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Giustizia: Berlusconi; lotta dura e senza quartiere alla mafia di Alessandro M. Caprettini
Il Giornale, 17 ottobre 2008
E adesso, lotta dura e senza quartiere alla mafia, alla camorra, alla ‘ndrangheta. Bisogna liberare il Mezzogiorno dalla criminalità e con Maroni stiamo mettendo a punto un’offensiva che partirà a breve". Esce dalla sede del Consiglio, Silvio Berlusconi e preannuncia un nuovo obiettivo adesso che ha raggiunto i due che si era prefisso all’arrivo a Bruxelles: una ridiscussione del pacchetto ambiente-energia e l’inserimento dello spinoso tema dell’immigrazione nelle politiche comunitarie e, dunque, da decidere tutti assieme e non più singolarmente. "È ora - aggiunge deciso - di agire con assoluta determinazione! Vedrà: riusciremo a sradicare la criminalità organizzata dal Sud". Sembra in gran forma, il Cavaliere. Anche se confessa di sentirsi un tantinello stanco "per aver difeso i nostri interessi", ma anche per via di un "mal di schiena" che lo tormenta da qualche giorno. Il che non toglie che gusti con una certa soddisfazione il risultato che riporta a Roma dopo un consiglio che per l’Italia sembrava poter divenire assai complesso. "Diciamo - ammette ora con una punta di compiacimento - che essendo divenuto il decano di questo organismo, spesso chiedono il mio parere e stanno ad ascoltare quanto dico". La cosa funziona, e bene, stando alle concessioni strappate in tema di ambiente, ma anche su altri dossier. Certo l’unanimità non la si raggiunge sempre, tant’è che su alcuni temi prevale il rinvio, ma intanto si fanno passi avanti come è accaduto per la crisi finanziaria, per lo stop ai divieti degli aiuti di Stato e tant’altro. "Certo - borbotta il Cavaliere - se ci fosse maggior coesione... se avessimo una Costituzione e una presidenza stabile". Per lui sta iniziando a divenire un cruccio. Perché è difficile - come confida ai suoi - trattare con alcuni Paesi dell’Est che modificano le proprie posizioni di volta in volta, secondo le loro convenienze, o mostrano qualche debolezza in ragione delle rispettive politiche interne. La verità è che forse solo lui e Sarkozy in questo momento (la Merkel va a elezioni tra un anno, Brown tra due o meno) riescono ad assumere posizioni decise, sapendo di aver dietro il Paese. Intorno, c’è molta confusione. "Ma se il Ppe dovesse vincere le elezioni e riuscissimo a far approvare la Costituzione agli irlandesi...", sospira. Non ha tenuto conto però della voce che a poche centinaia di metri, nella sede dell’Europarlamento, gira ormai da giorni. I conservatori inglesi, su indicazione di David Cameron, usciranno dal Ppe. "Davvero? - replica Berlusconi -. Di questo non sapevo nulla né se n’è fatto cenno nel corso dell’incontro dei vertici del Ppe prima del summit". Si vedrà. Per intanto conta il risultato raccolto. E mica solo sul clima. "Sull’immigrazione - racconta il premier - finalmente siamo riusciti a concretizzare quanto ci eravamo proposti da anni: fare del tema un oggetto di normativa comunitaria. Lo so io quanto mi ci è voluto! Telefonavo a Barroso un giorno sì e l’altro pure visto che eravamo in prima linea, più esposti di ogni altro. Finalmente si parlerà a una sola voce. Non più uno Stato solo con un altro Stato di provenienza o di passaggio. Sarà Bruxelles a decidere come ci si dovrà comportare. Non è cosa da poco, no? Anzi, sa che le dico? Che per noi è una grande vittoria". "E adesso - aggiunge con decisione - sotto con il resto". E il resto è continuare a muoversi come una trottola - nonostante il mal di schiena - per organizzare quel G-plus che ha in mente da tempo e che si terrà l’anno prossimo proprio in Italia: accanto al G7 più i russi, il premier vuole anche Cina, India, Brasile, probabilmente Egitto e Sudafrica per cercare di metter ordine nell’economia mondiale. "Mi metto in moto già la prossima settimana - annuncia - per discutere a Pechino con i cinesi. Poi da gennaio ci saranno incontri con gli indiani e con tutti gli altri". Ma il resto è anche seguire da presso le ricadute della crisi finanziaria sull’economia reale, marciare sul federalismo e tanto altro. "Ma il primo impegno è la lotta alle mafie - assicura -. È ora di cancellarle dal territorio. Tutte. E in fretta!". Giustizia: Alfano; nel Civile "filtro" ai ricorsi per Cassazione di Angelino Alfano (Ministro della Giustizia)
Guida al Diritto, 17 ottobre 2008
La riforma del codice di procedura civile appena approvata dalla Camera ha come obiettivo la creazione di un processo civile equo e dalla durata ragionevole, in linea con i dettami della Costituzione e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Quel che abbiamo inteso soprattutto recuperare è la funzione di servizio del processo civile, nella consapevolezza che una giustizia lenta e farraginosa produce danni incalcolabili: per la qualità della vita dei cittadini, per l’economia del Paese, per la credibilità della magistratura, per le casse dell’Erario. Le cause di questa involuzione sono numerose, ma, anche per non cadere nel velleitarismo, abbiamo ritenuto di doverci concentrare essenzialmente su due di esse e di costruire di conseguenza gli assi portanti dell’intervento riformatore. Da un lato, il processo civile soffre oggi di un’obiettiva macchinosità e per questo abbiamo creduto di dover radicalmente eliminare i tempi morti del processo. Il codice di rito è ancor oggi affollato di congegni burocratici e di inutili formalismi che gli impediscono di essere uno strumento di agevole utilizzo, al passo con il mutato contesto economico e sociale. Per renderlo più aggiornato, abbiamo anzitutto ritenuto opportuno puntare sull’informatizzazione. Già nel dl n. 112 del 2008 abbiamo così previsto che tutte le notifiche e tutte le comunicazioni di cancelleria possano essere fatte con l’uso della posta elettronica, sì da velocizzare e semplificare i rapporti tra l’ufficio giudiziario e i difensori. Una riforma semplice, a costo zero, che prelude alla creazione del fascicolo informatico e che proietta il processo civile nel presente della realtà telematica. In questa stessa direzione vanno poi il nuovo procedimento sommario di cognizione, che costituirà una corsia preferenziale per le cause di facile soluzione e che costituirà un’importante alternativa al procedimento ordinario; la delega sulla mediazione, che porterà alla creazione di organismi professionali deputati alla conciliazione stragiudiziale, la riduzione dei termini processuali e infine la testimonianza scritta, che consentirà ai testimoni di deporre mediante la compilazione di un modulo e che renderà meno affollate e caotiche le aule dei tribunali. Dall’altro lato, abbiamo puntato a responsabilizzare i protagonisti del processo attraverso; una valorizzazione della lealtà processuale. Abbiamo così previsto una disciplina più rigorosa della compensazione delle spese, creato un sistema di sanzioni a carico della parte che abbia causato l’allungamento dei tempi di durata del processo. Abbiamo codificato il principio di non contestazione, che imporrà alle parti di difendersi senza ambiguità, posto un argine alle sentenze-trattato, introdotto le astreintes, misura