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Giustizia: reati calati del 10%, sempre più omicidi in famiglia di Fiorenza Sarzanini
Corriere della Sera, 16 ottobre 2008
La ricerca del Viminale segnala una diminuzione (meno 10,1 per cento) dei reati commessi nei primi sei mesi del 2008. È il numero che spicca, il dato che inquieta. Perché calano gli omicidi commessi in Italia, ma aumenta in maniera vertiginosa il numero di quelli avvenuti in famiglia. Basti pensare che nel 2005 i delitti tra le mura domestiche erano il 14,3 del totale e nel primo semestre 2008 la percentuale è balzata fino al 24,7. Vuol dire che ben uno su quattro scaturisce da atti di violenza tra coniugi oppure tra genitori e figli.
La diminuzione dei reati
L’ultima analisi sull’andamento della criminalità da gennaio a giugno di quest’anno fornisce una fotografia eloquente di quanto sta avvenendo nel nostro Paese. Perché evidenzia, tra l’altro, come il numero dei reati compiuti da stranieri si equivalga con quello dei delinquenti italiani. A cambiare è soltanto la tipologia delle violazioni, visto che chi arriva dall’estero si è specializzato nei furti e nelle rapine di abitazione, mentre per scippi e rapine in strada e in banca rimane il predominio della malavita locale. I numeri mostrano la diminuzione forte della delittuosità, pari al 10,1 per cento. Ma fanno scattare l’allarme per quanto avviene in ambito familiare. Perché quei segnali negativi già rilevati negli anni scorsi adesso sono un dato concreto ed eclatante di quanto le esplosioni di violenza sempre più segnino i rapporti tra persone che appartengono ad uno stesso nucleo. Nel secondo semestre del 2007 ci sono stati 308 omicidi. Di questi, il 9,5 per cento è stato commesso da appartenenti alla criminalità organizzata e il 39,7 da delinquenti comuni. Ben il 21,9 è nato invece da "dissidi familiari o per motivi passionali". La situazione già grave negli anni scorsi, è ulteriormente peggiorata. Su 297 delitti, l’8,9 per cento è stato compiuto nell’ambito di faide tra clan, il 34 da criminali comuni e quasi il 25 per cento per liti tra parenti.
Difficoltà di affermazione sociale
Secondo l’ultimo rapporto pubblicato dal Viminale e relativo al decennio che va dal 1996 al 2006 "nella maggioranza dei casi è il coniuge, il convivente o il fidanzato maschio ad uccidere la propria compagna. Questo risultato non ci sorprende: la violenza si esercita di norma dal più forte verso il più debole, di conseguenza le donne risultano più esposte rispetto ai compagni. Quando, invece, il rapporto di parentela tra autore e vittima è genitore-figlio, i maschi hanno una probabilità maggiore di essere le vittime di questo efferato crimine". Nella relazione veniva poi evidenziato come "non bisogna dimenticare che gli omicidi da parte di autore di sesso femminile sono una minima parte di quelli commessi e solitamente avvengono nei confronti del proprio partner, in ambienti quindi familiari. In Italia quasi la metà delle donne che agiscono da sole nella commissione di un omicidio hanno come vittima un uomo; la stessa situazione nelle zone del Mezzogiorno risulta più accentuata, con una differenza rispetto al dato nazionale di quasi dieci punti. Il fenomeno dei delitti familiari è stato analizzato anche dal professor Paolo Albarello, nell’ambito di un master organizzato per conto dell’Università La Sapienza di Roma. La ricerca delle cause che scatenano esplosioni di violenza tra persone legate da vincoli di sangue o comunque da rapporti di affetto e di amore, rimane infatti uno dei campi maggiormente esplorati nell’ambito della criminologia. Secondo il docente, esperto di medicina legale, "gli individui incontrano sempre più spesso difficoltà nel dover fornire continuamente risposte, in termini di adattamento, di integrazione e di affermazione sociale ad una serie di richieste e di aspettative sempre più alte e complesse, il che aumenta il senso di insoddisfazione e moltiplica le frustrazioni. Il nucleo familiare diviene sempre più di frequente il luogo di implosione delle spesso inconciliabili aspirazioni di affermazione sociale con il patrimonio di valori interiorizzato dagli individui fin dai primi anni di vita".
Tutti in calo i "delitti predatori"
Non a caso il Sap, il sindacato autonomo di polizia, ribadisce la richiesta di "una normativa di tutela che permetta alle Forze dell’Ordine di poter intervenire, concretamente, nella prevenzione di questo tipo di reati e non soltanto nella repressione". "È necessario investire nella formazione e nella preparazione del personale - chiarisce il segretario Nicola Tanzi - perché le dinamiche di cambiamento della società sono veloci e gli operatori, la cui professionalità spesso nasce spesso dall’esperienza personale e da doti umane non comuni, hanno necessità di essere costantemente aggiornati". La fotografia dell’Italia criminale fornisce anche altre cifre eloquenti. Si scopre che i reati commessi nei capoluoghi sono diminuiti dell’8,3 per cento e ancor di più nelle altre aree con un calo che arriva quasi al 12 per cento. Complessivamente sono state compiute 1.286.391 violazioni penali, ben 145.208 in meno rispetto all’ultimo semestre del 2007 e 215.156 in confronto allo stesso periodo dello scorso anno. I reati "predatori" sono tutti in netto calo. Vanno giù i furti (691.619 con un meno 12,9 per cento), gli scippi (9.403, -13,4), le rapine (23.206, -4,7). Interessante è anche il dato che riguarda il rapporto tra cittadini e forze dell’ordine. Si scopre infatti che le stazioni dei carabinieri continuano ad essere il luogo dove maggiore è l’affluenza di denunce: tra gennaio e giugno il 65,5 per cento di chi doveva segnalare un delitto si è rivolto a loro. Giustizia: Rossa; il killer di mio padre ha pagato... liberatelo di Concetto Vecchio
La Repubblica, 16 ottobre 2008
Dalla figlia dell’operaio comunista dell’Italsider ucciso il 24 gennaio 1979 appello al giudice che ha negato la condizionale all’ex br Guagliardo: "Ci ripensi". Il Tribunale di Sorveglianza nega la libertà condizionale all’ex brigatista Vincenzo Guagliardo, l’assassino del sindacalista Guido Rossa, e la figlia della vittima, Sabina Rossa, deputata Pd, a sorpresa si dice in disaccordo: "I magistrati ci ripensino. Guagliardo l’ho conosciuto, è un uomo ravveduto, che ha pagato il conto con la giustizia". Nome di battaglia "Pippo", sessant’anni, colonna genovese, duro, irriducibile, l’ex br è in carcere dal 21 dicembre 1980, dopo l’arresto a Torino in un bar di corso Brescia. Condannato all’ergastolo. Sei anni fa ammesso al lavoro esterno, da quattro semilibero: esce la mattina da Rebibbia per andare a lavorare in un coop sociale, la Soligraf, dove insieme alla moglie, l’ex br Nadia Ponti, trasferisce su un software per non vedenti intere biblioteche, e rientra in cella alle 23. L’altro giorno la magistratura di sorveglianza di Roma ha respinto la richiesta di libertà condizionale, avanzata dal suo legale, Ugo Giannangeli. Tra le motivazioni: il fatto che non abbia mostrato ravvedimenti né coltivato rapporti con le vittime. Ma un incontro con Sabina Rossa ci fu, agli inizi del 2005, a Melegnano, e fu riportato nel libro Guido Rossa, mio padre, edito da Bur Rizzoli. La figlia gli aveva telefonato senza preavviso, poi gli aveva scritto una lettera, quindi si erano visti in un pomeriggio di fitta neve nel quale s’erano intrecciati per tre ore dolore, imbarazzo, pudore. "Penso sia mio dovere dirti com’è andata. Non davanti ai giudici o nelle aule di tribunale, ma a te lo devo...", esordì "Pippo". Si persero di vista. Guagliardo non ne parlò mai, nemmeno nella richiesta di liberazione condizionale, con la stessa ferrea coerenza con cui rifiutava i difensori al processo: "Avvocato, taccia se non vuol fare la fine del suo collega Rogolino, pestato nel carcere di Cuneo da un militante comunista. Nella mia veste di brigatista rosso, non voglio essere difeso da nessuno", disse nell’aula bunker di Torino, il 22 febbraio 1981. Guido Rossa doveva essere gambizzato, questo è confermato anche dalle perizie. Guagliardo gli sparò alle gambe con la Beretta 81 calibro 7,65, un altro componente del commando, Riccardo Dura, lo ammazzò. Sabina aveva 16 anni. Dice oggi: "Ha fatto 28 anni di carcere, ha pagato. Trovo paradossale che il tribunale non ritenga importante il nostro incontro solo per il fatto che fu io a propiziarlo. Vorrei andare a parlare con i giudici, per spiegare che non c’è alcuna ragione che se ne stia ancora in carcere". Rossa si è espressa contro la decisione del governo Sarkozy di non estradare la terrorista rossa Marina Petrella. "Lo trovo incomprensibile, perché in questo caso la pena non è stata espiata. Una volta in Italia, in attesa di un’eventuale grazia, sarebbe trattata con spirito umanitario, e non semplicemente sbattuta dentro una cella". Oggi Le Monde pubblica una lettera inviata dalla Petrella al suo avvocato Irene Terrel il 19 luglio nella quale afferma di provare pena e compassione per le vittime delle Br, e di ritenere "la perdita di una vita umana sempre una tragedia". Giustizia: galere italiane sono un inferno il presidente che fa? di Patrizio Gonnella (Presidente di Antigone)
