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Giustizia: le carceri, gli immigrati ed il naufragio della civiltà
Terra, 29 agosto 2009
Che fine ha fatto la politica, quella alta? Dov’è finita l’arena sociale, quell’agorà dove prendono forma i sogni da consegnare alle persone che vivono di esigenze da realizzare, prima ancora che di bisogni per sopravvivere? Donne e uomini che chiedono una realizzazione umana, prima ancora che conquiste materiali. Non vi è ormai più traccia della sinistra, del tutto evaporata. Forse per effetto delle ultime consultazioni elettorali. O, forse, chissà, si è persa con le ultime gocce di laicismo e di ambientalismo scientifico. Valori che avrebbero potuto darle sostanza e differenziarla dall’ambivalente Pd. Di fatto, non esiste più. Ma il vuoto in natura non esiste. Ed ecco allora comparire i neo paladini dei diritti. Pastori tedeschi (mai titolo del Manifesto fu più azzeccato) col saio di Prada ed ex camerati finiscono così per ricoprire uno spazio, un tempo, prerogativa del socialismo: l’uguaglianza. Principio ancora grigio e piatto, se privo di conoscenza, identità e trasformazione. Senza aver affrontato e risolto il rapporto uomo donna. Sarà per effetto del non sense dominante o del caldo, ma viene in mente La banalità del male di Hannah Arendt quando racconta come molti sionisti si consegnarono, fieri di sentirsi diversi e collaborativi, nelle mani del carnefice. E, nonostante ciò, decenni dopo, i sopravvissuti a lager e deportazioni furono capaci di avere un atteggiamento xenofobo verso il popolo palestinese. Così oggi molti, per evidenti deficit culturali, impotenti e incapaci di affrontare la deriva fascista del Paese, si affidano all’avversario nella speranza vana di ingraziarselo. Si confondono l’assistenza cristiana con la trasformazione identitaria, la questione carceraria con l’immigrazione. Succede ai migliori e capitò, la settimana scorsa, anche ad Adriano Sofri su Repubblica. Giustamente indignato per il sovraffollamento dei penitenziari e per l’atteggiamento criminale del nostro governo verso i migranti, l’ex Lotta Continua spiegava ai lettori che in entrambi i casi le persone vengono trattate come spazzatura. Come dargli torto. è così. O forse, no. Se è vero, infatti, che le carceri non hanno più ragione di esistere essendo diventati lager (reati penalmente perseguibili per la Corte europea di Giustizia), ove il fallimento della politica sociale e sanitaria (sono stracolme di persone poverissime e malate) si fa tragedia. È altresì inconfutabile che la maggior parte dei detenuti hanno leso l’ordinamento giuridico, mentre gli immigrati che sbarcano stremati sulle nostre coste, no. Loro, i sopravvissuti, cercano solo di sfuggire alla miseria e alla ferocia dei dittatori, senza chiedere nulla. Se non di esistere. E così facendo apportano una ricchezza, in termini di forza lavoro e di cultura, incommensurabile. Con loro sbarca l’opportunità di una nuova importante rivoluzione culturale e sociale di cui la sinistra non si rende assolutamente conto. Ma che non sfugge invece né ai cattolici né alla destra. E per questo, anche se in modi diversi, vogliono governare e cavalcare. Giustizia: sistema penale in attesa di giudizio... e di soluzioni di Rossella Anitori
Terra, 29 agosto 2009
Nelle carceri italiane la metà dei reclusi non è stata ancora condannata. Manconi: "Il ricorso alla custodia cautelare è maggiore rispetto agli altri Paesi. C’è un tendenza a utilizzare questa misura impropriamente". Oltre la metà delle persone recluse nelle carceri italiane è in attesa di giudizio. I processi vanno a rilento e le prigioni si riempiono di presunti innocenti. Sono 32mila i detenuti senza una condanna definitiva. "Un numero abnorme - sostiene Luigi Manconi, già sottosegretario alla Giustizia e garante dei diritti dei detenuti per il Comune di Roma -. Il ricorso alla custodia cautelare in Italia è significativamente maggiore rispetto a quello di altri Paesi. Esiste una tendenza diffusa a utilizzare questo provvedimento per fini diversi da quelli previsti dal codice. Per ottenere confessioni, ad esempio, o chiamate di correo che altrimenti si pensa di non poter ottenere". Un fenomeno dovuto, dunque, a un uso improprio della custodia cautelare, il cui impiego è, invece, tassativamente definito dal codice penale. "Questa misura punta a evitare tre pericoli - spiega Manconi - manipolazione delle prove, fuga e reiterazione del reato. Se il rischio non sussiste non c’è motivo di applicarla ". Quel che succede però nella maggior parte dei casi è ben diverso, e la percentuale dei detenuti in attesa di giudizio nelle carceri italiane conferma questa tendenza. "Il numero più folle di tutto il sistema penitenziario italiano è però un altro - sostiene Manconi -. Ogni anno passano per il carcere circa 170mila persone, recluse per non più di tre giorni e poi scarcerate. Mettere una persona in prigione per tre giorni non ha senso. Viene meno la funzione deterrente, educativa, cautelare e sociale del provvedimento. L’unica cosa che si ottiene è l’intasamento delle strutture carcerarie". Secondo il sociologo si tratta di una misura ai limiti della razionalità: "Tra tutte le cause di sovraffollamento questa è senz’altro la più sciocca". Detenuti stipati come sardine e condizioni di reclusione disumane reclamano una soluzione. La realtà del sovraffollamento ha raggiunto dimensioni impressionanti. Il resoconto dei Radicali riporta che la capienza regolamentare dell’intero circuito penitenziario è di 42mila unità. Il ministro della Giustizia ha però ammesso è addirittura inferiore: sono molte le sezioni degli istituti penitenziari dello Stivale a rimanere chiuse e inutilizzate per la mancanza di personale. "Nelle galere italiane ci sono circa 35mila detenuti in più di quelli che le strutture carcerarie potrebbero contenere - dice Manconi - con tutte le conseguenze che questo comporta. E non mi riferisco solo alla terribile situazione di promiscuità ma anche al degrado delle condizioni igienico sanitarie e alla riduzione di tutte le attività risocializzanti. Se l’utenza presenta un’eccedenza di 35mila detenuti significa che i servizi già scarsi e in genere di bassa qualità offerti dal carcere devono bastare a un numero estremamente più ampio di persone". Una sentenza della Corte di giustizia europea ha recentemente condannato l’Italia a indennizzare un detenuto. I reclusi hanno i loro diritti e vanno considerati. Un detenuto ha bisogno di uno spazio fisico di circa 7 mesi quadri, uno spazio che nelle carceri italiane si riduce di oltre il 70 per cento. "Le strade da percorrere per risolvere il problema del carcere sono la depenalizzazione e la decarcerizzazione - conclude Manconi -. Alcuni fatti non dovrebbero essere più considerati reati e anziché alla prigione bisognerebbe ricorrere a misure alternative. Lungi però dal percorrere questa strada con l’istituzione del reato di clandestinità abbiamo intrapreso quella opposta". Al computo della popolazione carceraria bisogna, infatti, aggiungere gli ospiti dei Centri di identificazione e espulsione. Una realtà a tutti gli effetti detentiva senza però le garanzie estese ai provvedimenti di natura penale. Giustizia: Marcolongo (Anci); presto servirà un nuovo indulto
