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Giustizia: "pene certe e più agenti", slogan di tutti i Partiti di Carlo Mercuri
Il Messaggero, 13 marzo 2008
Più simili che differenti. I programmi Pd e Pdl sulla sicurezza giocano su inulti slogan a effetto, complicati da garantire nella pratica. Entrambi chiedono "più risorse" economiche per il settore. Ma è certo che tagli e fondi da ridurre saranno la croce del prossimo ministro dell’Interno, qualunque sia il vincitore alle elezioni. Con le risorse sempre più scarse al Viminale hanno fatto i conti sia Beppe Pisanu, con Berlusconi a Palazzo Chigi, sia Giuliano Amato con Prodi. E non c’è motivo di ritenere che il quadro sia nel frattempo migliorato. Pd e Pdl, poi, invocano all’unisono "la certezza della pena": un titolo da riempire con molti contenuti.
Il Pdl: chiudere la porta ai clandestini
Il primo provvedimento da approvare nel primo Consiglio dei ministri di un governo di centrodestra (se il Popolo della Libertà vincerà le elezioni) sarà una misura finalizzata a "chiudere la porta agli immigrati clandestini". Lo ha promesso agli elettori Silvio Berlusconi e da qui si capisce quale importanza il leader del PdL attribuisca al tema della sicurezza. "La sinistra allo champagne", come Berlusconi ha definito pochi giorni fa la coalizione che ha dato vita al governo uscente, è infatti colpevole, secondo il PdL, di aver portato avanti una politica "di dissennata apertura ai clandestini, contribuendo alla attuale ondata di criminalità". Come si in verte allora la tendenza? Chiudendo la porta ai clandestini, come ha detto Berlusconi, e ripristinando certe garanzie di sicurezza "dal basso". Si spiega così uno dei punti qualificanti del programma del Pdl, e cioè l’annunciato aumento del numero dei poliziotti e dei carabinieri di quartiere in tutte le città italiane oltre i 15.000 abitanti. Ciò su cui il PdL intende fare leva è evidentemente sulla percezione minima di sicurezza da parte dei cittadini. Ogni progetto politico "rassicurante" deve partire da qui. Berlusconi e Fini si propongono quindi di assestare un colpo formidabile alla cosiddetta "microcriminalità", una parola il cui stesso suono fa venire i brividi ai due leader del PdL. "È un nome inventato dalla Sinistra", ha detto Berlusconi qualche giorno fa. E ha aggiunto: "La microcriminalità non è poi così "micro", perché colpisce i cittadini più esposti come gli anziani". Certo, un aumento massiccio di poliziotti e carabinieri di quartiere significherà aprire i cordoni della borsa e fare nuove assunzioni, giacché sarebbe impensabile attingere ai già asfittici organici delle Forze di Polizia. Ci si riuscirà?
Il Pd: più uomini nelle strade, soprattutto al Nord
"Non voglio più vedere poliziotti che mettono i timbri sui passaporti. I poliziotti devono stare per strada". Lo ha detto Veltroni, presentando il programma sulla sicurezza del Partito Democratico. Due parole che dicono più di un trattato. Significano maggiore mobilitazione di forze, più impegno, più presenza delle forze dell’ordine tra i cittadini. Veltroni però non parla, come fa Berlusconi, di aumentare il numero dei poliziotti di quartiere. No, egli piuttosto si rivolge alle tecnologie, che auspica divengano un po’ i nostri "angeli custodi". Là dove i poliziotti non arrivano, arriveranno le "macchine": sembra essere questo lo slogan di Veltroni. Siccome di fronte a queste affermazioni il cittadino comune sgrana gli occhi, ecco pronta la spiegazione fornita dallo stesso Veltroni: "C’è uno strumento, tipo un portachiavi - ha detto il leader del Pd -. Questo strumento garantisce ai cittadini più attaccati come benzinai e tabaccai, di segnalare l’emergenza alle forze dell’ordine attraverso una rete di copertura". È ciò che si chiama "telesorveglianza". Il programma del Pd prevede una riconferma dei "Patti per la sicurezza", che sono "espressione della solidarietà interistituzionale nell’affrontare meglio il problema della sicurezza", come ha detto il ministro dell’Interno, Giuliano Amato. I "patti" dovranno essere approvati, secondo il Pd, in ogni capoluogo di provincia. Il programma del Pd prevede anche un utilizzo più razionale delle forze dell’ordine sul territorio, preconizzando uno spostamento di uomini e mezzi verso il Nord, ritenuto evidentemente più "sensibile", in questo contesto. E non ha trascurato, naturalmente, la necessità di aumentare le risorse per le forze dell’ordine.
Udc: Microcriminalità e droga le emergenze da combattere
L’Udc, in tema di sicurezza, inette al centro del proprio programma la lotta alla microcriminalità, al traffico di stupefacenti, allo sfruttamento della prostituzione e alla riduzione in schiavitù. E parla di ripristinare gli stanziamenti di bilancio precedenti alle ultime due Finanziarie del governo Prodi a favore delle forze dell’ordine. Per quanto riguarda l’immigrazione extracomunitaria, l’Udc la vuole controllata e condizionata alla disponibilità di lavoro e prevede una celere espulsione degli stranieri autori di reati. Il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, dice che, nel centrodestra, "i distinguo sulla sicurezza non sono ammessi". Eppure, proprio l’annuncio di Berlusconi di aumentare i poliziotti e i carabinieri di quartiere fa storcere la bocca a Oronzo Cosi, già leader del Siulp e ora candidato nelle prossime elezioni. Afferma Cosi: "So per esperienza diretta che molte Volanti non escono perché mancano i soldi per la benzina. Una ditta di Trieste ha un credito di 300.000 euro di carburante non pagato. E sono le Volanti che fanno i controlli sul territorio, non i poliziotti di quartiere!".
