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Giustizia: "manovra" economica, tagli al Dap per 133 milioni
Il Sole 24 Ore, 27 ottobre 2008
Un taglio netto da 133 milioni di euro per l’Amministrazione penitenziaria. Per il 2009, solo il Dap paga un terzo dello scotto imposto dalla manovra triennale all’intera amministrazione della giustizia. Per arrivare ai complessivi 415 milioni bisogna guardare al settore civile e penale (-164 milioni) e a quello minorile (-8,7). Superano la soglia dei 414 milioni di euro i tagli che la manovra d’estate ha portato al ministero della Giustizia. Tra riduzione delle missioni (oltre 218 milioni) e trasformazione in tagli di spesa degli accantonamenti sulle dotazioni di bilancio (altri 196 milioni), la cura dimagrante per il 2009 è particolarmente pesante per l’amministrazione penitenziaria e, soprattutto, per la giustizia civile e penale. Per quest’ultimo "programma", infatti, il conto è di circa 164 milioni di euro che assorbe da solo il 40% dell’intero intervento. Le dotazioni dell’amministrazione penitenziaria, invece, si riducono di 133 milioni, consumando il 32 per cento dei tagli. Terza contrazione per ordine di grandezza è la sottrazione di poco più di 70 milioni di euro alle casse del ministero per sostenere le spese per l’edilizia (destinate agli uffici giudiziari e agli istituti penitenziari di nuovo alle prese con l’emergenza affollamento). Una boccata d’ossigeno al ministero di Via Arenula potrebbe però essere fornita dal meccanismo delle "rimodulazioni" che, secondo i dati della Ragioneria generale dello Stato, potrebbero di fatto rimpinguare la giustizia di 257 milioni di euro, rendendo meno traumatico l’impatto del decreto legge 112/08. Per quanto, a godere di tale linfa sembra destinata soprattutto l’amministrazione della giustizia civile e penale a detrimento del comparto penitenziario. Meno rilevanti, sia in valori assoluti, sia in termini percentuali, i ritocchi nel segmento della giustizia minorile, dove la manovra ha sottratto quasi 9 milioni di euro. Morale della favola se, alla vigilia della manovra triennale, le dotazioni finanziarie del Guardasigilli ammontavano a 7 miliardi e 700 milioni, il decreto legge 112 le ha portate al di sotto della quota dei 7 miliardi e 300 milioni riducendole del 5,4 per cento. Come detto, una misura che, per effetto della possibilità di rimodulare le dotazioni finanziarie tra le varie missioni, potrebbe scendere al 2,1 per cento. Giustizia: le misure del "Ministro della Paura"?… non ci sono di Stefano Anastasia
Fuoriluogo, 27 ottobre 2008
Il 15 ottobre scorso si è svolta l’annuale cerimonia della polizia penitenziaria. È stata l’occasione, per il nuovo Ministro e per il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, di scoprire un po’ le carte e di farci intendere cosa vogliano fare delle carceri e dell’intero sistema dell’esecuzione penale. In estrema sintesi: nulla. Buon ultimo, anche il ministro Alfano non ha potuto che recitare la consueta litania sul sovraffollamento penitenziario: più di 57.000 detenuti per poco più di 43.000 posti regolamentari (un consiglio: non parli più, Signor Ministro, della capienza tollerabile; la tolleranza oltre la norma - il Suo governo ci ripete a ogni piè sospinto - è illegale: al di là dell’incoerenza, non è un bell’esempio per i detenuti che volete rieducare e prima o poi qualche Asl vi obbligherà a chiudere). Le cause sono individuate nell’aumento della criminalità degli stranieri e negli arresti di pochi giorni. Le proposte sono quelle note: edilizia, espulsioni degli stranieri, braccialetto elettronico per i meno pericolosi. Cioè, nulla. Per dare un’adeguata sistemazione ai detenuti ci vorrebbero già oggi 15.000 posti in più. Se il ritmo di crescita della popolazione detenuta è quello che denuncia il Ministro, tra un anno se ne dovrebbero aggiungere almeno altri diecimila e via costruendo. Vi sembra una soluzione realistica? In questo Paese, in cui l’anno scorso è stato inaugurato l’Istituto di Gela, progettato nel 1959? Non parliamo poi delle espulsioni e del braccialetto elettronico, misure già previste e che hanno un grado di effettività pari a zero. Nulla. Forse qualche domanda in più sulle cause del sovraffollamento può servire, a meno che non ci si accontenti della spiegazione del nuovo capo del Dap (se tutte queste persone vengono incarcerate "è perché la macchina della sicurezza si è mossa bene"). Il ministro, che ci ha provato, parla dell’aumento della criminalità degli stranieri (quale? rispetto a quando?) e dell’effetto porta girevole, secondo cui 24.000 dei 94.000 entrati in carcere nel 2007 ne sono usciti entro il terzo giorno. Il problema è che questi - pur discutibili - dati empirici nulla gli suggeriscono. Non che gli venga in mente che se c’è una sovra-rappresentazione degli immigrati in carcere qualche problema ci sarà pure con la legge che li costringe nella illegalità; non che gli venga in mente che se 24.000 persone entrano ed escono dal carcere in tre giorni, forse potevano pure non entrarci. Le leggi, la criminalizzazione dei migranti, dei tossicodipendenti, della marginalità sociale, deve evidentemente sembrare al ministro una catastrofe naturale, non la conseguenza di scelte politiche, come quelle da lui stesso sottoscritte per l’introduzione del reato e dell’aggravante di immigrazione clandestina, o per la criminalizzazione della prostituzione. Il governo del carcere, prima che in carcere, si fa nelle scelte di politica sociale e di politica criminale. Se questo vuole essere il governo del ministro della Paura, icasticamente rappresentato dalla maschera di Antonio Albanese nella nuova serie di "Che tempo che fa", il ministro Alfano metta da parte i buoni sentimenti, lasci perdere i rimedi scaramantici e si appresti a rispondere agli organismi internazionali per i diritti umani: non gli mancherà il lavoro. Giustizia: detenute-madri; calendarizzare subito disegno legge di Donatella Poretti (Senatore Partito Democratico)
Agenzia Radicale, 27 ottobre 2008
Il disegno di legge n. 1129, di cui sono prima firmataria e che abbiamo presentato oggi durante una conferenza stampa al Senato, nasce dalla volontà di porre fine ad una situazione che va avanti ormai da troppo tempo, e che molti governi si portano appresso: quella che vede alcuni bambini vivere dietro le mura di un carcere. Bambini innocenti, la cui unica colpa è di essere figli di donne detenute. Il disegno di legge intende istituire case famiglia protette dove le donne detenute possano scontare la pena e vivere assieme ai figli minori anziché stare negli istituti penitenziari. Siamo intervenuti per completare quanto avviato dalla legge Finocchiaro n. 40 del 2001, che prevedeva misure alternative per le madri detenute. Nel tempo questa legge si è dimostrata inapplicabile per alcune detenute madri, soprattutto per quelle recidive, nonché per quelle in custodia cautelare e infine per quelle che hanno pene lunghe da scontare. Per queste madri, ma soprattutto per i loro figli, abbiamo previsto l’introduzione nell’ordinamento penitenziario di un nuovo modo che ne regoli la detenzione secondo un approccio più "umano", che prenda maggiormente in considerazione le esigenze particolari che il corretto sviluppo psico-fisico di questi bambini richiede. È una misura sicuramente urgente, visto lo stallo sistematico cui sono andate incontro, nelle legislature precedenti, simili proposte, ora non si può più temporeggiare ma occorre una rapida calendarizzazione perché arrivi nel minor tempo possibile la sua attuazione. Il disegno di legge è appoggiato dal sottosegretario alla Giustizia Elisabetta Alberti Casellati che in conferenza ha parlato di impegno forte del Ministero e del Governo, che concordano come sia "intollerabile che un bambino resti in carcere" e che si tratta di "una discriminazione intollerabile". Il progetto, redatto in collaborazione con l’associazione "Il Detenuto Ignoto", è stato salutato stamattina anche dall’ex sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi e dall’On. Rita Bernardini (Radicali - PD) che ha ribadito la necessità di corsie preferenziali per l’approvazione del disegno data l’urgenza della materia. Firmatari della proposta anche i senatori Adriana Poli Bortone, Emma Bonino, Marco Perduca, Franca Chiaromonte, Leopoldo Di Girolamo, Rita Ghedini, Tamara Blazina, Maria Pia Garavaglia, Enrico Musso, Manuela Granaiola, Vincenzo Vita, Giovanni Legnini, Mauro Del Vecchio, Salvatore Cuffaro. Giustizia: Brunetta; i magistrati devono "timbrare il cartellino"
Ansa, 27 ottobre 2008
Anche le toghe timbreranno il cartellino. Così almeno auspica il ministro della Pubblica amministrazione, che esterna senza sosta: "Mi diranno di tutto, ma io vado avanti". Sulla graticola, tra poco, ci finiranno i magistrati: "Molti di loro - ha spiegato ieri il ministro della Pubblica amministrazione e Innovazione, Renato Brunetta ai microfoni di Rtl 102.5 - lavorano solo 2-3 giorni a settimana, 2-3 pomeriggi a settimana e poi stanno a casa. Ecco - ha aggiunto il grande Esternatore antifannulloni - vorrei mettere i tornelli anche per i magistrati. Io l’ho già fatto a Palazzo Chigi, nel mio ministero e vorrei farlo per tutta la pubblica amministrazione, quindi magistratura compresa. Mi diranno di tutto ma io vado avanti. Aspetto solo che D’Alema mi dia di nuovo dell’energumeno tascabile".
