Rassegna stampa 14 ottobre

 

Giustizia: l’Italia "indietro" sul rispetto dei diritti dei detenuti 

 

Redattore Sociale - Dire, 14 ottobre 2008

 

L’Italia indietro sul rispetto dei diritti dei detenuti. Garanti poco liberi di intervenire nei penitenziari. Alla Conferenza dei Garanti regionali anche la proposta di un insegnamento universitario in "architettura penitenziaria".

Ai Garanti dei detenuti italiani non è ancora concesso di accedere liberamente agli istituti penitenziari e di svolgere il loro compito liberamente. È questa una delle problematiche affrontate oggi alla Conferenza nazionale dei Garanti regionali dei diritti dei detenuti, tenutasi a Roma, in occasione della presentazione di un Ddl per l’istituzione del Garante nazionale e per il reato di tortura. Secondo Angiolo Marroni, Garante per la Regione Lazio, oggi la figura del garante sta attraversando un periodo difficile per la stessa sopravvivenza del ruolo. "Oggi i garanti si trovano in una situazione di empasse - spiega Marroni -.Un Garante dei detenuti, infatti, è tale solo se riesce ad entrare nelle carceri quando vuole e senza preavviso, se può parlare liberamente e riservatamente con i detenuti, se può accedere a tutte le aree degli istituti, se può prendere visione ei fascicoli e dei documenti relativi ai detenuti".

Sulla figura del garante nazionale c’era stato l’interesse delle passate legislature, ciononostante mancano ancora i suggelli di una legge. Rispetto agli altri paesi europei sul la tutela dei diritti umani ed il rispetto della popolazione detenuta, l’Italia è ancora indietro. Esperienze avanzate si possono trovare non solo nei paesi scandinavi come la Finlandia, Danimarca e Norvegia, ma anche in paesi come Svizzera, Austria, Ungheria e Olanda. Ultimamente anche in Portogallo sono stati istituiti organismi a tutela dei diritti dei detenuti. Nonostante i ritardi l’interesse trasversale del mondo politico non manca. "La figura del Garante per la tutela dei diritti dei detenuti - spiega il senatore e Garante per la Sicilia, Salvo Fleres - è fondamentale per garantire il rispetto di quanto contenuto nella nostra costituzione in materia di modalità di esecuzione della pena e funzione riabilitante della stessa. La situazione carceraria italiana necessita di una particolare attenzione. Non è pensabile che in un paese civile le strutture penitenziarie non siano in grado per problemi organizzativi e soprattutto per il sovraffollamento di garantire l’attuazione della Costituzione".

L’interesse verso la figura del garante, tuttavia, sta crescendo in tutte le regioni italiane, alimentato soprattutto dal numero di richieste d’intervento, motivo per cui oggi si sta chiedendo una figura nazionale. "Da quando il mio ufficio è divenuto operativo - spiega Marrone -, abbiamo svolto più di 5 mila incontri presso gli istituti penitenziari del Lazio, firmato 28 protocolli d’intesa, attivato e promosso progetti in tutti i settori d’interesse per il mondo penitenziario ed infine informare su ciò che accade all’interno degli istituti penitenziari. Il diffondersi di quest’esperienza ci ha spinto a creare un soggetto che ci riunisse tutti, per rappresentare con una sola voce le questioni comuni". Dall’impegno dei garanti, anche una proposta singolare: promuovere un insegnamento universitario presso le facoltà di architettura che tenga conto dei bisogni dei detenuti. "Le strutture degli edifici spesso sono inadeguate - spiega il sen. Fleres -. Da nessuna parte esiste una materia universitaria che si chiama architettura penitenziaria. Quasi nessuno dei progettisti di un carcere, quando vince un appalto, è in grado di realizzare una struttura adatta. Ci stiamo occupando anche di questo perché dopo l’esperienza di Catania del Master in criminologia e diritto penitenziario stiamo pensando di promuovere proprio un progetto che preveda l’architettura penitenziaria".

Giustizia: Alfano; oltre 57.000 detenuti, 150 espulsioni in 6 mesi

 

Ansa, 14 ottobre 2008

 

Lo ha sottolineato il Guardasigilli, Angelino Alfano, nel corso di una audizione alla commissione Giustizia della Camera sullo stato delle carceri italiane. Alla data del 13 ottobre scorso i detenuti che hanno passato la notte in cella sono stati 57.187, di questi 21.366, circa il 38%, sono stranieri, provenienti da 150 Paesi, in particolare Marocco, Albania, Tunisia, Romania ed ex Jugoslavia. "Nel 2007 - ha spiegato il ministro - ci sono state solo 282 espulsioni. Al giugno 2008 erano 150". Il Governo, ha spiegato il Guardasigilli, per affrontare il fenomeno del sovraffollamento si sta attrezzando su più fronti "sia sul piano dell’edilizia carceraria che per rafforzare la cooperazione internazionale per l’espulsione degli stranieri, che hanno già fatto pagare allo Stato i costi per la sicurezza, quelli per un giusto processo, il vitto e l’alloggio". E ha ribadito che non é pensabile assicurare "anche vitto e alloggio" a stranieri che abbiano compiuto i reati in Italia. Il ministro ha fatto anche l’esempio degli incontri dei giorni scorsi con le autorità della Romania per dare attuazione all’accordo del 2003 che consente ai romeni detenuti in Italia di scontare la pena nel loro Paese.

 

Più persone in attesa di giudizio che condannati

 

Una delle patologie del sistema carcerario italiano è che negli istituti di pena ci sono più persone in attesa di giudizio che condannati con sentenza definitiva. Nelle carceri, ha detto Alfano, ci sono 16.179 detenuti in attesa del primo giudizio, 9.782 appellanti, 3.544 ricorrenti, 1.669 in posizione "mista", mentre i condannati in via definitiva sono 24.285. Alla data del 14 agosto i condannati in via definitiva sono quindi il 39% del totale". Il sovraffollamento delle carceri è poi aggravato da un alto numero di persone che rimangono detenute solo per un brevissimo periodo. Soprattutto uomini dietro le sbarre, visto che solo il 4% della popolazione carceraria è donna, con 2.599 detenute. E si tratta di una percentuale comunque in calo.

 

Cantieri aperti per 5mila nuovi posti dietro le sbarre

 

Gli stanziamenti attuati negli anni precedenti al 2008, ha spiegato Alfano, consentiranno in breve tempo di realizzare più di 5mila nuovi posti in carceri nuove o ristrutturate. I primi 2.025 saranno realizzati grazie alla costruzione di nuovi padiglioni in istituti già esistenti, di questi 1.215 potrebbero arrivare già nel 2008. Altri 2.330 saranno costruiti ristrutturando precedenti strutture e in parte realizzando nuove carceri.

Il ministero di via Arenula punta soprattutto su nuovi padiglioni in carceri esistenti, in quanto, spiega Alfano, "sono realizzazioni più celeri e più economiche. Costruire un nuovo padiglione di 200 posti in un carcere esistente costa 10 milioni, realizzare un nuovo istituto ne costa 45".

 

Provvisori gli effetti dell’indulto

 

"Gli effetti dell’indulto 2006 sono stati del tutto provvisori", ha detto Alfano parlando dell’intervento che il precedente governo aveva approvato per cercare di ridurre le presenze in carcere. Secondo il ministro dall’agosto 2006 al settembre 2008 le presenze in carcere sono cresciute a ritmo di 800 unità al mese, con un picco, tra novembre 2007 e febbraio 2008, di 1.000 unità mensili.

 

Il Governo frena sul braccialetto elettronico

 

Il Governo frena sull’utilizzo del braccialetto elettronico per i detenuti. "Stiamo facendo degli accertamenti tecnici - spiega il ministro Alfano - per vedere se può essere di grande efficienza come in altre zone d’Europa. Ma se le prove non dovessero dare riscontro", addio braccialetto.

Giustizia: i Garanti; una legge per i detenuti e le loro famiglie

 

Redattore Sociale - Dire, 14 ottobre 2008

 

Facilitare l’ingresso dei garanti all’interno degli istituti, attenzione all’assistenza alle famiglie, facilitare gli interventi nel controllo del rispetto dei diritti in carcere e nei Cie. Le principali proposte contenute nel progetto di legge.

"L’aspetto della sicurezza nella carcerazione non può e non deve prevalere sul rispetto della persona umana in stato di detenzione e sull’esigenza del suo recupero. La persona è e rimane, anche se detenuta, un sacro recinto che non può essere violato per nessuna ragione né fisicamente, né tantomeno con qualsiasi forma di pressione psicologica". Così il ministro della giustizia Angelino Alfano in un messaggio indirizzato alla Conferenza nazionale dei Garanti regionali dei diritti dei detenuti, tenutasi oggi a Roma presso la Camera dei Deputati, di presentazione della proposta di legge per l’istituzione del Garante nazionale e del ddl per l’introduzione del reato di tortura in Italia.

Facilitare l’ingresso dei garanti e dei loro collaboratori all’interno degli istituti penitenziari, maggiore attenzione all’assistenza alle famiglie e alla sensibilizzazione sulle tematiche relative alla popolazione detenuta ed ex detenuta e facilitare gli interventi del Garante e dell’autorità giudiziaria nel controllo del rispetto dei diritti non solo all’interno dei penitenziari ma anche all’interno degli ex Cpt, oggi Cie. Sono queste le principali proposte contenute nel progetto di legge frutto di un impegno che va avanti ormai da più legislature e in modo trasversale nel mondo politico."L’istituzione del Garante nazionale dei diritti fondamentali dei detenuti - afferma Angiolo Marroni, Garante dei diritti dei detenuti della Regione Lazio - è necessaria oggi per rispondere ad un bisogno reale e ad un vuoto legislativo".