Sinistra Arcobaleno: sicurezza… ma sui luoghi di lavoro
Se si va a leggere il programma elettorale della Sinistra arcobaleno ci si imbatte nella parola "sicurezza" solo a proposito della "sicurezza sul lavoro" e non altrimenti. Ma non è che concetti come ordine pubblico e microcriminalità non vengano contemplati dalla Sinistra. È solo che essi sono "capovolti" rispetto alla logica corrente, secondo quanto afferma Elettra Deiana, vice-presidente uscente della commissione Difesa della Camera e candidata in Sardegna nelle prossime elezioni. Spiega Deiana: "Dopo l’omicidio della Reggiani abbiamo assistito alla criminalizzazione di un’intera porzione della società romena; si è parlato poi tanto della violenza sulle donne e ci si è dimenticati che l’80 per cento degli abusi avviene tra le pareti domestiche. Noi proponiamo invece il capovolgimento delle logiche securitarie per cui si mette tutto nello stesso sacco, chi delinque con chi forse potrà essere spinto a delinquere perché è un diverso. E sull’immigrazione ci impegneremo ad abolire la Bossi-Fini. L’immigrazione è un fenomeno che va affrontato con l’accoglienza sociale e con la solidarietà". Giustizia: l'Onu richiama l'Italia al rispetto dei diritti umani
Ansa, 13 marzo 2008
Al termine della LXXII sessione del Cerd, il Comitato Onu per l’eliminazione della discriminazione razziale pubblica le 30 raccomandazioni al nostro Paese sottoposto a procedura speciale di follow-up per le gravi inadempienze. Trenta raccomandazioni che richiamano l’Italia su questioni urgenti e non più rimandabili. Sono contenute nel documento che il Cerd, il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale, ha pubblicato al termine dell’esame del rapporto del Governo italiano sull’attuazione da parte del nostro Paese degli obblighi internazionali sanciti dalla Convenzione ratificata dall’Italia nel 1976. Un monito inappellabile per l’Italia che risulta ancora inadempiente sul fronte dell’istituzione di una Commissione Nazionale Indipendente per la tutela dei diritti umani, come richiesto dalla risoluzione Onu 48/134 del 1993 e del Consiglio d’Europa del 1997. Nel documento il Cerd richiama l’Italia al rispetto dell’impegno solenne di istituire la Commissione Indipendente assunto dal Ministro degli Esteri Massimo D’Alema in sede di candidatura a membro del Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite e nota l’approvazione del disegno di legge alla Camera dei Deputati il 4 aprile 2007 per la costituzione di una Commissione Nazionale per i diritti umani in linea con gli standard internazionali e i principi di Parigi, grazie all’instancabile azione della società civile in questa direzione. Il Cerd raccomanda che l’Italia intraprenda, con l’ausilio irrinunciabile della società civile, tutte le misure necessarie per arrivare in tempi rapidi a costituire la Commissione stessa superando l’anomalia che vede il nostro Paese paladino contro la pena di morte e contemporaneamente l’unica nazione dell’Europa occidentale senza una Istituzione Nazionale per i diritti umani. "L’inottemperanza dell’Italia è talmente grave che il Cerd ha ritenuto di inserire la questione nella procedura speciale di follow up: entro un anno da oggi il Governo sarà nuovamente chiamato a rendere contro dei progressi compiuti." - ha dichiarato Carola Carazzone, responsabile dell’Ufficio diritti umani del Vis, portavoce del Comitato per la promozione e protezione diritti umani, cui aderiscono 74 associazioni e Ong italiane. Il documento sottolinea la situazione di discriminazione dei migranti e delle comunità Sinti e Rom presenti sul territorio italiano, mettendo in particolare evidenza gli atti di violenza avvenuti a Roma. Il Cerd raccomanda, infine, che l’Italia incoraggi i media a combattere i pregiudizi e gli stereotipi razzisti parzialmente alimentati dai mezzi di informazione stessi. Giustizia: sistema dissestato, ma ai magistrati va bene così di Federico Tedeschini (Avvocato)
www.papanews.it, 13 marzo 2008
È di pochi giorni addietro la notizia, finora non smentita, secondo cui un magistrato contabile pubblicherebbe (rectius, depositerebbe in cancelleria) le proprie sentenze con otto anni di ritardo rispetto alla data di loro trattazione in camera di consiglio: basterebbe questa sola notizia a porci all’ultimo posto nel mondo di un ipotetico indice di qualità del servizio giustizia. Ma un simile fatto, lungi dall’essere un caso isolato, è semplicemente la punta di un iceberg dominato da singolarissimi paradossi, almeno rispetto agli altri Paesi Europei; vediamone alcuni. 1) Nei nostri albi professionali è iscritto - in assoluto - il maggior numero di avvocati del libero foro; solo a Roma ne lavorano oltre ventimila, più che in tutta la Francia e l’Inghilterra messe insieme. Altrettanto può dirsi per gli avvocati dello Stato, se si sommano quelli in servizio presso l’Avvocatura generale con i loro colleghi delle distrettuali. 2) La "carcerazione preventiva" è la regola e non l’eccezione; ciò vuol dire che da noi si va regolarmente in galera prima del processo e se ne esce per assistervi o per ascoltare la (eventuale) condanna ad una pena già scontata. 3) Molta parte delle detenzioni viene comminata sulla base degli esiti di intercettazioni telefoniche che assorbono quote sempre più significative della spesa pubblica destinata alla giustizia. 4) I magistrati, inquirenti o giudicanti che siano, non rispondono dei loro errori in base ad una erronea lettura delle disposizioni costituzionali che li riguardano, ove mai si parla di irresponsabilità, ma solo di autonomia del giudice: sarebbe come dire che all’autonomia dei comuni e degli altri enti locali corrisponde l’irresponsabilità dei loro amministratori. 5) La prima conseguenza della menzionata irresponsabilità è data dalla scarsa incisività dei poteri attribuiti ai dirigenti degli uffici giudiziari sia nei confronti dei magistrati meno solerti che per contenere gli eccessi di zelo che distinguono le iniziative di alcuni sostituti procuratori correntemente indicati come "gli sceriffi dalle facili manette". 6) Il risarcimento del danno derivante dalla lesione di diritti ed interessi operati dall’attività giudiziaria è sempre pronunciato da corti sovranazionali e mai da quelle nazionali, a riprova della scarsa attenzione del potere giurisdizionale per le conseguenze degli errori in cui i suoi rappresentanti incorrono. Di fronte alle questioni appena elencate ci si sarebbe aspettato che almeno l’uso del potere governativo di decretazione d’urgenza fosse finalizzato alla correzione di qualcuna delle storture prima elencate. Al contrario, il recente Decreto Legge recante "misure urgenti in materia di reggenza degli uffici giudiziari" (D.L. 25 gennaio 2008 n. 3) si è ben guardato dall’incidere sui fenomeni in esame, ma è stato solo il frutto di spinte corporative volte a sterilizzare una delle pochissime vere riforme dell’ordinamento giudiziario: quella del divieto di permanenza negli uffici giudiziari per periodi superiori agli otto anni. Tale Decreto Legge, che si compone di un unico articolo, è infatti volto a disciplinare l’istituto della reggenza negli incarichi direttivi e semidirettivi degli uffici giudiziari, concedendo una proroga di sei mesi ai magistrati già in servizio presso gli stessi uffici: proroga che sterilizza la decadenza altrimenti stabilita nell’art. 5, comma 3, della L. n. 111 del 2007. Qualcuno potrebbe osservare, a difesa del provvedimento d’urgenza, che la proroga è limitata ai soli magistrati di quegli uffici ove non siano stati nominati i nuovi titolari degli uffici giudiziari vacanti; ma è proprio su questo aspetto della questione che la malafede del governo si appalesa: perché nessuna nomina del genere ha - fino ad oggi - completato l’iter che la riguarda. C’è dunque da credere che la sterilizzazione delle disposizioni relative al trasferimento dei magistrati allo scadere di un tempo predeterminato sia soltanto il primo passo verso il mantenimento di un privilegio - quello della permanenza a vita nell’ufficio a suo tempo ottenuto - che la corporazione dei giudici tenterà di imporre al Parlamento che verrà. Si può solo sperare che i nuovi rappresentanti del popolo sovrano abbiano memoria di quanto accaduto prima al Ministro Castelli e poi al suo successore a proposito della opportunità di fare accordi con l’Associazione Nazionale Magistrati, cioè con i rappresentanti di coloro che sperano di lasciare immutate le questioni della giustizia per poi ululare contro gli altri poteri dello Stato, accusandoli di immobilismo. Giustizia: il Pm; sì a misure alternative dopo il primo grado di Paolo Auriemma (Pubblico Ministero a Roma)
