Rassegna stampa 4 ottobre

 

Giustizia: la mano forte del governo e la recessione culturale

di Gad Lerner

 

La Repubblica, 4 ottobre 2008

 

È auspicabile che i presidenti della Camera e del Senato siano lesti nel cogliere gli scricchiolii della pacifica convivenza e promuovano un osservatorio parlamentare sul razzismo che ormai tracima dalla greve licenza verbale in troppi episodi di violenza fisica. Lo stesso governo della "tolleranza zero ha interesse a far suo un allarme che non riguarda più solo il diffondersi dell’inciviltà, ma anche l’ordine pubblico.

Episodi come il pestaggio del giovane Samuel Bonsu Foster a Parma o l’umiliazione inflitta alla signora Amina Sheikh Said all’aeroporto di Ciampino - quali che siano gli esiti delle indagini - evidenziano un’impreparazione culturale di settori della forza pubblica nella pur necessaria opera di vigilanza e prevenzione anticrimine.

Problemi simili esistono nelle polizie di tutto il mondo, il cui aggiornamento professionale deve tenere conto delle mutate condizioni ambientali. Ma ancor più inquieta l’ormai lunga collezione di aggressioni, squadristiche o individuali, che si tratti di pogrom incendiari contro gli abitanti delle baraccopoli o di sprangate sulla testa del malcapitato di turno.

Tale esasperazione è stata spesso giustificata dagli imprenditori politici della paura come legittima furia popolare. Minimizzata tributando demagogicamente lo status di vittime ai "difensori del territorio". Fino a quando c’è scappato un morto: Abdoul Salam Guiebre.

Ma nella stessa città di Milano la guerra tra poveri ha riproposto il bis martedì al mercato di Via Archimede. Stavolta non per un pacco di biscotti: Ravan Ngon è stato pestato con una mazza da baseball dal venditore di frutta e verdura alla cui bancarella si era avvicinato troppo con la sua merce abusiva. Lo stesso giorno, nella borgata romana di Tor Bella Monaca, una banda di teppisti adolescenti pestava, così, a casaccio, Tong Hongshen, colpevole solo di aspettare l’autobus, Abdoul Salam Guiebre, Tong Hongshen, Ravan Ngon: nomi difficili da pronunciare, figure giuridiche differenti (un cittadino italiano, un immigrato con permesso di soggiorno, un altro che vive qui da cinque anni senza essere riuscito a regolarizzarsi), ma innanzitutto persone. Nostri simili che stentiamo a riconoscere come tali, di cui preferiamo ignorare le vicissitudini e i diritti.

Nelle interviste trasmesse da Sandro Ruotolo a "Annozero", abbiamo udito i parenti dei camorristi accusati dell’eccidio di Castel Volturno manifestare indignazione: la polizia si muove "solo quando i morti sono neri"! Che si trattasse di una vera e propria strage, sei omicidi, passava in secondo ordine. Temo che quell’infame, velenoso rovesciamento delle parti tra vittime e carnefici, rischi di diventare in Italia senso comune, se le istituzioni non interverranno per tempo.

Di certo non aiutano i pubblici elogi di Maroni al vicesindaco di Treviso, che sul suo stesso palco si riprometteva di cacciare i musulmani "a pregare e pisciare nel deserto". Come se non fossero già centinaia di migliaia i nostri concittadini di fede islamica. Non aiutano i giornali filo governativi che attribuiscono all’intero popolo zingaro una congenita propensione al furto. Non aiuta il cortocircuito semantico che equipara il minaccioso stigma di "clandestino" a un destino criminale. La regressione culturale di cui si è detto preoccupato anche il presidente dei vescovi italiani, Angelo Bagnasco, ha tra i suoi responsabili gli spacciatori di stereotipi colpevolizzanti che nel frattempo promettono l’impossibile: un paese in cui, grazie alla mano forte delle nuove autorità, i cittadini siano esentati dalla fatica della convivenza.

Così come si è rivelato fallace - inadeguato all’offensiva reazionaria - l’espediente retorico di una sicurezza che non sia "né di destra né di sinistra"; altrettanto insulso rischia di apparire oggi il richiamo al binomio "diritti e doveri" degli immigrati. Giusto, certo. Ma astratto, fin tanto che non verrà indicato loro un percorso praticabile d’integrazione e cittadinanza. O preferiamo forse che si organizzino separatamente per farci sentire la loro protesta, esasperando una contrapposizione separatista fino allo scontro con le istituzioni?

Tra i sintomi della regressione culturale c’è anche la miopia con cui le forze democratiche del paese, a cominciare dal Pd, finora hanno ignorato la necessità di dare rappresentanza politica agli immigrati. Sarà forse poco redditizio elettoralmente, ma è decisivo per il futuro della nostra società che si affermino leadership responsabili, organizzazioni accoglienti, punti di riferimento alternativi ai capi-clan e ai propagandisti dell’integralismo religioso.

Persone che hanno avuto l’intraprendenza di emigrare per sfuggire a una sorte infelice, e che spesso hanno conseguito traguardi culturali e professionali significativi dopo essere approdati senza un soldo sulle nostre coste, possono contribuire anche al rinnovamento della politica italiana, bisognosa di ritrovare idealità e speranza.

Giustizia: la maggioranza razzista, la sinistra sta a guardare

di Patrizio Gonnella (Presidente di Antigone)

 

Il Manifesto, 4 ottobre 2008

 

Non molto tempo fa vi era una minoranza silenziosa razzista e una maggioranza fiera di non esserlo. Gli ultimi mesi hanno prodotto un terremoto sociale e culturale. Oggi c’è una maggioranza che senza pudore tiene comportamenti razzisti e una minoranza sconcertata e silente. L’episodio che ieri Progetto Diritti e Antigone hanno denunciato su www.linkontro.info è uno dei tanti episodi di razzismo istituzionale a cui ci stiamo lentamente e pericolosamente abituando.

Mentre negli Stati Uniti uno dei candidati alla Presidenza è un afroamericano, in Italia la parola "negro" torna nel frasario dell’umiliazione pubblica.

Ogni episodio razzista è di per sé grave. Diventa ancora più grave quando il responsabile è un pubblico ufficiale. La gravità cresce quando quel pubblico ufficiale è un poliziotto. La gravità raggiunge il suo apice quando un Sottosegretario alla difesa, Guido Crosetto, dichiara: "Prima di auto flagellare il paese o di attaccare le forze dell’ordine con l’accusa di razzismo, bisognerebbe avere l’accortezza di informarsi della storia e dei precedenti della signora in questione. Non si tratta di una ingenua signora, ma di una persona nota per precedenti alle forze dell’ordine non solo italiane. La signora, dunque, presenta caratteristiche che impongono alle forze dell’ordine di fermare chi le ha, qualunque persona sia, a prescindere che sia italiana o straniera".

Guido Crosetto sappia che: 1) è irrilevante se una persona è colpevole o innocente rispetto alle ingiurie razziste e ai maltrattamenti inferti. Lo chieda a un qualsiasi giurista, sacerdote, politico di destra cattolico o liberale; 2) comunque quella signora italo-somala non era una trafficante di droga; 3) la denuncia della cittadina italo-somala è solo l’ultima di una lunga e triste escalation razzista; 4) sarebbe dovere di un esponente di governo in casi del genere aprire una inchiesta amministrativa, scusarsi con la propria concittadina umiliata, andarla a trovare. Invece, inseguendo la vecchia e tragica tradizione autoritaria, ci si unisce tutti insieme nello stesso spirito di corpo, anche se quel corpo è razzista e violento.

L’Italia è oggi un Paese a rischio di xenofobia e a rischio di tortura. Una delegazione del Comitato europeo per la prevenzione della tortura di Strasburgo dal 14 al 26 settembre è venuta in incognita in Italia. Una delegazione di alto profilo. Maroni non l’ha voluta incontrare, disprezzando così un organismo internazionale che finanche Putin ha ricevuto e ossequiato timoroso.

