|
Giustizia: mille detenuti in più al mese, aumento insostenibile
Panorama, 17 luglio 2008
Le carceri italiane stanno scoppiando. A due anni dall’indulto, è ancora allarme. A lanciarlo è l’associazione Antigone che denuncia una situazione al limite della vivibilità dove aumentano i suicidi e i tentativi di suicidio. Anche tra i minori. "Da gennaio a giugno di quest’anno sono state quasi seimila le persone condotte in carcere con una media di mille detenuti al mese" spiega Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, associazione che si occupa dei diritti dei detenuti. Al momento all’interno delle strutture carcerarie italiane sono presenti 54.605 detenuti, con 11.715 unità in più rispetto alla regolare capienza di 42.890 posti letto. "Al 31 dicembre scorso la popolazione carceraria era di 48.693, un numero in costante crescita dal luglio 2006 data del provvedimento dell’indulto" precisa Gonnella "ma solamente in poche settimane il numero dei detenuti ha superato le 54 mila presenze". Dall’inizio dell’anno a giugno 2008 ci sono stati già ventitré suicidi e trenta detenuti morti per cause naturali. Secondo i dati sui decessi e gli atti di autolesionismo resi noti dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, in carcere ci si ammazza più o meno diciotto volte di più che all’esterno. Una statistica condotta sul numero dei detenuti mediamente presenti tutto l’anno. I suicidi che si sono verificati nel 2007 hanno interessato lo 0,10 per cento della popolazione carceraria. Di questi 43 sono stati uomini (27 italiani, 16 stranieri) e due donne italiane (0,22 per cento tra quelle detenute). "La maggior parte degli atti auto-soppressivi si è registrato tra gli imputati visto, da un lato, l’alto numero di suicidi che si hanno al momento sconfortante dell’ingresso in carcere" prosegue Gonnella "ma anche dall’altro, il maggior numero di imputati che si registra a seguito dell’indulto, che li ha interessati più marginalmente". I tentativi di suicidio sono stati in totale 619, di cui 571 uomini (287 italiani e 284 stranieri). Tra le donne, invece, 22 erano di nazionalità italiana e 17 straniere. La percentuale degli atti di autolesionismo nel 2007 è stata altissima interessando l’8,14 per cento dei detenuti ovvero 3.687 persone. Il dato più preoccupante riguarda i minori. Poche settimane fa al Ferrante Aporti di Torino un ragazzo di sedici anni si è tolto la vita. Sempre nel carcere minorile torinese i primi di aprile altri due quindicenni, a distanza di poche ore l’uno dall’altro, hanno tentato di uccidersi ma sono stati salvati all’intervento delle guardie carcerarie. Il primo si chiama Rachid, ha utilizzato le lenzuola del proprio letto come cappio. L’altro, Karim si è tagliato le vene utilizzando i cocci di una bottiglia di vetro. "L’incremento dei casi di suicidio o dei tentativi è dovuto in parte anche ad una carente struttura carceraria parallela ovvero, quella costituita dagli assistenti, psicologi e parroci" spiega l’avvocato Renato Borzone, segretario dell’Unione Camere Penali Italiane. "Loro potrebbero essere un supporto importante, se non fondamentale, per chi è psicologicamente più fragile e non riesce a sopportare il regime carcerario". Poi Borzone prosegue: "Abrogare la legge Gozzini invece di affrontare l’emergenza sovraffollamento significa puntare ad un sistema disumano che potrebbe riportarci indietro negli anni". Anche Franco Corleone, Garante dei diritti dei detenuti del comune di Firenze, ribadisce l’importanza dei mediatori culturali per cercare arginare i tentativi di suicidio: "Stiamo rischiando di passare dal codice Rocco, un codice su base etica, ad un codice su base etnica"dove chi compie i reati viene "trattato in maniera diversa a seconda della propria provenienza" spiega e prende ad esempio il carcere di Sollicciano dove il 60 per cento dei detenuti è straniero e la maggior parte di loro si trova in carcere per violazioni amministrative (legge Bossi-Fini) o per droga. Giustizia: negli Opg 1.348 internati… in condizioni terribili
Apcom, 17 luglio 2008