In Italia ci sono più di 56 mila detenuti, tra cui oltre due mila donne, a fronte di quasi 43 mila posti disponibili attualmente nelle strutture penitenziarie. Dei detenuti, il 37% è costituito da stranieri, e di loro il 65% è ancora in attesa di giudizio definitivo. 468 i ragazzi nei penitenziari e oltre 900 gli immigrati nei Cie.

"Il carcere - continua Marroni - è un luogo di sofferenza, di punizione, lontananza e umanità esclusa. La sofferenza dei reclusi riguarda non solo loro, ma anche le famiglie". Le tendenze oggi in atto segnalano un aumento del numero di detenuti, senza un effettivo miglioramento delle condizioni degli stessi. Aumentano anche i suicidi. Alle difficili condizioni dei detenuti, va ad aggiungersi anche una sempre maggiore preoccupazione sul tema della sicurezza. "Se il carcere non riesce a fare uscire il detenuto dalla logica dell’illegalità - spiega il Garante del Lazio -, la sicurezza non aumenta. La sicurezza viene garantita se il carcere diventa quello per cui noi stiamo lavorando".

Giustizia: Ghedini (Pdl); italiani vogliono "certezza della pena"

 

Asca, 14 ottobre 2008

 

Niccolò Ghedini, esponente del Popolo della Libertà, consigliere giuridico del Presidente del Consiglio e legale di Silvio Berlusconi, spiega il progetto del governo sulla Giustizia.

"L’idea della maggioranza è quella di avere due Consigli Superiori della Magistratura separati e carriere separate per pubblici ministeri e giudici, che comunque manterrebbero rigorosamente la loro indipendenza da qualsiasi potere politico e da qualsiasi ingerenza del potere legislativo o dell’esecutivo".

Ma in questo momento la priorità è "completare la riforma del codice di procedura civile, che è già stata approvata da un ramo del Parlamento; approvare una riforma compiuta del codice di procedura penale per l’accelerazione del processo penale; l’attuazione dell’articolo 111 sul giusto processo. E soprattutto la certezza della pena, che è un impegno che abbiamo preso in campagna elettorale e che i cittadini si aspettano in maniera molto rapida".

Quanto al provvedimento sulle intercettazioni, "è un percorso separato, già presentato, e immagino che sarà approvato entro l’anno da entrambi i rami del Parlamento".

Che cosa c’è che non va nell’attuale Consiglio Superiore della Magistratura? "Non funziona, perché la commistione pubblici ministeri-giudici già di per sé crea un problema sulle garanzie del cittadino, quando c’è un problema disciplinare o comunque quando ci deve essere una valutazione di questi soggetti che devono andare ad assumere un ufficio o un altro. E poi il Csm è preda delle correnti, il sistema elettivo che abbiamo modificato noi nella legislatura 2001-2006 si è rivelato fallimentare e quindi oggi come oggi c’è un Consiglio che è lo specchio dell’Anm, con una rigida suddivisione in correnti. Questo si riverbera immediatamente anche sulle nomine nei vari uffici in giro per l’Italia".

Ghedini aggiunge: "Poi il disciplinare non funziona assolutamente, ci sono voluti dieci anni per sanzionare quel giudice che erano undici anni che non depositava una sentenza. È un meccanismo tutto interno che tende a proteggere la categoria (non tanto dalle ingerenze della politica, che sarebbe positivo), che si chiude in se stessa come una vera e propria casta. Certamente non si può generalizzare, ci sono componenti del Csm di altissimo livello e il presidente della Repubblica è bravissimo a presiederlo. Però nella pratica succede così, il Csm non funziona".

Come si fa a stabilire che se un magistrato sbaglia paga? "È proprio questo il punto, togliere questa assoluta autoreferenzialità all’interno della categoria. Pur nel rispetto della loro indipendenza e autonomia, bisogna strutturare il Csm e le leggi collegate in modo che effettivamente quando il cittadino si rivolge a un organismo per avere giustizia, se un magistrato ha compiuto degli atti illeciti o semplicemente sbagliati - per colpa o per dolo - possa avere giustizia. Perché oggi la legge sulla responsabilità dei magistrati è la più inapplicata di tutte: da quando è entrata in vigore ci sono stati solo tre o quattro casi di riconoscimento di responsabilità civile".

Giustizia: il Garante Marroni; il 41-bis è una forma di tortura

 

Agi, 14 ottobre 2008

 

Il "41 bis per me è una forma di tortura". Non usa mezze parole il garante per i detenuti della Regione Lazio, Angiolo Marroni, e spiega: "Io non sono autorizzato a entrare nella zona dei collaboratori di giustizia e a visitare chi è sottoposto al 41 bis" Il carcere duro "è una forma di tortura per il regime durissimo cui si è sottoposti", dall’incontro rarefatto e mediato con i familiari al totale isolamento in cui il detenuto si trova.

A margine del convegno sull’istituzione del garante nazionale dei diritti dei detenuti e dell’introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano, Marroni aggiunge: "il diritto alla sicurezza è un diritto inalienabile e tutti hanno ragione a chiedere che esso venga tutelato. Ma la domanda da porsi è: il carcere , così com’è, garantisce il diritto alla sicurezza?" La risposta è che non lo garantisce per via "dell’affollamento degli istituti" e per la difficoltà di ottemperare alla funzione costituzionale della rieducazione di chi è condannato a scontare una pena. "Nell’immaginario collettivo il carcere è ciò che garantisce sicurezza, ma non è così", ribadisce. Per Marroni, la detenzione in istituto "è una extrema ratio ed è necessario "decarcerizzare alcuni reati".

Il sistema - denuncia il garante - si è inceppato perché "la giustizia funziona malissimo. Solo il 37% della popolazione carceraria sconta una condanna definitiva, il resto (il 65% circa) è in attesa di giudizio - osserva - senza contare il fatto che ogni giorno c’è chi entra in istituto per uscirne" solamente 48 ore dopo.

Giustizia: la "questione" Corte Costituzionale e il lodo Alfano

di Tommaso Labate

 

Il Riformista, 14 ottobre 2008

 

"Dobbiamo sbloccare l’impasse di Consulta e Vigilanza Rai al più presto. Non possiamo più procedere di questo passo". Prima di partire alla volta degli Stati Uniti, Silvio Berlusconi ha affidato ai capigruppo del Pdl quest’unica regola d’ingaggio.

I parlamentari che hanno sottoscritto l’appello di Marco Pannella sono arrivati a 530 (ieri si è aggiunta la firma di Franco Marini), il capo dello Stato continua a vigilare e i Presidenti delle Camere a lanciare appelli: l’uscita dal cul de sac in cui il Parlamento si è infilato sulle elezioni del giudice costituzionale e del presidente della Vigilanza non sembra più rinviabile.

Il Cavaliere, però, non dà ai due dossier il medesimo grado di importanza. Come spiega un autorevole esponente del Pdl, "la Corte costituzionale sarà presto chiamata a esprimersi sul Lodo Alfano". Di conseguenza, aggiunge la fonte, "è chiaro che per l’elezione del giudice che prenderà il posto di Romano Vaccarella alla Consulta servono massime garanzie di equilibrio".

Ecco perché, sin dalla conferenza dei capigruppo convocata per oggi, i maggiorenti del Pdl potrebbero presentarsi con una rosa di nomi. Il "papabile" della prima ora, Gaetano Pecorella, pare ormai fuori gioco; e sembrano in calo anche le quotazioni del collega Donato Bruno, oggi presidente della commissione Affari costituzionali della Camera. Morale? Per la casella di giudice costituzionale, le ipotesi dei berluscones, al momento, sarebbero due.

Il primo nome è quello di Giorgio Spangher, giurista, ex membro laico del Csm (in quota Forza Italia); il secondo identikit, invece, somiglia molto a quello del noto penalista Franco Coppi, docente di diritto penale all’Università la Sapienza di Roma. Paradossalmente, sugli ultimi due nomi non sembrano esserci veti. Nemmeno dall’Italia dei valori. Non a caso, come sussurra un dipietrista di rango, "il nostro partito non può permettersi di bloccare l’elezione alla Consulta di personalità che hanno sia l’autorevolezza necessaria sia la fedina penale pulita". E sia Spangher che Coppi, è il sottotesto, "rispondono a entrambi i requisiti".

Difficilmente, però, il dossier Consulta può essere scorporato da quello della Vigilanza su viale Mazzini. Le due elezioni viaggiano di pari passo, in uno scenario nel quale maggioranza e opposizioni sembrano andare avanti in uno stato di "muro contro muro". Sembrano, appunto. Perché alle 8 di ieri sera il Pd - che ufficialmente continua a sostenere l’ex sindaco di Palermo Leoluca Orlando - ha inoltrato tramite il suo gruppo parlamentare a Montecitorio la richiesta di sostituzione di un commissario dalla commissione bicamerale.

Se non è un segnale di apertura sulla "rosa di nomi" (che a questo punto potrebbe comprendere anche un "esterno" alla Vigilanza) poco ci manca. Morale? Come spiega una fonte democrat, "il Pdl potrebbe sottoporci una serie di nomi per la Consulta e rinnovare la richiesta di una nostra rosa di personalità per la Vigilanza.

