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Giustizia: Ue; indagine sulla qualità della vita, le "città malate" di Luigi Offeddu
Corriere della Sera, 7 ottobre 2008
I soldati per le strade? Forse ce n’era davvero bisogno, stando a quanto ci dice l’Unione Europea: a Caserta si uccide più che nella città di Cayenna, già galera leggendaria e regno di Papillon nella Guyana francese; si uccide il doppio che a Zurigo, 7 volte di più che a Barcellona, e 14 volte di più che a Madrid. La statistica conferma gli incubi di Gomorra: quasi un mattatoio. Come Brescia, del resto: il doppio di omicidi e morti violente rispetto a Berlino e Amburgo. E come altre città italiane, primatiste anche nella microcriminalità: su 357 città europee (comprese 26 della Turchia), le prime 6 in assoluto per numero di furti di auto sono tutte italiane. Di fila, in parata: Caserta, ancora una volta (15,3 furti di auto ogni 1.000 residenti), Catania, Napoli, Torino, Roma, Milano, Manchester, Catanzaro, Nottingham (quella, ironia della sorte, del celebre sceriffo), e via rubacchiando. Mentre, a nostra parziale consolazione, nei furti in appartamento primeggiano Bruxelles e Londra (11,2 e 8,8 furti ogni 1000 abitanti) e Roma (3,9) se ne sta "soltanto" al nono posto. Tutti questi dati emergono dall’ultima indagine sulla qualità della vita urbana in Europa, effettuata dall’istituto di ricerche Eurostat e dalla Commissione Europea, e appena pubblicata. È un quadro non certo lusinghiero per l’Italia, seppure con qualche correzione che può emergere da un esame più approfondito. E anche con alcune sorprese. Per esempio, secondo queste statistiche, se è vero che reati violenti e furti sembrano rampanti in alcune nostre città, l’allarme sicurezza di cui spesso parlano i telegiornali non appare però direttamente e necessariamente legato alla presenza di stranieri. Anzi: vi sono nazioni e città d’Europa che ospitano molti più stranieri, e sono molto più sicure. La percentuale media di extracomunitari sul totale della popolazione è del 4,16 in Italia, ma del 9,17 in Germania, e del 5,43 in Spagna. I centri per immigrati sono molto più affollati in Germania, che in Italia: a Torino, gli ospiti dei centri sono 0,49 per ogni mille abitanti; a Padova, 0,28; ma a Magdeburgo, 4,69; e a Colonia, 6. Chi ha raccolto e messo in fila i numeri, non si occupa naturalmente della loro interpretazione: "No, non rientra nei nostri compiti, né io non posso spiegarle come mai si rubino tante auto nelle città italiane", dice Berthold Feldmann, tedesco di Amburgo, capo dell’unità di ricerca di Eurostat, che ha condotto l’indagine insieme con altri 3 esperti di Ungheria, Portogallo e Svezia. "Noi riceviamo i dati dai nostri coordinatori nazionali, per esempio da quello dell’Istat di Roma, che a sua volta raccoglie i dati trasmessi dalle singole polizie. Mettiamo insieme i numeri, li vagliamo, li incrociamo, li sottoponiamo a un preciso controllo di qualità. Stop: il nostro compito si ferma qui. E tuttavia, è ovvio che certi trend emergono con evidenza anche dalle nude cifre". Per esempio, balza agli occhi quella che potremmo chiamare la classifica dell’anzianità: le città europee con la più alta percentuale di popolazione al di sopra dei 65 anni, sono tutte italiane (Trieste e Genova in testa, ndr). Si torna dunque al Bel Paese. E a qualche consolazione sparsa. Se è vero che Caserta si affaccia dalle statistiche con quell’immagine piuttosto truce (0,14 omicidi e morti violente ogni 1.000 abitanti), è anche vero che una distanza siderale di orrore la separa da alcune città dell’Ungheria: Nyirgyhaza, 71,77 omicidi e morti violente ogni 1.000 abitanti; Szekesfehervar, 57,08; o Pecs, 54,97. La media nazionale dell’Ungheria in questo campo è davvero impressionante - 41,69 - mentre quella dell’Italia - 0,03 - rientra tranquillamente nelle medie dell’Europa occidentale, anche senza raggiungere Spagna o Danimarca (media 0,01). Quanto ai reati in generale, o meglio alle denunce di reato, i dati sono contradditori: a Bologna i reati denunciati sono quasi il triplo che a Barcellona, ma ancora inferiori a quelli di Francoforte. Per trovare poi altri "generi di conforto", andare alla voce "disoccupazione". Mentre la classifica nera è guidata dai polacchi (con Radom, 30,8% di disoccupati) e dai belgi (Charleroi e Liegi fra il 25,8 e il 28,3%), in quegli stessi primi 10 posti non figurano nomi italiani. Per la verità, non compaiono neppure nella classifica delle città dov’è più facile trovare lavoro (prime: la britannica Cambridge e poi Lussemburgo, ma anche Amsterdam - 92,5% di lavoratori occupati - e Londra, 91,3%). Ma ci si può accontentare anche così. Dove va invece male, malissimo, è nel campo della lotta all’inquinamento e della tutela dell’ambiente. Un solo esempio, quello dei giorni di "allarme Pm10" (in cui viene superata nell’atmosfera la quota limite di 50 microgrammi di polveri sottili Pm10 per ogni metro cubo d’aria): a Lione, quei giorni sono 14 in un anno; a Francoforte sul Meno, 19; a Dortmund, 30; a Madrid, 47; a Milano, 133,5; a Torino, 173. E il verde pubblico, i metri quadrati pro capite riservati a parchi e installazioni sportive? In una città tedesca come Brema, pochini, 0,05. Ma a Bologna, 0,001. E a Torino, e Padova? Zero tondo. Ma ancora una volta si può trovare sollievo in altri dati. La "povera" Berna offre solo 41,3 posti di cinema per ogni 1.000 abitanti, ma la prima città in Europa - almeno in questo campo - ne ha tre volte tanto, ben 129,6. E si chiama Ancona.