Il Manifesto, 16 ottobre 2008
Ieri il Presidente della Repubblica ha festeggiato il Corpo di Polizia Penitenziaria. "Ascolta, o Signore la nostra preghiera. Dacci luce e forza perché possiamo riuscire a svolgere bene il nostro difficile compito di tutelare la società nell’aiutare chi ha sbagliato per debolezza a ritrovare il senso morale della vita. La Tua parola illumini la nostra vita, il Tuo amore sostenga la nostra fatica. Benedici, o Signore, la nostra cara Patria, tutti i nostri Reparti, le nostre famiglie e i fratelli che ci sono affidati. Dona la Tua pace a tutti coloro che sono caduti nell’adempimento del proprio dovere. O Vergine Maria, Madre di Dio, ispiraci sentimenti di misericordia verso coloro che soffrono la detenzione, in modo che siano con noi conciliati, e il sentimento fraterno e la necessità del dovere. Prega per noi, o San Basilide, nostro Patrono, così che la Tua testimonianza di fede, passata attraverso il martirio, sia per noi tutti di fulgido esempio, di immancabile sostegno e di vero conforto. Amen" (preghiera dell’agente di polizia penitenziaria tratta dal sito www.polizia-penitenziaria.it). Misericordia, amore, pace sono parole importanti. Lo sono ancora di più se a pronunciarle è un poliziotto. Speriamo che quella preghiera sia ascoltata anche da chi nel nome di Dio, Patria e Famiglia sta trasformando l’Italia in un immenso carcere violento, senza diritti e senza garanzie. Il numero dei detenuti oggi è in crescita esponenziale. Mai era accaduto nella storia repubblicana che fossero aumentati di mille unità al mese. Sino all’anno scorso crescevano di mille unità l’anno. Ieri il Ministro Alfano ha esposto in modo confuso una ricetta anti-sovraffollamento fatta di espulsioni, braccialetti, camere di sicurezza. Spieghi Alfano al suo collega Maroni che se l’immigrazione irregolare dovesse divenire reato entreranno in carcere altre decine di migliaia di stranieri. Spieghi Alfano alla sua collega Carfagna che se la prostituzione di strada dovesse diventare reato entreranno negli istituti penitenziari altre decine di migliaia di prostitute. Spieghi Alfano al senatore Berselli che se la sua proposta di legge anti-Gozzini diretta a cancellare la liberazione anticipata andasse in porto le galere scoppieranno e le rivolte si susseguiranno. IL ministro della giustizia ha ricordato al Presidente Napolitano che siamo arrivati alla quota di 57 mila detenuti, poco meno dei 61 mila presenti nelle 207 carceri italiane ai tempi dell’indulto approvato nel luglio del 2006. L’indulto è considerato ancor oggi il male supremo, la fonte di tutti i guai dell’Italia, come se povertà, precarietà, disoccupazione, recessione fossero colpa della clemenza avuta nei confronti dei carcerati. Quella clemenza fu voluta anche dall’attuale Capo dello Stato. Giorgio Napolitano sfilò nel Natale del 2005 per le strade di Roma a favore dell’amnistia. Ecco perché Presidente Napolitano ci aspettiamo che lei rivolga alla classe politica di destra (e anche un po’ di sinistra) parole di invito alla ragionevolezza e alla giustizia senza avere paura di essere naif. Il buon senso è spesso meravigliosamente naif. Per questo ci piacerebbe un Presidente della Repubblica che dica che è assurdo mettere in galera un immigrato solo perché non ha il permesso di soggiorno, un giovane solo perché fuma uno spinello, una prostituta solo perché fa la prostituta e non la puttana da salotto. C’è bisogno di un messaggio di razionalità e di libertà. Per fronteggiare il sovraffollamento bisogna cambiare le leggi sull’immigrazione, sulle droghe e sulla recidiva. Bisogna avere il coraggio di non inseguire le chimere del consenso che ci hanno portato verso questa deriva illiberale e razzista. Oggi in galera si vive male. Può capitare di essere chiusi in celle di 10 metri quadri in quattro persone per 20 ore al giorno per molti anni. Questo è oggettivamente un maltrattamento. Raccontiamolo agli italiani senza paura di risultare anti-moderni. Giustizia: nel 2007 94mila arresti, ma il 25% libero in 3 giorni di Donatella Stasio
Il Sole 24 Ore, 16 ottobre 2008
Stress da sovraffollamento: è una - la più grave - delle malattie di cui soffrono le 205 carceri italiane costruite, nel 60% dei casi, tra il 1600 e il 1800, destinate a ospitare 43.262 detenuti e invece costrette a contenerne 57.187, con un ritmo di 1.000 ingressi giornalieri, compensati da un ritmo altrettanto elevato di uscite. Il paradosso, tutto italiano, è l’effetto "porta girevole", gente che entra e esce dal carcere nel giro di pochissimi giorni: 94mila, nel 2007; e di questi, 24mila sono stati scarcerati dopo solo 3 giorni (8.500 italiani, 3.400 stranieri comunitari e 12.000 extracomunitari). La medicina contro lo stress da sovraffollamento (che miete vittime tra detenuti e poliziotti) non c’è, ha ammesso ieri il Capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, e a breve torneremo in piena emergenza pre-indulto. "Non abbiamo la soluzione, rapida e efficace, per risolvere questa drammatica questione", ha ammesso Ionta di fronte alla platea di autorità, a cominciare dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, presenti alla Festa per il primo anniversario della fondazione della Polizia Penitenziaria. "Ci sono delle direttrici di marcia", ha aggiunto, prima di dare la parola al ministro della Giustizia Angelino Alfano, costretto ad ammettere che lo "stress da sovraffollamento" non si cura con un’aspirina ma ha bisogno di una terapia di lungo respiro. Il guardasigilli assicura che il Governo "ha elaborato in questi pochi mesi una strategia complessiva e multisettoriale" per uscire dallo stress "senza alcuno sconto sulle prioritarie esigenze di sicurezza". Una strategia che prevede il completamento e l’ampliamento di alcune strutture carcerarie, la stipula di accordi bilaterali con i Paesi di origine dei detenuti stranieri condannati a pene detentive brevi, affinché scontino la loro pena in Patria; il braccialetto elettronico per i detenuti a più bassa pericolosità. Misure già anticipate nelle scorse settimane, che lasciano scettici gli operatori anche se dai sindacati dei poliziotti, dagli educatori e anche dall’opposizione si chiede ad Alfano di passare, almeno, "dalle parole ai fatti". Anche Napolitano ha sottolineato il problema del sovraffollamento che, insieme a quello della crescente presenza degli stranieri di etnie e culture diverse (sono il 38% della popolazione carceraria, in prevalenza marocchini, albanesi, tunisini e romeni), rende "più difficile e prezioso" il lavoro dei poliziotti. Che devono fronteggiare la situazione a ranghi ridotti: sulla carta dovrebbero essere 45.521, ma ce ne sono solo 41mila. La paura di arrivare, già nella prossima estate, ai livelli pre-indulto è diffusa. Secondo Alfano, tra le cause del sovraffollamento c’è l’aumento della criminalità tra gli stranieri e l’effetto "porta girevole": gli arrestati per furto, danneggiamento, risse, scontri negli stadi, in fase di convalida dell’arresto vengono spesso scarcerati. Il ministro non lo dice, ma tutti sanno che se passasse il reato di clandestinità ci sarebbe una vera e propria impennata degli ingressi. Giustizia: Osapp; puntare su una riforma e rieducare i detenuti
Agi, 16 ottobre 2008
