Rassegna stampa 18 luglio

 

Giustizia: Nordio; detenzione preventiva dev’essere eccezione

 

L’Opinione, 18 luglio 2008

 

Carlo Nordio, Sostituto Procuratore della Repubblica di Venezia: "la carcerazione preventiva deve essere l’eccezione dell’eccezione".

Carlo Nordio, Sostituto Procuratore della Repubblica di Venezia ed in passato Presidente della Commissione di studio per la riforma del Codice Penale, analizza il momento della giustizia italiana, partendo naturalmente dall’arresto del presidente della Regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco, insieme ad assessori e dirigenti per sospette tangenti sulla sanità.

 

È una nuova Tangentopoli come dice Di Pietro, o un teorema come sostiene Berlusconi?

Fermo restando che un magistrato non può e non deve dare giudizi sui procedimenti in corso, spesso abbiamo assistito a carcerazioni preventive rivelatesi inutili. La carcerazione preventiva deve essere l’eccezione dell’eccezione, in particolare quando è applicata a persone elette dal popolo.

 

Si parla da tempo di una riforma radicale del sistema giudiziario italiano. Il Presidente Berlusconi l’ha annunciata per settembre…

Il nostro sistema giudiziario va effettivamente riformato in radice, i problemi della giustizia penale sono i seguenti: il primo la lentezza dei processi, il secondo l’incertezza della pena, il terzo il paradosso in base al quale si entra in prigione durante le indagini, quando si è presunti innocenti, e si esce dopo la condanna, quando si è colpevoli conclamati.

 

Primo problema: i processi lenti…

La lentezza dei processi dipende dalla sproporzione tra i mezzi che abbiamo e i fini che ci proponiamo. I mezzi sono le risorse finanziarie e umane che vengono ridotte. I fini sono i reati da perseguire che vengono continuamente aumentati.

 

Rimedi?

Poiché non possiamo aumentare le risorse, cioè i mezzi, dobbiamo diminuire i fini. Questo si può fare in due modi: primo, con una radicale depenalizzazione dei reati, così da portare a giudizio solo quelli che creano grande allarme sociale; secondo, eliminare l’obbligatorietà dell’azione penale, che ci impone almeno in via astratta di occuparci anche dei casi bagatellari che vengono denunciati.

 

Berlusconi ha proposto di eliminare l’obbligatorietà dell’azione penale. È d’accordo?

Sì, per due ragioni. La prima, che oggi l’azione penale è solo formalmente obbligatoria ma di fatto lasciata all’arbitrio incontrollato e irresponsabile dei pubblici ministeri. La seconda è che in tutti i sistemi processuali accusatori - per intenderci quello alla Perry Mason, adottato da noi - vigenti in tutti i paesi anglosassoni, l’azione penale è discrezionale. La discrezionalità è d’altra parte l’opposto dell’arbitrio, perché è vincolata a parametri oggettivi e trasparenti fissati dal Parlamento.

 

Secondo problema: l’incertezza della pena..

Il cittadino assiste perplesso all’assurdo trattamento fatto a colpevoli di reati punibili con pene teoricamente gravissime, che in realtà non vengono mai applicate. In effetti il nostro Codice penale da un lato punisce in modo esagerato certi reati (tre furti in abitazione sono punibili con 30 anni di prigione) dall’altro consente al giudice di applicare pene risibili.

Nel progetto che la nostra Commissione ha presentato nel 2005, le pene non sono aumentate, ma diminuite. Tuttavia sono rese più certe dall’eliminazione di tutta una serie di ingiustificati indulgenzialismi. Infatti una politica criminale seria non grida pene esagerate che poi vengono condonate. Prevede, invece, pene eque che devono essere concretamente espiate.

 

Terzo problema: perché si entra in prigione da presunti innocenti e si esce dopo la condanna?

Questo dipende dalla stessa lentezza del processo che orienta il magistrato ad applicare una pena provvisoria durante la fase delle indagini perché sa che quella inflitta dopo il passaggio in giudicato, cioè dopo vari anni, sarebbe ineseguita. Se i processi durassero meno anche la carcerazione preventiva sarebbe più limitata.

 

E l’immunità parlamentare?

È una necessità assoluta. Essa fu voluta dai padri costituenti i cui nomi riflettono capacità intellettuali e politiche di cui sentiamo la nostalgia. De Gasperi, Togliatti, Nenni, Saragat non erano né berlusconiani, né antiberlusconiani. Tuttavia sapevano perfettamente che la democrazia parlamentare può correre il rischio di essere aggredita dalle indagini giudiziarie. Cosa che peraltro si verificò, sia pure in via perversa e indiretta, negli anni 50 con il caso Montesi. Essi vollero l’introduzione dell’immunità non come privilegio personale, ma come garanzia dell’autonomia e della prevalenza della politica rispetto alle indagini giudiziarie.

Questa immunità fu sciaguratamente abbandonata dalla stessa politica quando in piena Tangentopoli perdette fiducia in se stessa. Peggio, quando alcuni politici sperarono di liberarsi di avversari e anche di amici attraverso l’intervento della magistratura. Il risultato abnorme sta nel conflitto che da 15 anni oppone politica e giustizia, dividendo il Paese tra chi è convinto che i politici siano ingiustamente eliminati dai magistrati e chi ritiene che questi stessi politici facciano leggi nel loro interesse personale. Non ci interessa sapere quale delle due tesi sia vera, potrebbero anche essere vere entrambe. Ci interessa constatare che la situazione, unica al mondo, è diventata intollerabile e va risolta ripristinando la preminenza del Parlamento.

 

Nelle intenzioni dei Presidente Berlusconi è indispensabile anche una riforma del Csm. Che ne pensa?

Per attuare realmente l’indipendenza della giurisdizione e la percezione che i cittadini aspirano di avere sulla terzietà del giudice, anche questa riforma è necessaria. Attualmente il Csm e i Consigli giudiziari che ne costituiscono l’emanazione periferica sono costituiti in maggioranza da magistrati che appartengono sia ai giudicanti sia ai pubblici ministeri. Con la conseguenza che questi ultimi, che sono rappresentanti dell’accusa, valutano, cioè danno i voti, alla professionalità dei primi, cioè dei giudici che dovrebbero essere indipendenti. Se il cittadino sapesse che il suo giudice è valutato o può essere valutato dal suo accusatore, non sarebbe sereno. C’è di più, la sezione disciplinare, che giudica i magistrati è eletta, in gran parte, da questi ultimi, con la conseguenza di un nesso discutibile tra i giudicanti e i giudicati. Questa anomalia è unica al mondo. Non esiste paese civile dove i pubblici ministeri giudichino i giudici. Questo non significa che il Csm debba essere di nomina politica, perché il rimedio sarebbe peggiore del male. L’ideale sarebbe costituire un albo unico di magistrati, docenti universitari e avvocati, nel cui ambito sorteggiare i componenti del Csm. Questo reciderebbe il vincolo tra elettori ed eletti.

 

E veniamo, infine, alla spinosa questione delle intercettazioni telefoniche...

Sono un mezzo invasivo, ambiguo e pericoloso che ha devastato il diritto costituzionalmente protetto alla inviolabilità della segretezza delle conversazioni. L’articolo 15 della Costituzione è chiaro e rende prevalente questo diritto su tutti gli altri. In casi eccezionali esso può essere limitato per indagare su gravissimi reati. Ma è sotto gli occhi di tutti che se ne è fatto un abuso pernicioso, al punto di divulgare a mezzo stampa le abitudini sessuali dei cittadini. Questa "porcheria" va eliminata, e se la politica e la stessa magistratura non sono state in grado di eliminarla negli ultimi 15 anni, è tempo adesso di sradicarla come una delle più vergognose anomalie di una democrazia imperfetta.

 

Alcuni magistrati dicono invece che le intercettazioni sono indispensabili alle indagini…

Quindi serve una disciplina? Primo: le indagini più importanti dei secolo scorso, quelle sulle brigate rosse, si sono concluse felicemente anche senza nessuna intercettazione telefonica. Le stesse indagini di Mani Pulite su Mario Chiesa e compagni si sono sviluppate proficuamente prescindendo da questo strumento. Secondo: come tutti gli strumenti di indagine la valutazione va fatta tra i risultati che conseguono e i danni che producono. E questi ultimi sono incompatibili con la democrazia.

Quello che mi preoccupa è che molti cittadini si siano rassegnati a questa abdicazione proprio perché addormentati dalla propaganda giustizialista che li ha ridotti al rango di sudditi succubi.