Solo nelle epoche buie della nostra storia si trattavano gli stranieri (persone e istituzioni) come nemici. Gli ispettori europei sono andati nei commissariati e nelle caserme dei carabinieri di Brescia, Cagliari e Napoli. Hanno visitato il centro di identificazione per stranieri di via Corelli a Milano. Si sono recati nelle carceri di Brescia, Novara, Roma, Secondigliano. Infine, hanno ispezionato l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa.

Non sappiamo cosa abbiano trovato. Li abbiamo incontrati prima della visita e sappiamo per certo che erano molto preoccupati di quanto stesse accadendo in Italia. Tra un po’ verranno rese pubbliche le loro osservazioni. C’è assoluto bisogno di uno sguardo e di un controllo internazionale sull’Italia, vinta dal razzismo e dalla violenza istituzionale.

La reazione della sinistra politica è ancora troppo debole. D’altronde non molto tempo fa su Repubblica qualcuno si permetteva di dire che si poteva essere razzisti e di sinistra. Qualche altro (poi candidato a premier per il Pd) lo giustificava pubblicamente. Oggi siamo di fronte al rischio di svolta autoritaria. La crisi economica e la propaganda securitaria messi insieme potrebbero far venire cattivi pensieri.

Giustizia: lodo Alfano; i dubbi sui quesiti posti alla Consulta

di Alfonso Celotto

 

www.radiocarcere.com, 4 ottobre 2008

 

Il Tribunale milanese - come molti si aspettavano - ha proposto questione di legittimità costituzionale sul c.d. lodo Alfano (legge n. 124 del 2008).

Da quanto diffuso, i dubbi di costituzionalità riguardano in primo luogo l’art. 3 Cost., sia in riferimento alla possibile irragionevolezza, perché il lodo sospende i processi per tutti i reati e automaticamente senza considerare la fase in cui si trovano i procedimenti; sia in riferimento alla disparità di trattamento, in quanto l’applicazione del lodo crea un trattamento diverso, da una parte, tra il presidente del Consiglio e i ministri e, dall’altra, tra i presidenti delle Camere e deputati e senatori.

In secondo luogo, il pubblico ministero ha fatto riferimento ad una possibile violazione dell’articolo 136 Cost., cioè del giudicato costituzionale in relazione alla sentenza n. 24 del 2004 con cui era stato "bocciato" il c.d. lodo Schifani. Avendo la Corte già ritenuto incostituzionale la normativa del 2004, la procura milanese segnala l’incoerenza di aver riapprovato una legge analoga senza aver fatto ricorso alla procedura di revisione costituzionale (art. 138 Cost.).

Non è questa la sede né il momento per esprimere valutazioni su questi dubbi di costituzionalità.

Sappiamo che quella del Tribunale di Milano è solo una richiesta di valutazione, in quanto nel nostro ordinamento abbiamo un sistema accentrato di giudizio sulle leggi. Spetta, cioè, soltanto alla Corte costituzionale valutare se una legge sia o meno conforme alla Carta fondamentale. Il potere dei giudici comuni è quello di fare da filtro, per trasmettere alla Corte le questioni che sorgono nell’ambito dei loro giudizi e che siano "rilevanti (cioè utili alla definizione della causa) e "non manifestamente infondate" (nelle quali un dubbio di costituzionalità davvero sia plausibile, cioè non sollevate solo a fini pretestuosi e dilatori).

In questa fase, diventa davvero difficile e prematuro spendere considerazioni giuridiche - sottolineo giuridiche, in quanto il tema è accompagnato da troppe polemiche politiche - sulla costituzionalità del lodo Alfano.

Va comunque tenuto presente che le valutazioni vanno fatte anche alla luce della sentenza del 2004 sul lodo Schifani. Allora, la Corte aveva dichiarato incostituzionale la legge n. 140 del 2003 per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. In particolare tale sentenza osservava come la sospensione dei processi prevista nel lodo Schifani fosse generale, automatica e di durata non determinata, per cui ne discendeva una violazione della parità di trattamento rispetto alla giurisdizione.

Ora, nel lodo Alfano, si è cercato di "correggere" tali vizi, prevedendo che la sospensione si applica solo ai processi nel corso della durata della carica; che la sospensione è rinunciabile da parte dell’imputato, che non è reiterabile in caso di assunzione di ulteriore carica e che per la parte offesa possa trasferire l’azione in sede civile, godendo di una specie di corsia preferenziale per il processo civile di risarcimento.

La legge n. 124 del 2008 è allora costituzionalmente conforme? Spetterà alla Corte costituzionale dirlo, anche alla luce di quanto deciderà domani la X sezione del Tribunale di Milano.

Ad oggi, qualche dubbio emerge rispetto al parametro di costituzionalità scelto. La questione è stata prospettata per violazione degli artt. 3 e 136 Cost., senza alcun riferimento - a quanto conta - all’art. 24 Cost., relativo alla tutela giurisdizionale. Nel 2004 la disparità di trattamento e l’irragionevolezza furono valutate proprio nel congiunto operare del canone di cui all’art. 3 rispetto all’art. 24 Cost. Può stupire che, fino ad ora, non sia stato anche richiamato questo ulteriore parametro.

Giustizia: Mantovano; ora non è garantita l’imparzialità giudice

di Alfredo Mantovano

 

www.radiocarcere.com, 4 ottobre 2008

 

L’ampio e articolato documento proposto da Radiocarcere e le puntuali riflessioni di Luciano Violante stimolano qualche considerazione, senza pretesa di organicità, almeno da parte mia. Il "nodo giustizia" presenta molteplici profili e sfaccettature, da considerare in modo distinto, evitando che le difficoltà proprie di un settore costituiscano un pretesto per non affrontare problemi di ordine differente.

Per es., il grave deficit di produttività che investe l’apparato giudiziario non deve impedire di scorgere le ombre che oggi offuscano la terzietà del giudice e che ne minano l’imparzialità (o almeno l’apparenza di imparzialità).

Ritengo cioè non condivisibile l’impostazione dell’Associazione Nazionale Magistrati, secondo cui Governo e Parlamento dovrebbero preoccuparsi esclusivamente dell’efficienza del sistema e del reperimento dei mezzi materiali; nessuno può negare la serietà e l’importanza delle tematiche proposte dalla Anm, da troppo tempo trascurate, ma queste giuste doglianze non possono costituire per un verso un alibi, per altro verso un pretesto per non parlare della crisi di credibilità della giustizia. Il nodo centrale è costituito dalla "imparzialità"; oggi i giudici sovente non appaiono imparziali ed equidistanti dalle parti in causa, per una molteplicità di motivi.

Incidono in primo luogo questioni di ordinamento. Il pubblico ministero, così come è venuto configurandosi dalle leggi e dalla prassi, è il "dominus" assoluto delle indagini e della stessa ricerca della "notizia criminis". È quindi un "superpoliziotto", il cui ruolo di parte è concettualmente incompatibile e incomparabile con quello del giudice. Questa situazione ha dei riflessi sul nodo della separazione delle carriere. Il giudice non può essere amministrato dallo stesso Consiglio giudiziario, e poi dal medesimo Csm, che governano un pubblico ministero coinvolto in prima persona nelle indagini.

È troppo alto il rischio che il giudice si senta attratto dalle visioni del pubblico ministero: specie quando il giudice sa che il pubblico ministero che oggi promuove l’accusa, domani (come componente del Consiglio giudiziario o del Csm) si dovrà pronunciare sulla promozione di colui che sull’accusa è chiamato a decidere.

Considerevole importanza rivestono poi alcune questioni deontologiche. I magistrati e la loro associazione ormai non si limitano a spiegare all’opinione pubblica le ragioni dei provvedimenti assunti. Scendono in campo con plateali prese di posizione politiche; si schierano contro determinate leggi e contro determinate forze politiche.

Poi pretendono che coloro contro cui hanno polemizzato si sottopongano serenamente al giudizio di soggetti che appaiono (e sono) avversari; e ciò anche quando la controversia assume un rilevante spessore sociale e la sua soluzione è presumibile che eserciti un peso nell’agone dei partiti. Questo prendere parte dei magistrati e della loro associazione alla lotta politica rende anche poco credibili taluni interventi del giudice disciplinare eletto dai magistrati e dalle loro correnti.