attesa da generazioni di studiosi e oggi finalmente a disposizione dei creditori per indurre i debitori all’adempimento spontaneo. In questa cornice, che riprende sotto molti aspetti l’elaborazione compiuta dal precedente Governo, in una linea di continuità inspiegabilmente disconosciuta dall’opposizione, viene a inserirsi il "filtro" per i ricorsi davanti alla Corte di cassazione. Quale coerenza può essere riconosciuta all’intervento riformatore, ci siamo chiesti, se le semplificazioni e razionalizzazioni realizzate nell’ambito del processo di primo grado continuano a trovare poi nel giudizio di legittimità un insuperabile "collo di bottiglia", che, oltre a mortificarne il prestigio, impedisce alla Corte di esercitare la sua funzione nomofilattica e determina un nuovo allungamento di quei tempi procedimentali complessivi che ci sforziamo di ridurre? Come è possibile richiamare le parti alla leale processuale se poi si consente loro di utilizzare il ricorso davanti al Supremo collegio come un estremo tentativo, sul cui buon esito si fa affidamento non per la obiettiva meritevolezza della questione sottoposta al giudice di legittimità, ma sulla base di un calcolo di probabilità? Ebbene, su questo punto il dibattito parlamentare è stato confortante, se è vero che la stessa opposizione, al netto delle sterili polemiche sulla frettolosità dell’intervento (come se una malattia così grave potesse essere curata con una terapia ordinaria), ha riconosciuto la necessità del filtro e ha avanzato proposte, alcune delle quali accolte, tese a migliorare il pacchetto governativo. Mi riferisco soprattutto all’emendamento che ha reso inammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 5) del Cpc nell’ipotesi di cosiddetta doppia conforme. Qui la soluzione proposta dall’opposizione è stata accolta con favore dal Governo, in quanto idonea a depurare il giudizio di legittimità da improprie valutazioni sul fatto dopo la conforme decisione di due diversi giudici di merito. E non escludo che, nel passaggio al Senato, altre modifiche possano essere compiute per venire incontro a suggerimenti parlamentari che, senza alterare l’impianto complessivo, possano migliorare il testo. Ma tutto ciò dimostra che il problema è reale e che la direzione imboccata è quella giusta, in quanto il giudizio davanti alla Cassazione forma oggetto di strumentalizzazioni ripetute e dì ogni sorta, che è necessario stroncare con decisione. Contro questa impostazione, o meglio contro il modo con cui il filtro è stato disciplinato, si leva l’obiezione fondata sull’articolo 111, settimo comma, della Costituzione, che impone di ammettere sempre il ricorso per cassazione contro le sentenze per violazione di legge. Il filtro approvato limiterebbe la possibilità di applicare tale norma e determinerebbe una compressione delle garanzie individuali. Ora, io credo ci si debba guardare dal rischio di trasformare il settimo comma dell’articolo 111, nato con specifiche e condivisibili esigenze, in una "camicia di Nesso" che ci impedisce di apportare qualsiasi trasformazione al giudizio di Cassazione per adeguarlo a una realtà divenuta drammatica e insostenibile. Il testo che è stato approvato mira a far dichiarare inammissibili ricorsi dalla manifesta finalità dilatoria, con cui vengono sottoposte alla Corte - con modalità che in altri ordinamenti verrebbero tacciate di contempt of Court, disprezzo della Corte - questioni già decise ripetute volte, sempre in senso conforme: possiamo davvero credere che tali ricorsi rientrino sotto la copertura dell’articolo 111 o non dobbiamo piuttosto pensare che costituiscono un esempio evidente di abuso del diritto, non certo da incoraggiare ma da sanzionare? D’altronde, se le maghe del filtro non fossero sufficientemente strette e non mirassero a colpire in via preliminare le questioni ripetitive, sarebbe proprio la funzione di garanzia a essere messa a repentaglio, giacché il ricorso meritevole e fondato rischia più facilmente di disperdersi tra i molti altri soggetti alla più approfondita delibazione odierna. Ma, accanto a queste considerazioni, vorrei aggiungerne altre, dirette a dimostrare che il filtro appena approvato non si pone affatto in contrasto con l’articolo 111 della Costituzione, ma anzi garantisce che a esso sia data un’attuazione piena e trasparente. La prima è che un pesantissimo filtro già oggi esiste ed è quello dell’articolo 366-bis del Cpc che noi abbiamo pensato di sopprimere, in quanto rischia di consegnare il giudizio di ammissibilità a un inaccettabile formalismo, per cui il semplice errore materiale nella formulazione dei motivi conduce alla dichiarazione di inammissibilità. La seconda intende replicare all’obiezione apparentemente più suggestiva, che vede nel filtro un ostacolo all’evoluzione della giurisprudenza; il nuovo testo articolo 360-bis del Cpc impedirebbe alla Cassazione di compiere quei revirements, che le hanno consentito negli anni recenti di non fossilizzarsi e di aprirsi agli apporti della giurisprudenza di merito. Ora, al di là della retorica, credo che dobbiamo renderci consapevoli che un intervento finalizzato a rafforzare la funzione nomofilattica della Corte - e tale esigenza mi sembra condivisa da tutti - non può lasciare immutata la policromia giurisprudenziale: se vogliamo instradarci verso una maggiore certezza del diritto, che sappia restituire fiducia ai cittadini e alle imprese nella costanza degli orientamenti giurisprudenziali, dobbiamo essere disposti a sacrificare qualche indirizzo minoritario. Si badi che in caso contrario il prezzo da pagare, in termini economici e di conflittualità sociale, è di gran lunga più salato, come possiamo constatare in questi anni di acceso e affollato contenzioso. (E le garanzie saranno completamente salvaguardate quando il filtro sarà affidato - come abbiamo intenzione di fare al Senato - direttamente alle sezioni della Corte chiamate poi a decidere nel merito, secondo la procedura dell’articolo 380-bis del Cpc già oggi sperimentata con successo). La frase finale è posta tra parentesi non sapendo se l’intenzione di affidare il filtro alle singole sezioni della Cassazione è effettiva e sarà portata avanti in Senato. Giustizia: rispunta la "salva-manager"; Pd attacca il governo
La Repubblica, 17 ottobre 2008
