Poi mollai. Mi presero e mi massacrarono di botte. Una decina di sbirri mi pestava e contemporaneamente mi informava sui miei diritti. Era come se avessero avuto in mano O. J. Simpson. Che potevo fare? Dissi che ero John McCone, quello della Cia, e che dovevo andare al processo di Dallas. Dovevo presentare altre prove. La cosa si fece davvero buffa: quando mi schedarono dissi che ero nato nel 1888 e che lavoravo per i servizi segreti della marina. L’interrogatorio fu un vero spasso. Li accusai di essere dei cattolici e di volermi impiantare una radio nel cervello. Un tipo tirò fuori la tessera di appartenenza alla chiesa e dichiarò di essere luterano.

Quando mi portarono davanti alla corte per la contestazione dell’atto di accusa, mi presentai con i pantaloni arrotolati al ginocchio e dei sacchetti di tabacco Bull Durham sul petto a mò di medaglie, e non appena il giudice fece il suo ingresso in aula, saltai in piedi e mi misi a strillare che lui era un vescovo, lo potevo affermare con certezza per via della toga che aveva indosso. Mi trascinarono fuori che urlavo come un ossesso. Al procuratore distrettuale dissi che avevo fatto cento otto anni di galera.

Il procedimento fu sospeso per disporre una perizia psichiatrica. L’incarico fu affidato a due strizzacervelli. In seguito al colloquio cui mi sottoposero, dichiararono che ero affetto da schizofrenia paranoide acuta a evoluzione cronica, e che pertanto, rientrando nello stato di infermità di mente, ero riconosciuto incapace di intendere e di volere. La tappa successiva fu il manicomio. Da allora il mio certificato penale riportò che ero un "soggetto caratterizzato da disturbi psichici sfociati in un comportamento criminale". In manicomio scatenai tutti i pazzoidi e fomentai una sommossa. Mi spedirono in prigione. Lì già mi conoscevano. Pensarono che avevo trasgredito gli obblighi imposti dalla libertà vigilata. La storia finisce quando me la svigno dalla prigione della contea, di notte, nel bel mezzo della rivolta di Watts. La vuoi, quella storia?

Cinema: tutta colpa del carcere; intervista a Davide Ferrario

di Margherita Ferrandino

 

www.innocentievasioni.it, 8 aprile 2008

 

"Il mio non è un film sul carcere, ma un film nel carcere". Davide Ferrario racconta "Tutta colpa di Giuda" il suo nuovo lungometraggio girato con un gruppo di detenuti nella casa circondariale delle Vallette di Torino, dove ha raccontato la storia di una giovane regista, interpretata da Kasia Smutniak che sperimenta uno spettacolo teatrale all’interno del carcere. Condizionata dal cappellano del carcere, l’autrice accetterà di mettere in scena "la Passione di Cristo" ma nessuno dei detenuti vuole interpretare Giuda e l’iniziativa sembra destinata a fallire. Sarà un’illuminante intuizione della regista a ricostruire le fila dello spettacolo… una rilettura della Passione in chiave molto originale: senza dolore, senza croce, senza Giuda".

 

Perché un film girato dietro le sbarre?

"Sono arrivato in carcere per caso, nove anni fa, chiamato per due lezioni di montaggio in un corso di formazione professionale a San Vittore. L’impatto con i detenuti del penale del carcere è stato così forte che ho deciso di rimanere a lavorare come volontario e ho continuato alle Vallette dopo il mio trasferimento a Torino."

 

Qual è stata le tua prima impressione del carcere e che tipo di rapporto hai instaurato con i detenuti?

"Io non sono entrato in carcere per fare del bene o per insegnare qualcosa a qualcuno ma ci sono andato senza una missione da compiere… questo stato d’animo è stato recepito positivamente e il rapporto con i detenuti è iniziato subito in modo paritario. La prima idea che mi sono fatto è che chi sta in carcere ha commesso errori ma non è certo lo stare rinchiusi in un posto in condizioni estreme e senza fare nulla che migliori la situazione. Di questo ho parlato molto con i detenuti e, secondo me, è stato più significativo di tanti grandi discorsi. Lavorare insieme è il miglior modo per insegnare qualcosa soprattutto se si tratta di un lavoro creativo che favorisce il rispetto e la collaborazione. "

 

Chi va oggi in carcere, in Italia?

"Ci vanno i poveracci, a parte qualche rara eccezione. Il detenuto medio è un individuo che non è riuscito a trovare un posto nella società e che si ritrova a delinquere. Non è certo una giustificazione, ma si tratta generalmente di persone prive di strumenti culturali e che spesso non hanno una reale coscienza delle conseguenze di un reato."

