Rassegna stampa 31 agosto

 

Giustizia: sulle proteste nelle carceri è tornato il "silenziatore"

di Paolo Persichetti

 

Liberazione, 31 agosto 2009

 

Dopo il clamore delle proteste di Sollicciano e Como il silenziatore è tornato di nuovo sulle proteste nelle carceri. Eppure non c’è giorno che passa senza che vi siano battiture, agitazioni e incidenti. Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze, ha reso noto il gesto estremo compiuto nei giorni scorsi da un detenuto marocchino rinchiuso a Sollicciano. Si è cucito la bocca contro il mancato rimpatrio. Solo così è riuscito ad ottenere quanto gli spettava per legge. L’automutilazione, ancora una volta, è servita a surrogare l’afasia provocata dall’inesorabile condizione d’invisibilità vissuta nelle carceri.

C’è, nella sordità mostrata dalla società esterna, e dai media, una particolare forma d’ipocrisia. Solo se la protesta rompe gli argini si accendono i riflettori, per assistere poi a un’ipocrita rincorsa a lanciare appelli alla calma, a scagliare moniti contro "proteste condotte in forme incivili, altrimenti…" Altrimenti cosa? Appena tutto ritorna nei binari classici, le proteste perdono il sonoro, finiscono nella confusione del rumore di fondo che accompagna il mondo esterno. Il bromuro dell’ipocrisia legalitaria diventa vasellina da spalmare sulle condizioni d’invivibilità quotidiana che i detenuti dovrebbero accettare.

 

Tre metri a testa

 

Tre metri quadri a testa, invece dei sette e mezzo ritenuti legali. Per quanto ancora? Qualcuno gioca col fuoco? Fa l’apprendista stregone e spera davvero nel peggio per poi introdurre un’ulteriore torsione autoritaria e repressiva? A un mese dalla sentenza della Corte di Strasburgo che ha condannato l’Italia a risarcire un detenuto per il sovraffollamento carcerario (meno di 3 metri quadri a persona), un centinaio di segnalazioni analoghe sono giunte all’ufficio del "Garante" di Antigone, Stefano Anastasia (difensorecivico@associazioneantigone.it).

 

Proteste ovunque

 

Mentre a Sollicciano è ripresa la battitura in vista dell’incontro che i detenuti avranno oggi con la direzione e dove presenteranno un documento, altrove battiture e contestazioni non sono mai cessate. Nel carcere di Vibo Valentia. giovedì scorso per protestare contro l’affollamento è stato appiccato un incendio. Contestazioni ci sono state a Venezia Santa Maria Maggiore (325 detenuti, anche in nove dentro celle da quattro su letti a castello) e Padova. Secondo quanto riferito dalla Uil Pa, i due episodi avrebbero assunto "gli aspetti di una vera rivolta, con celle distrutte, suppellettili divelte, coperte e giornali date alle fiamme".

Nella Casa di Reclusione di Padova "una sessantina di detenuti stranieri hanno dato vita a una maxi rissa". Battiture a Trani, estese a Foggia (700 detenuti per 380 posti). Lecce e Bari, poi al Mammaggialla di Viterbo, al Marassi di Genova e al Pagliarelli di Palermo.

Alla "Rocca" di Forlì, sempre per protesta, un detenuto ha incendiato la cella e siccome gli estintori non funzionavano sono stati evacuati tra il panico 50 detenuti. Per protestare contro l’assenza d’acqua circa 200 dei 400 detenuti della Casa Circondariale di Pisa hanno appiccato, lunedì sera, il fuoco a cuscini, stracci, indumenti ed effetti personali e hanno lanciato bottiglie, bombolette del gas ed escrementi nei corridoi.

Nel carcere di Frosinone (480 reclusi), un detenuto di 46 anni, Fabio T., originario di Roma, si è tolto la vita lunedì pomeriggio. Al Bassone di Como (560 detenuti, 150 in più del previsto), sette detenuti, considerati gli animatori della protesta della scorsa settimana, sono stati "sfollati" a Monza, Vigevano e Pavia. In genere questi trasferimenti punitivi vengono seguiti da accoglienze particolarmente brusche da parte del personale di custodia dei nuovi istituti.

 

Detenuti stranieri discriminati

 

Nel pacchetto sicurezza, entrato in vigore l’8 agosto, c’è una norma che vieta l’attribuzione del codice fiscale agli stranieri senza permesso di soggiorno. Nelle carceri italiane sono circa il 40 per cento, con punte del 70% al nord. Questa disposizione esclude i detenuti stranieri dal lavoro in carcere (unica fonte di sostentamento) e dall’accesso alle misure alternative e ai benefici (lavoro esterno, semilibertà, affidamento). Per usufruire delle misure alternative è necessario avere un lavoro per il quale è indispensabile il codice fiscale.

 

L’apprendista stregone

 

Ci mancava proprio lui, don Manetta. La calura ci aveva liberato per un po’ dalle sue requisitorie. Marco Travaglio è tornato a prendersela con l’indulto. Sull’Espresso definisce un "presunto ragionamento portentoso" l’analisi dei dati della ricerca di Giovanni Torrente, Università di Torino, che hanno dimostrato come indulto, benefici e misure alternative, abbiano abbattuto la recidiva delittuosa. Insomma fatto calare i reati. Una cocente sconfitta per i giustizialisti come lui.

A Travaglio i numeri non piacciono. Li preferisce solo se declinati in anni di galera, altrimenti adora le parole, ma solo dei pentiti, soprattutto se de relato. È uno da buco della serratura che si trastulla con le intercettazioni telefoniche. Per il pubblico ministero d’Italia, se la recidiva è crollata è solo perché i furfanti non sono stati ancora presi. Aspettate e vedrete, dice. Un vero puzzone, uno di quelli che pur di non starci è disposto a fare carte false.

Caro dottor Manetta a essere calati sono i fatti-reato. Se ci sono meno denunce vuole dire che ci sono stati meno delitti, non meno persone arrestate. Anzi quelle aumentano per effetto di leggi che puniscono l’uso di droghe e la migrazione clandestina. Così le carceri scoppiano. Ci sono due cose che Travaglio non capirà mai: la prima è che solo a metà degli anni 70 l’Italia tocca il suo minimo storico di detenuti. Quando la gente ha una speranza e lotta, non ruba. La seconda è che la pensa come Martelli e Craxi, che per primi introdussero la politica della tolleranza zero.

Giustizia: Sappe; l'affollamento resta un problema da risolvere

 

Ansa, 31 agosto 2009

 

Una lettera aperta per sottolineare al Governo, al Parlamento ed alle Istituzioni le prioritarie esigenze del Corpo di Polizia Penitenziaria e del Comparto Sicurezza. È quella predisposta dalla Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione del Corpo, indirizzata al premier Silvio Berlusconi, ai ministri Alfano (Giustizia) e Brunetta (Pubblica Amministrazione ed Innovazione) ed ai Capigruppo dei partiti politici del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati.

"Abbiamo rappresentato alcune esigenze prioritarie del Corpo di Polizia Penitenziaria e del Comparto Sicurezza" dichiara Donato Capece, segretario generale del Sappe "auspicando l’interessamento risolutivo del Governo, del Parlamento e delle istituzioni". "In particolare" aggiunge "abbiamo rappresentato le seguenti necessità: adozione urgenti provvedimenti per fare fronte al pesante sovraffollamento penitenziario (64mila detenuti presenti a fronte di 42mila posti letto); accelerazione delle procedure concorsuali per l’assunzione straordinaria dei circa 5mila Agenti di Polizia Penitenziaria che mancano dagli organici del Corpo.

E ancora: apertura di un tavolo politico presso il Ministero della Giustizia per la modifica del decreto Ministeriale che recepisce le piante organiche del Corpo di Polizia Penitenziaria, non rispondente alle realtà operative e la convocazione, presso il Dipartimento della Funzione Pubblica del Ministero della Pubblica Amministrazione ed Innovazione, per il prosieguo delle trattative per il rinnovo contrattuale delle Forze di Polizia scaduto da 20 mesi - altro che ronde - ed il finanziamento della Specificità professionale".