www.radiocarcere.com, 13 marzo 2008
La necessità di un riassetto del sistema sanzionatorio è ormai primaria. L’idea della pena detentiva come sanzione penale rigidamente e definitivamente determinata con la conclusione della fase processuale deve considerarsi tramontata a fronte dell’esigenza di un sistema che pretende la certezza di una pena in tempi rapidi che sia anche riparatrice del danno. Le pene pecuniarie sono di fatto depotenziate soprattutto per il mancato adeguamento monetario. Le modalità di esecuzione delle pene detentive si sono radicalmente modificate: circa la metà delle pene detentive sono espiate attraverso il sistema delle misure alternative e così la percentuale di esecuzioni alternative nei confronti di condannati liberi, cioè di pene interamente espiate, con modalità alternative, senza l’ingresso del condannato in carcere. L’adeguamento normativo è, tuttavia, orientato ad un riassetto del sistema sanzionatorio, con l’introduzione di un sistema articolato di pene principali a cui giungere in tempi brevi. In tale ottica occorre pensare ad un diverso modello di esecuzione delle pene, certe e che, in quanto scontate per certo, creino un circolo virtuoso di deflazione. La normativa processuale penale minorile prevede la possibilità, nel corso del processo, che il giudice possa sospendere il giudizio ammettendo l’imputato alla prova imponendogli di svolgere determinate attività, con conseguente estinzione del reato. Il sistema è mutuato dall’esperienza anglosassone dove l’istituto della "probation" costituisce esperienza positiva, che ben permette un serio reinserimento del soggetto nella collettività evitando l’esperienza a volte controproducente dell’ingresso nel sistema penitenziario. Il sistema delle misure alternative viene in questo modo anticipato nella fase della cognizione, evitando le defatiganti attese delle decisioni del Tribunale di Sorveglianza in sede di esecuzione, che spesso vede, davanti a sé, un soggetto completamente diverso da quello che commise il reato. Recependo le linee direttive dettate per creare nuovi istituti anche per i maggiorenni, si creerebbe un sistema deflattivo che assicurerebbe quantomeno la certezza di una sanzione e porrebbe le base per una giustizia riparativa, che avvantaggerebbe la vittima che così verrebbe ristorata del danno in tempi brevi. L’idea delle pene sostitutive alla detenzione ha avuto successiva sperimentazione con la legislazione che introdusse il giudice di pace, con le modifiche alla legge sugli stupefacenti, e sulla sospensione condizionale della pena. Infatti è prevista la possibilità di subordinare il beneficio al risarcimento in favore della persona offesa o alla eliminazione delle conseguenze dannose del reato. Il beneficio può essere subordinato, con il consenso del condannato, alla prestazione di attività non retribuita in favore della collettività; è stata irrigidita la previsione che impone la sottoposizione agli obblighi in caso di reiterazione del benefici. La fine della legislatura non ha permesso l’esame delle proposte inserite nel disegno di legge per l’accelerazione del processo penale ove è prevista la "sospensione con messa alla prova", modellata sullo schema dell’ istituto sperimentato nel processo minorile. La proposta prevedeva si presentasse un programma con l’impegno ad attenuare o elidere le conseguenze del reato; questo, se congruo, avrebbe portato alla sospensione del processo e possibile estinzione del reato, con chiari riflessi deflattivi. Tutto il sistema, ovviamente, poggerebbe sulla capacità dell’ordinamento di un serio controllo della prova: il sistema ideato per il Giudice di pace ha infatti parzialmente fallito il proprio obbiettivo perché la mancanza di strutture atte ad accogliere le richieste del giudice per lavoro alternativo e la necessità proprio di un controllo sul lungo periodo di questi sulla esecuzione della pena sostitutiva è stato di argine al pieno sviluppo del sistema. Giustizia: CNVG; un comunicato sulle violenze di Bolzaneto
Comunicato Stampa, 13 marzo 2008
La Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, che raccoglie le associazioni di volontariato che operano nelle carceri, si augura che sia fatta al più presto piena luce sulle responsabilità degli agenti e graduati delle varie forze di polizia imputati di comportamento inumano e degradante verso i manifestanti fermati nei fatti di Genova. Sia i mandanti che gli esecutori delle violenze - tra questi alcuni appartenenti al Corpo della Polizia Penitenziaria - devono essere giudicati con imparzialità e senza sconti, perché tortura e violenza nulla hanno a che vedere con civiltà e giustizia. Ricorrenti episodi di violenza da parte di agenti della Polizia Penitenziaria, come i fatti di Sassari del 2003 o le oscure imprese delle squadrette punitive ancora oggi operanti in alcuni istituti, sono indegni di un Corpo che legittimamente ambisce a svariati compiti extra moenia e addirittura di affiancamento degli assistenti sociali nell’ambito degli uffici per l’esecuzione penale esterna (ipotesi peraltro fortemente avversata da tutto il mondo del volontariato impegnato in ambito giustizia). Piuttosto che prendere posizioni insostenibili in difesa degli imputati, le Organizzazioni sindacali della Polizia Penitenziaria, dovrebbero dimostrare all’opinione pubblica la capacità del sistema di isolare le "mele marce", per la tutela di tutti gli altri operatori della giustizia che, con professionalità, garantiscono la sicurezza dei cittadini e collaborano al recupero dei detenuti. I volontari che operano quotidianamente a fianco degli agenti, sanno che il corpo della Polizia Penitenziaria è sano e crede nella capacità di ogni uomo di reinserirsi nella società, una volta scontata la pena. Fin dall’insediamento del Dott. Ettore Ferrara a capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, la Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia ha chiesto di essere cooptata durante i corsi di formazione degli agenti perché si crei da subito con i volontari penitenziari un clima di comprensione e collaborazione fattiva.
Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia Giustizia: fra Beppe; ma la società ha troppa paura del male
Gente Veneta, 13 marzo 2008
Nessun uomo è irrecuperabile: basta trovare la medicina giusta e metterci impegno, e anche le malattie più gravi sono guaribili. E la medicina migliore, per un uomo condotto dal male in carcere, è l’ascolto. È la ricetta che da quasi mezzo secolo segna l’opera di fra Beppe Prioli, un francescano veronese 65enne che ha scelto il carcere come luogo in cui realizzare la propria vocazione di frate e di uomo. Fra Beppe, che ha girato le carceri di tutt’Italia, e che ha dedicato la propria vita all’ascolto soprattutto di chi si è macchiato dei reati più gravi - gli omicidi - e sta scontando le pene più pesanti - l’ergastolo - era a Venezia, nei giorni scorsi, a vivere dal di dentro la missione a Santa Maria Maggiore.
Che impressione ne ha tratto? Ho trovato grande accoglienza e grande disponibilità, soprattutto grande confidenza da parte dei detenuti, che ci hanno aperto il cuore. In questa settimana si è costruito un patrimonio di umanità che va coltivato.
E rispetto alle tante altre missioni nelle carceri che lei ha vissuto? A Venezia c’è un numero giusto (240 circa) di detenuti, che ha permesso di dialogare, fin quasi al colloquio individuale, con tutti. E poi qui la missione era preparata bene, era attesa. E quando una cosa è attesa...
Lei parla dell’ascolto come della cosa più importante... Guardi, io sono entrato per la prima volta in carcere a 23 anni, a Porto Azzurro, dove c’erano molti assassini in regime di "fine pena mai", e sono stati loro a spiegarmi che cos’era basilare: saper ascoltare, accogliere e confrontarsi. È un’eredità che mi porto dietro da allora.
Ma se l’esigenza dei detenuti è di essere ascoltati, può bastare una persona capace di ascolto, uno psicologo, un educatore: non c’è bisogno dell’uomo di Dio... No, secondo me l’uomo religioso e la Parola di Dio c’entrano, perché col dialogo si entra nella coscienza di ciò che uno ha fatto. Il mio è un ascolto diverso da quello di un avvocato, un giudice o uno psicologo: io ascolto l’uomo che è in carcere per dargli una serenità interiore, e questo viene dall’avere a che fare con la Parola di Dio.
Che entra direttamente nel dialogo? No, il dialogo funziona anche senza nominare Dio. Io guardo alla persona e cerco di aiutarla a vivere il carcere come riparazione: non parlo mai di espiazione, mai di riscatto.