Messi sotto accusa negli Usa per i guadagni da favola che si riservano nonostante siano alla guida di società sull’orlo del baratro o fallite, i manager italiani potrebbero riuscire a conquistarsi una corsia preferenziale. L’accusa arriva da Lanfranco Tenaglia, ministro ombra del Pd. E arriva in piena crisi finanziaria, con la fiducia dei risparmiatori al minimo storico. "La salva-manager - spiega Tenaglia - è contenuta nel disegno di legge delega che riforma il reato di bancarotta e che il governo si appresta a presentare a breve in Parlamento". E Tenaglia è a dir poco indignato. "È vergognoso - spiega - come il governo tenti nuovamente di sottrarre alla giustizia coloro che hanno derubato i risparmiatori". E sì perché l’ultimo tentativo è roba di non più di una settimana fa, inserito con un emendamento al decreto di modifica della legge Marzano, quello per salvare Alitalia. Tra le righe c’era una norma che avrebbe messo al riparo manager come Cesare Geronzi, oggi presidente di Mediobanca, ma anche Calisto Tanzi e Sergio Cragnotti (Parmalat e Cirio). Il principio era semplice: senza fallimento non c’è reato. Dunque basta un bravo commissario per "liberare tutti". Ma il ministro dell’Economia Tremonti parlando in Aula fu chiaro. "O va via l’emendamento o va via il ministro dell’Economia". E l’emendamento è sparito. Ora però sembra riapparire sotto altre spoglie. E questa volta il risultato sarebbe leggermente diverso: la prescrizione completa di grandi processi, come i crac Parmalat e Cirio. "Il disegno di legge - spiega Tenaglia - prevedere infatti una riduzione della pena per bancarotta fraudolenta dagli attuali 15 a 10 anni. Il processo Parmalat è appena iniziato, non ce la farebbe a chiudersi entro il 2011 e lo stesso accadrebbe perla Cirio. Ma c’è di più. "È prevista una modifica della fattispecie del reato, con una distinzione tra distrazione e insolvenza. In pratica ci sarebbe il reato solo quando la distrazione (di soldi) coincida con l’insolvenza". Dunque se prima compro case per mia moglie e poi fallisco, non ci sarebbe bancarotta. "La conseguenza è che le fattispecie di reato si restringerebbero e ci sarebbe meno tutela sia peri risparmiatori che per i creditori", aggiunge Tenaglia, che chiede di impedire "questo scempio", perché "siamo all’assurdo: quando i contribuenti di tutto il mondo sono costretti a pagare a caro prezzo i reati finanziari compiuti da veri e propri criminali, il governo Berlusconi pensa solo a salvare chi ha truffato centinaia di miglia di risparmiatori nel nostro Paese". Duro con il governo, ma anche con il ministro dell’Economia. "Ci vengano risparmiati i trucchi alla Tremonti - dichiara - perché non è certo grazie a lui che, per ora, la norma salva manager dovrebbe saltare". Giustizia: Parmalat; no a proscioglimento Geronzi e Cragnotti
La Stampa, 17 ottobre 2008
La Cassazione ha annullato la sentenza di proscioglimento - emessa dal Gup Roberto Spanò lo scorso 4 aprile - del banchiere Cesare Geronzi dall’accusa di bancarotta fraudolenta e a quella di estorsione aggravata. I supremi giudici hanno anche annullato il proscioglimento per gli stessi reati nei confronti dell’imprenditore Sergio Cragnotti e dell’ ex dirigente Riccardo Bianchini Riccardi. La decisione della Cassazione si riferisce al troncone Eurolat del processo per il crac Parmalat. Adesso la procura emiliana, che aveva presentato ricorso contro la decisione del Gup, attende di conoscere le motivazioni della Suprema corte che restituirà gli atti relativi al procedimento per bancarotta fraudolenta a carico di Geronzi, Cragnotti e Bianchini Riccardi. Per l’accusa di estorsione semplice, il processo nei confronti di Geronzi è stato trasferito a Roma. Se anche il "verdetto" dei supremi giudici segna un punto a favore per la Procura di Parma, non è detto che il risultato finale sia sfavorevole per gli imputati - hanno fatto notare fonti della difesa di Geronzi -. Altra novità è che il processo Parmatour non sarà riunificato al processo Ciappazzi. Nati dall’inchiesta sul crac Parmalat, i due filoni processuali continueranno il loro iter dibattimentale separatamente. Lo ha deciso il collegio presieduto dal giudice Carlo Saverio Ferraro, che ha respinto l’istanza di riunificazione proveniente dai legali di alcuni imputati. La prossima udienza Ciappazzi è stata fissata per il 18 novembre. Mentre il processo Parmatour riprenderà il 26 novembre. Il Tribunale dovrà sciogliere la riserva sulle richieste di patteggiamento pervenute da dieci imputati del filone turismo. Comprese quelle di Calisto Tanzi e di Fausto Tonna, per le quali la procura ha rifiutato il consenso spiegando che per entrambe "si tratta di una pena palesemente incongrua". Giustizia: G8 Genova; pm chiede 27 mesi per l’ex capo Digos di Angela Mauro
Liberazione, 17 ottobre 2008
Sguardo di dolore e rabbia, volto tumefatto, occhio sinistro gonfio e sanguinante. La foto ha fatto il giro del mondo, triste testimonial delle violenze delle forze dell’ordine contro i manifestanti anti-G8 di Genova. Sette anni fa. Marco Mattana, il ragazzo di Ostia che quel 20 luglio 2001 offrì - suo malgrado - quello sguardo agli obiettivi dei fotografi, oggi ha 23 anni. Studia da sommelier, lavora nei ristoranti e da allora "non ne ha voluto più sapere di politica", dice il suo avvocato Mario Stagliano. Due anni e 3 mesi di reclusione ha chiesto la procura di Genova per uno dei poliziotti che conciarono Marco in quel modo: Alessandro Perugini, all’epoca vice capo della Digos di Genova, immortalato mentre sferra un calcio al volto del ragazzo già a terra. Perugini, che nel frattempo ha fatto carriera (vice questore) come altri dirigenti delle forze dell’ordine imputati nei processi sui fatti di Genova, è accusato di lesioni personali aggravate. A Mattana ha offerto un risarcimento e per questo ieri la difesa del ragazzo ha ritirato la querela ("Un buon gesto da parte sua", dice Stagliano). Ma in aula il vice questore ha continuato a respingere le accuse, negando l’evidenza, ribadendo di non aver colpito il ragazzo: "La violenza ha superato ogni previsione. Noi abbiamo cercato di fare del nostro meglio...". Il pm Francesco Cardona Albini ha chiesto la stessa pena di 2 anni e tre mesi di reclusione per Antonio Del Giacco, all’epoca dei fatti ispettore capo della Digos di Genova, mentre 2 anni e 1 mese sono stati chiesti per il sovrintendente Sebastiano Pinzone, un anno e 8 mesi sia per l’agente scelto Enzo Raschellà che per l’assistente Luca Mantovani (Digos Padova). Sono imputati per falso, calunnia, abuso in atti d’ufficio (reati contestati anche allo stesso Perugini). Hanno accusato Mattana e altri cinque ragazzi poi arrestati in corso Barabino (lì dove è avvenuto il pestaggio di Marco) di aver lanciato sassi e bottiglie contro la polizia schierata in assetto anti-sommossa. "In realtà, i ragazzi stavano solo facendo un sit-in di fronte a un centinaio di poliziotti", precisa l’avvocato Emanuele Tambuscio, del Genoa Legal Forum. "Meno male che c’erano i filmati e le foto - dice Tambuscio - Senza quelle prove schiaccianti, questo sarebbe stato solo un processo contro i sei arrestati". A carico di Perugini e degli altri agenti, c’è un’intera sequenza fotografica, famosissima. Marco viene bloccato dagli agenti. Colpito, frana sull’asfalto. Tra i poliziotti presenti, spicca Perugini, in abiti civili e senza casco: rincorsa e calcio sul volto del ragazzo. Un primo piano di Marco riesce ad essere intercettato dai fotografi, prima del trasferimento alla caserma Bolzaneto. "Dove gli hanno puntato una pistola contro", continua Tambuscio. In caserma, Marco è uno dei tanti manifestanti fermati e torturati, insultati da poliziotti, agenti della penitenziaria. Quarantacinque di loro sono finiti alla sbarra, ma 30 sono stati assolti, 15 i condannati a un totale di 24 anni di reclusione (i pm avevano chiesto complessivamente 76 anni, 4 mesi e 20 giorni). E tra i 15 c’è anche Perugini, imputato anche nel processo Bolzaneto: per lui i pm avevano chiesto una pena di 3 anni e 6 mesi di reclusione, è stato condannato