Giustizia: presentato in Senato ddl per inasprimento di 41-bis

 

Ansa, 18 luglio 2008

 

Aumento di un anno della durata dei provvedimenti carcerari emessi dal Ministro della Giustizia, inversione dell’onere della prova e spostamento della competenza funzionale al Tribunale di Sorveglianza di Roma per tutti i ricorsi. Sono questi i tre punti della riforma del 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario, il cosiddetto carcere duro, contenuti nel disegno di legge presentato oggi al Senato dal Presidente della Commissione Affari Costituzionali, Carlo Vizzini.

La proposta, si legge in una nota, tiene conto di una serie di disfunzioni e di interpretazioni di segno diverso operate dai Tribunali di Sorveglianza che, in molti casi, hanno dichiarato l’inefficacia dei decreti applicativi o di proroga del regime di carcere duro. "Ho tenuto conto - spiega Carlo Vizzini - della richiesta di un nuovo intervento legislativo su questo tema delicato venuta anche dalle Procure della Repubblica più impegnate sul fronte della lotta alla mafia e dalla stessa Direzione nazionale antimafia".

Il primo articolo stabilisce che i provvedimenti adottati dal ministro hanno durata non inferiore a due anni e non superiore a tre, mentre l’attuale normativa limita tale durata ad un minimo di un anno e ad un massimo di due. Con la stessa disposizione si è poi stabilito che i provvedimenti del ministro sono prorogabili "salvo che risulti la prova della cessazione della partecipazione o comunque di ogni altra forma di collegamento o di contatto del detenuto o dell’internato al sodalizio criminoso di appartenenza ovvero ad altre associazioni criminali, terroristiche o eversive".

"Questa modifica - aggiunge Vizzini - introduce un’inversione dell’onere della prova perché per sottrarsi ai provvedimenti di proroga sarà necessario che sia il detenuto a provare la cessazione della partecipazione all’associazione criminale, mentre la normativa vigente prevede in capo all’Amministrazione l’obbligo di verifica della permanenza del soggetto nel sodalizio criminale".

Infine la previsione di una competenza funzionale in capo al Tribunale di sorveglianza di Roma evita che vi possa essere in materia di reclami dei detenuti una eccessiva eterogeneità di orientamenti giurisprudenziali da parte dei diversi tribunali. "Si tratta - ha concluso Vizzini - di un provvedimento che rende più severo il 41 bis, impedendo che boss mafiosi, che esercitano ancora un potere all’interno delle organizzazioni e tentano per questo di dialogare con l’esterno possano essere consegnati ad un regime di carcerazione ordinaria beffando lo Stato e tutti coloro che si battono quotidianamente in prima linea per debellare questo cancro che rappresenta ancora oggi una ferita per la nostra democrazia.

Questo provvedimento si unisce alle altre iniziative legislative da me introdotte all’interno del decreto sulla sicurezza in materia di prevenzione personale e patrimoniale e di confisca dei patrimoni mafiosi che rappresentano uno strumento per svuotare le casseforti delle mafie".

Giustizia: Silp; anziani vittime della paura, colpa del Governo

 

Redattore Sociale, 18 luglio 2008

 

Claudio Giardullo, Segretario del Silp (Sindacato Italiano Lavoratori della Polizia), attacca il Governo: "Alimenta le paure sul versante dell’immigrazione clandestina, favorendo lo smantellamento del sistema di sicurezza nazionale a favore di quello locale, militarizzando le città. Risposta emozionale".

"La campagna Progetto sicurezza Anziani, promossa in partnership con il Sindacato Pensionati Italiani della Cgil (Spi), Auser e Feder Consumatori, ha avuto il merito di sollevare l’attenzione intorno alle problematiche vissute dagli anziani, vittime soprattutto della paura. Il governo, alimentando le paure sul versante dell’immigrazione clandestina, sta favorendo lo smantellamento del sistema di sicurezza nazionale a favore di quello locale, militarizzando le città. Risposta simbolica ed emozionale, questa, e per nulla concreta, inefficace contro la criminalità". A dirlo è Claudio Giardullo, segretario generale del Silp (Sindacato Italiano Lavoratori della Polizia), intervenuto alla presentazione dell’opuscolo "Non ci casco" presentato oggi a Roma, dopo aver preso parte alla manifestazione indetta dai sindacati di polizia contro la finanziaria 2008.

"L’Italia, ormai, è alla vigilia di un possibile salto nel buio. Il nostro sembra essere diventato un paese del Sud America. Capovolgere le priorità del paese, promuovendo la paura del diverso e addossando i problemi di sicurezza agli extracomunitari, fuorvia dalle reali minacce per la società, prima fra tutte quella della malavita organizzata. Assurda l’ipotesi del reato d’ingresso dei clandestini; misura che creerebbe inconvenienti tali che porterebbero ad una paralisi del sistema. Come possono i militari agire in uno scenario urbano per cui non sono preparati, senza conoscere le dinamiche del tessuto sociale del territorio in cui agiscono?

A La Russa abbiamo suggerito di ricordare la storia: l’ultima volta che l’Italia ha fatto ricorso all’esercito è accaduto nel 1898, quando Bava Beccaris soffocò i tumulti milanesi, conseguenti alla rivolta del pane, nel sangue. Lo smantellamento del sistema di sicurezza nazionale, invece, paventa lo spettro di quel processo di frantumazione che s’innesco, nella ex Jugoslavia, dopo lo sviluppo delle tante polizie locali.

A queste tendenze disgreganti si aggiunge l’uso politico della violenza ed il taglio delle risorse: 1 miliardo in 5 anni, che porteranno a 40 mila possibili riduzioni d’organico e ad un taglio di circa 15 mila operatori. A fronte di questo scenario, necessarie politiche d’integrazione, investimenti, strategie d’azione da parte degli enti locali ed una politica di attenzione alla legalità. A causa di una classe dirigente sprovveduta, la legge sta perdendo, sempre di più, il suo valore fondante per la nazione".

Giustizia: Sindacati Polizia e Cocer; i tagli alla sicurezza ci sono!

 

Ansa, 18 luglio 2008

 

Dal governo servono "segnali decisivi" contro i tagli alla sicurezza, "che restano un grosso problema ai bilanci" delle amministrazioni interessate, altrimenti la mobilitazione "contro una politica che mette a repentaglio le capacità operative dell’intero apparato di sicurezza e difesa" andrà avanti con ulteriori azioni di protesta.

I sindacati delle Forze di polizia e i Cocer delle Forze armate scesi in piazza ieri per protestare contro i tre miliardi di euro di tagli previsti nella manovra finanziaria, ribadiscono la loro netta contrarietà alle misure adottate, pur sottolineando che ci sono stati "piccoli segnali positivi" con gli interventi correttivi apportati al decreto.

I sindacati di Polizia, Corpo forestale dello Stato e Polizia penitenziaria, e i Cocer di Carabinieri, Guardia di Finanza, Esercito, Aeronautica e Marina e Cocer, esprimono in una nota congiunta "soddisfazione" per la manifestazione e il volantinaggio di oggi davanti alle sedi istituzionali e a diverse prefetture nelle città, sottolineando che "numerosi parlamentari e senatori hanno di fatto manifestato la propria vicinanza alle rivendicazioni, assicurando il proprio sostegno in sede legislativa per far si che in fase di conversione il decreto 112 venga opportunamente corretto".

Ma soprattutto, aggiungono i sindacati, la soddisfazione è "massima" per "la solidarietà espressa da migliaia di cittadini che hanno voluto testimoniare la piena condivisione dei motivi della protesta". La nota stonata della giornata, oltre ovviamente ai tre miliardi di euro di tagli previsti, proseguono sindacati e Cocer, sono le dichiarazioni di "qualche esponente della maggioranza che, ponendo a serio il rischio la propria credibilità personale, insiste nell’affermare che i tagli non ci sarebbero, e che anzi i tre miliardi in meno per le spese della sicurezza e della difesa sarebbero da intendere come un potenziamento degli investimenti". Ecco perché, concludono, continua la mobilitazione dell’intera categoria.

Giustizia: sicurezza; guerra delle cifre e "balletto" delle colpe

di Vladimiro Polchi

 

La Repubblica, 18 luglio 2008

 

Alle forze dell’ordine, il Governo con una mano dà, con l’altra toglie. Da un lato assicura 400 milioni di euro una tantum, dall’altra toglie oltre due miliardi e mezzo di finanziamenti in tre anni. Insomma, dare oggi, per togliere domani. I sindacati delle forze dell’ordine non ci stanno: "I tagli alla sicurezza rischiano di dimezzare il numero di volanti in circolazione e di far saltare livelli minimi di sicurezza".