Per affrontare il problema del sovraffollamento nelle carceri bisogna puntare sulla riforma del Corpo di Polizia penitenziaria e sulla rieducazione del detenuto. È quanto afferma il sindacato Osapp, che ringrazia il Capo dello Stato Giorgio Napolitano "per le parole di vicinanza che ha saputo esprimere in un momento particolarmente delicato per gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria". Il leader dell’Osapp, Leo Beneduci, ringrazia anche il ministro della Giustizia Angelino Alfano, il cui intervento è stato "lucido e rigido", e che "ha saputo fotografare una realtà già nota, però: sappiamo da tempo oramai che l’indulto ha esaurito i suoi effetti e che è necessaria un’inversione di rotta importante dell’intero sistema. Se una critica va fatta al Guardasigilli, ci permettiamo di sottolineare come nel giorno di celebrazione del Corpo non si metta mai al centro delle soluzione proposte proprio il ruolo e la funzione cardine dell’agente penitenziario". Infatti, continua Beneduci, "se il capo del Dipartimento, Franco Ionta, è riuscito ad esaltare la figura del poliziotto penitenziario, il ministro Alfano si è impegnato ad illustrare una strategia, che come ha citato, deve essere multisettoriale". Alfano, secondo l’Osapp, "parla di riforme, senza mai dimostrare il coraggio per un accenno alla madre di tutte le riforme penitenziarie, che poi è quella che riguarda il Corpo di Polizia al quale apparteniamo e che oggi festeggiamo, illustra le soluzioni ponendo l’accento sulle esigenze prioritarie di sicurezza del cittadino dimenticando l’apporto che potrà dare, e che nella maggior parte dei casi già dà, proprio l’agente preposto alla salvaguardia e al funzionamento delle carceri, ringrazia così i direttori d’istituto sorvolando sul fatto che le vere criticità nascono proprio da un’impostazione sbagliata della funzione a cui deve assurgere l’istituto di pena, tralasciando così l’aspetto più importante della pena stessa: la rieducazione". Certo, conclude l’Osapp, "parlare di pena e di rieducazione è difficile in tempi difficili di sovraffollamento incalzante, e sappiamo altrettanto bene come questo principio, in un sistema di porte girevoli, si annulli inesorabilmente, ma non perdiamo la speranza per chi, come noi, crede ancora nella Costituzione". Alle parole di Alfano, quindi, Beneduci risponde: "possiamo utilizzare e sostenere politiche di corto o di lungo respiro ma non dobbiamo per questo perdere mai la bussola verso cui ogni sistema detentivo che si rispetti deve guardare". Giustizia: Ugl; provvedimenti urgenti, per evitare l’implosione
Agi, 16 ottobre 2008
"Occorrono provvedimenti urgenti per evitare implosione" poiché "senza una modifica strutturale del processo penale e dell’esecuzione della pena, i problemi delle carceri sono destinati a rimanere insoluti". Lo dichiara Giuseppe Moretti, segretario nazionale Ugl Polizia penitenziaria commentando le dichiarazioni del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta, sugli effetti dell’indulto in occasione del 191’ anniversario di fondazione del Corpo. "L’Ugl, in occasione della Festa del Corpo - aggiunge il sindacalista - chiede al ministro e al vertice dell’Amministrazione penitenziaria un programma di interventi immediati per sminare le tensioni che nei giorni scorsi sono state causa di aggressioni, ma anche provvedimenti diretti a ridare credibilità al sistema carcere che non può esercitare la funzione di recupero prevista dal legislatore con il continuo depauperamento delle risorse a fronte di un incremento mensile di circa mille detenuti". Secondo Moretti, "occorrono riforme profonde per superare l’attuale stato di congestione in cui versa la macchina penitenziaria. Abbiamo quindi chiesto un incontro al ministro Alfano - conclude il sindacalista - per comprendere quali siano le azioni che si intendono attuare nell’immediato e per ribadire che un programma a lungo termine non può prescindere da un maggior ricorso alle misure alternative alla detenzione e da accordi bilaterali per l’espiazione della pena detentiva (anche non definitiva) negli Stati di provenienza dei detenuti stranieri". Giustizia: medici carcerari; quale futuro dal passaggio al Ssn? di Paola Fusco
www.ilcorrieredellasicurezza.it, 16 ottobre 2008
Si è tenuto nei giorni scorsi a Milano il congresso della Simspe - Società Italiana Medicina e Sanità Penitenziaria, il nono per l’Associazione ma primo della "nuova era" della medicina e sanità penitenziaria, che ha ufficialmente lasciato il 30 settembre il Ministero di Giustizia per passare a quello della Sanità e quindi alla competenza delle Regioni. Ma proprio in virtù di questo passaggio sono ancora tante, per gli operatori del settore, le domande che restano senza risposta, circa il futuro del personale, le competenze professionali acquisite sul campo, la valutazione nei futuri assetti dei quasi 4.000 operatori sanitari penitenziari e l’omogeneità assistenziale che le Regioni potranno assicurare. "Le relazioni dei relatori e gli interventi dei partecipanti hanno evidenziato come il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria abbia definitivamente cessato il rapporto con la Sanità penitenziaria e come questa sia a tutti gli effetti oramai dipendente dal Ssn" ha spiegato il presidente Andrea Franceschini "Dipendente ma ancora non organicamente assorbita. Ora inizierà la vera riforma, con l’organizzazione di nuovi modelli di operatività nei penitenziari e con la definizione delle posizioni contrattuali degli operatori che fino a oggi hanno lavorato in carcere. La discussione ha trovato concordi esponenti politici, del Ssn, e di organizzazioni di volontariato nel mettere in evidenza come il medico penitenziario abbia una peculiarità fondata sulla conoscenza e l’esperienza delle dinamiche del carcere, tale da richiederne la continuità lavorativa negli istituti penitenziari per la completa riuscita della riforma". Al congresso è intervenuto l’onorevole Carlo Ciccioli, vice presidente della commissione Sanità alla Camera: "Il passaggio formale è avvenuto con il passaggio delle competenze dal Ministero di Giustizia a quello della Salute. Nulla sembrerebbe cambiato, invece le condizioni sanitarie in carcere - per il fatto che i pazienti sono persone private della loro libertà - sono molto particolari e coinvolgono altri aspetti oltre all’assistenza, come la comunicazione, la sicurezza e ovviamente i fondi" ha spiegato. "Ritengo che, data la peculiarità e complessità della materia, possiamo considerare il prossimo un anno di assestamento durante il quale proseguire il dialogo che abbiamo oggi avviato e lavorare insieme per l’individuazione e formalizzazione di nuovi percorsi legati ai problemi del personale e dell’organizzazione". Lettere: i giovani invecchiano in carcere e i vecchi vi muoiono
Ristretti Orizzonti, 16 ottobre 2008
Oggi è un giorno come tanti altri. Contiene momenti alti e bassi. Ore di alti e bassi. Minuti di alti e bassi. C’è una sola certezza che mi accompagna sempre: "stasera andrò a letto con la zavorra dentro di sapere che domani volente o nolente dovrò aprire gli occhi su una situazione immutabile". Perché non ha alcun senso vivere se senti che la vita ti è già stata portata via. Un tempo ormai remoto lo Stato si pronunciò sentenziando "I giovani dovranno invecchiare in carcere e i vecchi dovranno morirci". Oh… mica scherzava, anzi! Io sono nato nel 1971. Sono stato arrestato nel 1990. Ora sono le due e un quarto dell’otto ottobre 2008. Potreste replicare: "E allora? Cosa ci importa?". Però per me è importante che sappiate che quello che si sente dire in tv e cioè che gli ergastolani escono di galera dopo dieci anni o meno, cominciando ad usufruire di benefici, non è vero! Provate a giocare un pò con la mia data di nascita e con quella dell’arresto e a conti fatti vi renderete conto che sono in stato di detenzione da 18 anni. Anni in cui vi assicuro che non ho mai messo neppure un piede fuori! "Sarai un’eccezione" comincerete a dire. No. Io sono la regola! Personalmente conosco almeno altri 20 casi come il mio, ma so che ne esistono moltissimi altri. Centinaia. È paradossale arrivare a considerarsi fortunati perché si è ancora abbastanza giovani. Sperare di poter uscire quando ancora non si supera i 50 anni. La migliore delle ipotesi per me è infatti quella! Avere 37 anni e averne passati 18 in carcere infatti, mi da solo quella speranza. Ma l’ergastolo è certezza di una pena infinita! C’è chi sostiene che sia necessario dare certezza della pena: più certa dell’ergastolo non mi sembra sia possibile pensarla! Non so chi, appartenente alla maggioranza o minoranza politica si sia arrogato il diritto di comportarsi come se fosse il Creatore, decidendo che delle nostre vite può fare ciò che vuole, ma oltre che a noi, la certezza della pena, questa pena eterna, l’ha inflitta anche ai nostri familiari. Ma se è vero che io sono in carcere proprio perché la vita umana non è una candela che un uomo può spegnere a proprio piacimento o ri-accendere se lo desiderasse, allora perché tutti non si smette di comportarsi come se si fosse Dio in terra? Agli ergastolani vorrei dire che proprio per l’affetto che ci lega a familiari, amici e persone che credono che l’ergastolo non sia pena attuabile in un paese civile, dobbiamo lottare per non divenire oggetto di strumentalizzazioni di sorta. C’è chi ha costruito la propria carriera sulla nostra sofferenza e magari lo ha fatto convinto di prenotarsi così anche un posto in paradiso. Se hanno deciso di lasciarci morire in carcere potremmo anticipare questa cosa lasciandoci morire di fame… non ne trovate la forza? Fisiologico! Allora assorbiamo un po’ di energia da tutte le donne che stanno aderendo al comitato femminile e da tutte le iniziative connesse alla protesta che stiamo preparando. Diamo a loro un motivo in più di credere che sia possibile arrivare ad un sistema penale che non includa la parola Ergastolo.