"Nella nostra lettera aperta abbiamo infine chiesto un impegno deciso alle Istituzioni" conclude il Sappe "per sostenere e favorire - per quanto di competenza del Governo e del Parlamento - l’iter della legge delega al Governo per il riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze di Polizia per il quale esistono già appostamenti di spesa stanziati nonché l’impegno concreto, in seno al Consiglio dei Ministri, affinché gli oneri di spesa per il rinnovo contrattuale delle Forze di Polizia e per la parte accessoria siano incrementati. Si tratta di impegni concreti per gli operatori delle Forze di Polizia, rispetto ai quali Governo e Parlamento non possono rimanere insensibili".

Giustizia: Osapp; in Puglia le proteste dei detenuti continuano

 

Asca, 31 agosto 2009

 

Battitura alle inferriate, piccoli incendi e lancio di oggetti ed escrementi nei reparti detentivi. La protesta dei reclusi coinvolge i penitenziari pugliesi e il Sindacato dell’Osapp lancia l’allarme.

Continuano i disagi nelle carceri pugliesi con una protesta che ha abbracciato i detenuti dei diversi penitenziari della nostra Regione. Protestano nuovamente i 280 reclusi del carcere maschile di Trani ai quali si aggiungono anche i 1.400 detenuti del super carcere di Lecce, i 560 di Bari che avrebbero iniziato la protesta con la battitura delle inferriate, piccoli incendi e lancio di oggetti ed escrementi nei reparti detentivi. Sempre più forte la preoccupazione del Sindacato Osapp per le prigioni di Lecce, Bari, Lucera, Foggia con pochissimi agenti di polizia nella vigilanza detentiva. Il Sindacato denuncia come "persista un dispendioso utilizzo da parte del Dipartimento di uomini e mezzi per alcuni Funzionari e Magistrati in vacanza in Puglia con mezzi protetti del Corpo, con uomini della Penitenziaria e trattamento di missione mentre si godono il mare.

"Il Governo formuli ai Prefetti per tutti gli appartenenti alla Polizia Penitenziaria in servizio di emergenza nelle Carceri apposita nomina a "Cavaliere del Lavoro" per eccezionali meriti di servizio. L’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria, seconda maggiore forza del Comparto Sicurezza dei Baschi Azzurri, rimarca "la grande preoccupazione per lo storico sovraffollamento detentivo delle strutture Penitenziarie Pugliesi, perché peggiorano sempre di più le condizioni di igiene, salubrità degli ambienti e la drastica situazione della Sanità Regionale nelle carceri ridotta del 60% rispetto alla precedente nazionale. Il vice segretario generale dell’Osapp Domenico Mastrulli rimarca come "manchino i Poliziotti Penitenziari - Baschi Azzurri in Puglia di 400 unità solo a Foggia e a Lucera di 100 tra uomini e donne, mentre a Lecce 150, Bari 100 e cinquanta uomini a Taranto.

Per l’Osapp si tratta di "un forte segnale di scarsissima attenzione alle pericolose situazioni delle carceri da parte del Capo del Dap inerme a situazioni di cui avremmo fatto volentieri a meno di commentarle se nelle prigioni i pochi poliziotti disponibili non rischiassero la vita in questo drammatico periodo del pianeta carcere con evasioni, sommosse, rivolte, incendi e continue aggressioni che si registrano nelle prigioni Italiane.

Mastrulli chiede l’intervento del Procuratore Nazionale Antimafia sulle decisioni dei Prefetti sull’uso o meno di uomini e mezzi a protezione di determinati soggetti a rischio. Il vice segretario, infine, chiosa assicurando "a breve e a tappeto visite ispettive in tutte le carceri adulti, minorili per accertarsi di persona l’attuale situazione che vive la polizia penitenziaria femminile e maschile oltre alla reale carenza di personale in servizio operativo".

Giustizia: 200 omicidi l'anno... la famiglia uccide più della mafia

 

La Stampa, 31 agosto 2009

 

I delitti compiuti fra le mura di casa sono al primo posto nella classifica nazionale e superano il 30 per cento del totale. Alla base degli omicidi depressione, litigi, licenziamenti.

La tragedia di Reggio Emilia, dove un uomo ha ucciso la moglie e i due figli e poi ha tentato di togliersi la vita, conferma il primato dei delitti in famiglia nelle statistiche degli omicidi volontari compiuti in Italia.

Secondo il rapporto Eures, i delitti compiuti tra le mura domestiche e all’interno dello stesso nucleo familiare sono infatti al primo posto con il 31,7% del totale nazionale, con 195 casi registrati su un totale di 621 nel 2006. Il fenomeno è in netto aumento (+12,1% "solo" 174 casi nel 2005) e continua a caratterizzare principalmente il Nord (94 vittime, pari al 48,2%), seguito dal Sud (62 vittime, 31,8%) e dal Centro (39 vittime, 20%).

Nel Sud al primo posto ci sono gli omicidi compiuti dalla criminalità organizzata (44,6%), mentre i delitti in famiglia si attestano al 19,2% (62 casi nel 2006). La Lombardia conserva anche per il 2006 il triste primato dei delitti in famiglia, pur registrando un leggero calo rispetto al 2005 (da 34 a 30), seguita da Veneto (22) e Campania (18).

Nella graduatoria provinciale Milano si piazza al primo posto con 15 vittime, seguita da Roma (10), Siracusa (7), Napoli e Verona (6). Le vittime più frequenti sono le donne (134 nel 2006, +36,7% rispetto alle 98 del 2005), pari al 68,7% delle vittime degli omicidi familiari. Gli uomini, con 61 vittime rappresentano il 31,3%. Molto consistente si conferma il numero di vittime in famiglia ultrasessantenni (38 casi nel 2006, pari al 19,5% del totale), la cui dinamica prevalente è quella dell’omicidio interno alla coppia, spesso seguito dal suicidio dell’autore.

La "coppia affettiva" mantiene anche nel 2006 il primato nei delitti compiuti in famiglia, con 103 vittime complessive, pari al 52,8%. Tra questi è nel rapporto coniugale che si conta la percentuale più elevata (70 casi, pari al 35,9% degli omicidi familiari), seguito dai delitti in cui le vittime sono ex coniugi o ex conviventi dell’autore (26, pari al 13,3%) e dagli omicidi maturati all’interno di relazioni non formalizzate (7 vittime).

Il secondo gruppo di omicidi familiari riguarda la relazione genitori/figli (23,6%) con 21 genitori uccisi dai figli e 23 figlicidi. Il terzo gruppo riguarda le altre relazioni di parentela (35 vittime nel 2006, pari al 18%), tra le quali il dato di maggior interesse riguarda i fratricidi (10 vittime, pari al 5,1% degli omicidi in famiglia). L’analisi dei moventi dei delitti familiari rileva una prevalenza degli omicidi derivanti da liti e dissapori (24,6%).

Al secondo posto l’omicidio passionale che, anche nel 2006, si caratterizza come un fenomeno diffuso prevalentemente al Nord (28,7% dei casi, seguito dal Sud con il 19,4% e dal Centro con il 7,7%). Sul fronte opposto gli omicidi per motivi di interesse/denaro continuano a essere prevalenti al Sud (16,1%, a fronte del 5,3% del Nord e il 2,6% del Centro).

Lettere: i detenuti del carcere di Piacenza; "viviamo in 2,7 mq"

 

Ristretti Orizzonti, 31 agosto 2009

 

"I detenuti della Sezione F della Casa Circondariale di Piacenza con la presente denunciano la grave situazione di sovraffollamento dell’Istituto, aspetto che va ad incidere sulle condizioni igienico-sanitarie. Nelle celle sono ristrette 3 persone, con uno spazio a disposizione di circa 2,7 mq a testa. Intendiamo quindi denunciare la violazione dei diritti umani stabiliti dall’Onu".

 

Lettera firmata da 55 detenuti

 

È pervenuta la denuncia collettiva, a firma congiunta del 55 detenuti, della sezione F della Casa Circondariale di Piacenza, con la quale si intende evidenziare la criticità del sovraffollamento che grava sulla sezione in questione, nonché su tutto l’Istituto, anche incidendo sulle condizioni igienico-sanitarie della struttura.

Sebbene non vi sia una competenza territoriale diretta, stante la mancanza di un Garante dei diritti del detenuti nel Comune di Piacenza, l’Ufficio del Garante del diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna riceve segnalazioni e sollecitazioni d’intervento da parte di persone ristrette presso la Casa Circondariale di Piacenza. L’Ufficio ha provveduto ad inoltrare ai parlamentari eletti nella regione Emilia-Romagna copia della denuncia affinché possano valutare ogni più opportuno intervento.