Asca, 29 agosto 2009
È fallito il sistema carceri, lo scrive sul "Mattino di Padova" Leopoldo Marcolongo, ex sindaco e rappresentante Anci in Commissione Interistituzionale Area Penitenziaria. "Il pianeta carcere è salito prepotentemente alle cronache in questi ultimi anni per i problemi di sovraffollamento, attualmente peggiore del 2006, prima dell’indulto (quando ne uscirono 27.000), per i suicidi, per la prevalenza dirompente di detenuti stranieri e di detenuti in attesa di giudizio (più della metà). La drammatica emergenza dei numeri: dai 31.000 detenuti del 1991 siamo arrivati quasi ai 64.000 attuali, con 1.000 nuovi arrivi al mese. È una realtà che ci sta sfuggendo di mano. L’ attuale sistema sanzionatorio e incentrato sulla pena detentiva come risposta alla violazione della norma penale. Un simile sistema sconta tutta la sua inefficacia. La detenzione è inefficace nel dissuadere dal commettere futuri delitti, mentre l’applicazione di misure alternative al carcere risulta essere decisamente più efficace: i recidivi fra gli affidati al servizio sociale sono pari al 19%, mentre fra coloro che scontano la pena interamente in carcere i recidivi sono il 68 per cento". Colpa della mentalità della tolleranza zero, aggiunge Marcolongo. "Il problema è che molti sindaci spesso non conoscono la realtà carceraria, pochi hanno visitato un carcere, molti non sanno neppure dove sia localizzato....Bisogna fare presto a sfoltire le carceri perché la situazione è intollerabile e illegale, altrimenti, voglia o non voglia, bisognerà fare un nuovo "indulto". Giustizia: Telefono Rosa; chi abusa non abbia mai i "benefici"
Redattore Sociale - Dire, 29 agosto 2009
Nessun beneficio per chi compie atti di violenza nei confronti delle donne. Lo chiede Telefono Rosa, che lancia un appello a tutti gli uomini e le donne del nostro Paese, attraverso una campagna di adesioni sia via mail (telefonorosa@alice.it) che con il Social Network Facebook (gruppo "Aboliamo i benefici per reati di violenza contro le donne"). Obiettivo è chiedere al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che coloro i quali si macchiano di reati di violenza contro le donne non possano mai più godere di alcun beneficio. "La pena deve essere scontata interamente - chiede Telefono Rosa che interviene dopo la scarcerazione di Gianni Guido, uno dei mostri del Circeo -. L’atteggiamento di indulgenza nei confronti di un violento è un messaggio negativo per i giovani, una gravissima mancanza di rispetto per le vittime e le loro famiglie e un segnale terribile per quelle donne che stanno trovando la forza di denunciare le violenze che subiscono ogni giorno". "Le ragioni dell’iniziativa - spiega la presidente Gabriella Moscatelli - partono da una drammatica riflessione: nel mese di agosto abbiamo ricevuto una quantità impressionante di richieste di aiuto. Dall’1 gennaio al 31 luglio 2009 solo da Roma e Provincia hanno chiesto aiuto a Telefono Rosa circa milletrecento donne. E proprio mentre noi raccogliamo dati così allarmanti, il segnale che viene dato alla società civile è la liberazione di un uomo che non ha avuto pietà due giovanissime ragazze". Giustizia: Osapp; strumentale il richiamo di Alfano all’Europa
Ansa, 29 agosto 2009
È "strumentale" il richiamo fatto dal ministro della Giustizia Angelino Alfano all’Ue a non chiudere gli occhi sul problema del sovraffollamento delle carceri italiane perché - afferma il segretario dell’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria, Leo Beneduci - "i detenuti europei sono appena 7mila, cioè il 30% degli stranieri". "Seppure Bruxelles si facesse carico dei 7mila, le carceri resterebbero invivibili. Il ministro Alfano - conclude Beneduci - ci dica piuttosto quali misure alternative alla detenzione sono realizzabili e dove intende trovare i fondi per costruire nuovi istituti e per assumere il personale di polizia penitenziaria già sotto organico di 5mila unità. Le aggressioni agli agenti sono ormai quotidiane e la situazione è diventata insostenibile". Giustizia: Uil; da Alfano solo annunci sull'edilizia, occorre fare
Ansa, 29 agosto 2009
"Più che annunciare occorrerebbe fare", serve un segnale concreto come "la comunicazione di un disegno di legge per le assunzioni straordinarie". Lo afferma il segretario della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, commentando le parole del ministro della Giustizia Angelino Alfano, che ieri a Cortina, aveva annunciato l’investimento del Governo di un miliardo e mezzo per la costruzione di nuove carceri. "Pur volendo far finta di credere che i nuovi 17 mila posti, annunciati per l’ennesima volta dal ministro Alfano, possano in qualche modo contribuire a risolvere nel prossimo futuro il problema del sovraffollamento - dice Sarno in una nota - resta irrisolta la drammaticità del presente". Il sindacato ricorda "gli eventi critici" delle ultime settimane, tra i quali "il tentato omicidio, di qualche ora fa a Rossano di un agente" e evidenzia come le parole di Alfano siano "inutilmente ripetitive, a tal punto che persino il tanto declamato piano carceri potrebbe essere iscritto di diritto nel campo dei miraggi annunciati". Sarno chiede che il Ministro Alfano "dia direttive precise" per recuperare uomini e donne impiegati "nei palazzi del potere", per l’impiego di militari alla sorveglianza delle strutture e per garantire il pagamento degli straordinari, degli arretrati e delle missioni. Queste rivendicazioni saranno portate avanti attraverso una manifestazione nazionale il 22 settembre davanti a Montecitorio. Lettere: detenuti in sciopero del carrello; il carcere è invivibile di Maria Grazia Piccaluga
La Provincia Pavese, 29 agosto 2009