Palamara (Anm): lavoriamo a casa perché uffici pochi
"Colpisce come dalle parole di un ministro si sia costretti a constatare come non si conosca nella maniera più assoluta quella che è la realtà giudiziaria, della magistratura e degli uffici italiani. Io penso che la politica quando si esprime debba conoscere la realtà sulla quale va ad impattare: dire che i magistrati lavorano due o tre giorni a settimana vuol dire, come dicevo, non sapere neanche di cosa si parla". Così Luca Palamara, presidente dell’Associazione nazionale dei magistrati, risponde su Rtl alle affermazioni fatte domenica dal ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta: "Si confonde, per esempio, il numero delle udienze che poi sono sempre superiori alle due o tre a settimana con quella che è l’attività lavorativa - prosegue Palamara - ed è l’ennesimo tentativo di far sì che quando si parla di giustizia anziché informare si disinformi. In questo caso prendiamo atto che lo fa il ministro Brunetta, perché se in realtà venisse a vedere quella che è al realtà giudiziaria degli uffici italiani constaterebbe come grazie all’impegno dei magistrati, degli avvocati, del personale amministrazione, dei magistrati onorari è stato possibile che la macchina della giustizia pur tra mille difficoltà sia andata avanti. Faccio un esempio: se il magistrato fa udienza due o tre volte a settimana non vuol dire che si esaurisca in quel contesto l’attività del giudice! "Il Ministro Brunetta - continua Palamara - non sa che mancano le aule e gli uffici per i magistrati per poter scrivere le sentenze nei tribunali. Diventa quindi fisiologico che il magistrato debba continuare il suo lavoro nella sua abitazione con mezzi e strumenti personali. È grave che il ministro Brunetta non l’abbia evidenziato"
Alfano: lavoriamo per l’efficienza
"Stiamo lavorando per una riforma della giustizia che dia efficienza al sistema". Così risponde il ministro della Giustizia Angelino Alfano, a Enna per l’inaugurazione dell’anno accademico della Facoltà di Giurisprudenza, alle domande sulla proposta del ministro Brunetta di apporre i tornelli anche per i magistrati. "Sarebbe bello vedere gli uffici giudiziari aperti anche il pomeriggio - ha aggiunto Alfano - con i magistrati che lavorano là dentro. Sarebbe bello vedere tutti i magistrati a lavoro anche di pomeriggio in Tribunale perché, tantissimi lavorano portando i fascicoli a casa, ed è vero che lavorano. Ha ragione anche il presidente di Anm, Luca Palamara, quando sostiene che tanti magistrati non hanno un proprio ufficio. Speriamo di potere rimediare facendo sì che, con le risorse derivanti dai fondi giacenti che stanno per essere restituiti agli istituiti di credito e dalle Poste con i beni confiscati, possiamo investire nel sistema giustizia e sicurezza". Conclude Afano: "Siamo al lavoro con il ministro Maroni per trovare le risorse che ci permetteranno anche di risolvere questi problemi logistici". Giustizia: da Zancan il Rapporto 2008 su povertà ed esclusione
Grillo News, 27 ottobre 2008
L’Ottavo Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia, redatto da Caritas Italiana e Fondazione Zancan, esce a ridosso della Giornata mondiale di lotta alla povertà (17 ottobre). Propone sin dal titolo una strategia di risposta all’interrogativo sollevato dalla precedente edizione: "Rassegnarsi alla povertà?". Partendo da un’analisi dell’attuale capacità di risposta del nostro sistema di welfare, in termini sia di spesa sia di tipologie di intervento, il volume individua gli strumenti utili per costruire un nuovo e concreto approccio al problema della povertà. I nodi da sciogliere sono molti, in un sistema che continua a privilegiare i trasferimenti monetari rispetto all’offerta di servizi e ad attribuire gli interventi di sostegno secondo criteri categoriali; un sistema privo di correlazione tra valutazione delle necessità e definizione delle risposte, con un uso inefficiente delle risorse, con disuguaglianze sempre crescenti. La scommessa consiste nel "ripartire dai poveri": vale a dire applicare seriamente il principio di equità sociale e di universalismo selettivo, mettendo al centro degli interventi di sostegno le persone più fragili. Offrire risposte adeguate a chi ha bisogno senza aumentare la spesa complessiva per la protezione sociale è una sfida possibile, se i centri di responsabilità interessati - istituzionali e sociali - sapranno affrontare il problema in termini di autentica collaborazione. Sulla questione sono prontamente intervenute le missionarie comboniane della redazione di Combonifem: "Un italiano su quattro è povero o rischia di diventarlo. Oltre 15 milioni di persone ogni giorno devono escogitare nuove modalità per sopravvivere, perché con un reddito inferiore o poco superiore ai 500 euro al mese non si riesce ad avvertire il problema della quarta settimana. La necessità arriva molto, molto prima" hanno scritto nella loro newsletter. Aggiungendo poi: "Il nostro Paese è lontano da quell’uguaglianza decantata dalla Costituzione, la politica poi lo è ancora di più. Perché chi fino ad oggi è stato chiamato a governare l’Italia - destra e sinistra - ha dimenticato il vero significato di quella politica che deve occuparsi prima di ogni cosa della "polis", ha scordato la povera gente, cosa voglia dire arrivare a fine mese, cercare un lavoro, non avere la possibilità di poter formarsi una famiglia". Giustizia: Milano; con i processi on-line risparmiati 14 milioni di Lionello Mancini
Il Sole 24 Ore, 27 ottobre 2008
Un bel lavoro a tre - avvocati, magistrati, ministero della Giustizia - per tagliare la durata dei processi. Un esperimento riuscito, pur con tutti gli affanni e gli inciampi insiti nel pionierismo, tanto da entrare nella rosa dei finalisti al premio "Bilancia di cristallo della Giustizia", assegnato da Consiglio d’Europa e Commissione europea alle "migliori pratiche innovative e di efficienza nei tribunali europei, che contribuiscono al miglioramento della qualità del sistema giudiziario civile". Così, svettando tra un totale di 38 progetti (11 dei quali italiani), i risultati del milanese Processo Civile Telematico (Pct) hanno fatto discutere a lungo la giuria internazionale di 11 giuristi, anche se poi l’ha spuntata il Regno Unito con la sua rete di mediazione per le piccole cause. Menzione d’onore per la rosa finalista composta da Italia, Francia e Turchia. Un bel progetto, quello di Milano, ormai maturo per essere diffuso in altri tribunali. Enrico Consolandi, capofila dei giudici sperimentatori, lavora all’VI-II sezione civile e sintetizza così: "Il decreto ingiuntivo telematico emesso dal Tribunale è un atto stilato dal difensore, inviato, lavorato e redatto su supporto informatico e trasmesso per via telematica". Vengono così ridotti al minimo i passaggi e le iscrizioni in cancelleria, gli errori nelle trascrizioni, i tempi di numerazione degli atti e così via. Le stime sugli effetti di questa nuova procedura avviata a fine 2006 sono basate sui dati estratti dal Sicc (Sistema informatico cancellerie civili): una rendicontazione impossibile con il cartaceo. "Tralascio i risparmi generali di carta, tempo, personale impiegato - prosegue Consolandi -. Rilevo solo che in un anno viene al momento trattato per via telematica un valore complessivo di circa 700 milioni. Tenuto conto che i tempi della procedura risultano tagliati di almeno due mesi solo per la differenza tra il costo del denaro e il tasso legale d’interesse (2,5%), nella sola Milano questa innovazione vale 14 milioni. Ovvero la Giustizia garantisce il diritto di pretendere 700 milioni due mesi prima di quanto non avvenisse in passato". Non è poco, come sa chi il denaro deve comprarlo in banca perché il decreto tarda. Fin qui i numeri, che illustrano i risultati raggiunti e quelli raggiungibili con gli adeguati sviluppi. Nelle stanze del Tribunale di Milano si coglie tuttavia un’aria sospesa: l’esperimento è vicino a una felice conclusione, ma il poco che manca (qualche decina di migliaia di euro, due o tre persone per assistenza e formazione, aggiustamenti più rapidi del software) tarda ad arrivare e non se ne capisce il perché, mentre cresce l’ansia per il regime di tagli imposto alla Pa, tanto che nelle rimodulazioni traballa il precedente meccanismo di finanziamento mentre in Via Arenula dicono: eccellenti, i risultati di