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Giustizia: l’ingiustizia eccede il limite e gli esclusi dicono basta di Adriano Sofri
La Repubblica, 7 aprile 2009
Oggi la parola rivoluzione anche solo come sinonimo di grande cambiamento ha fatto il suo tempo. È stata superata, mandata in soffitta, mandata via oppure anestetizzata. Il capitalismo è tutto e il suo contrario. Riesce a chiedere in prima persona che le banche vengano nazionalizzate e i debiti collettivizzati. È capace di auto espropriarsi. La protesta contro i manager super pagati è la spia di un malessere sociale che fa fatica a trovare una voce e un’espressione politica. La parola rivolta è tornata a circolare inseguendo il fatto. Ci siamo sforzati di imparare la nonviolenza, sapremmo combinarle la rivolta? Non è la ribellione, non è l’insurrezione, né la sua versione vandeana, l’insorgenza. Non è neanche, non tanto, la rivolta nelle piazze e nelle officine, quella di cui Fitoussi ha rintracciato qui la genesi e che ha insieme additato come un pericolo per la democrazia. Vecchio aneddoto: la rivolta che invece rassicura l’ancien régime. (14 luglio 1789, presa della Bastiglia. Luigi XVI: "È una rivolta?" Ufficiale della Guardia: "No, Maestà. È una rivoluzione"). È la rivolta morale che ha spiegato qui Ezio Mauro. Succede quando l’ordinaria ingiustizia e assurdità dei nostri modi di vita eccede il limite, e diventa, alla lettera, rivoltante. Dunque è il momento di ripassarla. La rivolta si è definita nel confronto con la rivoluzione. Di norma, venendone colonizzata: la rivolta è scialacquatrice, cieca e sprovveduta, mentre la rivoluzione è lucida, sa dove vuole arrivare, sa come arrivarci, sa anche riscattare la rivolta tramutandola in una tappa del proprio cammino. La rivoluzione ha la sua rivolta premeditata, la chiama insurrezione, e le assegna un anno, un mese e un giorno preciso - il 6 novembre sarebbe stato troppo presto, l’8 troppo tardi. La rivolta è intempestiva, il suo giorno viene a caso, per una scintilla caduta sulla paglia, o naturalmente, come un terremoto. Ma la spontaneità e la genuinità della rivolta può anche essere rivendicata contro il raffreddamento calcolato della rivoluzione. La rivolta non ha da giustificare se stessa che con il rifiuto della servitù e dell’inganno. Nonostante il paradosso di Camus, che vuole far durare la rivolta, la rivoluzione può (invano) sognarsi permanente, la rivolta si brucia in un giro di notti. La rivoluzione vittoriosa costruisce un nuovo ordine impegnato a schiacciare la controrivoluzione fuori e dentro le proprie file, la rivoluzione sconfitta lascia uomini impegnati a cavarne la lezione e preparare la prossima. La rivolta è sconfitta per definizione, e dopo aver infiammato insieme gli individui e una moltitudine - "Je me rèvolte, donc nous sommes - mi rivolto, dunque siamo" - lascia persone sole a passare attraverso file di carcerieri, a registrare impronte digitali, a camminare su e giù in un cortile, forse per tanti anni, forse per un’ultima notte. La rivoluzione ha fatto il suo tempo. Strana espressione questa, di fare il proprio tempo. Perché vuol dire essere superati, messi in soffitta, buttati via, ma anche, in qualche origine, aver preteso di forgiare il tempo sulla propria misura. La parola stessa è così anestetizzata che si può reimpiegarla nelle conversazioni perbene, disincarnata, disossata, mero sinonimo di un cambiamento, di un grande cambiamento. Si può perfino dire "una vera rivoluzione culturale", non so, per il modo di appendere i quadri in una mostra, e non sentire più i brividi dell’originale. Di tutti i progetti di governo delle cose, la rivoluzione sociale e politica era il più ambizioso: una specie inconsapevole di ingegneria genetica ante litteram applicata al corpo sociale universale. Se ne è disillusa, ed è diventata scettica e conservatrice, o prudentemente riformista. Così, per chi non ci sta e ha membra agili ed è troppo giovane o troppo stanco per provare interesse a un futuro, è rimasta la rivolta. Per strada, nelle periferie notturne, o nelle incursioni in centro in certi giorni di gala, quando un’ufficialità ne offra il pretesto. O nei luoghi in cui si lavora, e si smette così spesso di lavorare, e si può acchiappare per un po’ qualche ricco, un amministratore delegato o un tagliatore di teste, in fuga a Varennes con il portafoglio gonfio e la coda fra le gambe. Nichilista, la rivolta? Beh, le avete tolto tutto, anche la lepre della rivoluzione. Quanto alla convalescenza, stava appena studiandosi di smettere di dirsi riformista e cominciare a essere riformatrice, che le sue ricette diventano aspirina per l’elefante. La cosiddetta crisi eccede rivoluzione e riforma. Peggio: investe gli Amministratori delegati delle potenze statali di un’ambizione rivoluzionaria, di una recita prometeica. Sono loro, adesso, quando la macchina mondiale è imbizzarrita, a immaginarsi capaci di metterle morso e redini, a fissarle date di un’agenda da luna park, a somministrarle, in mancanza di qualità, quantità di trilioni. Era giudiziosa, la mano invisibile del mercato: dissuadeva dalla megalomania demiurgica, suggeriva di maneggiare con cura, di lasciare che il risultato venisse dalla libertà di innumerevoli corsi e incroci delle cose. Naturalmente, questo campo libero poteva inclinare alla giungla, e dato che poteva l’ha fatto. Il capitalismo è ambedue le cose, capricciosamente: l’ordine e perfino il progresso che viene da quel libero corso, e il tracollo. Nazionalizzare le banche, collettivizzare i debiti, diventa affar suo, del capitalismo che si auto espropria, e nel momento in cui dichiara la bancarotta della propria presunta razionalità della propria giustizia, nemmeno parlarne - simula di poter governare il mondo. Manca poco che annunci i piani quinquennali. D’altra parte, bisogna pure rassegnarsi a sperare che Dio ce la mandi buona, e che i governanti, e Obama per tutti, non ce la mandino troppo cattiva. Chi non abbia l’età o il reddito bastanti a questa pazienza, potrà imbattersi nella rivolta. Non la sceglierà: quello lo fanno, peggio per loro e per noi, i black block. La rivolta vera non ha uniformi né visi coperti. È come un incidente stradale: uno si ferma a dare un’occhiata, e finisce nella mischia. Dopotutto la crisi dell’auto era stata annunciata dalle decine e centinaia di automobili date alle fiamme in una notte nei nostri Paesi: soprattutto in Francia, già patria della famosa rivoluzione, e ora della malfamata rivolta. Altri sciagurati vanno a sparare all’impazzata in un qualunque luogo affollato, o si portano all’altro mondo i propri cinque figli. All’altro mondo possibile. Giustizia: alla Camera è rottura su ronde; l'ostruzionismo Pd
Redattore Sociale - Dire, 7 aprile 2009