I detenuti del carcere di Torre del Gallo chiedono alla direzione un intervento per migliorare le loro condizioni di vita. Tanti i problemi aperti: la sala colloqui torrida e maleodorante, la chiusura del campo sportivo, gli spazi ristretti per l’ora d’aria. E annunciano lo sciopero di tutti i detenuti che lavorano al suo interno. La sala colloqui è gelida in inverno e torrida d’estate. L’aria ristagna e i piccoli locali in cui i detenuti incontrano i loro familiari si impregnano già a metà mattina di un odore sgradevole. Una situazione "insopportabile, soprattutto per gli anziani e i bambini che arrivano in visita" lamentano i carcerati di Torre del Gallo che hanno deciso di presentare un formale reclamo all’amministrazione penitenziaria. In una lettera, indirizzata alla direzione della casa circondariale, elencano in otto punti i motivi del disagio. Per rendere ancora più incisiva la loro presa di posizione annunciano che dal 3 al 6 settembre inizieranno una protesta pacifica: i detenuti che hanno anche una mansione all’interno dell’istituto si asterranno dal lavoro, ad eccezione di due - arruolati su base volontaria - che giornalmente verranno indicati per ritirare la spazzatura. Cresce la tensione all’interno della casa circondariale di Pavia, dove ogni giorno i già precari equilibri sono messi a dura prova da una parte dal sovraffollamento e dall’altra dalla carenza di personale e dalla cronica mancanza di fondi. In estate il numero degli agenti in servizio si assottiglia ancora di più per le ferie e i turni diventano pesanti. In questo contesto è inevitabile che alcuni servizi che richiedono la presenza del personale vengano ridotti o addirittura sospesi. Ma chi è costretto a scontare una pena di mesi, addirittura di anni, tra le mura di Torre del Gallo non ci sta. E punta il dito sulle condizioni di sopravvivenza. Ci sono questioni legate alle condizioni di igiene personale, come la richiesta di consentire l’uso della doccia anche nei giorni festivi e la verifica della scadenza di materassi e cuscini in dotazione alle celle. "Le aree per il passeggio non sono adeguate al numero delle persone - spiegano i detenuti - troppo strette e affollate per due sezioni". E sarebbe utile, auspicano, la riattivazione dell’utilizzo settimanale del campo sportivo, chiuso ormai da tempo. C’è la questione delle sale per i colloqui, anguste e maleodoranti. E la mancanza di locali adeguati, all’interno del carcere, per i minori: spazi in cui i detenuti possano incontrare con dignità i propri figli, "come prevede l’ordinamento penitenziario" sottolineano. La lettera insiste anche sul "mancato funzionamento dell’ufficio preposto al programma di trattamento e rieducazione, anche questo previsto dall’Ordinamento. C’è poi un’ultima questione: quella legata ai generi che si possono acquistare in aggiunta al vitto. Piccole spese consentite ai detenuti ma a loro dire troppo care, per le quali "è necessario rivedere i prezzi". Reggio E.: Borghi (Regione); in cella condizioni di vita illegali
La Gazzetta di Reggio, 29 agosto 2009
"Dicono che per giudicare il grado di civiltà di un paese sia necessario vederne le carceri. Credo che in questo momento storico, sia ancora più vero". Così Gianluca Borghi, consigliere regionale del Pd, commenta dopo la sua visita alla Pulce. "Com’è la situazione nel carcere di Reggio? Gravissima, come nel resto degli istituti di pena dell’Emilia Romagna". Esordisce così il consigliere Borghi. Con altri colleghi regionali e parlamentari, nel week end di Ferragosto ha aderito all’iniziativa dei Radicali, che promuovevano la visita nelle carceri italiane per verificare le condizioni di vita dei detenuti. Borghi ha visitato le case detentive di Ferrara, Modena e Bologna. E mercoledì è venuto a vedere l’istituto reggiano. "Sono quindici anni che mi occupo di questa tematica - dichiara il consigliere, che per dieci anni è stato assessore regionale alla Sanità - e ho notato un gravissimo peggioramento". La riflessione di Borghi parte da dati allarmanti, che riguardano tutta la regione. "Qui abbiamo l’indice di sovraffollamento più alto dell’intero Paese - sottolinea - i detenuti superano del 180% la capienza regolamentare. A Reggio, siamo al 150%. La norma vorrebbe un solo letto per cella, in realtà siamo arrivati a tre. Mi ha colpito molto vedere quei letti a castello ammassati, con l’ultimo livello a davvero pochi centimetri dal soffitto. E i detenuti aumentano, mediamente, di 10 al mese. La situazione attuale mi pare violenta e incivile. Sia i detenuti che gli operatori vivono in condizioni di illegittimità; tutto ciò è illegale". Una situazione che i sindacati di categoria stanno denunciando da mesi, senza ottenere risposte, così come gli stessi detenuti, che in questi giorni hanno diffuso una lettera di protesta, esasperati dalle precarie condizioni di vita. "Anche gli agenti di polizia penitenziaria stanno subendo una situazione intollerabile. Rispetto all’organico, che comunque era pensato per un numero di detenuti molto inferiore, mancano moltissimi agenti. Gli operatori stanno facendo l’impossibile - prosegue . Si fanno decine e decine di ore di straordinario. E se vengono pagate lo sono molto in ritardo. Voglio ringraziare queste persone e lo dovrebbero fare tutti gli amministratori". Borghi non nasconde le sue preoccupazioni per i prossimi mesi. "Con le nuove norme sulla sicurezza questa situazione non potrà che peggiorare - asserisce - soprattutto perché da parte del governo non c’è alcuna progettualità, manca ogni tipo di prospettiva. Non possiamo irresponsabilmente dare la colpa Bruxelles, ma dobbiamo cercare delle soluzioni. È fumo negli occhi pensare a nuove carceri, perché non sarebbero pronte prima di quattro o cinque anni". Il consigliere del Pd punta il dito verso la politica del centro-destra. "La situazione che abbiamo sia in Emilia Romagna che nel resto d’Italia è anche il frutto di leggi che hanno previsto la penalizzazione di certi reati - prosegue -. La legislazione di destra sta rendendo esplosiva la situazione. E sono degli sprovveduti coloro che sostengono che siamo noi, rispondendo all’invito dei Radicali e andando a visitare le carceri, che fomentiamo le proteste dei detenuti. La verità è che la situazione è insostenibile e richiede, da parte di tutti, la disponibilità per prenderne atto e cercare di entrare nel merito". Borghi suggerisce alcune soluzioni. "Bisogna agire utilizzando più e meglio le misure alternative, che sono del tutto coerenti con la legge: i magistrati di sorveglianza in passato li utilizzavano più frequentemente, ora molto meno. Inoltre, bisogna pensare anche alla manutenzione, sia ordinaria che straordinaria. Non viene fatta adeguatamente a causa delle risorse, che sono sempre meno". Modena: denuncia dei sindacati; le carceri sono fuori controllo
Ansa, 29 agosto 2009
La situazione dei carceri modenesi è fuori controllo e il Governo non sta facendo abbastanza per risolvere i problemi. È la denuncia dei sindacati di categoria di Cgil, Cisl e Uil, dopo i fatti degli ultimi giorni. Protesta dei detenuti alla Casa di lavoro di Castelfranco, controllata con grande difficoltà dai pochi agenti di polizia penitenziaria in servizio. Aggressione di un agente nell’Istituto di Saliceta San Giuliano. "Sino a pochi anni fa - attaccano le organizzazioni sindacali - la casa circondariale di Sant’Anna rappresentava l’unica disfunzione del sistema carcerario modenese: ora non è più così". I numeri impietosi sono noti da giorni: 143 detenuti a Castelfranco vigilati da soli 44 agenti suddivisi su 3 turni; pesanti carenze negli organici anche a Saliceta e celle sovraffollate al Sant’Anna. Dopo l’associazione Carcere Città e la denuncia del Magistrato di sorveglianza Martinelli che ha parlato di "palese violazione dei diritti umani dei detenuti", ora a scendere in campo sono i responsabili di settore di Cgil, Cisl e Uil che chiedono al Governo di fare presto, prima che la situazione diventi definitivamente esplosiva. Quando arriveranno i rinforzi? Quanti detenuti saranno veramente trasferiti? A Modena la situazione è esplosiva, più che nel resto d’Italia dove comunque le carceri scoppiano, ma il problema - denunciano i sindacati - è sottovalutato dal Governo. "I fatti - dicono Vincenzo Santoro, Nadia Francia e Raffaele Mininno, di Cgil, Cisl e Uil - stanno dimostrando che al di là degli annunci e delle promesse di qualche parlamentare, a Modena il sistema carcerario continua ad essere tutt’altro che dignitoso e moderno". Sanremo: l'On. Lanutti presenta un'interrogazione al Ministro