Milano, ma la scarsità di risorse "ci imporrà delle scelte e il Pct non rientra tra le priorità". Il che, precisano, non significa che il processo telematico non ci piace, "ma questa è la dura realtà". A impensierire il ministero, per dirne una, è che il pianeta avvocati possa trovarsi in difficoltà a dotarsi del punto telematico di accesso e a investire in tecnologia. "Affari loro. Gli avvocati iscritti a Milano sono 14.500, ma in Italia siamo 226mila. Chi non si aggiorna è perduto - tuona Paolo Giuggioli, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano e protagonista indiscusso dell’avvio del Pct -. Invece di preoccuparsi per noi avvocati, il ministero pensasse a rispondere in tempi decenti alle richieste che gli arrivano, anziché lasciar passare mesi per una semplice firma". Giuggioli è fermamente convinto che il futuro sia nell’uso avanzato delle tecnologie e, fosse per lui, procederebbe velocemente verso l’iscrizione a ruolo e le notifiche mediante codice a barre "per ridurre al minimo il lavoro delle cancellerie di cui, e non certo per colpa dei cancellieri, tutti gli avvocati si lamentano". Le possibilità di allargamento della sperimentazione vincente a livello europeo, risiedono nelle prossime scelte del ministero. Ne ha parlato di recente Sergio Brescia, direttore generale per i sistemi informativi di Via Arenula, davanti alla commissione Giustizia della Camera: "Noi siamo pronti -ha detto Brescia -. Mi auguro che, come previsto, entro fine mese ci arrivino nuovi fondi per investimenti grazie all’accordo con la Funzione pubblica". Intanto, ha aggiunto, "dal 2009 il processo civile telematico per i decreti ingiuntivi sarà allargato all’intera Lombardia mentre è già programmata con copertura l’estensione ai Tribunali di Catania, Bologna, Genova, Padova e Torino". Sempre che altre priorità non assorbano gli scarsi fondi a disposizione della Giustizia. Venezia: il carcere scoppia, aumentano tensioni e aggressività
La Nuova di Venezia, 27 ottobre 2008
Sovraffollamento a livelli insopportabili e un’aggressione grave nel carcere maschile Santa Maria Maggiore. Questa la realtà emersa ieri in occasione della festa annuale della polizia penitenziaria. La denuncia pubblica giunge dalla direttrice Gabriella Straffi e dal comandante di reparto del carcere maschile Daniela Caputo. La prima ha alle spalle oltre vent’anni di esperienza trascorsi nei tre istituti penitenziari veneziani (Casa reclusione donne, Servizio attenuato tossicodipendenti, Casa circondariale maschile Santa Maria Maggiore); la seconda opera a Venezia dal maggio 2007. Sono circa 300 allo stato attuale i carcerati a Santa Maria Maggiore, a fronte di una capienza di 240. Ma erano 230 i detenuti prima dell’indulto. La Straffi esordisce affrontando la questione della legge sull’indulto: "La realtà va guardata a viso aperto, senza infingimenti. Registro un progressivo esaurirsi degli effetti dell’indulto". L’atto di clemenza entrato in vigore il primo agosto 2006 non ha chiuso problemi ma ha riproposto antichi disagi. La tempestività del provvedimento aveva creato ebbrezza per la libertà precocemente recuperata, preoccupazione per il futuro tra gli ex-detenuti e fibrillazione nell’ambito delle istituzioni locali coinvolte. Il 7 agosto 2006 il prefetto Guido Nardone aveva indetto una riunione straordinaria facendo il punto della situazione: 155 i dimessi, tra cui 39 donne; 15 imputati in attesa di giudizio; 85 fruitori di misura alternativa, tra cui 58 del territorio veneziano. "Non posso tacere - ha dichiarato ieri la Straffi - che a Venezia è stata raggiunta e superata non solo la capienza regolamentare, ma anche quella tollerabile degli istituti. Prima dell’indulto al Circondariale maschile i carcerati erano 230; di recente è stata toccata, in qualche caso oltrepassata, quota 300 detenuti a fronte di una capienza accettabile di 240 persone. Al carcere femminile la capienza teorica è di 100 detenute, nel 2006 erano 90, oggi 82. In particolare la popolazione detenuta nel carcere di Santa Maria Maggiore nei primi dieci mesi del 2008 è stata in media di 280 e comunque non è mai scesa al di sotto dei 270. Nel medesimo periodo gli ingressi sono stati 1200 con scarcerazioni avvenute, nel 60% dei casi, entro i tre giorni successivi all’ingresso". La direttrice invita a "non sottovalutare il fenomeno" e spiega: "Le carcerazioni di breve durata sono tra le cause del sovraffollamento degli istituti e comportano un aggravio di lavoro e di problemi organizzativi. Aggiungo che la percentuale dei detenuti stranieri è molto elevata. Supera il 72% del totale sia al circondariale maschile che al femminile. È caratterizzata da una molteplicità di etnie. Oggi in numero di 22". La direttrice è preoccupata per l’incremento progressivo dei detenuti che a Venezia non si arresta: "Questa non è una contingenza momentanea ma una stabile realtà. Segnalo pubblicamente il ritorno a una condizione di sovraffollamento. Abbiamo difficoltà. I reclusi sono portatori di tensioni e conflitti. Non abbiamo prospettive di aumento di risorse. Ciò crea preoccupazione e disagio". Anche l’intervento della comandante Caputo sottolinea la gravosità della condizione carceraria: "Risale a qualche giorno fa un episodio di aggressione da parte di un detenuto straniero su alcuni agenti. Di frequente negli ultimi tempi la situazione di sovraffollamento è critica. Siamo a contatto con una popolazione detenuta sempre più numerosa, stipata, aggressiva". Bolzano: 130 detenuti e per 12 ore al giorno non c’è un medico
Alto Adige, 27 ottobre 2008
Gli agenti di polizia penitenziaria in servizio al carcere di via Dante sono stressati. Tanto, troppo. Non solo perché il sistema carcerario italiano fa acqua da tutte le parti, ma anche per altro. Un nutrito gruppo di loro, esasperato dopo mesi di tentativi "interni", sindacali e quant’altro, ha chiesto all’Alto Adige di farsi portavoce del loro profondo disagio. "La direzione del carcere - raccontano - non è molto presente e da diversi mesi ci manca il comandante, ora sostituito da un vice che fa il suo meglio, ma le difficoltà non mancano. A dirla tutta, non avrebbe nemmeno il grado per farlo, essendo un semplice ispettore e non un commissario, come vorrebbe il nostro regolamento". Così, per via delle supposte carenze direttive, "grandi e piccoli problemi si accumulano. Ora non ce la facciamo davvero più, qualcuno deve intervenire, perché sino ad ora abbiamo solo sentito promesse elettorali, ma fatti ne abbiamo visti pochi". La struttura, come ha sottolineato nella sua recente visita anche il ministro della Giustizia Angelino Alfano, è fatiscente. Oggi, su una capienza ottimale massima di 90 detenuti, la casa circondariale ne contiene 138. Gli agenti dovrebbero essere 80, ma in realtà, visti i vari distaccamenti ad altre sedi, sono circa 65. Sovraffollamento, personale scarso, complicazioni legate alle differenti etnie dei carcerati, flussi di entrata e uscita degli stessi detenuti sempre più veloci e frenetici. Tutto ciò accade un po’ ovunque. Pare però che a Bolzano, oltre ai problemi usuali, se ne presentino altri. Legati alla regolarità della turnazione, alla suddivisione dei compiti, alla mancata risoluzione di questioni varie, magari a prima vista non cruciali ma che, sommate a tutto il resto, stanno facendo penare il personale. Perché già il lavoro in sé è stressante e logorante. In più, "a volte - raccontano le stesse guardie carcerarie - ci pare che ci sia l’interesse a non risolvere i problemi". Il tetto puntellato che tanto preoccupa, le tubature che "fanno acqua da tutte le parti". Un fatto deplorevole, poi, "è che siamo senza medici 24 ore su 24. Un tempo ce n’erano in servizio 5 o 6, ora sono soltanto due, per un totale quotidiano di 12 ore di servizio. Il resto della giornata non c’è nessuno. Qui ci sono tentativi di suicidio, atti di autolesionismo. In più, abbiamo malati conclamati di Aids o di epatite, ma per l’assurdità delle norme sulla privacy non ci è consentito sapere chi siano. Se uno si taglia apposta, di notte, o tenta di impiccarsi, siamo noi a dovercelo accollare - senza particolare preparazione specifica - fino all’arrivo del 118. E poi, c’è da notare che noi non siamo in grado di stabilire se un detenuto stia davvero male. Un tempo era semplice, quando il medico era qui fisso: conoscendo uno per uno tutti i carcerati, capiva