In caso di disgelo, quindi, potremmo anche schierare un parlamentare che non fa parte della commissione...". Sia come sia la telenovela su Orlando sembra ormai arrivata ai titoli di coda e la situazione ferma a un bivio, col Pdl pronto a forzare l’elezione del radicale Marco Beltrandi (o, in caso di sostituzione, della subentrante Emma Bonino), non senza aver prima sondato la disponibilità di un casiniano.

Anche se si è concesso un gelato, Marco Pannella va avanti nella sua iniziativa nonviolenta. La conferenza congiunta dei capigruppo di oggi pomeriggio dirà se il puzzle istituzionale sarà ricomposto entro la fine della settimana.

Giustizia: nomina dei magistrati ultra 75enni, interverrà il Csm

 

Corriere della Sera, 14 ottobre 2008

 

Il Csm si occuperà della norma approvata dal Senato che cancella il limite dei 75 anni, oltre il quale non è possibile concorrere per incarichi direttivi per i magistrati che hanno ottenuto la ricostruzione della carriera dopo essere stati ingiustamente sospesi per procedimenti penali conclusi con l’assoluzione.

Una disposizione ad hoc, secondo il quotidiano la Repubblica, per il presidente di sezione della Cassazione Corrado Carnevale, che gli consentirà di concorrere per il posto di primo presidente della Suprema Corte, quando sarà lasciato libero nel 2010 dall’attuale titolare Vincenzo Carbone. A prendere l’iniziativa, la Sesta Commissione di Palazzo dei marescialli, che lunedì ha aperto un fascicolo sulla norma e ha incaricato l’ufficio studi di fare una prima ricognizione sulle ricadute che avrà sull’ordinamento giudiziario.

L’obiettivo è arrivare a un parere a stretto giro di posta, come spiega il presidente della Commissione Livio Pepino (Magistratura democratica): "la norma è un emendamento al dl sulle sedi disagiate su cui era già aperta una pratica e al più presto, così come abbiamo fatto negli altri casi, daremo il nostro parere su questa norma, spero già giovedì".

Sette in tutto i magistrati che - raccontano al Csm - beneficerebbero della norma votata dal Senato, gli stessi che quattro anni fa si videro riconosciuto il diritto al reintegro: oltre a Carnevale, Claudio Vitalone, Antonio Albano, Mario Costantini, Romano Dolce, Pietro Fornace e Giuseppe Stafi. Alcune decine di mail sarebbero state inviate in giornata al sito www.giustizia.it contro quello che è stato ribattezzato dalla stampa lodo Carnevale. Nella maggior parte si esprimerebbe indignazione per la presentazione di un’ennesima norma ad personam di cui si chiede il ritiro.

Giustizia: don Ciotti; in Italia la lotta alle mafie non è priorità

 

La Repubblica, 14 ottobre 2008

 

"È inquietante che in un paese dove governo e parlamento sono velocissimi nell’approvare provvedimenti che riguardano gruppi ristretti di persone, lo stesso governo e lo stesso parlamento, ad oltre cinque mesi dal loro insediamento, non siano ancora riusciti a far partire la Commissione parlamentare Antimafia. Come se la politica non sentisse la necessità di avere voce su quello che accade ogni giorno, su un’emergenza come quella della criminalità organizzata". Come se non ci si stupisse più, come se tutto fosse statistica, con quell’assuefazione lenta che è il primo passo per non indignarsi più.

Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, parla davanti a studenti e insegnanti. Continua a farlo, non ha mai smesso anche se qualche anno fa la sua era una voce tra tante e oggi è una delle poche che ancora trova la forza di alzarsi contro il potere delle mafie. L’occasione è la partenza della Carovana nazionale antimafie, edizione numero 12, dodici viaggi suddivisi in oltre cento tappe attraverso paesi, cittadine e città. Un modo, dice Paolo Beni, presidente dell’Arci, con Libera, Banca Etica, Fondazione Unipolis, Unipol, Avviso pubblico, Cgil e Cisl tra i promotori della Carovana, "per coinvolgere le persone a parlare e a confrontarsi su un tema come quello dell’emergenza criminale che sembra scomparso dalle priorità del paese. Le persone non parlano più, non comunicano più, ricevono solo messaggi dalla tivù con cui non possono interagire

. Due sindaci calabresi, di Gioia Tauro e Rosarno - è cronaca di stamani - arrestati perché collusi con il clan Piromalli, uno dei più spietati della ‘ndrangheta. Il Parlamento tace, la Commissione Antimafia ancora non è in funzione. I casalesi sparano, uccidono, per dare una lezione, "a caso contro i neri", diciassette "azioni", come le definiscono i verbali di polizia, tra omicidi realizzati e tentati dal 2 maggio al 5 ottobre. Il Parlamento tace, la Commissione Antimafia non si è ancora convocata, non è stato nominato neppure il presidente.

Le mafie, tutte, allungano le mani sugli appalti miliardari dell’Expo, la magistratura indaga e il Parlamento, di nuovo, tace. Così vanno le cose. L’insediamento dell’Antimafia è tradizionalmente una faccenda lunga, all’inizio di ogni legislatura deve essere approvata la legge che conferisce i poteri e individua deputati e senatori membri dell’organismo bicamerale. Qualcosa che accade quasi sempre dopo la pausa estiva. In questa sedicesima legislatura, però, c’è un di più di lento e farraginoso, soprattutto rispetto alla velocità con cui invece il Parlamento legifera e il governo decide.

"Il ruolo dell’Antimafia dovrebbe essere proprio quello di chi chiede e pretende la responsabilità della politica rispetto a questi temi così urgenti per il paese e per il rispetto della legalità" insiste il fondatore di Libera. Un silenzio che pesa e che denuncia, aggiunge Paolo Beni, "un pericoloso arretramento nella lotta alle mafie, un abbassamento della guardia nonché il progressivo svuotamento dei poteri parlamentari".

È come se in Italia ci fossero due codici penali, "uno - dice don Ciotti - per i cittadini italiani, un altro per i diversi, i poveri, gli stranieri". Non solo: "Ci preoccupiamo di punire le prostitute ma la lotta alla criminalità organizzata non è una priorità". Per il fondatore di Libera "l’ordinanza anti-lucciole a Roma favorirà gestioni mafiose della prostituzione". È sbagliato "far sì che le ragazze vengano confinate negli appartamenti, per aiutarle abbiamo bisogno di incontrarle sulla strada".

Con la Turco-Napolitano, la legge sull’immigrazione precedente alla Bossi-Fini, "7.500 ragazze hanno lasciato il giro e lo sfruttamento grazie alla regolarizzazione prevista per chi denuncia il proprio sfruttatore". Con queste premesse, la Carovana si mette in cammino oggi dalla Casa del jazz di Roma, una bellissima villa ricavata dalla confisca dei beni della banda della Magliana.

Cento tappe che toccheranno tutte le regioni d’Italia in due diversi percorsi, verso il Nord e verso il Sud per ricongiungersi a metà dicembre nella tappa finale di Ragusa. "‘Le mafie non moriranno mai se non cambia il modo di fare politica e non si creano politiche sociali nei territori" dice don Ciotti. Finché lo Stato non proverà a dare in quanto diritto ciò che le mafie danno come favore.

Giustizia: Castel Volturno; detenuto domiciliare non c’entrava

di Antonio Pisani

 

Il Mattino, 14 ottobre 2008

 

"Alfonso Cesarano non era con noi la sera della strage". Non ha dubbi Oreste Spagnuolo, uno dei killer degli immigrati di Castel Volturno che dal sette ottobre ha deciso di collaborare con i magistrati della Dda di Napoli. In poco meno di una settimana, le sue dichiarazioni hanno permesso agli investigatori di arrestare, sabato scorso, sette fiancheggiatori del latitante Giuseppe Setola, e di scagionare, appena ieri, il primo sospettato della strage del 18 settembre.

È stato lo stesso capo della Dda Franco Roberti a firmare la richiesta di scarcerazione del ventinovenne Cesarano accolta nel tardo pomeriggio dal gip presso il Tribunale di Napoli Nicola Muraglia Del Giudice. "Con la scarcerazione di Cesarano non cambia nulla nel quadro delle indagini avviate sulla catena dei delitti e sulla strage di Castel Volturno" precisa proprio Roberti.

Cesarano non esce definitivamente di scena, "resta indagato per la strage - spiega il capo della Dda - e lo sarà fino a quando non ci sarà un’eventuale archiviazione". Una strada, quest’ultima, che al momento sembra quasi obbligata; è venuto a cadere infatti quell’unico elemento accusatorio che aveva convinto il Gip di Santa Maria Capua Vetere Stefania Amedeo a confermare, il 24 settembre scorso, il fermo operato tre giorni prima dalla Squadra Mobile di Caserta.

Già allora cadde l’accusa di strage con finalità terroristica, ma l’impianto accusatorio resse. Basata, appunto, su quel riconoscimento fotografico dell’unico superstite della strage del 18 settembre, Joseph Aymbora; una "prova regina" che non ha retto, però, a un’ulteriore verifica. Il ghanese, che all’ospedale Cardarelli aveva immediatamente indicato Cesarano, uno dei tanti pregiudicati ai domiciliari a Castel Volturno, pochi giorni fa, di fronte alla stessa foto, ha fatto una marcia indietro parziale. "La faccia la riconosco, ma la corporatura mi sembra diversa". In più, l’avvocato di Cesarano, Angelo Raucci, ha depositato una serie di testimonianze raccolte da alcuni vicini dell’uomo che, in pratica, hanno confermato il racconto fatto dal pregiudicato al gip durante l’interrogatorio di garanzia.