Sanremo News, 29 agosto 2009
"Le carceri italiane scoppiano non perché siano inadeguate al numero di detenuti italiani ma perché il nostro paese deve fare i conti con una delinquenza straniera dalle dimensioni abnormi che, aritmetica alla mano, determina il sovraffollamento dei nostri istituti di pena. L’Europa deve intervenire, considerato che l’Italia affronta il peso maggiore dell’immigrazione clandestina in tutto il vecchio continente, o prendendosi nei penitenziari degli altri stati i detenuti non italiani o dandoci i soldi per costruire nuove carceri" questo il j’accuse pronunciato al Meeting per l’amicizia tra i popoli dal Ministro di Grazia e Giustizia Angelino Alfano. Sarà forse vero quanto afferma il guardasigilli italiano, fatto sta che nel frattempo nei penitenziari della penisola in quest’estate torrida si vive come delle bestie. Lo scorso ferragosto un esercito di parlamentari, soprattutto radicali ed iscritti all’Italia dei Valori ma pure gente del Pdl e del Pd, hanno risposto all’appello lanciato da Emma Bonino e, con le loro ispezioni, hanno toccato con mano questa drammatica situazione. Tra le più delicate situazioni quella legata al carcere di Sanremo visitato in quell’occasione dal deputato dell’Italia dei Valori Elio Lanutti, giornalista fondatore del settimanale "Avvenimenti" ed ideatore dell’Adusbef, entrato in funzione solamente una decina d’anni fa in sostituzione del forte seicentesco di Santa Tecla nel pieno centro cittadino. Il nuovo carcere giudiziario della città dei fiori invece sorge nella più remota periferia cittadina, in Valle Armea. Già la sua ubicazione non è tale da favorire l’inserimento dei detenuti nel tessuto sociale cittadino ma attualmente i problemi del penitenziario sono ben altri. Costruito per ospitare al massimo 209 detenuti, e con una capienza tollerabile di circa trecento detenuti, oggi vi sono ristrette più di trecentoventi persone per metà extra- comunitari. Le condizioni di vita non possono essere più considerate tollerabili, spiega l’onorevole Lannutti, anche perché a fronte di un aumento così spropositato di detenuti, l’organico degli agenti di polizia penitenziaria del carcere, tra ferie, distacchi e malattie, non è per niente aumentato, anzi è diminuito. Gli agenti sono stressati oltre ogni misura ed ora potrebbero addirittura perdere il controllo dei nervi e considerare i detenuti, specialmente quelli stranieri, non più come persone da custodire ma come antagonisti, chiosa infine il deputato del " gabbiano che vola". Una situazione pericolosissima dunque quella innescatasi a Sanremo, che chiama direttamente in causa l’inanità, secondo Lannutti, le responsabilità del ministero di Via Arenula. Per queste ragioni il deputato dell’Italia dei Valori, insieme alla collega radicale Donatella Poretti, hanno presentato un’interrogazione urgente al ministro Alfano chiedendo quali provvedimenti il Ministero desideri adottare al fine di scongiurare che il carcere di Sanremo scoppi, si affolli di detenuti e si impoverisca di agenti di custodia e di educatori, divenendo teatro di quotidiani tentativi auto-lesionistici da parte di detenuti. Teramo: gli ispettori Dap misurano le celle per "terza branda"
Il Centro, 29 agosto 2009
C’è una minaccia che incombe sul carcere di Castrogno: una terza branda nelle celle. Eventualità che potrebbe far ulteriormente aumentare il numero dei detenuti in un istituto che già soffre dei mali del sovraffollamento. La denuncia arriva dal sindacato di polizia penitenziaria Sappe, che rivela come ispettori del ministero siano venuti a Teramo per misurare le celle. Con la terza branda i detenuti passerebbero dagli attuali 400 a 600. E questo significherebbe un’emergenza senza limiti per il personale. C’è una minaccia che incombe sul carcere di Castrogno: una terza branda nelle celle. Eventualità che potrebbe far ulteriormente aumentare il numero dei detenuti in un istituto che già soffre dei mali del sovraffollamento. La denuncia arriva dal sindacato di polizia penitenziaria Sappe, che rivela come ispettori del ministero siano venuti a Teramo per misurare le celle. Dopo gli agenti aggrediti dai detenuti, tre casi in pochi giorni, e le proteste degli stessi reclusi, che proprio contro il sovraffollamento hanno battuto con pentole e oggetti vari contro le sbarre delle celle, per il carcere teramano si annunciano ancora tempi difficili. "Per il momento di ufficiale non c’è niente", dice Giuseppe Pallini, segretario provinciale del Sappe, "ma è evidente che il fatto di aver misurato le celle significa che in quegli spazi vogliono mettere una terza branda per aumentare il numero dei detenuti che, in questo modo, passerebbero dagli attuali circa 400 a 600. E questo significherebbe una emergenza senza limiti per Teramo e per il personale". Castrogno dovrebbe ospitare 231 detenuti, ma attualmente ne ospita 395: 160 in più, dunque, rispetto a quelli previsti. Di questi, oltre cinquanta hanno problemi di tossicodipendenza. In servizio ci sono 184 tra agenti e altro personale, ma per riempire i vuoti della pianta organica ne servirebbero altri sessanta. La carenza d’organico li costringe a saltare riposi e ferie. E non solo. Spesso, infatti, un solo agente è costretto a coprire vari servizi e questo, naturalmente, comporta molti rischi, anche se, nonostante il numero ridotto, i poliziotti sono sempre riusciti a fronteggiare ogni tipo di situazione. Un esempio per tutti: nel 2005 a Castrogno furono registrati trenta tentativi di suicidio tra i detenuti (uno dei numeri più alti in Abruzzo), tutti sventati proprio dagli agenti. La carenza di personale è un problema che i sindacati, di tutte le sigle, denunciano ormai da anni ma chi fino ad oggi non sembra aver trovato soluzione. Nei giorni scorsi la struttura è stata visitata dal parlamentare teramano Augusto Di Stanislao dell’Italia dei Valori, capogruppo in commissione difesa. L’altro ieri, dopo la richiesta di Di Stanislao, il ministero dell’Interno ha inviato degli ispettori in carcere. "Sono soddisfatto che ci sia stata questa ispezione", scrive Di Stanislao in una nota, "i problemi da me sollevati hanno un forte fondamento tanto che il ministero dell’Interno ha inviato ispettori nel carcere per tutte le opportune verifiche, ma non mi fermerò qui e continuerò a monitorare la situazione, promuovendo iniziative sia in Parlamento che sul territorio a sostegno degli operatori penitenziari e del rapporto con i detenuti". Bologna: Campagna "Dona un libro a una persona detenuta"