Come va, oggi, il rapporto fra società civile e carcere? Non troppo bene: ci soffermiamo troppo sul male, ne abbiamo paura e l’invocazione generale di sicurezza finisce per restringere gli spazi per l’ascolto e l’accoglienza.
E il rapporto fra Chiesa e carcere? Anche qui vedo una certa stasi, una timidezza. Siamo fermi: non vedo una Chiesa premurosa e disponibile all’accoglienza e al rischio. Come cristiani, invece, bisogna rischiare. Giustizia: patente revocata; ex detenuto fa ricorso e vince
Comunicato stampa, 13 marzo 2008
Decisione senza precedenti del Giudice di Pace di Bianco, Avv. Giuseppe Surace, che ha consentito ad un ex detenuto di San Luca, Antonio Mammoliti, in stato di libertà vigilata di riavere la patente di guida. L’uomo, sottoposto alla misura della libertà vigilata, si era visto, in forza del decreto n. 40816/W/07 emesso dal Prefetto di Reggio Calabria in data 23 luglio 2007, revocare la patente di guida. Mammoliti, assistito dall’Avv. Francesco Giampaolo del Foro di Locri, avverso tale provvedimento, e sulla scorta della sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 2446/06, faceva opposizione davanti al Giudice di Pace di Bianco (RC) chiedendone l’annullamento per la dedotta lesività del suo diritto al lavoro (R.G. 635/07). Il Giudice di Pace di Bianco con decreto di fissazione udienza di comparizione sospendeva l’esecutività del provvedimento impugnato e, all’esito del giudizio, accoglieva l’opposizione proposta da Mammoliti annullando in toto il decreto n. 40816/W/07 e condannando la resistente Prefettura di Reggio Calabria al pagamento delle spese di giudizio.
Studio Legale Giampaolo Vico Crotone 25 - 89034 Bovalino (RC) Tel. 096466593 Fax 0964679794
Ufficio del Giudice di Pace di Bianco Tel. 0964911210 Giustizia: anche Polizia Penitenziaria sarà di presidio a seggi
Apcom, 13 marzo 2008
Anche la Polizia Penitenziaria parteciperà, di concerto con le altre forze dell’ordine, "alle attività e ai servizi di presidio dei seggi elettorali in occasione delle prossime consultazioni del 13 e 14 aprile, visto che i poliziotti penitenziari sono anche ufficiali di pubblica sicurezza". È la proposta lanciata oggi da Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, e indirizzata al ministro della Giustizia Luigi Scotti, all’indomani delle polemiche seguite ieri alla richiesta avanzata dal pm di Genova nei confronti di agenti di polizia penitenziaria per i fatti di Bolzaneto. Per Beneduci sarebbe "innegabile l’apporto che potrà dare la polizia penitenziaria in collaborazione con le altre Forze di Polizia, stante la conoscenza pressoché unica delle varie emergenze criminali sul territorio e degli individui che le compongono, in particolare nelle aree metropolitane a maggiore rischio". Una iniziativa che consentirebbe "di far conoscere maggiormente alla collettività la polizia penitenziaria e di dare lustro alle virtù di un corpo, composto da 42.000 uomini e donne altamente professionalizzati, troppo spesso messo alla berlina dai clamori delle cronache". La richiesta al ministro della Giustizia, degli Interni e al capo del dipartimento amministrazione penitenziaria è stata inoltrata il 10 marzo scorso.
400 agenti impegnati
"È con estrema soddisfazione che constatiamo che le nostre costanti sollecitazioni all’Amministrazione penitenziaria per una maggiore presenza del Corpo di Polizia Penitenziaria all’esterno del carcere al servizio delle Istituzioni e dei cittadini, nella naturale logica di un Corpo di Polizia dello Stato al servizio della gente, hanno convinto il Dipartimento centrale ad aderire alla richiesta del Ministero del’Interno di mettere a disposizione, in concorso alle altre Forze dell’Ordine, anche la Polizia Penitenziaria nei servizi di vigilanza alle sezioni elettorali. Saranno infatti circa 400 i Baschi Azzurri del Corpo che alle prossime elezioni del 13 e 14 aprile garantiranno ordine e sicurezza nei seggi elettorali. E questo è motivo di orgoglio e soddisfazione per tutto la Polizia Penitenziaria." È il commento di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione della Categoria, alla nota odierna pervenuta dalla Direzione Generale del personale dell’Amministrazione penitenziaria. "Sono dunque state accolte le nostre richieste in tal senso, anche se saranno coinvolte le regioni del Centro-Sud Italia e non quelle del Nord, caratterizzate da gravi carenze di Personale. I Provveditorati coinvolti saranno: Marche (12 unità), Puglia (48), Sardegna (22), Calabria (31), Campania (84), Sicilia (82), Umbria (15), Abruzzo e Molise (30), Basilicata (8) e Lazio (68 unità). Ma il nostro auspicio è che impieghi operativi di Personale di questo tipo coprano l’intero territorio nazionale." Emilia: con il "Progetto Indulto" 67 tirocini e 7 assunzioni
Adnkronos, 13 marzo 2008
Un’iniziativa promossa dai ministeri del Lavoro e Previdenza sociale e della Giustizia, con l’assistenza tecnica dell’agenzia governativa Italia Lavoro. Sono 67 i tirocini attivati in Emilia Romagna nell’ambito del "Progetto Indulto", un’iniziativa promossa dai ministeri del Lavoro e Previdenza sociale e della Giustizia, con l’assistenza tecnica dell’agenzia governativa Italia Lavoro, che ha già portato all’assunzione di 7 persone. I dati (riferiti al 6 marzo 2008) comprendono i 34 tirocini avviati nella provincia di Bologna, gli 11 di Ferrara, i 5 di Ravenna e i 17 di Rimini. Al progetto hanno aderito, sempre al 6 marzo 2008, 70 imprese della regione, con le quali sono state stipulate 59 convenzioni. In tutto sono previsti 91 tirocini di inserimento lavorativo per altrettanti ex detenuti. Dei 67 tirocini già avviati, 11 si sono già conclusi e, fra questi, 5 sono terminati con un’assunzione e 2 assunzioni sono avvenute prima del termine del tirocinio. Un risultato importante che conferma, anche nel territorio emiliano, la validità del progetto. Il punto di forza dell’azione territoriale in Emilia Romagna è sicuramente quello di aver costruito un sistema, una rete che ottimizza i singoli interventi, evitando duplicazioni o inutili perdite di tempo. Fondamentale l’intreccio tra l’azione di Italia Lavoro e lo "Sportello Carcere" del centro per l’impiego, che intercetta i bisogni formativi della persona beneficiaria dell’indulto. Una volta inserita la persona nella platea di riferimento del progetto, scattano le sinergie. Infatti, presso la provincia, si tiene un tavolo cui partecipano tutti gli attori interessati: i rappresentanti del carcere, della provincia, i responsabili del centro per l’impiego, quelli di Italia Lavoro, dell’Ufficio esecuzioni penali esterne, dei Servizi sociali del comune e la Casa Circondariale di Bologna. In questa sede, vengono stabilite le priorità di intervento e si cerca l’azienda giusta per il profilo individuato. Entrano in campo i tutor, che coltivano con assiduità i rapporti sia con il tirocinante sia con l’azienda. La platea dei 67 tirocinanti dell’Emilia Romagna risulta così composta: 52 persone erano, al momento dell’avvio del percorso, in regime di libertà, 4 erano affidati (agli arresti domiciliari) e 11 erano in regime di semilibertà (di questi, 3 erano disabili). A livello territoriale, a guidare la classifica stilata per numero di tirocini attivati è naturalmente il capoluogo di regione, Bologna, con 34 tirocini attivati, di cui 28 della durata di 4 mesi e 6 della durata di 6 mesi. I tirocini interrotti sono stati 8, quelli conclusi alla scadenza naturale 9. Tra questi, si sono registrate ben 5 assunzioni. Le imprese del bolognese che hanno aderito al progetto sono 37, mentre 30 sono le convenzioni attivate per un totale di 53 tirocini. Le aziende che ospitano i tirocinanti operano in vari settori merceologici, ma prevalgono l’edilizia (sono 6 le aziende di costruzioni che hanno aderito al progetto) e le pulizie (5). Ben rappresentate anche le imprese di trasporti (3), i bar e i ristoranti (3), le ditte di manutenzione termo-idraulica (3), le lavanderie (3) e i servizi alla persona (3). A Rimini i tirocini attivati sono 17, nessuno dei quali si è ancora concluso, mentre 3 si sono interrotti (una delle persone interessate è stata assunta dall’azienda in cui ha svolto il tirocinio). Tredici le imprese della zona che hanno aderito al progetto, dando vita ad altrettante convenzioni sulla cui base si svolgeranno un totale di 19 tirocini. La maggior parte delle imprese (5) opera nel settore delle pulizie, seguito dalle aziende che si occupano di produzione biologica. A Ferrara i tirocini attivati sono 11 (1 assunzione), grazie a 11 convenzioni avviate con 11 imprese. Anche in questa provincia, le aziende ospitanti sono soprattutto quelle edili e quelle addette alle pulizie, ma non mancano le imprese che forniscono servizi alla persona. Infine, a Ravenna sono 5 i tirocini attivati, uno solo dei quali si è concluso. Una persona è stata già assunta. Le imprese che partecipano al progetto sono 7, 2 delle quali nel settore pulizie. Toscana: una bomba-sovraffollamento pronta a scoppiare