a 2 anni e 4 mesi. La sentenza - si ricorderà - è stata emessa a luglio e ha fatto molto discutere. Di certo, ha pesato e in negativo il fatto che in Italia non esista il reato di tortura, il fatto che il nostro paese non abbia mai adeguato il proprio codice penale alla convenzione dell’Onu contro la tortura, pur ratificata ben 20 anni fa, nel 1988. Da luglio si attende ancora che i giudici depositino le motivazioni di quella sentenza shock su Bolzaneto. "Il clima è cambiato e non solo a Genova, ma in tutt’Italia - ragiona l’avvocato Stagliano - È vero che la giustizia deve essere giusta e non esemplare, ma se oltre la metà degli imputati nel processo su Bolzaneto è stata assolta... Penso che non ci sia del buono da aspettarsi dai successivi gradi di giudizio, in questo e altri processi sui fatti del G8". Al di là del merito delle sentenze, l’unica nota positiva sta nel fatto che entro la fine dell’anno tutti i processi in corso arriveranno al primo grado di giudizio (tranne uno su quattro poliziotti imputati per un arresto ingiustificato in piazza Manin, altro punto nevralgico della protesta anti-G8). Oltre a quello di Bolzaneto, si è concluso (e male) il procedimento sull’omicidio di Carlo Giuliani in piazza Alimonda: archiviato, gli imputati Mario Placanica e Filippo Cavatatio agirono per legittima difesa, dicono i magistrati. Mentre al processo sul massacro alla scuola Diaz (29 imputati, tra cui dirigenti e alti vertici della polizia come Francesco Gratteri e Giovanni Luperi, all’epoca dei fatti rispettivamente direttore dello Sco e vice direttore dell’Ucigos) si attende che finiscano di parlare gli avvocati della difesa, la sentenza di primo grado dovrebbe essere emessa a novembre. Per il pestaggio di Mattana e i fatti di corso Barabino la prossima udienza è fissata per il 10 dicembre, parleranno gli avvocati dei poliziotti, la sentenza dovrebbe comunque arrivare entro la fine del 2008. Le varie tempistiche sono l’unica buona notizia. Perché da Genova è passato del tempo e a gennaio 2009 scatta la prescrizione per molti dei reati contestati. Giustizia: gli "onorevoli"… e la "porta girevole" delle carceri di Sebastiano Messina
La Repubblica, 17 ottobre 2008
Le prigioni italiane sono, a quanto pare, l’unico settore nel quale l’occupazione è in crescita. "Le carceri viaggiano verso il tutto esaurito", avvertiva ieri un dispaccio Ansa. E come se non bastasse - spiegava il ministro della Giustizia, il soave Angelino Alfano - soffrono "dell'effetto porta girevole": un ladro d’appartamento su quattro viene scarcerato "entro il terzo giorno". Ora, chiunque abbia messo piede nei penitenziari italiani - anche come visitatore - sa che quasi tutti sono indegni di un paese civile, e dunque l’uso di questo lessico da grand hotel è semplicemente surreale. Eppure vorrei segnalare al signor ministro - oltre all’overbooking e alle porte girevoli - un altro fenomeno dei giorni nostri: quello di potenti parlamentari che, condannati a sei anni di carcere, si fermano in cella solo per sei giorni, poco più di un week-end lungo. Come lo chiamiamo, turismo carcerario? - Emilia Romagna: tra Prap ed Uepe 500mila € annui di affitti
Sesto Potere, 17 ottobre 2008
In seguito alla segnalazione del Provveditore alle carceri dell’Emilia-Romagna circa "la possibilità di risparmiare affitti per almeno 500 mila euro, reinvestendo tale cifra a favore della popolazione carceraria", Gianni Varani (Fi-Pdl) ha presentato sull’argomento un’interrogazione alla Giunta regionale. Il Consigliere riferisce che la cifra in questione sarebbe "recuperabile e investibile" se le istituzioni locali mettessero a disposizione del Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria (Prap) e dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna (Uepe) locali e uffici per i quali i due organismi sono oggi costretti a pagare l’affitto. Anche in considerazione del sovraffollamento in cui versano i penitenziari in Emilia-Romagna e della conseguente necessità "di fare tutto il possibile per affrontare la difficile situazione", il consigliere sollecita la Giunta regionale ad attivarsi "per andare incontro al problema posto, la massima sollecitudine". Belluno: polizia penitenziaria; in carcere situazione esplosiva
Corriere delle Alpi, 17 ottobre 2008
Sempre più grave la situazione degli agenti di Polizia Penitenziaria a Baldenich. A lanciare l’ennesimo allarme sono tutti i sindacati di categoria che domani saranno ricevuti dal prefetto di Belluno. "È paradossale ed anacronistico che agli albori del terzo millennio all’origine della protesta della polizia penitenziaria non sia la richiesta di un vantaggio economico, ma semplicemente il diritto, sancito dalla Costituzione a tutti i lavoratori, di espletare i propri compiti istituzionali in sicurezza e in ambienti di lavoro adeguati, nel rispetto delle leggi e dei regolamenti che disciplinano l’organizzazione del lavoro", scrive Roberto Agus della Cisl Fps a nome delle altri parti sociali. Sul piatto ancora la carenza di personale, la modalità delle procedure di piantonamento dei detenuti nelle strutture sanitarie, l’insufficienza di autisti ed automezzi ormai vetusti, la necessità di ristrutturazione urgente di parti importanti del carcere, l’adeguamento e miglioramento dei dispositivi tecnologici di sicurezza e prevenzione, ed infine il sovraffollamento della popolazione detenuta. "L’11 settembre scorso per questo abbiamo proclamato lo stato di agitazione del personale di polizia penitenziaria e amministrativo", precisa Agus. "Abbiamo segnalato i problemi al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e al provveditore regionale, ma ancora non abbiamo avuto risposta". Così il 13 ottobre, i sindacati, sentiti i lavoratori, hanno redatto un nuovo documento-denuncia, chiedendo una convocazione dal provveditore e dal prefetto. "Se non avremo riscontri", annunciano i sindacati, "siamo pronti a passare alle forme attive di protesta e al sit-in davanti la prefettura". Reggio Emilia: presto i detenuti dovranno dormire per terra
Gazzetta di Reggio, 17 ottobre 2008
Le carceri italiane sono nuovamente vicine al tracollo e anche a Reggio la situazione non è meno grave. Ad aprile 2009, secondo stime ufficiali, la popolazione carceraria potrebbe tornare a toccare le 64mila unità, la stessa cifra che determinò la scelta dell’indulto poco più di due anni fa. Alla Pulce che "resta un’isola felice essendo una struttura relativamente moderna", secondo i dati forniti ieri dal direttore dell’istituto Gianluca Candiano, a margine della presentazione dei percorsi di recupero e reinserimento, "sono presenti 294 detenuti che significa già tre persone per ogni cella". Ma se il trend di crescita sarà quello degli ultimi mesi e "di fronte alla necessità di riaprire la sezione femminile ora chiusa, oltre a problemi legati alla disponibilità di operatori femminili, si arriverebbe a superare la fatidica cifra di 300 unità e si creerebbe la situazione per la quale ci sarebbero detenuti che dovrebbero dormire a terra, con tutti i relativi problemi di tensione e di difficile convivenza. Una situazione - prosegue Candiano - che nella civile Emilia già avviene in un altro istituto di pena". Il direttore della Pulce, ha anche sottolineato di aver chiesto al ministero la possibilità di trasferire in altri istituti alcuni detenuti, ma la risposta è stata che "la situazione è uguale in tutto il paese". Da tecnico, ha tenuto a sottolineare ancora Gianluca Candiano, "oltre a costruire nuove carceri, ma occorreranno almeno 10 anni, bisogna affrontare il problema per 2009". Manifestata qualche perplessità sull’introduzione del braccialetto elettronico, la sua ricetta invece "è quella di mantenere la detenzione per i reati più gravi e maggior allarme sociale, mentre per quelli meno gravi occorre trovare forme alternative. Meno costose e più utili al reinserimento, come far svolgere lavori utili e con le debite forme di controllo, anche perché ogni detenuto costa 250 euro il giorno". Milano: il "metrobosco" che fiorisce nella serra di S. Vittore