Sul decreto contro la violenza sessuale maratona in corso alla Camera, con l’opposizione in pieno ostruzionismo dopo il rifiuto del governo di stralciare la norma sulle ronde. La rottura in aula è netta. A inizio seduta Antonello Soro porge la mano al centrodestra chiedendo che le ronde siano cancellate dal provvedimento: "Abbiamo assunto un impegno a fare la nostra parte per il rispetto dovuto alle vittime del terremoto assicurando collaborazione per lo svolgimento dei lavori. Ma i doveri - avverte il capogruppo del Pd - li hanno sia l’opposizione sia la maggioranza". Dunque, se il governo stralcia le ronde il confronto potrà essere in discesa, altrimenti l’opposizione "non potrà rinunciare al proprio diritto-dovere di opporsi, visto che quella norma è pericolosa per la democrazia e rischia di essere uno strappo". L’opposizione è compatta. Secco il no di Roberto Maroni: "Si tratta di una misura giusta, coerente e moderna, che consente ai cittadini - gela il ministro dell’Interno - di partecipare alla sicurezza pubblica in modo controllato e adeguato". Il clima si irrigidisce. Soro annuncia ostruzionismo: "Impegneremo questi giorni per dire cosa l’opposizione pensa delle ronde". Giustizia: ddl del governo; arresti solo con sì del Capo dei Pm di Giovanni Negri
Il Sole 24 Ore, 7 aprile 2009
Per procedere a un arresto servirà sempre l’assenso scritto del procuratore capo o di un suo delegato. A prevederlo sarà il Codice di procedura penale. Il disegno di legge, approvato dal Consiglio dei ministri e ora all’esame del parlamento, che riscrive ampie parti del Codice, ampliando, tra l’altro, i margini di autonomia della polizia giudiziaria rispetto al Pm, prende atto della posizione delle Sezioni unite della Cassazione (sentenza n. 8388/09) e inserisce tra le condizioni di ammissibilità delle misure cautelari anche l’assenso del Procuratore della Repubblica. Con l’avvertenza, quanto alla fase transitoria, che il nuovo requisito di ammissibilità non sarà applicato alle richieste precedenti la data di entrata in vigore del disegno di legge. Con la riforma dell’ordinamento giudiziario che, in materia di Procure, venne fortemente voluta dal’ex Guardasigilli Roberto Castelli (legislatura 2001-2006) e poi rimasta inalterata nel breve periodo dell’amministrazione di Clemente Mastella, si è di fatto rivista l’organizzazione degli uffici dell’accusa all’insegna del centralismo e di un ritorno a una più spiccata gerarchizzazione, andando oltre le indicazioni del Csm spesso favorevole alla concessione di più spazi di autonomia ai sostituti. È in questa chiave che veniva stabilita la necessità dell’intervento scritto del Procuratore capo oppure di un altro magistrato da lui delegato. In ogni caso, le Sezioni unite, con la pronuncia di fine febbraio, avevano di fatto neutralizzato la disposizione stabilendo che una norma di natura ordina mentale, in assenza di una specifica previsione nel Codice di procedura penale, non può avere effetti sul processo. Tanto meno compromettere la rigidità dell’elenco delle cause di inammissibilità che il Codice ribadisce come tassative. Così la richiesta di misura cautelare ottenuta dal sostituto senza l’assenso del Procuratore non dovesse esser ritenuta colpita da nullità o inammissibilità. Il Ddl del Governo ha tenuto conto di questa osservazione. Così, a venir modificato, sarà proprio il codice di procedura penale con inserimento di una nuova causa di ammissibilità e non più il solo ordinamento, in maniera da evitare le censure della Cassazione. Giustizia: a Torino è iniziato il processo per l’amianto "killer"
Aprile on-line, 7 aprile 2009
Sono state centinaia le persone che hanno raggiunto oggi Torino per prendere parte all’udienza preliminare nel processo per le vittime della multinazionale svizzera Eternit che vede alla sbarra la dirigenza dell’azienda. Quasi tremila sono state le richieste di costituirsi parte civile: dalla Cgil a Legambiente, passando per la Regione Piemonte e finendo con l’Inail. Unico assente: il governo. Dal Piemonte ma anche dalla Campania. E per solidarietà dalla Francia, dalla Svizzera e dal Belgio. Perché la multinazionale Eternit, azienda svizzera leader nel settore dell’amianto, produceva al Nord come al Sud, seminando morte a tutte le latitudini e in proporzioni allarmanti. Così in tanti hanno preso il treno, l’auto, il pullman per arrivare al Palazzo di Giustizia di Torino ed assistere all’udienza preliminare con cui si è aperto il processo ai manager della holding, che compaiono alla sbarra per rispondere della morte e della malattia che si sono abbattute su lavoratori e cittadini, accomunati dal tragico destino che li ha voluti in contatto con le fibre, le polveri e il materiale d’amianto. Presenti anche sindacati e associazioni (in prima fila quella dei Familiari vittime dell’amianto), oltre alle amministrazioni locali che, insieme alle famiglie e alle vittime stesse, hanno oggi avanzato la richiesta di costituirsi parte civile. Le persone offese contemplate nel capo d’accusa sono 2.889 e, per fronteggiare il flusso, il Tribunale ha messo a punto una serie di misure straordinarie, con percorsi guidati, controlli informatizzati all’ingresso, e un presidio medico gestito dalla Protezione civile. Mercoledì si concluderà la presentazione delle richieste: segno evidente di quanto l’amianto abbia ucciso e avvelenato in questi anni. E quando si dice amianto si dice Eternit. E quando si dice Eternit si dice dirigenza. Chiamati in causa e accusati sono infatti proprio gli ex vertici dell’azienda: lo svizzero Stephan Schmidheiny, 61 anni, e il barone belga Jean Louis De Cartier, 88 anni, che devono rispondere di disastro doloso. Il "non sapevo" non è contemplato, il "non potevo immaginare" nemmeno. Dunque un capo di imputazione chiaro che lascia intendere come la magistratura sul fronte morti da lavoro stia incamminandosi sul sentiero che lascia alle spalle la strada tradizionale dell’incidente e della tragedia come fatalità. "Sarà un processo giusto per tutti, per le vittime e per gli imputati", ha detto il pubblico ministro Raffaele Guariniello, che ha coordinato le indagini e che, oltre al caso, è protagonista anche del procedimento relativo al rogo della Thyssen Krupp di Torino. Indicato come uno dei fautori del nuovo corso della giustizia in materia, Guarianiello proprio oggi punta l’indice sulla modifica avanzata dal governo in merito al Testo unico. Una norma contenuta nella bozza di riforma "sembra - dice Guariniello - che se l’incidente è provocato da un lavoratore, il titolare non é più considerato responsabile. Ma questo contrasta con l’impostazione delle nostre inchieste e anche con la giurisprudenza della Cassazione". "Il codice penale - spiega - dice che non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo", mentre la nuova proposta "è di mettere dei limiti a questo principio". Da Casale Monferrato, dove c’è stato il maggior numero di vittime, dunque sono giunti sette pullman carichi di persone. Un altro mezzo ha portato a Torino 27 residenti a Rubiera (Reggio Emilia) dove c’era una sede della multinazionale. Ed anche la Campania ha avuto la sua delegazione di dolore perché proprio a Bagnoli sorgeva uno dei tre stabilimenti della Eternit. Molti sono giunti dalla Francia in rappresentanza dell’Andeva (Associazione nazionale delle vittime transalpine dell’amianto), altri da Svizzera e Belgio. A manifestare, insieme a loro davanti alle porte del Palazzo torinese della procura, non poteva mancare la Cgil. Le associazioni ci sono. E con loro le amministrazioni. Fra i presenti Mercedes Bresso, presidente della Regione Piemonte: "Ci siamo costituiti per primi. E io ci sono per segnalare l’enormità del danno materiale e morale subito dalla Regione e dai cittadini", ha detto. Insieme al governatore piemontese, anche la Regione Emilia Romagna e la Regione Campania; le Province di Alessandria e di Torino; i comuni di Casale Monferrato, Cavagnolo e Rubiera hanno avanzato la richiesta di essere