 

Avv. Desi Bruno

Garante dei diritti delle persone private della libertà personale

Lettere: si fa di tutto per rendere accettabili le condizioni di vita

 

Il Cittadino, 31 agosto 2009

 

Egregio direttore, la totalità del detenuti attualmente presente all’interno della Casa Circondariale di Lodi invia il presente scritto per esprimere il proprio disappunto in merito agli articoli pubblicati dal suo giornale in data 22 e 25 agosto 2009.

In primis vi facciamo notare che questa lettera è firmata da tutti i detenuti e non come quella precedente che era sostanzialmente anonima ma che rivendicava erroneamente di esprimere il pensiero di tutti. Nell’articolo da voi pubblicato il 22 agosto si legge chiaramente che la situazione all’interno del carcere è da considerarsi invivibile, noi ci teniamo a sottolineare che il problema del sovraffollamento esiste anche a Lodi come in tutti gli altri istituti d’Italia ed stato solo parzialmente tamponato e non risolto con il provvedimento d’indulto del 2006.

Parecchi di noi, purtroppo, non sono alla prima esperienza detentiva e hanno quindi la possibilità di paragonare la situazione attuale a quelle precedenti e sono tutti sostanzialmente d’accordo nell’affermare che nonostante il sopraccitato problema del sovraffollamento questa Direzione fa tutto il possibile per far sì che le condizioni di vita siano più che accettabili.

I problemi ovviamente ci sono e per forza di cose continueranno ad esserci, è stato scritto che da 20 giorni non si cambiano le lenzuola. È vero ma è altrettanto vero che normalmente vengono cambiate ogni 15 giorni, qui come nella maggior parte degli istituti che non hanno un servizio di lavanderia interno. Si sono dimenticati di dire, in un secondo momento, che, una volta esposto il problema è stata fatta una richiesta per l’acquisto di 4 lavatrici ed è stata accolta, e il problema è stato immediatamente risolto.

Ci sembra strumentale e polemico far leva su questo argomento (un ritardo di solo 5 giorni!) per mettere in discussione la disponibilità e la correttezza professionale di un direttore che con parole nostre, ha trasformato in poco più di due anni una topaia in un istituto che si può definire rinomato per le attività trattamentali, per l’intenzione che si dà ad ogni iniziativa o progetto che si mette in essere e per il reinserimento del detenuto, soprattutto se si tiene conto che gli spazi erano stati messi a norma anni fa ma non venivano, prima di questa direzione, utilizzati. Nei vostri articoli precedenti fate riferimento ad una forte tensione, quasi ingestibile, a detta di chi scrive, tra detenuti e personale di polizia penitenziaria.

La nostra intenzione è di smentire questa diceria e di affermare esattamente l’opposto: in questo istituto che ospita circa cento detenuti ed ha una cinquantina di agenti lavoranti la correttezza e la trasparenza sono all’ordine del giorno nel rispetto dei ruoli professionali.

Anche rispetto ai numerosi eventi che sono stati organizzati invitando la comunità esterna e i famigliari del detenuti, che nei vostri articoli vengono spesso citati come esempio di poca sicurezza o come momenti di solo svago o come sovraccarico di lavoro per la Polizia Penitenziaria, non possiamo esimerci da esprimere alcune considerazioni.

Per primo noi stessi abbiamo compreso l’intenzione del direttore nel pensare all’organizzazione degli eventi. Ogni evento è stato preparato da tutti i soggetti all’interno dell’istituto e si è compreso il senso trattamentale: tutti ci siamo sentiti depositari di fiducia e responsabilità.

Durante la preparazione e negli stessi giorni degli eventi nella popolazione detenuta si ê venuto a creare un forte senso di aggregazione e, vi assicuriamo che chi conosce il mondo del carcere, per esempio i volontari che entrano, ha espresso molta ammirazione e senso di stupore per "l’aria the si respirava", essendo una sensazione nuova e difficile da creare.

Il direttore in ogni iniziativa all’interno dell’istituto, e non vogliamo dimenticare il grande sforzo per la giornata del 17 maggio con la pulizia del parco in collaborazione con la Provincia e l’esperienza di vendita dei prodotti della cucina dei detenuti durante l’attuale festa del Pd, ha sempre fatto in modo che tutti noi fossimo coinvolti nella preparazione e nella responsabilità che tutto procedesse senza nessun tipo di problema.

A differenza di quanto dicono altri, tutti gli eventi sono riusciti alla perfezione in un clima da un lato di sicurezza e rispetto e dall’altro di serenità ed allegria. Molte persone invitate (studenti, responsabili di associazioni di diversa natura, signori e signore di Lodi, volontari, docenti di università, sindaci, autorità del territorio), che hanno partecipato la prima volta per curiosità sono volute intervenire altre volte perché hanno molto apprezzato l’atmosfera che si respirava, relazionandosi con tutti gli ospiti in maniera genuina e corretta.

Insomma ci teniamo a evidenziare che non è assolutamente reale il clima di tensione che viene descritto ma che tra la direzione, la polizia penitenziaria e noi detenuti c’è un rapporto di reciproca correttezza e rispetto.

In ultimo vogliamo esprimere il nostro dissenso verso gli interventi firmati dal signor Tinnirello, segretario regionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, che evidentemente ha opinioni differenti delle nostre e che dal nostro punto di vista appaiono alquanto sconsiderate e non veritiere. Il sopraindicato, infatti, descrive la situazione dell’istituto in modo canzonatorio e ne sminuisce le attività, dando modo di pensare che non se comprende assolutamente l’intenzione educativa indispensabile per una risocializzazione.

Non ne riusciamo a comprendere il motivo vista che per legge il personale di polizia penitenziaria deve essere partecipe e coinvolta nell’attività trattamentale (come per altro vediamo in altri agenti della casa circondariale di Lodi). Ci permettiamo di asserire, inoltre, che è quanto meno offensivo paragonare un carcere alla scuola di amici.

Speriamo di essere stati abbastanza chiari ed esaurienti in questo lettera ma ci rendiamo disponibili ad ulteriori approfondimenti, in caso voi ne sentiste il bisogno. Cogliamo l’occasione di invitarvi all’evento del 19 settembre, serata in cui sarà ospite il Magistrato Spataro, in modo da poter apprezzare e constatare la reale situazione.

 

I detenuti della Casa Circondariale di Lodi

Lettere: carceri sovraffollate, è il fallimento della riabilitazione

 

Il Mattino di Padova, 31 agosto 2009

 

Ogni comunità per reggersi ha bisogno di leggi, delle quali la giustizia si incarica di garantire il rispetto, punendo i trasgressori. In tal modo il concetto di legge è indissolubilmente legato al concetto di pena, la quale però deve avere in sé il fine primario della riabilitazione (art. 27, terzo comma, della Costituzione della Repubblica Italiana, che recita: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato").

La privazione della libertà mira non all’annientamento del reo, ma al ripristino dei principi che il delitto ha offeso. Questi presupposti trovano un fondamento sull’idea che il colpevole, oltre che pentirsi, possa modificare profondamente la propria personalità, specie se aiutato attraverso un piano di rieducazione. Il pianeta carcere è salito prepotentemente alle cronache in questi ultimi anni per i problemi di sovraffollamento, attualmente peggiore del 2006, prima dell’indulto (quando ne uscirono 27.000), per i suicidi, per la prevalenza dirompente di detenuti stranieri e di detenuti in attesa di giudizio (più della metà).

La drammatica emergenza dei numeri: dai 31.000 detenuti del 1991 siamo arrivati quasi ai 64.000 attuali, con 1.000 nuovi arrivi al mese. È una realtà che ci sta sfuggendo di mano. L’ attuale sistema sanzionatorio e incentrato sulla pena detentiva come risposta alla violazione della norma penale. Un simile sistema sconta tutta la sua inefficacia. La detenzione è inefficace nel dissuadere dal commettere futuri delitti, mentre l’applicazione di misure alternative al carcere risulta essere decisamente più efficace: i recidivi fra gli affidati al servizio sociale sono pari al 19%, mentre fra coloro che scontano la pena interamente in carcere i recidivi sono il 68 per cento.