Ansa, 13 marzo 2008
È una bomba che rischia di scoppiare da un momento all’altro il tema degli istituti di pena in Toscana, dove nelle principali città (Firenze, Prato, Livorno e Pisa) il sovraffollamento è una regola. Lo denuncia il garante per i diritti dei detenuti del comune di Firenze Franco Corleone. Sovraffollato anche uno dei sei ospedali giudiziari italiani, quello di Montelupo Fiorentino (Firenze), che funziona a metà regime per inagibilità di una parte dell’istituto e che ospita, ad oggi, circa 190 detenuti. A fronte di questa situazione (case circondariali dove si trovano 863 detenuti a fronte di una tollerabilità di meno della metà), ci sono case mandamentali dove si trovano pochissimi detenuti come Empoli (che potrebbe ospitare 24 unità e ne detiene 6) e Massa Marittima (Grosseto), con una capienza di 28 e una presenza di 15. C’ è anche un istituto fantasma, quello di Pontremoli (Massa Carrara) dove non ci sono detenuti ma solo personale della polizia penitenziaria. Una situazione border line nel carcere di San Gimignano è stata denunciata da Franco Corleone, garante fiorentino per i diritti dei detenuti. Alcuni ospiti del carcere infatti gli hanno scritto denunciando violenze e una situazione "intollerabile" come la mancanza di acqua corrente dai rubinetti. "Fino a quando la regione Toscana non ratificherà la legge che prevede l’istituzione del garante regionale - ha detto Corleone - sarà impossibile intervenire in casi come quello di San Gimignano che è davvero border line". Corleone ha poi raccontato il caso di un detenuto in graduatoria per una casa popolare dal Comune di Firenze. "Per correttezza - ha detto Corleone - il detenuto ha mandato una lettera al Comune chiedendo di esser tolto dalla graduatoria proprio perché detenuto, ma di poter mantenere il punteggio. Il Comune ha preso per buona la prima parte ma non la seconda: così il detenuto è uscito e ora è costretto a dormire su un camion" Milano: a San Vittore arrivano 35-45 nuovi detenuti al giorno
Corriere della Sera. 13 marzo 2008
Ogni giorno arrivano 35-45 persone. Il 75 per cento è straniero Allarme San Vittore: torna il sovraffollamento Il direttore Gloria Manzelli: "È già finito l’effetto indulto". Carceri sovraffollate. "Peggio, celle più che piene". A San Vittore è di nuovo emergenza. E Gloria Manzelli, direttore dell’ istituto, denuncia: "Ormai abbiamo superato il numero di detenuti registrati prima dell’indulto". Ma non solo, perché l’allarme potrebbe scattare in tutta la Lombardia. "A questo ritmo, entro la fine dell’anno, avremo gli stessi detenuti del 2006", aggiunge Luigi Pagano provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria. La casa circondariale di Milano ospita "1.325 persone, per 900 posti. I reparti sono colmi, lo stesso l’infermeria. E noi abbiamo l’obbligo di accettare tutti coloro che vengono arrestati". Ma la vera emergenza, spiega Gloria Manzelli, "è dovuta anche alla chiusura di tre reparti". Nell’istituto sono previsti "importanti interventi di ristrutturazione. I lavori non sono ancora iniziati, intanto però siamo bloccati". I problemi sono tanti, "dall’igiene personale ai bisogni primari. Se in una cella dove, in teoria dovrebbero stare quattro persone, ce ne sono otto, si crea una certa promiscuità ". Ogni giorno "arrivano 35-45 persone". E circa il "90 per cento è in attesa di giudizio. Il 75 per cento è straniero. Al momento della condanna chiediamo un trasferimento. Non sempre è possibile, così come non sempre si riesce a rendere meno pesante la detenzione ". Oltre a San Vittore ci sono altre situazioni a rischio. Con un ritmo di "mille ingressi al giorno ", il sovraffollamento nei 18 istituti penitenziari lombardi è previsto a dicembre, anche perché si contano "7.500 detenuti contro gli oltre 8 mila del 2006. Era ovvio che la situazione si sarebbe ripresentata - dice Pagano -. L’indulto non poteva essere la risposta definitiva. Se continuiamo di questo passo, saremmo obbligati a un altro provvedimento per svuotare le carceri". Le soluzioni non sono a portata di mano, ma una svolta potrebbe "arrivare dalla modifica del codice penale. La cui ristrutturazione potrebbe vedere misure di detenzione alternativa". Costruire nuove strutture non è il modo più semplice per risolvere il problema. "I tempi si allungherebbero troppo. Così i costi". Per un recluso "si spendono 150-200 euro al giorno. In più c’è la manutenzione". Per Vinicio Nardi, presidente della Camera Penale di Milano, è importante anche "velocizzare la procedura. Non è accettabile che molti detenuti scontino la pena prima ancora di essere arrivati in appello. Perciò non possono usufruire dei privilegi previsti dalla legge sull’ordinamento penitenziario, la Gozzini". Ma non solo "le carceri non possono più essere usate per nascondere un problema legato alla società". Già perché negli ultimi vent’anni "si è visto un ingresso consistente di extracomunitari", evidenzia l’avvocato penalista Guido Camera. Un aspetto non secondario con risvolti, appunto, sociali. Intanto gli istituti penitenziari tornano a essere di nuovo pieni. Lecce: l’inferno in cella, un detenuto ogni 2 metri quadrati
www.radiocarcere.com, 13 marzo 2008
Lettera a Riccardo Arena, direttore di Radio Carcere. "Caro Arena, dopo aver passato oltre 14 anni nelle patrie galere, voglio parlarti del carcere "Inferno" di Lecce. Costruito nel 1998, ha una capienza di 1.300 posti circa. Oggi, ed anche dopo l’indulto, i detenuti sono costretti a stare in tre, dentro celle fatte per un solo detenuto. Per chi sta nel carcere di Lecce c’è il niente del niente intorno a loro. Nelle celle, nelle sezioni del carcere c’è il caos. Detenuti di media sorveglianza messi nel reparto Alta Sicurezza. Detenuti in odore di mafia messi nei bracci comuni. "Per ragioni di spazio" dicono. Per i detenuti non c’è alcun genere di attività, se non lo stare in cella. Niente lavoro, niente corsi di formazione o scuole. Un’ora e mezza di aria al mattino e un’ora e mezza al pomeriggio e poi chiusi in 2 metri quadri per il resto della giornata. Questa è la rieducazione nel carcere di Lecce. Devi solo augurarti di godere di buona salute, altrimenti sono dolori. Se ti ammali, nessuna medicina per te. Tantomeno cure mediche. Come se non bastasse c’è un clima di severità nel carcere di Lecce. Dove spesso si usa il metodo del carcere della "Pianosa", noto negli anno ‘80. Tre mesi fa, prima di andare ai domiciliari, sono stato trasferito nel carcere "Sollicciano" di Firenze per un processo. Beh, mi sembrava di essere in libertà a confronto con quello che subivamo a Lecce! Adesso che mi trovo per motivi di salute a casa, mi sto piano piano riprendendo, ma non auguro al mio peggior nemico di andare nell’inferno del carcere di Lecce. Ti volevo ringraziare per tutta la compagnia che in questi anni mi hai fatto e sappi che tuttora continuo ad ascoltarti e a leggerti sul Riformista. Con stima".