Per questo, ieri mattina migliaia di poliziotti, carabinieri, finanzieri, forestali, vigili del fuoco e militari, hanno manifestato davanti a questure e prefetture di tutta Italia.

Sulla questione dei tagli alla sicurezza si gioca tra maggioranza, opposizione e sindacati una guerra di numeri. Comincia il governo. Il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, spiega che la manovra all’esame della Camera, dà 400 milioni al settore sicurezza. Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, si spinge oltre: "Stimiamo una cifra superiore al miliardo di euro". Diversa la versione dei sindacalisti. Il sacrificio del comparto sicurezza ammonterebbe ad oltre un miliardo di euro: tra tagli triennali di spesa (oltre 538 milioni) e quinquennali al personale (527 milioni). La conseguenza è, per la polizia di Stato, una riduzione del personale di 6.689 uomini, da qui al 2012. Tradotto: a Roma verrebbero tagliate tre volanti sulle attuali 13; 2 su 9 a Palermo.

E ancora: nella capitale chiuderebbero 12 commissariati su 47; a Palermo 2 su 8. A questi "sacrifici", andrebbe aggiunto un altro miliardo e mezzo di tagli di spesa alla Difesa. In tutto, secondo sindacati di polizia e Cocer, "è stata prevista la riduzione complessiva nel triennio dell’organico delle Forze di polizia e delle Forze armate di circa 40mila uomini, sia per il mancato turnover del personale che perla nefasta previsione di sospensione volontaria dal servizio e collocamento coatto in pensione per anzianità contributiva".

Quanto ai 400 milioni promessi da Tremonti, "100 finiranno alla polizia locale - sostiene Claudio Giardullo del Silp-Cgil altri 100 serviranno perle assunzioni nel 2009 di ben 6 corpi, per un totale di 2.700 assunzioni. Pochi, se consideriamo che un solo corpo, quello della polizia, nel 2009 perderà 1.611 uomini.

Gli altri 200 vengono ricavati da fonti non stimabili con facilità e variabili, come quelle della confisca dei beni mafiosi. Soldi che, tra l’altro, spetterebbero anche alle vittime della mafia".

Accanto alla guerra dei numeri, c’è poi il balletto delle colpe. Roberto Maroni punta il dito contro il precedente esecutivo: "Le difficoltà - ammette il responsabile del Viminale - ci sono, ma sono colpa della legge finanziaria 2008 del governo Prodi, che ha tagliato 8 miliardi".

Replica il ministro dell’Interno del governo ombra, Marco Minniti: "Il taglio annunciato ammonta a quasi tre miliardi e mezzo e la correzione promessa con il maxi-emendamento si rivela invece un appesantimento di altri 116 milioni di euro". Sulla polemica interviene anche l’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia: "I governi Berlusconi II e III - sostiene il segretario Enzo Marco Letizia - avevano già tagliato i fondi destinati alla manutenzione dei mezzi per 101 milioni di euro; i fondi per la sicurezza stradale, per 2 milioni di euro; i fondi per la Direzione Antimafia per 27 milioni di euro".

"Dopo la prova di forza di ieri, con presidi in tutta Italia - dichiara Giorgio Innocenzi, segretario nazionale della Consap - lo stato di agitazione del comparto sicurezza prosegue, perché è indispensabile anche una drastica cura dimagrante della macchina Viminale, che riduca drasticamente la pletora di dirigenti e personale profusa in dipartimenti, direzioni centrali ed uffici". Richieste che i sindacati porteranno sul tavolo del ministero dell’Interno, all’appuntamento con Maroni di mercoledì prossimo.

Giustizia: Del Turco si dimette da Governatore e Direzione Pd

 

Il Centro, 18 luglio 2008

 

Ottaviano Del Turco si è dimesso da Presidente della Giunta regionale abruzzese. La decisione è contenuta in una lettera autografa scritta nel carcere di Sulmona, inviata al presidente del consiglio regionale Marino Roselli tramite il legale di fiducia Giuliano Milia. Secondo quanto ha appreso "il Centro", le dimissioni - scrive Del Turco - "mi consentono di potermi difendere con tutte le mie buone ragioni senza trascinare l’istituto della Regione in una vertenza giudiziaria nella quale, se ci sono responsabilità esse sono personali e non collettive". Su un foglio bianco, senza intestazione, ha vergato 19 righe scritte a mano e la firma per esteso.

Con un’altra lettera, anch’essa autografa e più breve, indirizzata al segretario del Partito democratico Walter Veltroni, Del Turco si dimette dalla direzione nazionale del Pd e si autosospende al fine di evitare "ricadute spiacevoli sull’immagine del partito". Con le dimissioni del "governatore" si apre la delicata e complessa macchina che porterà l’Abruzzo alle elezioni anticipate. Nei 38 anni di attività delle Regioni italiane a statuto ordinario, non c’è un precedente di scioglimento e di elezioni anticipate.

 

L’interrogatorio

 

Ottaviano Del Turco ha consegnato la lettera di dimissioni dopo l’interrogatorio di garanzia svolto all’interno del carcere di Sulmona dal gip Maria Michela Di Fine e dal procuratore capo Nicola Trifuoggi.

L’avvocato Giuliano Milia ha confermato che "il presidente Del Turco ha reso dichiarazioni a sua discolpa, per le quali è stata chiesta la revoca del provvedimento cautelare". Sullo stato di salute di Del Turco, il legale ha aggiunto: "Sta bene, come uno che è in carcere". Sulle possibili dimissioni dalla carica, presidente Milia ha sottolineato che "si tratta di un problema tecnico da valutare". Il legale ha chiesto la scarcerazione del suo assistito che, eseguito l’interrogatorio, non è più sottoposto al regime di isolamento.

Sergio Romice, direttore del carcere, ha tenuto a sottolineare che non c’è stato nessun favoritismo nei confronti del governatore nemmeno quando è entrato in carcere e nemmeno nei colloqui che ha avuto con i vari parlamentari giunti a Sulmona. "Quando i detenuti sono accompagnati dalle forze dell’ordine - ha spiegato - possono entrare direttamente nel carcere, solo chi l’accompagna deve farsi riconoscere una volta all’interno e depositare le armi prima di entrare nel carcere.

Per quanto riguarda i parlamentari lo prevede la legge che possano ispezionare in qualsiasi momento la struttura carceraria per verificare le condizioni dei detenuti, a maggior ragione la zona di isolamento". Romice ha anche sottolineato la grande correttezza dimostrata da Del Turco in questi tre giorni di detenzione "non ha fatto richieste particolari", anzi è stato tranquillo rispettando quella che è la legge del carcere.

 

Gli altri imputati

 

Nel carcere di Chieti interrogato anche Camillo Cesarone, capogruppo regionale del Pd; si è avvalso della facoltà di non rispondere. Interrogatorio infine nel carcere di Lanciano per l’assessore Antonio Boschetti: revoca della custodia cautelare in carcere o concessione degli arresti domiciliari, sono le richieste che l’avvocato Giovanni Cerella, legale di Boschetti, avanzerà al gip Michela Di Fine.

Cerella ha fatto sapere che negherà al giudice l’associazione a delinquere contestata a Boschetti in quanto i fatti attribuitigli si riferiscono ad un periodo in cui non ricopriva la carica di consigliere regionale, ma era un semplice consulente incaricato dall’ex manager della Asl di Chieti, Luigi Conga (anch’egli agli arresti), per studiare una transazione relativa ai debiti della Asl nei confronti delle cliniche di Vincenzo Angelini. Per il difensore, il lavoro di Boschetti avrebbe prodotto per la Asl un risparmio di tre milioni di euro portando i crediti di Angelini da 14 a 11 milioni di euro.

Palermo: i detenuti "invitati" a riflettere sulla Costituzione…

 

Ansa, 18 luglio 2008

 

La Facoltà di Giurisprudenza, in occasione dell’anniversario della strage di via D’Amelio, tiene una lezione sulla Costituzione italiana, sui principi e i valori che la informano, ai detenuti delle Case Circondariali Palermo Ucciardone e Pagliarelli a conclusione del percorso didattico "La Costituzione del Buon Esempio" promosso dalla "Fondazione Progetto Legalità in memoria di Paolo Borsellino e di tutte le altre vittime della mafia" con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, il Dipartimento alla Pubblica Istruzione della Regione Siciliana, Confindustria Sicilia e condiviso anche dalla rete dei centri per la Giustizia Minorile in Sicilia.