Una mentalità di "tolleranza zero" e di "insicurezza percepita" di alcuni sindaci, nonostante il ministro dell’Interno abbia affermato che i reati sono in calo, preme sul ricorso al carcere per liberarsi dei cittadini scomodi, togliendoli dal proprio territorio e mandandoli in una "discarica sociale", non rendendosi conto che, scontata la pena, questi ritornano. Il problema è che molti sindaci spesso non conoscono la realtà carceraria, pochi hanno visitato un carcere, molti non sanno neppure dove sia localizzato.

Affrontare il problema solo sotto l’aspetto dell’ordine pubblico non sembra sufficiente e anche non conveniente. Considerarlo invece come un problema sociale è più vantaggioso per la collettività. Se non è possibile svuotare quel grande "condominio" della città dove sono ristretti i carcerati perché quelli pericolosi bisogna necessariamente tenerli rinchiusi, almeno si può creare qualche opportunità in più a chi ha sbagliato, ma dimostra con i fatti che può ritornare nella sua comunità, perché nessun uomo nasce delinquente.

Un recupero che metta insieme il mondo delle Associazioni, le Cooperative, i Centri Servizi per il Volontariato, il mondo del lavoro, le Istituzioni per ricreare autostima e dignità negli ex-detenuti. Gli enti locali possono contribuire molto al progetto perché la certezza della pena non è incompatibile con il recupero e il reinserimento socio-lavorativo dei detenuti.

La previsione di nuove carceri e l’ampliamento di quelle esistenti è solo un bluff e poi mancano già ora guardie carcerarie e personale educativo e neanche il rimpatrio dei carcerati stranieri è una cosa semplice in tempi brevi. Bisogna fare presto a sfoltire le carceri perché la situazione è intollerabile e illegale, altrimenti, voglia o non voglia, bisognerà fare un nuovo "indulto".

 

Leopoldo Marcolongo, ex sindaco e rappresentante Anci

in Commissione Interistituzionale Area Penitenziaria

Lettere: lavoro in montagna, per reinserimento di ex detenuti

 

www.targatocn.it, 31 agosto 2009

 

Riceviamo e pubblichiamo una riflessione giuntaci da un nostro lettore in merito alla questione del reinserimento dei carcerati, una volta che hanno scontato la loro pena.

"Egr. Direttore, noto con interesse che sul suo giornale si da grande spazio al problema delle carceri, dei carcerati, della rieducazione e reinserimento degli stessi. La presidente della Provincia di Cuneo Sig.ra Gancia, Politici, Sociologi, Sacerdoti, tutti si cimentano e cercano una soluzione per il recupero e per un reinserimento di questi nostri fratelli ristretti. Ora anch’io desidero proporre una mia soluzione. Egr. Direttore, come ben sa, le nostre Alpi Marittime sono soggette a diverse speculazioni: politiche, economiche, nonché ad atti vandalici. Queste sono causa di stravolgimenti e creano indignazione da parte di chi, come noi, vorrebbe che la Montagna fosse considerata alla stregua di Oasi protetta, inalienabile, inalterabile. Conservare nella sua integrità un mondo così vasto e complesso non può essere lasciato al caso o alla buona volontà di associazioni di volontariato. Nel mio scarpinare per monti, ho visto, con mio grande rammarico, la deturpazione del paesaggio procurato oltre che da sconvolgimenti e dalle catastrofi naturali, anche dall’ incuria, dall’indifferenza e dalla maleducazione di chi frequenta la montagna. Bottiglie, borse di plastica, cartaccia, avanzi di ogni tipo e di ogni genere, sono disseminati ovunque.

Sarebbe sufficiente rammentare che le Alpi Marittime non possono e non debbono diventare una pattumiera, la natura impiega centinaia di anni per far crescere un pino o creare un piccolo laghetto o far crescere un prato montano e l’immondizia, oltre a deturpare e soffocare la natura, rappresenta lo scarso senso civico di chi la frequenta.

Detto questo, voglio sottoporre alla sua attenzione una proposta che, con un po’ di buona volontà, può essere presa in buona considerazione e potrebbe dare ottimi frutti per tutti.

Visto che la direzione penitenziaria esprime apprezzamento ed auspica l’incremento di attività rieducative a favore dei carcerati, constatato che dedicare il tempo di espiazione in attività di pubblica utilità rende meno penosa ed inutile la detenzione, propongo di richiedere un loro intervento per mantenere puliti ed in ordine i sentieri ed i luoghi montani, rendendo agevole e meno pericolosa la rete sentieristica acquisendo, nel contempo, la conoscenza dell’ambiente montano.

Rendere i carcerati edotti delle tematiche dell’attività escursionistica, intesa come attività educativa per una corretta frequentazione della montagna, si tradurrebbe in un’opportunità di acquisire conoscenze specifiche sulla flora, sulla fauna, e sulla sentieristica nel campo del agro, silvestre, faunistico, montano e faciliterebbe un loro futuro reinserimento al termine della loro detenzione.

Da ultimo: chi meglio della montagna può insegnare che la vita è un attimo, un soffio uno stormir di fronde, un gorgoglio lontano, un silenzio assordante che ci invita a vivere degnamente per essere in grado di affrontare qualsiasi sofferenza e qualsiasi avversità?".

 

Aldo Maiolo

Umbria: emergenza carceri; regione chiede tavolo ministeriale

 

Agi, 31 agosto 2009

 

"La Giunta regionale dell’Umbria si farà portavoce della situazione di grave disagio presente nei quattro istituti di pena della regione, chiedendo al Ministro della Giustizia, Angelino Alfano e al Capo Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, di concordare un tavolo ministeriale sull’emergenza in corso".

È quanto ha annunciato stamani l’assessore regionale alle Politiche sociali, Damiano Stufara, durante l’incontro avuto con i rappresentanti delle Organizzazioni sindacali della Polizia penitenziaria dell’Umbria (presenti le sigle Ugl, Sappe, Cgil Funzione Pubblica dell’Umbria e di Terni, Cisl Fns, Sinappe, Cnpp e Uil Pa). L’assessore ha espresso "piena condivisione" delle ragioni della protesta per "le insostenibili condizioni di lavoro del personale che opera negli istituiti di pena e per le difficili condizioni di vita dei detenuti" e delle richieste dei sindacati degli agenti di custodia di adeguare gli organici nelle strutture carcerarie.

"Nonostante l’opera di razionalizzazione dei servizi che abbiamo portato avanti - ha detto Stufara - le risorse erogate dallo Stato sono assolutamente inadeguate in quanto conteggiate sulla base delle spese sostenute nel 2006, quando le carceri umbre ospitavano circa 600 detenuti. Oggi la popolazione carceraria è invece raddoppiata, superando il limite di capienza tollerabile delle strutture tarato sulle 1.100 unita".

"Come Giunta regionale - ha concluso l’assessore -, in coerenza con il protocollo d’intesa firmato nel 2001 tra Ministero e Regione Umbria, intendiamo aprire un confronto con il Governo nazionale affinché negli istituti di pena dell’Umbria tornino ad esserci condizioni di lavoro, di sicurezza e vivibilità proprie di un Paese che si dice civile".

Sicilia: Garante detenuti presenta Dossier, su carceri regionali

 

Ansa, 31 agosto 2009

 

Il Garante dei diritti dei detenuti della Sicilia e Coordinatore nazionale dei Garanti dei detenuti Salvo Fleres, terrà una conferenza stampa mercoledì 2 settembre, alle 10.30, davanti al carcere di Piazza Lanza, a Catania, per fare il punto della situazione sulle strutture penitenziarie e illustrare i contenuti della lettera aperta che lo stesso Garante invierà nei prossimi giorni al ministro della Giustizia Angelino Alfano, al ministro del Welfare Maurizio Sacconi, al presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo, al direttore generale del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) Franco Ionta, "per fornire una serie di proposte, alcune delle quali realizzabili a costo zero o con un risparmio da parte dello Stato".

Si tratta di interventi di tipo organizzativo o di indirizzo, nonché di attività politica e diplomatica, come la ricerca di una soluzione internazionale che consenta di fare espiare a ciascun condannato la pena nel proprio Paese, salvo le eccezioni legate all’eventuale mancato rispetto dei diritti umani negli stessi. Il documento riguarda l’emergenza carceri, sulla scorta delle informazioni che l’Ufficio del Garante ha raccolto durante la sua attività, un problema che, per la sua gravità, non rimane circoscritto all’interno delle mura degli istituti penitenziari, ma coinvolge la società italiana e, per alcuni aspetti, internazionale.