L. via e mail Cagliari: organizzata una conferenza per diritti dei detenuti
Comunicato stampa, 13 marzo 2008
La questione dell’esecuzione penale deve essere prima di tutto una questione culturale. Leggendo i dati del Dap degli ultimi venti anni, difficilmente possiamo considerare il carcere come la soluzione alle criminalità. Chiunque legga questi dati, dai numeri alla composizione sociale, rimarrà sorpreso nel notare che è più facile individuare dentro le percentuali, migranti, prostitute, tossicodipendenti e meridionali. Uomini e donne che per la loro condizione, perdono qualsiasi contatto con la società, o peggio, con la parte più produttiva della società. Per questi motivi, Come Associazione 5 Novembre, Arci e Antigone, insieme ad altri movimenti stiamo organizzando una conferenza per i diritti dei detenuti. Mai come ora, dopo l’indulto il carcere è stato così isolato, ed ha ragione il direttore di "Diritti Globali" Sergio Segio, quando dice che le carceri sono diventate un sovraffollato deposito di "vite a perdere", in particolare di migranti e tossicodipendenti. Perché chi entra in carcere è un emarginato, ma chi ne esce, in assenza di una politica di inclusione e reinserimento sociale, è emarginato due volte. Tutto ciò accade mentre i Governi Europei, in assenza di garantismo negli interventi sociali, acquisiscono una percezione della realtà sociale distorta, inquinata da un pensiero intollerante, emergenzialista e giustizialista che nasce delle voci che provengono dagli "stomaci" delle società. Strategie di risoluzione che aumentano solo le disuguaglianze e ci portano ad un nuovo Medioevo. Strategie di contenimento sociale, della volontà di escludere, segregare e nascondere i disagi sociali che la nostra società produce e poi scarica verso il Carcere. A Cagliari, l’aspetto più drammatico del sistema penale è Buoncammino. Chiamato anche carcere della pazzia, della droga e della malattia, attraverso la testimonianza di Santino, ex persona detenuta, che dalle lettere inviate a Radio Carcere scrive: "Rumore. Urla. Depressione e pazzia. Psicofarmaci. Droga. Vino e valium. Bombolette di gas da sniffare. Lamette da barba per tagliarsi. Sporcizia. Puzza. Topi e scarafaggi. Malati mentali. Tossici. Malati fisici. Chi sta sulla sedia a rotelle. Chi ha l’epatite o l’aids. Chi ha la scabbia, la tubercolosi e la meningite. Ogni tanto, in una cella vedi una cinghia attaccata alle sbarre, e lì appeso uno dei tanti che non ce l’hanno fatta." Se il Carcere sembra precipitato in un pozzo senza fondo, se emerge una situazione di vero e proprio sfascio delle legalità, di azzeramento della dignità e rispetto dei diritti umani e civili delle persone detenute, allora come Associazione 5 Novembre, proponiamo una soluzione: L’Amnistia. Indulti e indultini, da soli non bastano, poiché estinguono solo la pena e non comportano una sentenza di assoluzione. L’amnistia estingue il reato e, se vi è stata condanna, fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie. L’amnistia in Italia è prevista dall’art. 79 della Costituzione, i Decreti del Presidente della Repubblica del 1946 e del 1953, fecero beneficiare dell’Amnistia per la prima volta i condannati per reati comuni, politici e militari. Dal 1992 una riforma costituzionale ha attribuito questo potere al Parlamento. Al mondo della politica chiediamo l’attuazione di questo provvedimento, accompagnato dal diritto di associazione dei cittadini detenuti, dalla decarcerizzazione dei malati psichici, tossicodipendenti e sieropositivi, dall’aumento delle concessioni alle misure alternative, dalla riforma del codice penale a partire dall’abolizione dell’ergastolo e dalla depenalizzazione dei reati minori. Vogliamo giustizia consapevole, che le prigioni sono un invenzione del medioevo, e che l’uomo moderno debba individuarne il superamento.