La sistematica "fuga" di notizie e di documenti dagli uffici giudiziari (in particolare del pubblico ministero) non può continuare ad essere considerato frutto di occasionali "abusi". La gran parte delle violazione della riservatezza è infatti "mirata" a suscitare nell’opinione pubblica flussi di consenso o di dissenso verso determinati soggetti. Un giudice disciplinare direttamente plasmato dalla corporazione giudiziaria non è - come ampiamente dimostra l’esperienza - il più adatto a reprimere abusi di questo tipo. Si pone con forza il problema di una riforma del governo autonomo dei magistrati e dei valori che questo governo autonomo deve realizzare. Sono stati proposti numerosi strumenti giuridici: la separazione delle carriere, la creazione di un giudice disciplinare diverso ed autonomo dal Csm.

Possono tutti risultare utili (e tutti, come rileva Violante, presentano dei pericoli); una sola ipotesi mi pare da respingere: quella di non fare nulla, chiudendosi in una acritica difesa dell’esistente.

Giustizia: Simspe; tele-cardiologia anche per curare detenuti

 

www.saluteeuropa.it, 4 ottobre 2008

 

Per i circa 3mila fra medici e operatori sanitari che lavorano nella sanità penitenziaria sono giorni cruciali. È in corso a Milano il IX Congresso Nazionale della S.I.M.S.Pe., la Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria, dedicato ad affrontare il tema dell’assistenza sanitaria in carcere, ora affidata al Servizio Sanitario Nazionale mentre fino a poco tempo fa dipendeva dal Ministero della Giustizia.

"Dal 15 giugno i nostri operatori sono entrati in una specie di limbo -afferma Angelo Cospito, Presidente del Congresso e Responsabile della sanità penitenziaria lombarda- il Ministero di Giustizia non si occupa più di noi ma nemmeno le Regioni ci hanno dato indicazioni chiare. È una situazione di incertezza - continua Cospito - l’assistenza medica ai detenuti è un problema complesso, le professionalità impiegate sono di alto livello, non è pensabile disperdere un patrimonio così grande di esperienze e professionalità".

Oltretutto, il modello organizzativo messo in atto nel nostro paese, pur tra le tante difficoltà, ha dimostrato di funzionare. Ne è un esempio concreto "Asclepio" il progetto di tele-cardiologia operativo nelle carceri milanesi di Opera e San Vittore. Partito da poco più di 2 anni, "Asclepio" consente di monitorare lo stato di salute cardiaca degli oltre 4.000 detenuti dei due istituti di pena, direttamente presso la struttura carceraria di appartenenza, riducendo la necessità di spostamenti verso gli ospedali e migliorando la possibilità di cura e prevenzione delle patologie cardiovascolari.

A testimonianza del successo del progetto, si è passati da 216 elettrocardiogrammi trasmessi nel 2006, ai circa 2.500 del 2007 per arrivare a 2.836 nei primi 6 mesi del 2008.

L’elettrocardiogramma viene rilevato dal medico della struttura carceraria dove si trova il paziente attraverso un apparato di tele-cardiologia professionale. I dati vengono poi inviati attraverso la linea telefonica al Centro Servizi di Telemedicina di Telbios, attivo 24 ore su 24, dove sono visualizzati sul computer di uno specialista dell’equipe cardiologia dell’Istituto Scientifico San Raffaele di Milano. L’elettrocardiogramma viene immediatamente refertato e inviato al medico della struttura carceraria che ha effettuato l’esame. Tutta la procedura richiede pochi minuti.

"Il servizio è particolarmente indicato per controlli periodici su pazienti con cardiopatia cronica - prosegue Cospito - coloro che soffrono di aritmie, scompenso cardiaco, post-infartuati, coloro a cui è stato impiantato un pacemaker. Inoltre trova una ragione valida di applicazione anche nelle attività di controllo periodico. Un utilizzo di estrema importanza è per il check up dei cosiddetti "nuovi giunti" cioè coloro che entrano per la prima volta nella struttura penitenziaria. Con la tele-cardiologia è stato possibile identificare in tempo patologie cardiache, anche gravi, di cui il detenuto non sospettava l’esistenza, e prendere immediatamente le adeguate misure mediche".

"Gli esempi concreti di utilità del servizio sono numerosi - dichiara Francesco Nigro, Dirigente Sanitario di San Vittore -. Grazie alla tele-cardiologia ci è stato possibile intercettare in tempo cardiopatie ischemiche acute, che hanno beneficiato di un trattamento tempestivo in ambiente adeguato, diagnosticare in tempo aritmie cardiache, valvulopatie e anche intervenire su infarti del miocardio in fase iniziale".

"Per questo progetto - afferma Guido Lovaglio, Responsabile dei progetti di Telbios per la Pubblica Amministrazione - Telbios, oltre a fornire apparati, tecnologie e il servizio di refertazione dei dati clinici, ha realizzato una rete intranet a larga banda interamente dedicata al servizio, che consente la trasmissione dei dati in maniera rapida, sicura e nel totale rispetto della privacy. Fattori cruciali trattandosi di persone momentaneamente detenute".

Napoli: dopo riforma sanitaria Cdt di Secondigliano nel caos

di Paolo De Riso (Consigliere Comunale Pdl)

 

www.napoli.com, 4 ottobre 2008

 

Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del primo aprile 2008 stabilisce il trasferimento del servizio sanitario penitenziario al servizio sanitario nazionale. Ciò al fine di semplificare il sistema, razionalizzandone i costi oltre che superare il conflitto da sempre registrato tra sanità pubblica e sanità penitenziaria, a beneficio sia dell’utenza pubblica che di quella reclusa.

A distanza di circa sei mesi nulla è stato fatto e deciso da parte del Servizio Sanitario Regionale campano che avrebbe - così come deve - assorbire l’intero Servizio Sanitario interno agli Istituti di pena con aggravio di costi relativi agli orari di turni straordinari cui gli operatori sanitari saranno chiamati a svolgere.

Ciò ha causato il totale riassorbimento del personale medico e paramedico da parte delle strutture ospedaliere pubbliche con il consequenziale svuotamento delle infermerie all’interno dei penitenziari in violazione dei diritti alla salute della popolazione carceraria. In particolare, a subire le conseguenze peggiori di tale caotica situazione è il Centro Diagnostico Terapeutico del centro penitenziario Napoli Secondigliano, considerato tra i più efficienti in Europa.

Non garantendo piena efficienza di supporto sanitario, a repentaglio è anche la sicurezza per chi opera quotidianamente all’interno delle strutture di detenzione. Il detenuto, che già vive una situazione non facile, non riuscendo ad avvertire la minima garanzia a tutela della propria salute, condiziona la serenità dell’intero ambiente. Dal primo ottobre u.s., dunque, le competenze gestionali ed amministrative sono di esclusiva competenza della Regione Campania che, come è ormai risaputo, versa nel totale collasso economico.

Nella qualità di responsabile Gau, denuncio tale stato di precarietà e di stallo completo. La sanità penitenziaria non è assolutamente da considerare di serie B; il cittadino è libero di scegliere e spostarsi alla ricerca della struttura migliore sul territorio nazionale; il detenuto, al contrario, è obbligato ad affidarsi alle cure del Cdt e per noi, dunque, è un obbligo innanzitutto morale garantire l’affidabilità dell’assistenza medica. L’invito, dunque, è rivolto alle Istituzioni competenti anche con sopralluogo, affinché intervengano con urgenza ed in maniera risolutiva.

Ancona: Sappe; sovraffollamento detenuti e carenza di agenti

 

Corriere Adriatico, 4 ottobre 2008

 

Il carcere di Montacuto scoppia: i detenuti sono troppi, gli agenti sono troppo pochi. L’ennesima denuncia sul sovraffollamento in cella e sulla carenza di personale per garantire l’ordine e la sicurezza nell’istituto è di Aldo Di Giacomo, segretario regionale del Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria. Il sindacato fa notare che il decreto ministeriale del 2001 indica in 201 il numero degli agenti, invece a Montacuto sono 139, pari al 31% in meno, che è tra le percentuali più alte d’Italia.