Ma la "percezione" ribalta i numeri
Domanda: "Ti senti sicuro nella tua città?". Risposta: "Sì, sempre", per i tre quarti di coloro che vivono a Monaco di Baviera. "Quasi mai o mai" per circa metà dei romani, e per tre quarti dei napoletani. In gergo tecnico si chiama "percezione", e in parole semplici è come ciascuno di noi vive la propria nazione, la propria città, con le opportunità o i problemi che presentano ogni giorno. A volte si può essere abituati a tutto, anche al peggio, e allora si avrà una percezione discreta di qualunque cosa di stia intorno, per quanto brutta, maleodorante p minacciosa sia. E a volte, al contrario, non si sopporta nulla, ma proprio nulla, neppure un motorino che ronza via, sotto le finestre. Anche di questo, si è occupata l’indagine promossa dalla Ue sulla qualità della vita nelle città: si è studiata cioè la "percezione" della vita quotidiana in 31 diversi centri europei, capitali comprese, più città della Svizzera e della Turchia. A condurre interviste e distribuire questionari, gli esperti dell’istituto di sondaggi Gallup con quelli dell’Eurobarometro. E come per la ricerca sulle cifre statistiche "pure", condotta dagli esperti di Eurostat, anche questa ha dato risultati variegati. Ha mostrato una popolazione italiana, nel suo complesso, che ha più d’un mugugno in serbo. E che in molti casi, stando almeno alle risposte, non spera neanche più in servizi migliori, o in un po’ più di fortuna. A cominciare dal campo del lavoro. Frase-concetto proposta dall’intervistatore: "In questa città è facile trovare lavoro". Risposta dell’intervistato: "Sì, sono d’accordo, è proprio così", per oltre metà dei dublinesi. "No, non ci credo" per quasi il 75% di coloro che vivono a Napoli. Altro concetto: "Questa città è pulita", e altre risposte: "Sì" per circa l’80% dei residenti di Monaco; "No", più o meno cupo, per circa 3 quarti dei napoletani (per amor di verità: le interviste sono state condotte prima dell’intervento governativo di quest’estate contro l’emergenza rifiuti a Napoli: e nessuno può dire se oggi le risposte sarebbero diverse). Quanto agli indici di soddisfazione per i servizi dei trasporti pubblici, in città come Helsinki o Vienna c’è di che brindare: gli intervistatori hanno raccolto soltanto sorrisi, o quasi; mentre le 4 città più scontente d’Europa sono nell’ordine: Napoli, Lisbona, Torino, Roma. E lo scontento diventa quasi rabbia quando poi si parla di salute, cioè di ospedali: ad Anversa, in Belgio, si dice "molto soddisfatto" il 36% degli intervistati; ad Amsterdam, il 22%; a Parigi, il 17%; a Londra, il 18%; a Madrid, U 9%. E in Italia? "Molto soddisfatto" è il 5% degli intervistati romani, e il 4% di quelli napoletani. Controprova: "molto insoddisfatto" è l’11% dei romani, e il 13% dei napoletani. Quasi spensierate, invece, le risposte sull’aria che respiriamo: a Torino, una delle città europee più assediate dalle polveri sottili Pm10 nell’atmosfera, meno del 20% della popolazione concorda con la frase "l’inquinamento dell’aria è un grave problema". Mentre a Rennes in Francia, lo pensa la metà dei cittadini intervistati. Gli italiani sembrano ottimisti anche sul tema dell’immigrazione (ma anche qui: gli intervistatori hanno svolto il loro lavoro quando ancora non erano accaduti gli episodi di queste ultime settimane, e la "percezione" potrebbe essere oggi diversa): circa 3 quarti dei torinesi, e ancora più napoletani e romani, ritengono che gli stranieri della loro città siano "ben integrati". Una percentuale completamente ribaltata in città come Anversa, nel Belgio fiammingo, o Stoccolma, dove oltre la metà della popolazione pensa che gli immigrati non si trovino bene. Giustizia: Napolitano; vigilerò con rigore sull'uso decreti legge di Giorgio Napolitano (Presidente della Repubblica)
La Stampa, 7 ottobre 2008
Ho vivamente apprezzato il senso delle istituzioni cui era ispirato l’articolo di Michele Ainis (pubblicato su La Stampa di ieri), e la sua preoccupazione per ogni erosione delle prerogative e degli equilibri costituzionali. In Italia si governa - come in tutte le democrazie parlamentari - con leggi discusse e approvate dalle Camere nei modi e nei tempi previsti dai rispettivi Regolamenti, e solo "in casi straordinari di necessità e di urgenza" con decreti (cioè "provvedimenti provvisori con forza di legge") che al Parlamento spetta decidere entro sessanta giorni se convertire in legge. Continuerò a esercitare a questo proposito nessuno ne dubiti - con rigore e trasparenza le prerogative attribuitemi dalla Costituzione. In quanto alla mancata elezione, da parte del Parlamento, del giudice costituzionale chiamato a sostituire il prof. Vaccarella dimessosi dalla carica nell’aprile 2007, il professor Ainis ricorda di certo come nella storia della Repubblica accadde più di una volta che si ritardasse a lungo nel colmare simili vacatio per l’assenza di un accordo tra maggioranza e opposizione. Ma non accadde mai che la soluzione venisse trovata attraverso la contestuale "contrattazione" della nomina di un giudice costituzionale che debba succedere ad uno dei cinque nominati dal Presidente della Repubblica. Non accadrà neppure questa volta: stia certo il professor Ainis che considero semplicemente ingiuriosa l’ipotesi che il Presidente possa piegarsi ad una simile, impropria e prevaricatoria, contrattazione tra partiti. Giustizia: tensione Fini - Forza Italia causate da decreto legge
Libero, 7 ottobre 2008
Altro che dialogo con l’opposizione ed eccesso di decreti: quelli di Forza Italia sono pronti a mettere l’elmetto. Presto - sono sicuri - pioveranno bombe. Non dal cielo, ma dalla Procura di Milano. E allora meglio colpire per primi piuttosto che essere impattati dai giudici, è il ragionamento che circola negli ambienti azzurri. Dove si fa largo un’idea: anticipare una parte della riforma della giustizia per decreto legge. Con buona pace del Presidente della Camera Gianfranco Fini, che ha appena richiamato il governo, invitandolo a non abusare dello strumento della decretazione. Ed è questo il motivo per cui Silvio Berlusconi in primis e, a ruota, tutti i suoi ce l’hanno con il leader di Alleanza nazionale. Giusto che voglia far pesare il suo ruolo istituzionale. Ma - spiegano - non è questo il momento giusto per smarcarsi a tutti i costi. Che sta per succedere? Al tribunale di Milano preparano qualcosa. Potrebbe essere ancora il filone Mills o altro. Ma, per certo, qualcosa si muove. A Palazzo Grazioli avrebbero avuto notizie in tal senso attraverso il collegio difensivo del premier. Lo sa Antonio Di Pietro, via canali diretti. E lo sa anche Walter Veltroni: ciò spiegherebbe l’abbandono del buonismo come approccio proverbiale alla politica del segretario del Partito democratico e i toni insolitamente accesi per il personaggio. "Veltroni, evidentemente", ipotizzano in ambienti molto vicini al Cavaliere, "si aspetta una nuova offensiva giudiziaria e non vuole lasciare campo libero al leader dell’Italia dei Valori". Che fare, allora: preparare i chiodi per farsi crocifiggere o mettere l’elmetto e caricare la contraerea? L’idea che va diffondendosi in Forza Italia è quella di ribattere colpo su colpo. Di più: abbandonata ogni velleità di dialogo con la magistratura, il piano che circola nel Popolo della Libertà (tendenza Fi) è quello che la politica sferri il primo colpo senza attendere che a Milano i Pubblici ministeri aprano altri fascicoli. Ecco come: anticipare una parte della riforma della giustizia sotto forma di decreto legge. Ovvio, ciò che la Costituzione consente di trattare attraverso la decretazione d’urgenza. Le