Nel corso dell’incontro verranno affrontati, tra gli altri, anche i temi del sovraffollamento (al 15 agosto 2009 i detenuti sono circa il 25% in più della capienza massima consentita), dei turni degli agenti di polizia penitenziaria, dello scarso coordinamento tra amministrazione penitenziaria e servizio sanitario nazionale - che provoca una carente assistenza medica e un esagerato impiego di personale di custodia - e delle condizioni dell’edilizia penitenziaria. A questo proposito, la scelta del luogo della conferenza stampa ha una valenza fortemente simbolica, in considerazione del fatto che più volte, il Garante ha richiesto la chiusura del vecchio carcere catanese di piazza Lanza.

Como: gli agenti protestano "in 6 per sorvegliare 550 detenuti"

 

Corriere di Como, 31 agosto 2009

 

Porte blindate delle celle aperte, serrature obsolete, sale di ricreazione affollate dove un solo agente controlla cinquanta detenuti. Sei poliziotti di notte tengono a bada 550 "ospiti" tutt’altro che mansueti. E il muro di cinta è sguarnito. "Questa non è scarsa sicurezza: è quasi incoscienza".

Il Bassone, denunciano i sindacati, si sta trasformando in una polveriera. "Non bisogna esagerare con le concessioni ai detenuti, pensiamo alla sicurezza del carcere": ecco il messaggio che a breve planerà sul tavolo degli addetti ai lavori. I sindacati di settore (Cgil, Cisl, Uil, Sappe, Osap) stanno scrivendo una lettera dai toni preoccupati e dai contenuti preoccupanti. La missiva non si fermerà al tavolo del provveditore regionale alle Carceri. Gli agenti, questa volta, vogliono coinvolgere la città. "Scriveremo anche al prefetto e ai politici locali", dicono.

Sull’animo dei poliziotti penitenziari di Como, probabilmente, pesano anche i gravi fatti di Ferragosto. Dal 14 al 18 agosto al Bassone è scoppiata una protesta violentissima tra i detenuti. Scioperi della fame, un continuo battere sulle sbarre delle celle con oggetti metallici, l’incendio di alcune bombolette di gas, danni agli arredi. Un pandemonio, insomma. Ed è difficile stabilire il motivo della rivolta. Difficile, almeno, identificare un solo motivo e scartare ragioni pretestuose, come l’aumento (poi smentito) dei prezzi dello spaccio alimentare. Di certo il sovraffollamento non aiuta a calmare gli animi, e con il caldo il limite di tolleranza dei detenuti si abbassa.

Oggi, a protesta sedata, gli agenti del Bassone - per voce di un rappresentante sindacale, Massimo Corti - dipingono la casa circondariale di Albate come una polveriera pronta a esplodere, dove il rapporto tra detenuti e poliziotti sfiora picchi di 90 a 1, dove ormai non si parla più di bassi standard di sicurezza ma "si rasenta quasi l’incoscienza".

"Stiamo preparando un documento da inviare all’amministrazione penitenziaria, al prefetto e ai politici locali - continua il sovrintendente della polizia penitenziaria Massimo Corti, segretario provinciale della Federazione sicurezza della Cisl - il Bassone sta diventando un problema di ordine pubblico".

L’elenco delle cose che non vanno è chilometrico. Si parte dai problemi più recenti, come le concessioni elargite dall’amministrazione penitenziaria ai detenuti dopo la rivolta di Ferragosto, che in alcuni casi mettono in difficoltà gli agenti. "I detenuti lamentavano un caldo eccessivo, così l’amministrazione ha concesso l’apertura del blindato delle celle durante la notte". Il "blindato" è, insieme con il cancello, una delle due porte che sbarrano le celle. È una sorta di parete d’acciaio che si sovrappone all’inferriata del cancello chiudendo i varchi tra le sbarre. Solitamente veniva aperto di giorno e chiuso di notte.

"Con il "blindato" aperto di notte - spiega Corti - i detenuti potrebbero lanciare oggetti contundenti o incendiari, bombolette di gas. Per un agente che si trova a passare da solo in una sezione, non è il massimo della sicurezza".

Secondo capitolo: i cancelli. "Durante le proteste - dice il sindacalista - i detenuti fanno chiasso battendo qualsiasi oggetto, anche metallico, contro le sbarre. Le serrature dei cancelli sono obsolete, alcune rischiano di essere compromesse".

Un’altra concessione appena elargita ai detenuti, che non piace agli agenti, riguarda la modalità di accesso alle sale di ricreazione. "Prima entrava un detenuto per cella. Oggi ne possono entrare due. In totale, un agente deve controllare 50 detenuti. Il limite di un detenuto per cella era stato fissato dopo un grave episodio di intemperanza, che aveva portato a colluttazioni, ferimenti e danneggiamenti. Dal viceprovveditore regionale è stato inoltre concesso l’utilizzo in cella di padelle più grandi: i detenuti, per scaldarle, affiancano diverse bombolette di gas, che rischiano di esplodere o infiammarsi. Qualcuno ha già rimediato un’ustione".

Gli agenti chiederanno quindi di "valutare attentamente queste e altre concessioni". E a tutto ciò si aggiunge l’arcinota carenza di personale. "Al Bassone dovrebbero lavorare 308 agenti operativi - precisa Corti - Considerando anche chi è in ferie, oggi siamo 216. Qualcuno addirittura ha lavorato 26 giorni consecutivi senza fare riposi. Nei periodi estivi è pure capitato che di notte 6 agenti controllassero 550 detenuti. E che sul muro di cinta non vi fosse nessuno a fare la guardia". Pochi agenti, troppi detenuti. Ancora Corti: "La capienza tollerabile è 421, la massima 581. Siamo già a quota 550, entro Natale potremmo arrivare al limite". E se un carcere diventa una polveriera stracarica, la scintilla necessaria a incendiarla può essere sempre più piccola.

Trieste: la Lega; contro il sovraffollamento, carceri galleggianti

 

Il Piccolo, 31 agosto 2009

 

"La situazione che ho potuto verificare alla casa circondariale triestina evidenzia alcuni aspetti di rilievo sui quali occorre agire con tempestività". Massimiliano Fedriga, segretario provinciale e deputato della Lega Nord, lancia l’allarme una volta conclusa la sua visita al carcere del Coroneo.

Il riferimento è al delicato tema del "sovraffollamento delle carceri, che va affrontato senza perdere tempo - continua Fedriga -. Proprio per questo è necessario considerare che a Trieste il 66 per cento dei detenuti sono stranieri. Le strade da percorrere per arginare il problema in tempi brevi sono due". "La prima è quella dei rimpatri nei paesi d’origine - va nel dettaglio il parlamentare - che alleggerirebbero strutture e costi, la seconda è la costruzione di piattaforme galleggianti utili al recepimento di detenuti".

Queste soluzioni iniziali dovrebbero preludere all’obiettivo principale verso il quale - secondo Fedriga - deve indirizzarsi l’azione dello Stato, ovvero "la costruzione di nuove vere e proprie carceri", per cui però i tempi di realizzazione "sono lunghi e quindi è necessario trovare delle misure immediate".

"Anche l’Europa non può far finta di niente - dice ancora Fedriga -, dunque servono iniziative e fondi comunitari. Questo governo e questa maggioranza non ci stanno più a fare del nostro paese la valvola di sfogo di tutto il continente. Fortunatamente, grazie alle prese di posizione decise e serie dei mostri ministri, come Maroni per esempio, anche l’Unione europea ha capito che deve intervenire a differenza di quanto accedeva quando c’era il governo di sinistra". Tornando alla visita al carcere di Trieste, l’esponente leghista ha anche speso parole di elogio nei confronti dei responsabili della struttura stessa: "Devo complimentarmi con il direttore Enrico Sbriglia e con tutti i suoi collaboratori, per la loro serietà e professionalità".

Modena: agente aggredito, i Sindacati chiedono arrivo rinforzi

 

La Gazzetta di Modena, 31 agosto 2009

 

Dopo la protesta degli internati che sono saliti sui tetti, la Casa di lavoro di Castelfranco torna alla ribalta della cronaca con il sindacato autonomo di polizia penitenziaria che denuncia un’aggressione avvenuta da parte di un detenuto ai danni di un agente. Il fatto è avvenuto mercoledì scorso; l’agente che si trovava in servizio è stato aggredito e i sanitari che lo hanno medicato al pronto soccorso lo hanno giudicato guaribile in sette giorni. La direzione ha già avviato un procedimento di verifica interno.