Redattore Sociale - Dire, 17 ottobre 2008
Arrivano dal carcere milanese le piantine che faranno crescere il "metrobosco", l’anello verde che abbraccerà la provincia di Milano. Una volta cresciute saranno messe a dimora da 5 mila studenti. Arrivano dalla serra di San Vittore le piantine che faranno crescere il "metrobosco", l’anello verde che abbraccerà la provincia di Milano. Una collaborazione tra il carcere, la Provincia e le scuole per far crescere il volontariato ambientale negli interventi di riforestazione del territorio. Le piantine di circa 1300 esemplari di varie specie autoctone derivano da semi raccolti in natura che vengono poi fatti germogliare dalle sei detenute che lavorano nella serra gestita dall’associazione Vivai ProNatura. Fra le altre mirto, iris e maggiorana che, una volta cresciute, saranno piantate dai 5mila studenti delle scuole che hanno aderito al progetto "Adotta un albero e un fiore per il giardino della tua scuola". Saranno poi i ragazzi a mandare una cartolina di ringraziamento alle detenute. "La serra, inaugurata sette anni fa, è l’unico spazio verde di San Vittore - spiega la direttrice Gloria Manzelli - e questo progetto rappresenta un’attività importante per le detenute. È importante sapere che nella nostra piccola struttura stiamo collaborando per raggiungere un obiettivo di tutela ambientale più ampio". Francisca, boliviana, ha 48 anni ed è in carcere da sette. È una delle detenute che, tre giorni a settimana, lavora nella serra: "Ho iniziato il corso a febbraio -racconta- ci insegnano la botanica, a usare le apparecchiature, a travasare le piante. È bello fare queste cose, per impegnare diversamente la giornata". Accanto a Francisca una giovane italiana: "È bello sapere che le nostre piantine andranno in mano a dei bambini". Verona: La Fraternità; da 40 anni riferimento per i detenuti di Anna Zegarelli
L’Arena di Verona, 17 ottobre 2008
Quarant’anni passati a dare un sostegno e un nuovo percorso di vita a chi è finito in carcere. Con questi propositi i volontari e i collaboratori dell’associazione La Fraternità hanno trascorso questo tempo ad operare nel Casa Circondariale. Hanno provato in prima persona il mutamento delle leggi, ma anche la vita in carcere. La necessità di una politica rivolta al recupero della persona fatta di pene alternative, ma anche di reinserimento. Come la semilibertà, una condizione carceraria che in questi giorni fa discutere perché applicata a Pietro Maso che 17 anni fa uccise a botte i genitori. Eppure, la semilibertà è difficile che venga concessa. Lo provano i numeri: nella casa circondariale di Montorio ad essere detenuti sono in 780 a godere di questo "privilegio" sono appena otto. "È un percorso lungo e faticoso, difficile da conquistare", fanno notare il presidente de La Fraternità Roberto Sandrini, i volontari, Arrigo Cavallina, Cristina Zara e Maurizio Mazzi. "La semilibertà che è stata concessa a Maso dimostra che ha fatto un percorso come detenuto e che può andare avanti. È la legge che lo prevede". A fondare La Fraternità è stato fra Beppe Prioli che oggi come allora ha sogni e continue aspirazioni per sostenere chi ha a che fare con il "complicato mondo della giustizia, della pena e del carcere", come lui lo definisce. Proprio per questo di fronte alla sospensione da parte della Regione per il prossimo anno dei fondi destinati al progetto di pittura che si lega da sempre all’associazione (la vendita di quadri agli albori de La Fraternità serviva proprio per sovvenzionare le iniziative di recupero a favore dei carcerati), al sovraffollamento del carcere di Montorio, i volontari con fra Beppe in testa, hanno deciso di festeggiare con una settimana ricca di appuntamenti. Inizieranno domani con l’inaugurazione della mostra "Tra Mura Les 2008" a San Bernardino, e si concluderanno sabato 25 con il convegno "Liberare la pena", organizzato in collaborazione con la Caritas diocesana e le associazioni Il Samaritano e Don Tonino Bello. Ad accogliere i visitatori nel chiostro sarà un’installazione artistica d’eccezione: una cella a grandezza reale realizzata dai detenuti in semilibertà di Vicenza. Un singolare modo per attirare l’attenzione su due grandi propositi dell’associazione: un centro d’ascolto fuori dalla casa circondariale di Montorio e l’istituzione di un garante dei detenuti, per altro già nominato dalla giunta comunale di Rovigo. Il primo proposito è nel cuore di fra Beppe da decenni. "Non è di un Paese civile l’immagine di famigliari costretti a rimanere sotto la pioggia, il sole, ore e ore nell’attesa di vedere il proprio congiunto in carcere", fa notare. "Inoltre il centro d’ascolto andrebbe ad agevolare l’inserimento dei detenuti". Il garante andrebbe a tutelare chi è dentro il carcere, ma anche le forze dell’ordine. Questa domenica nella cappella del carcere parteciperanno i frati superiori di fra Beppe, a testimonianza che la loro presenza tra i bisognosi è continua e illimitata nel tempo. "C’è ancora bisogno di noi", ammette fra Beppe. "In quarant’anni ho scoperto che ci vuole un cammino lungo per capire il perché una persona ha commesso del male". Bolzano: il carcere è educativo?... se ne parla in un convegno
Alto Adige, 17 ottobre 2008
Domani, con inizio alle ore 9.30 nell’aula magna dell’Upad, in via Firenze 51, si terrà un convegno su un tema che può trovare freschissima attualità indiretta nella concessione della semilibertà, dopo soli 17 anni di detenzione, a Pietro Maso, ragazzo (all’epoca) della provincia di Verona, colui che, insieme a tre amici-succubi, massacrò i propri genitori per spassarsela con la loro eredità. Un caso limite che ha fatto commentare il sindaco di Verona, Flavio Tosi, "è la dimostrazione di quanto sia lassista il sistema della giustizia italiana", e sempre in tema di notizie attuali e collegate, il commento di Tosi è perfetto anche per giudicare la concessione a Ferdinando Carretta dell’eredità della famiglia da lui dichiaratamente massacrata. Tornando a noi, il convegno di domani all’Upad s’intitola "La formazione in carcere: integrazione e rielaborazione del vissuto". Durante l’approfondimento verrà presentato il lavoro sull’autobiografia cui hanno contribuito alcuni detenuti della Casa Circondariale di Bolzano. Nel corso del convegno, si parlerà di formazione e dell’importanza