"Ripartire dal carcere per affermare la cultura della legalità - dice Sebastiano Ardita Direttore Generale dei Detenuti e del Trattamento - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - è il modo migliore per definire la lotta alla mafia ed alla corruzione pubblica come obiettivo principale di una ordinata e moderna convivenza sociale. E per questo non dobbiamo dimenticare le ragioni per cui sono morti Giovanni Falcone e Paolo Borsellino".

Il prof. Giuseppe Verde, ordinario di diritto costituzionale e preside della Facoltà di Giurisprudenza, presidente del Comitato tecnico-scientifico della Fondazione, ha voluto dedicare due lezioni speciali ad alunni di classi altrettanto speciali "perché indipendentemente dalle proprie esperienze di vita ciascuno possa riflettere e riconoscersi nei principi della Costituzione. La lezione del Pagliarelli si terrà invece con l’inizio del nuovo anno scolastico, in autunno."

"Abbiamo chiesto agli alunni di tutte le scuole italiane, compreso quelle carcerarie, la cui sezione è dedicata al collega Luca Crescente, prematuramente scomparso - ha detto Gaetano Paci, presidente della Fondazione Progetto Legalità onlus" - di lavorare su alcune storie di buoni esempi e laboratori disponibili su www.progettolegalita.it per imparare a riconoscere quanta costituzione c’è nella vita di ogni giorno".

Al Progetto, attuato in campo nazionale, dal 2004 ha aderito anche il Provveditorato dell’Amministrazione penitenziaria per la Regione Sicilia. "La nostra attività è finalizzata al reinserimento sociale del condannato - dice Orazio Faramo Provveditore Regionale. In questo la sinergia fra mondo delle Istituzioni, Associazioni, imprenditoria e volontariato è importante elemento strategico per il perseguimento di un’efficace azione rieducativa. E le lezioni del professore Verde sono proprio espressione di questa sinergia". Al percorso didattico si sono iscritti quasi 500 gruppi classe in Italia, di cui 19 provenienti da altrettante istituzioni carcerarie.

"I risultati non sono mancati - ha detto la d.ssa Patrizia Monterosso, direttore del Dipartimento Pubblica Istruzione della Regione Siciliana - i lavori migliori prodotti dalle scuole saranno inclusi tra le buone prassi o costituiranno dei nuovi esempi sui quali lavorare ancora".

"Abbiamo voluto - dicono Maurizio Veneziano dirigente della Casa Circondariale Ucciardone e Laura Brancato, dirigente della Casa Circondariale Pagliarelli - anche quest’anno aderire al Progetto consapevoli dell’importanza dei percorsi di riflessione in carcere sulle regole di civile convivenza e di adesione ai valori."

"Del rispetto delle regole - dichiara Milena Marino dirigente delegato Dap per il Progetto - abbiamo voluto discutere con i detenuti, persone che hanno violato l’ordinamento giuridico. E l’esperienza di tanti anni di applicazione del Progetto nelle carceri insegna che è possibile parlare ai ristretti di impegno antimafia e di Istituzioni. E che è bello farlo, in quanto Stato, proprio con le norme dello Stato".

Busto Arsizio: da associazione corso pasticceria per i detenuti

 

Varese News, 18 luglio 2008

 

L’Associazione Assistenza Carcerati e Famiglie di Gallarate aiuta dal 1986 i detenuti e i loro parenti. Da 34 volontari un sostegno ai detenuti e alle loro famiglie.

Nata nel 1986, l’Associazione Assistenza Carcerati e famiglie di Gallarate lavora da anni per aiutare i detenuti e sostenere le famiglie. Fondata da Esterina Gumiero e Rodolfo Zechubi, è composta da 34 volontari che entrano in carcere per offrire assistenza diretta ai detenuti e seguono anche i parenti, soprattutto quando giovani mogli con figli piccoli restano sole. In concreto distribuiscono alimenti, indumenti e in alcuni casi offrono anche un sostegno economico vero e proprio. "Oggi sono circa settanta le famiglie che seguiamo - ci spiega Anna Mattaini, segretaria dell’Associazione -. Chi ha bisogno può contattarci direttamente o attraverso l’assistenza sociale. Naturalmente non abbandoniamo gli ormai ex-detenuti quando escono dal carcere, forniamo aiuto per l’inserimento nel mondo del lavoro".

È da questa Associazione che è nata l’idea del corso di pasticceria nel carcere di Busto. "È si un modo per tenerli impegnati, ma anche per insegnare loro un lavoro quando escono. A settembre abbiamo già in programma un corso di ceramica".

In autunno inoltre faranno domanda per ricevere un finanziamento regionale per coprire i costi del corso di pasticceria che al momento sono tutti a carico loro. "Ora anche il comune di Gallarate ci dà un contributo, ma finora le amministrazione locali non ci hanno mai sostenuto. Le nostre attività sono autofinanziate con mercatini, vendita di ricami e spettacoli teatrali. Speriamo che in futuro cambi qualcosa".

 

A lezione da Buosi…in carcere

 

Entusiasmo e professionalità. Sono sicuramente queste le parole che descrivono al meglio l’atmosfera che ha animato ieri, giovedì 17 luglio, le cucine del carcere di Busto Arsizio. L’occasione è stata la lezione di pasticceria che il maestro di Varese Denis Buosi ha tenuto a un gruppo di detenuti. Buosi è l’ultimo dei cinque pasticcieri varesini che dal 9 giugno sono "saliti in cattedra" per insegnare i trucchi del mestiere a una classe davvero speciale. Fino al 20 ottobre infatti nove detenuti - in origine erano 11, ma due sono stati spostati in un altro istituto - seguiranno un corso di pasticceria tenuto da Mario Bacilieri (Marchirolo), Denis Buosi, Mariano Massara (Morazzone), Massimo Pagani (Gallarate) e Luca Riccardi (Gavirate). "Ingrediente" poi fondamentale per la buona riuscita delle lezioni è la collaborazione di Virginio Ambrosini, storico volontario della casa circondariale proprio nell’ambito culinario.

L’iniziativa è partita dall’Associazione assistenza carcerati e famiglie di Gallarate. "La nostra idea - spiegano Anna Mattaini - era quella di proporre un progetto che fosse utile per l’ inserimento futuro di queste persone nel mondo del lavoro". Una volta messa sul tavolo la proposta, a rendere realtà il tutto ci ha pensato Pierluigi Brun che si occupa proprio della progettazione per il no profit. "Ho contattato prima Buosi e poi da li è partito tutto. Ogni pasticciere tiene tre lezioni in cui insegna a cucinare diversi dolci.

L’obiettivo finale è quello di realizzare un "dolce del carcere" che verrà poi venduto". Ma ancora più importante, il corso è finalizzato alla formazione dei detenuti in modo da consentire loro di acquisire delle competenze da spendere poi nel mercato del lavoro una volta usciti. I partecipanti infatti riceveranno un "diploma" firmato da tutti e cinque gli insegnanti che attesterà le competenze acquisite.

Di fronte quindi a una classe più attenta e motivata di "altre in cui ho tenuto lezione" Buosi ha insegnato a lavorare con il cioccolato: mouse al cioccolato al latte, cremoso al cioccolato bianco, mousse al gianduia, mousse al cioccolato fondente al 70 per cento. Nelle scorse settimane il gruppo ha imparato con gli altri maestri a cucinare i biscotti secchi, le lingue di gatto, i brutti e buoni, il pan di spagna e i croissant.

"Sono molto soddisfatto - spiega a fine lezione - hanno partecipato attivamente e li ho visto davvero interessanti. Sinceramente pensavo di trovare un ambiente più ostile, l’immagine che mi ero fatto del "carcerato" era diversa. Invece se non fossimo dentro un carcere, sarebbe uno dei miei normali corsi di pasticceria". Un’esperienza quindi positiva, anche secondo gli altri pasticcieri, che "serve anche a livello umano - conclude Buosi (nella foto con Bacilieri a destra e Massara a sinistra) -. Credo che per loro sapere che qualcuno mette a disposizione il proprio tempo per queste attività sia di aiuto perché il messaggio che arriva loro è "anche noi contiamo"".