subito se si trattava di una simulazione. Ora, invece, c’è il rischio che qualcuno se ne esca in autolettiga perché ha semplicemente voglia di farsi un giro all’aria aperta". Altro grave e annoso problema: la caserma dove alloggiano gli agenti senza famiglia o casa a Bolzano. "È in condizioni indecorose: mancano i soldi anche per la ditta delle pulizie, che non viene da mesi e mesi. Però, di recente, qui al carcere hanno speso circa 130mila euro solo per realizzare un inutile archivio. Se ne poteva tranquillamente fare a meno, spendendo per altro, più urgente". "Il direttore - proseguono - indice una riunione all’anno, e mai una volta che ci abbia chiesto se qualcosa non va. Ora, dopo varie insistenze, ci ha fissato una riunione per novembre, ma non ci speriamo più di tanto". Le problematiche di cui discutere sarebbero ancora infinite. "Le stesse misure di sicurezza - per noi agenti non per i detenuti - sono davvero scarse. Su ognuno dei tre piani nelle cosiddette ore di socialità, quando le celle vengono aperte, siamo solo un agente per piano, con decine di detenuti a testa da controllare. Soli, senza porte automatiche o gabbiotto. Siamo soli. A disposizione solo le nostre chiavi". Modena: oltre 200% sovraffollamento; stranieri 2 detenuti su 3
La Gazzetta di Modena, 27 ottobre 2008
Carceri sempre più sovraffollate: 458 i detenuti attuali presso la casa circondariale, che avrebbe una capienza massima di 204 posti, anche se è previsto un ampliamento di 150 posti. Le celebrazioni del corpo di polizia penitenziaria, che quest’anno festeggia 191 anni, diventano occasione per snocciolare dati sempre meno rassicuranti. L’anno scorso ci eravamo lasciati con il catastrofico post-indulto: tutti fuori, ma in pochi mesi, di nuovo tutti dentro. In un anno cosa è cambiato a Modena? Sant’Anna scoppia, e l’organico è all’osso. E ancora: il 71% dei detenuti è extra-comunitario, 29 le nazioni tristemente rappresentate dietro le sbarre: 132 italiani, 325 stranieri, tra i quali 141 di nazionalità marocchina, e 69 provenienti dalla Tunisia. Seguono Albania, Romania, Algeria e Yugoslavia. Sul totale di detenuti 425 sono gli uomini, 33 le donne. Il reato più commesso rimane lo spaccio di sostanze stupefacenti, seguito, in ordine di numero di reati commessi, da furto, rapina, violenza sessuale, omicidio ed associazione a delinquere. Gli agenti di polizia penitenziaria impegnati dal 1 novembre 2007 sono 164, dieci in più rispetto l’anno scorso. Nonostante ciò, la carenza di personale è del 30%. "Dopo aver valutato questi dati, ora Modena deve decidere se scegliere la strada della reintegrazione o quella della repressione" sottolinea Paolo Madonna, direttore della casa circondariale penitenziaria di Sant’Anna. "Per questo motivo il carcere chiede aiuto economico e umano alla società, per dare vita ad una giustizia di recupero e rieducazione. La struttura penitenziaria dovrebbe fornire l’accompagnamento al percorso evolutivo del detenuto e la cultura della legalità andrebbe diffusa sia dentro che fuori dalle carceri, perché è proprio qui che si riflette l’immagine della società. Molti problemi, come quello dell’immigrazione, andrebbero risolti all’origine". Anche Mauro Pellegrino, comandante di reparto della casa circondariale di Modena evidenzia l’importanza di un lavoro gratificante per i detenuti: "nella casa di reclusione di Castelfranco Emilia sono presenti ampi spazi in cui vengono coltivati prodotti agricoli, allevate mucche, prodotto vino ed aceto balsamico. Il lavoro tenace e l’alto spirito di sacrificio dei nostri agenti, deve essere accompagnato da attività culturali, di volontariato, di sport". Nello Cesari, Provveditore Regionale dell’amministrazione penitenziaria ha sottolineato quanto questo lavoro diventa più difficile con il passare del tempo: "ricordiamo che tutti i problemi sociali non risolti prima o poi finiscono dietro le sbarre". Alla cerimonia celebrativa, ieri mattina al Forum Monzani, erano presenti le massime autorità cittadine: proprio il Sindaco Giorgio Pighi, il deputato Isabella Bertolini e il Prefetto di Modena Giuseppina Di Rosa hanno consegnato onorificenze speciali agli agenti che in quest’ultimo anno si sono distinti per meriti particolari. Messaggi di stima e gratitudine sono arrivati anche dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dal Ministro della Giustizia Alfano e dal Capo del Dipartimento Franco Ionta che propone un incremento nella costruzione di strutture carcerarie, una maggiore tecnologia di controllo, la messa in uso del braccialetto elettronico e l’espulsione degli extra-comunitari irregolari. Pordenone: per il nuovo carcere serve decisione in tempi rapidi
Messaggero Veneto, 27 ottobre 2008
La polizia penitenziaria di Pordenone, come quella di tutt’Italia, ha celebrato ieri l’annuale di fondazione del Corpo, avvenuta nel 1817. A dirla tutta, gli operatori penitenziari pordenonesi hanno ben poco da festeggiare, viste la vetustà e l’inadeguatezza del carcere in cui si ritrovano a lavorare, ma la ricorrenza ha dato, se non altro, ulteriore modo di sottolineare in forma ufficiale a chi di competenza le condizioni ormai insostenibili del "castello". Lo ha sottolineato con toni tanto eleganti quanto inequivocabili anche Alberto Quagliotto, da circa un anno direttore del carcere di Pordenone: "È davvero trascorso molto tempo dal 1817, allorché furono promulgate dal re di Sardegna, Vittorio Emanuele I, le "regie patenti" che approvarono lo "stabilimento delle famiglie di giustizia e delle carceri", atto di nascita dell’attuale Corpo di polizia penitenziaria. La citazione storica suona sottilmente ironica per la nostra città - ha fatto notare nel suo intervento, nel corso della cerimonia tenutasi nell’auditorium della Regione, in via Roma a Pordenone - solo a pensare che quello stesso antico regolamento, qualche anno più tardi, riunito il Friuli all’Italia, sarebbe stato applicato nel medesimo luogo ove ci troviamo ancora adesso: il "castello". Tanto basterebbe a indicare quali possano essere le difficoltà del lavoro che gli operatori penitenziari si trovano a gestire". E mentre la disputa tra Stato e Regione sul nuovo carcere pordenonese inizia a sembrare datata quanto quello vecchio, il direttore ha aggiunto: "Non voglio ritornare, almeno in questa sede, sulla trita questione della vetustà della struttura penitenziaria in termini di facile lettura - ha aggiunto il direttore Alberto Quagliotto -, che rischierebbe di farmi apparire prevedibile nei contenuti: ed è noto quanto sia talvolta difficile esprimere, nelle occasioni di circostanza, notizie che non sembrino assodate e scontate. Ma, nella nostra realtà pordenonese, vorrei sperare che la scontatezza dei fatti non diventi rassegnazione ad uno status quo, per non rischiare parimenti di diventare il segno di una sconcertante e quotidiana manifestazione di impotenza. E non solo sul semplice terreno delle scelte di edilizia. Non voglio entrare, per opportuno rispetto delle altrui e più alte competenze, nell’annosa questione Pordenone-San Vito - ha detto ancora -, o altre soluzioni che si dovessero prospettare, ma è chiaro ormai che si impongono decisioni non più differibili: le chiedono, ancor prima che la situazione di chi è recluso in istituto, soprattutto e a maggior ragione la dignità e la professionalità di chi vi lavora quotidianamente". "Tutto, nel carcere cittadino, è, infatti, miniaturizzato, compresso, ristretto, angusto, ritagliato talvolta in maniera fortunosa. E in questo disagio logistico si cala la complessa e delicata attività della polizia penitenziaria, la quale, oltre ai compiti tradizionali, nel tempo ha dovuto far fronte anche ad altri servizi, a cominciare da quelli di accompagnamento e piantonamento, in precedenza svolti da Carabinieri e Polizia di Stato. Compiti svolti in sofferenza d’organico, ma sempre con estrema professionalità. Ecco perché l’ultimo e più importante pensiero in questa occasione lo voglio riservare agli appartenenti alla Polizia penitenziaria di Pordenone - ha concluso il direttore del carcere -, a cui esprimo il mio ringraziamento, a partire dal comandante Attilio Napolitano, mio principale collaboratore, e a tutti gli uomini e le donne (a Pordenone sono tre, ndr), che quotidianamente varcano i cancelli del "castello" per compiere il loro dovere di persone d’ordine e di legge".