Ivano Rapisarda Ergastolani in lotta per la vita - Spoleto Lazio: Marroni; morto il 15° detenuto dell’anno è una strage
Comunicato stampa, 16 ottobre 2008
Il garante dei detenuti Angiolo Marroni: "nelle carceri del Lazio si sta consumando una vera e propria strage nel silenzio dell’opinione pubblica che, piuttosto, preferisce parlare di inasprimento e certezze delle pene". È stato trovato dai suoi compagni privo di vita, poco prima delle 8, all’interno della sua cella di "Regina Coeli". Il referto medico parla di arresto cardiaco, ma sarà l’autopsia disposta dall’autorità giudiziaria ad accertare le cause della morte di Alberto B., detenuto 54enne da poco più di due mesi recluso nel carcere romano. A segnalare il decesso, avvenuto martedì 14 ottobre, il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni che denuncia: "Dall’inizio dell’anno siamo ormai arrivati a 15 morti nelle carceri del Lazio. Una vera e propria strage che si sta consumando nel silenzio dell’opinione pubblica che, piuttosto, preferisce parlare di inasprimento e certezze delle pene". Secondo l’Ufficio del Garante dei detenuti Alberto B. è il 15mo morto accertato (14 detenuti e un agente di polizia penitenziaria) nelle carceri del Lazio dall’inizio del 2008 contro gli 11 dell’interno 2007 e i dieci del 2006. Quelli deceduti quest’anno sono tutti uomini: sei sono i suicidi (compreso l’agente di polizia penitenziaria), quattro i decessi per malattia, cinque quelli da accertare o non accertati. I decessi sono avvenuti a Regina Coeli (quattro), Rebibbia (cinque), Viterbo (tre), Velletri e Frosinone. Alberto B., separato e con due figli, era arrivato a Regina Coeli l’11 agosto scorso per scontare una condanna in primo grado a un anno e 4 mesi di reclusione per un tentato furto all’interno di una cantina: l’uomo stava cercando materiali ferrosi da rivendere. Secondo le testimonianze dei parenti - che questa mattina, con un avvocato, hanno avuto un lungo incontro con il direttore dal carcere alla presenza degli operatori del Garante - nei due mesi di detenzione Alberto era dimagrito molto e ai colloqui settimanali appariva sempre più affaticato e confuso al punto tale che la sorella aveva chiesto, ed ottenuto, di effettuare anche dei colloqui straordinari. Negli ultimi tempi l’uomo era sottoposto a regime di sorveglianza accentuata per problemi di convivenza con gli altri detenuti. "In un mese, dal 13 settembre ad oggi, abbiamo registrato quattro decessi, tre dei quali per cause da accertare - ha aggiunto Marroni - Un’accelerazione drammatica che conferma i dati allarmanti diffusi solo due giorni fa dal ministro della Giustizia Alfano e che segnala come, ormai, nel sistema penitenziario qualcosa non funziona più. Per garantire la sicurezza dei cittadini e tornare ad un carcere migliore da un punto di vista qualitativo e quantitativo non basta costruire nuove strutture, occorre agire su una legislazione che crea carcere, e dar vita a un nuovo codice penale che preveda la detenzione come extrema ratio e il ricorso a pene alternative e forse più dissuasive".
Ufficio del Garante dei detenuti del Lazio Milano: a San Vittore detenuti giovani e con problemi psichici
Il Giornale, 16 ottobre 2008
Si aggrava il problema del sovraffollamento nel carcere di San Vittore: i detenuti attualmente rinchiusi sono infatti 1.424, quasi 500 in più rispetto alla capienza consentita dalla struttura. Vale a dire una cifra non molto lontana dai 1300 carcerati pre indulto. Una situazione comunque in linea con il resto della Lombardia, dove in tutto ci sono 18 carceri con 8.300 reclusi, 3mila oltre la capienza massima. "La nostra regione è in assoluto la più sovraffollata - racconta la direttrice di San Vittore, Gloria Manzelli -. È all’ordine del giorno trasferire i detenuti di San Vittore, dopo il primo grado di giudizio, non solo in altre carceri lombarde, ma addirittura in altre regioni". Molti carcerati sono giovani: "Negli ultimi anni il numero dei detenuti appena maggiorenni è decisamente aumentato - spiega -. Una circostanza collegata all’aumento degli immigrati in Italia: la maggior parte di loro è giovane, e di riflesso c’è un aumento dei rinchiusi di età inferiore ai 30 anni". Fra le nazionalità maggiormente rappresentate ci sono i magrebini in testa, seguiti da albanesi e cittadini dell’Est europeo, romeni in particolare. Un’altra tendenza è quella dell’aumento dei reclusi per reati legati alla droga. "Finiscono infatti in cella molti adolescenti sorpresi con l’ecstasy fuori dalla discoteca, o giovanissimi fermati con pochi grammi di hashish" puntualizza la direttrice. Secondo Gloria Manzelli, tutto ciò rappresenta anche un fallimento del sistema di recupero delle persone: "Tanti potrebbero salvarsi facendo ricorso ai servizi sociali - continua -, come gli alcolisti che compiono reati durante le crisi di astinenza, o individui con disagio psichico, oppure chi si limita a rubare cibo dagli scaffali del supermercato...". Dal carcere, insomma, arriva la richiesta di interventi preventivi: "La prevenzione aiuterebbe meglio di altre cose - conclude -. E non mi rivolgo solo ai servizi sociali ma anche alla cerchia di amici, famigliari, colleghi di lavoro. Tutte persone che dovrebbero accorgersi del disagio sociale e psichico di chi gli sta vicino".