"Ero a casa perché gli arresti domiciliari - disse Cesarano - tra l’altro, più o meno all’ora in cui venivano uccisi gli immigrati, ero sul balcone a parlare con dei vicini. Poi all’1.30 (tre ore e mezza dopo la strage, ndr) vennero a controllarmi tre carabinieri". Sei persone hanno confermato di aver parlato con Cesarano; qualcuno, ha anche detto di aver discusso con il pregiudicato dell’omicidio Celiento, avvenuto mezz’ora prima della strage.

"Soddisfatto per il lavoro svolto - si dice l’avvocato Angelo Raucci - ma molto rammaricato per gli interventi della classe politica che hanno additato Cesarano come un assassino dimenticando la presunzione costituzionale di innocenza". Parole che potrebbero riferirsi al ministro Maroni, che subito dopo il fermo parlò di "risposta immediata dello Stato a un gruppo di assassini".

Giustizia: strage ThyssenKrupp, l'accusa è omicidio volontario

di Alberto Gaino

 

La Stampa, 14 ottobre 2008

 

La Procura di Torino tira diritto e ieri ha chiesto - primo caso in Italia - al Gup Francesco Gianfrotta di rinviare a giudizio l’amministratore delegato di Thyssen Krupp Italia, Harald Espenhahn, per l’omicidio volontario dei 7 operai bruciati nel rogo in fabbrica del 6 dicembre scorso. La tensione è alta ma scoppia fuori dall’aula, in serata.

La denuncia è dell’avvocato Sergio Bonetto, il medesimo legale che, ore prima, ricorda al giudice il memorandum anti-operai (e anti-Torino) sequestrato a Espenhahn: "Un’attenta squadra di turno (non era per niente stressata, poiché non vi era produzione in corso, ma era concentrata a fare una pausa) avrebbe dovuto accorgersi sia visivamente sia acusticamente dello scorrimento irregolare del nastro che durava da 13 minuti. Un’azione tempestiva avrebbe potuto evitare il primo incendio e i suoi successivi drammatici sviluppi".

Secondo questo dossier in lingua tedesca il capoturno Rocco Marzo e i 6 colleghi sarebbero morti per loro negligenza. Bonetto parla con uno dei 46 lavoratori ammessi alla costituzione di parte civile contro i 6 imputati. E poi riferisce: "L’operaio aveva accettato il trasferimento a Terni nel settembre 2007. Pur avendo la famiglia a Torino, gli sono state negate le ferie per l’intero anno. Qualche giorno fa, il 2 ottobre, ha chiesto di rientrare a casa per qualche giorno e gli è stato risposto che, essendosi lui costituito parte civile, sarebbe stato meglio si licenziasse".

Ancora: "Il 4 ottobre, il lavoratore, nell’inserire un rullo di acciaio di 50 chili in un laminatoio (operazione difficoltosa), ne ha perso il controllo, infortunandosi. In ospedale per lo schiacciamento di una mano e lo strappo di una coscia gli hanno dato 20 giorni di guarigione e aperto la procedura dell’infortunio. In queste condizioni è tornato a Torino dove ha ricevuto una lettera di contestazione, anticamera del licenziamento, con la motivazione che il lavoratore in parte avrebbe simulato l’incidente, in parte si sarebbe procurato il danno. La direzione del personale di Terni ritiene che si sia consumato il rapporto fiduciario con Thyssen. Questa è la politica aziendale coerente con lo "smantellamento dei lavoratori" a Torino prima della morte, arsi vivi, di 7 di loro, e con lo stesso memorandum sequestrato".

Ezio Audisio, legale Thyssen, è al corrente: "L’azienda ha denunciato il dipendente alla Procura di Terni, per aver lui anticipato l’intenzione di procurarsi un infortunio se non gli fossero state concesse le ferie. Per combinazione, ciò è poi avvenuto. Non mi risulta che sia stato invitato a licenziarsi". Bonetto: "Abbiamo dei testimoni".

In aula la tensione affiora quando una madre incrocia il collega che aveva scambiato il fatale turno di lavoro con il figlio morto, il 6 dicembre. Il procuratore vicario Raffaele Guariniello e i pm Laura Longo e Francesca Traverso in un’ora ricordano perché, secondo loro, Espenhahn deve rispondere di omicidio volontario con dolo eventuale: "Il manager aveva una competenza specifica in materia antinfortunistica e, dopo il grave incendio di Krefeld del 22 giugno 2006, la multinazionale si attivò, pressata dalle compagnie di assicurazione, per dotare tutti i propri stabilimenti di impianti di spegnimento automatico del fuoco.

Il 17 febbraio 2007 si svolse a Krickembeck un meeting sulla sicurezza che si concluse con notevoli stanziamenti per adeguarla ovunque. Agli stabilimenti italiani furono assegnati 16,7 milioni di euro. Espenhahn decise di non spendere un euro per Torino, di cui era stata annunciata la chiusura sin dal 2005, via via prorogata senza più attenzione agli standard di sicurezza. Politica aziendale nell’interesse e a vantaggio della società".

A fine udienza, l’avvocato Cesare Zaccone anticipa le possibili mosse della difesa: "Può darsi che si facciano scelte processuali differenti". Abbreviato per gli imputati minori, processo ordinario per Espenhahn e gli altri. Che oggi rischiano la Corte d’Assise.

Giustizia: Petrella e il trattamento "umanitario" dei detenuti

di Cesare Martinetti

 

La Stampa, 14 ottobre 2008

 

Rifiutando l’estradizione della brigatista Marina Petrella per "ragioni umanitarie" Nicolas Sarkozy raccoglie il primo applauso della gauche di cui Carla Bruni è l’indiscussa icona, ma commette una grave offesa all’Italia.

Un vero incidente diplomatico. Che significa infatti la dizione "ragioni umanitarie" addotte per trattenere in Francia una terrorista condannata all’ergastolo in un altro Paese dell’Unione Europea? Che quel paese - l’Italia - non dà garanzie di "umanità" nel trattamento dei detenuti? O che non si condivide la sentenza?

Il governo italiano - che ripetutamente ha chiesto l’estradizione dei numerosi terroristi condannati tuttora residenti liberi e protetti in Francia per un’ambigua decisione del "florentin" Mitterrand nel 1986 - farebbe bene a non sottovalutare l’episodio che costituisce uno strappo al bon ton e alla sostanza dello spirito comunitario. È anche da queste cose che si valuta la qualità delle relazioni tra governi. Non bastano le foto di sorrisi e siparietti ai summit se poi alla prova dei fatti gli altezzosi francesi continuano a pensare che gli italiani sono pur sempre dei "macaronì", un po’ fascisti e un po’ faciloni. La decisione di Sarkozy rappresenta di fatto una pietra tombale sulla questione rifugiati. La partita, dopo il pasticcio Battisti e il caso Petrella, appare evidentemente chiusa per sempre.

Si dirà: un’altra lezione dalla patria dei diritti dell’uomo. Ma è così? La Francia (il rapporto del Consiglio d’Europa è del 2005) ha le prigioni peggiori d’Europa: tre tentativi di suicidio al giorno, un morto ogni tre giorni. È una di quelle emergenze nazionali di cui non si viene mai a capo. In queste galere, la République ha annientato i "suoi" pochi terroristi molto più di quanto non abbia fatto l’Italia con i suoi molti eversori.

Un grappolo di persone, raccolte dentro la sigla di "Action directe" e sostanzialmente responsabili di due omicidi: un generale dell’Aeronautica e il presidente di Renault. I quattro capi di Ad sono stati condannati all’ergastolo e a una detenzione speciale: isolamento per una dozzina di anni con luce sempre accesa in cella. Uno è impazzito (Georges Cipriani), un’altra, ammalata di cancro, è stata liberata in stato terminale ed è morta due mesi dopo (Joelle Aubron), la terza ha sofferto ripetute ischemie cerebrali ed è stata liberata da poco (Nathalie Ménigon), il quarto Jean-Marc Rouillan, apparentemente sano, appena ottenuta la semilibertà dopo vent’anni di carcere ha dato un’intervista all’Express per dire più o meno quello che tutti i terroristi italiani hanno sempre detto ai media francesi. Ma il risultato è stato diverso: Rouillan è stato subito rimesso in gattabuia. E nessun politico o intellettuale ha protestato, nemmeno le sorelle Bruni Tedeschi.

Naturalmente Marina Petrella, precipitata in una gravissima depressione dopo l’arresto (e quindici anni di libera vita parigina), ha tutto il diritto di essere curata. Ma l’Italia ha sempre assistito i suoi terroristi. Prospero Gallinari, tanto per dirne uno, killer in via Fani e poi carceriere di Moro, è libero da anni per curare il suo cuore malato. Nessuno dei nostri è mai stato privato della libertà per una semplice intervista. Anzi...

Aspettando che il Guardasigilli Alfano chieda spiegazioni alla collega Rachida Dati, non resta che constatare la permanenza di un mistero: perché la Francia così severa con i suoi, è così clemente con gli italiani? Il "francese di ferro" che ha costruito la sua fortuna elettorale deportando migliaia di poveri cristi sans-papiers nelle ex colonie dell’Africa nera da dove erano fuggiti, si blocca di fronte a una terrorista condannata da uno stato sovrano e amico. Sarkozy voleva cancellare il ‘68 e invece ha ceduto al più banale riflesso post sessantottardo. Un destino "italiano".