I dati degli ultimi dieci mesi di attività
È stato il comandante del reparto di Polizia penitenziaria di Pordenone, vicecommissario Attilio Napolitano, ieri nell’auditorium della Regione, ad aprire la cerimonia per l’anniversario di fondazione del Corpo. Presenti all’appuntamento, tutte le autorità civili, militari e religiose della provincia, nonché un consistente numero di familiari degli operatori penitenziari, i quali, dopo gli interventi e la consegna degli attestati di merito, sono stati intrattenuti da un intervallo musicale del Quartethos Claria e, quindi, invitati al rinfresco allestito al vicino Caffè Letterario. Interessanti i dati forniti dal comandante Napolitano relativamente alla situazione del carcere cittadino, che ospita mediamente un’ottantina di detenuti e in cui lavora una cinquantina di operatori penitenziari, tra i quali tre donne. Un organico, quello degli operatori penitenziari, piuttosto ridotto, che negli ultimi nove mesi ha gestito l’ingresso in "castello" di 165 detenuti, dei quali 51 provenienti da altri istituti, e di 121 detenuti rimessi in libertà o agli arresti domiciliari, occupandosi inoltre di effettuare 435 accompagnamenti, nonché di piantonare in ospedale 4 detenuti, di assicurare 73 visite di detenuti in strutture ospedaliere, di gestire 3 ricoveri urgenti, di effettuare 26 notifiche a domicilio e 5 accompagnamenti aerei. Il tutto, con una percentuale di detenuti stranieri pari a circa il 65 per cento del totale. Da dire, inoltre, che, nonostante i disagi logistici del carcere, una sezione è riservata esclusivamente ai "sex offenders", con la particolare gestione che ne consegue. Passiamo, infine, al momento più toccante della cerimonia, ovvero la consegna dei riconoscimenti. Attestati di merito sono stati consegnati all’assistente di polizia penitenziaria Paola Boz, campionessa mondiale di sumo, "per aver onorato come atleta del Gruppo sportivo Fiamme azzurre l’Istituto di Pordenone", e al vice sovrintendente Daniele Luigi Zecca, del Gruppo operativo mobile, "per la professionalità dimostrata e per la collaborazione prestata all’autorità giudiziaria nella risoluzione di problematiche connesse alla gestione penitenziaria di esponenti della criminalità organizzata di stampo mafioso". Croci d’argento per anzianità di servizio sono state assegnate al vice sovrintendente in quiescenza Francesco Barbieri; al sovrintendente capo in quiescenza Gaetano Napoli; all’ispettore superiore in quiescenza Giuseppe Rossini; all’ispettore capo in quiescenza Donato Bisceglia, unitamente alla medaglia d’argento per meriti di servizio. Ricompense per meriti civili, infine, all’assistente capo Santo Blogna (medaglia di bronzo), e all’assistente capo Francesco De Simone (medaglia d’oro). Teramo: il Progetto Intra; dal carcere al reinserimento sociale
www.teramonews.com, 27 ottobre 2008
In un anno, grazie al progetto Intra, sono stati 70 i detenuti che hanno fruito dei servizi dello sportello del Centro per l’impiego aperto all’interno dell’istituto penitenziario di Castrogno. Un risultato significativo, considerando che il progetto, finanziato dal Fondo Sociale Europeo, dal Ministero del Lavoro e dalla Regione Abruzzo nell’ambito dell’iniziativa comunitaria Equal, si propone proprio di favorire il reinserimento lavorativo e sociale di chi si trova o è stato in carcere. Delle azioni integrate per la transizione al lavoro di detenuti ed ex detenuti e dei risultati del progetto Intra si parlerà domani, nella sala conferenze dell’Istituto alberghiero Di Poppa, dalle ore 9 in poi, alla presenza dei rappresentanti degli enti partner a livello locale e nazionale: la Provincia di Teramo e le altre Province abruzzesi, il Provveditorato regionale del Ministero di Giustizia, il Cefal (agenzia di ricerca e formazione); Confcooperative e Ance Abruzzo. Grazie a questo lavoro congiunto, nel carcere di Castrogno lo sportello del Centro per l’impiego è attivo da un anno con diversi servizi quali il Silus (servizio dedicato agli utenti svantaggiati), la mediazione culturale e l’orientamento. Nell’arco dell’intera durata del progetto (luglio 2005 - ottobre 2008), grazie all’integrazione fra le risorse di Intra ed i servizi delle province di Chieti, L’Aquila e Teramo ed il coinvolgimento prioritario delle strutture penitenziarie, dei Centri per l’Impiego, dei servizi dell’esecuzione penale esterna (Uepe) e degli altri servizi attivati, sono state realizzate azioni dirette alla costruzione di strategie rieducative offrendo ai detenuti la possibilità di acquisire competenze lavorative. In futuro anche servizi come la "creazione d’impresa" saranno a disposizione dei detenuti, che per il momento possono partecipare all’interno dell’istituto penitenziario ad una serie di seminari informativi sul tema gestiti da Confcooperative. Al convegno sono attesi, oltre ai rappresentanti delle Province di L’Aquila e Chieti, il Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria per l’Abruzzo e il Molise, Salvatore Acerra; il presidente dell’Ance Abruzzo, Gennaro Strever; il presidente di Confcooperative Abruzzo, Anna Maria Lanci. Interverranno anche alcuni tra gli esperti e i tecnici del settore più noti e accreditati a livello nazionale. Tra questi, Maria Luigia Culla, dirigente generale del Ministero di Giustizia per i progetti del Fondo sociale europeo e degli istituti penitenziari; Giacinto Siciliano, direttore della casa di reclusione Opera-Milano, uno degli istituti penitenziari più grandi d’Italia; Dino Tessa, direttore generale della casa di formazione per gli istituti penitenziari della Regione Piemonte. Previste anche le testimonianze di alcuni detenuti. Le conclusioni sono affidate alla dirigente del settore Lavoro e Formazione dell’ente, Daniela Cozzi. "Riteniamo un fatto importante - afferma il presidente della Provincia, Ernino D’Agostino - che nel corso del progetto si sia realizzata una rete fra i principali soggetti che, nei territori delle province di Chieti, L’Aquila e Teramo, operano a favore di detenuti ed ex detenuti. La rete assicura un’ampia partecipazione alle attività previste dal progetto e promuove il consolidamento delle esperienze positive realizzate attraverso di esso". "La realizzazione del progetto Intra - dichiara Gabriella Sacchetti, coordinatrice del progetto - non costituisce il momento di arrivo di un’esperienza di inclusione lavorativa nell’universo penitenziario, ma rappresenta la costruzione di una base di partenza per la realizzazione di strategie che, già a livello europeo, costituiscono un’economia non di sostegno e di assistenza all’emarginazione ma di sviluppo e di emancipazione attraverso lo strumento ‘lavorò". Viterbo: due artigiani insegnano arte pasticciera a 20 detenuti
Ansa, 27 ottobre 2008
Per 250 ore, a partire dal 16 maggio scorso, hanno lavorato duramente per tre giorni a settimana (dalle 9 alle 12 e dalle 13 alle 15) fra tegami e teglie, impasti e fornelli, zucchero, farina e cioccolata. Il 20 ottobre hanno portato a termine le loro fatiche e sono divenuti aspiranti pasticceri. Si tratta di 20 detenuti del carcere Mammagialla di Viterbo che, grazie alle lezioni di due artigiani pasticceri locali, hanno conseguito una qualifica professionale che potrà essere utile in vista di un futuro reinserimento nella società. Il corso è stato promosso dalla Regione Lazio con il contributo del Garante Regionale dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, secondo cui "nel carcere di Viterbo, come del resto in tutti gli Istituti di pena del Lazio dove si svolgono questi corsi, sta accadendo una cosa straordinaria: grazie alla passione degli insegnanti e al coinvolgimento dei detenuti è nato un luogo di lavoro come ce ne sono in tutto il mondo, e questa normalità può contribuire in maniera determinante al reinserimento sociale dei detenuti. Permettendo ai detenuti di acquisire una formazione specifica, infatti, si fornisce loro una carta in più da spendere sul mercato del lavoro, una volta usciti dal carcere e tornati a pieno titolo nella società, contribuendo al tempo stesso a migliorare la percezione di sicurezza dei cittadini". Il corso rientra nell’ambito del progetto S.F.I.DE (Sistema Integrato di Formazione per Detenuti) attivato nell’ambito dell’iniziativa Chance, dell’Assessorato all’Istruzione, Formazione e Diritto allo studio della Regione, e gestito da EnAIP Lazio, capofila dell’Associazione Temporanea di Scopo. Il progetto coinvolge il Prap e 13 carceri laziali con 16 moduli di formazione professionale, 12 di alfabetizzazione informatica, 10 moduli per il consolidamento di competenze trasversali, 11 percorsi di orientamento e 50 tirocini di orientamento all’interno e/o all’esterno del carcere. Una delle esperienze più interessanti è stata il corso per pasticceri all’interno del "Mammagialla" di Viterbo, che attualmente ospita oltre 500 detenuti, e dove sono già state svolte diverse attività come produzioni agricole di qualità, florovivaistica, ristorazione, con il supporto di professionisti e cooperative locali. Il corso per Operatore addetto alle produzioni di Pasticceria è stato tenuto da due artigiani di Viterbo - Maurizio Deci ed Ermes Lombardelli, titolari in città della pasticceria Lombardelli - con l’obiettivo di creare, a medio termine, un marchio e la produzione di una linea di biscotteria secca di qualità con utilizzo di prodotti biologici e promozione di dolci tipici. Il laboratorio attrezzato del carcere potrebbe diventare luogo di produzione e punto di raccordo tra diverse realtà ed esperienze. La produzione potrebbe utilizzare le materie prime locali, anche prodotte all’interno del carcere; la commercializzazione dei prodotti sarebbe sostenuta nel mercato locale dai professionisti e cooperative già coinvolte ma potrebbe usufruire di un ulteriore partner che potrebbe diffondere i prodotti nel mercato laziale. Reggio Emilia: Telefono Azzurro cerca volontari per la ludoteca