Redattore Sociale - Dire, 29 agosto 2009
Prosegue la campagna "Dona un libro a una persona detenuta" portata avanti dal circolo di Bologna "Chico Mendes". Nonostante le risposte delle istituzioni languano o non mostrino particolare entusiasmo, quelle dei cittadini e delle case editrici sono state "ampiamente positive", scrive in una nota il portavoce del circolo, Vito Totire. La campagna, infatti, spiega Totire rilanciando come ogni anno l’iniziativa, ha già raggiunto il 20% dei penitenziari italiani. E ora l’associazione vorrebbe compiere il "salto", ovvero "cercare di capire se, finalmente, nelle donazioni si possono includere anche mezzi non cartacei come cd o dvd". Mentre si guarda a questa prospettiva di miglioramento, dal "Chico Mendes" suggeriscono anche che sarebbe opportuno realizzare un catalogo del patrimonio librario raccolto, allo scopo di metterlo online ed "evitare la donazione di doppioni". Nella nota, "Chico Mendes" sollecita la donazione di "testi in varie lingue, vocabolari, tecnici e scientifici utili per percorsi di formazione professionale, aggiornati e recenti". Tra gli istituti penitenziari raggiunti dalle donazioni di libri, l’associazione ricorda quello di Bologna, Turi, Forlì, Porto Azzurro, Sassari, Cagliari, a cui si aggiungono il Centro di identificazione di Bologna e gli ospedali psichiatrici di Reggio Emilia e Aversa. Obiettivo dell’iniziativa è porre fine alla "rimozione sociale del carcere", che troppo spesso viene considerato "un’istituzione totale separata intesa come discarica umana e sociale". L’associazione "Chico Mendes" non nasconde, però, la delusione per il poco riscontro: "La campagna - scrive Totire - non ha raccolto reazioni entusiastiche dal versante istituzionale: più silenzi che risposte, ma le risposte, ancorché poche, sono incoraggianti". Senza dimora: Fiopsd ricostruisce l’iter del pacchetto sicurezza
La Repubblica, 29 agosto 2009
"Diario di un diritto negato": la Fiopsd ricostruisce l’iter del pacchetto sicurezza. Si intitola così il documento che delinea lo scenario futuro per le persone senza dimora dopo l’approvazione da parte del parlamento delle nuove norme sulla residenza anagrafica e sul registro degli homeless. "Diario di un diritto negato". Si intitola così, senza tante perifrasi, il documento preparato dalla Federazione italiana organismi per le persone senza dimora (Fiopsd), con l’obiettivo di ricostruire genesi e iter parlamentare del discusso disegno di legge "Disposizioni in materia di sicurezza pubblica", più noto come "Pacchetto sicurezza", approvato in via definitiva dal Parlamento lo scorso 2 luglio. Il fascicolo, di circa quaranta pagine, è nato in risposta all’esigenza di documentare il cammino di una legge che avrà forti, e presumibilmente negative ripercussioni sulle condizioni di vita delle persone senza dimora, alle quali rischia di precludere il riconoscimento dei diritti di cittadinanza elementari e l’accesso ai servizi sociali. Il "Diario" dimostra come questi rischi, discendenti dalle norme sulla residenza anagrafica (autentica "porta d’accesso", per le persone senza dimora, ai diritti di cittadinanza e ai servizi sociali) e sull’istituzione presso il ministero degli interni di un "registro delle persone senza dimora", fossero stati chiaramente e ripetutamente segnalati al legislatore sia dalla Fiopsd che da altri soggetti sociali. Eppure il parlamento ha licenziato un "Pacchetto" che ignora quelle indicazioni, indebolendo, nei fatti, il fondamentale istituto della residenza anagrafica e affermando, con il registro, una volontà di controllo sociale che, con il pretesto della tutela dell’ordine pubblico, può sfociare in pratiche di schedatura e di limitazione delle libertà individuali. Il Diario è scaricabile,in formato pdf, dai siti della Fiopsd e della campagna nazionale "Il residente della repubblica" (www.ilresidentedellarepubblica.it), che nei mesi scorsi ha visto schierati, a difesa dei diritti delle persone senza dimora, Fiopsd e i principali giornali di strada italiani. La pubblicazione si propone come strumento di sensibilizzazione offerto ai soci della Federazione per supportare le loro azioni a difesa del diritto alla residenza anagrafica nei contesti locali, alle organizzazioni di solidarietà sociale e ai cittadini interessati al tema quale occasione di informazione e riflessione, in generale all’opinione pubblica affinché disponga di uno strumento per verificare l’adeguatezza delle norme varate dal parlamento in rapporto alle intenzioni che le hanno motivate. Una versione stampata in proprio da Fiopsd verrà inoltre diffusa in occasione di eventi Pubblici. "Il Pacchetto sicurezza" non ci ha resi né ci renderà più sicuri: saranno i fatti a dimostrarlo - commenta Paolo Pezzana, presidente Fiopsd. È importante perseverare in un'azione costante di vigilanza e contrasto rispetto alla sua applicazione nei territori. È nei territori, infatti, che si giocherà la vera partita di civiltà sui piani culturale ed amministrativo. Il "Pacchetto " colpisce in modo insidioso e nascosto la natura aperta e solidale del nostro ordinamento giuridico e della nostra tradizione. La nostra classe politica non se n'è avveduta;tocca (come sempre nella storia) alla società civile fare la sua parte". Immigrazione: Cie di Ponte Galeria; un viaggio nel disumano di Enrico Campofreda
Terra, 29 agosto 2009
Girano per mesi. In fuga da un passato fatto di guerre e dittature. Preferiscono rischiare la vita piuttosto che continuare la precedente. L’Italia, solo per questo, li considera criminali. E li rinchiude nei Centri di identificazione ed espulsione. Dove li attende la stessa violenza e ferocia dalla quale scappavano. I volti dei "criminali" sono segnati dalla fame e dall’orrore. Dalla morte scampata e da quella conosciuta di settanta e più connazionali finiti in fondo al mare. Così Titti e il suo scheletrico corpo di donna. Così Hampton, salvo forse per quella gioventù che fa resistente anche un ragazzo eritreo in fuga dagli atavici stenti. Il loro dramma non impietosisce la legge e la recente n. 94/2009, nota come "pacchetto sicurezza", considera un reato l’immigrazione clandestina. Meritevole d’arresto, l’arresto di Titti e di Hampton che risulta un atto "dovuto". L’insensibile norma, alla stregua dei politici che l’hanno varata, se ne infischia se donna e ragazzo stavano per finire cadaveri nel Mare Nostrum, storditi e bruciati come i compagni di sventura da un sole a 50 gradi che straccia la pelle di chi proviene da ogni latitudine. Dimenticati e abbandonati da italiani e maltesi che ne incrociavano la rotta. Ora che sono giunti sulle nostre coste dovranno conoscere i nostri Centri di identificazione ed espulsione. Centri come Ponte Galeria, alle porte di Roma, di cui la consigliere regionale del Lazio Anna Pizzo, in un recente sopralluogo, questo racconta.