riconosciute come parti civili. Lunga la lista delle associazioni: dalla Cgil a Legambiente, passando per il Codacons e Medicina democratica. Tra questi soggetti figura anche l’Inail che per indennizzare le vittime ha speso 246milioni di euro e ora avanza il conto alla multinazionale. Unico assente dunque il governo. Lo stesso che dopo la tragedia Thyssen Krupp, mentre si apre il processo all’Etrnit, sceglie con il ministro del welfare Maurizio Sacconi di attaccare, per depotenziarne pene e sanzioni a vantaggio di Confindustria, il Testo unico per la sicurezza e la salute sul lavoro. Non è un caso che il coro di condanna sia unanime e senza diversificazioni politica. "È una vergogna, un segno di profonda insensibilità umana e politica", ha commentato l’eurodeputato del Vittorio Agnoletto. Mentre per il candidato Idv Maurizio Zipponi, ex sindacalista della Fiom, ora è necessario che "la costituzione come parte civile per associazioni e sindacati, in questo tipo di processi, diventi una disposizione di legge". Il punto, come ricorda il responsabile lavoro del Pd Cesare Damiano, è che tale "strage sul lavoro"prodotta dall’amianto non è ancora conclusa poiché "le morti causate dalle scelte irresponsabili dell’azienda continuano tutt’ora", dice l’ex rappresentante dei metalmeccanici e ministro del Lavoro. Molti drammi, ha spiegato l’ex presidente della Commissione Lavoro Gianni Pagliarini "sono là da venire: il picco dei casi di tumore alla pleura dovuto all’amianto è infatti previsto tra oggi e il 2015". Per il senatore democratico Felice Casson, che da pm si è occupato di morti bianche soprattutto in riferimento al polo industriale di porto Marghera, va invece ricordata l’opacità che ha avvolto il caso Eternit, oltre che il totale disinteresse dell’esecutivo. "Difensori e consulenti delle industrie sono stati pagati profumatamente e si sono venduti alle esigenze delle imprese" spiega Casson ai microfoni di Ecoradio. Ma ormai è stata indicata un’altra verità: "i ricercatori autonomi e indipendenti ci hanno confermato l’evidenza scientifica del nesso causale tra l’amianto e i mesoteliomi di vario genere", per cui "su questo non si dovrebbe ormai più discutere", soprattutto tenendo conto del fatto che "sentenze di Cassazione confermano che si sapeva che l’amianto è una sostanza cancerogena quanto meno dai prima anni ‘60". Affrontare il passato alla luce di tale consapevolezza significa ridefinire il presente giudiziario, ma accanto a questo sarebbe utile che la politica decida di ripristinare la giustizia. "C’è una prima legge - continua Casson - che ha vietato l’utilizzazione dell’amianto , ma è incompleta nei fatti. Tanto é vero che abbiamo ripresentato un disegni di legge che vuole creare fondi per le vittime di amianto. Un secondo obiettivo é il censimento e la bonifica dei siti contaminati dall’amianto e la sorveglianza sanitaria. Su questo disegno di legge fermo in commissione al Senato bisognerà darsi una mossa". Anche il fondo per le vittime per l’amianto "è bloccato" con il ministro che "tiene tutto fermo", mentre "maggioranza e opposizione dovrebbero passare direttamente ai fatti". Per capire le proporzioni del caso si possono citare le stime dell’Ispesl. Fino alla messa al bando del 1992, in Italia sarebbero stati usati più di 20 milioni di tonnellate di amianto. "La conseguenza di tale utilizzo - hanno dichiarato i ricercatori dell’Istituto Superiore per Prevenzione e Sicurezza del Lavoro (Ispesl) - è che l’Italia è oggi uno dei paesi occidentali più colpiti dall’epidemia di malattie correlate". Secondo l’Ispesl, le vittime dell’amianto dal 1983 ad oggi sono quasi 3000, tutti ex lavoratori degli stabilimenti italiani della multinazionale. L’Italia è stata, fino alla fine degli anni ‘80, uno dei maggiori paesi produttori ed importatori di amianto. Il tasso di incidenza dei mesoteliomi, la forma di tumore indotta dall’esposizione all’amianto, è di circa 3,5 casi ogni 100mila abitanti negli uomini e di 1 caso ogni 100mila abitanti nelle donne. Da questi dati emerge che, in Italia, il mesotelioma colpisce circa 1.350 persone l’anno. Inoltre, l’inalazione di fibre di amianto è responsabile di un numero rilevante di casi di tumore del polmone, della laringe e dell’esofago. Giustizia: quando i reduci del terrorismo salgono in cattedra di Paolo Padoin (Prefetto di Torino)
La Stampa, 7 aprile 2009
Il 7 aprile 1979 nacque l’inchiesta su Autonomia operaia, che portò 134 imputati a processo e una quarantina in carcere in base al "teorema Calogero" secondo cui eversione e terrorismo di sinistra in Italia erano manovrati da un’unica organizzazione chiamata Autonomia operaia organizzata, che respirava in perfetta simbiosi con le Brigate Rosse. A Padova, allora centro dell’Autonomia, è stato organizzato dai diretti interessati, con la presenza di Toni Negri, un ciclo di manifestazioni per ricordare quella data 30 anni dopo. L’esperienza antica e quella recente, che ha portato alla scoperta del gruppo denominato Nuove Br proprio a Padova, ci deve mettere in guardia contro queste rievocazioni di parte, che confermano, purtroppo, quanto spazio sia ancora concesso ai molti reduci degli anni di piombo. Siamo stati testimoni, nella scorsa legislatura, dell’elezione a segretario generale della Camera di Sergio D’Elia, dirigente del gruppo che ha assassinato a Firenze l’agente Fausto Dionisi, non ci meravigliamo se Curcio pretende la pensione dallo Stato, tv e pubblici dibattiti, seminari universitari, circoli culturali ospitano ex terroristi a gogò. La Petrella e Battisti soggiornano ancora all’estero, sottratti all’esecuzione delle sentenze dei nostri tribunali. Molti fra gli esponenti delle associazioni eversive di un tempo cercano di negare le responsabilità di chi ha commesso gravi reati e ha promosso azioni per rovesciare l’ordinamento democratico. Il supplemento "Alias" de il manifesto il 5 aprile ha ospitato una lunga lettera di autodifesa di Toni Negri, che accusa magistrati e politica per quel processo che definisce "giuridicamente un’indecente invenzione e politicamente una precaria operazione repressiva". Si perpetua così l’anomalia italiana che ha permesso ai terroristi e ai loro amici di svolgere un ruolo di protagonisti nelle ricostruzioni di quel periodo, di sostenere d’essere vittime del sistema giudiziario e di apparire eroi incompresi. Magistrati, rappresentanti delle Forze dell’ordine, professionisti, giornalisti, sindacalisti, semplici cittadini che hanno difeso la democrazia stanno dalla parte della ragione, a loro dobbiamo sempre riconoscenza per il servizio che hanno reso al Paese. Si è prestata, soprattutto in passato, poca attenzione agli "eroi" che, con grande coraggio e a rischio dell’incolumità, si opposero alla violenza politica. Opposta è la situazione di chi ha teorizzato e praticato la violenza, ha organizzato e ha militato nei gruppi armati, ha sparato e si è macchiato di crimini da condannare. Più della metà dei presunti appartenenti alle Nuove Br, coinvolti nell’inchiesta "tramonto" del febbraio 2007, sono ragazzi che non hanno vissuto la realtà degli anni di piombo. Dobbiamo moltiplicare l’attività d’informazione nei confronti delle giovani generazioni, colmare quel vuoto di memoria nel quale possono attecchire di nuovo teorie eversive e antidemocratiche. Vi sono state molte iniziative che hanno ricordato le vittime innocenti degli anni di piombo, rigettando l’immagine di eroi invincibili che i protagonisti di quegli anni si sono cuciti addosso, spalleggiati, in Italia e in Francia, da molti esponenti della sinistra radical-chic. Padova e Torino, città che ben conosco, colpite dal terrorismo, hanno reagito organizzando convegni, mostre in ricordo delle vittime innocenti. È stato istituito il giorno della memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi, il 9 maggio. Per questo un prefetto, un rappresentante dello Stato che a Firenze come a Arezzo, a Pisa come a Padova, ha incrociato le vicende del terrorismo vecchio e nuovo, non può restare in silenzio, ma deve fornire il suo contributo di esperienza professionale e civile, soprattutto a beneficio dei giovani che non hanno vissuto direttamente quella tragica realtà. Giustizia: il sovraffollamento e l’illusione del "Piano Carceri"