La Gazzetta di Reggio, 27 ottobre 2008
La ludoteca del carcere di via Settembrini cerca nuovi volontari per riuscire a garantire la presenza di un operatore non solo il sabato. Soprattutto ora che dentro La Pulce c’è una bimba nigeriana di poco meno di 3 anni, in cui genitori sono coinvolti in una storia di droga. La piccola vive ora in cella in attesa che il giudice convalidi l’arresto della madre. Se la misura cautelare sarà confermata, la donna e la bambina saranno trasferite in una struttura detentiva attrezzata ad accogliere minori: la legge garantisce infatti ai figli con meno di tre anni di età di poter restare con la madre anche dietro le sbarre. La ludoteca della Pulce, nata insieme allo spazio verde della struttura penitenziaria nell’ambito del progetto "Bambini e carcere", che è stato promosso da "Telefono Azzurro" su tutto il territorio nazionale, è attiva e operante all’interno della casa circondariale di Reggio da circa tre anni. Allestita e gestita dai volontari del comitato reggiano dell’Associazione, una trentina di persone in tutto, la ludoteca è aperta solo nella giornata di sabato. Ma i figli dei detenuti - erano 78 nel mese di maggio scorso - giocano in carcere anche durante la settimana. O meglio: lo fanno nelle ore di colloquio. "Per portare avanti questo progetto, per estenderlo anche agli altri giorni della settimana e per mettere in cantiere nuove iniziative, come ad esempio i cosiddetti "progetti scuola contro il bullismo", contro gli abusi sessuali sui minori e per l’affiancamento in orario extra-scolastico dei bambini e dei ragazzini che hanno difficoltà di relazione e di socializzazione oppure problemi di rendimento in classe, il comitato di Telefono Azzurro di Reggio cerca nuovi volontari", dice Valentina Lanzafame, coordinatrice del comitato reggiano dell’associazione. "E tra le altre attività in programma, oltre ai banchetti dell’associazione, c’è anche la volontà di dar vita a "Vivi il parco", un progetto per animare nelle giornate della domenica alcuni dei parchi cittadini" continua la coordinatrice. Nel frattempo i volontari di Telefono Azzurro entrano nelle strutture penitenziarie italiane gestendo un ambiente a misura di bambino, circondato da giochi, pupazzi e colori (la ludoteca del carcere di Reggio è stata dipinta da un detenuto) e in cui si possono fare piccole attività ricreative. Per portare avanti questo progetto, per tutte le altre attività dell’associazione, il comitato di Telefono Azzurro di Reggio cerca nuovi volontari. Il prossimo corso di formazione partirà tra novembre e dicembre. Chiunque fosse interessato e avesse un po’ di tempo libero a disposizione, può telefonare al numero 0522.292970 il lunedì sera dopo le 21, oppure inviare una e-mail all’indirizzo di posta elettronica comitatoreggio@tiscali.it. Intanto il 22 e 23 novembre prossimi tornerà in tutte le piazze italiane la campagna "Accendi l’azzurro". Busto Arsizio: tutelare dignità dei detenuti, per il loro recupero
Varese News, 27 ottobre 2008
Garantiscono l’ordine nelle carceri e lavorano per dare ai detenuti una seconda possibilità. Sono gli uomini e le donne della polizia penitenziaria che questa mattina a Busto Arsizio hanno celebrato la festa del corpo provinciale. Sono più di trecento gli agenti impiegati a Varese e Busto Arsizio che si occupano di oltre seicento detenuti. "Il ruolo che lo Stato ci ha assegnato è fondamentale nella lotta contro la criminalità - ha spiegato Michela Cangiano, vice commissario e comandante del reparto di Busto Arsizio -. È nostro compito mantenere l’ordine e la sicurezza nel carcere oltre a prevenire risse, evasioni, rivolte e anche atti di autolesionismo. L’insieme di queste attività richiede controlli costanti e un’organizzazione complessa. All’interno delle carceri della nostra provincia ci sono detenuti di 44 nazionalità diverse: questo implica una maggiore attenzione da parte delle nostre forze dell’ordine all’ascolto e alla risoluzione dei problemi che possono nascere all’interno delle strutture". Ma il lavoro della polizia penitenziaria non si limita alla tutela dell’ordine, va oltre, compiendo un passo molto importante per la sicurezza di tutta la società: "Aiutare il detenuto a recuperare la legalità è parte del nostro lavoro quotidiano - ha aggiunto Michela Cangiano -. Il rispetto dei carcerati, la salvaguardia della loro dignità sono i primi passi che ci permettono di lavorare sul loro recupero e reinserimento. Li aiutiamo a responsabilizzarsi e a riconquistare il rispetto di se stessi. L’ingresso in carcere non priva l’individuo dei suoi diritti". A celebrare la giornata di festa, oltre a un nutrito gruppo di spettatori, c’erano diverse autorità tra cui il questore di Varese Matteo Turillo, il prefetto Simonetta Vaccari, il sindaco della città di Busto Arsizio Gigi Farioli. "Le forze dell’ordine - ha commentato il primo cittadino - hanno dimostrato in questi giorni che lo Stato c’è e che ha come orizzonte la speranza e non la disperazione". La parola è passata poi al direttore della Casa Circondariale di Varese, Gianfranco Mongelli che ha presentato alcune attività di recupero sociale dei detenuti avviate in collaborazione con alcune associazioni di volontariato e ha sottoposto nuovamente il problema del sovraffollamento e ha ribadito la necessità di trovare una nuova soluzione per il carcere Miogni di Varese. Questioni che sono state ribadite dal direttore del carcere di Busto Arsizio e di Como Salvatore Nastasia che si è soffermato sull’importanza della collaborazione con gli attori del territorio sul fronte della sicurezza e del reinserimento dei carcerati. La cerimonia si è conclusa con la consegna delle onorificenze agli agenti che si sono distinti per la loro attività: Sebastiano Palmese, Enrico Murru, Pietro Trani, Lucio Formato, Luciano Mereo, Rosario Arcidiacono, Pasquale De Giglio, Antonio Coviello, Sinibaldo Diurno, Alessandro Croci, Angelo D’Elia, Fedele Raspanti, Sebastiano Mangiafico, Renato Petrella, Giuseppe Vargiu, Paolo Santus. Sassari: detenuto belga ha il cancro, chiede di tornare in patria
La Nuova Sardegna, 27 ottobre 2008
All’inizio di ottobre gli è stato diagnosticato un cancro al pancreas: una delle forme di tumore più aggressive e difficili da curare. Lui vorrebbe tornare nel suo paese, in Belgio, per essere seguito da medici di cui si fida e per avere vicini i suoi parenti. Per una persona normale, questo elementare diritto alla salute può essere garantito senza alcun problema. Per chi si trova in carcere, come Jacques De Decker, 62 anni, da due a San Sebastiano, in attesa di giudizio per droga, poter fare le valigie e tornare a casa è molto più complicato. Il problema è che più tardi inizierà la terapia, meno speranze avrà di guarire. Jacques De Decker, di padre belga e di madre congolese, dal maggio del 2006 è in custodia cautelare in carcere perché accusato di traffico di droga, nell’ambito dell’inchiesta "Uova d’oro" della guardia di finanza. Il caso è approdato da tempo in tribunale e circa quattro volte al mese, in corte d’assise, si svolgono udienze davanti al collegio. All’inizio di settembre, il detenuto aveva iniziato ad accusare dolori nella zona del fegato. Per questo, si era rivolto al medico del carcere, che aveva disposto una serie di accertamenti. Inizialmente, infatti, si era pensato alla presenza di calcoli biliari, ma durante i controlli, che si sono conclusi alla fine di settembre, è venuta fuori l’amara verità: i medici hanno diagnosticato al cittadino belga un cancro al pancreas. La gravità di questo tipo di tumore è anche dovuta al fatto che solitamente ha un decorso molto aggressivo e la presenza di sintomi è indice di malattia in fase già avanzata. Nell’udienza successiva alla diagnosi, all’inizio di ottobre, De Decker aveva chiesto al collegio giudicante di poter tornare in Belgio per essere curato. Alla proposta di andare a Verona, lui si era opposto dicendo di voler essere curato da medici di cui si fida. In Belgio, inoltre, vivono i suoi familiari. Il collegio si era così riservato di decidere. Nell’udienza successiva, il 16 ottobre, il detenuto si era di nuovo rivolto ai giudici, per chiedere cosa avessero deciso. E il collegio aveva rinviato ancora la decisione. Il 23 ottobre, sempre in tribunale, gli avvocati di De Decker, Elias Vacca e Giuseppe Onorato, hanno richiesto al collegio di consentire al loro assistito di partire per il Belgio, per farsi curare e di dare il permesso anche alla moglie, anche lei detenuta a San Sebastiano per lo stesso caso (lei si è sempre dichiarata innocente). Venerdì scorso il collegio ha rigettato la richiesta e ha disposto una verifica da parte di un altro medico. Domani dovrebbe essere dato l’incarico a un perito. La diagnosi di tumore non è stata fatta da un medico di parte, ma da quello del carcere. "La detenzione di Jacques De Decker non è la conseguenza di una condanna, ma è una misura cautelare. Nelle sue condizioni di salute - hanno detto i legali durante l’udienza -, non ci sarebbe il rischio di fuga e comunque De Decker resterebbe nel territorio dell’Unione Europea. Sempre per via delle sue condizioni, non ci sarebbe il rischio di reiterazione del reato, né di inquinamento delle prove". La speranza, per il detenuto, è che il medico incaricato dal collegio presenti al più presto la perizia. Ogni giorno di ritardo nel dare il via alla terapia, rischia di tradursi in giorni di vita in meno per Jacques De Decker. Verona: vigilantes armati sugli autobus, la sera e la domenica
Il Corriere della Sera, 27 ottobre 2008