precondizioni ci sono. Sia di urgenza che di necessità. "Di fronte a una giustizia creativa e a processi privi di fondamento", spiega il deputato azzurro Giorgio Stracquadanio, "c’è un’urgenza vera e lunga 12 anni, oltre a una necessità storica per intervenire quanto prima. Bisogna uscire dalla logica della spallata al governo, anche perché chi è a Palazzo Chigi ci è arrivato sull’onda di un grande consenso popolare". Torna anche l’ipotesi di accelerare l’iter del disegno di legge sulle intercettazioni, trasformandolo in decreto legge. Idea accarezzata dal premier in un primo momento a luglio e poi abbandonata per i dubbi degli alleati. L’altro segnale inquietante, percepito come tale al quartier generale di Forza Italia, è il perdurare della fase di stallo nella scelta dei due giudici della Corte Costituzionale che tocca al Parlamento. In ambienti azzurri si è diffusa la consapevolezza dell’utilità del ticket Gaetano Pecorella - Luciano Violante. Anche se Berlusconi continua a non fidarsi dell’ex pm, a via dell’Unità sanno che l’approdo di Violante alla Consulta, il quale in tempi non sospetti ha "benedetto" il lodo Alfano, può essere la soluzione per evitare che lo scudo per le alte cariche dello Stato venga dichiarato incostituzionale. Ed è questo lo stesso e identico motivo per cui ora pare sia il Pd a frenare la nomina di Violante. Paradosso, ma neanche poi tanto. Più in generale, e sempre sul tema della riforma della giustizia, rimane una domanda: chi lo dice a Fini che sono in arrivo altri decreti del governo? A via della Scrofa minimizzano lo scontro. Non c’è crisi nei rapporti dentro il Pdl tra le due anime che lo compongono, dicono. "E le parole di Fini sull’uso della decretazione d’urgenza", spiega una fonte parlamentare a lui vicina, "sono soltanto un richiamo al rispetto della Costituzione, come si conviene alla terza carica dello Stato". Nulla di politico, insomma. Anche se da An, e con una punta di malizia, fanno trapelare che, a bloccare un eventuale abuso di decreti legge, specie in una materia così delicata come la giustizia, "sarebbe il Quirinale e non Montecitorio". Giustizia: Caselli; Violante sbaglia, giudici e poliziotti insieme
Il Riformista, 7 ottobre 2008
"Il mio amico Luciano Violante dice che i magistrati non devono essere poliziotti. Io non sono d’accordo": a segnare l’ennesima linea di demarcazione tra giustizia e politica, a proposito delle polemiche sulla relazione tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, è il procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli. Sono lontani i tempi in cui Giulio Andreotti, al meeting di Rimini, diceva che sarebbe stato molto meglio se Caselli e Violante non fossero mai esistiti. E sono ancora più lontani i tempi in cui l’ex Presidente della Camera definiva l’attuale procuratore capo di Torino come uno dei migliori magistrati italiani. "Secondo altri, poi, il pm dovrebbe essere semplicemente l’avvocato dell’accusa. Io dissento perché l’esperienza mi insegna che magistrati e polizia giudiziaria debbono invece lavorare assieme per ottenere risultati, facendo squadra": così Caselli ha preso nuovamente le distanze dall’amico-nemico con cui, oramai, sembra condividere solamente la frequentazione con la procura torinese che fu trampolino di lancio per Violante negli anni del terrorismo rosso e nero. La riflessione del procuratore, non a caso, avviene a margine della presentazione del libro (Cacciatore di mafiosi, curato dai giornalisti Silvia Resta e Francesco Vitale ed edito da Mondadori) del suo più stretto collaboratore, il giudice Alfonso Sabella, alla procura di Palermo, nella stagione delle stragi ma anche dei migliori risultati ottenuti nella lotta alla mafia. Una stagione che, per Caselli, "si offre anche alla valutazione del presente e del futuro". Il magistrato mette in guardia dalla determinazione di barriere tra le differenti funzioni. E tira in ballo la questione delle intercettazioni, anche questa da anni oggetto di discussione tra lui e Violante: "Le intercettazioni sono sempre state uno strumento fondamentale per le indagini. E se è vero che nessuno pensa di limitarle per i reati di mafia e terrorismo, è anche vero che si pensa di escluderle per violazioni altrettante gravi come l’associazione per delinquere, lo sfruttamento della prostituzione e la pedofilia. Un controsenso, soprattutto visto che si parla tanto di sicurezza". Eppure, se di intercettazioni si discute, un motivo ci sarà. Secondo Caselli, "sono tenute perché il potere protegge se stesso e, soprattutto, le sue deviazioni ergendo un muro di riservatezza", ma così facendo "si rischia di buttare via l’acqua sporca insieme con il bambino". Caselli dice di non pentirsi delle scelte del passato, ma in controluce si legge l’amarezza di come sono andate le cose e la preoccupazione per come andranno in futuro: "Finché i pentiti parlano di altri mafiosi, va tutto bene, ma quando emergono pezzi, solamente alcuni per fortuna, di politica, finanza e istituzioni, le indagini dei magistrati non vanno più bene. Falcone fu accusato di portare i cannoli a Buscetta, e la mia procura insultata in ogni modo. Eravamo "pazzi", "un cancro da estirpare", "antropologicamente diversi dalla razza umana". In effetti, le cronache del passato riportano anche questo, preferendo, sempre secondo la lettura di Caselli, "la delegittimazione e la riduzione degli spazi" al "riconoscimento delle critiche". Il risultato, come sottolinea anche Sabella (che, nel suo libro, volutamente non menziona i rapporti tra mafia e politica), è che la stagione palermitana di Caselli "non passerà agli annali come quella dell’arresto di Brusca e delle confische alla mafia, bensì come quella dei processi politici, nemmeno ai politici". D’altra parte, ora scopriamo che lo stesso Caselli non riteneva sostanziale, dal punto di vista probatorio, ripensando al famoso bacio di Totò Riina ad Andreotti. E anche su questa vicenda, che più politica di così si muore, sfogliando le cronache degli ultimi dieci anni, ritrova l’amico-nemico Violante. A processo concluso, si scrisse che il politico l’aveva detto al magistrato che era meglio chiedere l’archiviazione. Ma il magistrato ritenne che fosse suo dovere procedere. Bacio compreso. Forse anche questa esperienza si offre alla valutazione del presente e del futuro della giustizia italiana. Giustizia: "crack" Parmalat, chiesti 13 anni per Calisto Tanzi di Ettore Livini
La Repubblica, 7 ottobre 2008
Mano pesante della Procura di Milano nel processo per aggiotaggio e false comunicazioni in bilancio a carico di manager, revisori e banchieri coinvolti nel crac della Parmalat. I pm Eugenio Fusco, Francesco Greco e Carlo Nocerino hanno chiesto la condanna a 13 anni per Calisto Tanzi, ex numero uno di Collecchio, tre anni e mezzo per Giovanni Bonici, ex responsabile di Parmalat Venezuela, cinque anni per Paolo Sciumè e Luciano Silingardi e quattro anni per Enrico Barachini, ex consiglieri indipendenti del gruppo, sei anni per Luca Sala, cinque anni per Luis Moncada e tre anni e mezzo per Antonio Luzi, ex dipendenti di Bank of America. Riguardo a Italaudit, ex Grant Thornton, imputata come società, la richiesta è stata di una pena pecuniaria di 300 mila euro e della confisca di 600 mila euro. "Si è tenuto conto della particolare gravità del reato di aggiotaggio in questa vicenda" ha spiegato ieri Fusco. La Procura, non ha caso, ha chiesto di negare tutte le attenuanti generiche (salvo che per Luzi e Barachini) mentre ha applicato tutte le aggravanti. "La vicenda Parmalat è la chiave per capire quello che sta succedendo in questi