Una volta finita questa prima sessione del corso, a ottobre verrà organizzato un evento per presentare questa iniziativa e il prodotto dolciario che ne uscirà. L’idea che oggi sembra del tutto realizzabile è di far diventare questo un laboratorio fisso. "I cinque insegnanti hanno già dato la loro disponibilità - spiega Brun -. Ma la notizia più bella è che l’entusiasmo ha già contagiato altri pasticcieri che si sono offerti per tenere lezioni in futuro".

In attesa di sapere se verrà finanziato dalla Regione, le spese del corso sono interamente coperte dall’Associazione assistenza carcerati e famiglie di Gallarate. Gli organizzatori ringraziano inoltre la Ditta Gianni Pan, Giuso, Whirlpool, Logora, Del Signore e il comune di Gallarate per il patrocinio.

 

In carcere stare fermi significa morire…

 

Tre ore intense di lavoro e poi la giusta ricompensa: un buon pranzetto a base di pizza e dolci. Così si è svolta la mattinata di giovedì 17 luglio per un gruppo di detenuti: una lezione di pasticceria tenuta da Denis Buosi e un pranzo tutti insieme. Sono nove le persone che prendono parte al progetto voluto dall’Associazione assistenza carcerati e famiglie di Gallarate: a giugno hanno iniziato a frequentare le lezioni tenute dai cinque pasticcieri della provincia di Varese. Oggi è toccato ai cioccolati e alle mousse di Buosi.

"Mi piace - racconta Gueye, del Senegal, per tutti Jeck -, sapevo già cucinare un po’, ma queste sono cose in più da imparare". Ed è proprio questo spirito che giuda anche Stefano e gli altri: sfruttare l’opportunità di poter imparare qualcosa di nuovo. "È un po’ impegnativo, ma molto interessante" piega Mauro, "soprattutto quando poi mangiamo!" gli fa eco Giuseppe.

Un corso questo che oltre a tenerli impegnati e a fornire nuove competenze, permette loro di migliorare anche la qualità di vita in carcere. "Qui in cucina impariamo - racconta Giuseppe - e poi in cella possiamo cucinare per noi e in nostri compagni". In carcere infatti c’è la possibilità sia di avere pasti pronti che di acquistare le "materie prime" e cucinare. "Abbiamo i fornelletti da campeggio - spiega Giuseppe - e riusciamo anche ad allestire dei forni: si mette un piatto sopra il fornello, sopra un cappello di carta stagnole e poi una lattina dei pelati bucata. E così si fa tutto: ieri mi sono fatto un’ottima pasta al forno. Quando ero fuori non cucinavo molto, ma qui dentro impari ad apprezzare tante cose di cui prima non ti accorgevi".

Un sentimento questo che accomuna un po’ tutte le persone che vivono l’esperienza della detenzione. "Sono qui da tanti anni - racconta Orazio Caci -: lavoro come giardiniere, ho fatto il corso di pizzaiolo, per usare il Pc e ho preso la maturità. Non bisogna mai stare fermi in carcere: oziare è negativo, stare fermi significa morire". Secondo Caci bisogna sempre pensare "al futuro, a quando uscirai, alle prospettive e cogliere le opportunità che il carcere ti offre. Qui non ci sono discriminazione, tutti possono studiare, lavorare e partecipare alle attività, ma sta a ognuno di noi saperle cogliere". Orazio ci racconta tutto questo mentre stende la pasta della pizza: "Spero di mettere a frutto quello che ho imparato qui. Prima non sapevo cucinare, quando sarò fuori potrò fare la pizza ai miei nipotini".

 

Virginio Ambrosini, volontario in carcere da 15 anni

 

Un veterano fra chi lavora in carcere: Virginio Ambrosini da 15 anni è volontario nella casa circondariale di Busto Arsizio e da tre anche in quella di Varese. Ex gastronomo, Ambrosini insegna ai detenuti a cucinare e ha tenuto dei corsi organizzati da Enaip. Lo abbiamo incontrato durante la lezione di pasticceria di Denis Buosi. "Qui c’è bisogno di tante attività. Anche per questo corso di pasticceria bisognerebbe trovare il modo di continuare anche in futuro". Il suo giudizio sulle attività in carcere è chiaro: "È un modo per uscire e non stare tutto il giorno in cella. Quello che è successo in passato è un fatto, ma ora sono persone da rispettare. Anche le amministrazioni locali dovrebbero iniziare a pensarci".

Tempo fa è nata ad esempio l’idea di aprire un panificio, ma per partire davvero manca ancora le risorse. "Abbiamo gli strumenti, il forno, l’impastatrice, ma avremmo bisogno di un aiuto esterno per partire. Ad esempio un panettiere che per i primi due o tre mesi ci fornisca le materie e prima e poi, una volta iniziato il ciclo, saremmo indipendenti. L’idea è quella di fornire il pane per tutti i detenuti in carcere e poi magari venderlo anche all’esterno".

Secondo Ambrosini infatti per i detenuti "lavorare è fondamentale. Quando sei tutto il giorno qui dentro, spesso inizi a pensare. È allora che hai bisogno di qualcuno che ti ascolti e di tenere la mente occupata. Il lavoro li aiuta anche in questo, a risolvere queste problematiche". L’ultimo pensiero va anche alla direzione e agli agenti di Polizia Penitenziaria. "Il ruolo dei volontari qui è fondamentale, ma non potremmo fare nulla senza il sostegno del direttore e l’aiuto degli agenti. Senza un lavoro di squadra non potremmo coinvolgere i detenuti: è una catena di reazioni positiva".

Roma: intervista al Cappellano dell’Ipm di Casal del Marmo

 

Roma Sette, 18 luglio 2008

 

Il cappellano della struttura, padre Gaetano Greco, racconta il percorso di recupero dei ragazzi detenuti. Domenica la Messa del cardinale Vallini di Antonella Gaetani.

Domenica 20 luglio, a celebrare la Messa per i detenuti del carcere minorile di Casal del Marmo, sarà il cardinale vicario Agostino Vallini. Un nuovo segno di attenzione alle realtà di disagio in città, dopo la visita alla casa famiglia della Caritas diocesana. Accolto con gratitudine dal cappellano, padre Gaetano Greco, originario di San Giovanni Rotondo.

Il pensiero del sacerdote va a un altro "Agostino", illustre personalità della Chiesa, a lungo tra i ragazzi di Casal del Marmo per aiutarli nella possibilità di recupero. Ovvero il cardinale Casaroli, segretario di Stato vaticano dal 1979 al 1990, sostenitore della realizzazione della casa famiglia Borgo Amigò, fondata dai Cappuccini dell’Addolorata, per accogliere i ragazzi che devono scontare misure alternative al carcere. È qui che incontriamo padre Gaetano Greco, cappellano dal 1981, per farci raccontare chi sono i giovani detenuti. Su una parete sono affissi dei quadretti, in uno di questi c’è scritto: "Ricorda che se per il mondo non sei nessuno, per qualcuno sei il mondo". Intanto, sotto il portico, alcuni ospiti della casa con la chitarra intonano canzoni d’amore.

 

Padre Gaetano, chi sono questi ragazzi?

Sono giovani che si sono allontanati da casa. Alle spalle hanno esperienze familiari difficili. Talvolta non hanno neanche i documenti e danno delle false generalità. Così è la strada ad educarli e, per vivere, rubano o spacciano. E arrivano in carcere.

 

Come cerca di stabilire un contatto?

Nel carcere i ragazzi vivono un’esperienza molto forte. Nasce così l’esigenza di stabilire un contatto con qualcuno. Hanno bisogno di parlare e io cerco di aiutarli. Ma è un percorso lento. Prima di stabilire un buon dialogo è necessario costruire un rapporto di fiducia. Si rivolgono a me per molte cose. Anche l’istituto è molto attento a salvaguardare l’adolescente.

 

Come trascorrono le giornate?

La mattina, d’inverno, seguono le lezioni scolastiche. Poi hanno delle attività di laboratorio, come la falegnameria, la tappezzeria e la pizzeria. Poi c’è il teatro e lo sport. Sono tutte iniziative cha aiutano i ragazzi a familiarizzare, a rompere la diffidenza e a creare delle relazioni.

 

Cosa rappresenta la Messa?

Ogni domenica si celebra un’Eucaristia ecumenica. Quasi tutti partecipano, anche se sono di religioni diverse. È un momento importante perché fa crescere il senso della comunità. Bisogna stare attenti a far sentire tutti a loro agio. L’omelia acquista un valore importante perché ha un forte significato: è uno spunto per riconsiderare la propria storia.