I portavoce del sindacato autonomo Fsa/Cnpp, Ciro Oliva e Gianluca Carfagno, sottolineano come alla base di episodi come questo ci siano "difficili condizioni di lavoro" e colgono l’occasione per esprimere solidarietà ad un altro agente di polizia penitenziaria pesantemente aggredito nei giorni scorsi nel cosentino. "Si tratta di una situazione più volte denunciata alle competenti autorità - dicono i due sindacalisti -.

Nelle carceri italiane ci sono più di 63mila detenuti, di cui oltre 20mila stranieri, si supera la capienza regolamentare e quella tollerabile. Ma procedere con provvedimenti di amnistia e indulto per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri è un grave errore.

Bisogna puntare sulla realizzazione di nuove carceri, sul lavoro in carcere per abbassare la recidiva e sull’adeguamento degli organici. Il ministro della Giustizia deve farsi carico di una vera e propria riforma di tutto il sistema carcerario. Abbiamo segnalato più di una volta nell’istituto di Castelfranco insormontabili problemi strutturali, di carenza di organico, con un carico di lavoro che grava sul personale che presta servizio, impossibilitato a svolgere tutte le proprie mansioni, con ricadute sulla sicurezza. Per non parlare del sovraffollamento; non siamo più disposti a tollerare questa situazione di emergenza".

Sul problema del sovraffollamento intervengono i sindacati Fp-Cgil, Fp-Cisl e Uil-Penitenziari che definiscono "al collasso" la situazione non solo di Castelfranco, ma anche delle strutture carcerarie di Sant’Anna a Modena e di Saliceta San Giuliano. "A Castelfranco, ad esempio - dicono - gli agenti in organico sono meno di un terzo della popolazione carceraria.

Ci sono 143 detenuti vigilati da 44 agenti suddivisi in tre turni che quindi costituiscono una forza di potenzialità molto limitata per contrastare eventuali situazioni critiche". A Saliceta San Giuliano alcuni giorni fa c’è stata un’altra aggressione ai danni degli agenti. Ora i sindacati pongono una serie di domande alle quali vogliono una risposta. Tra queste "come saranno distribuiti i pochi agenti che dovranno arrivare in autunno e quanti detenuti saranno veramente trasferiti".

Modena: è finita la protesta degli internati nella Casa di lavoro

 

La Gazzetta di Modena, 31 agosto 2009

 

È rientrata nella tarda serata di giovedì la protesta degli internati della Casa di reclusione a custodia attenuata. La protesta si è conclusa grazie al continuo dialogo tra gli internati e la direzione, che ha dimostrato sensibilità. "Per gli internati è stata una piccola vittoria - ha dichiarato don Massimiliano Burgin, il prete che all’interno tiene una scuola - è stata una contestazione pacifica, anche se c’è stata tensione".

Ciò che più premeva era sensibilizzare la società civile: queste persone vorrebbero lavorare e dovrebbero farlo secondo la legge, ma la struttura non ha i mezzi per dare lavoro a tutti e non è più possibile concedere licenze dopo il caso d’Agostino. Gli internati non sono detenuti: sono persone che hanno già terminato di scontare la condanna, ma che sono trattenuti in case di lavoro - in Italia ne esiste solo una, a Saliceta San Giuliano, quella di Castelfranco è una casa a custodia attenuata con una sezione per internati - perché ritenuti socialmente pericolosi. Non è quindi un’ulteriore condanna, né tanto meno ha un termine: finché si è considerati socialmente pericolosi non si esce. Ieri mattina anche il sindaco si è recato nel carcere.

Firenze: 50 denunce per presidio anarchici davanti Sollicciano

 

Ansa, 31 agosto 2009

 

Un cinquantina di anarchici sono stati denunciati dalla Questura di Firenze per un presidio non autorizzato che hanno effettuato davanti al carcere di Sollicciano, a Firenze, istituto di pena dove dallo scorso 18 agosto è in corso una protesta pacifica dei detenuti, contro il sovraffollamento della struttura. Gli anarchici, secondo quanto si è appreso, hanno espresso solidarietà ai detenuti per la loro protesta e nei confronti di Roman Nicosur, anarchico romeno arrestato lo scorso maggio davanti alla sede del circolo anarchico Fuori luogo di Bologna per lesioni a pubblico ufficiale, istigazione a delinquere e minacce, accuse per le quali ha patteggiato una pena di sei mesi in carcere.

Pisa: torna la calma dopo una settimana infuocata di proteste

 

Il Tirreno, 31 agosto 2009

 

Dopo una settimana infuocata di proteste e trasferimenti di detenuti, la situazione al carcere Don Bosco si sta stabilizzando. Ieri pomeriggio una visita della delegazione radicale guidata dal senatore Marco Perduca, ha incontrato il direttore Vittorio Cerri e alcune guardie penitenziarie in servizio. Secondo Perduca, Cerri ha smentito le tre aggressioni agli agenti, dicendo che si è trattato di un unico caso estraneo alla rivolta.

"Abbiamo ritenuto più opportuno non entrare all’interno dei reparti" spiega la delegazione all’uscita, "il personale di polizia era notevolmente inferiore rispetto alla norma e il clima non è del tutto sereno. 12 agenti in servizio per un totale di circa 380 persone; accade che in un reparto un solo agente debba controllare 80 detenuti".

In merito ai trasferimenti degli scorsi giorni, Perduca ne spiega la natura: "i cosiddetti facinorosi, 24 il numero esatto, sono stati trasferiti in altre carceri, e già sono stati rimpiazzati da 5 nuovi arrivi". Secondo la delegazione il direttore Cerri ha preannunciato, con spirito favorevole, l’iniziativa dei detenuti di sottoscrivere un documento da inviare alla corte di Strasburgo tramite il garante, l’avvocato Andrea Callaioli. In merito alla prossima visita del Sindaco, la delegazione riporta: "verranno chieste docce singole per ogni cella, più spazi verdi per tutti e maggiore attenzione alla necessità di lavoro all’interno del carcere".

Monza: Sappe; catturato il detenuto evaso, è brillante successo

 

Adnkronos, 31 agosto 2009

 

Il Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria, si congratula per la "brillante operazione dei poliziotti del Nucleo Investigativo Centrale della Penitenziaria che questa mattina, unitamente a Personale di Polizia del carcere di Monza ed a seguito di scrupolosi pattugliamenti congiunti, hanno catturato l’evaso calabrese Antonio Santelli", detenuto per rapina, evaso il 21 agosto scorso dall’istituto penitenziario di Monza. Si tratta, rileva il Sappe, del "terzo evaso catturato in un mese nell’ambito delle attività di coordinamento delle indagini attuato da parte del N.I.C. della Polizia Penitenziaria".

"Queste - rileva Donato Capece, segretario generale del Sappe - sono solamente alcune delle importanti attività di Polizia giudiziaria condotte in primo luogo dal Nucleo Investigativo Centrale ma anche da molti appartenenti alla Polizia Penitenziaria che dimostrano concretamente come il nostro Corpo di Polizia costituisce non soltanto un grande baluardo nella difesa della società contro la criminalità, ma anche di avere in sé tutti i numeri, le capacità, le risorse, gli strumenti per impegnarsi ancora di più nella lotta contro la criminalità, per impegnarsi non soltanto dentro il carcere, ma anche fuori dal carcere".

"Rivendichiamo con forza, perché siamo convinti di essere sulla strada giusta, una presenza attiva, significativa, della Polizia Penitenziaria non soltanto nei nuclei di Polizia Giudiziaria istituiti presso le Procure della Repubblica, ma anche - prosegue Capece - presso gli organismi di lotta contro la criminalità che sono stati giustamente elaborati in questi anni, come la Divisione Investigativa Antimafia". Il Sappe vuole che i poliziotti penitenziari siano "presenti al fianco della Polizia di Stato, al fianco dei Carabinieri, al fianco della Guardia di Finanza, nell’ottica di un effettivo coordinamento tra le Forze di Polizia, al fianco dei Magistrati e di quanti altri lottano per questi ideali di civiltà e di giustizia, contro chi li offende e chi li aggredisce mettendo così in discussione e in pericolo le basi stesse della nostra civile convivenza in un Paese democratico".