giorni sui mercati - ha detto ieri Greco nella requisitoria finale -. Le banche a Collecchio hanno fatto operazioni false, hanno riempito la società di tutti quei titoli tossici di cui si parla ora, hanno tenuto in vita per anni un’azienda in default solo per spremerle soldi. Alla fine i conti, ieri come oggi, li pagano i cittadini e non i responsabili che i loro quattrini li hanno sempre messi in Svizzera o Liechtenstein". Parmalat - ha proseguito il pm - è figlia di una finanza "omertosa, ipocrita e arrogante", incapace di scaricare i manager scorretti. Quella dell’azienda emiliana ? ha detto citando la mail di un’analista della Bank of America ? "è una brutta storia di mafia". Le richieste della procura milanese sono arrivate a cinque anni dal crac (14 miliardi di buco in cui sono rimasti intrappolati 200mila risparmiatori) e a tre dall’inizio del processo meneghino mentre la sentenza dovrebbe essere pronunciata dal collegio presieduto dal giudice Luisa Ponti ben prima di Natale. I filoni principali del crac - quelli relativi ai reati di bancarotta a carico di manager e banche - sono in fase iniziale di dibattimento o in fase di indagine preliminare a Parma (a giorni dovrebbe essere chiuso il fascicolo Bank of America). A Milano la parola passa ora alle difese. Giampiero Biancolella, legale di Tanzi, ha sottolineato ieri come "esista una forte discrasia tra le pene già patteggiate e quelle chieste ora", sottolineando come l’analisi dei pm abbia dimostrato come "dal 96 al default Parmalat ha visto la propria capacità di autodeterminarsi scemare in favore di terzi". Bank of America ha definito le richieste di pena "ingiustificate alla luce dell’istruttoria e frutto di una visione non obiettiva dei fatti", ribadendo di "attendere con serenità" il giudizio del tribunale. "È stata una richiesta esagerata rispetto al mio effettivo ruolo", è stato il primo commento a caldo fatto da Calisto Tanzi. Parlando al telefono con uno dei suoi legali, Tanzi ha detto di essere fiducioso del fatto che possa emergere la "vera storia della Parmalat". Giustizia: festa Polizia Penitenziaria, il Sappe non parteciperà
Agi, 7 ottobre 2008
Il Sappe, il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, non parteciperà alla festa del Corpo il prossimo 15 ottobre. "È incomprensibile - scrive Donato Capece, segretario generale, in una nota inviata al capo dell’amministrazione penitenziaria, e per conoscenza anche al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed al Ministro della Giustizia Angelino Alfano - la politica del gambero adottata dall’amministrazione penitenziaria per l’evento più importante dell’istituzione: la celebrazione della festa del Corpo di polizia penitenziaria. Il più importante passo in avanti adottato negli ultimi anni è stato quello di festeggiare questa ricorrenza fuori dalle mura della nostra amministrazione. In questo modo si è realizzato per la prima volta un evento davvero solenne, in quanto pre-requisito per la solennità dell’evento stesso è proprio il suo aspetto pubblico. Nel caso della polizia penitenziaria poi, proprio per l’importanza che tale ricorrenza ha quale celebrazione di quell’incontro e riconoscimento tra la società e uno dei suoi servizi fondamentali, l’aspetto pubblico dei festeggiamenti non è solo un pre-requisito, ma è carattere imprescindibile senza il quale gli stessi festeggiamenti non hanno senso. Per questo motivo abbiamo prima auspicato e poi esultato, quando la nostra amministrazione ha finalmente organizzato le celebrazioni per la festa del corpo nelle piazze e nei luoghi prestigiosi di Roma, prima, e di Napoli, poi, lo scorso anno. Per questo motivo non possiamo non manifestarle - prosegue la nota - la nostra totale disapprovazione per la scelta di organizzare nuovamente la festa del Corpo di polizia penitenziaria presso la solita sede della scuola di via di Brava. Ed e singolare che si ricorra ancora una volta ad affidare ad ufficiali del disciolto Corpo degli agenti di custodia - ruolo ad esaurimento con compiti di supporto tecnico-logistico ma che sono ben altro rispetto alla polizia penitenziaria - il comando dei Reparti schierati durante la festa del Corpo dopo quattro anni in cui il comando dei Reparti e stato affidato al naturale vertice apicale del Corpo - il grado più elevato del ruolo dei commissari della polizia penitenziaria -. E in questo contesto di arretramento professionale e di immagine, il Sindacato autonomo polizia penitenziaria non se la sente di presenziare alla celebrazione, avallando con la propria partecipazione queste scelte di ridimensionamento del Corpo che, a nostro parere, vanno anche a sminuire l’autorevole presenza del Presidente della Repubblica" Sassari: il carcere di "San Sebastiano", una vergogna negata di Guido Melis (Deputato del Partito democratico)
La Nuova Sardegna, 7 ottobre 2008
Il sottosegretario Alberti e la vergogna negata del carcere sassarese. "Tutto funziona" assicura la relazione eppure nelle celle piccole, puzzolenti e con poca aria i detenuti sono stipati. Il sottosegretario di Stato alla giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati è, come diceva Shakespeare di Bruto, una donna d’onore. Dovremmo dunque crederle quando, in risposta all’interrogazione del Partito democratico sul carcere sassarese di San Sebastiano, ci assicura che tutto va bene: corsi di alfabetizzazione per italiani e stranieri, un corso di scuola media di 150 ore, una convenzione in atto con l’Università, moduli per l’insegnamento dell’informatica e, nella sezione femminile, addirittura per stiliste di moda (sì, avete capito bene, per stiliste di moda). E inoltre un servizio "voce amica", un servizio "nuovi giunti" con un’ esperta criminologa e un medico, uno sportello informativo per detenuti stranieri e uno per gli italiani, attività di biblioteca con convenzione esterna, una collaborazione con la Asl per i detenuti con problemi psichici. Insomma, un paradiso in terra. Peccato che il giorno di Ferragosto, in visita al carcere come parlamentare, io abbia visto coi miei occhi detenuti stipati malamente in celle fatiscenti, servizi di custodia largamente sotto organico, caldo opprimente, scarsa luce e poca aria, il bugliolo maleodorante nel pavimento delle celle; e, ancora, assenza totale di attività formative, un bugigattolo adibito pomposamente ad officina privo di qualunque attrezzatura, l’acqua per bere della sezione maschile raffreddata alla meno peggio involgendo le bottiglie nelle calze bagnate, insetti nel cibo, un detenuto con il viso deturpato perché - mi è stato detto - la notte sente le voci e sbatte la testa alle sbarre. Non avrebbe dovuto, quella persona malata, essere ricoverata in una struttura psichiatrica? Non avrebbero potuto quelle bottiglie d’acqua essere raffreddate in frigorifero? Non avrebbe dovuto quell’invasione di insetti essere combattuta con adeguate disinfestazioni? L’onorevole Maria Elisabetta Alberti Casellati non ha risposto, limitandosi a leggere compitamente la nota fornitale dai suoi uffici. Lei crede ciecamente che a San Sebastiano le detenute imparino a fare le stiliste di moda. Ho letto intanto, proprio sulle pagine della "Nuova Sardegna" la denuncia disperata di uno degli ospiti di questo presunto hotel a quattro stelle che invoca il trasferimento ad altro carcere: dovunque, purché sia. Ho parlato con gli agenti di custodia, largamente sotto organico (questo, bontà sua, lo ammette anche la sottosegretaria), che l’altro giorno hanno dovuto persino fare un sit-in in via Roma per denunciare la loro insopportabile situazione. Ho controllato su fonti ufficiali i dati sul personale: tre soli educatori per tre carceri come Sassari, Tempio ed Alghero, 192 unità nella polizia penitenziaria a Sassari contro le 212 previste. E c’è qualche detenuto che compila la classifica: meglio il carcere di Badu ‘e Carros, che almeno è moderno, dello scempio di San Sebastiano. Si aspetta con ansia che apra la nuova struttura in costruzione a Bancali. La sottosegretaria dice che il nuovo istituto (quattrocentotrenta posti) potrà ospitare i primi centoventicinque detenuti solo dal marzo 2010 (primo lotto, finanziato e appaltato). Per il completamento bisognerà trovare altri 31 milioni di euro, ma non si sa dove né quando. E intanto ci terremo la vergogna di San Sebastiano. Firenze: in Comune incontro con sindacati Polizia Penitenziaria