Detenuti più giovani e con problemi psichici
A San Vittore è in crescita il numero dei giovani detenuti e di quanti soffrono di problemi psichiatrici. Anche se non ci sono stime precise, la sensazione viene confermata dal direttore del carcere Gloria Manzelli: "La popolazione del carcere è sempre più giovane. Purtroppo non abbiamo cifre precise ma è verosimile che negli ultimi due anni i detenuti ‘under 30’ siano aumentati di un terzo. E si tratta di ragazzi che hanno alle spalle diverse e gravi difficoltà". Un dato che va messo in relazione con l’elevata concentrazione di immigrati (75% della popolazione carceraria) a San Vittore. "Avvertiamo anche una crescita esponenziale di detenuti con problemi psichici e psichiatrici - aggiunge Gloria Manzelli -. Il disagio mentale in carcere è aumentato moltissimo: la sensazione è che se, all’esterno, ci fosse stata una maggiore attenzione, queste persone non si troverebbero qui oggi". All’interno di San Vittore si trovano 1.424 persone a fronte di una capienza di 900 posti letto:tre raggi infatti (il secondo, il quarto e il raggio speciale) sono ancora chiusi perché inagibili e i lavori non sono ancora iniziati. "Chiediamo in continuazione i trasferimenti - spiega Gloria Manzelli - ma ogni giorno si registra una media di 30-35 ingressi". Ravenna: il carcere nella bufera; telefonini coltelli e microspie di Carlo Raggi
Il Resto del Carlino, 16 ottobre 2008
Dopo il telefono cellulare trovato nella disponibilità di un detenuto "eccellente", dopo la batteria (di un altro telefonino) trovato nella cella di un tunisino, ecco spuntare, è il caso di dirlo, sempre in una cella del carcere di via Port’Aurea, un coltellaccio, di quasi venti centimetri tutto compreso: 8,5 centimetri di lama e undici centimetri di manico. Si tratta di una micidiale arma con cui è ben facile uccidere una persona. Il coltello è stato trovato in una cella in cui, al momento della perquisizione, c’erano cinque detenuti. Ma non è tutto. Se compaiono telefoni e coltelli (e anche droga), se c’è chi chiede denaro agli avvocati, nella casa circondariale di via Port’Aurea c’è anche qualcosa che scompare: sono le microspie installate in una sala interna e finalizzate all’ascolto dei colloqui fra detenuti, nelle pause degli interrogatori effettuati da un pubblico ministero nell’ambito di una delicata inchiesta. Insomma, ogni giorno che passa, questa nostra inchiesta sugli scandali all’interno del carcere si va sempre più incrementando di fatti che appaiono incredibili e che necessariamente dovranno costituire oggetto di una inchiesta unitaria con uno scenario ben preciso: e cioè che qui non ci sono tanti casi isolati di influenza, ma c’è un’epidemia. Che risponde a ipotesi di reato che si chiamano corruzione e concussione. Andiamo con ordine. Il sequestro del coltello risale a poco tempo fa, esattamente alle 8 del mattino del 12 settembre scorso. La Polizia penitenziaria entrò nella cella, effettuò una perquisizione e trovò l’arma. Fu una perquisizione a sorpresa, come quella che permise il sequestro del telefonino: nel carcere di Ravenna, come in qualunque carcere, le perquisizioni sono routinarie e difficilmente portano alla scoperta di qualcosa. Perché i detenuti si sentono ben sicuri. Se invece qualcosa si trova, allora significa che c’è stata una soffiata inaspettata. Nella cella perquisita in quel momento c’erano cinque detenuti: un marocchino di 34 anni, un tunisino di 44, un uomo di 49 anni di Cesenatico, un ravennate di 31 e un detenuto "eccellente", un catanese di 55 anni, da decenni residente a Ravenna. Ovvero, lo stesso che aveva il cellulare. Sono tutti e cinque indagati per detenzione abusiva di coltello di genere proibito e il fascicolo relativo all’indagine preliminare è affidato al pm Silvia Ziniti. Se trattato così, come una normale detenzione abusiva di arma, rischia di finire con l’emissione di un decreto penale di condanna. Quando invece questo come gli altri episodi potrebbero essere letti in una ben diversa ottica: il carcere non è posto in cui i coltelli possono circolare e se si trovano, come per il telefonino, allora significa che qualcuno non ha fatto i dovuti controlli. Per non ipotizzare qualcosa di diverso e ben più grave. Veniamo alle microspie. Negli uffici della Questura o dei Carabinieri è tecnica investigativa ricorrente posizionare microspie nelle sale destinate ad accogliere testimoni o indagati in attesa di essere sentiti; allo stesso modo accade in carcere quando il pm dispone interrogatori di detenuti. O anche nelle sale - colloqui con i familiari. Nel corso di un’inchiesta, sembra per droga, condotta dal pm Cristina D’Aniello, in una sala della Casa Circondariale erano state fatte inserire microspie per ascoltare i colloqui dei detenuti che si trovavano insieme nelle pause degli interrogatori, protrattisi per diversi giorni. A un tratto gli investigatori si sono accorti che non veniva registrato più alcun colloquio. Si è ben presto compreso il motivo: erano scomparse le microspie. Chi le aveva rimosse? E ciò era stato compiuto per dabbenaggine o per dolo? Trani: Osapp; possibilità di abbandonare le trattative col Dap
Il Velino, 16 ottobre 2008
"A Trani gli organi dell’amministrazione centrale non hanno avuto il necessario atteggiamento imparziale. Per questo stiamo valutando la possibilità di abbandonare il tavolo delle trattative in ambito nazionale, finché non si ripristino condizioni di reale agibilità sindacale, qui, come in tutti gli istituti penitenziari d’Italia". È quanto dichiara Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria (Osapp), che interviene sulle polemiche che hanno investito Domenico Mastrulli, al 15esimo giorno di sciopero della fame contro la decisione del direttore dell’istituto di Trani di sgombrare l’Osapp, e per questo raggiunto da un avviso di garanzia. "La denuncia - continua Beneduci - che facciamo oggi è grave, tanto più significativa all’indomani delle celebrazioni della Polizia Penitenziaria dove abbiamo plaudito al nuovo corso dell’amministrazione Penitenziaria". "Pur nel rispetto del lavoro dell’autorità giudiziaria la vicenda di Trani segnala come la situazione sia stata gestita in maniera pessima dai responsabili delle relazioni sindacali del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Non sono serviti gli appelli al buon senso e alla ragione - spiega il segretario generale dell’Osapp, per giorni e giorni abbiamo segnalato ai vertici del Dipartimento, e riportato agli organi di stampa locali e nazionali, un clima sempre più teso, e i rischi che la vicenda degenerasse. Ma il Dipartimento non si è mosso e il ministro sembra non essere stato informato di ciò che sta accadendo in Puglia. Atteso che la precedente gestione sia stata caratterizzata dal totale abbandono di qualsivoglia iniziativa di miglioramento delle condizioni carcerarie, e per questo criticata aspramente da questa segreteria, il timore che fatti del genere accadano ancora c’induce a pensare che l’intero sistema delle relazioni sindacali debba essere rivisto, e chi rappresenta il sindacato non debba essere più colpito, in ambito centrale e periferico, per le idee che manifesta o gli atteggiamenti contrari che assume, rispetto scelte rovinose per i diritti dei lavoratori". "A Trani sta avvenendo una cosa strana, più volte abbiamo censurato ed eccepito la legittimità delle iniziative di una direttrice, che va contro gli accordi vigenti in materia di gestione del personale, e l’amministrazione centrale non fa altro che starsene a guardare. Per questo motivo siamo disposti a valutare la possibilità di pagare il prezzo più alto, pur rinunciando alla legittima aspettativa di sedere al tavolo ed esprimere le nostre sacrosante prerogative. Quel tavolo - conclude l’Osapp - al quale eravamo appena rientrati dopo più di un anno di astensione, in dissenso con la gestione Ferrara". Milano: Edge Festival; spettacoli a Bollate, Opera e S. Vittore
Apcom, 16 ottobre 2008