Ponte Galeria e le altre galere
"Ci hanno strappato gli appunti, tolto di mano la penna, ci hanno spinto oltre i cancelli e ammoniti a non tornare. Non era la prima volta che entravo nell’ex Cpt romano ma cose simili non erano mai accadute. La visita aveva i crismi dell’ufficialità: lettere al prefetto, autorizzazione, accompagnatori. Giunti sul posto, il responsabile del Centro Ermanno Baldelli ci ha lasciati in attesa per un’ora e mezza, quindi ha concesso la visita accompagnandoci di persona assieme a un suo uomo e al vicedirettore della Croce rossa. Durante il giro si è stranito perché chiedevo di voler visitare tutti i locali". Mentre la Pizzo era schiacciata fra doppie sbarre e l’inferno della totale assenza del diritto, il dottor Baldelli spintonava i migranti che si avvicinavano per parlarle. "Protestai, così fui privata degli strumenti di scrittura e impossibilitata a lasciare biglietti da visita. Il responsabile diceva in tono minaccioso ai clandestini: "Ve ne andrete quando lo deciderò io". Che può voler dire restarci fino a 180 giorni come prevede la nuova normativa capace di scandire ore senza tempo in luoghi privati non solo della legge di diritto ma della stessa umanità. Il Cie di Ponte Galeria ha più d’una croce. Il 19 marzo scorso vi è morto in circostanze non chiare né chiarite Salah Soudami, il 7 maggio Mabruka Mimuni è stata trovata penzolante al classico lenzuolo. Ed ecco cos’è nuovamente accaduto in questi torridi giorni d’agosto secondo una testimonianza raccolta in audio dal sito "Macerie". Lo denuncia la voce d’un migrante lì rinchiuso: "Un gruppo di algerini è appena arrivato da Bari, fra loro c’è un ragazzo malato di cuore che piange, la polizia non ha portato le sue medicine. Invece di cercare i farmaci, i poliziotti lo conducono in infermeria poi nella cella di sicurezza. Lì lo massacrano di botte perché stufi degli stranieri che si lamentano. Lo riportano in sezione pieno di lividi e sangue. Lui durante la notte si sente malissimo, i compagni danno l’allarme e viene allontanato in ambulanza. La mattina seguente tutti gli algerini vengono portati via, gli altri pensano a un rimpatrio, invece sono stati rinchiusi in isolamento nel reparto femminile. Le ore passano, i reclusi si ricordano di Salah Soudami, morto cinque mesi prima in circostanze pressoché identiche e pensano al peggio. Chiedono aiuto ai solidali che stanno fuori e lanciano un appello. Vogliono avere notizie del loro compagno. Vogliono sapere come sta, se è vivo o morto e dov’è. L’hanno chiesto alla Croce rossa che non ha risposto. L’hanno chiesto agli agenti e anche loro sono stati zitti: i poliziotti sono buoni solo a massacrare di botte i malati di cuore".
Proteste e violenze
È quel che si respira in questo Centro (il maggiore d’Italia): 176 accessi per uomini, 176 per donne, 12 per trans. Attualmente i posti sono esauriti e si sta ammassati come nelle curve durante un derby calcistico, ma nessuno si diverte. A controllarli normalmente, che vuol dire se non scoppiano rivolte, dodici fra carabinieri, poliziotti e finanzieri più altri dodici militari. Quindi volontari e gli inservienti d’una ditta di pulizie e di una che si occupa dei pasti. Il costo annuo di tutto è uno sproposito: 5 milioni di euro per condizioni igieniche disastrose e un pericolosissimo affollamento, come ha sottolineato più d’un politico in visita (Marrazzo e Vita, per parlare solo degli ultimi accessi). I clandestini, oltre a soprusi e violenze, denunciano cibo avariato, giacigli sporchi con lenzuola di carta stracciata lasciata lì per settimane. Lo stesso garante dei detenuti ha da tempo messo in guardia sui rischi sanitari e un’opprimente condizione di tipo carcerario che può rinfocolare solo violenze. E la protesta sta montando da giorni a Gradisca d’Isonzo, Modena, Torino, Milano, senza che i tg di Stato ne parlino. Anche se al dottor Baldelli, al di là dello sdegno di reclusi e visitatori, non è stata rivolta l’accusa di "torturatore" fatta al suo collega del Centro milanese di via Corelli da alcuni magrebini processati in queste ore per direttissima. Cinque donne, nove uomini accusati di aggressione a pubblico ufficiale mentre loro di rimando parlano di pestaggi intimidatori e una nigeriana denuncia un tentativo di stupro. Se immaginazione e racconti non bastano navigate sul web, c’è chi con l’ausilio della microtecnologia in questi luoghi ha piazzato il suo cellulare registrando immagini come quelle che mostra www.fortresseurope.blogspot.com, sito dell’Osservatorio sulle vittime dell’emigrazione. Scene di massa tratte da una sorta di centro gemello, non a Ponte Galeria né a Lampedusa ma nell’isola ellenica di Lesvos. Non si vede la pelle nera degli africani bensì quella di turchi e mediorientali che inseguendo il sogno d’Occidente finiscono intrappolati lì. In un posto simile e dal governo amico di Karamanlis, il ministro Frattini può ricevere la conferma dell’esatto contrario di quel che va dichiarando mentre cerca di scaricare su altri il dramma degli eritrei morti in mare: l’Europa segue eccome la linea della disumana fermezza italica.