Negli ospedali psichiatrici giudiziari in Italia sono internate 1.348 persone, tra cui 98 donne, tutte a Castiglione delle Stiviere. È l’ultimo censimento diffuso ieri dall’Associazione Antigone che ha presentato a Roma "In galera", il V rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia. Ribattezzati dal 1975 "Ospedali Psichiatrici Giudiziari", ma ben noti fin dalla fine dell’800 come "Manicomi Criminali", sono gli istituti dove scontano la relativa misura di sicurezza le persone prosciolte per infermità psichica e socialmente pericolose è la misura di sicurezza. Il 65,1% degli internati in misura di sicurezza negli Opg italiani ha commesso un reato contro la persona, il 15,4 contro il patrimonio, il 4,9% contro la libertà sessuale, il 14% altro. Gli ospedali psichiatrici giudiziari sono 6 in Italia: Aversa, 164 posti di capienza per 321 uomini internati, Barcellona Pozzo di Gotto, 216 posti per 250 uomini internati, Castiglione delle Stiviere, 193 posti per 237 internati, 139 uomini e 98 donne, Napoli 150 posti per 76 internati uomini, Montelupo Fiorentino 100 posti per 184 internati uomini, Reggio Emilia 132 posati per 280 internati, tutti uomini. Ma oltre ai numeri l’associazione denuncia le condizioni di vita negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, dove sopravvivono ancora i letti di contenzione e le camere di coercizione. "Condizioni di vita troppo dure, diversi casi di detenzione ingiustificata, eccessivo uso di letti di contenzione, strutture in alcuni casi sovraffollate e sporche", questo il quadro degli Opg tracciato dal rapporto. In tutti gli ospedali psichiatrici giudiziari italiani sono presenti una o più sale di coercizione, con letti con cinghie di cuoio e - a volte - un buco al centro per i bisogni fisici. "Il dato è preoccupante in sé perché l’uso della coercizione è di per sé una pratica violenta che costringe un soggetto con disagio mentale a essere legato al letto per un periodo di tempo indefinito", denuncia l’Associazione, preoccupata anche per l’assenza di dati relativi ai tempi medi della coercizione. "Di certo - sottolinea il rapporto - non mancano casi di internati costretti al letto di coercizione sino a 14 giorni di seguito". Ma il problema è che non esiste un protocollo unico di intervento, né un registro apposito che consenta di monitorare l’uso che viene fatto dalla pratica della coercizione, né è possibile stabile in che misura abbia una efficacia terapeutica e in quale sia invece uno strumento di mero contenimento fisico. In media almeno un internato su sei ha conosciuto l’esperienza, terribile, della coercizione, ma è "un dato sottostimato", dove non risultano, perché non disponibili, i dati relativi a Napoli e ad Aversa. Pertanto - conclude il rapporto - esclusi questi ultimi due istituti, risultano 195 i soggetti coerciti: 84 a Reggio Emilia 84, 47 a Castiglione 47, 32 a Barcellona e a Montelupo. Complessivamente si contano 515 episodi di coercizione: 188 a Castiglione, 123 a Reggio Emilia, 84 a Barcellona, 69 a Montelupo, 51 ad Aversa, 50 a Napoli 50. Questi i confini di quella che però risulta ancora una "zona grigia", "che andrebbe indagata con maggiore attenzione". E in questo capitolo l’Associazione Antigone apre anche un paragrafo preoccupante sui suicidi nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa. Nel 2004 si sono registrati infatti 2 suicidi (1 ad Aversa, l’altro a Reggio Emilia), ma nel periodo che va dal settembre 2006 al marzo 2008 nel solo ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa ci sono stati 6 suicidi ed un tentativo di suicidio. "Non è un caso - sottolinea il rapporto - se pensiamo che la struttura di Aversa è arrivata ad ospitare un numero di internati pari al doppio della sua capienza". Un altro episodio che Antigone vuole ricordare riguarda l’Opg di Montelupo Fiorentino: il 22 maggio 2007, Maurizio Sinatti, 42 anni, viene ucciso dal compagno di stanza. La vittima era stata internata da pochi mesi, dopo aver scontato una pena per alcuni furti. Secondo alcune testimonianze tra la vittima e il suo compagno di stanza si erano già verificati degli screzi. Giustizia: medici del Simspe scrivono al nuovo Capo del Dap
Dire, 17 luglio 2008