Comunicato stampa, 7 ottobre 2008
La situazione critica degli istituti penitenziari e del personale di polizia. Questi alcuni degli argomenti al centro dell’incontro tra il presidente del consiglio comunale Eros Cruccolini e una delegazione della Uil pubbliche amministrazioni penitenziarie composta dai coordinatori provinciale e regionale Eluterio Grieco e Mauro Lai. In particolare durante l’incontro sono state affrontate le problematiche legate al sovraffollamento all’interno degli istituti della Toscana e della Provincia di Firenze, la carenza di personale di polizia penitenziaria e del Comparto Ministeri e la fatiscenza delle strutture che necessitano interventi radicali e immediati. I due delegati hanno inoltre manifestato preoccupazione per il trasferimento delle sezioni semiliberi Santa Teresa e dell’ufficio esecuzione penale esterna. Altro aspetto esaminato è quello relativo al potenziamento del sistema di video sorveglianza, di comunicazione e di installazione di lavoro riservata al personale di polizia penitenziaria per la vigilanza del giardino degli Incontri all’interno di Sollicciano. "Porterò - ha dichiarato Cruccolini - all’attenzione del consiglio comunale e delle commissioni competenti le problematiche emerse dall’incontro". Lecce: scavalcano il muro dell’Ipm... per fare visita a un amico
Ansa, 7 ottobre 2008
Erano andati a fare visita ad un loro amico rinchiuso nell’istituto di pena minorile che sorge sulla via per Monteroni, alla periferia estrema di Lecce. Con tanto di convivente al seguito. Del detenuto. Ma non era certo un incontro normale. Due giovani, un 21enne ed un 18enne, provenienti da Bari, dopo aver eluso la vigilanza, hanno scavalcato la recinzione dell’istituto per incontrare l’amico, di 18 anni anch’egli. Quando si sono accorti di quanto stava accadendo, sono intervenuti i carabinieri del nucleo operativo e radiomobile di Lecce, che hanno immediatamente fermato i due giovani. Erano ancora nei pressi del centro. Entrambi erano già sottoposti al provvedimento dell’avviso orale emesso dalla questura di Bari. Insieme a loro, due ragazze. Una delle quali, si è scoperto, era la convivente dell’ospite dell’istituto. I due ragazzi sono stati denunciati a piede libero. Savona: Rc; struttura vecchia ma buono rapporto con gli agenti
Secolo XIX, 7 ottobre 2008
È contradditorio il risultato della visita a sorpresa che ieri pomeriggio l’europarlamentare di Rifondazione comunista Vittorio Agnoletto ha effettuato all’interno del carcere Sant’Agostino. Se da una parte sono state confermate le carenze strutturali del penitenziario savonese, dall’altra è emerso come il rapporto tra i detenuti e gli agenti della polizia carceraria sia più che buono. "Quello del buon rapporto esistente tra i detenuti e il personale del Sant’Agostino - spiega Agnoletto - è senza dubbio il lato più positivo che arriva dal carcere di Savona. Insieme alla buona qualità dei pasti e all’assistenza medica". I problemi continuano invece ad esser causati dalle condizioni della struttura, ormai inadeguata ad ospitare i detenuti. "Una struttura vecchia - sottolinea ancora Vittorio Agnoletto - nella quale sono attualmente ospitati 64 detenuti mentre la sua capienza è di 44 persone. Ma quello che preoccupa di più è che in queste ultime settimane sono stati avviati all’interno del Sant’Agostino dei lavori di ristrutturazione che lasciano pensare che il progetto per la realizzazione del nuovo carcere di Savona abbia subito una nuova battuta d’arresto". Immigrazione: Pd; reato clandestinità, almeno evitare arresto
Il Manifesto, 7 ottobre 2008
Il termine ultimo per la presentazione degli emendamenti scade oggi pomeriggio alle 18 poi per il disegno di legge sulla sicurezza, uno dei provvedimenti in passato considerati prioritari dal governo, comincerà la discussione nelle commissioni riunite Giustizia e Affari costituzionali dei Senato. E che sarà battaglia è praticamente scontato. All’opposizione non piacciono infatti molti dei punti contenuti nel ddl, a partire dall’introduzione del reato di clandestinità, cavallo di battaglia di An e Lega. Ieri al Pd si stava ultimando la scrittura dei circa 30 emendamenti che oggi verranno depositati, uno dei quali riguarda proprio la soppressione dell’articolo 9 del ddl che prevede l’arresto e la reclusione da sei mesi a quattro anni per chi entra nel nostro paese senza un regolare permesso di soggiorno e la sua successiva espulsione. "Se proprio non si riesce a cancellare il reato, in subordine chiediamo l’abolizione dell’arresto obbligatorio per l’immigrato irregolare" spiega il senatore del Pd Felice Casson, membro della commissione Giustizia. "Una misura che renderebbe impossibile il lavoro non solo della polizia, ma anche dei tribunali per i quali sarebbe impossibile fa fronte a tutti i nuovi processi. Senza parlare poi di quello che accadrebbe nelle carceri". Secondo il Viminale l’introduzione del reato porterebbe a una diminuzione di circa il 10% del numero dei clandestini, stima che non convince Casson. "Evidentemente al Viminale pensano che il reato di clandestinità possa fermare i disperati che ogni giorno partono dall’Africa, ma quelli hanno problemi più urgenti a cui pensare". Ma il Pd promette battaglia anche su un altra articolo del ddl, il 18, che prolunga dagli attuali 60 giorni a 18 mesi il tempo massimo entro il quale un immigrato può essere detenuto in un Cie, i centri di identificazione ed espulsione. Altri due emendamenti del Pd riguardano la lotta alla criminalità organizzata e in particolare l’accelerazione delle pratiche per la confisca dei beni appartenenti alla mafia e la creazione di un’Agenzia nazionale per la gestione del beni sequestrati. Dalla parte opposta, invece, si preparano una serie di misure ulteriormente restrittive nei confronti degli immigrati. Tra gli emendamenti già annunciati dalla Lega uno mira a contrastare i matrimoni tra italiani, e più in genere comunitari, e immigrati extracomunitari, rendendo obbligatorio per le nozze il possesso di un regolare permesso di soggiorno. Immigrazione: Lega; permesso "a punti" come per la patente
Apcom, 7 ottobre 2008