Neppure i numeri dei detenuti sembrano lasciare spazio all’ottimismo. Sempre per il sindacato autonomo di polizia penitenziaria al 31 agosto la capienza regolamentare era di 172 carcerati, quelli presenti sono 292. Una situazione che il Sappe intende denunciare ufficialmente, in occasione dei prossime riunioni con prefetto, presidente della Regione e della Provincia.

Uno stato dei fatti che il sindacato considera d’emergenza, e per questo chiede interventi immediati e urgenti al fine di ripristinare condizioni di migliore vivibilità all’interno della casa circondariale. Negli ultimi tempi per fortuna non si sono registrati episodi particolarmente gravi, nell’ultimo periodo alcuni detenuti hanno dovuto dormire con il materasso per terra. Sul fronte degli agenti, il sindacato sottolinea che in questo modo vengono lesi i diritti dei lavoratori. Turni molto pesanti, ricorso frequente agli straordinari, meno riposi settimanali, il Sappe rimarca che ci sono poliziotti che devono smaltire anche cento giorni di congedo. Al prefetto e ai diversi interlocutori istituzionali verrà prospettata la situazione di difficoltà nel carcere di Montacuto, e verrà chiesto di cercare soluzioni efficaci che possano ridurre i disagi per gli ospiti e per chi deve controllare.

Rovigo: il Comune istituisce la figura del Garante dei detenuti

 

Centro Francescano di Ascolto, 4 ottobre 2008

 

Il Consiglio Comunale di Rovigo approvato all’unanimità l’istituzione del Garante per i diritti delle persone detenute, progetto presentato dall’Assessore alle Politiche Sociali Giancarlo Moschin. Ora si attende la nomina del Garante da parte del Sindaco, che dovrà scegliere tra persone esperte nel campo delle scienze giuridiche, dei diritti umani e delle attività sociali negli istituti penitenziari, ma non potrà appartenere ai settori della magistratura o forensi, né della pubblica sicurezza.

"Abbiamo sentito l’esigenza, come tavolo sul carcere - spiega l’assessore - di fare quanto già adottato in altre città, ossia avere una persona che segua i problemi di chi è recluso. Faccio un solo esempio: il carcere è luogo di rieducazione, ma tanti progetti che il tavolo vorrebbe realizzare non sono possibili perché mancano gli spazi all’interno della Casa Circondariale, poiché i pochi esistenti sono già impegnati da altre importanti iniziative. Questa figura rappresenta un atto di attenzione e civiltà nell’aiutare a riscattarsi e a reinserirsi nella società".

Il Garante resterà in carica cinque anni. Le sue funzioni saranno il promuovere i diritti e le opportunità di partecipazione alla vita comune, come formazione professionale, tutela della salute e così via. Allo stesso modo il garante dovrà promuovere incontri pubblici di sensibilizzazione sugli aspetti della detenzione e se serve, lavorare insieme al difensore civico comunale. Potrà anche segnalare violazioni dei diritti dei reclusi e confrontarsi con le autorità competenti sulle condizioni nelle quali vivono, fino a rapportarsi con le associazioni interessate ai problemi penitenziari. Tutto il suo operato sarà sottoposto annualmente al giudizio del Comune e delle associazioni specifiche, fino al tavolo sul carcere. Riceverà anche un’indennità simbolica di 1.200 euro l’anno, oltre al rimborso spese.

Verona: per i detenuti "nuovi giunti" i volontari 7 giorni su 7

 

La Fraternità, 4 ottobre 2008

 

Diventano sette i giorni predisposti all’ascolto dei nuovi detenuti in arrivo al carcere di Montorio. È quanto stabilito nella riunione della settimana scorsa, svoltasi nella Casa Circondariale tra le cinque associazioni di volontariato coinvolte nel provvedimento e l’intero pool operativo: Direttore del carcere, responsabile dell’Area Educativa, responsabile dell’Area Sanitaria, Ufficio Esecuzione Penale Esterna e Unità Operativa Tossicodipendenti in Carcere.

I due giorni finora scoperti - il lunedì e il mercoledì - sono stati affidati rispettivamente alle associazioni "La Visitazione" e "La Fraternità". L’iniziativa rientra nei provvedimenti di una circolare del Ministero della Giustizia del precedente Governo relativa a "I detenuti provenienti dalla libertà" per "attenuare gli effetti traumatici della privazione della libertà e di predisporre gli interventi a tutela della incolumità fisica e psichica conseguenti all’ingresso in Istituto".

Durante la riunione, Direzione e Comandante della Polizia Penitenziaria si sono mostrati soddisfatti del servizio svolto finora dalle associazioni coinvolte (oltre alle già citate anche "La Libellula", "Ripresa Responsabile" e "Progetto Carcere 663").

Spiega il presidente della nostra associazione, Roberto Sandrini: "questi colloqui sono importanti per i detenuti dal punto di vista pratico-operativo, ma soprattutto psicologico. In questo modo hanno la possibilità di incontrare una persona motivata che li possa ascoltare. Una figura diversa dall’operatore, al di fuori dal sistema penitenziario e giudiziario."

Livorno: morte Lonzi; indagati il compagno di cella e 2 agenti

 

Il Tirreno, 4 ottobre 2008

 

Tre indagati nell’inchiesta per la morte di Marcello Lonzi, avvenuta nel luglio di cinque anni fa. Al detenuto Gabriele Ghelardini, compagno di cella quando Lonzi morì, si sono aggiunte due guardie carcerarie. Si tratta di tre posizioni per così dire "tecniche", sul cui ruolo magistrato e carabinieri stanno svolgendo degli accertamenti per capire se siano in qualche modo coinvolte nella morte del giovane detenuto. Intanto ieri pomeriggio due giovani vicini agli ambienti antagonisti e sempre attivi nelle manifestazioni organizzate dalla madre di Lonzi, Maria Ciuffi, per scoprire la verità sulla morte del figlio, sono stati sentiti in Procura dal pubblico ministero che coordina le indagini, Antonio Giaconi.

In base a quanto appreso, qualche tempo dopo la morte del giovane, i due ragazzi avevano avuto un incontro con Ghelardini nel corso del quale avevano parlato anche delle circostanze della morte di "Marcellino". Il pm ha quindi interrogato i due giovani per capire se in quel colloquio erano emersi dei particolari importanti ai fini della ricostruzione dei fatti. E ieri mattina in Procura c’era anche la madre di Marcello Maria Ciuffi, che è assistita dall’avvocato Fabrizio Bianchi del foro di Pisa. È stata la stessa donna, convocata per l’occasione, a fornire al pm dettagli su quel colloquio che c’era stato tra i due giovani suoi conoscenti e Ghelardini.

Catania: detenuti di Ipm conseguono diploma in informatica

 

La Sicilia, 4 ottobre 2008

 

Domani tre giovani detenuti dell’Istituto Penale per Minori di Bicocca riceveranno ufficialmente la certificazione internazionale "Internet and Computing Core Certification", IC3, che hanno conseguito grazie al contributo della facoltà di Scienze politiche dell’Università di Catania.

Lo scorso anno, infatti, rispondendo a un "appello" della Croce Rossa Italiana, la Facoltà ha donato all’Ipm 5 personal computer. A completamento della donazione, la Facoltà ha provveduto alla consegna dei Pc e alla loro installazione nei locali della biblioteca dell’Ipm, di cui si è occupato Massimo Toscano - Microsoft Office Specialist Master Instructor e IQ Administrator, oltre che impiegato della segreteria di presidenza della facoltà. "Considerato che questa "mini aula informatica" sarebbe stata utilizzata per corsi di informatica mirati solo all’acquisizione di nozioni generali - spiega Toscano - ho proposto alla direttrice Maria Randazzo e agli educatori l’erogazione, ai detenuti, di un corso ufficiale mirato al conseguimento di una certificazione internazionalmente riconosciuta e spendibile, proficuamente, nel mondo del lavoro anziché un autoreferenziale cumulo di nozioni. La dichiarazione di interesse è stata immediata". Il passo successivo è stato quello di contattare l’amministratore unico di Tesi Automazione srl, Sebastiano Certo, concessionario della didattica Microsoft, che ha provveduto a donare alcuni kit di preparazione comprensivi degli esami.