 

Pensi che il carcere possa essere efficace ai fini della rieducazione?

"Il carcere rischia di produrre più devianza che presa di coscienza e pentimento"

 

Il tuo film racconta una tematica religiosa sviluppata in un carcere… ma c’è un senso religioso tra detenuti?

"In carcere, con mia grande sorpresa, ho trovato la più totale indifferenza nei confronti della religione e la presenza, nelle celle, di alcune immagini sacre come Padre Pio, è più superstizione che fede. Nella mia prima idea originale del film il tema della religione era più approfondito ma ho trovato fra i detenuti una tale solida laicità che ho preferito cambiare rotta. Il problema dei detenuti non è tanto il futuro in un eventuale aldilà quanto piuttosto il presente, difficile, difficilissimo, in un luogo come il carcere".

Immigrazione: Maroni; voto di Camera libera 1.038 immigrati

 

Apcom, 8 aprile 2009

 

"Dopo il voto scellerato di oggi alla Camera, il 26 aprile dovremo rimettere in libertà 1.038 clandestini. Nelle successive settimane, poi, ne dovremo rimettere in libertà altri 277". Lo ha detto il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, nel corso di una conferenza stampa al Viminale, convocata dopo che la Camera dei deputati ha bocciato la norma che prolunga da due a sei mesi il trattenimento dei clandestini nei Cie, norma contenuta nel decreto sicurezza.

Maroni si è speso per spiegare il significato pratico del voto di oggi: "Il trattenimento per solo due mesi nei Cie - ha detto - non è sufficiente, in molti casi, per effettuare tutte le procedure che sono necessarie al rimpatrio. Il prolungamento a sei mesi serviva proprio per consentire di espletarle e quindi di rimpatriare chi arriva in Italia clandestinamente".

Maroni ha ricordato che una direttiva europea consentiva di prolungare il trattenimento fino a 18 mesi: "Noi avevamo proposto solo sei mesi. La durata del trattenimento di soli due mesi rende praticamente impossibile il riconoscimento ufficiale e quindi dovremo limitarci a consegnare un foglio di via nella speranza che il clandestino torni nel proprio Paese".

Le tesi del ministro dell’Interno sono state fatte proprie e sostenute anche dal capo della Polizia, Antonio Manganelli, presente alla conferenza stampa. "Quanto detto - ha sostenuto il prefetto - è la risultanza delle investigazioni, non è un dato sociologico.

Oggi è partito un segnale positivo verso chi sfrutta l’immigrazione clandestina". Maroni, congedandosi dai cronisti, ha poi ricordato che il voto di oggi riapre anche la questione del Cie di Lampedusa: "Lì - ha detto - sono al momento detenuti 710 immigrati, quasi tutti tunisini. Molti di essi sono compresi nei 1.038 che dovranno essere liberati il 26 di aprile. Ora, dopo la votazione scellerata di oggi, dovremo ridisegnare tutte le decisioni già messe in cantiere".

Usa: Croce Rossa; a Guantanamo medici al servizio di tortura

 

Agi, 8 aprile 2008

 

Tra le macerie morali di Guantanamo giace anche il Giuramento di Ippocrate. A seppellirlo sotto umiliazioni e abusi sono stati, secondo un rapporto della Croce Rossa, medici e infermieri presenti nel carcere di Guantanamo e coautori degli abusi sui detenuti. Quanto scritto un anno fa dal giornalista Mark Danner trova conferma in un rapporto confidenziale della Croce Rossa, uno di quei documenti che l’organismo internazionale inoltra direttamente ai governi affinché questi aprano le porte di determinate strutture agli osservatori internazionali.

Medici e infermieri, secondo il rapporto del quale oggi scrive il New York Times, hanno avuto un ruolo non marginale nella conduzione degli interrogatori e nel trattamento inflitto ai carcerati. Erano loro a far rallentare la macchina della tortura ma solo per farla ripartire con più lena un attimo dopo essersi assicurati che il detenuto non stesse per morire.

Come nel caso di Khalid Shaikh Mohammed, organizzatore degli attacchi dell’11 settembre, sottoposto a waterboarding (l’annegamento simulato): battiti e ossigenazione erano misurati con zelo feroce dal sanitario di turno, attento a sospendere la tortura - oggi cancellata per volere di Barack Obama - se questa metteva a rischio la vita del detenuto. Altri tredici detenuti hanno raccontato di abusi simili e della complicità di medici e infermieri.

 

 

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