In una lettera al nuovo capo del Dap, la Società italiana di medicina e sanità penitenziaria parla della Riforma della Sanità Penitenziaria: "Una riforma condivisa che dovrà essere partecipata dagli operatori". La Simspe (Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria) porge in una lettera il suo benvenuto a Franco Ionta, nominato nei giorni scorsi dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nuovo Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap). Nella lettera l’associazione ricorda il passaggio della Sanità Penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale: "una riforma condivisa che dovrà - questo si chiede - essere partecipata dagli operatori e dai professionisti che Simspe rappresenta". "Siamo l’unica Società Scientifica di settore - ricorda la Simspe -, ma siamo anche momento di aggregazione professionale di quella parte degli operatori sanitari che credono alla necessità di una sanità penitenziaria seria e motivata e che attendeva un cambiamento istituzionale ai vertici del Dap! Il problema di fondo attuale è il transito al Ssn. Abbiamo creduto e crediamo alla necessità di una riforma, della quale questo transito è solo il primo momento, ma crediamo anche alla necessità di una riforma seria e partecipata dagli operatori, e che costituisca un valore aggiunto per lo stesso Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria". "Non chiediamo passi indietro si afferma ancora -, ma di proseguire una strada che dia stabilità all’esercizio della medicina in carcere, ne attenui le imprescindibili criticità legate alla particolare tipologia di utenti, si integri a pieno titolo nel Ssn forte della sua specificità e delle professionalità che sin oggi ha espresso. E che chiedono solo di essere rimotivate e valorizzate ! Proprio da questo gruppo di professionisti, che ha dato e continua a dare all’ Amministrazione Penitenziaria le migliori esperienze e collaborazioni dell’ultimo decennio (dai Progetti finalizzati ai Programmi esecutivi di azione, dall’elaborazione di linee guida alla compilazione del Diario clinico informatizzato, dall’attività sanitaria presso i provveditorati regionali a quella presso lo staff tecnico-sanitario dipartimentale), sono state espresse in numerosi documenti e sui media adeguate e corrette indicazioni per il migliore futuro assetto normativo ed organizzativo del servizio. Attendiamo di incontrarla per discuterne con franchezza e pro positività". Giustizia: Cisl-Penitenziari; "dal ministro scarsa attenzione"
Comunicato stampa, 17 luglio 2008
Dopo le rassicurazioni fornite alle Organizzazioni Sindacali della Polizia Penitenziaria nell’ultimo incontro avuto, dobbiamo purtroppo constatare che ad oggi nessuna iniziativa è stata messa in atto, rispetto agli impegni presi, ma ancor più registriamo l’assenza nei momenti importanti per il Corpo di Polizia Penitenziaria, accaduta anche in occasione dell’apertura del tavolo di trattativa aperto alla Funzione Pubblica dal Ministro Brunetta sulla coda contrattuale, il rinnovo del contratto e le modifiche richieste da tutte le sigle sindacali e dai Cocer al dl 112/08! Questa non presenza del Ministro Alfano, o suoi delegati, preoccupa la Cisl, perché vede voler assumere ruoli di protagonismo nella trattativa da parte di altri Ministri. Riteniamo che testimoniare la condivisione delle difficoltà che questa importante forza di Polizia rappresenta per il mantenimento della sicurezza della società, sia un atto dovuto o, invece, dobbiamo ritenere che quando il Ministro parla di una riforma organica della Giustizia non ritiene significativi i problemi che affliggono il mondo penitenziario? Preoccupa altresì il ritardo del Ministro Alfano ad occuparsi dei problemi della Polizia Penitenziaria e del Sistema Penitenziario più in generale. Una assenza che pesa finanche nel non aver ancora affrontato i problemi relativi alle recenti e reiterate aggressioni compiute dai detenuti nei confronti del Personale, dovute probabilmente anche a causa della diffusione di notizie che stanno facendo crescere le tensioni. La Cisl chiede al Ministro della Giustizia di sostenere provvedimenti