Comunicato stampa, 7 aprile 2009
Sembra di sentire parlare di qualcosa che non esiste o non si conosce leggendo quanto prevede il "Piano Edilizio" del Commissario Straordinario, nonché Capo del Dap, Franco Ionta, sulla costruzione di nuove carceri, che è a dir poco inverosimile in quanto prevede un aumento dei posti entro la fine del 2010 al di sotto dei 5.000, mentre mensilmente c’è una crescita costante di 1.000 persone, perciò basta fare i conti per avere l’evidente quadro che questi non tornano. Previsioni di spesa che vanno ad intaccare un bilancio dello Stato fallimentare, in questo frangente politico e storico, e che non tengono conto della realtà: più posti ci saranno e più detenuti avremo e quelli che verranno creati non basteranno mai! Non c’è verso di sentire la volontà politica di questo Governo e del Parlamento di modificare le leggi che creano carcerazione e che, oltretutto, sono incivili e lesive dei diritti delle persone private della libertà: la Bossi-Fini e la Fini-Giovanardi, solo i sindacati della Polizia penitenziaria, con il personale oramai esasperato per questa situazione, ha fatto affermazioni che vanno in questo senso. Infatti la legge Bossi-Fini sull’immigrazione clandestina fa incarcerare mediamente 11 mila persone l’anno che non hanno commesso reati, ma sono semplicemente irregolari. Questo Governo si decida: o si fornisce agli stranieri la possibilità di integrarsi, oppure li si riporti in patria, ma non ha nessun senso tenerli nelle carceri e addirittura criminalizzarli. L’altra grossa fetta di detenuti presenti riguarda coloro che sono caduti nella tossicodipendenza. Sono le persone incarcerate dalla legge Fini-Giovanardi, tutte per la maggior parte con problemi sociali, che andrebbero seguite in altro modo, soprattutto terapeutico e non penalizzante. Se riflettiamo che il 35% dei detenuti è tossicodipendente e il 40% è straniero, in tutto il 75% di carcerati in Italia, abbiamo già un quadro abbastanza esauriente di un problema che manteniamo ma in verità non c’è, o meglio viene sconsideratamente lasciato tale. Se il Governo prendesse una decisione su queste due questioni sociali, dando risposte che non possono continuare ad essere di natura penale, di colpo le carceri si svuoterebbero. Non avremmo più bisogno di costruirne di nuove per combattere il sovraffollamento, ma addirittura si potrebbero chiudere tutte quelle vecchie, diventate assolutamente disumane e inutili.
Livio Ferrari Garante delle persone private della libertà del Comune di Rovigo Direttore del Centro Francescano di Ascolto di Rovigo Veneto: i sindacati contro ddl sicurezza; no a militarizzazione
Corriere Veneto, 7 aprile 2009
"Sospendere subito l’esame del disegno di legge sulla sicurezza in programma oggi. Così com’è la legge all’esame del Consiglio regionale va verso la "militarizzazione e la centralizzazione della polizia municipale". L’appello è di Cgil-Fp, Cisl-Fps e Uil-Fpl, ma la maggioranza di centrodestra lo respinge: "Si va avanti". Quelle dei sindacati, afferma il capogruppo del Pdl, Daniele Galasso, sono "posizioni ideologiche. Questa è una vera riforma, invocata da tempo". Si infiamma, dunque, il dibattito intorno al disegno di legge bandiera della Lega Nord che ridisegna competenze della polizia municipale e che introduce i volontari per la sicurezza. Previsioni che, dopo le schermaglie dei giorni scorsi, hanno convinto i sindacati a prendere carta e penna e a scrivere una lettera aperta ai sindaci, al presidente della regione. La sospensione - si spiega nella lettera - è auspicabile al fine di riportare i contenuti del provvedimento "entro i confini del quadro generale di riferimento sia per quanto concerne le politiche della sicurezza (titolo V della Costituzione e della legge 121/1981, il ruolo delle amministrazioni locali e le competenze contrattuali". sindacati non condividono infatti "l’impianto complessivo del disegno di legge che prefigura - a loro parere - una "militarizzazione" e centralizzazione della polizia municipale, estrapolandola da quella funzione di riferimento profondamente radicato nelle comunità locali". Ma Galasso insiste: "È una vera riforma. Si stanno cercando pretesti per bocciare un procedimento innovativo". Un provvedimento che, di fronte ai morsi della crisi, rinuncerà anche a cospicue risorse. Si parla di un taglio di circa 2-2,5 milioni rispetto agli 8 previsti. "È vero - conferma il capogruppo della Lega Nord, Dani lo Narduzzi - in questo frangente è necessario compiere delle scelte. Noi siamo disposti a ridurre il finanziamento della legge-sicurezza purché a favore di uno stanziamento significativo per le emergenze sociali". "Quindi - spiega Narduzzi - anche alle risorse destinate all’immigrazione". Un’operazione già in cantiere, conferma Galasso. Per un importo che si aggira sui 700-800mila euro. L’Aquila: l'Ass. "Detenuto ignoto"; meglio evacuare il carcere
Ansa, 7 aprile 2009
Anche se non ci sono state vittime, "non sono certo da sottovalutare" i danni alle strutture del carcere dell’Aquila causati dal terremoto di stanotte: a sottolinearlo è Irene Testa, segretario dell’associazione Radicale "Detenuto ignoto", secondo cui a scopo precauzionale è "urgente" che l’istituto penitenziario venga evacuato fino alla cessata emergenza. "Da una conversazione avuta con un preoccupato agente in servizio presso l’istituto, risulta che gli appartamenti della polizia penitenziaria sono in parte crollati e inagibili, e nel resto della struttura e nelle celle sono stati riscontrati danni non rilevanti. Dei detenuti, che nottetempo sono stati fatti uscire nel cortile dell’istituto - afferma Testa in una nota -, i più a rischio saranno trasferiti (stando alle ultime informazioni, per ora una quindicina), e sono in corso tutti gli accertamenti del caso sulla sicurezza con un gruppo di lavoro del Dipartimento amministrazione penitenziaria che segue, pronto a ogni evenienza, la vicenda, come riferito poco fa dallo stesso Direttore del Dap. Ma ci chiediamo se, di fronte ai danni creati dal movimento che è stato classificato al nono grado della scala Mercalli, e che rischia di continuare con le scosse di assestamento, sia il caso, da parte del Ministero e della Protezione civile, di temporeggiare per vedere come evolve la situazione". L’associazione chiede pertanto l’evacuazione di tutti i detenuti, degli agenti di polizia penitenziaria e di tutto il personale dai locali della casa circondariale e delle altre strutture detentive presenti nel territorio maggiormente interessato dal sisma". Lecce: Uil; detenuto è ricoverato per caso conclamato di Tbc