Come per la patente, la Lega propone il permesso di soggiorno a punti per gli immigrati, con revoca in caso di violazioni della legge. E inoltre gli emendamenti del Carroccio al ddl sicurezza, assegnato alle commissioni Affari costituzionali e Giustizia del Senato, prevedono la possibilità di referendum locali per l’apertura di campi nomadi, di moschee e luoghi di culto di altre religioni che non hanno stipulato intese con lo Stato. In una conferenza stampa a palazzo Madama, presenti tra gli altri il capogruppo leghista Federico Bricolo e la vice presidente del Senato Rosi Mauro, la Lega riporta l’attenzione sul ddl, bloccato in estate per dare priorità al Lodo Alfano, e lancia una serie di proposte emendative che "dovranno essere discusse con il governo e il Pdl, ma che crediamo - assicura Bricolo - saranno in gran parte accolte". Il principio ispiratore è che "chi entra in casa nostra, finché non ha la cittadinanza è un ospite, e come tale deve rispettare le nostre regole. Non c’è posto per chi non si integra, per chi vive nell’illegalità e per chi vuole imporci le sue regole". Si parte dunque con il permesso a punti. All’immigrato che vuole conservare o ottenere il permesso di soggiorno viene chiesto il rispetto delle leggi, la conoscenza della lingua e in generale un buon livello di integrazione. Chi ha i requisiti ottiene il "permesso a punti", con una dotazione iniziale di dieci punti, che possono essere decurtati fino alla revoca del permesso stesso in caso di violazioni, ma anche integrati se si dimostra di procedere sulla strada dell’integrazione. Proprio come per la patente di guida. Altro emendamento rilevante, la previsione di referendum comunali per la realizzazione di nuovi campi nomadi e di nuovi edifici di culto per confessioni religiose che non hanno stipulato intese con lo Stato, e dunque anche per nuove moschee. Un’altra proposta prevede invece l’obbligo per i medici di segnalare all’autorità gli immigrati irregolari che accedono ai servizi sanitari: "Tutti continueranno ad essere curati - spiega Bricolo - ma i medici dovranno segnalare i clandestini, come succede ad esempio in Francia". Esteso dunque l’obbligo di esibire il permesso soggiorno anche per gli atti di stato civile e per l’accesso ai servizi pubblici per i quali attualmente non è previsto. Restrizioni anche per i ricongiungimenti familiari e per i matrimoni con extracomunitari: si dovrà esibire un titolo di soggiorno valido. Infine, un altro pacchetto di emendamenti viene riassunto con lo slogan "sicuri in casa nostra, aiutiamoli a casa loro". Vengono inaspriti il minimo e il massimo della pena per i reati di violazione di domicilio, furto e rapina, prevedendo l’aggravante non solo in caso di violenza su persone o cose, ma anche per le minacce. Al tempo stesso con una quota dei versamenti per le domande di cittadinanza e di permesso di soggiorno, viene istituito presso la Farnesina un "Fondo per la prevenzione dei flussi migratori". Spiega Rosi Mauro: "La cosa più antidemocratica è costringere un cittadino a chiedersi, la sera prima di andare a dormire, se il giorno dopo sarà ancora vivo. Io me lo chiedo prima di andare a letto, perché ormai non ci si sente più sicuri in casa. Vanno inasprite le pene, e vanno ridotti i flussi migratori: aiutarli in casa loro per essere sicuri in casa nostra". Immigrazione: è xenofobia non razzismo, politica inadeguata di Peppino Caldarola
Il Riformista, 7 ottobre 2008
La sinistra accusa la destra di razzismo perché cerca il consenso alimentando le paure. La destra si ribella e nega che la società italiana sia malata di razzismo e accusa la sinistra di strumentalizzazione. La sinistra elenca l’ormai lungo elenco di soprusi ai danni di immigrati. La destra racconta che fra gli assalitori del cittadino cinese Tong Hoing Shen c’era Kader, musulmano figlio di arabi, e un altro giovane fidanzato di una ragazzina di origine eritrea. La foga polemica confonde anche le definizioni e le parole. Per mesi i rom invece che zingari, gitani, camminanti sono stati considerati "romeni" tout court perché tanti di loro vengono dall’Est Ovvero si parla di razzismo e xenofobia come termini intercambiabili, mentre razzismo configura l’"insieme degli orientamenti e degli atteggiamenti che distinguono razze superiori da razze inferiori e attuano comportamenti volti a tutelare la purezza della razza superiore e la sua egemonia sulla razza inferiore", mentre la xenofobia è "avversione indiscriminata nei confronti degli stranieri" (Tullio De Mauro, Dizionario italiano). Nel caso italiano credo che si assiste a pochi fenomeni di razzismo e a fenomeni estesi di xenofobia. Fu razzismo, e il Riformista lo denunciò per primo, l’assalto ai campi rom e la propaganda diretta alla cacciata degli zingari dal territorio italiano. È xenofobia tutta quella serie di comportamenti, anche violenti, esercitati contro cittadini di altro colore. Spesso, questi ultimi, vedono protagonisti anche cittadini di prima o seconda generazione italiana, ma di altre origini. Q stiamo imbattendo con un certo ritardo in un fenomeno mondiale che, in un libretto che considero fondamentale, La grande migrazione, Hans Magnus Enzensberger descriveva come "un’offerta crescente di individui" contrapposta "a una domanda sempre più limitata". Questo punto di vista spiega sia la condizione difficile in cui vivono gli immigrati, sia il fatto che siano gli "autoctoni a immaginare di essere boat peo-ple in fuga" di fronte ai vascelli carichi di migranti. Enzensberger chiama "bulimia demografica" quella situazione assai tipica in cui convivono sia slogan come: "I tedeschi, i francesi, gli italiani si stanno estinguendo", sia lo scenario che illustra le terribili conseguenze: invecchiamento, decadenza, spopolamento, non senza uno sguardo allarmato alla crescita economica, agli introiti fiscali e al sistema pensionistico. Chi, a destra, illustra questa nuova emergenza immigrati come il cancro sociale del secolo vive fuori dal mondo. Chi, a sinistra, si stupisce per i fenomeni di xenofobia e razzismo che emergono soprattutto nei quartieri popolari si merita l’ironia di Bertolt Brecht: "Non sarebbe più semplice allora / che i predicatori sciogliessero il popolo / e ne eleggessero un altro?". I predicatori di paura e quelli dell’integrazione a ogni costo si collocano al di sotto del problema. La destra perché non vede xenofobia e razzismo nei comportamenti popolari e anche nell’atteggiamento di alcuni apparati di sicurezza. La sinistra pensa che tutto si risolva con appelli compassionevoli alla tolleranza e all’integrazione non comprendendo le paure degli strati più bassi della popolazione che convivono con spirito di boat people con diverse etnie in quartieri sempre più affollati di giovani disoccupati bianchi carichi di odio razziale e di violenza primitiva. Non è chiaro ai due contendenti che l’obiettivo non può essere diverso da quello di società più mature. Ricordava lo storico Paul Kennedy, sul Sole 24 ore di domenica, che uno dei punti di forza che fa ben sperare nell’evoluzione della crisi americana sta nel fatto che "l’America ha un profilo demografico forte: la popolazione cresce e la convivenza fra le razze è solida". L’obiettivo sociale è questo patto di convivenza che non mette al riparo da fenomeni di violenza o di aggressività sociale di una etnia contro le altre, e di tutte contro le più recenti e non integrabili, ma salvaguarda la struttura socio-culturale del nostro paese. Lo sforzo della classe dirigente deve essere tutto rivolto a questo obiettivo soprattutto perché, scrive ancora Enzensberger, "presso popolazioni inesperte, un aumento improvviso delle quote (di immigrati) può provocare reazioni quasi allergiche" e "gli inevitabili conflitti provocati da una migrazione di massa, si sono inaspriti da quando la disoccupazione nei paesi di accoglienza è diventata cronica". È necessaria una politica di unità nazionale sull’immigrazione che porti le classi dirigenti a parlare il medesimo linguaggio. La reciproca criminalizzazione alimenta la rabbia sociale. Immigrazione: Maroni; sbarchi Lampedusa, colpa della Libia
Corriere della Sera, 7 ottobre 2008