 

Come cerca di proporre il Vangelo?

Leggendolo. L’incontro con la fede avviene sempre attraverso la Parola.

 

Ha registrato dei cambiamenti da quando lei è cappellano, dal 1981 ad oggi?

Sì, molti. Nei primi dieci anni in cui sono stato nel carcere ho notato un forte bisogno di aggregazione e un grande bisogno di riscoprire la fede, molti hanno ricevuto i sacramenti. Oggi trovo che nei ragazzi ci sia più indifferenza. Sono insoddisfatti di tutto e tendono a voler avere tutto e subito.

 

Come ridare speranza a questi giovani?

È fondamentale capire che si può sbagliare. Bisogna aiutarli a guardarsi dentro tenendo presente che Dio è Misericordia e perdona l’uomo. Ma queste parole vanno rese concrete con i fatti. Ciò che dà la carica allo sfiduciato è una mano pronta ad offrire aiuto e a venire incontro a un’esigenza. Il gesto concreto testimonia più di tante parole e cambia la relazione con l’altro.

 

Quali sono le richieste dei ragazzi?

Poter parlare con qualcuno senza essere giudicati, dare delle risposte alle loro lacerazioni, offrire la possibilità di imparare un mestiere per poi poter trovare un lavoro. Dare loro quest’ultima opportunità, nel concreto, vuol dire: "Forza, il mondo ti aspetta!". Per questo, molti mi chiedono di poter entrare in comunità e fare un percorso diverso.

 

Riescono a trovare lavoro?

Dei ragazzi che vivono nella casa, e sono più di dieci, quasi tutti lavorano e imparano un mestiere.

 

Un’ultima domanda. Secondo lei perché il cardinale Casaroli aveva un legame così stretto con Casal del Marmo?

Quando era un giovane sacerdote si è trovato spesso a passare sotto le finestre del San Michele. E osservava i ragazzi del carcere mentre si divertivano a prendere in giro i passanti. Così si chiese: "Cosa posso fare per questi giovani?". Ha risposto a questa domanda con la sua vita.

Sulmona: "Giostra in carcere", esposti i prodotti dei detenuti

 

Il Messaggero, 18 luglio 2008

 

"Giostra in carcere": è questo il significativo titolo del convegno in programma sabato 19 luglio, alle ore 18.30, presso il Cortile di Palazzo dell’Annunziata. L’iniziativa ha visto coinvolti l’Amministrazione Penitenziaria (finanziatrice del progetto), l’Enfap Abruzzo, il Comune, la Provincia e la Giostra Cavalleresca.

In carcere sono nati laboratori artigianali di falegnameria, cuoio e pellame; sartoria, serigrafia, ceramica; attraverso un’intensa attività formativa, i detenuti hanno acquisito competenze professionali nel campo dell’artigianato artistico e realizzato una serie di manufatti riferibili alle attività della Giostra (sagome, mantenitori, scudi, calzature, ecc). Gli oggetti realizzati dai detenuti saranno esposti nella Cappella del Corpo di Cristo durante l’intero periodo delle Giostre sulmonesi (fino al 3 agosto 2008).

Al convegno sono previsti gli interventi del sindaco Fabio Federico, dell’ex direttore del carcere sulmonese, Giacinto Siciliano (oggi direttore del carcere milanese di Opera), il quale avviò il progetto; dell’attuale direttore della Casa di reclusione Sergio Romice, del Presidente regionale dell’Enfap, Daniele Di Fabio e dell’assessore provinciale Teresa Nannarone.

Diritti: Poretti (Ri); senza legge impossibile tassare prostitute

 

Agenzia Radicale, 18 luglio 2008

 

Fisco e prostituzione, accertamenti esattoriali, tasse e diritti negati, era il tema della conferenza stampa tenutasi ieri al Senato. Di fronte alle richieste dello Stato alle prostitute di pagare le tasse sulla loro attività, diventa ancora più urgente varare una legge su un ambito lasciato senza alcuna regolamentazione, tanto urgente da avere depositato già dal primo giorno della legislatura, un disegno di legge in materia con il senatore Marco Perduca. Un ddl in tre articoli per il riconoscimento dell’attività di "prestazione di servizi sessuali remunerati tra persone maggiorenni consenzienti". Due i regolamenti previsti, uno per i controlli igienico e sanitari, l’altro per il fisco.

E proprio sulle richieste di tasse alle prostitute che oggi abbiamo depositato una interrogazione parlamentare per chiedere al governo una interpretazione uniforme alla quale l’Agenzia delle Entrate si attenga per il trattamento fiscale dei redditi derivanti dalla prostituzione. Questo sempre in attesa di una legge che ponga fine all’attuale situazione di incertezza, ma che provoca anche lo sfruttamento di tante donne.

All’incontro ha preso parte anche Margherita, una "accompagnatrice" che ha avuto una "cartella" da 88 mila euro, presente anche l’avvocato, Luca Berni, che assiste una prostituta che ha ricevuto un’altra cartella esattoriale e che spiega di volere non un pagamento "fatto così" ma un reddito di una attività riconosciuta, superando l’ipocrisia di fondo e una morale cattolica che mantengono una situazione che porta allo sfruttamento e al degrado. Bruno Mellano, presidente dei Radicali, ha evidenziato come siamo di fronte alla sconfitta della politica, tale da far emergere contraddizioni che potrebbero spingere per affrontare il tema.

Come si può fare la dichiarazione dei redditi per una attività che non è riconosciuta giuridicamente? A fronte del pagamento delle tasse deve esserci il riconoscimento dell’attività svolta dalle prostitute. In caso contrario lo Stato sarebbe paragonabile ad uno sfruttatore perché esige o estorce balzelli dai proventi della prostituzione, attività che non riconosce. Noi chiediamo quindi al governo di darci una risposta perche è una situazione che potrebbe portare a denunce".

A preannunciare proprio una denuncia per sfruttamento da parte dello Stato è stata Pia Covre, presidente del Comitato dei diritti civili delle prostitute e su questo ha già visto il sostegno di Sergio Rovasio, segretario dell’associazione Certi Diritti, che ha evidenziato come in Italia stiamo regredendo in tema di diritti civili.

 

Interrogazione dei Senatori Donatella Poretti e Marco Perduca, al Ministro del Lavoro, Salute e politiche sociali, al Ministro dell’Economia e delle Finanze

Premesso che nel novembre del 2007, una sentenza d’appello della Commissione tributaria della Lombardia condannava M. L. al pagamento di una somma di circa 70 mila euro all’Agenzia delle Entrate, comprensiva di tasse e sanzioni, per l’omessa dichiarazione al fisco di redditi non documentabili in quanto provenienti dal libero esercizio dell’attività meretricia da parte della medesima - rivolgendosi alla Commissione tributaria provinciale, la donna ha dimostrato di essere stata una prostituta, durante il giudizio il suo legale ha anche prodotto le inserzioni con cui la donna ha pubblicizzato la sua attività e le bollette relative all’utenza telefonica utilizzata;

i giudici di primo grado si sono espressi a favore di M. L. affermando che i guadagni della prostituzione "non possono essere considerati tecnicamente redditi" e che "la Commissione, in sintonia con il principio enucleato dalla Corte di Cassazione in tema di qualificazione del fenomeno della prostituzione con la sentenza n. 4927 del 1 agosto 1986, condivide l’ipotesi avanzata dalla ricorrente sulla determinazione dei proventi, e quindi sulla non tassabilità degli stessi, quale forma di risarcimento del danno sui generis a causa della lesione dell’integrità della dignità di chi subisce l’affronto della vendita di sé; analoga considerazione e trattamento dovrebbero avere, proprio per la stretta connessione tra l’utilizzo diretto del proprio corpo e guadagno, i casi, per esempio, di vendita a scopo di lucro di organi propri della persona (…)";

in appello la decisione è stata ribaltata. Le motivazioni della Commissione tributaria regionale, anche se non affrontano in modo diretto il tema dei guadagni da prostituzione, partono dal presupposto che M. L. ha avuto comunque un reddito (che lei ha dimostrato provenire dalla sua attività). Esso è quello presunto calcolato dall’Agenzia delle entrate sulla base delle proprietà della donna, consistenti in sei appartamenti a Milano;

nel mese di giugno 2008, Z. C., cittadina di origine sudamericana, in Italia dal 2004 con regolare permesso di soggiorno, residente a Parma, è stata multata a pagare 90 mila euro di tasse dalla Guardia di Finanza, per l’omessa dichiarazione di redditi stimati per un ammontare di 357.000,00 euro, provento della attività di prostituta esercitata dalla medesima;