Ansa, 7 aprile 2009
"Con il ricovero, avvenuto sabato scorso, presso il reparto malattie infettive dell’ospedale di Galatina di un detenuto 36enne di origine marocchina per un conclamato caso di Tbc è di nuovo emergenza sanitaria in tutta la Casa Circondariale di Lecce". A dare l’annuncio è direttamente il segretario generale della Uil Pa penitenziari, Eugenio Sarno, a seguito di una nota proveniente dal coordinamento provinciale di Lecce. "Quello che maggiormente preoccupa - denuncia Sarno - è la totale assenza di qualsiasi protocollo di profilassi a tutela della pubblica incolumità di operatori e detenuti. Il detenuto, infatti, è ristretto da oltre un mese presso la struttura salentina in ambienti promiscui". Secondo le parole del segretario generale non sarebbe la prima volta che si verificano episodi simili in istituti penitenziari italiani. "Occorre mantenere la calma e agire con responsabilità ma occorre agire e in fretta", sostiene. "Gli accertamenti sanitari e le eventuali profilassi vanno immediatamente attivate. Anche sul fronte della prevenzione si potrebbe fare di più, ma la recente norma sul passaggio della medicina penitenziaria alle aziende sanitarie locali - sostiene -. ha , in molte realtà, ulteriormente complicato un quadro generale difficile". Proprio sulla normativa la Uil Pa penitenziari rileva di voler intraprendere iniziative volte alla sua revisione. "Venerdì scorso a Trieste un detenuto esasperato dalla mancata somministrazione delle terapie ha inveito ed aggredito un agente di polizia penitenziaria in servizio presso l’infermeria del carcere che non dispone più di propri operatori sanitari", racconta Sarno. "Per definire il quadro reale della emergenza sanitaria a Trieste basti immaginare che la terapia, fino a ieri, è stata distribuita dal comandante del locale reparto di polizia penitenziaria. Solo da ieri, pare, che la terapia sarà distribuita dal medico di guardia notturna. Queste sono le degenerazioni del famigerato Dpr del 1° aprile 2008". La Uil Pa penitenziari rivela inoltre l’avvio di una raccolta di firme per sollecitare la revisione del Dpr. "I tempi sono maturi e troppe sono le complicanze per non sperare in un intervento diretto anche del ministro Alfano. In questo particolare momento occorre disinnescare e non alimentare le tensioni interne. Il contrario sarebbe atto di irresponsabilità, non dimenticando che il diritto alla salute è costituzionalmente garantito anche per i detenuti. Ovviamente ci riferiamo ad un sistema sanitario efficiente ed efficace". Cagliari: agenti penitenziari in protesta, contro tagli governo
Agi, 7 aprile 2009
Una cinquantina di agenti di Polizia Penitenziaria protestano a Cagliari, davanti alla sede della rappresentanza del governo in piazza del Carmine, contro i tagli del governo all’amministrazione penitenziaria. Tagli che, hanno spiegato i rappresentanti sindacali, non consentono di sopperire alle pesanti carenze di organico degli istituti di pena sardi. Nelle carceri isolane mancano circa 400 agenti e 250 tra impiegati, assistenti ed educatori. I partecipanti al sit-in hanno anche sottolineato come per i dodici istituti sardi vi siano solo sei direttori. Gli agenti segnalano problemi ai mezzi, spesso obsoleti e mal funzionanti e l’assenza di posti di polizia penitenziaria nei porti e negli aeroporti. "Siamo arrivati alla terza manifestazione - hanno detto alcuni rappresentanti dei lavoratori che manifestano con bandiere e striscioni davanti alla sede della rappresentanza del governo - ma non siamo ancora stati ricevuti dal provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria. Oggi chiederemo al rappresentante del governo un intervento per promuovere un tavolo tecnico-politico tra sindacati, governo e regione per cercare di avviare a soluzione i problemi delle carceri sarde". Alla manifestazione partecipano i rappresentanti di Cgil-Fp, Cisl-Fps, Uilpa, Sappe, Osapp, Sinappe, Uspp e Fsa-Cnpp. Bologna: viaggio nell’Ipm... tra nuovi spazi e vecchi problemi
L’Unità, 7 aprile 2009
Abbiamo visitato la rinnovata struttura del Pratello: addio a muri fatiscenti e macchie umide. Ma il nodo per i 16 detenuti sono i servizi: pochi corsi per prepararsi un futuro oltre le sbarre. L’Unità ha visitato il carcere minorile del Pratello, ristrutturato da poco: spazi ampi e clima più tranquillo. Ma a mancare sono i fondi per i corsi di formazione necessari a prepararsi l’esistenza una volta scontata la pena. Un bel "guscio", dopo sette anni di degrado ambientale. Restano, però, tutti gli altri problemi: dalla totale assenza di mediatori culturali e di attività di svago e lavoro, dentro e fuori le mura di via del Pratello. A un mese e mezzo dal trasferimento nella nuova struttura dei 16 ragazzi detenuti all’Istituto penale minorile di Bologna, la situazione è più calma. Niente più rivolte, come fra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio, qualche sorriso sui volti dei ragazzi, stanze decorose. Quello che manca - per un taglio del 40% delle risorse ministeriali, come per il calo dei finanziamenti di enti locali e Fondazioni - è tutto il resto: da domani, e solo per tre mesi, è previsto l’arrivo di due psicologi. Oggi non ce n’è nemmeno uno. Mentre delle tante nazionalità presenti (oltre ai 4 italiani ci sono rumeni, lituani, cinesi, nigeriani e un ghanese), nessuna può contare su un mediatore. L’unico svago poi, oltre alla biblioteca, è un laboratorio di attività manuali. Visitiamo l’ala ristrutturata dell’ex convento che amplierà i posti del carcere minorile dai 12 attuali ai 48. Accompagnati dalla garante Desi Bruno, attraversiamo i corridoi della zona vecchia, dove resta solo la palestra. Al primo piano, la nuova area con le celle, la sala mensa, le aule. Niente a che vedere con i vecchi spazi, caratterizzati da pavimenti rotti e macchie di umidità. Alle 16, però, i ragazzi sono quasi tutti a letto: "Fra poco usciranno in cortile" spiega un agente. Ma è un fatto che oltre al minimo indispensabile (scuola al mattino, vitto e alloggio) poco resta per impiegare il tempo. Dei 16 trattenuti, la metà definitivi, solo uno (un 19enne nigeriano, al Pratello da un anno e due mesi) dalla prossima settimana uscirà per lavorare come giardiniere. "Sono contento - sorride il giovane, un mezzo cuoricino d’oro al collo per ricordarsi che "fuori" l’aspetta la fidanzata -: quando esco da qui voglio cambiare vita". A tutti gli altri, non resta che sperare nei laboratori legati al corso di teatro di Paolo Billi che, per il 2009, sono ancora in dubbio. "Abbiamo un problema di rifinanziamento dei progetti" chiarisce la direttrice del Pratello, Paola Ziccone. In ogni caso poi, prosegue, "da gennaio a giugno la formazione professionale è assente". Altro problema, l’assistenza sanitaria: da dicembre il servizio è passato alla Regione. Che ha dimezzato la presenza di infermieri dalle 10 alle 5 ore al giorno. Una questione non da poco se si pensa all’aumento futuro degli "ospiti". "Dopo 7 anni abbiamo finalmente garantito uno spazio decoroso - dice il dirigente del Centro giustizia minorile dell’Emilia-Romagna Giuseppe Centomani -: ora stiamo cercando i presupposti per garantire un funzionamento "ordinario" della struttura". Parma: "Per Ricominciare"; Casa per le famiglie dei detenuti di Michela Spotti