Nuova ondata di sbarchi a Lampedusa, grazie anche al miglioramento delle condizioni meteo. Sono già tre le imbarcazioni intercettate in poche ore, anche se si susseguono altri avvistamenti nel Canale di Sicilia. L’identificazione - Nel porto di Lampedusa è già approdato il pattugliatore della Guardia di Finanza che all’alba di martedì ha soccorso 149 extracomunitari, tra cui 61 donne e 41 bambini, che erano stipati su un gommone di circa 13 metri. Sono invece ancora in corso sulla banchina le operazione di identificazione di un’altra quarantina di immigrati, soccorsi sempre dalle Fiamme Gialle. La centrale operativa della Capitaneria di Porto di Palermo, che coordina le operazioni, ha intanto ricevuto la segnalazione di altri barconi in arrivo. Maroni, da Libia controlli ancora inefficaci - Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, in queste ore di massicci sbarchi, ha voluto ricordare alla Libia gli impegni presi con l’Italia: "Il 99,9% dei clandestini in arrivo a Lampedusa parte dalla Libia: aspettiamo l’ok del governo di Tripoli per la consegna delle sei motovedette già pronte" per il pattugliamento delle acque territoriali del Paese nordafricano. La Libia - aggiunge - ha promesso più controlli, ma per ora non vengono svolti con l’efficacia che avevamo chiesto". "L’accordo è firmato ed è stato anche al centro dell’ ultima visita del presidente del Consiglio Berlusconi in Libia - spiega Maroni durante un intervento a Radio Padania - e aspettiamo fiduciosamente che il governo libico ci dia il via libera: è chiaro che in acque internazionali il salvataggio dei naufraghi è un obbligo, ma se le barche dei clandestini venissero fermate quando partono il problema non si porrebbe". Immigrazione: Ctp Modena sotto inchiesta per i "rilasci facili"
La Gazzetta di Modena, 7 ottobre 2008
Sessantatre casi di clandestini irregolarmente rilasciati in sei anni dal Cpt di Modena, prima della scadenza dei termini. E ben 45 nel solo anno 2007, quando questa prassi amministrativa che negli atti del Giudice delle Indagini preliminari viene definita "sciatta", è emersa con tanto di inchiesta penale, a seguito del suicidio di Monnam Ajouli. Lo straniero si tolse la vita durante il suo periodo di internamento all’interno della struttura di via La Marmora. Come si ricorderà, un operatore culturale aveva rivelato agli inquirenti che il giovane immigrato poteva essersi tolto la vita in un momento di disperazione, quando aveva scoperto che altri clandestini ristretti al Cpt avevano potuto andarsene prima dei 60 giorni previsti nelle normative (oggi come si ricorderà questo termine è stato ulteriormente dilatato). L’inchiesta che ne è derivata (si trattava del secondo caso di suicidio nel giro di pochi giorni all’interno del Cpt di via La Marmora) ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di un funzionario della questura e a due interrogazioni parlamentari, una dell’onorevole Enzo Raise (Pdl), l’altra del presidente della Commissione ambiente della Camera, Angelo Alessandri. Alessandri parlava nell’interrogazione al Ministro dell’Interno di 2,5 milioni di clandestini in Italia "parte dei quali cospicuamente presente anche nella provincia di Modena", aggiungendo che "secondo fonti giornalistiche il numero delle espulsioni nel 2007 nella provincia di Modena è inspiegabilmente calato" così come il numero delle persone trattenute al Cpt. Raise nell’interrogazione allo stesso ministro chiedeva conto del rispetto della direttiva sull’identificazione dei detenuti extracomunitari in attesa di espulsione. Chiedeva inoltre di sapere quanti fossero quelli non identificati dalla questura di Modena presso il carcere di Sant’Anna. E soprattutto "se extracomunitari risultino dimessi prima del termine dei giorni 60 prima della loro identificazione e della loro effettiva espulsione". E ancora nella sua interrogazione Raise chiedeva conto anche del "depotenziamento dell’Ufficio immigrazione della questura" allora retta dal dottor Elio Graziano, il quale poi pubblicamente ha parlato di "false affermazioni, perché la questura ha sempre dichiarato guerra ai clandestini". Una vicenda delicata, insomma, cui il Governo ha dato risposta. In realtà consegnando ai due interroganti una "giustificazione" datata luglio 2008 a firma dello stesso questore Elio Graziano, come noto giorni dopo trasferito a Roma, a poche settimane dal pensionamento. Il questore ha risposto che numericamente l’Ufficio immigrazione non è stato depotenziato e che se le espulsioni nel 2007 sono calate può dipendere dal lavoro delle forze di polizia sul territorio, ma anche dall’ingresso nella comunità europea di Romania e Bulgaria. Il questore negava poi irregolarità nell’identificazione dei clandestini. In attesa di sapere se i due interroganti si sono dichiarati soddisfatti dalla risposta scritta, la magistratura modenese ha comunque concluso la sua inchiesta con una archiviazione per così dire "condizionata". I 63 casi individuati sono infatti tutti basati su provvedimenti che si sostanziano in ordine del questore firmati dal funzionario indagato o da semplici "verbali di rilascio", a firma della stessa persona. Per il giudice, il termine dei 60 giorni non è perentorio, quindi sarebbe in astratto possibile rilasciare anzitempo i clandestini. Ma occorre motivare il rilascio anticipato, ad esempio con la necessità di liberare posti dopo l’espressa richiesta del Ministero. Invece tutti i provvedimenti scoperti dalla magistratura riportano la motivazione che i termini dei 60 giorni "sono scaduti". Per la magistratura si tratta quindi di altrettanti falsi. E allora? Non è stata raggiunta la prova del dolo, cioè della volontà di commettere un reato, un falso. Il Gip Ester Russo, accogliendo la richiesta del sostituto procuratore, ha quindi scagionato il funzionario della questura, lasciando agli atti un giudizio pesante del pm: e cioè che in Questura a Modena si praticava (testuale) una "sciatta tecnica amministrativa". Droghe: un Gip di Firenze non accetta l’alcol-test come prova
Corriere della Sera, 7 ottobre 2008
Nel Tribunale di Firenze c’è un gip che proscioglie gli imputati per guida in stato di ebbrezza perché considera l’esito dell’etilometro portatile usato su strada una prova non penalmente valida. All’ennesima sentenza, la Procura è ricorsa in Cassazione, partendo dal caso di G.D.L, un uomo di 56 anni che il 12 ottobre dell’anno scorso provocò un incidente con la sua Bmw a Campi Bisenzio mentre guidava con un tasso alcolemico tre volte superiore a quello stabilito dalla legge. Ad aprile, il giudice per le indagini preliminari stabilì il "non luogo a procedere", malgrado l’avvocato dell’imputato avesse chiesto il patteggiamento. Adesso, dopo la pubblicazione delle motivazioni, il procuratore di Firenze Giuseppe Soresina ha firmato il ricorso alla suprema corte. Le perplessità non sono poche. Il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano bolla la decisione come "insensata". "Tutta la questione è stata sollevata autonomamente dal gip, nessuno aveva messo in discussione l’idoneità dell’etilometro a garanzia della prova", ammette il senatore di An con delega alla sicurezza pubblica "Mentre polizia stradale e forze dell’ordine rischiano quotidianamente la vita per garantire la sicurezza di tutti, dei tranquilli giudici dietro la scrivania discettano di cavilli e distruggono il lavoro di Governo e Parlamento". Anche Carlo Giovanardi, patron della lotta alle stragi del sabato sera, è duro. "Da un lato c’è il Parlamento a far le leggi e dall’altro ci sono giudici di pace e magistrati che le contestano. Per dire ai cittadini: fate come vi pare". Augusto Palese, un legale dell’Associazione familiari e vittime della strada, non si scompone troppo: "E una decisione incredibile, ma resta un orientamento isolato che non dubito sarà ribaltato". Droghe: il Cnr lancia allarme e-doser… non ne sappiamo nulla