Come aiutarli
"Per quel che ho visto durante la visita effettuata con Marrazzo - dichiara un altro assessore alla Regione Lazio, Luigi Nieri - questi luoghi sono molto ma molto peggiori delle carceri. Con la scusa d’essere siti di passaggio, chi vi staziona non è in condizione di fare nulla, già starci una settimana diventa problematico figurarsi ora con permanenze che possono durare mesi. Il sovraffollamento, la frustrazione, la giovane età dei migranti, le privazioni e vessazioni cui sono sottoposti possono solo innescare tensioni. Io emotivamente rimasi impressionato dalle enormi gabbie in cui queste persone si stipavano pur di stare all’aperto, in condizioni comunque disumane. Se poi si parla di diritti bisogna dire con chiarezza che nei Centri d’identificazione il diritto è bandito e le stesse verifiche che le istituzioni possono fare sono tutt’altro che semplici. Perché quello che il mio ruolo mi consente di fare in qualsiasi carcere italiano - presentarmi all’ingresso e compiervi immediatamente un sopralluogo - non può accadere in un Cie. Per entrarci, anche noi politici abbiamo bisogno di particolari permessi delle prefetture, motivo per cui ho presentato un ricorso al Tar. Senza tacere delle assurdità che si scoprono, come quella d’un ragazzo brasiliano, nato in Italia da migranti, che al compimento della maggiore età veniva spedito in Brasile, Paese a lui ignoto. Quando visitai Ponte Galeria in perfetto romanesco mi diceva "Assesò ma ‘ndo vado? Ma chi ‘o conosce er Brasile!". La politica ha enormi responsabilità per quest’ondata di disumanizzazione che stiamo vivendo. Se la destra fa il suo gioco, che è gioco sporco e razzista, la sinistra - lo dico facendo autocritica - è totalmente mancata ai suoi compiti. Per non parlare d’un centrosinistra cieco, piegato per anni sul terreno avversario in un confronto sulla sicurezza che rasentava la xenofobia, col quale ha pure perso le elezioni. Poche voci si sono levate dal Pd, mentre Di Pietro pur d’arraffare voti centristi affermava che in tema d’immigrazione l’Italia non poteva diventare la latrina d’Europa. Siamo a un punto di non ritorno, dobbiamo ricominciare da zero: noi politici, tornando a sventolare come alla fine dell’Ottocento i vessilli di grandi battaglie sui diritti, ma anche individualmente i cittadini devono fare la loro parte opponendosi all’omertà diffusa. Siamo la nazione che fino alle cinque del pomeriggio affida al lavoro, spesso sottopagato, dei migranti quel po’ d’attività produttiva che resta e i servizi verso gli anziani mancanti di qualsiasi assistenza sociale, poi la sera vorremmo che questi lavoratori svanissero nel nulla. C’è chi protesta se li vede dormire in baraccopoli ma nessuno dice niente dei costi e d’un sostanziale apartheid che impedisce agli immigrati un alloggio decoroso. Nelle periferie romane dove si scatena il razzismo dell’ignoranza o nei luoghi simbolo della Lega in cui la caccia allo straniero viene teorizzata addirittura dai sindaci abbiamo a che fare con una deriva gravissima che pagheremo per decenni se ci ostiniamo a restare immobili. Ristabilire valori, sostenere che le persone di qualsiasi sesso, razza, religione non sono problemi ma risorse è il grande impegno che pur come minoranza dobbiamo rilanciare per cancellare quest’abbrutimento della società". Dal Viminale giungono i dati rassicuranti del programma securitario: sbarchi in notevole ribasso, dai 17.485 nel periodo gennaio-agosto 2008 ai 7.567 del gennaio-agosto di quest’anno. Ora, secondo l’esecutivo, il reato di clandestinità terrà ancor più alla larga i migranti. Il resto lo fanno i battelli alla deriva e la diminuzione delle partenze dalla Libia. Potere dei viaggi diplomatici di Gheddafi e delle Frecce Tricolore sui suoi cieli. Immigrazione: i Valdesi digiunano contro il pacchetto sicurezza
www.unimondo.org, 29 agosto 2009
Una giornata di solidarietà con le "vittime del pacchetto sicurezza" - di cui ne chiede una drastica revisione - e impegno a combattere le ondate xenofobe che "in Italia si fanno sempre più alte e forti": cosi ieri il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste italiane che si conclude oggi a Torre Pellice (To) ha osservato una giornata di digiuno "per esprimere la propria opposizione alle nuove norme e la solidarietà agli immigrati che ne subiscono i pesanti effetti". "Al consueto momento del pranzo l’assemblea di 180 persone tra laici e pastori è rimasta seduti nell’aula sinodale per ascoltare alcune letture: storie di immigrati, tragiche statistiche sui morti di immigrazione - oltre seimila in dieci anni - cronache delle tante violenze contro gli immigrati" - riporta la nota stampa. "Quella su Jerry Masslo, ucciso venti anni fa da una banda di balordi che gli voleva rubare i modesti risparmi da raccoglitore stagionale di pomodori; quella di Abdul ucciso a Milano per una scatola di biscotti; quella di Emmanuel, picchiato e insultato a Parma da vigili urbani in divisa; l’odissea di Isoke, vittima di una tratta che avvilisce, violenta e uccide migliaia di donne; la strage di Castelvolturno dove il clan dei Casalesi circa un anno fa uccise sei immigrati, quattro dei quali evangelici. Fino alla testimonianza degli eritrei sopravvissuti alla logica dei "respingimenti" sul Mediterraneo: storia di qualche giorno fa e già destinata a essere superata da nuove e già annunciate tragedie". Mons. Pier Giorgio Debernardi, vescovo di Pinerolo, ha invitato il clero e i laici della sua diocesi ad aderire alla Giornata di digiuno e solidarietà proposta dal Sinodo valdese. "La decisione presa dal Sinodo nasce dal desiderio di dare un segno forte che esprimesse una partecipazione delle Chiese al dramma di questi nostri fratelli che vengono da altri Paesi e trovano una non accoglienza da parte del nostro Paese, con tutte le tragedie che abbiamo sentito in questi giorni". "Noi crediamo - ha proseguito il vescovio - che occorre lavorare per cambiare una cultura. Come cristiani non possiamo rassegnarsi a che nella nostra nazione siano operanti questi leggi. È una cultura da cambiare, una cultura che sta purtroppo radicandosi anche nella nostra gente. I cristiani hanno il dovere di lavorare insieme su questi fronti e il tema dell’immigrazione è un campo d’azione che accomuna appassionatamente cattolici e valdesi. Sono ammirato nel vedere come nel Sinodo i valdesi lo abbiano affrontato. Condividiamo pienamente il loro impegno e la loro testimonianza". Come detto, il Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste ha approvato nei giorni scorsi con voto unanime un ordine del giorno (testo in pdf) nel quale "esprime indignazione per le conseguenze che la legge 15 luglio 2009, n. 94 ha non soltanto sugli immigrati, ma anche sui cittadini italiani, sulla qualità della nostra democrazia e sul grado di legittimità del nostro ordinamento". Tale legge definita "inaccettabile" perché in "aperto contrasto con i principi fondamentali del nostro stato di diritto"- scrive il Sinodo - alimenta "sentimenti di diffidenza nei cittadini stranieri, posti in una situazione di sudditanza psicologica indipendentemente dalla regolarità o meno della loro situazione; nei cittadini