Viaggi con le guardie sugli autobus. L’Atv, l’azienda del trasporto pubblico veronese, tira fuori dal cilindro sei vigilantes. Ogni giorno dalle 21 alle 24, e la domenica anche di pomeriggio, saliranno a bordo dei mezzi di trasporto per "tutelare il patrimonio viaggiante". Le guardie giurate armate non potranno sostituirsi alle forze dell’ordine chiedendo, per esempio, i documenti di identità. Ma avranno il compito di sorvegliare che non succeda niente di anomalo e dovranno intervenire immediatamente in caso di flagranza di reato. "È certamente un’iniziativa positiva che arriva da un amico e collega di partito, Gianluigi Soardi, presidente dell’Atv. Sono favorevole, anche perché lo sappiamo tutti che dopo una certa ora sugli autobus accadono fatti spiacevoli, dai furti ai borseggi. In questo modo, invece, gli anziani e le donne si sentiranno più tranquilli e utilizzeranno più volentieri ì nostri mezzi pubblici", sorride il sindaco leghista Flavio Tosi, celebre per i suoi provvedimenti anti-bivacchi, anti-prostitute (all’aperto e al chiuso), anti-residenze facili (presi di mira reddito e fedina penale), anti-fumo nei parchi (dopo Napoli), anti-foto di Napolitano (nel suo ufficio, a favore di Pertini). "A me l’etichetta di sceriffo non interessa, mi sta a cuore soltanto sapere che i miei cittadini si sentono sicuri", chiosa. Le guardie giurate saranno operative da domani, si alterneranno sulle principali linee urbane e su quelle "più a rischio". La sperimentazione andrà avanti per un mese e, se il bilancio sarà positivo, diventerà permanente. "Non si tratta di una misura di emergenza, ma preventiva, che accompagna altri provvedimenti, come l’impianto di video sorveglianza sui bus in collegamento con la centrale operativa", spiega Gianluigi Soardi. I vigilantes aiuteranno i viaggiatori anche con il nuovo sistema di pagamento elettronico del biglietto e "regoleranno il traffico" di chi sale e chi scende, "quando troppe persone si accalcano su una porta", il presidente dell’Atv insiste: "Credo che la nostra sia la prima azienda in Italia ad adottare un servizio di questo tipo. L’abbiamo scelto cogliendo le opportunità che ci offre la nuova normativa regionale. Ma questo non significa che Verona non sia una città sicura". Genova: le "lucciole" protestano contro lo sgombero dei "bassi"
Liberazione, 27 ottobre 2008
"Non siamo criminali", e ieri si è sfilato così per le vie di Genova, proprio lì dove De Andrè ha trovato l’ispirazione per le sue canzoni più belle. Le "lucciole" hanno attraversato i vicoli stretti della città vecchia, con ombrellini rossi e maschere tra le lanterne. "Non siamo criminali" continua Pia Covre, leader storica del movimento per i diritti civili delle prostitute. "Non siamo criminali" ripetono le ragazze tra qualche sguardo meravigliato e qualche sorriso di chi, curioso, si ferma a guardare. La decisione di protestare è nata sulla scia di una forte indignazione seguita a quel provvedimento deciso dal Comune di vietare di affittare "i bassi" per uso abitativo. Un’altra di quelle ordinanze - denunciano le prostitute - che dietro una facciata di perbenismo nasconde ben altro: la voglia di "sfrattare" chi da sempre - dicono le ragazze - ha abitato qui. "Altro che aumentare gli affitti. Il Comune dovrebbe aiutarle queste ragazze per non farle sottostare ad affitti troppo alti", continua Covre. E in strada si distribuiscono volantini con su riportate proprio le prime strofe della storica canzone di De Andrè Via del Campo . Ma anche una serie di rimostranze chiare. Così si sfila contro la Carfagna che intende eliminare il racket con le multe a prostitute e clienti. A Roma Alemanno è stato il primo a dare il via a una campagna senza alcun effetto, se non quello di continuare a fomentare un razzismo non più mascherato che, anzi, ogni giorno purtroppo si rende più visibile con azioni dimostrative contro migranti, con striscioni cupi che ricordano i peggiori periodi della storia della città, con blitz contro le prostitute. E nel documento le "lucciole" rivendicano altresì la loro dignità, il loro posto nella società, e l’interlocutore principale è proprio il sindaco del capoluogo ligure, Marta Vincenzi. "Venite a scoprire che la prostituzione - dicono le ragazze - è un fenomeno che non si può combattere. È un fenomeno che va ascoltato". "Basta ipocrisia" urla qualcun’altra. Anche perché è inutile - continua Covre - nascondere la testa sotto il cuscino. Fare finta di niente. Il messaggio è chiaro: "La prostituzione non è reato e i clienti delle prostitute non sono criminali". "Boccadirosa - si legge sul volantino - c’è e lotta insieme a noi". E comunque - continua Covre - con il sindaco "ci sono ancora margini di trattativa". "C’è sicuramente - annota anche Antonio Bruno, consigliere comunale in quota Prc - un clima isterico e un po’ bacchettone che va contrastato". Il movimento, comunque, non si fermerà fino a che non si riuscirà ad incontrare il sindaco per spiegare le ragioni della protesta. Perché, dice ancora Covre, "ci sono ancora margini di trattativa". C’è, naturalmente, anche la precisa volontà di tutte di ricordare che "la proposta del ministro Carfagna non eliminerà certo il racket. La criminalità organizzata per soddisfare la domanda, che non cesserà, sposterà le donne in appartamenti dove la violenza, gli abusi e le aggressioni avranno sicuramente gioco facile", continua Covre. E sul petto ciascuna ha appuntato anche una spilla proprio con il titolo della campagna avviata dal collettivo delle prostitute di Bologna: "Anche io sono una puttana" c’è scritto. Ma non una criminale. Immigrazione: Irina e le altre, storie di vita e speranza nel Cpt di Giulia Gentile
L’Unità, 27 ottobre 2008
C’è chi segue corsi di bricolage e chi cerca di imparare la lingua italiana. Per chi è finito dentro come clandestino c’è anche la possibilità di recuperare gli stipendi maturati al lavoro. L’ultima in ordine di tempo l’avevamo chiamata Irina. Trentaquattro anni, moldava, non una delinquente, né una prostituta. Lavorava come badante a Padova prima di essere arrestata come irregolare e accompagnata al Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di via Mattei a Bologna. Dall’inizio del mese Irina è ospite di una struttura gestita dai Servizi sociali del Comune, dove sta portando avanti il percorso di terapia psicologica e farmacologica iniziato in una clinica del Padovano e proseguito proprio dentro all’ex Cpt. Una mosca bianca nel panorama nazionale dei centri di trattenimento per gli immigrati clandestini, la struttura alla periferia est della città. Sia chiaro, il Cie era e resta un odioso limbo dove chi arriva in Italia vede drammaticamente infrangersi il sogno di una vita più serena, lontano da guerra e povertà. Limbo che però, paradossalmente, in qualche occasione si trasforma in opportunità di vita.
Irina e le altre
Quaranta, dal novembre 2006 al luglio di quest’anno, le straniere salvate dalla tratta della prostituzione attraverso la convenzione fra Misericordia (che gestisce la struttura sotto le due Torri come a Modena, ndr) e associazione "Sos donna": quaranta casi in cui altrettante immigrate approdate in via Mattei hanno ottenuto un permesso di soggiorno per ragioni di giustizia dopo aver denunciato i propri sfruttatori. Più facile avviare percorsi di salvataggio per le donne che per gli uomini, raccontano gli operatori del Progetto Sociale di Franco Pilati, che dentro all’ex Cpt lavorano al supporto socio psicologico e legale per gli stranieri. Ma ad esempio, sottolinea la Garante cittadina per i diritti dei detenuti Desi Bruno, unica in Italia a poter entrare al centro ogni volta lo desideri, "per gli operai e i manovali in nero che lavorano nei nostri cantieri e poi vengono truffati dai titolari" prima di finire in manette come clandestini, grazie all’appoggio del Centro lavoratori stranieri della Cgil "siamo riusciti in molti casi a recuperare stipendi mai pagati".
Recupero e riduzione del danno
E poi ci sono i servizi garantiti a tutti i trattenuti (a settembre, nella nostra ultima visita al centro, gli "ospiti" erano 51 uomini e 40 donne, per un totale di 91 persone su una capienza massima di 95 posti), ogni giorno: dall’appoggio psicologico due volte alla settimana, allo sportello legale (aperto quattro giorni su sette), al quotidiano supporto alle diversità offerto dagli otto mediatori socioculturali. A fianco dei laboratori creativi, da circa un mese gli immigrati possono anche frequentare un corso di italiano. Così negli spazi in cui chi sognava l’integrazione dovrebbe solo attendere un triste rimpatrio, gli stranieri imparano a leggere e a scrivere nella lingua dell’eldorado che li vuole rispedire al Paese d’origine. "Si fa di tutto perché il tempo che queste persone passano all’ex Cpt non sia completamente sprecato - dice Bruno -: questo non è legittimare i centri, ma offrire una condizione dignitosa alle persone". Droghe: don Gallo; sì alla legalizzazione, no al proibizionismo di don Andrea Gallo (fondatore della Comunità San Benedetto al Porto)
Il Secolo XIX, 27 ottobre 2008