Spettacoli, recital musicali, teatro, danza, incontri, che danno voce a chi vive ai margini, o perché in carcere, o perché in situazione di disagio fisico o psichiatrico. Sono questi gli ingrediente della prima edizione di "Lombardia Edge Festival", articolata manifestazione che si svolgerà nel periodo tra il 17 e il 24 ottobre al Teatro Verdi di Milano, nelle carceri di Bollate, Opera e San Vittore e a Cernusco Lombardone in provincia di Lecco. "Realizzato grazie al concreto supporto della Regione, sotto la direzione artistica di Donatella Massimilla (Centro Europeo Teatro e Carcere) e attraverso la preziosa collaborazione di diversi partner, questo festival induce a riflettere su un modo nuovo di fare spettacolo che coniuga, in nome della solidarietà, principi e valori ampiamente condivisi" ha spiegato l’assessore regionale alle Culture, identità e autonomie, Massimo Zanello, che ha ricordato che il progetto, nato a Cambridge da un’idea di Matthew Taylor (direttore della compagnia teatrale di ex carcerati Escape Artists), è arrivato quest’anno in Lombardia con l’obiettivo di avvicinare gli artisti e le associazioni culturali presenti nel nostro territorio con quelle che in Italia e in Europa già condividono l’esperienza del teatro e delle espressioni artistiche come valorizzazione delle voci di chi vive e opera ai margini della società. Zanello ha infine ricordato "la figura straordinaria di Teresa Pomodoro (da poco scomparsa, ndr) che ha avuto il merito, fin dagli anni Settanta, di scoprire le possibilità del recupero sociale proprio attraverso il teatro". "Grazie alla sua collaborazione con le realtà carcerarie di San Vittore ed Opera - ha sottolineato l’assessore- ha potuto concretizzarsi un articolato percorso pedagogico e di reinserimento nel tessuto connettivo urbano". Trento: vietato l’accesso a zingari, immigrati ed… ecologisti di Davide Varì
Liberazione, 16 ottobre 2008
"Vietato l’accesso a zingari, immigrati ed ecologisti. La legge mi consente di sparare agli intrusi". Trento, carabiniere in servizio si avvale della legge Berlusconi per "salvaguardare" il suo Bed & Breakfast. Un pistolone formato ispettore Callaghan, il simbolo del divieto d’accesso bene in vista e la scritta: "Proprietà privata, non sono particolarmente gradite intrusioni da parte di: extracomunitari, nomadi, venditori ambulanti o porta a porta, testimoni di Geova, associazioni pseudo ambientaliste o animaliste". È il cartello apparso ieri l’altro sul cancello di un Bed & Breakfast di Castello Tesino, provincia di Trento. Un B&B, come ha poi scoperto un giornalista de L’Adige , di proprietà di R.F., un Carabiniere in servizio a Trento. Insomma, un agente che dovrebbe garantire la pubblica sicurezza - anche quella degli immigrati, dei nomadi e degli ecologisti - "suggerisce" a quest’ultimi di stare alla larga dalla sua proprietà visto che, come ricorda e avverte il milite nello stesso cartello: "La persistenza dell’intrusione (dopo la comunicazione di abbandonare il fondo) e nel caso si estendesse ai caseggiati sarà considerata offesa ai sensi dell’articolo 52 del codice penale (legittima difesa) come modificato dal governo Berlusconi". Tradotto: signori nomadi, immigrati vari, ecologisti e testimoni di Geova, sappiate che se vi becco nella mia proprietà sono autorizzato a spararvi. In effetti la modifica dell’articolo 52 del codice penale, fortemente voluta dalla Lega Nord, autorizza l’uso delle armi "se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: la propria o altrui incolumità; i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione. La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale". E in effetti, il nostro, oltre a essere un Carabiniere in servizio è titolare del B&B di Castello Tesino. Raggiunto al telefono da Liberazione, R.F. si è rifiutato di rispondere, "non posso - ha specificato - la mia professione me lo impedisce". Così come non ha risposto il comando dei carabinieri di Trento che si è trincerato dietro un irremovibile "no comment". Ma il giornalista dell’Adige è riuscito a scucire qualche parola all’autore del cartello: "Perché quell’avviso?", gli ha infatti chiesto. "È a norma di legge", ha risposto R.F. "Ne siamo certi ma pare una comunicazione piuttosto dura. Lì si nominano espressamente extracomunitari, nomadi, venditori ambulanti. Addirittura testimoni di Geova. Cosa c’entrano i testimoni di Geova?", incalza il giornalista. Risposta: "Si parla di intrusi che entrano senza permesso e in modo fraudolento. Sa, quando vengono a disturbarti alle 9 del mattino e più volte...". Già, quando uno disturba la mattina presto come minimo deve aspettarsi un revolverata. Del resto, un’altra notizia che arriva da Napoli dice esattamente questo: la violenza, o la minaccia come nel caso del B&B trentino, contro immigrati e zingari "funziona". Da una ricognizione effettuata a Napoli nel mese di settembre emerge infatti che i nomadi presenti in Campania sono circa 2700. Circa la metà rispetto a quelli censiti nel 2007. Un caso? Nulla affatto. Effetto, piuttosto dei roghi contro i rom residenti a Ponticelli. Nel presentare il rapporto sul censimento dei nomadi presenti in Italia, il ministro dell’Interno Maroni ha parlato di un’iniziativa per cui, proprio a Napoli, una cooperativa di rom si è impegnata nello smaltimento dei rifiuti tossico-nocivi, in parallelo con l’azione del commissario Bertolaso. Milano: notte dei senza dimora, attesi 150 saccopelisti solidali
Redattore Sociale - Dire, 16 ottobre 2008
Appuntamento per domani, 17 novembre. L’iniziativa torna come ogni anno in occasione della giornata Onu per la lotta contro la povertà. Si trascorrerà la notte in piazza Santo Stefano, dove sarà allestita una cittadella del volontariato. Come ogni anno, in occasione della giornata delle Nazioni Unite per la lotta contro la povertà, venerdì 17 novembre torna della Notte dei senza dimora, giunta a Milano alla nona edizione. Per l’occasione sono attesi almeno 150 "saccopelisti" solidali che trascorreranno la notte in piazza Santo Stefano dove, per l’occasione, verrà allestita una cittadella del volontariato, con gli stand di tutte le associazioni che a Milano e Provincia si occupano di assistenza ai senza dimora ed estrema povertà. L’appuntamento è alle ore 20, con la tavolata organizzata dai volontari della Croce rossa italiana, impegnati nella distribuzione di 250 pasti caldi. A seguire (ore 21.30) lo spettacolo "Un naso rosso contro l’indifferenza" messo in scena dai ragazzi di Parada: ex bambini delle fogne di Bucarest che hanno trovato nel mimo e nel circo un’occasione di riscatto. Alle 23 invece è previsto il concerto di "Giù il cappello", gruppo storico della Notte e, dalle 24, tutti nei sacchi a pelo. La Notte dei senza dimora è organizzata dal comitato "Quelli della notte" composto dalle associazioni Casa di Gastone, Cena dell’amicizia, Croce rossa italiana - comitato provinciale di Milano, Insieme nelle Terre di mezzo, Progetto arca, Ronda della carità. Quest’anno la manifestazione ha ottenuto anche il sostegno del Presidente della Repubblica. Oltre che a Milano, l’edizione 2008 della Notte sarà organizzata anche a Bergamo, Bologna, Como, Cremona, Foggia, Lecco, Parma, Pavia, Roma, Rovigo, Vicenza, Voghera. Per informazioni sui programmi nelle diverse città: www.terre.it/eventi. Immigrazione: Alfano; per condanne lievi il rimpatrio forzato di Simona D’Alessio
Italia Oggi, 16 ottobre 2008
Far scontare ai detenuti stranieri, condannati per reati non gravi, la pena nel paese d’origine, a prescindere dal loro consenso al rimpatrio, con la certezza che non tornino in Italia. È uno degli interventi che, secondo quanto ha annunciato ieri il ministro della giustizia, Angelino Alfano, il governo intende intraprendere, attraverso accordi bilaterali, per guarire le due piaghe principali del nostro sistema carcerario: il sovraffollamento e l’inadeguatezza delle strutture, nella maggior parte dei casi (oltre il 60% dei 205 istituti in uso) vecchie e fatiscenti. In occasione della Festa nazionale del corpo della Polizia Penitenziaria, nel 191° anniversario della sua fondazione, alla presenza del capo dello stato, Giorgio Napolitano, e dei presidenti di senato e camera, Renato Schifani e Gianfranco Fini, e del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), Franco Ionta, il guardasigilli ha ricordato che, al 13 ottobre, la popolazione carceraria era pari a 57.187 detenuti, mentre la capienza regolamentare è di 43.262 posti; una condizione di "stress, che colpisce non soltanto chi sconta una pena detentiva, ma anche il personale del Dap", il cui lavoro risulta più faticoso e difficile. Ad accrescere costantemente il numero dei detenuti contribuiscono in maniera determinante due fattori: l’aumento della criminalità straniera e quello che il ministro ha definito l’effetto "porta girevole", in base al quale, dopo i numerosi arresti per reati contro il patrimonio o la persona (dal furto in appartamento ai danneggiamenti, fino agli scontri nei pressi degli stadi), la fase di convalida dinanzi al giudice "spesso