la contestazione a Z. C. avverrebbe in ordine al principio che il meretricio è un atto civilisticamente illecito, e i guadagni sono tassabili quali redditi diversi derivanti da proventi illeciti. Illecito ritenuto tale in forza dell’art. 5 del Cod .Civ., che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume. In realtà questo articolo sembra non riguardi la questione, in quanto i rapporti e le attività ipoteticamente compiute dalla Signora Z. C. non possono essere parificati o paragonati -neppure per interpretazione estensiva - ai cosiddetti atti di disposizione del proprio corpo. Se così, invece, fosse dovrebbero essere considerati tali anche i rapporti che si hanno senza remunerazione, che invece sono espressione di quella libertà sessuale che é garantita dalla Costituzione;

sono numerose le segnalazioni da parte di prostitute che riferiscono di essere state condannate a pagare ingenti sanzioni per la mancata dichiarazione dei redditi derivanti dalla loro attività. Molte di loro si vedono costrette a continuare e a incrementare la propria attività per far fronte alle somme dovute all’Erario;

perché sussista l’individuazione di un regime fiscale per i proventi della libera prostituzione, deve esistere un rapporto tra contribuente e Stato in cui quest’ultimo garantisca al contribuente le opportune forme di tutela, regolarizzazione e assistenza nel pieno rispetto dei diritti lavorativi;

la legislazione italiana non regolamenta in alcun modo l’aspetto fiscale relativo all’esercizio di un’attività di tipo meretricio, non essendo questa una professione civilisticamente riconosciuta.

Per sapere: se i Ministri interrogati non ritengano necessario informare l’Agenzia delle Entrate con una interpretazione univoca sul trattamento fiscale dei redditi derivanti dalla prostituzione.

 

Pia Covre: "Pronta a denunciare l’agenzia delle entrate"

 

"Lo Stato sospenda, con una circolare ministeriale, tutte le procedure di richiesta di tassazione alle operatrici del sesso. In caso contrario, alla luce della legge Merlin, che è molto chiara, io sono pronta a denunciare l’Agenzia delle entrate per sfruttamento della prostituzione". A dirlo è Pia Covre, presidente del Comitato diritti civili delle prostitute, nel corso della conferenza stampa sul tema "Prostituzione e fisco", promossa dai senatori Radicali-Pd Donatella Poretti e Marco Perduca, oggi pomeriggio a Palazzo Madama.

"Si discuta di una legge che possa assicurare diritti, supporto e assistenza a chi decide di esercitare liberamente questa professione - è l’invito di Covre - ma, soprattutto, si applichi la richiesta di pagamento delle tasse a tutti i condannati per sfruttamento della prostituzione e traffico di esseri umani che, per quanto mi risulta, non sono mai stati raggiunti dall’Agenzia delle entrate".

Diritti: così le leggi sulla prostituzione negli altri paesi europei

 

Agenzia Radicale, 18 luglio 2008

 

In Italia prostituirsi non è reato. La legge n.75/1958 Merlin ha chiuso le case di tolleranza. Divieto di qualsiasi attività tesa a consentire, favorire, agevolare la prostituzione. Depenalizzato dal 1999 l’adescamento a illecito amministrativo.

In Olanda la prostituzione è legale e ciò a partire addirittura dal 1815. Dal 2000 sono diventati legali anche i locali dove esercitarla. Sono anche disponibili undici zone speciali, dove le professioniste del sesso lavorano all’aperto. Guai però a lavorare fuori da queste zone: la polizia potrebbe anche arrestarle. Le prostitute per essere in regola debbono anche pagare le tasse.

In Belgio la prostituzione è legale fin dal 1948, ma può essere perseguita se turba l’ordine pubblico. Punito anche lo sfruttamento. Generalmente la maggior parte dell’attività economica legata al sesso si svolge in bar a luci rosse e case private. Le prostitute debbono essere in regola anche con il fisco proprio come delle lavoratici autonome e possono godere anche di assistenza sociale.

In Germania occorre fare riferimento a una legge che legalizza l’attività di circa 400.000 lavoratrici del sesso assegnando alle prostitute tutte le garanzie assicurative in materia di malattia, disoccupazione e pensione. Il favoreggiamento non è punibile (sempre che non vi sia sfruttamento) e l’attività dei locali ad hoc è considerata lecita.

In Austria la prostituzione è consentita nelle case chiuse ed è obbligatoria una registrazione di esercizio. All’aperto è tollerata in alcune aree urbane ed extra-urbane.

In Svizzera la prostituzione è legale; nel Cantone Ticino viene anche esercitata all’interno di bar-alberghi. La normativa prevede anche la patente per affittacamere e la registrazione.

In Gran Bretagna la prostituzione non è illegale ma è vietato l’adescamento e lo sfruttamento. Il lavoro si svolge prevalentemente in locali e abitazioni private, ma anche in strada.

Le case chiuse in Spagna sono illegali dal 1956 anche se di fatto si sono trasformate in "club". Dal 1995 la legge non vieta la prostituzione, ma punisce chi ricatta e sfrutta le prostitute.

Le case di tolleranza in Francia sono state chiuse nel 1946 con la legge Marthe Richard che non considera reato la prostituzione sulle strade. Il meretricio viene definito come un’attività che viola la tranquillità e l’ordine pubblicò ed è per questo che si prevedono sanzioni contro l’adescamento e i clienti.

In Grecia le prostitute debbono iscriversi in appositi registri e sottoporsi a visite mediche periodiche che autorizzano a svolgere il lavoro in veste quasi ufficiale.

La Svezia, risulta uno dei Paesi europei più severi nei confronti del sesso a pagamento. Anche se non lo considera un reato, una legge in vigore dal gennaio 1999 ha introdotto le maniere forti nei confronti dei clienti. Se colti in flagrante rischiano da sei mesi a un anno di carcere. Non sono punibili le prostitute, ma è sanzionato l’adescamento, sia se compiuto da chi vuole vendere la prestazione sessuale sia se compiuto da chi la vuole comprare.

In Irlanda la prostituzione è invece considerata un reato. Niente case chiuse dunque e sono previste ammende ed arresto sia per le prostitute sia per i clienti.

Droghe: Giovanardi insiste; test tossicologici per avere patente

 

Dire, 18 luglio 2008

 

La sperimentazione proposta "punta a valutare scientificamente se introducendo test tossicologici al momento della richiesta della patente di guida, si possa ridurre il numero di persone che ottengono la patente di guida (sia di motocicli che di auto) e utilizzano sostanze stupefacenti o abusano di alcol".

È quanto si legge in una nota del Dipartimento per le Politiche Antidroga della presidenza del Consiglio, guidato dal sottosegretario di stato Carlo Giovanardi. Il codice della strada, si ricorda, "prevede già che per ottenere tale abilitazione debbano sussistere tutte le condizioni mediche e psichiche che connotino una idoneità alla guida e che queste debbano essere regolarmente certificate da personale medico abilitato a tale scopo.

Nulla di sorprendente, quindi - aggiunge Giovanardi - se non che per rilasciare tale certificazione si vuole introdurre una maggior attenzione e rigore nel formulare tale giudizio di idoneità utilizzando strumenti diagnostici, che già il medico potrebbe utilizzare se volesse approfondire dubbi o sospetti, anche tramite la commissione patenti".

Inoltre, si precisa ancora, "che una persona che utilizza droghe o abusa di alcol, anche occasionalmente, possa essere definita "non idonea" a condurre automezzi, crediamo sia fuori discussione stante le leggi attuali ma anche semplicemente il buon senso. L’utilità dell’introduzione dell’uso di esami tossicologici al momento della visita di idoneità alla guida - prosegue il sottosegretario - non sta solo nell’individuare le persone positive ma anche e soprattutto nello scoraggiare anticipatamente quelle persone che usano, anche occasionalmente, droghe o abusano di alcol, a presentarsi a tali esami, senza aver interrotto prima di richiedere l’abilitazione alla guida tale comportamento a rischio per la propria ed altrui salute".

Per quanto riguarda l’avviso ai genitori di condizioni di rischio individuate dai sanitari in persone minorenni, esso, rileva Giovanardi, "non solo è opportuno, ma doveroso nei confronti di chi esercita la potestà genitoriale ed è chiamato a provvedere obbligatoriamente provvedere alla tutela della salute dei figli.