La Comunità San Benedetto al Porto è riconoscente al senatore Carlo Giovanardi, sottosegretario con delega ai problemi della tossicodipendenza, per la sua visita. Abbiamo ascoltato e certamente approfondiremo i documenti, le ricerche scientifiche che ci ha lasciato. Al centro la legge vigente "Fini-Giovanardi" approvata nel 2006. Siamo grati ai nostri interlocutori per averci permesso di esprimere il nostro orientamento che può essere riassunto in tre linee guida: 1) la riduzione dei danni e delle sofferenze individuali e collettive che il triste fenomeno droga produce; 2) il graduale e difficile smantellamento della costruzione sociale, morale, culturale e giuridica che sorregge ed amplifica questa realtà; 3) l’attivazione di una strategia di cura, abilitazione e prevenzione che produca un contenimento della domanda di droga. In sintesi, con una lunga esperienza sul campo, proponiamo la "legalizzazione" di tutte le sostanze della tabella (darsi regole nuove) e il "prendersi cura". Attivare una strategia di cura nel senso fenomenologico del "prendersi cura" della Persona e non solo del curare malattie chiede alla nostra pedagogia di diventare calda e umana. Da Don Bosco a Don Milani. Riteniamo fondamentale far prevalere la logica educativa su quella punitiva. Innanzi tutto non vogliamo demonizzare le sostanze con il rischio di mitizzarle. Una domanda cruciale: quali benefici hanno portato negli ultimi trent’anni il proibizionismo e il punizionismo? Vogliamo trasmettere una cultura che insegni a non credere che la chimica possa essere la risposta ai bisogni umani. Un costume di vita serio e impegnato a chiarire i danni, quando sono presenti, senza allarmismi o pretese scientifiche parziali. La legge attuale pone come irrinunciabile il "dovere" di cura, magari forzata. La Comunità San Benedetto parte dal "diritto di cura". Educare non punire, questo è il nostro pane quotidiano. Poniamo al centro la persona stimolandola all’etica della responsabilità personale. Occorrono costanza, entusiasmo, fiducia e indubbiamente norme di comportamenti condivise e motivate. Non offriamo ai giovani percorsi facili, permissivi, con omertà e trasparenza. Chiediamo un impegno costante, una lotta quotidiana. In questi ultimi trent’anni, il proibizionismo e il punizionismo hanno lasciato sulle strade del mondo 32 milioni di morti. E gli ammalati? Tutte le infezioni? Il virus delF’Hiv che serpeggia. Siamo ancora in attesa del vaccino. È una strage mafiosa. Infatti il mercato fiorisce, quasi indisturbato. Ci interroghiamo, con tanti esperti, sui seri risultati della medicina, della psicologia, della sociologia, del diritto. Non vogliamo soccombere all’inganno-droga creato dalle strategie politiche e mafiose con una caparbietà e una tenacia pari solo alla ormai comprovata inefficacia. La guerra all’offerta è fallimentare. Perché accanirsi a rivolgere la guerra alla domanda? A tante ragazze e ragazzi che vivono con l’inquietante inquilino del nichilismo? Viviamo in un contesto che vede un progressivo riespandersi del controllo sociale attraverso il diritto penale e amministrativo. Assistiamo infatti a un rifiorire del discorso pubblico delle richieste di "legge e ordine", di inasprimento dei meccanismi sanzionatori di espansione delle aree di intervento del diritto penale: "la sicurezza" nella sua accezione semplificatoria e banalizzante di mero ordine pubblico come priorità dei programmi politici, non solo delle forze di destra tradizionali ma anche dei partiti di opposizione. In direzione ostinata e contraria rispondiamo con un antiproibizionismo non ideologico ma profondo e credibile da inserire nel discorso complessivo sui diritti civili, politici, sociali e sulle vecchie nuove esclusioni. Vogliamo legare antiproibizionismo e forte critica dell’esclusione sociale. Ci sembra non solo opportuno ma come l’unica via teoricamente convincente per elaborare una metodologia all’altezza della sfida. Nessuno si libera da solo, nessuno libera un altro, ci si libera tutti insieme non a colpi di slogan intimidatori. C’è una fatica nel dialogo, nel confronto, nell’autocritica. La nostra proposta è di articolare maggiormente e diversificare i servizi pubblici (da potenziare) per ampliare il campo delle opportunità per tutti i nostri giovani. Tradotto in termini operativi ciò significa predisporre programmi a bassa soglia di accesso, incrementare programmi con utilizzo di farmaci modulati unicamente sulle esigenze di terapie individualizzate. Allestire interventi intermedi, flessibili e centrati nel contesto territoriale, fra spazi sociali e ricreativi, l’ambulatorio, luoghi igienici per consumare, le comunità terapeutiche, unità di strada, centri diurni, attività serali, case alloggio, borse lavoro... secondo una cultura della continuità e della complementarità fra servizio pubblico e privato sociale da sostenere adeguatamente. Una strategia complessiva per una varietà di offerte per tutte le tipologie di utenza (da coloro che sono disponibili a un programma drug-free a chi può essere accompagnato, con attenta pazienza, nella sua avventura, nel rispetto della dignità personale. Dal penale al sociale, dalle sanzioni amministrative a una pedagogia rigorosa e non rigida. Resteremo fermi sulla riduzione del danno senza pretese miracolistiche e di conseguenza collaboreremo per una legalizzazione di tutte le sostanze. Non liberalizzazione! Ci sforzeremo di coinvolgere tutte le Agenzie educative: la famiglia, la scuola, la Chiesa, lo sport, i mass-media, non perché siamo fautori di un pensiero e di una pratica "debole" nei confronti della complessità, ma al contrario perché abbiamo un pensiero e una pratica "forte" in termini di valori e cultura. Pratica che si fonda sui principi politicamente irrinunciabili della democrazia che affronta il dramma in crescita delle vecchie e nuove emarginazioni. Droghe: a Udine sperimentazione narco-test per avere patente
Notiziario Aduc, 27 ottobre 2008
Anche Udine entrerà nella rosa delle città italiane, con Foggia, Verona, Cagliari e Perugia, dove si sperimenterà il test anti droga prima di ottenere la patente di guida. Lo ha detto il sottosegretario alla famiglia e alla lotta alla droga Carlo Giovanardi, ieri, a Udine. "Udine ci ha chiesto verbalmente di essere soggetto di questa sperimentazione. Ne parleremo presto con il presidente della Regione Renzo Tondo - ha proseguito il ministro - anche in vista della conferenza nazionale sulle tossicodipendenze in programma il prossimo marzo a Trieste". Giovanardi ha poi sottolineato le misure messe in campo dal governo per la lotta alla droga: "Attività di prevenzione e di informazione, attenzione per il recupero in collaborazione tra Sert e privato sociale e anche per i danni che la droga provoca, come per i giovani coinvolti in incidenti stradali. L’esperienza fatta a Verona con test con strutture mobili hanno dato risultati preoccupanti: l’80% dei giovani monitorati sulla strada un giovedì sera è risultato positivo ai test per uso di stupefacenti e alcolici". Tra le altre misure in programma, il test obbligatorio per le professioni a rischio, ha detto Giovanardi, "e una intensificazione delle attività del Dipartimento antidroga presso la presidenza del consiglio che era stato abrogato dal governo Prodi". Gran Bretagna: ogni settimana nelle carceri nascono 4 bambini
Apcom, 27 ottobre 2008
Il numero di bambini nati tra le mura di una prigione britannica si è duplicato da quando il Labour è al potere arrivando al picco di quattro nuovi nati a settimana, rivela The Independent. Dati del Ministero della Giustizia dimostrano che dall’aprile del 2005 al luglio di quest’anno nelle prigioni inglesi sono nati 283 bambini, ma di questi ben 49 sono venuti alla luce tra l’aprile e il luglio 2008. L’accusa che viene mossa ai laburisti dai liberaldemocratici e dai gruppi per la difesa dei diritti dei carcerati riguarda il giro di vite attuato dal Labour nei confronti di donne che hanno commesso reati: il loro numero è raddoppiato negli ultimi anni, arrivando a oltre 4500 donne imprigionate. Spesso però vengono condannate per reati minori come furto o ricettazione e il fatto che siano incinta non allieva per nulla la loro condanna. Da qui il baby boom dietro le sbarre. Francia: "braccialetti Gps" per controllare ex detenuti pericolosi di Leonardo Martinelli
Il Sole 24 Ore, 27 ottobre 2008
Nicolas Sarkozy, durante la campagna elettorale per le presidenziali, lo aveva promesso: una Francia più sicura e una giustizia più equa, ma anche più severa. A un anno e mezzo dal suo arrivo all’Eliseo le carceri sono piene come mai: 64.250 detenuti (al 31 luglio scorso, gli ultimi dati ufficiali) per 50.800 posti disponibili. Ancora: 88 suicidi di prigionieri dall’inizio dell’anno, quattro di adolescenti. Rachida Dati - il ministro della Giustizia francese che ha fatto approvare la legge del 10 agosto 2007, che impone pene minime ai recidivi (perfino minorenni, con più di 16 anni) - è nell’occhio del ciclone. Il ricorso al braccialetto elettronico, già in uso, dovrebbe essere esteso dalla nuova legge penitenziaria, all’esame del Consiglio di Stato (potrebbe arrivare in Parlamento nei prossimi giorni). "Una delle novità più importanti è che vogliamo estendere il braccialetto alla custodia cautelare", anticipa Guillaume Didier, portavoce del ministro della Giustizia. Questo nel caso di reati per i quali le pene non superino i due anni. Si vuole installare il braccialetto sistematicamente negli ultimi quattro mesi di detenzione a chi è sottoposto a una pena di massimo sei mesi. "Tutti vogliono la reintegrazione dei prigionieri nella società. Ebbene, il braccialetto permette proprio questo - spiega Didier -. Se poi libera dei posti nelle carceri, tanto meglio". L’obiettivo è proporre almeno 2.500 braccialetti in più ogni anno, a partire dal 2000. E soprattutto quelli "mobili". "Siamo favorevoli ai braccialetti elettronici - sottolinea Bruno Thouzellier, presidente dell’Unione sindacale dei magistrati -, ma ancora oggi siamo scettici sul corretto funzionamento di quelli con il Gps". David de Pas, del Sindacato della magistratura, fa presente che questo strumento "si rivela spesso socialmente ingiusto, perché può essere proposto, per ragioni pratiche, solo a chi ha un domicilio fisso". È dal 1997 che la Francia ha autorizzato l’utilizzo del braccialetto, almeno di quello "fisso", che obbliga la persona a restare al suo domicilio e a spostarsi solo in orari autorizzati. Può essere proposto in caso di provvedimenti di libertà condizionata, ma solo se la condanna è inferiore a un anno. Con una legge del 12 dicembre 2005 è stato introdotto anche il braccialetto "mobile", provvisto di tecnologia Gps, destinato soprattutto a soggetti che hanno finito di scontare la pena, ma che per il tipo di reati commessi (sessuali, ad esempio) devono essere controllati dalle forze dell’ordine durante tutti gli spostamenti. Ad oggi sono oltre 3.400 i braccialetti installati, quasi tutti fissi. Ma con le prigioni ormai strapiene, si vuole fare un passo in avanti.
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