Lettere: nelle carceri c'è una gravissima carenza di educatori

 

Ristretti Orizzonti, 14 ottobre 2008

 

Vi scrivo in qualità di membro del Comitato vincitori - idonei del concorso pubblico per 397 educatori penitenziari, il quale si propone come obiettivo l’assunzione di tutti coloro che hanno superato il concorso stesso.

L’art. 27 della nostra Costituzione sancisce che " le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato ".

Orbene, è lecito chiedersi se il processo rieducativo in oggetto possa aver luogo nonostante l’esiguo numero di educatori presso gli istituti penitenziari italiani. La carenza di organico è estremamente grave in quanto per più di 50.000 detenuti esistono soltanto 608 educatori! Si tratta di una situazione scandalosa!

Tanto premesso, si rammenta che nel 2003 venne bandito dal Ministero della Giustizia un concorso pubblico per la copertura di 397 posti proprio come educatore. Dopo un lunghissimo iter procedurale, durato ben cinque anni, il suddetto concorso si è concluso il 13 giugno 2008. Risultato: 900 ragazzi, tra vincitori ed idonei, che potrebbero, o, meglio ancora, dovrebbero essere assunti per sopperire alla gravissime carenze di organico denunciate. Nessuno tuttavia provvede al riguardo e lo scandalo continua.

Si fa presente che il primo ottobre 2008 il Comitato ha incontrato, presso la sede parlamentare, l’On. Concia, la quale ha proposto l’idea di un convegno nazionale per dare la dovuta attenzione al problema. Il convegno si terrà nel mese di novembre, e nell’attesa, è importante l’appoggio di tutta la stampa nazionale affinché l’opinione pubblica sia sensibilizzata al riguardo e possa conoscere la grave e scandalosa situazione esistente nelle carceri italiane!

 

Comitato vincitori-idonei del concorso per 397 educatori

Umbria: i Radicali chiedono la nomina del Garante dei detenuti

 

Ansa, 14 ottobre 2008

 

A un anno dalla morte di Aldo Bianzino, avvenuta il 14 ottobre 2007 nel carcere di Perugia, i Radicali hanno presentato le iniziative rivolte al Parlamento europeo per un intervento nei confronti del Consiglio regionale dell’Umbria per la nomina del Garante dei detenuti.

Lo hanno fatto in una conferenza stampa tenuta oggi nel capoluogo umbro alla presenza di Andrea Maori, direzione dell’associazione Radicale antiproibizionisti, Pier Francesco Pellegrino, segretario dell’Associazione Radicali Perugia, Tommaso Ciacca, membro del comitato nazionale di Radicali italiani, e Mauro Fonzo, avvocato.

È stata presentata la richiesta che verrà inviata domani al Parlamento europeo - sottoscritta da decine di cittadini - con la quale si chiede di intervenire presso la Presidenza del Consiglio regionale e quella della Giunta per conoscere i motivi riguardo la mancata designazione da parte della stessa Assemblea di Palazzo Cesaroni e conseguente nomina da parte del Presidente della stessa Giunta, del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale. I promotori dell’iniziativa - è detto in un loco comunicato - si appellano al Parlamento europeo perché ritengono che una giusta applicazione della legge sul Garante possa aiutare ad avvicinare gli istituti di pena presenti nella Regione agli standard di vivibilità normalmente accettati all’interno dell’Unione europea in quanto contribuisce a garantire i diritti delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale. I Radicali stigmatizzano il fatto che sono passati oltre quindici mesi da quando il Consiglio regionale dell’Umbria doveva per legge discutere e nominare il garante dei detenuti.

Necessità e urgenza della nomina del Garante - è stato detto - vengono anche dalla vicenda legata alla morte di Aldo Bianzino. Il 17 ottobre prossimo si aprirà di fronte al gip l’udienza che dovrà decidere sull’archiviazione del caso. L’avvocato Fonzo rappresenterà l’associazione Nessuno Tocchi Caino per quanto riguarda le iniziative eventualmente da prendere, per stabilire la verità per Aldo.

Chiavari: un giardino per gli incontri tra i detenuti e i loro figli

 

Agi, 14 ottobre 2008

 

Un’area verde di oltre 120 metri quadrati per consentire l’incontro fra detenuti ed i loro figli, specialmente i più piccoli; è quanto sarà presentato venerdì prossimo presso la casa circondariale di Chiavari.

L’area verde, la prima in Liguria, sarà usufruita dai detenuti nel periodo primaverile ed in quello estivo. Al "parco" adiacente al carcere ligure oltre al personale del ministero della Giustizia ha lavorato la Provincia di Genova che, durante la cerimonia di inaugurazione, vedrà quale madrina l’assessore Milò Bertolotto, assessore alle politiche del personale con delega alle carceri ed il presidente della Provincia di Genova Alessandro Ripetto. "Speriamo questa area verde - ha detto il direttore del carcere di Chiavari Maria Milano - possa essere d’aiuto per i famigliari ed in special modo per i bambini per superare quel duro impatto con la realtà carceraria e le sue misure di sicurezza". "Una struttura, questa, che si è potuta avere grazie anche a molte attività di volontariato in primo luogo svolta dagli stessi agenti della polizia penitenziaria".

Milano: Trib. Sorveglianza concede semilibertà a Pietro Maso

 

Ansa, 14 ottobre 2008

 

Il tribunale di Sorveglianza di Milano ha concesso all’uomo, condannato a 30 anni per aver ucciso i propri genitori, il regime di semilibertà. Nuovo capitolo nella vicenda di Pietro Maso. Il tribunale di sorveglianza di Milano ha concesso all’uomo, condannato a 30 anni per aver ucciso i propri genitori, il regime di semilibertà.

Il 16 aprile 1991 Pietro Maso, allora 19enne, assieme a tre amici, uccide i genitori con cui viveva a Montecchia di Crosara (Verona). Il duplice omicidio viene denunciato dallo stesso Pietro, che sostiene di aver trovato i corpi dei genitori, Antonio e Rosa, vicino ad una scala interna di casa in una pozza di sangue al ritorno dalla discoteca. I coniugi Maso, stabilirà l’autopsia, sono stati uccisi con delle bastonate alla testa facendo pensare alla rapina. I carabinieri sono insospettiti dallo strano atteggiamento del giovane, che si dimostra pronto a collaborare con loro rimanendo freddo e distaccato rispetto alla tragedia avvenuta in casa. Dopo tre giorni di interrogatori, Pietro e i suoi tre amici - Giorgio Carbognin, Paolo Cavazza e B.D., di appena 17 anni - cedono e confessano il duplice omicidio. Sconcertante il movente. Il delitto è stato progettato affinché Maso ereditasse i soldi dei genitori e potesse mantenere lo stile di vita che lo ha fatto emergere tra gli amici.

Dalle indagini è emerso che Pietro aveva pensato anche di eliminare le sue due sorelle, per essere l’unico erede di tutte le sostanze paterne. All’epoca ha fatto scalpore la perizia affidata dall’accusa al prof. Vittorino Andreoli, che oltre a escludere che i tre fossero incapaci di intendere e volere, ha puntato il dito contro la società in cui il duplice delitto si inseriva. Maso è stato condannato dai giudici di Verona, il 29 febbraio 1992, a 30 anni di reclusione; 26 anni a Carbognin e Cavazza. Tredici anni, invece, al minore. In appello, Maso produce una lettera di pentimento; è l’inizio di un ravvedimento che è proseguito in silenzio in carcere, dove ha tenuto un comportamento ineccepibile (impegnandosi anche come attore in un musical, con altri detenuti).

Genova: Sappe; a Pontedecimo c’è una emergenza sicurezza

 

Asca, 14 ottobre 2008

 

Una nota di protesta è stata inviata dalla segreteria del Sappe - Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria - del carcere di Pontedecimo ai vertici dell’amministrazione penitenziaria. "Si denuncia una gravissima situazione dell’unico carcere femminile in Liguria, collegata alla carenza di organico della Polizia Penitenziaria femminile. Oggi sono 31 le poliziotte in servizio a Pontedecimo. L’organico ne prevede 70".

"È vergognoso appurare come l’amministrazione affronti le problematiche del personale ovvero quella della sicurezza. In tutta la Liguria ci sono 93 poliziotte e solo 31 nell’unico carcere femminile ligure. I turni sono massacranti, in alcuni casi si superano le 12 ore di servizio continuativo; una poliziotta deve vigilare contemporaneamente tre piani detentivi con 70 detenute".

"Manca il personale per i controlli, spesso si verifica che vari operatori, come gli assistenti volontari che hanno titolo di accesso in carcere, circolino per l’istituto senza controllo. Quando una detenuta deve effettuare una visita specialistica esterna, la scorta è ridotta al minimo, con grave pregiudizio della sicurezza. Buona parte della popolazione detenuta è affetta da problemi di tossicodipendenza o psichiatrici, quindi non di facile gestione. La capienza del carcere è di 52 posti e sono ristrette 70 detenute, 28 di loro sono straniere".

Monza: detenuto ammanettato a un palo, tre agenti indagati

 

www.cronacaqui.it, 14 ottobre 2008

 

Una foto che ritrae un detenuto ammanettato alla colonna, divenuta manifesto della protesta del Sindacato di Polizia per le precarie condizioni del commissariato di Monza, ha portato all’apertura di un fascicolo in cui nel registro degli indagati sono stati iscritti i tre Poliziotti responsabili di quell’arresto.