Alla cerimonia di consegna saranno pertanto presenti, oltre alla direttrice dell’Istituto, il senatore Salvo Fleres, Garante per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e per il loro reinserimento sociale della Regione Sicilia, il prof. Giuseppe Vecchio, preside della facoltà di Scienze Politiche, il dott. Salvatore Sciacca, dirigente dell’Ufficio del Garante per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e per il loro reinserimento sociale di Catania, l’avv. Lino Buscemi, dirigente dell’Ufficio del Garante per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e per il loro reinserimento sociale di Palermo, il dott. Paolo Garofalo, il sig. Sebastiano Certo, la dott.ssa Angela Scalia dell’Education and Certification Channel Manager Legal Consultant Tesi Automazione s.r.l., il sig. Massimo Toscano dell’Ufficio di Presidenza della Facoltà di Scienze Politiche.

Napoli: in Comune cassetta di posta per le "denunce anonime"

 

Redattore Sociale - Dire, 4 ottobre 2008

 

È una delle novità del pacchetto sicurezza varato ieri: multe fino a 500 euro per chi accattona o imbratta muri. E per le prostitute divieto di stare in strada in determinato orari e piani d’inclusione per le minorenni.

Con una delibera firmata dall’assessore alla Legalità del comune di Napoli, Luigi Scotti, ex guardasigilli di Prodi, il sindaco Iervolino ha firmato ieri l’ordinanza relativa al pacchetto sicurezza. I provvedimenti saranno in vigore tra 15 giorni. Si parte dal divieto di impiegare minori o disabili nell’accattonaggio. La violazione comporta ammende da 200 a 500 euro, a meno che non si ravvisi l’ipotesi di sfruttamento, per il quale scatta la denuncia alla Procura.

In particolare - si legge nell’ordinanza - viene stabilito il divieto, a ridosso o all’interno o nella immediata prossimità di edifici pubblici, piazze, stazioni, monumenti, di collocare giacigli, materassi, sacchi a pelo, ovvero realizzare veri e propri bivacchi (a meno che i barboni non siano davvero indigenti). Sanzioni da 200 a 500 euro per chi imbratti o deturpi edifici pubblici, monumenti, attrezzi, strumenti, ovvero oggetti e cose di arredo urbano.

Tra i provvedimenti varati quelli relativi al fenomeno dei parcheggiatori abusivi: multe e segnalazione all’Autorità giudiziaria per occupazione e invasione di suolo pubblico. Guai anche per l’automobilista che può essere punito se la sosta avviene in zona vietata o illegittima. Ma anche gli ambulanti abusivi non se la passano bene: per loro stessa sorte dei parcheggiatori.

Più "soft", invece, l’ordinanza per immigrati irregolari e prostitute. Per i primi sarà disposta l’immediata segnalazione agli organi competenti per i provvedimenti di espulsione o di allontanamento di persone in condizione di irregolarità ma solo nei casi in cui tali persone abbiano dato causa ad episodi che hanno reso necessario il ripristino della sicurezza urbana ad opera della polizia municipale o delle altre forze di polizia.

Per le seconde, oltre a prevedere divieti di sosta e di fermata per determinate fasce orarie in strade, piazze ed altri luoghi pubblici dove abitualmente insiste il fenomeno (in questo modo verranno multati gli automobilisti), si realizzeranno piani di inclusione soprattutto se si tratta di "lucciole" minorenni. E in proposito la sindaca promette che oltre alla repressione è necessaria un’azione di recupero. Sì allora a percorsi di inclusione sociale che coinvolgeranno le associazioni sia cattoliche che laiche. Tra le novità la cassetta denominata "Posta di sicurezza" all’interno di Palazzo San Giacomo, sede del comune, dove i napoletani potranno depositare denunce anonime e segnalare luoghi dove avvengono fenomeni illegali.

Napoli: Caritas; pacchetto sicurezza, polvere sotto il tappeto

 

Redattore Sociale - Dire, 4 ottobre 2008

 

Giancamillo Trani, responsabile immigrazione della Caritas diocesana di Napoli commenta il provvedimento. "In Campania le politiche sociali hanno navigato a vista, seguendo la logica dei progetti mai trasformati in servizi".

"Il pacchetto sicurezza? È come spazzare e mettere la polvere sotto il tappeto, mi sembra più che altro il frutto di una politica ipocrita che gira intorno ai problemi senza risolverli". A parlare è Giancamillo Trani, responsabile del settore immigrazione della Caritas diocesana di Napoli. "Devo ammettere - prosegue - che provo anche una certa sorpresa perché la Iervolino meno di due mesi fa, criticò i provvedimenti presi dall’amministrazione di Salerno e parlò di Napoli come di una città solidale. In realtà non esiste un piano organico, non si sciolgono i nodi dei problemi. L’ordinanza del comune prevede multe da 200 a 500 euro per chi sfrutta i minori o disabili costringendoli all’accattonaggio, e sanzioni da 150 a 500 euro per i senza dimora che sostano in prossimità di Palazzi storici o monumenti. Mi sembra assurdo chiedere ad un clochard di togliersi dalla strada quando poi non ci sono posti dove andare. È un po’ come accade per gli immigrati o per i Rom".

 

Quali strutture di accoglienza sono state realizzate in questi ultimi anni?

C’è l’esempio del centro di Soccavo "Deledda" per i Rom, ma sono sempre soluzioni tampone. E quel che è successo negli ultimi mesi a Napoli lo dimostra ampiamente. Molti dei senza dimora sono sofferenti psichici e all’accattonaggio spesso si accompagnano anche problemi di droga, alcool. Stesso discorso per le prostitute: per raggirare l’ostacolo basterà sostare in abiti non troppo discinti alle fermate degli autobus. Io credo invece che ai Rom, come agli immigrati o ai senza dimora bisognerebbe riconoscere dignità sociale, solo in questo caso puoi aspettarti da loro un decoro.

 

Dove sta l’errore?

In molti casi è sbagliato proprio l’approccio. Se vai a sviscerare ad esempio la legislazione relativa agli extracomunitari, si nota che in questi anni l’immigrazione non è stata analizzata come un fenomeno sociale, ma soltanto come un problema di ordine pubblico. La questione riguarda più in generale le politiche sociali che in Campania hanno navigato a vista seguendo la logica dei progetti che non si sono mai trasformati in servizi.

 

Napoli ha svelato ultimamente un volto razzista?

Direi proprio di no, il problema semmai è che in città ci sono delle zone franche (tipo Chiaiano o il Vomero) dove non si penserebbe mai di far insediare un campo Rom o un gruppo di extracomunitari. Queste scelte vengono effettuate sempre in quartieri come Scampia o Ponticelli che già sono multiproblematici, dove al degrado già esistente se ne aggiunge altro.

Immigrazione: stranieri hanno paura manifestazione a Roma

 

Redattore Sociale - Dire, 4 ottobre 2008

 

I manifestanti marceranno in nome della solidarietà e dell’accoglienza per tutti. Tra le richieste oltre al ritiro immediato del "pacchetto sicurezza" del governo, la chiusura dei Cpt e un fermo no alla direttiva della Ue sul rimpatrio.

Adesso siamo noi a fare paura: gli italiani. A sentirsi in pericolo sono loro: gli stranieri. Neri, gialli, caucasici non fa differenza, come dimostra la cronaca recente, gli "Abba" che vivono nel nostro paese si sentono braccati. Se le discriminazioni quotidiane ai loro danni sono state facilmente metabolizzate, le violenze sono diventate un peso insopportabile per la coscienza di un popolo che fatica a riconoscersi razzista. La manifestazione nazionale "Stop razzismo", in programma domani a Roma e organizzata da Unicobas, Socialismo Rivoluzionario, Partito Umanista e Associazione interetnica antirazzista "3 Febbraio", vuole essere secondo gli organizzatori una risposta ai molteplici atti di razzismo istituzionale diffusi dal governo Berlusconi.

Il corteo, che partirà alle 14 da piazza della Repubblica, sarà aperto dallo striscione unitario del comitato promotore "Stop razzismo". Alla testa del corteo gli immigrati di Castel Volturno e gli amici e i familiari di Abba, il ragazzo di colore assassinato a Milano. I manifestanti marceranno in nome della solidarietà e dell’accoglienza per tutti. Tra le richieste oltre al ritiro immediato del "pacchetto sicurezza" del governo, la chiusura dei C.P.T. e un fermo no alla direttiva della UE sul rimpatrio.