volti ad impedire i fortissimi tagli annunciati sulla sicurezza e, di riflesso, sull’intero sistema carcere, impedendo che si applichino ai poliziotti le norme recentemente introdotte con il dl 112, sostenendo con la forza necessaria le richieste di modifica affinché vengano trovate le giuste risorse per rinnovare il C.C.N.L. ormai scaduto da più di un anno, a definire la coda contrattuale, a perequare i trattamenti degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria alle altre Forze di Polizia, ad ottenere una riforma organica e complessiva delle carriere del personale del Comparto Sicurezza. È emblematico il fatto che mentre il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria denuncia una carenza endemica sostanziale, il Ministro non ritenga di intervenire sui tagli compiuti alle assunzioni nel Corpo di Polizia Penitenziaria e non si esprima su cosa intende fare per affrontare il delicato tema del sovraffollamento, e su come affrontare una vera riforma del sistema penitenziario di questo Paese, considerando anche l’indifferibile esigenza di costruzione nuovi istituti penitenziari, e non come soluzione al problema, atteso che i tagli effettuati all’edilizia penitenziaria, certamente lasciano pochi margini di manovra. Su questi temi sollecitiamo il Ministro a fare più che a dire, perché il sistema penitenziario è oramai al collasso, e il personale non intende più sopperire e sostenere le non risposte della politica. Giustizia: Osapp; subito riforma della Polizia Penitenziaria
Comunicato stampa, 17 luglio 2008
Sit-in di protesta oggi, a Roma, davanti al ministero della Giustizia in Via Arenula: in strada è sceso l’Osapp - Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria - per chiedere "coraggio che gli ultimi Governi non hanno mai saputo dimostrare, per porre mano ad una nuova riforma della Polizia penitenziaria che riconosca le funzioni attuali e pregresse del personale interne ed esterne al carcere". Nell’occasione Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, è stato ricevuto da Settembrino Nebbioso, capo di Gabinetto del ministro della Giustizia Alfano, per essere ascoltato sulle rivendicazioni che il sindacato, di concerto con l’Associazione Nazionale Funzionari Amministrazione Penitenziaria, ha presentato manifestando. "Ringraziamo i vertici di Via Arenula per aver preso atto di uno stato di malessere che non riguarda solamente la condizione degli istituti carcerari in generale, ma che coinvolge una categoria, quella dei commissari di Polizia Penitenziaria, che insieme agli altri funzionari penitenziari conta più di 42.000 persone in attesa da 18 anni di un diritto mai compiuto", ha dichiarato Beneduci a margine dell’incontro. "L’idea del carcere è cambiata negli ultimi 18 anni, e le statistiche ci danno ragione sul fatto che la legge che nel 1990 ha inteso parificarci agli altri ordini di Polizia abbia completato un percorso di riforma solo a metà - ha spiegato Beneduci". "Come forza agente rappresentiamo oramai il 90 per cento del personale penitenziario - ha lamentato il segretario dell’Osapp - chiediamo quindi al ministro Alfano un intervento che sancisca l’autonomia di questo corpo in sinergia con le altre figure che operano all’interno delle carceri: un progetto di riforma organica che potenzi i ruoli e sani le gravi sperequazioni con le altre Forze di Polizia, a partire dal riallineamento dei commissari e dall’istituzione di una direzione ad hoc per tutti gli agenti penitenziari". "Ieri il ministro della Giustizia ha annunciato per settembre una riforma organica della Giustizia: secondo i propositi che abbiamo voluto dimostrare con l’iniziativa di oggi - ha concluso l’Osapp - riteniamo inevitabile che la riforma riveda anche il ruolo della polizia penitenziaria per il contributo che continuamente da a servizio di questo Paese". Giustizia: sì da Camera a dl sicurezza, stretta sui clandestini
Il Sole 24 Ore, 17 luglio 2008