Il medico non potrà sottrarsi quindi, per i minorenni - va avanti il sottosegretario - dal comunicare ai loro genitori il rischio salute (sia fisica che psichica) che tali ragazzi corrono nell’usare droghe (anche occasionalmente) o nell’abusare di alcol". Nella nota si specifica, inoltre, che "questa iniziativa, di tipo sperimentale, andrà ad affiancarsi ad altre iniziative (già sperimentate con successo) di intensificare i controlli sulle strade però con metodiche più efficienti e sofisticate al fine di rendere più efficaci le azioni delle forze dell’ordine soprattutto nei controlli notturni. Ben vengano comunque tutti i contributi, anche quelli particolarmente critici per migliorare il protocollo di intervento".

Droghe: test per la patente è bufala estiva? un’interrogazione

di Pietro Yates Moretti (Presidente Associazione Utenti e Consumatori)

 

Notiziario Aduc, 18 luglio 2008

 

Siamo fortemente perplessi dall’iniziativa annunciata dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Carlo Giovanardi, di sottoporre a test alcolemici e tossicologici coloro che fanno richiesta della patente di guida.

Per prima cosa troviamo che sia un test del tutto inutile, in quanto difficilmente il candidato si presenterà al test medico sotto l’effetto di droghe o alcolici. Ciò che invece andrebbe fatto - ma che ovviamente è soluzione ben più impegnativa - è quadruplicare i controlli sulle strade, dotando le forze dell’ordine della strumentazione adatta per pizzicare in flagrante chi guida sotto stato di alterazione. Questa sì che sarebbe una rivoluzione! Ma d’estate, si sa, si proclamano iniziative clamorose e auto promozionali che lasciano il tempo che trovano.

Secondo, la legge europea e italiana vieta il rilascio della patente di guida a chi è dipendente o chi fa uso continuato di sostanze psicotrope, e non certo al consumatore occasionale (direttiva 2006/126/CE e Codice della Strada). Non si può quindi, allo stato attuale, impedire al consumatore occasionale di alcool o cannabis di ottenere la patente solo perché un test individua tracce di alcolici o cannabis, magari assunti giorni prima. Per farlo è necessario cambiare la legge, cosa che Giovanardi non ha il potere di fare.

Terzo, non ci risulta alcuna direttiva europea che imporrebbe un tale controllo entro il 2011, come sostiene Giovanardi, ma potremmo sbagliarci. Abbiamo chiesto delucidazioni all’Ufficio del Dipartimento della Presidenza del Consiglio, che però non ci ha saputo rispondere.

Quarto, il fatto che l’eventuale risultato positivo ai test venga immediatamente notificato ai genitori, dimostra che l’iniziativa ha ben poco a che fare con la sicurezza stradale. È invece un maldestro tentativo di testare tutti i giovani italiani, cosa che non si è riusciti a fare regalando i kit antidroga alle famiglie in alcune città italiane. Nei prossimi giorni presenteremo un’interrogazione parlamentare grazie alla senatrice Donatella Poretti per chiedere gli estremi della sperimentazione e su quali normative essa si basi.

Droghe: macchine scambia-siringhe a Milano, raccolta di firme

 

Notiziario Aduc, 18 luglio 2008

 

Letizia Moratti, sindaco di Milano nonché "portavoce" di San Patrignano, scende in campo contro la droga. Comunica ai giornalisti la sua teoria secondo la quale i tossicodipendenti devono essere totalmente recuperati, annuncia che il Comune non rinnoverà più le convenzioni con le associazioni che si occupano di riduzione del danno e conferma che farà chiudere tutte le macchine scambia-siringhe in giro per la città. Detto, fatto.

Settembre 2007: in concomitanza con il Convegno dell’Ecad (che Letizia decide saggiamente di organizzare a Milano per festeggiare l’adesione del Comune alla Rete delle città europee più proibizioniste in fatto di droghe), le macchine scambia-siringhe non sono più rifornite, le Associazioni che ne gestiscono il funzionamento restano senza fondi e gran parte dell’accurato lavoro che negli ultimi tredici anni è stato fatto in materia di riduzione del danno viene seriamente compromesso.

Poco importa che la riduzione del danno sia uno dei quattro pilastri su cui si basa la politica europea in materia di droghe, recepita dall’Accordo tra il Governo, le regioni (Lombardia compresa!) e le province autonome nel documento "Piano italiano d’azione sulle droghe" (vedi Gazzetta Ufficiale del 15 febbraio 2008). Poco importa che la riduzione del danno sia stata recepita nei Lea (Livelli Essenziali di Assistenza) fissati dal Ministero della Salute.

A Milano le macchine scambia-siringhe, dopo 12 anni di onorato servizio, sono inutilizzate.

Eppure era stato proprio il Comune di Milano a volerle. È il 1990 quando il Consiglio Comunale mette per la prima volta all’ordine del giorno la questione dell’installazione, in via sperimentale, di 12 macchine scambia-siringhe. La sperimentazione prende il via effettivo nel 1995 (giunta leghista!), con l’installazione delle prime 2 macchine, che nel giro di tre anni diventano sei, dislocate nelle zone più "calde"di Milano: Piazza Firenze, Via Tintoretto, Via Serra, Piazzale Lotto, Via Messina e Via Amoretti.

La loro gestione viene poi affidata ad una serie di cooperative e associazioni (tra cui la Lila) che, di concerto con l’Ufficio Tossicodipendenze del Comune di Milano, hanno il compito, oltre che di rifornire le macchine, di entrare in contatto da un lato con la cittadinanza, per informarla adeguatamente sul servizio, e dall’altro con gli operatori dei Ser.T. e i farmacisti, per trovare, tra chi lavora quotidianamente con i tossicodipendenti, forme di collaborazione.

Nel giro di 10 anni, le macchine scambia-siringhe diventano 18; erogano in media 70.000 siringhe all’anno, di cui una percentuale tra il 65 e il 70% derivante dallo scambio siringa usata - siringa pulita; 470.000 siringhe erogate in 12 anni. Questo piccolo progetto di riduzione del danno diventa uno dei migliori d’Europa, inserito in un sistema di servizi a bassa soglia che, nonostante l’incertezza cronica dei finanziamenti, funziona bene (259.518 contatti di tossicodipendenti con gli operatori, 1.483.438 siringhe sterili distribuite in tutta la Lombardia tra il 2004 e il 2006, di cui più di un milione restituite).

Ma al Sindaco Moratti tutto questo non interessa. Non le interessa che la Lombardia sia la regione italiana con il più alto numero di persone che hanno contratto il virus dell’Hiv dall’inizio della pandemia (su più di 57.000 casi in tutta Italia, il 29,85 % sono in Lombardia e di questi, secondo i dati forniti dalla Lila nel 2005, il 40 % si è ammalato a causa di problemi legati alle dipendenze). Non le interessano le lettere dei comitati dei quartieri che denunciano situazioni a rischio per le siringhe abbandonate. Non le interessa neppure che sui giornali torni l’allarme siringhe nei parchi con mamme e bambini a rischio infezione. A Milano non si deve parlare (né tantomeno praticare) di riduzione del danno.

C’è chi dice no: noi Radicali riteniamo il "Moratti pensiero" insensato e irresponsabile e da mesi raccogliamo firme su una petizione popolare rivolta al Consiglio Comunale per chiedere il ripristino delle macchine scambia-siringhe e serie politiche di riduzione del danno. Servono almeno mille firme per chiedere alla Moratti di non buttare al vento il lavoro di questi anni. Mille firme di buon senso, per salvaguardare la dignità e la salute dei consumatori, per ridurre il danno per tutti i cittadini. Mille firme per ricordare a tutti, anche a chi fa lo struzzo, che l’Aids non è scomparso.

Mentre a Teheran vengono attivate le macchine scambia-siringhe, mentre la polizia e i tribunali di Vancouver chiedono all’amministrazione comunale di non chiudere la narco-sala locale, la città che si appresta ad organizzare l’Expo del 2015 mette sotto il tappeto i problemi, le persone che, per la Moratti e per tutti i proibizionisti come lei, non "hanno problemi" ma "sono un problema".

Contro tutto questo, anche una firma, la tua firma, è importante. Quest’estate cercheremo di essere presenti con il nostro banchetto alle varie feste della sinistra; qualcuno vorrà essere nostro compagno di strada e di lotta?

 

Nathalie Pisano (Comitato Nazionale Radicali Italiani)

Virginia Fiume (associazione Enzo Tortora- Radicali Milano)

 

 

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