Gazzetta di Parma, 7 aprile 2009
"Grazie perché con la ospitalità che ci avete offerto mi avete permesso finalmente di vedere il mio papà". Sono le parole scritte da una bambina di 10 anni, figlia di un detenuto, che hanno fatto commuovere Silvana Loreti Rossi, 76 anni, residente nel quartiere Parma Centro e volontaria dell’associazione assistenti volontari penitenziari Per Ricominciare. La piccola era stata accolta in una delle due case gestite dalla Onlus Il Focolare. "Si trova in borgo Pipa 5, concessa dai monaci benedettini, dà accoglienza gratuita alle famiglie dei detenuti che vengono ai colloqui, ritenendo che sia molto importante che sia mantenuto il rapporto famiglia-detenuto, sia quando il recluso è ancora in carcere che quando esce. L’altra casa (che offre sempre accoglienza gratuita) invece è in Via dei Mercati, si chiama Il Samaritano e può accogliere per tre giorni un detenuto alla volta (in misura premiale) con i propri familiari". L’attività dell’associazione è molto importante perché spesso queste famiglie non possono permettersi un albergo, arrivano magari dall’estero o da molto lontano e non hanno posti in cui stare. "E sono tante le persone che lasciano una testimonianza scritta per ringraziarci, proprio come la bambina, la cui lettera mi ha particolarmente colpito. Ci sono poi ditte di Parma che danno prodotti alimentari a titolo gratuito e per quello che riguarda il finanziamento di queste opere, siamo appoggiati dalle istituzioni e dalla Fondazione Cariparma". La signora Silvana intrattiene anche corrispondenza con alcuni detenuti. Ma non è l’unica associazione di cui fa parte, si occupa anche degli Amici di don Lambertini, "che si propone di riportare all’attenzione della città la grande figura del "Prèt di Capanòn", e poi ancora della piccola compagnia teatrale I Narrastorie, rivolta ai bambini. "Raccontiamo favole, storie, facciamo giochi nelle scuole elementari". Il volontariato è diventato parte della vita di Silvana, "si impara ad amare la gente - dice lei - ed è più quello che si riceve rispetto a quello che si dà. Io ho sempre ricevuto molto dalle persone che ho conosciuto". La signora risiede da 29 anni nel quartiere Parma Centro, dove si trova molto bene. "È ben servito come negozi e trasporti. Nel mio condominio in Via Partigiani d’Italia poi sto benissimo, ho un rapporto magnifico con tutti i condomini e vivo insieme alla mia gatta Baffina, un bellissimo soriano". Silvana ama chiacchierare, è una donna simpatica, socievole e non nasconde le proprie passioni. "Leggo molto, dalla saggistica, ai romanzi, adoro Gerard Durrell, un grande naturalista e la scrittrice Rosamunde Pilcher. Amo i dibattiti politici in tv, i programmi di costume e i documentari di animali. Sono anche appassionata di musica lirica e classica". Compositore preferito? Domanda retorica. "Beh, è naturale. Lui, Giuseppe Verdi". Non poteva essere altrimenti. Milano: ex detenuto disoccupato lancia monete ai Consiglieri
Ansa, 7 aprile 2009
Un disoccupato ha scagliato monetine da un centesimo contro i Consiglieri comunali di Milano, per protestare contro l’esiguità dei sussidi offerti dall’amministrazione agli adulti in difficoltà. L’uomo, Antonio Santoiemma, un passato da detenuto, è presidente dell’associazione Sos Carcere Giustizia e responsabile del comitato disoccupati milanesi. È stato subito bloccato dai vigili che lo hanno condotto alla caserma di piazza Beccaria per identificarlo e denunciarlo. "Il morso della fame porta a delinquere", ha urlato Santoiemma mentre, scortato dai vigili, ha abbandonato l’aula di Palazzo Marino. Ha anche denunciato gli scarsi aiuti alle cooperative sociali che si occupano del reinserimento degli ex detenuti e delle persone svantaggiate. Bologna: da Provincia iniziativa per regalare libri ai detenuti
Ansa, 7 aprile 2009
Una lista di 100 titoli tra cui i cittadini possono scegliere per donare un libro alle biblioteche del carcere della Dozza e di quello minorile del Pratello. È l’iniziativa promossa dalla Provincia di Bologna, in collaborazione con i due penitenziari e con Sala Borsa, in occasione del 51° anniversario del Consorzio provinciale di pubblica lettura, che fino al 1986 realizzò e coordinò 25 biblioteche sul territorio provinciale. I cittadini, consultata la lista (sarà sul web), potranno acquistare i libri e poi farli avere al carcere direttamente o mediante la Provincia. Venezia: i detenuti hanno celebrato la Domenica delle Palme
La Nuova di Venezia, 7 aprile 2009
Canti e rami d’olivo anche nelle carceri veneziane, alle 8,45 al maschile di Santa Maria Maggiore, alle 16 alla Giudecca. All’istituto di pena maschile il cappellano don Antonio Biancotto ha fatto la "conta": 120 i detenuti in chiesa, il 70% sono stranieri e professano religioni differenti (cattolica, ortodossa, musulmana). Il prelato li ha invitati al rispetto del luogo: "Come quando entriamo in una moschea e ci togliamo le scarpe o in una sinagoga e ci mettiamo un copricapo. La vostra è una scelta libera". La celebrazione ha inizio. I detenuti hanno letto i brani del Vangelo. Nell’omelia padre Fabio Miglioranza, cappuccino della Comunità Olivotti di Mira ha detto: "Quello di Gesù è stato uno dei processi più veloci della storia, 3 giorni. Dio, che non vuole né la morte dell’uomo né una religione che lo annienti, rischia per ogni uomo. So che il carcere significa essere lontani dagli affetti. Noi vi siamo vicini". Con il rametto d’olivo tra le mani i reclusi hanno ascoltato quelle parole di speranza. Ma dentro le alte mura le problematiche non mancano. Attualmente nel carcere circondariale i detenuti sono 280. Preoccupata la direttrice Gabriella Straffi ha affermato: "Lavoriamo in una situazione difficile. Il loro numero è ancora troppo alto". E don Antonio Biancotto: "Il numero del personale è troppo basso. Non serve costruire altre carceri. Si devono trovare strategie diverse, cioè spingere per la rieducazione e il reinserimento". Immigrazione: rivolte in Centri per migranti di Torino e Milano
Asca, 7 aprile 2009
In meno di ventiquattro ore, due rivolte hanno scosso i centri di detenzione per migranti di Torino e Milano. Nel capoluogo lombardo, intorno alle 22.30 di ieri sera i detenuti del Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli sono saliti in massa sui tetti dei gabbiotti nei quali sono rinchiusi. Uno si arrampica su un palo. I migranti si ribellano alle condizioni di vita inumane e contro la nuova disposizione, contenuta nel "pacchetto sicurezza", che consente la reclusione per sei mesi. La polizia ha caricato i migranti usando, secondo gli stessi detenuti, non solo manganelli ma anche i calci dei lancia lacrimogeni. Due migranti sono stati ricoverati in infermeria per le botte ricevute. Venti minuti dopo, proprio mentre i migranti raccontavano le scene in diretta con Radio Blackout [potete sentire la testimonianza dal sito www.radioblackout.org], la polizia li ha caricati di nuovo, a freddo. A Torino, invece, venti persone avrebbero tentato di fuggire dal Centro di identificazione ed espulsione di Corso Brunelleschi. Al momento pare che in quattro siano riusciti a dileguarsi. "Le notizie sono ancora confuse, ma da quanto si riesce a sapere l’evasione c’è stata", si legge su www.infoaut.org. Ci hanno provato in venti, ma solo in quattro sono riusciti a scavalcare le gabbie.