Roberto Loddo Associazione 5 Novembre "Per i Diritti Civili" Piacenza: uno "spazio bimbi" nell’area colloqui del carcere
Redattore Sociale, 13 marzo 2008
Una casetta, alcuni giochi e un po’ di colore per rendere più accogliente l’attesa e creare una dimensione più serena. L’iniziativa ha coinvolto il comune e l’associazione "Il Muro". Arriva lo spazio bimbi nell’area colloqui del carcere di Piacenza. Una casetta, alcuni giochi e un po’ di colore per rendere più accogliente l’attesa e creare una dimensione più serena per i figli dei detenuti. Il direttore della casa circondariale, Caterina Zurlo, ha voluto ringraziare sia il Comune sia l’associazione di volontariato Oltre il Muro - è merito loro se sono stati resi possibili i nuovi arredi - "anche a nome di tutti gli operatori che quotidianamente condividono il disagio di un servizio difficile proprio per gli inevitabili risvolti che coinvolgono anche l’infanzia". A inaugurare il nuovo spazio bimbi sono stati, oltre alla direttrice dell’istituto di pena, l’assessore alla Solidarietà e coesione sociale Giovanna Paladini, l’assessore all’Infanzia, scuola e politiche giovanili Giovanni Castagnetti, la presidente dell’associazione Oltre il Muro Valeria Viganò Parietti e Maria Murano, ispettore capo della polizia penitenziaria, a margine di un incontro con il Comitato locale per l’esecuzione penale adulti. Bologna: sequestrata una motosega, serviva per evadere? di Gilberto Dondi
Il Resto del Carlino, 13 marzo 2008
L’hanno trovata per caso, nascosta dietro un armadietto. Era pronta per l’uso, perfettamente funzionante. Una motosega, con tanto di motore a scoppio. Accanto all’attrezzo c’era anche un barattolo di benzina. A rendere il ritrovamento di eccezionale gravità il fatto che è avvenuto all’interno del carcere della Dozza. E non in un posto qualunque, ma dentro il perimetro del settore penale, quello riservato ai detenuti con le condanne (passate in giudicato) più lunghe. La scoperta l’ha fatta l’altra sera un agente di polizia penitenziaria. Era dentro un piccolo magazzino dove sono custoditi stracci, secchi e piccoli oggetti per l’ordinaria manutenzione, quando si è accorto che dietro l’armadietto c’era qualcosa. L’ha spostato e ha trovato l’impensabile: una motosega a nastro. Assemblata pezzo per pezzo, artigianalmente. Gli utensili di quel tipo (martelli, cacciaviti, seghe, a motore e non), sono custodite in un altro magazzino, al di fuori del perimetro penale e chiuso a chiave, accessibile solo da parte dei poliziotti penitenziari. Inoltre, tutti gli attrezzi sono numerati. Per questo è escluso che la motosega trovata sia una di quelle. Anche perché, come detto, è fatta in modo artigianale, assemblando i vari pezzi. Sarebbe però perfettamente funzionante. Dopo il ritrovamento, immediato, è scattato l’allarme e sono state eseguite perquisizioni a tappeto. Una l’altra sera, due ieri. Il carcere è stato rivoltato come un calzino ed è spuntato anche un cellulare. Gli agenti l’hanno trovato nel cortiletto interno dello stesso settore. I detenuti, alle strette, l’hanno gettato dalla finestra di una delle celle. Il telefonino era ancora acceso. Due fatti di eccezionale gravità, per i quali sono piombati a Bologna il nuovo comandante della polizia penitenziaria, Augusto Zaccariello (in carica da quando Sabatino De Bellis è stato trasferito), e il nuovo direttore della Dozza, Silvio De Gregorio (in carica da quando hanno trasferito Manuela Ceresani). Sia Zaccariello che De Gregorio si dividono fra Bologna e Parma, ricoprendo le rispettive cariche in entrambi i penitenziari. Erano a Parma e, saputa la notizia, si sono precipitati alla Dozza, trovando il carcere in subbuglio. La motosega, come detto, si trovava dentro un piccolo magazzino. Anche questo è chiuso a chiave e possono aprirlo solo i poliziotti, che dovrebbero fare la guardia quando è aperto. Ma di giorno viene aperto e, non essendoci abbastanza personale per controllare, i detenuti del braccio (circa 80) possono entrare e uscire quando vogliono. Anche perché, teoricamente, non dovrebbero esserci oggetti pericolosi. Peraltro, di giorno nel settore ci sono anche gli operai che lavorano alla costruzione della piccola cappella interna. Ovviamente, è stata aperta un’inchiesta interna ed è stata fatta una segnalazione in Procura. Si sta cercando di capire come abbiano fatto i detenuti a "costruire" la motosega e, soprattutto, chi abbia loro fornito i componenti dall’esterno. Sul perché avessero un simile oggetto, il primo pensiero (da brivido) di chi lavora dentro il carcere è che volessero usarlo per un’evasione. Allo stato, però, ogni valutazione è prematura. Di certo c’è il fatto che avevano la motosega e potevano comunicare con l’esterno, visto che avevano il cellulare perfettamente funzionante. Lanciano: un gruppo di detenuti ricevuti dal Papa a Roma
www.ilcapoluogo.it, 13 marzo 2008
Questa mattina al termine dell’udienza generale nell’aula Paolo VI, salutando i rappresentanti del personale e dei detenuti della Casa Circondariale di Lanciano, papa Benedetto XVI ha ricevuto in dono un berrettino verde, che ha subito indossato con un sorriso divertito. I 150 componenti del gruppo da Lanciano avevano assistito all’udienza, durante la quale il papa ha parlato tra l’altro della condizione di chi è detenuto ingiustamente per le proprie idee. Accompagnati dagli agenti della Polizia Penitenziaria, un gruppo di detenuti della casa circondariale di Lanciano ha potuto oggi partecipare all’udienza generale del papa grazie ad un permesso speciale del tribunale di sorveglianza. Li ha guidati il vescovo della diocesi abruzzese, mons. Carlo Ghidelli. Benedetto XVI, che nella catechesi di oggi aveva parlato anche della condizione dei detenuti e delle sofferenze causate dall’ingiustizia "presente in tanta parte della giustizia umana", li ha poi salutati con particolare enfasi, augurando loro che "questo incontro spinga ciascuno a riaffermare la propria fervida adesione agli insegnamenti del vangelo". Droghe: i giovani non discriminano le pesanti dalle leggere
Notiziario Aduc, 13 marzo 2008
"Ecco a cosa porta la legge Fini-Giovanardi sulle droghe che il Pd ha deciso di approvare con il silenzio-assenso": così Francesco Piobbichi, responsabile politiche sociali del Prc, commenta la notizia dei liceali di Fermo allontanati da scuola perché preparavano le dosi da iniettarsi davanti ai compagni di classe. "Aver equiparato tutte le sostanze alla stessa maniera ha intrecciato i mercati delle droghe leggere con quelle pesanti e sta provocando soprattutto tra i più giovani la banalizzazione del consumo di droghe. Oggi gli adolescenti consumano alla stessa maniera le sostanze leggere e quelle pesanti, e il tutto avviene in totale incoscienza. Fino a qualche anno fa nelle scuole si discuteva di spinelli in classe, oggi si parla di cocaina, e come riportano le agenzie di utilizzo iniettivo di eroina che coinvolge minorenni. Certo i consumi cambiano perché cambia la società, ma la legge Fini-Giovanardi impregnata di ideologia e repressione aumenta i problemi anziché risolverli". Droghe: in Argentina Governo annuncia depenalizzazione
Notiziario Aduc, 13 marzo 2008
Il Governo del presidente Cristina Fernandez de Kirchner ha comunicato che proporrà un cambiamento legislativo, per cui il consumatore di alcune droghe non sarà più considerato delinquente. Finora, sul piano teorico, l’Argentina ha praticato la tolleranza zero nei confronti della droga. Ma le autorità governative ritengono che questa politica abbia fallito poiché equipara "il drogato al trafficante", ha spiegato il ministro della Giustizia, Anibal Fernandez. Secondo lui, è più importante dare assistenza medica ai consumatori e perseguire il narcotraffico, anziché usare le risorse dello Stato in processi penali contro i tossicodipendenti. È un cambio notevole nell’atteggiamento dell’Argentina, che finora perseguiva la punizione del consumo ratificata dalla Convenzione Onu del 1989. In Argentina esistono 440.000 cocainomani, secondo dati ufficiali. Le maggiori quantità di coca in entrata dalla Bolivia e, soprattutto, dei componenti per produrla, ha causato un drammatico incremento dei consumi e l’introduzione del paco, che è la parte residuale della fabbricazione della cocaina. Il paco è una droga a basso costo - meno di 20 centesimi di euro la dose - ed è estremamente pericolosa sul piano della dipendenza e della salute. Ma è anche molto diffuso il consumo di marijuana e di droghe sintetiche. L’annuncio del Governo ha suscitato divergenze di opinioni tra chi è favorevole a un approccio al problema simile quello adottato da Paesi come la Spagna e chi, invece, teme un effetto contrario a quello desiderato. Tra quest’ultimi ci sono gli ex responsabili della lotta al narcotraffico. Usa: detenuta "dimenticata" per 4 giorni senza cibo e acqua