La giornata terminerà con un concerto finale a piazza Venezia. Il carattere della manifestazione sarà pacifico, come sottolineato dagli organizzatori che hanno chiesto a tutti i partecipanti di impegnarsi a non snaturare il significato dell’iniziativa promossa. Su questo piano si adopererà anche un servizio di vigilanza. Si contano 350 adesioni di organizzazioni tra le quali figura Emergency. Molte le personalità appartenenti al mondo dello spettacolo e della politica. Tra i partiti politici : Rifondazione Comunista e Comunisti Italiani. Sono stati previsti treni speciali e autobus per permettere a tutti gli italiani di raggiungere la Capitale senza problemi. Le parole di Stefano D’Enrico, segretario nazionale Unicobas, sono chiare" La nostra iniziativa rappresenta una controtendenza, in un paese in cui il maestro unico prefigura il pensiero unico che è raccolto nello slogan "tolleranza zero".

Immigrazione: "clima razzista"; il dibattito e i commenti politici

 

Redattore Sociale - Dire, 4 ottobre 2008

 

Veltroni: la paura appaga gli istinti, destra belluina

 

"Io non ho paura di nessun regime in Italia, ma ci stiamo abituando a cose alle quali non ci dobbiamo abituare e sento il dovere che nel Paese qualcuno costituisca un’alternativa morale a questa destra populista". Lo dice il segretario del Pd, Walter Veltroni, in un passaggio della sua relazione alla direzione del partito. Veltroni sottolinea che "l’opinione pubblica è spaventata, impaurita e incattivita" e vede "nell’altro il nemico". Di fronte a questo il "messaggio della destra è chiuditi in casa che al resto ci penso io. E se non vengono costruiti antidoti a questo diventa morale picchiare un uomo cinese o un nero a Parma". Tutto questo "appaga gli istinti belluini di chi prende voti sulla paura", ma "il rischio è proprio il diffondersi della xenofobia e del razzismo". Inoltre, prosegue Veltroni, "questi intrecci nella storia", tra crisi sociale e crisi economica, sono quelli in cui "l’umanità ha conosciuto le sue tenebre".

 

Fini: la peggior risposta è il lassismo

 

A fronte di una "crescente intolleranza" la risposta "peggiore è una politica del lassismo". Lo dice Gianfranco Fini incontrando la cittadinanza a Vicenza. Per il presidente della Camera "il pregiudizio è l’anticamera del razzismo", al quale bisogna rispondere con politiche "rigorose. L’integrazione- continua Fini- è indispensabile, ma è qualcosa di più del rispetto formale delle regole. La vera integrazione c’è solo con l’adesione ai valori di fondo della società che ospita". Fini cita ad esempio i valori della laicità e della nazione per segnalare le differenze tra l’occidente e l’Islam e conclude sottolineando che la vera sfida è culturale.

 

Donadi (Idv): brutto clima, il governo intervenga subito

 

"C’è un brutto clima di intolleranza nel Paese, provocato anche da troppe parole incendiarie. Il governo deve intervenire immediatamente per stroncare sul nascere questa pericolosa deriva". Lo afferma il capogruppo dell’Italia dei Valori alla Camera Massimo Donadi. "Il centrodestra - aggiunge Donadi - ha pesanti responsabilità per aver esasperato i toni, fomentando gli animi e alimentando la xenofobia. È il momento che tutti agiscano responsabilmente per arrestare una spirale nefasta. La giusta esigenza di sicurezza - conclude il parlamentare - non può e non deve essere in alcun modo distorta e confusa con l’intolleranza".

 

Bonelli (Verdi): ormai é una vera e propria emergenza

 

"Ormai in Italia c’è una vera e propria emergenza razzismo. Il clima di odio e di intolleranza propagandato dalla destra in campagna elettorale e le politiche del governo Berlusconi hanno prodotto un clima di esasperata intolleranza che sempre più spesso sfocia in violenza intollerabile, come dimostrano il caso della donna somala denudata ed umiliata a Ciampino".

Lo ha dichiarato Angelo Bonelli dei Verdi che ha aggiunto: "Si tratta dell’ultimo agghiacciante episodio di una preoccupante deriva razzista che sta portando nel nostro paese solo odio e violenza". Il ministro degli Interni "apra subito un’inchiesta su quanto accaduto a Ciampino e punisca i responsabili: è questo l’unico modo per restituire dignità alla donna umiliata e maltrattata - ha concluso Bonelli - il governo faccia subito autocritica ed avvii una campagna antirazzista per arrestare questa pericolosissima escalation xenofoba".

 

Miraglia (Arci): dilaga la violenza razzista

 

"Dopo l’omicidio di Abba a Milano, la strage di Castel Volturno, il pestaggio di Emmanuel Bonsu a Parma, l’aggressione a un cittadino cinese a Roma, l’ondata di violenza razzista che sta attraversando il Paese non accenna a diminuire". È il commento di Filippo Miraglia, responsabile immigrazione Arci. "È di oggi la notizia di una cittadina italiana di origine somala umiliata e maltrattata dalle forze dell’ordine all’aeroporto di Ciampino. A questa ignobile vicenda si aggiungono a Milano il pestaggio di un ambulante senegalese e le scritte indegne comparse a Sesto San Giovanni che offendono la memoria del quattordicenne romeno morto carbonizzato dieci giorni fa".

"Ormai il clima di odio che assedia i cittadini immigrati sembra contagiare tutti: dalle forze dell’ordine ai camorristi, fino ad arrivare ai minorenni. Un clima di apartheid in cui i più deboli non possono fidarsi di nessuno, perché esposti al rischio di subire soprusi e violenze. - scrive Miraglia - Non ci deve stupire il dilagare della violenza razzista, fomentata a tavolino proprio da rappresentanti delle istituzioni che da sempre hanno soffiato sul fuoco dell’intolleranza.

Il vicesindaco di Treviso Giancarlo Gentilini, indagato per istigazione all’odio razziale, è un autorevole rappresentante di questa ampia schiera di cattivi maestri". Nelle prossime settimane sono state convocate diverse iniziative contro le politiche del governo, da quella di domani a Caserta e Roma, a quelle dell’11 e del 25 ottobre. Ai promotori l’Arci ha lanciato un appello perché tutte le manifestazioni in programma siano dedicate alle vittime del razzismo, ai morti di frontiera, a chi subisce discriminazioni.

"Abbiamo chiesto ai manifestanti di esibire al braccio un nastro nero, in segno di lutto per le vittime e per la nostra democrazia, messa a rischio dalle politiche repressive e securitarie di questo governo. - aggiunge - C’è bisogno di una grande risposta democratica intorno alla quale far convergere l’impegno di tutti per dare voce all’Europa dei diritti, proprio in un periodo in cui per milioni di cittadine e cittadini stranieri i diritti fondamentali, compreso il diritto alla vita, sono quotidianamente calpestati".

 

Pittau: clima peggiorato, ma il popolo italiano non è razzista

 

La cronaca ha registrato in questi giorni vari episodi di violenza e discriminazione nei confronti di immigrati. A Franco Pittau, coordinatore del Dossier Caritas-Migrantes sull’immigrazione, chiediamo di analizzare quanto sta accadendo.

 

Si tratta di casi isolati, ognuno con la sua dinamica specifica, o sono il segno di un fenomeno più generale?

I casi sono indubbiamente isolati e sarebbe sbagliato, come si è fatto per gli immigrati, concludere che il popolo italiano è diventato razzista. E però i casi sono diventati molto più numerosi. Questo deve portare a interrogarci perché ciò avviene: dipende dal clima generale? Da quello che si dice a livello politico? Da quanto si scrive sui giornali? Posso dire che gli organismi pastorali che si occupano del fenomeno della mobilità si mostrano preoccupati di questo clima. In un editoriale, pubblicato sull’Osservatore Romano, il direttore di Caritas Italiana ha stigmatizzato un crescendo di atteggiamenti negativi: insensibilità, chiusura, opposizione, razzismo e, come in questi deprecabili fatti di cronaca, passaggio alle vie di fatto. C’è qualcosa che non va.