La denuncia era partita internamente immediatamente dopo la diffusione dell’immagine "incriminata", avvenuta nel contesto di una manifestazione degli agenti di polizia monzesi, contro la carenza strutturale del commissariato di viale Romagna. In poche quella fotografi aveva destato sconcerto e reazioni da parte delle più alte cariche dello Stato, finendo anche su prestigiose riviste internazionali a rappresentare una palese violazione dei diritti dei detenuti. Poco prima di abbandonare la sua carica dirigenziale, l’ex Dirigente del Commissariato Vincenzo D’Agnano, aveva quindi avviato immediata richiesta per un’indagine interna, affidata alla Polizia Giudiziaria.

L’immigrato ritratto nella foto avrebbe trascorso la notte tra l’11 e il 12 febbraio scorsi ammanettato ad un palo del piano terra, a causa della non conformità delle celle di sicurezza, non conformi alle nuove normative ed in attesa di essere riqualificate. I tre agenti che avevano ricoperto il turno nella notte in cui la fotografia è stata scattata, dovranno ora rispondere di abuso di autorità contro arrestati e detenuti, rischiando una pena detentiva fino a 30 mesi. Luigi Salvadori, Sostituto Procuratore incaricato dell’inchiesta, ha già raccolto le testimonianze dell’extracomunitario vittima del presunto abuso e i tre agenti coinvolti, unitamente ad alcuni colleghi del commissariato, mentre sembrerebbe non rischiare nulla l’autore della fotografia, responsabile "solo" di averla diffusa senza però denunciare immediatamente il fatto.

Napoli: un piano per uccidere Saviano, autore di "Gomorra"?

 

Reuters, 14 ottobre 2008

 

La Direzione distrettuale antimafia ha disposto un’indagine per verificare la segnalazione riferita da un pentito, secondo il quale la camorra starebbe progettando un attentato per uccidere lo scrittore Roberto Saviano, autore del best seller "Gomorra", che da tempo vive sotto scorta in una località segreta.

Sul presunto piano per uccidere Saviano, riferito oggi da alcuni organi di stampa, "abbiamo avviato un’indagine per verificare la fondatezza di questa notizia che ci hanno comunicato", ha detto a Reuters Franco Roberti, coordinatore della Dda partenopea, senza precisare chi tra gli inquirenti abbia raccolto la testimonianza. Quanto alla protezione di Saviano, "sono già in atto delle misure di sicurezza, se si vogliono rafforzare dovrà essere il Comitato per l’ordine e la sicurezza a farlo", ha aggiunto Roberti.

Secondo quanto riferito da alcuni media, la testimonianza di un pentito del clan dei casalesi, sul progetto di attentato a Saviano, sarebbe stata raccolta da un funzionario della polizia che da Milano avrebbe segnalato nei giorni scorsi quanto da lui riferito. Negli ultimi mesi la criminalità organizzata campana è stata duramente colpita da arresti eccellenti e pesanti condanne di imputati detenuti.

Ieri Roberto Saviano ha partecipato alla trasmissione radiofonica di Radio 3 "Farenheit" a due anni da quando ha iniziato la sua vita blindata sotto scorta, per il clamore internazionale suscitato dal libro best seller internazionale, diventato anche un film, che ha portato alla luce i retroscena della malavita campana, in particolare del Casertano.

"Pur nella consapevolezza di essere stato importante per la coscienza di molti, quando mi sveglio la mattina, e mi ritrovo in uno stato d’assedio, mi chiedo se ne sia valsa la pena" ha detto lo scrittore, come riportato sul sito della trasmissione. "Gomorra", che ha provocato un forte movimento di opinione contro la malavita che affligge la Campania, ha anche ispirato l’omonimo film diretto da Matteo Garrone, premiato al Festival di Cannes, che rappresenterà l’Italia nella gara all’Oscar per il miglior film non di lingua inglese.

Lodi: il reggae entra in carcere, nuova iniziativa per i detenuti

 

Il Cittadino, 14 ottobre 2008

 

Reggae, ragamuffin e tante vibrazioni positive per scaldare i cuori dei detenuti della Casa Circondariale di Lodi. Sul palco allestito nel cortile del carcere di via Cagnola, venerdì sera si sono esibiti i lodigiani Bujaka, ormai gruppo cult per i seguaci dei ritmi portati alla ribalta da Peter Tosh e Bob Marley.

Capitanati da Cristian "Cita" Vailati, voce e leader storico della band, per un’ora a mezza i Bujaka hanno trasformato il carcere in una piccola Giamaica, mescolando le tipiche sonorità reggae a liriche inneggianti alla speranza e alla libertà, come le immarcescibili "Redemption Song" e "No woman no cry". Il concerto è stato l’ennesima iniziativa organizzata dalla Casa Circondariale diretta da Stefania Mussio, sede quest’anno di diversi eventi tra cui l’esibizione del raffinato cantautore Gian Maria Testa e la presentazione del libro Sulle regole firmato dal magistrato Gherardo Colombo.

"La musica ha la capacità di rompere ogni tipo di barriera - il commento dell’assessore comunale alla cultura Andrea Ferrari -. Il reggae, in particolare, ha accontentato tutti, sia i detenuti africani che quelli italiani. È una musica che porta fratellanza. Molte persone sono rimaste ad ascoltare anche dall’esterno, incuriosite dalla musica che usciva dal carcere".

Le iniziative per i detenuti non finiscono comunque qui. A fine ottobre è previsto un incontro con lo scrittore e giornalista Piero Colaprico, mentre sabato mattina sarà lo sport a cercare di portare una ventata d’allegria a chi deve misurarsi quotidianamente con la dura realtà del carcere: sul campetto da calcio costruito nel cortile andrà infatti in scena un quadrangolare in cui si sfideranno una squadra di detenuti, chiamata "Uomini liberi", una formazione composta da giornalisti de "Il Cittadino", una di politici e amministratori lodigiani e una di agenti di polizia.

Firenze: vigili urbani sequestrano le coperte ai senza dimora

 

Redattore Sociale - Dire, 14 ottobre 2008

 

Firenze, il racconto dell’associazione Aurora: "La polizia municipale ha sequestrato e distrutto le coperte da noi distribuite a 50 rom alla stazione di Santa Maria Novella". Per loro anche multe di oltre 165 euro.

La polizia municipale ha ritirato a 50 rom romeni le coperte che un"associazione di volontariato aveva fornito loro. L’episodio è accaduto la notte del 7 ottobre a Firenze, nei pressi della stazione Santa Maria Novella. A riferirlo sono i volontari dell’associazione fiorentina L’Aurora Onlus che hanno fornito le coperte ai nomadi che da mesi dormono al freddo nei pressi di Piazza Adua, in pieno centro storico della città. Svegliate di soprassalto le persone - riferiscono i volontari dell’associazione - i vigili hanno intimato loro di consegnare tutte le coperte e a chi ha obiettato che faceva troppo freddo, i vigili fiorentini hanno risposto "Dormite sui cartoni".

Tutte le 50 coperte sono state dunque sequestrate e gettate, davanti ai loro occhi, in un camion della Quadrifoglio che procedeva subito a macerarle. L’associazione ha rifornito le coperte ai nomadi venerdì sera ma nel fine settimana i vigili sono ripassati e hanno multato i nomadi con una multa di 165 euro perché, si legge nel verbale "dormivano in modo visibilmente indecente".

"Ciò che è accaduto è inammissibile - commentano Stefania Micol, presidente dell’associazione L’Aurora, e Matteo Pegoraro, co-presidente con Roberto Malini e Dario Picciau del Gruppo EveryOne - e dimostra come anche la città di Firenze segua istituzionalmente la corrente razzista e xenofoba che sta investendo l’Italia, abbandonando la via della tolleranza e del rispetto dei diritti umani per imbracciare quella della caccia allo straniero e della criminalizzazione della povertà.

È uno scandalo civile che in una città come Firenze non solo non si attui alcun programma per l’accoglienza di queste persone, lasciandole girovagare per il centro senza alcun mezzo di sussistenza né alcuna proposta di inserimento sociale, ma che soprattutto vengano tolti loro con brutalità i pochi mezzi per sopravvivere al freddo di e alla condizione a dir poco precaria in cui essi si trovano".

"Abbiamo già denunciato l’accaduto all’eurodeputata ungherese di origine rom Viktoria Mohacsì - spiegano poi i leader del Gruppo EveryOne Malini, Pegoraro e Picciau - affinché lo riporti all’attenzione del Parlamento Europeo e della Commissione UE. Firenze diviene tristemente, con quest’episodio, assieme a Pesaro - già all’attenzione delle Istituzioni europee per il preannunciato sgombero della locale comunità rom romena, rifugiata in un edificio abbandonato, in cui vi sono malati con patologie cardiache e tumorali molto gravi - e al resto d’Italia, un ulteriore luogo dove, con la persecuzione mista all’indifferenza di autorità e istituzioni locali, si vuole arrivare all’annientamento crudele di esseri umani innocenti cui non è offerta alcuna speranza di integrazione".

L’associazione L’Aurora e il Gruppo Every One hanno chiesto a gran voce un incontro urgente con le autorità fiorentine al fine di trovare una soluzione tempestiva per queste persone. Le due associazioni fanno inoltre appello a tutta la cittadinanza fiorentina, affinché, presso la sede de L’Aurora in via dei Macci 11 si manifesti nel concreto solidarietà verso famiglie disagiate e perseguitate, portando semplicemente una coperta, che divenga simbolo di fratellanza e rappresenti una risposta civile al trattamento della Polizia Municipale.