Firenze: detenuto fa buco in parete della cella; viene scoperto

 

La Nazione, 31 agosto 2009

 

Nel carcere di Sollicciano gli agenti di custodia hanno scoperto che un detenuto aveva fatto un buco nella parete della sua cella. È stato il sindacato di polizia penitenziaria, Sappe, a rendere noto il fatto e a segnalarlo come esempio del disagio e della pericolosità in cui gli agenti di custodia si trovano ad operare.

"Si segnala che stanotte un detenuto ad altissimo indice di pericolosità ha tranquillamente fatto un buco nella cella ed è stato necessario correre immediatamente ai ripari - scrive, in una nota, il vicesegretario regionale del Sappe, Francesco Falchi - Che garanzie di sicurezza stiamo offrendo alla cittadinanza? Sollicciano è tristemente nota per diverse evasioni patite negli ultimi anni e l’episodio odierno ci ha rinfrescato la memoria".

Il buco sarebbe stato fatto sulla parete esterna rivolta verso il terrazzo e i cortili. Sollicciano è uno dei penitenziari italiani in cui negli ultimi tempi ci sono state forti proteste da parte dei detenuti per il sovraffollamento e per i servizi erogati. Il Sappe ha aggiunto che "l’incolumità del personale è messa a repentaglio nel quotidiano e con il numero così ridotto di poliziotti penitenziari in servizio, rischia l’intera società".

Il sindacato ha dichiarato anche che "ieri si contavano ben 94 assenze per malattia del personale di polizia penitenziaria" e che "la gestione dei servizi del personale è praticamente rimessa alla variabile indipendente (o forse no!) di cui sopra e con essa la sicurezza dell’intero istituto e l’incolumità del personale in servizio".

La questione è stata evidenziata dal Sappe in una lettera inviata al provveditore dell’amministrazione penitenziaria della Toscana, Maria Pia Giuffrida. A quanto si è appreso, il detenuto avrebbe fatto il buco nella cella in una sola notte, aiutandosi con una sbarra divelta dalla porta di sicurezza. Non è chiaro se si sia trattato di un atto dimostrativo o di una vera preparazione alla fuga. La cella, comunque, ha caratteristiche identiche alle altre del carcere. Il detenuto starebbe scontando una condanna per omicidio.

Rimini: ergastolano e pasticciere lavora agli stand del Meeting

di Roberta Giani

 

Il Piccolo, 31 agosto 2009

 

Non voleva venirci: "Pensavo fosse una noia tipo la "Sagra dei osei" di Sacile". Sbagliava: "In carcere i compagni mi prendono in giro, mi dicono rimbambito, ma il popolo di don Luigi Giussani mi ha cambiato la vita. E sai perché? Qui ti chiedono come possiamo aiutarti, che vuoi fare, quando esci. Qui non ti chiedono mai cosa hai fatto".

Ci sono mille, diecimila, centomila storie al Meeting di Rimini, e Franco ti racconta la sua. Con semplicità. La storia di un ergastolano friulano che oggi, usando i suoi permessi premio, fa il volontario nella pasticceria più apprezzata e affollata degli stand della Compagnia delle opere: la pasticceria dei condannati. Franco ha 44 anni, ma non li dimistra, ed è nato in provincia di Pordenone. Ha commesso reati terribili, è stato condannato, e ora ti racconta la sua storia di "peccato" e "redenzione" a patto che nemmeno tu gli imponga quella domanda: che cosa hai fatto? Te lo chiede non tanto per sé, quanto per quell’esperienza straordinaria di cui è un piccolo grande tassello, l’esperienza del carcere di Padova dove i detenuti si guadagnano da vivere lavorando e, lavorando, si salvano.

"Noi siamo la normalità che, purtroppo, si fa eccezionalità in Italia" sintetizza Nicola Boscoletto, presidente del consorzio Rebus, datore di lavoro dei carcerati. Franco sta in carcere da diciotto anni: "Quando mi hanno condannato all’ergastolo, ho perso tutte le speranze. Ma, nel 2001, ho iniziato a lavorare ed è cambiato tutto. Ho trovato chi mi voleva bene, si fidava di me, e ho vinto".

Franco ha trovato la cooperativa Giotto: "Siamo entrati nel carcere di Padova nel 1991 per occuparci di manutenzione del verde" ricorda il presidente Andrea Basso. Le cose sono andate bene, l’esperimento si è allargato, e diversificato: "Abbiamo dato vita al consorzio Rebus e ora i detenuti svolgono molteplici attività". C’è chi prenota visite mediche in un call center, chi assembla valigie Roncato, chi monta biciclette grandi marche, chi gioielli Morellato e chi fa il pasticciere: in tutto un’ottantina di detenuti in carcere e una ventina in semilibertà.

Tutti regolarmente assunti: "La paga media lorda è di circa mille euro al mese. Che vuoi di più? Posso aiutare mia figlia che ha ventuno anni" confida, orgoglioso, Franco. Subito dopo, però, ti racconta il secondo incontro che gli ha cambiato la vita: quello con il Meeting di Rimini. "Ho vinto le titubanze iniziali e, usando i miei permessi premio, ho fatto il volontario già lo scorso anno, quando abbiamo partecipato ad una mostra e aperto un piccolo laboratorio. Meno male che sono venuto: se non provi Rimini, non capisci cos’è. Al meeting mi sono trovato subito circondano da un popolo che mi voleva bene e mi sono innamorato di Cristo" continua Franco.

Quest’anno, il ritorno in grande stile: Franco ti fa da "cicerone" nel bar e nella pasticceria dove una dozzina di detenuti di Padova sfornano salato e dolce, dal panettone pluripremiato alla colomba, dalla bavarese alle pesche sino all’ultimo nato, "La noce del santo". Tentazioni irresistibili, e infatti nessuno resiste. Il Guardasigilli Angelino Alfano viene, si abbuffa, scherza: "Non fotografatemi con la bocca piena. Sennò, finisco come Augusto Fantozzi...". Roberto Calderoli e Sergio Chiamparino, Roberto Formigoni, Maurizio Sacconi, Barbara Mattera e persino Mario Draghi sopraggiungono uno dopo l’altro, assaggiano chi le pizzette e chi la mitica torta foresta nera.

"Ho parlato un po’ con tutti i politici. Erano incuriositi e molto colpiti... La Mattera era preoccupata per la linea" sorride Franco. Ma, subito dopo, ammettendo d’avere nel dna l’animo del commerciante, passa oltre. E va al sodo: "Mi raccomando, scrivi il nostro indirizzo mail www.idolcidigiotto.it e aggiungi che le vendite sono anche su ordinazione". Il lavoro è lavoro, persino al meeting.

Musica: progetto negli Ipm; "Liberi di contare anche le nuvole"

 

Redattore Sociale - Dire, 31 agosto 2009

 

A breve riprenderà il progetto "Liberi di contare anche le nuvole", ideato dal cantautore Mennini. L’obiettivo: "portare fuori il pensiero e le emozioni" dei ragazzi detenuti.

Roma - La realtà del carcere può diventare anche un’occasione per esprimere la propria creatività e per comunicare con il mondo esterno. Questo è stato il motivo ispiratore del progetto "Liberi di contare anche le nuvole", ideato dal cantautore Alberto Mennini per sensibilizzare l’opinione pubblica e per favorire l"avvicinamento del mondo esterno con la difficile realtà dei diciassette istituti penali per minorenni distribuiti su tutto il territorio nazionale. Un’iniziativa organizzata dall’associazione Liberi Onlus e realizzata con la collaborazione e con il supporto del Dipartimento per la giustizia minorile e con il patrocinio della Presidenza del consiglio dei ministri, della regione Lazio, del comune di Roma, della provincia di Roma, dell’Osa, della Fondazione Roma e del Segretariato sociale della Rai. Nei mesi scorsi si sono svolti i primi sette concerti del tour musicale che ha coinvolto le principali città italiane, a partire dalla data di apertura che si è tenuta a gennaio a Roma presso l’Istituto di Casal del Marmo.