 

In molti casi i protagonisti delle aggressioni (finite anche tragicamente) hanno smentito qualsiasi movente razziale, come nel caso di Milano. È una cosa credibile o si tenta di camuffare la xenofobia?

Le parole di scusa sono soltanto parole. Si va contro gli immigrati se non per xenofobia, e per un perverso influsso dell’ambiente che si respira, per quale altro motivo? Mi pare che si insista eccessivamente sul detto "Italiani brava gente". In questo caso non è vero e molti sono propensi a ritenere, per tante ragioni, che si tratti di insofferenza nei confronti degli immigrati, proprio quando le previsioni dell’Istat ci dicono che dobbiamo prepararci a convivere con un loro numero crescente, fino a diventare 1 ogni 6 residenti a metà secolo o anche prima.

 

L’aggressione a Tor Bella Monaca a Roma ha coinvolto un ragazzo cinese. Anche questo è stato un episodio casuale? O se non è così, perché un cinese? Perché sono tanti a Roma e stanno creando un "rigetto" in certe fasce della popolazione?

Se uno, in attesa alla fermata dell’autobus, viene malmenato perché individuato dai tratti somatici come cinese, quale altro motivo può avere influito se non il razzismo? I cinesi sono una collettività numerosa, ma meno di altre come quella romena, o alla pari di altri. Alla stessa fermata avrebbero malmenato anche un africano… naturalmente non per motivi razzistici. Rischiamo di diventare patetici se non riconosciamo che una parte della popolazione, a causa del clima prima lamentato, sta incamminandosi per una brutta piega.

 

Questi episodi sembrano ripetersi quasi sempre nelle zone più marginali delle città e spesso in periferia (quelle periferie che la Caritas ha rimesso più volte al centro dell’attenzione). È una guerra tra poveri venata di razzismo? O si tratta di altro?

Talvolta è la guerra di ricchi contro poveri e altre volte è la guerra di poveri contro poveri. A influire non è tanto la povertà materiale quanto quella spirituale. In aree marginali l’educazione a condividere i problemi comuni ha portato a campagne unitarie, di italiani e di immigrati, per i propri diritti: il razzismo non è necessariamente l’unico sbocco. Ritorno sul fatto che, siccome non possono esserci effetti senza le rispettive cause, ci dobbiamo interrogare sul peggioramento al quale stiamo assistendo, mettendoci in crisi noi adulti rispetto all’esempio che diamo ai più giovani, e i decisori pubblici rispetto alle affermazioni che fanno e alle decisioni che prendono.

 

Secondo voi, che vi occupate ormai da anni di immigrazione, quali sono le azioni positive che la società civile deve mettere in atto per reagire a un possibile "imbarbarimento" dei rapporti?

Le politiche, nel nostro caso la politica migratoria, talvolta sanno di stantio perché ripetono sbagli di cui tutti sono coscienti. Direi di chiudere il primo tempo, durante il quale si è insistito sul pacchetto sicurezza (e molti ne hanno approfittato per equiparare immigrati e criminali), per passare al secondo tempo, parlando del pacchetto integrazione e di qualche idea più fantasiosa e di qualche fondo più robusto per intervenire con efficacia. A livello personale adoperiamoci per far conoscere da vicino gli immigrati e magari stringere amicizia con loro: si scoprirà così che il razzismo, oltre a essere una bestemmia a Dio in questo cristianissimo paese, è anche un comportamento stupido perché impedisce di prepararci al futuro, nel quale gli immigrati sono strettamente indispensabile per il nostro benessere. Questo si può dire con fermezza, senza con questo lasciar credere che gli immigrati non siano tenuti alla legalità come noi!

 

Tailmoun (G2): il problema è l’esclusione dai diritti

 

"Il clima politico e culturale che si sta respirando non dipende da mere questioni di razzismo tra bianchi e neri, italiani e non, su cui soffiano anche i media". Mohamed Tailmoun è il portavoce di "G2 Seconde Generazioni - rete nazionale figli di immigrati". "In realtà - precisa - c’è una situazione di esclusione e negazione di diritti che crea cittadini di serie B e cittadini di serie C.

Per cui alcuni si sentono esclusi e vengono sospinti a comportamenti che possono essere identificati come comportamenti di matrice razzista e altri, figli di immigrati, vengono marchiati come cittadini di serie C e lasciati come capri espiatori alle politiche che sconquassano il territorio". Insomma, tira le fila, Mohamed Tailmoun "il dibattito sul razzismo è fumo negli occhi. La questione fondamentale è la discriminazione nella concessione dei diritti di cittadinanza".

Immigrazione: dalle Acli una proposta educativa per i giovani

 

Vita, 4 ottobre 2008

 

Dalle Acli di Roma una proposta educativa all’indomani della violenza a Tor Bella Monaca. L’invito da Gianluigi De Palo presidente dell’associazione romana.

"Che tristezza - queste le prime parole del presidente delle Acli di Roma Gianluigi De Palo, che ha commentato l’aggressione ai danni di un giovane cinese, avvenuta ieri nei pressi del quartiere di Tor Bella Monaca -. Prima di essere un episodio di razzismo, è purtroppo l’ennesimo triste episodio di violenza, che nasce in un contesto di evidente emergenza educativa. In una città come Roma è doloroso vedere come molti giovani, spesso minorenni, siano abbandonati a se stessi e girino per strada in cerca di sfoghi insensati. La violenza è l’espressione di un forte disagio sociale: la severità in casi come questi è più che legittima, anzi doverosa, ma perché atti del genere non si ripetano, occorre andare più in profondità, immedesimarsi ed estirpare le ragioni del disagio. Per questo, dopo una valutazione delle autorità competenti e nelle forme che riterranno più opportune, ci proponiamo di coinvolgerli nel nostro sportello immigrazione dove ogni giorno incontriamo decine e decine di immigrati per mostrargli quanto siano una ricchezza per la nostra città e per il nostro Paese".

"Siamo convinti - continua De Palo - che sia importante combattere l’illegalità da qualunque parte essa provenga. Molto spesso siamo portati a credere che ci siano illegalità di serie A e illegalità di serie B a seconda del fatto che a compierle siano cittadini italiani o immigrati. Non è così anche se mediaticamente, spesso, si percepisce questo. Roma che è il centro della cristianità deve essere un punto di riferimento dell’accoglienza e dei valori evangelici".

Le Acli di Roma, da sempre impegnaste per l’integrazione e la cooperazione tra le genti, già da diversi anni, cercano di dare il buon esempio coinvolgendo gli immigrati nell’Associazione non solo come utenti di servizi. Basti pensare che nel Consiglio Provinciale sono presenti tra gli altri anche Mohamed Hassan Kalif, un immigrato somalo-etiope di religione musulmana e Aberash Bekele, immigrata somalo-etiope ortodossa.

Unione Europea: le strategie contro la povertà non funzionano

 

Redattore Sociale - Dire, 4 ottobre 2008

 

A rischio il 16% dei cittadini europei (19% per i bambini). Nuova raccomandazione dall’Europa che prevede sussidi adeguati ai livelli di reddito, mercati del lavoro che favoriscano l’inserimento e accesso a servizi di buona qualità.

Con il 16% dei cittadini europei a rischio povertà - percentuale che tocca il 19% per i bambini - e con la disoccupazione di lunga durata che si attesta al 3%, il problema dell’esclusione sociale e della mancanza di mezzi di sostentamento sta diventando un problema sempre più grave e comune nell’Europa di oggi. E nonostante i programmi di aiuto e sussidio dimostrano ancora la loro efficacia (dove esistono), riducendo di 10 punti percentuali il tasso di povertà (altrimenti del 26%), molti destinatari non riescono ad accedervi.

Per questo la Commissione europea ha presentato oggi una raccomandazione agli Stati membri contente una serie di tre principi chiave per lottare contro povertà ed esclusione: sussidi adeguati ai livelli di reddito, mercati del lavoro che favoriscano l’inserimento e accesso a servizi di buona qualità. I governi nazionali saranno incoraggiati a far riferimento a questi principi comuni e a definire strategie per l""inclusione attiva", in modo da lottare più efficacemente contro l’emarginazione dalla società e dal mercato del lavoro.