Immigrazione: Fini; basta stereotipi, la nostra paura è pericolo

 

Redattore Sociale - Dire, 14 ottobre 2008

 

"L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la nostra paura". Tra Tucidide e Roosevelt, Gianfranco Fini sull’immigrazione - concludendo il congresso promosso da Fare Futuro sulle donne del Mediterraneo - esorta a politiche lungimiranti mettendo in guardia dal vero pericolo che è la nostra paura: "Occorre evitare una certa rappresentazione vecchia, luoghi comuni e stereotipi, che non sempre corrispondono alla realtà".

E di più. "Di propaganda - dice il presidente della Camera - se ne è fatto uso e abuso, però non sempre la propaganda aiuta a risolvere i problemi". E invece, incalza Fini, "sarebbe bello ci ponessimo come obiettivo quello di definire una via italiana all’integrazione, che sia innovativa e anticipatrice". Una via italiana per garantire una convivenza dove "l’eliminazione di ogni discriminazione e la realizzazione dell’uguaglianza dei diritti" sia il primo passo, e il secondo la "condivisione di valori e di obiettivi comuni". Fini esemplifica citando la "generazione Balotelli", l’attaccante interista di origine ghanese da poco arruolato nell’Under 21: "Condividere i valori della società in cui ti trovi come valori che rispetti, non confondiamo l’integrazione - puntualizza - come adesione ai valori con il rispetto formale della legge". Insomma, "l’integrazione è una conquista per chi si integra, non una menomazione".

E la scommessa, dunque, è quella della "conquista da parte nostra - insiste il presidente della Camera - di una identità nazionale nuova, evoluta e aperta". Ecco, un’Italia "orgogliosa delle proprie tradizioni ma non ripiegata su una identità chiusa".

Una Italia, incalza il presidente della Camera, capace di "rinnovarsi, per certi aspetti reinventarsi" di fronte a dinamiche globali, che "sia anche consapevole della propria missione nel mondo e quindi pronta a condividere con la comunità internazionale la responsabilità di garantire la cooperazione tra i popoli e l’integrazione".

Ma l’integrazione, per il suo successo, richiede fattori diversi, fattori culturali e amministrativi ma anche sociali. Richiede mano ferma contro il lavoro nero: "Forse - ammonisce Fini - c’è stata troppa condiscendenza nei confronti dei datori di lavoro che in molti casi sono veri sfruttatori. Così come è profondamente immorale e illegale sfruttare un lavoratore italiano, è profondamente immorale e illegale sfruttare una persona che arriva nel nostro paese per bisogno".

Immigrazione: Vaticano; i ragazzi stranieri sono discriminati

 

Corriere della Sera, 14 ottobre 2008

 

Anna ha ancora gli occhi tumefatti e un gran dolore al collo; nemmeno lei sa dire se le sei compagne di scuola (ora tutte identificate) che l’hanno insultata e malmenata perché marocchina siano state mosse da bullismo o da razzismo: "Di sicuro mi offendevano per il colore della mia pelle..." Aspettando che il trauma passi e che l’episodio diventi solo un brutto ricordo, Anna si è guadagnata ieri anche la solidarietà del Vaticano.

Sull’episodio della ragazzina immigrata, pestata per non aver ceduto il posto sull’autobus ad alcune coetanee italiane, è infatti intervenuto monsignor Agostino Marchetto, segretario del consiglio pontificio per i migranti. "Il governo italiano insiste: qui non c’è alcun allarme razzismo ma la discriminazione invece esiste - ha detto il prelato facendo esplicito riferimento a quanto successo a Varese - e quando colpisce i giovani nella loro età più fragile le conseguenze non solo per loro ma per l’intera società possono essere devastanti. E questo rischio riguarda soprattutto i figli degli immigrati".

Le autrici del pestaggio sono compagne della vittima, frequentano un istituto di formazione professionale di Varese e vedevano Anna tutti i giorni nei corridoi a scuola: "Io non le ho riconosciute tutte - racconta la studentessa - perché ero a terra e mi picchiavano in tante. Avevo solo una gran paura e speravo che tutto finisse".

La scuola frequentata dalla ragazzina e dalle sue compagne che l’hanno aggredita ha già fatto sapere che l’episodio non verrà fatto passare sotto silenzio e che verranno presi provvedimenti disciplinari nei confronti delle ragazze responsabili dell’aggressione. I carabinieri dal canto loro hanno inviato una ricostruzione dell’episodio alla procura minorile ma non è stato al momento specificato il tipo di reato contestato né se ad esso sarà aggiunta l’aggravante del razzismo.

L’ennesimo atto di violenza ai danni di cittadini extracomunitari tiene alta l’attenzione anche del mondo politico. Ieri ha fatto sentire la sua voce il presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini: "È necessario - sono state le sue parole pronunciate in un convegno a Roma - combattere la tendenza all’isolamento da parte delle minoranze di stranieri e impedire il prodursi di fenomeni di xenofobia che nel nostro paese tendono purtroppo ad aumentare per effetto di paura, ignoranza, degrado".

La preoccupazione di Fini sembra essere confermata da un altro episodio avvenuto a Napoli sul quali pesa l’ombra del razzismo: è stato appiccato infatti un incendio alle baracche di un campo nomadi di via Argine, nel quartiere Ponticelli. L’accampamento si trova sotto un ponte dell’autostrada, non si sono registrate vittime solo perché le famiglie che lo abitano sono riuscite ad allontanarsi velocemente

Immigrazione: Cassazione; l'espulsione prima dei diritti umani

di Debora Alberici

 

Italia Oggi, 14 ottobre 2008

 

Linea dura sull’immigrazione clandestina anche se a farne le spese sono i diritti umani. Vanno infatti espulse e non possono rifugiarsi in Italia le clandestine che, nel loro paese, sono soggette a una condizione di "sudditanza" e che vengono sottoposte ad infibulazione.

Infatti, anche se questa condizione è "inaccettabile per la coscienza civile" non viene tutelata dalla Convenzione di Ginevra. Una chance di restare c’è solo per le donne espulse dopo le nuove norme, del 2007, ma i contorni della tutela non sono ancora chiari. Con queste motivazioni, sentenza n. 24906 del 10 ottobre, la Cassazione ha confermato l’espulsione di una giovane donna africana, una cittadina della Sierra Leone, che, dopo essere stata sottoposta all’infibulazione, si era rifugiata in Italia, anche per curarsi. A marzo del 2007, tuttavia, il prefetto di Roma l’aveva espulsa.

Lei aveva impugnato il provvedimento di fronte al giudice di pace ma aveva ottenuto solo un differimento della misura "per il tempo necessario alla valutazione clinica e alla prestazione delle cure del caso". Niente di più, dunque, spetta a queste donne sottoposte nei loro paesi d’origine a una pratica "degradante". Forse uno spiraglio c’è per il futuro. Infatti nelle brevi motivazioni la Cassazione premette che il ricorso della giovane va respinto con una precisazione: a questo caso, dice, non può essere applicato il nuovo regime di protezione (sussidiaria e umanitaria) previsto dal dlgs. 257 del 2007".

Di più, per il momento non si sa. La Suprema corte esaminerà altri casi, più recenti, che le daranno modo di definire l’ambito di applicazione delle nuove norme. Per il momento le parole usate dalla prima sezione civile sono lapidarie: "La persecuzione a cui la donna potrebbe essere sottoposta nel suo paese è null’altro che la sottoposizione alla generale condizione di tutte le donne del paese stesso e

cioè una condizione di sudditanza che, certamente inaccettabile per ogni coscienza civile, è però priva della necessaria individualità postulata anche dalla Convenzione di Ginevra (oltre che Cedu) perché sia integrato il pericolo di una persecuzione od anche solo perché sia adottata la misura di protezione temporanea del divieto di respingimento in relazione al concreto rischio di trattamenti personali degradanti nel paese di provenienza". E stato respinto, con queste stesse motivazioni, anche il motivo con il quale si lamentava la violazione di "esigenze umanitarie".

Droghe: Veneto; 4 mln per piano triennale lotta a dipendenze

 

Agi, 14 ottobre 2008

 

La Giunta della Regione Veneto su proposta dell’assessore regionale alle politiche sociali Stefano Valdegamberi, ha stanziato quattro milioni di euro per il finanziamento del terzo anno di attività dei piani triennali compresi nel fondo regionale lotta alla droga 2006-2008.

Contestualmente il governo veneto ha approvato l’erogazione alle Aziende Ulss delle somme a ciascuna spettanti. Inoltre, martedì prossimo l’assessore incontrerà a Padova i responsabili dei dipartimenti per le dipendenze delle Ulss venete, per fare il punto sull’efficacia del piano. "I mezzi di informazione locali e nazionali - sottolinea l’assessore Valdegamberi - ci restituiscono ormai quotidianamente la drammaticità dell’emergenza alcol e droga".

E lo dicono anche le cifre: gli utenti tossicodipendenti del sistema veneto sono oltre 23 mila di cui 10 mila alcool dipendenti. Nel triennio 2006-2008 la giunta regionale ha assegnato oltre 13 milioni di euro per la realizzazione di progettualità socio-sanitarie in materia di dipendenza da sostanze d’abuso, oltre a stanziare annualmente 21 milioni di euro per l’assistenza presso le comunità terapeutiche.