Vetri rotti e nessun ferito
Rivolta al centro di identificazione ed espulsione di via Corelli. È avvenuta ieri notte, tra le 22.30 e le 2. Una trentina di persone è salita sui tetti dei gabbioni protestando contro la possibile proroga dei tempi di permanenza nella struttura. I manifestanti, tuttavia, a quanto si apprende dalla polizia, sono scesi da soli dopo essersi confrontati con due funzionari giunti sul posto proprio per questo. Durante la rivolta, si sono verificati lievi danneggiamenti con alcuni vetri andati in frantumi, ma nessuna persona sarebbe rimasta ferita. Sull’episodio è però spuntato ieri un video su Youtube, sulla cui veridicità occorre far luce. "Intorno alle 22,30 - viene scritto prima di far partire le immagini - i detenuti del lager di via Corelli a Milano si sono ribellati alle condizioni di vita e alle terribili privazioni a cui sono forzatamente sottoposti salendo in massa sui tetti dei gabbioni nei quali sono rinchiusi". Nel video si darebbe conto in diretta, "mentre un testimone denuncia i continui pestaggi", di come i poliziotti sarebbero pronti a colpire. La versione, però, contrasta completamente con quella della polizia che non parla neppure di scontro. Circa un mese e mezzo fa, il 20 febbraio, ci fu addirittura un incendio in via Corelli. Ad appiccarlo, a causa delle scarse condizioni igieniche che c’erano nel centro, era stato un gruppo di stranieri nel settore riservato ai transessuali. Il giorno successivo tre viados vennero arrestati e 9 denunciati per incendio doloso e danneggiamento. La polizia ricostruì anche come andarono i fatti. Alcuni transessuali ammassarono dei materassi contro una porta e poi vi appiccarono il fuoco. Contemporaneamente altri diedero fuoco alle lenzuola e ad altri materassi. L’incendio, subito tenuto sotto controllo dal personale di vigilanza del centro, sprigionò però un gran fumo che annerì diverse stanze, le parti comune del settore e danneggiò alcune porte. Poteva essere la miccia per scatenare una rivolta più ampia in tutto il centro di via Corelli, in realtà alla protesta dei transessuali non si unirono gli altri immigrati. Motivo della protesta furono le condizioni di scarsa igiene e pulizia nel settore riservato ai transessuali, aggravate da un problema idraulico ai bagni. Poche settimane prima della rivolta, alcuni consiglieri comunali avevano potuto visitare il centro di via Corelli. All’interno è previsto un massimo di 114 posti divise in 5 sezioni da 28 posti l’una. Due di queste sezioni sono riservate agli uomini, una alle donne, una ai transessuali e una agli stranieri che chiedono asilo politico. Immigrazione: mille egiziani morti, per raggiungere l’Europa
Redattore Sociale - Dire, 7 aprile 2009
I dati diffusi da una Ong del Cairo, basati sulle notizie censite sulla stampa araba. Ma le stragi non fanno paura. Uno degli intervistati: "Meglio morire in mare che vivere oppressi in questo paese". "Che differenza c’è tra una lenta morte qui e una rapida morte in mare?". Se lo chiede un giovane egiziano candidato all’emigrazione verso l’Italia, via mare. Affrontare la morte è divenuta l’unica speranza per una vita decente. Complici l’impoverimento delle campagne egiziane e la diminuita richiesta di manodopera nei paesi arabi del golfo. Ma la rotta che attraversa il Mediterraneo, da Alessandria d’Egitto, come da Tripoli e Zuwarah, in direzione di Lampedusa, è divenuta un fiume di sangue. Centinaia di ragazzi ogni anno perdono la vita tentando di raggiungere l’Europa. Dall’Italia se ne vede soltanto una parte. Molti naufragi avvengono nella prima metà del viaggio, lontano dallo sguardo delle nostre agenzie stampa. Sulla riva sud del Mediterraneo però ci si inizia a interrogare su quanto avviene. E si inizia a documentare. Lo ha fatto in modo egregio una Ong egiziana. Si chiama Land Center for Human Rights. Dal 1997 impegnata nelle lotte per i diritti dei contadini, da alcuni anni si è iniziata a interessare alle stragi in mare. Da quando i figli dei contadini lasciano il lavoro dei campi per imbarcarsi a rischio della vita sui vecchi pescherecci diretti in Sicilia e in Grecia. Per tutto il 2008 hanno raccolto notizie sui naufragi. I dati sono agghiaccianti: 76 naufragi, 503 persone annegate e altre 527 date per disperse. Trentanove di quelle barche erano dirette in Italia, 16 in Grecia, 11 in Libia e 2 in Turchia. E alle vittime in mare si aggiungono almeno 2.941 vittime di truffe da parte degli intermediari dei viaggi. Il rapporto si interroga anche sulle ragioni dell’aumento dell’emigrazione illegale. Da un lato la diminuzione della richiesta di manodopera nei paesi arabi del Golfo, meta principale dell’emigrazione egiziana, dall’altro la crisi delle campagne egiziane seguita alle politiche di liberalizzazione del settore, sullo sfondo del generale deterioramento del rispetto dei diritti umani in un Paese governato sotto lo stato di emergenza dal 1981. Ma se il viaggio è così pericoloso, perché partire? Perché rischiare la vita? "No, non sono in pericolo qui - dice uno degli intervistati -. Emigro illegalmente perché le condizioni di vita sono difficili, è impossibile trovare una soluzione. Cerco di vivere, ma senza riuscirci. Anche se mi arrestano, anche se devo affrontare la morte, non esiterò a provare di nuovo a realizzare il mio sogno di vivere in Europa. Morire in mare è sempre meglio che vivere oppresso in questo paese". Un altro dice: "La decisione di morire è l’unica opzione rimasta per passare a una vita decente." E allora la migrazione - conclude il rapporto - "non è il problema, ma parte della soluzione". Migrare è un diritto - sottolinea Land Center - e non dovrebbe essere criminalizzato. La comunità internazionale dovrebbe invece impegnarsi - scrive lOng - per risolvere i problemi che sono alla base dell’emigrazione illegale: "mancanza di sviluppo, di sicurezza e di equità". Stati Uniti: Obama; l’Ue accolga ex detenuti di Guantanamo
La Nazione, 7 aprile 2009