si conclude con forme premiali di definizione del procedimento da cui deriva l’immediata scarcerazione". Nel 2007 il turnover ha riguardato circa 94.000 persone (8.500 italiani, 3.400 cittadini dell’Unione europea e 12.000 extracomunitari), di cui oltre 24.000 (uno su quattro) hanno lasciato l’istituto di pena dopo tre giorni. A oltre due anni dall’approvazione dell’indulto (agosto 2006), gli effetti del provvedimento di clemenza sono stati per Alfano "del tutto provvisori", poiché fra l’agosto 2006 e il settembre 2008 c’è stata una crescita media mensile della popolazione carceraria pari a poco meno di 800 unità con punte nel semestre novembre 2007 - febbraio 2008 di 1.000 unità mensili. Sulla stessa linea del responsabile del dicastero di via Arenula si è detto Ionta, convinto che i risultati "deflattivi dell’indulto sono ormai esauriti" e il tasso di incremento dei detenuti "ha assunto ritmi preoccupanti che, in tempi rapidi, condurranno ai livelli raggiunti nella fase precedente al provvedimento di clemenza", dopo il quale il numero era sceso di 27.472 unità, di cui 10.535 stranieri. È necessaria, pertanto, "una strategia complessiva e multi-settoriale" che, ha specificato Alfano, non faccia sconti alle esigenze di sicurezza dei cittadini, ma che possa garantire un decisivo miglioramento delle condizioni di vita dietro le sbarre, per permettere il reinserimento sociale dei condannati. Oltre al trasferimento nelle strutture carcerarie dei paesi d’origine degli stranieri a cui la giustizia italiana ha inflitto una pena lieve, l’esecutivo punta al completamento di nuove strutture e all’ampliamento di quelle già esistenti, malgrado le "limitate" risorse economiche; per i detenuti a più bassa pericolosità, inoltre, si ipotizza il ricorso al controllo tecnologico a distanza, per conoscerne in modo rigoroso gli spostamenti. Ben diversa è la linea da seguire nei confronti di chi si è macchiato di crimini gravissimi. Nei confronti di tutti i detenuti, appartenenti a organizzazioni di stampo mafioso o terroristi, sottoposti al regime di custodia speciale previsto dall’articolo 41-bis dell’Ordinamento penitenziario (in tutto 585), "è vitale", ha chiarito il ministro, "l’interruzione dei flussi di comunicazione con l’esterno, in modo da limitarne e, se possibile azzerarne, la pericolosità anche durante i periodi di detenzione". Immigrazione: Ue; no reato di clandestinità ed espulsione rom di Francesco Grignetti
La Stampa, 16 ottobre 2008
Amaro dietrofront per il ministro dell’Interno, il leghista Bobo Maroni. Non potrà più rimandare a casa i rom e i romeni perché c’è un veto dell’Europa. E non potrà nemmeno minacciare il carcere per i clandestini extracomunitari - misura invisa alla Chiesa e alla sinistra - perché nel governo e dentro la maggioranza ha prevalso l’orientamento di ridimensionare il reato d’immigrazione clandestina. Sarà un reato minore, di quelli che comportano una multa, certo non l’arresto. Ammettono al ministero dell’Interno: "Le carceri sono già sature così, non si poteva fare di più". Dovrebbe restare, però, la sanzione a cui il ministro tiene di più, e cioè l’espulsione immediata per via giudiziaria. Da sei mesi, la stretta sugli stranieri è una bandiera per la Lega. Promettevano: carcere e espulsione per gli extracomunitari clandestini, allontanamento per i comunitari. Ora lo stop. Gli zingari e i romeni senza fissa dimora: il ministro li voleva espellere a vagonate. In gergo, queste espulsioni di cittadini comunitari le chiamano "allontanamenti" e le aveva inventate Giuliano Amato. Maroni ci aveva messo il carico perché, oltre al pericolo per la sicurezza, aveva considerato un motivo di allontanamento anche la soglia di reddito legale. Era proprio in vista degli allontanamenti che s’è provveduto al contestatissimo censimento dei campi nomadi. Ma la cosa s’è intoppata perché Bruxelles, dopo tre mesi di riflessione, ha informato ufficialmente il governo italiano che così non si può fare. E alla fine non se ne farà niente. È stato Maroni stesso a spiegarlo in Parlamento: "Il decreto prevede che chi non ha i requisiti per risiedere in Italia debba essere espulso. La Commissione ritiene eccessiva questa sanzione, preferendo l’invito ad allontanarsi dal Paese. Io non sono d’accordo". Però c’è poco da fare se l’Unione europea si mette di traverso. "Rispetto l’opinione della Commissione, ma non la condivido perché non penso che il semplice invito ad andarsene sia una sanzione efficace". Conclusioni: per risparmiarsi altre rogne con la Commissione europea (tra l’altro è in arrivo una procedura d’infrazione per il decreto Amato del 2007), e anche per coerenza, avendo sostenuto che un "invito" del questore a tornare a casa è una burla, Maroni butterà il tutto nel cestino. "Eviteremo di modificare il decreto del 2007 sulla libera circolazione". Addio decreto legislativo. L’ingresso illegale di extracomunitari: la Lega insisteva per trasformarlo in un reato. Gli alleati e Berlusconi nicchiavano. Dopo tante insistenze, però, così è scritto nel disegno di legge del governo che va in discussione la settimana prossima al Senato. Un reato pesante che prevede una pena da sei mesi a quattro anni di carcere. Non se ne farà niente neanche di questo. Il reato dovrebbe restare, ma la pena evapora e diventa una multa. "Vogliamo ridisegnare il reato di immigrazione clandestina o di ingresso illegale - spiega il ministro nell’audizione di ieri - puntando principalmente sulla sanzione accessoria del provvedimento di espulsione emanato da giudice, piuttosto che sulla sanzione principale, che sarà pecuniaria". In questo modo, ha proseguito il ministro, "possiamo procedere alle espulsioni immediate con un provvedimento del giudice, in linea con la direttiva europea". Intanto c’è da registrare che aumentano gli sbarchi dei clandestini. Il ministro ce l’ha con la Libia e non lo nasconde. Dei 325 sbarchi dall’inizio del 2008 (pari a 27.417 persone), ben 306 (22.454) sono avvenuti a Lampedusa. "Nonostante due accordi, il primo firmato da Amato e il secondo di recente da Berlusconi, i controlli sono in diminuzione. Se venisse applicato l’accordo di amicizia, gli sbarchi si ridurrebbero a zero". Immigrazione: il Governo; in galera, per permanenza illegale
Redattore Sociale - Dire, 16 ottobre 2008
Contrordine sul ddl sicurezza. Mentre il governo al Senato si accinge con un emendamento a cancellare il reato di ingresso illegale nel territorio italiano, eliminando il carcere e introducendo una sanzione pecuniaria, ne presenta un altro che introduce il reato di permanenza clandestina con carcere fino a quattro anni in caso di mancato rispetto di un ordine di espulsione o allontanamento. Ma c'è di più, a rischiare saranno non solo gli extracomunitari senza lavoro o che hanno commesso un reato, ma anche le badanti con permesso di soggiorno scaduto o gli studenti stranieri e i turisti che si trattengono oltre i tre mesi previsti dalla legge. Rischierà infatti fino a quattro anni anche chi con permesso di soggiorno scaduto o non rinnovato viene beccato ancora sul territorio italiano: in pratica, si mettono a rischio carcere tutte le badanti straniere che rimangono, sprovviste di permesso, a servizio presso una famiglia italiana. Il carcere scatta ancora "se lo straniero si è trattenuto nel territorio dello Stato in violazione dell'articolo 1, comma 3, della legge 28 maggio 2007" e cioè quella che disciplina i soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio. Ecco nel dettaglio il testo dell'emendamento. La norma prevede che "quando non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di identificazione ed espulsione, ovvero la permanenza in tale struttura non abbia consentito l'esecuzione con l'accompagnamento alla frontiera dell'espulsione o del respingimento, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni. L'ordine è dato con provvedimento scritto, recante l'indicazione delle conseguenze sanzionatorie della permanenza illegale, anche reiterata, nel territorio dello Stato". E ancora: "L'ordine del questore può essere accompagnato dalla consegna all'interessato della documentazione necessaria per raggiungere gli uffici della rappresentanza diplomatica del suo paese in Italia, anche se onoraria, nonché, per rientrare nello Stato di appartenenza ovvero, quando ciò non sia possibile, nello Stato di provenienza". Ed ecco la norma che mette a rischio le badanti: "Lo straniero che senza giustificato motivo permane illegalmente nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore è punito con la reclusione da uno a quattro anni se l'espulsione o il respingimento sono stati disposti per ingresso illegale nel territorio nazionale, ovvero per non aver richiesto il permesso di soggiorno o non aver dichiarato la propria presenza nel territorio dello Stato nel termine prescritto in assenza di cause di forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso revocato o annullato". L'emendamento del governo al ddl sicurezza continua: "Si applica la pena della reclusione da sei mesi ad un anno se l'espulsione è stata disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo, ovvero se la richiesta del titolo di soggiorno è stata rifiutata". Ma anche, "se lo straniero si è trattenuto nel territorio dello Stato in violazione dell'articolo 1, comma 3, della legge 28 maggio 2007" e cioè quella che disciplina i soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio. In ogni caso, prosegue l'emendamento, "salvo che lo straniero si trova in stato di detenzione in carcere, si procede all'adozione di un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica per violazione all'ordine di allontanamento adottato dal questore". Il carcere per chi permane illegalmente in Italia sale fino a cinque anni se lo straniero destinatario del provvedimento di espulsione o di un nuovo ordine di allontanamento continua a permanere nello stato di clandestinità. L'emendamento del governo infine prevede che in questi casi si proceda con rito direttissimo e che l'arresto dell'autore del fatto sia obbligatorio. Immigrazioni: classi scolastiche separate, purché siano ponti di Giovanna Zincone
La Stampa, 16 ottobre 2008
La fretta non è buona consigliera né per chi propone, né per chi si oppone. L’osservazione calza anche rispetto alla mozione leghista che vuole introdurre "classi ponte" per ragazzi stranieri con carenze linguistiche. L’ingresso di studenti di questo tipo, soprattutto ad anno scolastico già iniziato, crea problemi a tutti. Li crea ai ragazzi stessi, in particolare se sono già in un’età in cui imparare in fretta un’altra lingua diventa più difficile e gli studi che si devono affrontare sono più complessi. Per le loro carenze linguistiche, gli stranieri possono essere inseriti in classi arretrate rispetto all’età e rischiano, più spesso degli italiani, la bocciatura. Perciò accumulano più ritardi. Ma, fatto ancora più grave, si concentrano negli istituti tecnici e professionali, lì vengono talora indirizzati anche studenti che, nel loro paese, frequentavano licei più sofisticati. In un percorso di istruzione semplificato non conoscere bene la lingua costituisce uno svantaggio minore. Questo fenomeno rappresenta un grave svantaggio non solo per i ragazzi stranieri, ma anche per il nostro paese, che così spreca potenziali talenti. Insomma il problema c’è ma va affrontato seriamente e serenamente. Quali sono i pro e i contro delle "classi ponte" o "di inserimento" che dir si voglia? Il grande pro consiste certamente nel far conoscere in anticipo la lingua della scuola che si frequenterà. Però i contro o almeno i dubbi connessi a questa specifica soluzione non mancano. Innanzitutto, a chi si fa il test? Anche ai bambini nati in Italia? Anche a quelli arrivati qui in fasce? Ma allora perché non farlo a tutti i bambini, italiani e non? Un certo numero di bimbi connazionali viene infatti da famiglie dove si parla un italiano piuttosto approssimativo. Un altro "contro" riguarda il quando. Il termine massimo di inserimento dei bambini e dei ragazzi stranieri nelle classi ordinarie, previsto dalla mozione approvata, è il 31 dicembre. Quindi, entro quella data, o si è imparata la lingua e si è persa una bella fetta di programma, o non si è imparata la lingua e si prosegue fino all’anno seguente in segregazione. Come già nella situazione attuale, gli stranieri rimangono indietro. Ma il tempo è solo un tassello della controindicazione. In alcuni cantoni svizzeri "le classi di accoglienza" possono durare da due mesi fino ad un anno e mezzo. Ed è evidente che in Italia, ancor più che in Svizzera, ci si trova di fronte ad un insieme di allievi terribilmente differenziati: si va da bambini con una lingua madre di ceppo latino ad adolescenti analfabeti o con lingue madri assai distanti. I tempi di apprendimento possono essere completamente diversi e, a volte, lunghi. Però, nelle classi svizzere lavorano, a turno, tutti gli insegnanti che avranno in futuro quegli stessi allievi. C’è quindi una familiarizzazione tempestiva con la scuola "normale". Insomma si cerca di evitare che le classi ponte diventino classi scivolo verso la segregazione e la discriminazione. Ma il metodo implica che tutti gli insegnanti, di qualunque materia, debbano imparare a insegnare la propria lingua in modo semplice ed efficace, che debbano tutti sapere comunicare con allievi stranieri. Purtroppo, i corsi di insegnamento dell’italiano come seconda lingua, destinati a chi lavora nella nostra scuola, non sono seguiti dai titolari di tutte le discipline e sono spesso poco utili in termini pratici. E qui qualche cambiamento serve ed è pure ideologicamente neutro. A me sembra, inoltre, che in Italia si siano già sperimentate formule interessanti, degne di essere diffuse. Mi riferisco, ad esempio, ad una soluzione che, almeno per un certo numero di potenziali allievi, elimina o riduce gli sprechi di tempo. Si tratta di utilizzare le iniziative di aggregazione operative nei mesi di giugno, luglio e agosto, note come "estate ragazzi". In quel momento dell’anno e in quelle sedi - come è stato già fatto ad esempio a Torino - si può insegnare italiano e insieme farlo praticare. Perché giocando, facendo sport con ragazzi italiani, quelli stranieri fanno, per forza e con piacere, pratica linguistica. E in più non percepiscono esclusione. A questo scopo bisognerebbe incentivare il ricongiungimento familiare dei minori alla fine del loro anno scolastico e a ridosso dell’inizio delle vacanze del nostro. I piccoli hanno e creano meno problemi. Un tempo si distingueva tra "governi ponte" e "governi balneari", questi ultimi erano eminentemente estivi. Propongo è di riflettere sull’idea di diffondere "classi balneari" che rendano superflue o più brevi le "classi ponte". Francia: condanna da Corte Europea per un suicidio in carcere
Apcom, 16 ottobre 2008
La Francia è stata condannata oggi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo per non aver "protetto il diritto alla vita" di un detenuto psicopatico che si era impiccato in cella. Joselito Renolde, appartenente a una famiglia gitana, è morto nel luglio 2000 in una cella di isolamento nella prigione di Bois-d’Arcy (regione parigina) dove era stato rinchiuso in seguito all’aggressione di una guardia. Tre giorni prima l’uomo aveva tentato il suicidio tagliandosi le vene. Secondo la Corte europea le autorità erano consapevoli che l’uomo soffriva di turbe psichiche e che era suscettibile di compiere gesti di autolesionismo. Inoltre la Corte si dice "colpita dal fatto che nonostante il tentativo di suicidio di Joselito Renolde e la diagnosi sul suo stato mentale, l’eventualità di un suo ricovero in un centro psichiatrico non sia stata neppure presa in considerazione". La mancanza di sorveglianza e di una cura quotidiana del suo stato di salute mentale hanno giocato, secondo la Corte, un ruolo importante nella sua morte. La Francia è stata condannata anche per trattamenti disumani per aver messo in isolamento un uomo in condizioni di angoscia e di stress tali "da fiaccarne la sua resistenza fisica e morale". La decisione della Corte interviene dopo diversi casi di suicidio di detenuti minorenni e la diffusione dei dati forniti dall’Osservatorio internazionale delle prigioni sull’aumento dei suicidi nelle carceri francesi nel primo semestre 2007 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Iraq: 15mila detenuti liberati nel 2008; 2.400 per il Ramadan
Ansa, 16 ottobre 2008
Secondo quanto dichiarato in un comunicato dalla forza multinazionale presente in Iraq da gennaio a oggi sarebbero stati liberati 15 mila detenuti. Più di 2.400 sarebbero stati liberati nel solo mese di settembre in coincidenza con il mese sacro del Ramadan. La forza multinazionale controlla due strutture carcerarie: una a ovest della capitale Baghdad e l’altra nella città di Bassora, nel sud del Paese. Sarebbero, invece, 18mila le persone ancora detenute nelle carceri sotto il controllo della forza multinazionale.
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