dello sviluppo di competenze per abbassare il livello conflittuale tra individuo ristretto e mondo esterno e favorire l’incremento di conoscenze a favore di un reinserimento sociale e lavorativo che va sostenuto e monitorato anche nella fase post-detentiva. Nel corso dell’iniziativa verrà inoltre presentata la pubblicazione "Tell me your story" ("Raccontami la tua storia"), in cui si spiega la metodologia adottata dall’equipe e si presentano alcune autobiografie scritte dai detenuti della casa circondariale di Bolzano. Il lavoro nasce dall’osservazione della frequente rottura del ciclo vitale dei detenuti e dalla conseguente incapacità di mettere in essere una progettualità che abbia al suo interno la prospettiva temporale capace di analisi e collegamento tra passato, presente e futuro. L’iniziativa prosegue una serie di progetti in cui, nel corso di questi anni, l’équipe Upad composta da Nicoletta Rizzoli, Franca Berti e Claudio Fabbrici, ha scandagliato il contesto carcerario nelle sue diverse manifestazioni: dall’analisi dei bisogni di formazione ai fattori che determinano recidiva, alla necessità di superare lo stigma a favore dell’integrazione socio lavorativa, fino al più recente studio di fattibilità per la realizzazione di uno sportello interno ed esterno al carcere. Il convegno - workshop è a ingresso libero ed è aperto ad operatori e a tutte le persone interessate. Genova: Lib(e)ri in carcere e progetto "ottobre piovono libri"
Comunicato stampa, 17 ottobre 2008
Attività dedicate alle Case Circondariali di Marassi e Pontedecimo nell’ambito del progetto di collaborazione tra la Biblioteca Berio e Prap liguria, CC. Marassi e Pontedecimo, Istituto Vittorio Emanuele II/Ruffini, Coop Sociale Il Biscione e i volontari. Il progetto "Lib(e)ri in carcere" nasce con lo scopo di favorire la crescita culturale, individuale e collettiva dei detenuti garantendo loro l’accesso agli strumenti di conoscenza, di informazione e di comunicazione, ponendo anche attenzione alla formazione per un loro futuro reinserimento sociale in attività lavorative. L’obiettivo è anche quello di instaurare un vero e proprio scambio tra "dentro" e "fuori" tutti coloro che, a vario titolo, vivono la realtà del carcere. Nell’aprile dello scorso anno è stato siglato un accordo con la Casa Circondariale di Marassi che prevede la realizzazione di un Servizio Bibliotecario Integrato con la possibilità per i detenuti e per il personale di ottenere opere in prestito dalla biblioteca interna della Casa Circondariale e dalla Biblioteca Berio del Comune di Genova. Inoltre sono promossi attività culturali ed eventi, anche in collaborazione con soggetti esterni, come presentazione di libri e "incontri con l’autore" . O la partecipazione al 14° Festival Internazionale della Poesia di Genova dello scorso giugno, nell’ambito del concorso "Poeti dentro", riservato ai detenuti delle Case Circondariali della Liguria con premiazione finale delle opere selezionate nel Cortile Maggiore a Palazzo Ducale. Nel Settembre del 2008 è stato firmato un protocollo analogo anche con la Casa Circondariale di Pontedecimo.
"Mercatino di San Frumenzio" sabato 25 ottobre 2008
Il giardino della Biblioteca viene trasformato in un piccolo mercatino, dove i lettori possono gratuitamente scegliere e prendere i libri donati. Nel giardino (in caso di pioggia in Biblioteca) 10.00-18.00. Giunge alla terza edizione "Ottobre, piovono libri" il progetto di promozione della lettura lanciato dal Centro per il Libro e la Lettura del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, una campagna unica nel suo genere, ideata per rilanciare, incentivare e valorizzare la rete di risorse ed energie diffuse in tutto il Paese, che quotidianamente si impegnano, con passione e fantasia, per la promozione del libro e della lettura. La partecipazione alla campagna in tre anni è cresciuta in maniera esponenziale: dalle 260 adesioni nel 2006, si è passati alle 500 nel 2007, che in questa terza edizione raddoppiano superando le 900 adesioni. Un caleidoscopio di occasioni per incontrare i libri in oltre 630 "luoghi della lettura" distribuiti in tutto il territorio nazionale, dai più piccoli e intimi ai più affollati e visibili, tutti riuniti in un unico programma con l’obiettivo di trasformare l’Italia, almeno per un mese, in un Paese in cui il libro è di casa. Immigrazione: ministro Maroni; reato di clandestinità rimane di Francesco Grignetti
La Stampa, 17 ottobre 2008
Chiariamo subito una cosa: non c’è nessun dietrofront sull’immigrazione clandestina. La determinazione a combatterla resta quella di prima". Ci tiene a ribadire il punto, il ministro dell’Interno, Bobo Maroni. Non nega che dovrà inventarsi qualcosa di nuovo dopo il veto dell’Unione europea a proposito del rimpatrio di cittadini comunitari, ma ci tiene a ribadire che il reato di ingresso clandestino resta, anche se riformulato. Tra dieci giorni arriverà il testo del governo. Novità in vista anche sul fronte delle violenze e degli oltraggi agli agenti di polizia. C’è una parte della maggioranza che preme per innalzare le pene. "Mi riservo di decidere", dice Maroni. "Comunque, dopo la prima giornata di campionato, non abbiamo più registrato violenze. La nostra politica di rigore funziona".
Ministro, parliamo di Bruxelles che ha messo il veto alle espulsioni di cittadini comunitari. "Non condivido, ma prendo atto. Intanto continuiamo con lo smantellamento dei campi nomadi abusivi. Chi avrà diritto a stare, poi, vivrà in campi attrezzati. Chi non ha diritto, tornerà nel suo paese".
Non li potrete espellere, però. "L’Ue ha detto che ritiene sproporzionata l’espulsione di comunitari in un solo caso: quando non ci siano i requisiti di reddito, ma se i nomadi hanno precedenti penali, si procede comunque all’espulsione. E se non hanno il reddito, non potranno comunque restare. I sindaci, infatti, verificheranno e nel caso non daranno loro la residenza. Certo, non potremo materialmente espellerli, ma la mancata concessione della residenza renderà comunque impossibile rimanere".
E alla fine? "Ci sono altri mezzi... altri strumenti... se non li potremo costringere, li convinceremo. Chiaro che io avrei preferito l’espulsione anche per i comunitari. Senza, tutto è più difficile e complicato".
Ministro, spieghiamo meglio la questione del reato. Niente carcere per clandestini, ci sarà una sanzione pecuniaria. Ma così non cambia tutto della vostra politica? "No. Non è cambiato nulla. Confermo, contrariamente a quanto scritto da altri giornali che l’ingresso clandestino diventerà reato. E, grazie alla nuova formulazione del reato stesso, la procedura di espulsione sarà più rapida dell’attuale. Definire reato gli ingressi illegali, anche se con una sanzione meno grave di quanto si prevedeva prima, ci aiuterà molto. La nuova direttiva europea sui rimpatri prevede per i clandestini solo l’invito a lasciare il territorio nazionale, a meno che non ci sia una sentenza penale. Quindi, chiariamo: estendere il reato a tutti quelli che entrano clandestinamente a prescindere dalla sanzione, carcere o ammenda, ci permetterà di procedere all’espulsione di tutti e non solo di quelli che vengono a delinquere".