italiani, irresponsabilmente spinti a credere, da un lato, che l’immigrazione clandestina sia la principale causa di insicurezza e, dall’altro, che questa legge renda più sicuro il nostro paese, mentre - in realtà - essa contribuisce ad aumentare i casi di clandestinità, favorendo lo sfruttamento degli stranieri e la loro caduta nella definitiva". Il Sinodo - anche preso atto delle preoccupate osservazioni espresse dal Presidente della Repubblica alla promulgazione della legge - invita le chiese a promuovere "un immediato impegno da parte dei cittadini per contrastare gli aspetti discriminatori della legge e per giungere a una revisione della normativa sull’immigrazione". E impegna le chiese "a contrastare la cultura xenofoba" attraverso "i valori della cittadinanza repubblicana, con la tutela dei diritti umani e con la testimonianza resa all’insegnamento biblico sull’accoglienza dello straniero e contro il trattamento iniquo dei più deboli" incoraggiando il lavoro del Servizio Rifugiati e Migranti (Srm) della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia. Il Sinodo ha denunciato inoltre i tagli al Servizio civile nazionale che, nell’ultimo anno, ha subito una diminuzione di risorse pari al 30%. "Ne consegue - osserva il documento - che l’ultimo bando preveda solo 25mila posti a fronte delle 60mila domande presentate dai giovani nel 2008". "I tagli penalizzano servizi importanti come quelli culturali o di sostegno ai disabili ma, al di là di questo, privano molti giovani di un’esperienza di grande valore morale e formativo". La Chiesa valdese ha sempre sostenuto questa grande opportunità per i giovani sin da quando nel 1972 il Sinodo osservò un giorno di digiuno a sostegno degli obiettori di coscienza ai quali era ancora preclusa un’alternativa civile al servizio militare. Insieme a molte altre strutture che aderiscono alla Conferenza nazionale degli enti di servizio civile, il Sinodo chiede al Governo di indire un nuovo bando per altri 10mila posti. Per sostenere la richiesta le Chiese valdesi e metodiste hanno aderito e sostengono la Campagna nazionale di raccolta di firme per "Dare un futuro la servizio civile". Il Sinodo ha dedicato la sua attenzione anche ad altri temi di rilevanza nazionale come il dibattito sulla bioetica - introdotto da un ampio documento di riflessione sulle cellule staminali che ora andrà allo studio delle comunità locali -, i rapporti con lo Stato e in particolare al tema della laicità e dell’insegnamento della religione cattolica (Irc) nella scuola pubblica. La Chiesa valdese (Unione delle chiese metodiste e valdesi) è stata tra i promotori del ricorso al Tar del Lazio sulla questione del riconoscimento dei crediti scolastici per gli studenti che si avvalgono dell’Irc. Il Sinodo ha inoltre ringraziato i contribuenti che danno il loro otto per mille ai valdesi: nei giorni scorsi le chiese valdesi hanno pubblicato su un quotidiano nazionale il resoconto dell’impiego dei fondi ricevuti per l’8 per mille tra i quali ve ne sono anche per realtà di ispirazione cattolica, come il Gruppo Abele, e associazioni e reti della società civile, tra cui Lunaria per la campagna Sbilanciamoci! Grecia: l'Unhcr ispeziona Centri detenzione su isola di Lesvos di Andrea Onori
Periodico Italiano, 29 agosto 2009
Lunedì scorso alcuni funzionari dell’Unhcr hanno fatto visita al centro di detenzione di Pagani, sull’Isola greca di Lesvos, lungo la frontiera della fortezza europea. Quel che hanno osservato non è stato uno dei migliori spettacoli, sono rimasti sconcertati dalle condizioni carenti dei migranti e del centro di detenzione. All’interno sono trattenute più di 850 persone, tra cui 200 bambini non accompagnati, mentre il centro può accogliere appena 250 persone. Sono compressi all’interno di una stanza più di 150 donne e 50 bambini, molti dei quali malati a causa dell’ambiente malsano e sovraffollato. L’Unhcr ha definito le condizioni dei migranti "inaccettabili" e "un’offesa alla dignità umana". Il Ministro della Salute e della Solidarietà Sociale ha ribadito all’alto commissariato delle Nazioni Unite che entro la fine del mese tutti i minori non accompagnati saranno trasferiti in strutture di accoglienza speciali come previsto dalla legge. Ma perché i bambini non sono stati tutelati sin dal loro arrivo come sancito dalla convenzione dei diritti del fanciullo? Certamente la situazione pessima dei migranti in Grecia non è una questione degli ultimi giorni. I detenuti di Pagani necessitano di un supporto psicologico dato che molti di loro hanno subito torture e viaggi atroci. Medici Senza frontiere molto spesso ha dichiarato di aver avuto tante difficoltà nell’accedere al centro e nell’assistere i pazienti. A causa dell’elevato flusso di migranti negli ultimi tempi e in seguito all’inasprimento di pene la condizione all’interno del centro è pessima. Lo scorso anno, l’Unhcr, ha esortato il governo greco a revisionare il sistema di asilo e le misure di repressione. Ma, ad oggi, tali proposte non sono neanche partite. Nel 2008, la Guardia Costiera greca ha visto arrivare ufficialmente 2.648 minori non accompagnati, ma molti altri sono entrati nel paese evitando i controlli delle frontiere. I migranti vengono ogni giorno bloccati dalla polizia e portati nei centri di detenzione divenuti sovraffollati ed anche per i bambini vale la stessa situazione. L’Unhcr in una nota riferì che l’accesso dei rifugiati minorenni alla protezione umanitaria era svolta arbitrariamente e le autorità raramente tengono conto dell’età nel valutare le domande da esaminare per il riconoscimento dello status di rifugiato. Nell’ottobre del 2008 un rapporto di Amnesty International riportava che 160 minorenni non accompagnati erano trattenuti nel centro di detenzione di Pagani in condizioni indecorose e prive di igiene. "I detenuti dormivano sui pavimenti, che erano sempre allagati a causa dell’obsolescenza dell’impianto idraulico, e raramente erano autorizzati a uscire all’aria aperta. Il centro, costruito per ospitare 300 persone, raccoglieva 830 detenuti, tra cui madri con bambini piccoli e almeno una donna incinta. Avvocati e ONG avevano accesso limitato al centro". Cina: l’Onu chiede "trattamento umano" per detenuti tibetani
Asca, 29 agosto 2009
Le Nazioni Unite hanno esortato la Cina a garantire un "trattamento umano" e processi imparziali alle persone arrestate durante i disordini dello scorso anno in Tibet e di luglio nello Xinjiang. Secondo la Commissione dell’Onu per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale, ciò include garantire ai detenuti "accesso a un avvocato di loro scelta, la presunzione d’innocenza e condanne proporzionate per coloro che sono riconosciuti colpevoli". La Commissione Onu riconosce il dovere cinese di mantenere l’ordine pubblico di fronte ai disordini, ma si dice "preoccupata" per le accuse di uso sproporzionato della forza contro i tibetani e gli uiguri. "La commissione - si legge in un rapporto - raccomanda che il partito di stato consideri con attenzione le cause alla radice di tali eventi, inclusi i motivi per cui la situazione ha subito un’escalation".
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