Notiziario Aduc, 7 ottobre 2008
Allarme degli esperti del Consiglio Nazionale delle Ricerche sullo sballo virtuale, un file che viene commercializzato on -ine. Costa poco, è facilmente reperibile in internet, ma, avvertono gli scienziati del Cnr "le sue potenziali insidie sono ancora tutte da indagare". Con questa droga virtuale, secondo quanto promettono numerosi siti che commercializzano questi file, gli adolescenti possono infatti drogarsi virtualmente, sparandosi nelle orecchie, per ore e ore, suoni particolari alla ricerca di effetti psichedelici. "A provocare il trip - riferiscono gli esperti del Cnr - sarebbero onde sonore on-line, che si basano sull’effetto binaurale dei suoni, che stimola il cervello su frequenze bassissime, tra i 3 e i 30 Hertz (i cosiddetti infrasuoni), innescando le più diverse reazioni e sollecitando l’attività cerebrale in maniera anomala". Per sballarsi on-line basterebbe quindi collegarsi a internet e scaricare file dai nomi decisamente espliciti come cocaina, ecstasy, peyote, marijuana. Ma cosa succede dopo? "Questi suoni a bassissima frequenza - spiega Michelangelo Iannone dell’Istituto di scienze neurologiche (Isn) del Cnr di Catanzaro - non vengono somministrati tal quali, ma sono il risultato della complessa tecnica dei battiti binaurali, che riesce a produrre una frequenza così bassa da due frequenze udibili, ma che posseggono una minima differenza". "A titolo di esempio - continua Iannone - la somministrazione di 500 Hertz da un lato della cuffia e 530 nell’altro risulta nei 30 Hz ricercati dal "tecnologico sperimentatore di nuove sensazioni". E il gioco è fatto. Le dinamiche commerciali sono simili a quelle del mercato tradizionale degli allucinogeni: si comincia con file offerti gratuitamente, per passare poi alla "somministrazione" a pagamento, con pratiche guide all’uso, tipo "Come far funzionare una dose al 100%". A questo nuovo e inquietante fenomeno si stanno interessando, oltre alla Guardia di Finanza, alcuni ricercatori dell’Isn-Cnr di Catanzaro, che da anni studiano gli effetti del suono e le modalità con cui potenziano l’effetto di alcune droghe sintetiche. "In particolare, - dice ancora Iannone dell’Isn-Cnr - abbiamo somministrato ad alcuni animali da esperimento una quantità minima di ecstasy, incapace da sola di determinare effetti neurologici, insieme con una dose di suono a 95 decibel, il massimo consentito per legge nelle discoteche, riscontrando un potenziamento degli effetti dell’ecstasy. Non solo, aumentando la dose iniziale di ecstasy, abbiamo ottenuto un forte incremento dell’effetto che è durato cinque giorni". E questa interazione è relativa alla potenza del suono, non alla sua frequenza. "I dati scientifici sono stati pubblicati a livello internazionale un paio di anni fa quando nemmeno si ipotizzava che il fenomeno e-doser, questo è il nome con cui si identifica questa nuova tendenza, sarebbe esploso in modo così evidente". "Sui binaural beats e sulle conseguenze sul sistema nervoso dell’ascolto di queste basse frequenze - aggiunge il ricercatore del Cnr - esiste una discreta letteratura scientifica internazionale che prova come queste onde abbiano un effetto sugli esseri umani. Ancora tutto da approfondire, ma ce l’hanno". Dunque, ai giovani che rischiano di cadere nel giro delle droghe in rete, Iannone consiglia "prudenza". "Non esagerare in allarmismi, ma neppure archiviare incautamente il fenomeno come una bufala. D’altra parte, questi file esistono e la gente li vende e li compra e l’esperienza dice che un mercato non si forma se i fruitori del prodotto non hanno alcun vantaggio". Intanto gli studi scientifici e le verifiche continuano per raggiungere dati sempre più attendibili sulla nuova rete per lo sballo facile, una rete questa volta tesa on-line. Droghe: "Drugs Off Day", il proibizionismo a San Patrignano
Notiziario Aduc, 7 ottobre 2008
Responsabilità educativa dei media, i giovani e la scuola, nuovi modelli di impresa sociale e di welfare, colture alternative alle droghe e i progetti mondiali di riduzione dell’offerta e della domanda di stupefacenti. Sono alcuni dei temi al centro della prima edizione di Drugs Off Day, in programma sabato nella comunità riminese di San Patrignano. La manifestazione avrà l’alto patronato del presidente della Repubblica, il patrocinio dell’ufficio Onu contro la droga e si svolgerà in collaborazione con il ministero dell’Ambiente. A parlare di comunicazione interverranno, tra gli altri, Viviane Reding, commissario europeo per l’Informazione, il vice presidente del Parlamento europeo, Mario Mauro e Mariastella Gelmini, ministro dell’Istruzione. Il dibattito si sposterà sul tema dell’inclusione sociale: attesi il sindaco di Milano Letizia Moratti, Jacques Attali, nella veste di fondatore dell’associazione no profit PlaNet Finance e il clown francese Miloud Oukili. Nel pomeriggio due incontri dedicati a 300 studenti delle scuole medie superiori italiane invitati a San Patrignano, con il ministro Gelmini (alle 15) e lo scrittore Federico Moccia (alle 16.30). I forum continueranno con un dibattito su come nutrire e sostenere il pianeta a cui sono previsti anche il ministro degli Esteri, Franco Frattini e Laima Liucija Andrikiene della commissione per i diritti dell’uomo al Parlamento europeo. Fra le iniziative collaterali ci sarà una squadra di calcio interamente formata da ragazze di Kabul che giocherà contro colleghe italiane. Droghe: a Milano vertice in prefettura "sull’emergenza droga"
Notiziario Aduc, 7 ottobre 2008
Con buone probabilità si terrà la prossima settimana il vertice alla Prefettura di Milano chiesto dal sindaco Letizia Moratti per affrontare il tema dell’emergenza droga. "I recenti sequestri di droga in città - ha affermato il vicesindaco Riccardo De Corato - testimoniano che ci troviamo di fronte a un flusso senza precedenti e che Milano è ormai la principale piazza europea dello spaccio e del consumo. In quest’ottica si inserisce il vertice chiesto dal sindaco Moratti in Prefettura al quale parteciperanno anche le forze di Polizia e la Procura". Nel corso dell’incontro, al quale potrebbe prendere parte anche il ministro dell’Interno Roberto Maroni, sarà affrontata anche la proposta, ancora allo studio, di emanare un’ordinanza comunale che punisce severamente il consumo di stupefacenti in luoghi pubblici. "Il provvedimento vuole lanciare un messaggio ai giovani, che sia di deterrenza al consumo personale". Stati Uniti: guerra a droghe, un fallimento per 76% di elettori
Notiziario Aduc, 7 ottobre 2008
Secondo una indagine condotta da Zogby, tre elettori su quattro ritengono che la guerra alla droga sia un fallimento. Opinione condivisa dall’86% dei democratici, l’81% degli Indipendenti ed il 61% dei Repubblicani. Alla domanda su quale sia il modo migliore per combattere i traffici internazionali, il 27% ha risposto proponendo la legalizzazione, di cui il 34% tra i sostenitori del candidato democratico alle presidenziali Barack Obama ed il 20% tra quelli del rivale repubblicano John McCain. Un elettore su quattro (25%) ritiene che impedire l’accesso nel Paese alle droghe sia il modo migliore per combatterle: il 39% dei sostenitori di McCain e solo il 12% tra quelli di Obama. Complessivamente, il 19% degli elettori ritiene che la domanda si riduca con la disintossicazione e l’educazione, e il 13% che sia importante prevenire la produzione nei paesi di origine.
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