Quindi lei è convinto che ci saranno più espulsioni? "Sì, a noi non interessa tanto la sanzione principale, che fosse il carcere o l’ammenda, ma la sanzione accessoria: cioè il provvedimento di espulsione. Prevediamo che il giudice di pace possa ordinare l’espulsione, direttamente, in udienza, anche prima della sentenza definitiva. Questo è il nuovo procedimento che abbiamo affinato e che presenteremo in Aula a nome del governo. Su questo c’è l’accordo di tutta la maggioranza".
Quindi, da ministro e da leghista, secondo lei non è così grave aver rinunciato allo spauracchio della cella? Non era il cuore della vostra proposta? "Ripeto. Il reato d’immigrazione clandestina rimane. Ma la cosa che ci interessa di più è l’espulsione immediata. E così sarà".
Intanto la Ue boccia le espulsioni per i cittadini comunitari. Deluso? "Si. Mi dispiace non avere convinto il commissario europeo Barrot della bontà della nostra proposta. Il commissario ha approvato il 99% del pacchetto sicurezza Bene su tutto, meno che sulle espulsioni di cittadini comunitari".
C’era un accordo con la Libia però gli sbarchi a Lampedusa si moltiplicano. Com’è? "Sono in corso contatti diplomatici. Ho fatto presente al presidente del consiglio che è urgente ratificare l’accordo bilaterale in Parlamento. La Libia si era impegnata a rafforzare i controlli. Ma di fatto non lo sta facendo. Quindi dobbiamo fronteggiare una situazione di emergenza con nuovi continui sbarchi. Mi aspetto che il problema venga definitivamente risolto prima della prossima primavera, quando il mare calmo favorisce le traversate e gli sbarchi. Lì non rimane altro da fare che l’azione diplomatica. Più che avere stretto un accordo, e aver approntato le motovedette, il ministro dell’Interno non può fare".
C’è poi un problema con Malta. "Vado lì la prossima settimana per definire meglio col governo maltese le aree di competenza, le procedure comuni di contrasto all’immigrazione clandestina e quelle di assistenza nelle acque internazionali".
Manovre elusive. Deluso, lei che viene dalle Alpi, di questo Mediterraneo levantino? "Sarà la mia cultura mitteleuropea, ma penso che gli accordi vadano rispettati in toto, non solo nella parte che interessa. Mi riferisco in particolare all’accordo firmato con la Libia". Immigrazione: fontanelle vietate a zingari, vergogna a Roma di Gioia Salvatori
L’Unita, 17 ottobre 2008
"Se decoro, igiene e sicurezza mi vengono domandate dai cittadini, io devo dare una risposta alla mia gente. Avrei fatto chiudere le fontane anche se fossero stati giapponesi o sudamericani a dare fastidio. Invece è capitato che fossero rom. Vorrà dire che andranno in qualche altra fontana a prendere l’acqua tanto sono nomadi, si spostano no?" La mia patria, la mia città, la mia gente. È per la sua gente che il presidente del IV Municipio di Roma, Cristiano Bonelli, ha inviato una richiesta senza precedenti all’Acea: chiudere le fontanelle pubbliche, per favore, attirano i rom che danno fastidio a residenti e commercianti. Roma nord, quartieri popolari di strade congestionate e palazzoni ingrigiti di lavoratori dipendenti. Quartieri Talenti e Prati Fiscali. Da qualche settimana l’acqua in un paio di fontanelle non scorre più. Una è antistante il mercato comunale di Talenti, l’altra è vicino a un piccolo campo rom. Il minisindaco in quota Pdl, ex destra sociale poi An con lunga militanza nel Fronte della gioventù, è andato di persona a controllare le soste dei rom, con camper e indecorosi lavaggi in fontanella. "Tutti i commercianti del mercato mi hanno detto che i rom danno fastidio. Io gli devo dare una risposta. Questo non è razzismo, farò anche un progetto di integrazione". Ma l’acqua è un bene di tutti... "Appunto perché è un bene di tutti l’ho fatta chiudere: la usavano solo in pochi!". Ma per i rom del quartiere, in Italia anche da più di 30 anni, i rubinetti chiusi sono un’offesa. "L’acqua non si nega neanche ai cani, questo è razzismo come le classi ponte per i bambini migranti della Gelmini" - dice Najo Adzovic, portavoce del campo rom Casilino 900 durante un sit-in di protesta contro le fontanelle chiuse. Il minisindaco minimizza. Anche sulla valenza simbolica della chiusura. A Talenti i ragazzini vanno in giro con la foto del Duce nel portafoglio, sui muri c’è scritto "Talenti nera", non crede che misure ghettizzanti possano solo aumentare la tensione? "Nel portafoglio c’è chi porta la foto della fidanzata chi quella del Duce o di chi gli pare. Sulle mura, a Talenti, ci sono scritte neofasciste perché è un quartiere più nero di altri, il Tufello è più di sinistra e ci sono scritte di sinistra. È ovvio. Io devo prima di tutto garantire il decoro alla mia gente che infatti mi ha ringraziato per le fontane chiuse". Evidentemente per Bonelli, Vanessa, che ha 18 anni, in Italia c’è nata, parla romanesco e porta infradito e gonna jeans come tutte le sue coetanee, non è "la mia gente"; neppure sua cugina Manuela che come tutti i suoi 6 fratelli frequenta regolarmente le scuole del quartiere, "è la mia gente". Loro vivono con i rispettivi genitori in due camper in uno slargo all’inizio di via dei Prati fiscali vecchia. Lì la fontanella è piombata da fine agosto. "Ora andiamo col camper a prendere l’acqua - dice Zumbra, la mamma di Manuela - Io ho 7 figli che vanno a scuola, mi vergogno di mandarli sporchi ma lavarli ora è un’impresa. Chi pensa che noi ce ne andremo per una fontanella chiusa, sbaglia". Zumbra, 37 anni, in Italia c’è nata. "La nonna qui ci è morta, è tanto che siamo qui" - dice Manuela, guarda un faggio che ombreggia le due roulotte. Lì i bambini giocano, le nonne muoiono, la mamme cucinano, i papà partono e tornano. Qualsiasi cosa dica il minisindaco quegli spiazzi sono la casa di Zumbra, Vanessa e Manuela, rom di origine bosniaca. Ieri il Pdci-Fgic ha depositato simbolicamente una cassa d’acqua sotto la sede del IV municipio con una lettera indirizzata al minisindaco: "Alcune bottiglie d’acqua che potranno da lei essere usate per dissetare i cittadini di questo municipio, compreso il popolo rom". Si spera. Immigrazione: a Lucca apre mostra "Viaggi senza frontiere"
Redattore Sociale - Dire, 17 ottobre 2008