"Le attuali strategie per affrontare la povertà spesso non funzionano" rileva Vladimír Špidla, Commissario responsabile per gli affari sociali. "L’esclusione sociale è il risultato di più problemi, che vanno dalla mancanza di un lavoro o da competenze insufficienti (l’abbandono scolastico è del 15%, ndr) fino ad alloggi inadeguati, emarginazione sociale o disgregazione del nucleo familiare. Dobbiamo adottare un approccio integrato per offrire ai cittadini una vera e propria via d’uscita dalle condizioni di povertà. Ciò significa reintegrare quante più persone possibile nel mercato del lavoro, garantendo al tempo stesso a coloro che non lavorano l’accesso a risorse adeguate per poter vivere in maniera dignitosa". Affinché l’integrazione nel mercato del lavoro sia sostenibile, le persone svantaggiate devono essere sostenute con risorse sufficienti e servizi sociali personalizzati.

Bisogna però ricordare che i principi comuni definiti oggi dalla Commissione definiscono un contesto di riferimento soltanto volontario per gli Stati membri al momento di definire le loro politiche. Questi principi sono stati però elaborati grazie a un’ampia consultazione con i governi dei 27 e con tutti gli attori interessati, quindi c’è da prevedere che vengano in qualche misura seguiti.

I principi saranno discussi a livello formale dai governi nazionali nell’ambito del Consiglio Occupazione e affari sociali del dicembre prossimo, e che trarrà conclusioni circa le azioni da seguire. Il 2010 sarà l’Anno europeo della lotta contro la povertà, e presumibilmente l’Unione europea vuole arrivare a questo appuntamento avendo avanzato proposte adeguate per contrastare il problema. Starà poi ancora una volta ai governi applicare sul terreno le misure adeguate.

Nazioni Unite: nel mondo un milione di detenuti "illegalmente"

 

Ansa, 4 ottobre 2008

 

Navanethem Pillay, da un mese nominata Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha richiamato l’attenzione sui problemi dei detenuti - tra cui anche un migliaio di bambini - nel mondo, privati della loro libertà e trattenuti in prigione o altri luoghi di detenzione, spesso illegalmente. Durante la sua prima conferenza stampa dalla nomina ha dichiarato che "ogni giorno nel mondo, ci sono centinaia di uomini, donne e bambini costretti ingiustamente alla detenzione e spesso in condizioni inumane".

Pillay ha poi aggiunto che "il XXI secolo è il momento di prendere un’azione più decisa per ridurre l’invisibile ma diffusa violazione dei diritti umani". Sebbene non esistano dati certi, l’Alto Commissario ha dichiarato che "il numero delle persone detenute ingiustamente o in maniere inappropriate nel mondo si aggira attorno al milione".

Le dichiarazioni di Pillay precedono di qualche giorno il lancio dell’Iniziativa Dignità e Giustizia per i Detenuti, previsto per il 6 ottobre. L’iniziativa è stata voluta per aumentare la pressione su Stati, parlamenti, tribunali e altre istituzioni per abolire o quanto meno ridurre la detenzione arbitraria e illegale. L’iniziativa inoltre intende garantire condizioni di detenzione in linea con gli standard internazionali.

"Non siamo contro il sistema dei centri di detenzione; tuttavia essi devono essere riservati alle persone giudicate colpevoli in osservanza della legge e secondo gli standard di giustizia internazionale". L’Alto commissario ha sottolineato come spesso tra le persone detenute illegalmente ci siano anche disabili, immigrati, rifugiati politici e sfollati, giornalisti, sostenitori dei diritti umani e attivisti politici. "Nel mondo in questo momento ci sono persone come voi e me, rinchiuse ingiustamente in carcere" ha poi continuato Pillay.

Congratulandosi con il governo del Myanmar per il recente rilascio di sette detenuti politici, ha tuttavia ricordato che questo è solo un piccolo passo, tenuto conto che sono più di 2.000 gli attivisti politici costretti dietro le sbarre nel paese. "Esorto il Governo del Myanmar affinché vengano tutti liberati il prima possibile".

L’Alto Commissario ha poi evidenziato il caso di Aung San Suu Kyi, capo democratico e premio Nobel agli arresti domiciliari da 12 anni, sottolineando come alla donna sia stata riservata una sentenza più dura di quelle inflitte a criminali peggiori".

L’Alto Commissario ha accolto positivamente la decisione presa lo scorso giugno dalle Corte Suprema degli Stati Uniti circa l’allargamento dei diritti contenuti nella costituzione nazionale ai detenuti stranieri a Guantanamo e il diritto di contestare la detenzione presso un tribunale civile. "I detenuti di Guantanamo, alcuni dei quali imprigionati da più di 6 anni, hanno il diritto di una revisione dei capi di imputazione e di non essere inviati in luoghi dove verranno torturati" ha concluso Navanethem Pillay.

Messico: proposte di depenalizzazione per marijuana e aborto

 

Ansa, 4 ottobre 2008

 

Al fine di sconfiggere il narcotraffico, che giudica un vero flagello per la società, il rappresentante del Partido Socialdemocrata (Psd) Jorge Velasco Rocha, ha annunciato che prossimamente saranno presentate delle proposte di legge per depenalizzare marijuana e aborto nello Stato di Colima.

Entrando nella sede del Congreso del Estado, Velasco Rocha ha spiegato di voler consegnare personalmente il documento al deputato Adolfo Nunez Gonzales affinché, tramite il Prd, lo trasmetta all’aula, visto che il suo partito (PSD) non ha la rappresentanza popolare per poterlo fare. In merito alla proposta del partito di legalizzare la marijuana, ha detto che la presenteranno a breve: è giudicata una misura necessaria, soprattutto per l’immagine del Paese, dove il narcotraffico ha assunto il ruolo principale nello scenario di degrado politico e corruzione.

"Noi crediamo che sia necessario che questi temi entrino a far parte della risposta, poiché la risposta dell’esercito non serve a estirpare un cancro come quello del consumo di droga". È convinto che sia molto meglio se è lo Stato a intervenire direttamente sulle droghe per controllarle. Bisogna che la droga non sia più un problema di ordine pubblico, ma si trasformi in un tema sanitario. Finora non si è ottenuto niente di meglio che ingolfare le carceri, creare scuole di delinquenza, trascurare i meccanismi sanitari che sarebbero necessari.

Insieme alla legge sulla marijuana, Velasco Rocha ha consegnato al deputato Nunez Gonzales del Prd anche un’iniziativa di depenalizzazione dell’aborto, da discutere con la Ley de Sociedades en Convivencia. Considera importante lavorare per legalizzare l’aborto, tanto più alla luce delle statistiche di Città del Messico dove, da quando è stata promulgata la legge, in un anno vi hanno fatto ricorso 12 mila donne, 8 mila delle quali hanno praticato l’aborto dopo aver fruito di consulenza psicologica e assistenza medica, e 4 mila non lo hanno fatto.

"Ma il risultato è che di queste 12 mila nessuna è morta". La differenza è, secondo lui, che su 12 mila donne che praticano l’aborto clandestino il 12% muore, ossia sarebbero 2 mila. Se si tiene conto di queste cifre, si capisce come l’aborto faccia parte di una politica moderna, valida per tutta la popolazione. Non è possibile continuare a ignorare questi dati e la pratica dell’aborto per seguire la Chiesa, la quale ha già perso l’opportunità di dimostrare la sua capacità di guida politica e d’organizzazione sociale.

Alla Chiesa competono le questioni di fede, non di amministrazione politica e di sanità pubblica. Se poi si mettono in dubbio le cifre su aborto e morti conseguenti, lo si faccia pure, ma è chiaro che ogni volta che "le cause sono occultate dalle autorità e dai media, c’è un territorio oscuro nell’informazione in stati come il nostro". Aprire la tematica della legalizzazione dell’aborto entro le 12 settimane di gestazione consentirà di conoscere le cifre reali.

 

 

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