Il sistema regionale per la lotta alle dipendenze si articola in 21 Dipartimenti per le Dipendenze; 38 Ser.T. (Servizi per le Tossicodipendenze); 2 Aziende Ospedaliere, 32 Enti ausiliari iscritti all’Albo regionale delle Comunità Terapeutiche, con oltre 60 sedi operative; 5 Comunità Terapeutiche pubbliche, oltre 600 gruppi di auto-aiuto nel settore dell’alcolismo (Club alcolisti in trattamento e Alcolisti Anonimi); 65 Associazioni di volontariato (30 in materia di alcool dipendenza, 21 in materia di tossicodipendenza, 8 in materia di Aids, 6 in materia di carcere); cui vanno aggiunti i 7 N.O.T. (nuclei operativi tossicodipendenze) degli Uffici Territoriali del Governo nel Veneto e il Servizio contenimento del danno del Comune di Venezia, che collaborano e si integrano con il sistema sociosanitario regionale.

Arabia Saudita: 150 esecuzioni ogni anno, la metà è straniero

 

Corriere della Sera, 14 ottobre 2008

 

Il principe saudita Walid Bin Talal Bin Abdelaziz, ex socio di Berlusconi e uomo tra i più ricchi del mondo, proprio ieri ha annunciato che a Gedda costruirà l’edificio più alto del pianeta. Primato di qualche soddisfazione, certo (anche perché batterà i vicini e rivali Emirati). Nessun commento da parte saudita, invece, su un altro record del Regno di Abdallah: le condanne a morte per i suoi sudditi. E, sempre più spesso, per molti poveri immigrati nella terra dell’Islam e del petrolio, più fragili dal punto di vista giudiziario di quanto non lo siano i sauditi doc. O i residenti occidentali.

A lanciare il nuovo allarme è Amnesty International, che oggi pubblica un drammatico rapporto da cui emerge non solo che il livello di esecuzioni in Arabia Saudita resta altissimo, oltre due alla settimana in media, una ogni tre giorni: e infatti al 31 agosto eravamo già a 78 (158 nel 2007, record mondiale per numero di abitanti, terzo posto in assoluto dopo Cina e Iran). Ma che quasi la metà delle condanne eseguite nel Regno wahabita riguarda stranieri.

"Una percentuale del tutto sproporzionata - dice Malcolm Smart, direttore per il Medio Oriente di Amnesty -. Speravamo che l’impegno di Riad sul fronte dei diritti umani portasse alla fine o a un forte calo delle condanne e invece sono cresciute. Urge una moratoria". Non è una novità in nessun Paese del mondo (o almeno in quelli dove la pena di morte resiste, 62 sulla carta, meno in realtà) che a finire "giustiziati" siano soprattutto i più poveri e emarginati. Ma nel caso saudita questo è particolarmente vero: imputati che non parlano nemmeno l’arabo, senza avvocato, che restano all’oscuro della loro sorte (a volte) fino all’esecuzione.

Nel Regno, su 27 milioni di abitanti almeno 8 milioni sono stranieri. "Sia loro che i sauditi messi a morte in Arabia non hanno denaro né contano conoscenze tra persone influenti che potrebbero intervenire in loro favore, come autorità di governo o capi tribù; circostanze entrambe decisive per ottenere la grazia", denuncia ancora Smart. Che poi sottolinea come i processi celebrati nel Paese in base alla sola Sharia siano spesso "segreti e ampiamente iniqui", mentre i giudici "applicano discrezionalmente la pena capitale anche per reati non violenti".

Così, a scorrere i giornali che riportano gli ultimi casi, troviamo il barbiere turco Sabri Bogday residente a Gedda e condannato a morte per blasfemia: secondo due testimoni aveva spergiurato nel nome di Allah e del Profeta, non è dato sapere se in arabo o in turco. O la bambinaia dello Sri Lanka Rizana Nafeek, che parla solo tamil e minorenne, destinata ad essere decapitata per "aver fatto morire" un bimbo saudita; chissà in quali circostanze, visto che la sua parola (tradotta) non conta nulla di fronte a quella della "padrona".

Ci sono state mobilitazioni internazionali per Rizana, ogni tanto si parla anche nel Regno di questa ondata di condanne a morte. Ma l’appello di Amnesty a Riad ("basta esecuzioni, è arrivato il momento che rispettiate il diritto internazionale") sembra destinato per il momento a restare senza risposte.

 

Arabia Saudita: a morte i poveri (Vita)

 

Secondo un nuovo rapporto diffuso oggi da Amnesty International, le autorità dell’Arabia Saudita mettono a morte, in media, più di due persone a settimana. Quasi la metà delle esecuzioni (e si tratta di una percentuale sproporzionata in rapporto alla popolazione locale) riguarda cittadini stranieri provenienti da paesi poveri e in via di sviluppo.

"Avevamo auspicato che le iniziative in materia di diritti umani che il governo saudita si era vantato di avere introdotto negli ultimi anni, avrebbero potuto mettere fine a tutto questo o almeno determinare una significativa riduzione nell’uso della pena di morte. Invece, abbiamo assistito a un forte aumento delle esecuzioni, che hanno luogo al termine di processi segreti e ampiamente iniqui. Una moratoria sulle esecuzioni è più urgente che mai" - ha dichiarato Malcolm Smart, Direttore del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.

Nel 2007 le esecuzioni sono state almeno 158, contro le 39 registrate da Amnesty International l’anno prima. Per quanto riguarda il 2008, al 31 agosto il totale era arrivato già a 71. Si teme una nuova ondata di esecuzioni nelle prossime settimane, dopo la fine del mese sacro del Ramadan. "Il continuo ricorso alla pena di morte da parte delle autorità saudite, si pone in contrasto con la crescente tendenza mondiale verso l’abolizione" - ha proseguito Smart. "Per di più, la pena di morte in Arabia Saudita è applicata in modo sproporzionato e discriminatorio nei confronti di persone povere, tanto lavoratori stranieri quanto cittadini sauditi che non hanno relazioni familiari o altre conoscenze che potrebbero salvarli dall’esecuzione".

Troppo spesso gli imputati, soprattutto lavoratori migranti provenienti da paesi in via di sviluppo dell’Africa e dell’Asia, non hanno un avvocato e non sono in grado di seguire i procedimenti giudiziari che si svolgono in lingua araba. Sia loro che i sauditi messi a morte non hanno denaro né rapporti con persone influenti che potrebbero intervenire in loro favore, come autorità di governo e capi tribù, circostanze entrambe decisive per ottenere la grazia.

"Le procedure al termine delle quali viene inflitta una condanna a morte sono assai dure, quasi completamente segrete e ampiamente inique. I giudici, tutti uomini, hanno un vasto potere discrezionale e possono emettere una sentenza capitale anche per reati non violenti definiti in modo del tutto generico nelle leggi. Alcuni lavoratori migranti sono rimasti all’oscuro della propria condanna a morte fino alla mattina stessa dell’esecuzione" -ha sottolineato Smart. Le esecuzioni avvengono generalmente in pubblico, mediante decapitazione. In caso di rapina con omicidio della vittima, il corpo del condannato viene crocifisso dopo l’esecuzione.

L’Arabia Saudita è uno dei pochi paesi del mondo a mantenere un alto tasso di esecuzione di donne e a mettere a morte, in violazione del diritto internazionale, persone minorenni al momento del reato.

"È davvero giunto il momento che l’Arabia Saudita affronti il problema della pena di morte e rispetti gli obblighi derivanti dal diritto internazionale. Come membro eletto del Consiglio Onu dei diritti umani, il governo deve fare marcia indietro e rendere conformi agli standard internazionali le proprie procedure legali e giudiziarie, vietare la pena di morte per i minorenni, garantire processi equi, prendere misure per porre fine alla discriminazione e ridimensionare i poteri discrezionali dei giudici nell’uso di questa pena crudele, inumana e degradante" -ha concluso Smart.

Venezuela: monta protesta carceri, detenuti in sciopero fame

 

Adnkronos, 14 ottobre 2008

 

Monta la protesta nelle carceri venezuelane contro i maltrattamenti e le precarie condizioni in cui detenuti sono costretti a vivere. In una decina di penitenziari la protesta viene attuata con lo sciopero della fame e il sequestro dei parenti in visita. Tutto è iniziato mercoledì scorso con una tentata ribellione nel carcere di Yare, vicino Caracas, controllata dalla Guardia nazionale che ha aperto il fuoco; la protesta si è poi estesa in altri penitenziari, per un totale di 6 mila detenuti in agitazione e di circa 3 mila parenti in visita tenuti "sotto sequestro".

Per cercare di trovare un’intesa e porre fine alle proteste il ministro dell’Interno e Giustizia venezuelano, Tarek El Aissami, ha nominato una commissione. Il ministro ha poi precisato su una tv locale di essere disposto ad accettare suggerimenti da rappresentanti della popolazione carceraria, ma di non poter tollerare il sequestro dei parenti come strumento di ricatto. Secondo i calcoli di organizzazioni non governative, nel primo semestre di quest’anno nelle rivolte in carcere in Venezuela sono morti 249 detenuti.

Turchia: detenuta torturata e uccisa 19 carcerieri sotto accusa

 

Ansa, 14 ottobre 2008

 

Diciannove dipendenti delle carceri di Istanbul sono stati accusati in Turchia di aver torturato e assassinato l’attivista della sinistra Engin Ceber la scorsa settimana. L’Agenzia di stampa Anadolu rende noto che i 19 persone, fra cui figurano i nomi di alcuni dirigenti del carcere di Metris e del medico, sono stati sospesi dal lavoro. Il Ministro della Giustizia Turco ha presentato le proprie scuse ai familiari e ha promesso loro che ci sarà una inchiesta rigorosa per scoprire la verità.

 

 

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