Più di 100 autori da tutti i continenti - la gran parte dall’Africa, dall’Iran, dalla Cina, e molti di loro rifugiati - hanno scelto di raccontare il viaggio, i loro sogni e le loro disillusioni. Ne è nata la mostra "Viaggi senza frontiere", a cura di Marisa Paolucci, promossa dal Cir (Consiglio Italiano per i Rifugiati, che da anni opera per coordinare e potenziare le azioni in difesa dei diritti dei rifugiati e richiedenti asilo poste in essere dagli organismi e dalle associazioni impegnate nel settore) e realizzata grazie al sostegno dell’amministrazione Provinciale di Lucca. Attraverso fumetti e vignette le storie di uomini e donne si intrecciano, le orme della fatica raccontano il peso della speranza e la satira denuncia il profondo malessere del terzo millennio ed apre anche squarci di speranza. Con la collaborazione di autori provenienti da aree geografiche di estrema difficoltà viene svelata la forza di denuncia e la difficile sopravvivenza non solo nei territori di provenienza ma anche in quelli di approdo. La mostra sarà inaugurata a Lucca sabato 18 ottobre 2008, nel Palazzo Ducale della città toscana dove resterà esposta fino al 2 novembre, nel contesto della manifestazione "Lucca Comics and Games" (www.luccacomicsandgames.com). Subito dopo, "Viaggi senza frontiere" sarà ospitata a Roma dal Cir a dicembre, in occasione della celebrazione del 60° anniversario della Carta Universale Onu dei Diritti Umani, sottoscritta da tutte le Nazioni del pianeta, per sottolineare come ancora milioni di persone siano costrette a vagare per il mondo alla ricerca dei propri diritti umani fondamentali. Stati Uniti: mai così tante le esecuzioni, a ottobre 11 in Texas
Il Tirreno, 17 ottobre 2008
Nel calendario americano la festività dedicata ai defunti non c’è. C’è Halloween, il 31 ottobre, che i morti caccia via. Ma stando al ritmo con cui in questi giorni in diversi Stati si procede alle esecuzioni, questo ottobre 2008 sta diventando nei fatti il mese dei morti di Stato. Dall’Ohio, al Texas alla Georgia, passando per la Corte Suprema, fioccano le esecuzioni capitali, con un ritmo che non ha precedenti negli ultimi anni. Se sia o meno un effetto della campagna elettorale in corso non si sa. Si sa però che i giudici della Corte Suprema hanno respinto gli ultimi appelli di grazia o rinvio. Il boia ha colpito alle 10:08 di martedì nel carcere di Lucasville, in Ohio, poi alla 6 della sera in Texas, quindi nei prossimi giorni in Georgia. Nel solo Texas saranno undici i detenuti messi a morte da qui alla fine di ottobre - con il parere favorevole della Corte Suprema. A Lucasville, è stato giustiziato Richard Cooey, 41 anni e 121 chili di peso. Condannato a morte per l’omicidio nel 1986 di due studentesse, l’uomo aveva chiesto di riconsiderare il modo in cui sarebbe stato ucciso: essendo diventato troppo grasso, temeva che gli addetti all’iniezione letale non riuscissero a trovargli la vena giusta, condannandolo a patimenti indicibili. La Corte ha respinto l’appello. Appello respinto anche per Troy Davis, 39 anni, condannato a morte per aver ucciso un poliziotto, nonostante sette dei nove testimoni d’accusa abbiano ritrattato e nonostante a suo favore siano siano espresse personalità come l’ex presidente Usa Jimmy Carter e l’arcivescovo Desmond Tutu. Sarà ucciso nei prossimi giorni. Svizzera: il Ticino affitta un carcere per detenuti da espellere
Swiss Info, 17 ottobre 2008
I detenuti in attesa di espulsione dal Ticino saranno detenuti in futuro nei Grigioni, nel penitenziario Realta di Cazis. Oggi il consigliere di stato ticinese Luigi Pedrazzini e la sua collega grigionese Barbara Janom Steiner hanno infatti firmato il contratto d’affitto per 16 celle. Il primo anno il prezzo sarà di 700.000 franchi, mentre in seguito scenderà a 410.000. Le celle saranno a disposizione solo a partire da aprile, una volta terminati i lavori di ristrutturazione, ha indicato oggi il Dipartimento di giustizia retico. Il Ticino non dispone di nessun penitenziario per detenuti in attesa di espulsione. Finora il cantone aveva a disposizione sei celle a Basilea Città, che nel frattempo ha però rescisso il contratto. Romania: italiano condannato a due anni con processo-lampo di Alessandra Mura
La Nuova Ferrara, 17 ottobre 2008
Una mobilitazione per Erik Benetti. All’indomani della condanna del 34enne copparese a due anni di reclusione emessa dal Tribunale rumeno di Vaslui, la famiglia e gli amici del giovane si stanno impegnando per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla vicenda. Erik, arrestato il 29 aprile con l’accusa di sfruttamento della prostituzione e tratta delle persone, è stato condannato dopo sole due udienze. I genitori di Erik, attraverso il consigliere comunale del Pd Nicola Santolini, stanno prendendo contatto con l’associazione "Vivere Liberi" (www.viveriliberionlus.blogspot.com) fondata da Giovanni Falcone, papà di Angelo, un giovane residente a Piacenza condannato a dieci anni di reclusione in India per detenzione di stupefacenti. Da allora Falcone si batte, spiega lui stesso, per affrontare "un problema sociale nazionale, quello dei detenuti italiani all’estero, là dove non vengono rispettati diritti umani fondamentali. Perché lo stato italiano deve garantire questi diritti per i suoi cittadini all’estero, al pari dei detenuti stranieri nelle nostre carceri". Falcone ha anche aperto un blog (giovannifalcone.blogspot.com) che sta diventando un luogo di "controinformazione" su un’emergenza che non trova sempre spazio tra i media. "Anche a livello locale ci stiamo muovendo - interviene il consigliere Santolini - e stiamo pensando a iniziative a sostegno della famiglia di Erik". Le motivazioni della sentenza saranno depositate a giorni, e dovranno chiarire perché Erik, che si è sempre proclamato innocente - è stato condannato a due anni di detenzione: oltre cinque mesi li ha già trascorsi in parte in cella e in parte ai domiciliari in un istituto religioso, dove si trova tutt’ora. Ma se e quando la sentenza diventerà esecutiva, per lui si apriranno le porte del carcere. Il suo avvocato, Ion Molos, ha già presentato appello, ma nel frattempo la famiglia di Erik ha deciso di accendere il più possibile i riflettori sull’odissea del figlio, e coinvolgere le istituzioni. Già i consiglieri regionali Montanari e Tagliani avevano presentato un’interpellanza, e ora la famiglia busserà anche alla porta del Parlamento, dove in Senato siede il sindaco di Copparo Maria Teresa Bertuzzi. Anche perché quella di Erik, al di là del pronunciamento giudiziario dopo un processo-lampo, resta una vicenda oscura. Il giovane e l’ex fidanzata rumena sono stati condannati (lei a 3 anni) in base alle sole dichiarazioni di due donne rumene per presunti reati commessi in Italia: secondo le accusatrici, Erik le avrebbe accompagnate a prostituirsi, controllandole poi a distanza. Dichiarazioni sulle quali non è stata fatta alcuna concreta verifica. "Dovremo leggere le motivazioni della sentenza", afferma l’avvocato Anselmo, che insieme ad Alessandra Pisa ha rappresentato in questi mesi la famiglia Benetti. Ina famiglia che non si arrende e sta lottando per rendere giustizia a Erik.
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