Nelle intenzioni degli organizzatori c’è la volontà di riprendere a breve il progetto del tour e di toccare, entro la fine dell’anno, tutte le strutture di detenzione minorile. Sulla base dell’esperienza finora svolta è stato realizzato un documentario, per la regia di Flavio Parente, scritto ed interpretato dai giovani detenuti per raccontare i sogni e i pensieri che si fanno da dietro le sbarre. Come dichiara Alberto Mennini: "L’obiettivo di tutto il progetto è quello di far capire all’esterno che la realtà penitenziaria, per quanto dura, è ben diversa da come viene immaginata da fuori. La detenzione è viva di emozioni, speranze e progetti che i reclusi, soprattutto minori, non devono mai abbandonare. L’idea di questo tour non è il concerto fine a se stesso, ma è quella di portare fuori la voce del carcere, il pensiero e le emozioni dei minori limitati dietro le sbarre".

Immigrazione: 70 eritrei e somali sono stati "respinti" in Libia

di Francesco Viviano

 

La Repubblica, 31 agosto 2009

 

Due non davano più segni di vita, una giovane eritrea, pur stremata, stringeva al petto il suo neonato a bordo di un gommone con altri 70 eritrei e somali che vagavano in mare aperto a poche miglia a sud di Malta. La marina maltese li ha intercettati e qualcuno dei marinai ha avuto pietà. I due uomini, la donna ed il suo bambino, sono stati trasferiti a bordo della motovedetta e poi all’ospedale "Mater Dei" di La Valletta. Gli altri che speravano anche loro di essere salvati e soccorsi, sono stati invece lasciati sul gommone per proseguire verso Lampedusa. "Ma non li abbiamo lasciati soli, hanno rifiutato di essere soccorsi perché volevano proseguire il loro viaggio verso l’Italia - sostengono le autorità maltesi, e li abbiamo riforniti di cibo, carburante e giubbotti salvagente".

I 70 sono stati quindi "accompagnati" dai maltesi, per quasi un giorno di mare, fino al confine con le acque territoriali italiane dove sono stati poi intercettati da una motovedetta della nostra marina militare al largo di Capo Passero. Un medico a bordo della nostra unità ha trovato tra i superstiti un eritreo che stava male perché si era rotto le costole durante la traversata ed è stato ricoverato nell’ospedale di Modica. Gli altri, nonostante a bordo ci fossero 15 donne, di cui tre incinte e tre bambini, sono stati portati a bordo di un pattugliatore della Guardia di Finanza che ha fatto subito rotta verso Tripoli dove è arrivato a tarda notte, poche ore prima della partenza del nostro presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che ieri si trovava a Tripoli per un incontro con Gheddafi.

Insomma i 70 sono stati "respinti", violando la convenzione internazionale di Ginevra che obbliga i soccorritori ad identificare gli extracomunitari trovati in mare per accertare se hanno diritto o meno all’asilo politico o ottenere lo status di rifugiato. Soltanto feriti, moribondi o cadaveri vengono accolti, tutti gli altri, vengono rispediti indietro senza sapere di che nazionalità sono e se hanno o non hanno diritto all’asilo politico o lo status di rifugiato. Ed i 70 "respinti" ieri erano tutti di nazionalità somala o eritrea e quindi nelle condizioni di potere richiedere l’asilo politico per le gravi situazioni interne nei loro paesi. L’alto commissariato Onu per i rifugiati ha espresso "preoccupazione", dopo l’ennesimo respingimento in Libia deciso dal governo italiano nei confronti di altri 75 migranti intercettati al largo delle coste siciliane.

"La politica dei respingimenti - osserva Laura Boldrini, portavoce in Italia dell’Unhcr - invece di arginare il fenomeno dell’immigrazione sembrerebbe tradursi in realtà in una forma di penalizzazione nei confronti dei richiedenti asilo, persone in fuga da guerre e persecuzioni che hanno diritto ad ottenere protezione. È il caso dei 70 migranti riportati a Tripoli che, secondo le prima informazioni, sarebbero somali, un paese che da circa vent’anni vive in condizioni di completa anarchia, una situazione che colpisce soprattutto la popolazione civile".

È la terza volta nel giro di dieci giorni che la Marina maltese aggancia imbarcazioni cariche di migranti, rifornendoli di carburante, cibo e consegnando loro giubbotti di salvataggio prima di "scortarli" fino al confine con le nostre acque territoriali. Una politica destinata a inasprire il duro braccio di ferro diplomatico tra i due Paesi sul fronte dell’immigrazione clandestina. Malta, che ha una competenza molto più vasta rispetto all’Italia per il soccorso in mare (prende più contributi dall’Unione Europea), fa di tutto per non farli attraccare nella loro isola-Stato utilizzando l’espediente del primo soccorso in mare (rifocilla gli extracomunitari a bordo dei gommoni rifornendoli anche di carburante per proseguire il viaggio) per poi "scortarli" fino al confine con le nostre acque territoriali. Intanto non si hanno ancora notizie del peschereccio con circa 150 extracomunitari che sarebbe partito alcuni giorni fa dalle coste libiche e che starebbe vagando in mezzo al mare. Un mare che da ieri notte s’ingrossa sempre di più e che potrebbe mettere a rischio le vite di questi 150 disperati.

Usa: dopo morte 15enne inchiesta su violenze in carceri minorili

 

Ansa, 31 agosto 2009

 

Ossa fracassate, denti rotti, manette e posizioni forzate. Succede nelle carceri minorili nello Stato di New York. Decine di giovani sono stati sottoposti a violenze per banali infrazioni secondo un"inchiesta del dipartimento della Giustizia. Il rapporto riguarda 4 carceri riservati a ragazzi sotto i 16 anni. Le violenze scattavano anche per una risata di troppo. L’inchiesta è nata dopo la morte nel 2006 di un ragazzo di 15 anni, era stato picchiato da due secondini.

Iraq: 5.000 detenuti liberati dalle carceri Usa da inizio di anno

 

Ansa, 31 agosto 2009

 

Da gennaio l’esercito americano ha liberato più di 5.000 detenuti che erano rinchiusi nelle sue prigioni in Iraq. Lo ha reso noto oggi un comunicato militare, dopo che un alto responsabile del ministero dell’Interno iracheno aveva stamane denunciato che i due kamikaze responsabili dei devastanti attentati dello scorso 19 agosto a Baghdad erano stati rilasciati dalla prigione Usa di Camp Bucca.

Thailandia: due condanne a morte, dopo sei anni di moratoria

 

Ansa, 31 agosto 2009

 

La Presidenza di turno svedese dell’Unione europea ha "deplorato" l’esecuzione in Thailandia di due persone, Bundit Charoenwanich e Jirawat Phumpruek, avvenuta con una iniezione letale nella prigione Bang Kwang di Bangkok il 24 agosto. "Le esecuzioni segnano la fine di una moratoria di fatto durata sei anni sull’uso della pena capitale in Thailandia", si legge in un comunicato in cui l’Ue ribadisce la sua "già nota posizione secondo cui la pena di morte non agisce da deterrente e che qualunque errore giudiziario, inevitabile in tutti i sistemi legali, diventa irreversibile".

Per l’Ue la pena di morte è "crudele e disumana" e per questo vi si oppone "in tutti i casi e in tutte le circostanze", chiedendo la sua "abolizione universale", "essenziale per proteggere la dignità umana e il progressivo sviluppo dei diritti umani". Per questo l’Ue "si appella al governo thailandese affinché abolisca completamente la pena di morte e, nel frattempo, stabilisca una moratoria sulle esecuzioni come chiesto dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite".

Gran Bretagna: bimbi immigrati in carcere, è bufera sul governo

 

Ansa, 31 agosto 2009

 

Bufera sul governo britannico. Oltre 470 bambini immigrati, quasi tutti sotto i cinque anni e provenienti per lo più da zone di crisi come Sri Lanka, Zimbabwe, Repubblica del Congo e Sudan, sono bloccati senza motivo in campi di detenzione. L’accusa, riferisce il Guardian, viene dalle associazioni per i diritti umani. La stessa cifra sui bambini detenuti, accusano le organizzazioni, è calcolata per approssimazione visto che il governo, e in particolare il ministero dell’immigrazione, sinora non ha diffuso alcuna informazione precisa. Mentre parlamentari e Ong gridano allo "scandalo nazionale", molto "preoccupato" si dice anche il commissario britannico per l’infanzia Sir Aynsley-Green. Molti di questi bambini, osserva, sono stati detenuti "per oltre 28 giorni" anche se alla fine "gli è stato concesso di restare". Ma i tempi sono solo una conseguenza, osserva: "La domanda vera è: perché sono stati confinati nei centri di detenzione?".

 

 

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