Per chiudere il carcere speciale di Guantanamo entro il prossimo gennaio il presidente Barack Obama ha bisogno della collaborazione della Ue e ieri da Praga ha lanciato il suo appello ai 27 che, ancora divisi sull’accoglienza dei detenuti, oggi potrebbero dare un primo via libera alla richiesta del leader americano. Raggiungere l’obiettivo di chiudere Guantanamo "sarebbe molto più facile se gli Stati membri della Ue accogliessero dei detenuti", ha detto Obama a Praga. E per chiudere in fretta un altro dei più controversi capitoli dell’era Bush, il presidente ha spiegato che "è urgente" che il Consiglio Ue, con una dichiarazione comune, dia il via libera agli Stati di accogliere i prigionieri, qualora i governi lo decidano. Aprire o meno le porte ai detenuti di Guantanamo è una decisione che spetta ai singoli Stati. Ma l’accordo di Schengen (che prevede libertà di circolazione tra 25 Paesi membri) rende necessario un parere favorevole di tutti. Perché se un prigioniero viene accolto in uno dei 25 Paesi dove non esiste base giuridica per trattenerlo in carcere, può liberamente circolare e andare in qualunque altro dei venticinque Paesi. Il dibattito vero e proprio, sollecitato dalla richiesta formale di cooperazione giunta a Bruxelles dagli Usa venerdì scorso, e dall’appello di Obama, inizierà oggi. I ministri della Giustizia della Ue riuniti a Lussemburgo (per l’Italia ci sarà il ministro Angelino Alfano), dovranno valutare, ad esempio, lo status da accordare ai detenuti e la possibilità di limitare i loro movimenti all’interno dello spazio Schengen. Al momento cinque Paesi (Italia, Francia, Portogallo, Spagna e Gran Bretagna) si sono detti pronti ad assistere gli Usa. Mentre sono forti le riserve di Austria, Danimarca, Svezia e Olanda. Divisa la Germania. Ma oltre ai dubbi dei singoli Paesi, sono tanti gli ostacoli da superare anche a livello giudiziario. Non è ancora chiaro, ad esempio, come accogliere detenuti che non hanno alcun legame con il Paese disposto a farsene carico. Secondo quanto ha spiegato Alfano nella recente visita a Washington, in base alle leggi internazionali vigenti solo due dei 245 detenuti di Guantanamo potrebbero per ora essere estradati in Italia, perché i loro nomi figurano in inchieste avviate in Italia e dunque nei loro confronti potrebbe essere applicata correttamente l’estradizione. Intanto una associazione di ex detenuti, la International Guantanamo Detenees Organization, ha annunciato che avvierà una causa collettiva di tutti gli ex prigionieri di Guantanamo per chiedere agli Usa il risarcimento per l’ingiusta detenzione e i danni fisici e morali. L’ha detto ieri a Viareggio Sami al-Ahjj, il cameraman di Al Jazira che, dopo sei anni da innocente nella base Usa a Cuba, ha ricevuto l’International Award dei cronisti dell’Unione cronisti italiani (Unci). "Vogliamo portare i responsabili di Guantanamo, a cominciare da Bush e dai vertici dell’amministrazione Usa, di fronte alla giustizia civile americana", ha annunciato Al Ahjj. Stati Uniti: l’Ue è divisa su accoglienza detenuti Guantanamo
La Nazione, 7 aprile 2009
Europa divisa sull’appello degli Stati Uniti ad accogliere gli ex detenuti di Guantanamo. A Lussemburgo il Consiglio dei Ministri della Giustizia e dell’Interno dell’Unione si è sforzato di definire una linea e delle regole comuni per rispondere alla richiesta americana. Ci sono paesi pronti ad accogliere gli ex detenuti, altri disposti a farlo purché venga definito una sorta di ombrello europeo e quelli che rifiutano ogni coinvolgimento. "La responsabilità di accogliere o meno un ex detenuto dipende dai singoli stati membri, che sono liberi di dire sì o no" afferma il Commissario europeo alla giustizia Jacques Barrot. Tra i paesi favorevoli: Francia, Portogallo, Spagna, Regno Unito e Italia. Tra i contrari: Austria, Svezia, Olanda, Repubblica Ceca e Polonia. Indecisi Germania, Belgio, Lussemburgo. Alcuni stati temono infatti per la loro sicurezza interna. "Stiamo parlando di una sessantina di persone su cui non pende nessun crimine e che non sono mai state processate per quello che si suppone abbiano fatto" afferma Susi Dennison, di Amnesty International. "Il governo americano aveva detto a molti di loro già anni fa che sarebbero stati liberati. I membri dell’Unione Europea hanno l’obbligo morale di fare il possibile per mettere fine a tutto ciò e trovare una soluzione affinché queste persone possano rifarsi una vita". I Ventisette dichiareranno la loro decisione sulla richiesta del Presidente americano, che si è impegnato a chiudere il carcere entro gennaio 2010, nella prossima riunione dei Ministri dell’Interno prevista a inizio giugno. Brasile: procuratore generale; Battisti deve restare in carcere
Corriere della Sera, 7 aprile 2009
L’ex membro dei "Proletari armati per il comunismo", Cesare Battisti, deve rimanere nel carcere di Brasilia dove si trova attualmente. È il parere del procuratore generale del Brasile, Antonio Fernando Da Souza, il quale, per quanto di sua competenza, respinge il ricorso che Battisti aveva presentato al Tribunale supremo federale chiedendo la revoca della carcerazione preventiva, oppure, in subordine, i domiciliari. In merito alla richiesta dei legali di Battisti di stop alla procedura di estradizione, motivata dalla presunta prescrizione dei reati per cui Battisti è stato condannato, il procuratore generale ha ritenuto non ancora prescritti per la legge brasiliana i reati in questione. Angola: indulto per il settimo anniversario fine di guerra civile
Apcom, 7 aprile 2009
Un indulto per i detenuti in carcere per reati minori è stato decretato dal presidente dell’Angola, José Eduardo dos Santos, in occasione del settimo anniversario dalla firma degli accordi che misero fine alla lunga guerra civile. Lo riferisce l’agenzia Misna. Il provvedimento di clemenza non riguarda i colpevoli di omicidio o di altri reati gravi come violenza sessuale, rapina a mano armata ed è limitato a detenzioni non superiori ai 12 anni. Il 4 aprile 2002 i capi delle forze armate angolane e dell’allora gruppo ribelle dell’Unione nazionale per la totale indipendenza dell’Angola - oggi principale gruppo dell’opposizione - misero fine a una guerra civile cominciata subito dopo l’indipendenza del paese dal Portogallo nel 1975. Cuba: i parenti dei detenuti negli Usa chiedono visto per visite
Apcom, 7 aprile 2009
Le autorità cubana hanno chiesto al presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, di intervenire per permettere la concessione di visti d’ingresso ai familiari dei cinque cubani detenuti per spionaggio nelle prigioni americane. La domanda è stata presentata giovedì scorso alla Sezione degli interessi degli Stati Uniti all’Avana, ha riferito il Comitato internazionale per la libertà dei cinque. La richiesta era accompagnata da una petizione firmata da "170 personalità di 27 paesi", tra cui due premi Nobel, il tedesco Gunter Grass (letteratura) e il sudafricano Desmond Tutu (Pace), e inviata al segretario di Stato Hillary Clinton. Definiti eroi della lotta "antiterrorista" sull’isola comunista, Gerardo Hernandez, Antonio Guerrero, Ramon Labanino, René Gonzalez e Fernando Gonzalez sono stati arrestati nel 1998 e condannati tre anni più tardi per spionaggio da un tribunale di Miami (Florida), roccaforte dell’opposizione al regime dei fratelli Raul e Fidel Castro.
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