Corriere della Sera, 13 marzo 2008
Una messicana immigrata clandestina chiusa al freddo in una cella di tre metri per tre. Adriana Torres-Flores, 38 anni, immigrata illegale messicana da tempo negli Usa, madre di tre figli, è rimasta chiusa per quattro giorni al freddo in una cella di tre metri per tre, senza cibo e senza acqua, in tribunale di Fayetteville, una cittadina del nord dell’Arkansas, dove i detenuti restano rinchiusi per non più di un’ora. "Ci siamo dimenticati che era lì", ha cercato di scusarsi Jay Cantrell, capo del dipartimento dello sceriffo della contea di Washington, nello Stato dell’Arkansas, "è stato un terribile errore". Il caso, sollevato dal quotidiano locale The Arkansas Democrat-Gazette, è diventato uno scandalo nazionale negli Stati Uniti ed è finito anche sul New York Times. Dimenticata - La donna è restata chiusa da giovedì a lunedì e per sopravvivere ha dovuto bere la propria urina. Inoltre già il venerdì, a causa di una tormenta di neve, il personale negli uffici del tribunale era ridotto rispetto alla norma. È stato "scoperta" solo il lunedì successivo e portata subito in ospedale. La signora Torres-Flores si trova negli Stati Uniti da 19 anni e i suoi figli sono nati negli States, ma risulta ancora un’immigrata illegale. È stata arrestata in un mercatino delle pulci per la vendita di Cd e Dvd contraffatti. Il giovedì è stata portata in tribunale dove si è dichiarata "non colpevole". È stata quindi posta in una cella temporanea in attesa di essere trasferita nella prigione della contea, ma è stata dimenticata. "Come il bestiame" - "Il suo caso è l’esempio di come trattano gli ispanici da queste parti", ha detto il suo legale, Roy Petty. "Come il bestiame, non come esseri umani". Cantrell ha reso noto che ci sarà un’inchiesta: "Non c’è stata intenzionalità", ha aggiunto il capo del dipartimento dello sceriffo. L’Unione americana per le libertà civili però è seriamente preoccupata: "Ci sono già stati molti problemi in questo angolo dell’Arkansas per i metodi della polizia e per le dichiarazioni di amministratori locali nei riguardi degli immigrati ispanici", ha detto il direttore esecutivo dell’Aclu, Rita Sklar. Cina: vietato parlare di Aids, in carcere i cyberdissidenti
Apcom, 13 marzo 2008
Nel momento in cui Reporter Senza Frontiere lancia la prima giornata mondiale contro la censura su internet, in Cina resta dietro le sbarre il più alto numero al mondo di coloro che hanno scelto la rete come mezzo di contestazione. Hu Jia, il tristemente famoso attivista per i malati di Aids, in prigione dallo scorso dicembre, sarà messo sotto processo probabilmente questa settimana secondo RSF con l’accusa di "incitamento alla sovversione", un reato per cui sono previste pene severe. Secondo uno degli avvocati del dissidente, Li Fangping, l’inchiesta della polizia si concentrerebbe su alcuni articoli e testi pubblicati da Hu Jia su internet, sul sito Boxun, oltre che sulle dichiarazioni fatte alla stampa straniera riguardo ai Giochi Olimpici. "È solo una questione di tempo" ha dichiarato Li a RSF facendo capire che tutto è già stato preparato dai censori di Pechino. Del resto solo qualche giorno fa un altro degli avvocati di Hu e attivista per i diritti umani, Teng Biao, era stato prelevato in gran segreto dalla polizia e trattenuto per interrogatori almeno due giorni, prima di essere di nuovo rilasciato. Ancora un avvocato, Li Heping, è stato intimidato dalle forze di sicurezza della capitale lo scorso 7 marzo, allorché un’auto della polizia si è lanciata contro la macchina con cui accompagnava il figlio a scuola. In concomitanza con questi avvenimenti e con il peso che sta guadagnando l’affare Hu Jia, i censori cinesi hanno ordinato la chiusura di alcuni siti internet che trattano di Aids e malattie come l’epatite. All’inizio del mese il sito dell’associazione di lotta contro l’Aids Aizhixing ha ricevuto l’ordine di ripulire alcuni contenuti "illegali" con la minaccia di misure di repressione. E qualche settimana prima anche alcuni forum sulla stessa malattia e sull’epatite sono stati oscurati e non più riaperti. Secondo RSF attualmente, a 5 mesi dalle Olimpiadi di agosto, sono in prigione in Cina 50 cyberdissidenti, il che conferisce il record al paese. Fra di essi c’è anche He Depu, attivista per la democrazia e autore di articoli pubblicati su internet, condannato a 8 anni di prigione nel 2003 per incitamento alla sovversione dello stato. Da allora He è rinchiuso nelle carceri cinesi in condizioni di salute sempre peggiori. La moglie Jia Jianying ha appena scritto un’ennesima lettera all’Assemblea Nazionale del Popolo per chiedere migliori condizioni di trattamento medico nelle prigioni, di condizioni di vita e di nutrimento. A Jia Jianying, raggiunta oggi a Pechino da Apcom, è stato impedito dalla polizia di incontrare i giornalisti. "Dopo la vostra telefonata il mio capo mi ha detto che per oggi potevo terminare di lavorare prima, alla porta c’erano 3 poliziotti in borghese che mi hanno portata in una casa da tè e intrattenuto con chiacchiere generiche aspettando che passasse il momento fissato per l’intervista" ha raccontato la donna più tardi. Proprio ieri, Washington, gli Stati Uniti hanno tolto la Cina dall’elenco dei primi dieci Paesi che violano i diritti umani, mentre hanno aggiunto alla lista la Siria, il Sudan e l’Eritrea. Nel rapporto annuale sui diritti dell’Uomo, pubblicato dal dipartimento di Stato, Washington cita dieci Paesi nei quali il potere nel 2007 "è rimasto concentrato tra le mani di poche persone che non devono rendere conto a nessuno": la Corea del Nord, la Birmania, l’Iran, la Siria, lo Zimbabwe, Cuba, la Bielorussia, l’Uzbekistan, l’Eritrea e il Sudan. Danimarca: torta drogata dai detenuti, intossicati 4 agenti
Apcom, 13 marzo 2008
Per vendicarsi del trattamento loro riservato, alcuni detenuti di un carcere danese hanno preparato una torta alla droga che hanno offerto ai secondini. Quattro guardie, due uomini e due donne, sono così rimaste intossicate e hanno dovuto ricorrere a cure mediche. Ora i guardiani sono sotto shock per la violenza dell’attacco subito. Nel penitenziario è stato vietato ai secondini di accettare cibo preparato dai detenuti. L’episodio è accaduto nella prigione di Nyborg, sull’isola di Fionie (nel centro del Paese). Come riportato dal giornale "Ekstra Bladet", quattro guardie sono state colte da fortissimi dolori di stomaco dopo aver gustato la pasticceria offerta loro da alcuni detenuti. All’ospedale dove sono stati ricoverati è stata subito scoperta l’origine dei dolori: una vera e propria intossicazione da assunzione di stupefacenti. La vice direttrice del penitenziario, Una Jensen, ha confermato che la torta in questione era stata preparata da "uno o più detenuti" della sezione che ospita i carcerati con precedenti penali più gravi, membri di bande di motociclisti di origine straniera, i Black Cobra e Den Internationale Klub. I colleghi dei secondini intossicati ora sono sotto shock: "Non avevamo mai avuto un’aggressione così violenta" ha dichiarato Bo Soerensen, presidente del sindacato dei funzionari di prigione. Secondo lui è "un attacco contro tutto il modello penitenziario danese e contro la tradizione secondo la quale guardiani e prigionieri stanno fianco a fianco in modo informale". A seguito dell’incidente, la direzione della prigione ha deciso che d’ora in poi i guardiani non accetteranno più dolci, pane e altri piatti preparati dai detenuti.
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