Il decreto legge con le misure urgenti sulla sicurezza ha ricevuto ieri il voto della Camera e adesso passa al Senato dove, nella versione attuale, dovrà essere convertito in legge entro la fine della prossima settimana. Se il ministro della Giustizia Angelino Alfano mette l’accento sulla qualità delle misure antimafia con l’innalzamento delle sanzioni, la preclusione al gratuito patrocinio e le facilitazioni per la confisca, il ministro dell’Interno Roberto Maroni garantisce che i provvedimenti attuativi (concentrati sulla parte che affida maggiori poteri agli enti locali nell’azione di prevenzione e repressione) saranno pronti entro pochi giorni e dovrebbero essere presentati al Consiglio dei ministri del 25 luglio. In realtà la fisionomia del decreto legge, al di là della modifica sulla sospensione per alcuni procedimenti penali e la corsia preferenziale per altri, esce profondamente cambiata dal maxi emendamento del Governo e dalle correzioni apportate nel corso del cammino parlamentare. Sul piano del diritto penale è stata modificata la disciplina sull’immigrazione con la previsione dell’arresto in flagranza e del processo per direttissima nei confronti dello straniero (anche cittadino comunitario) che trasgredisce all’ordine di espulsione pronunciato dal giudice nei confronti di chi ha commesso un reato sanzionato con pena superiore a 2 anni. Confermata l’aggravante di clandestinità, la nuova versione del decreto mette un limite alla concessione delle attenuanti generiche, per tutti e non solo per gli stranieri, prevedendo che l’assenza di precedenti penali e quindi la condizione di incensurato non può bastare da sola per ottenere il beneficio. Stretta poi sui reati a garanzia della trasparenza dell’identità con sanzioni che possono arrivare sino a 6 anni per chi dichiara false generalità al pubblico ufficiale oppure a 5 anni per chi rende false dichiarazioni sulla propria o altrui identità. Modificata poi la disciplina a carico di chi cede immobili a clandestini: viene chiarito che l’affitto rientra nella condotta penalmente rilevante e che la confisca dell’immobile colpisce anche chi ha patteggiato la condanna o ha beneficiato della sospensione condizionale della pena. Sanzioni più elevate, da un terzo alla metà, a carico di chi favorisce l’ingresso di cittadini stranieri senza permesso di soggiorno in numero rilevante (più di 5) oppure in concorso con altre persone nel commettere il delitto. Aumenta poi, nel massimo, da 1 a 3 anni la detenzione per il datore di lavoro che impiega stranieri irregolari. Tra le modifiche di diritto sostanziale poi, quelle contro la criminalità organizzata. L’articolo 416 bis del Codice penale viene inasprito con misure più severe che colpiscono sia il "semplice" partecipante a un’organizzazione criminale (vengono comprese anche quelle straniere), per il quale la misura passa da un massimo di 10 anni a uno di 12, sia il promotore od organizzatore, con una sanzione che passa da un massimo di 12 a uno di 14 anni E sul piano delle misure patrimoniali, il decreto legge agevola la confisca dei beni detenuti non solo dal sospetto criminale, ma anche dai suoi eredi o da figure schermo o comunque addette a filtrare la rea-le proprietà. Viene reso più aspro anche il trattamento nei confronti dell’automobilista che rifiuta di sottoporsi al test sulla quantità di alcol: la condanna per il relativo reato (il rifiuto infatti torna a costituire reato, ma questo era già stato previsto dalla versione precedente del decreto) comporta anche la sospensione della patente da 6 mesi a 2 anni e la confisca del veicolo. Per quanto riguarda invece la procedura penale, la misura più significativa, al netto della disciplina sulla sospensione e di provvedimenti di natura più organizzativa come quelli indirizzati a favorire la fase delle indagini soprattutto sul piano organizzativo, è quella che riapre i termini del patteggiamento, anche quando siano già trascorsi o ci sia stata comunque una proposta respinta dal giudice o sulla quale ci sia stato il dissenso da parte del pubblico ministero. La richiesta o la nuova richiesta (nel caso ce ne sia stata una diversa in precedenza) può essere presentata dalla difesa ma anche dalla pubblica accusa e riguarda i soli processi pendenti in primo grado. Infine, tra le modifiche rispetto alla versione precedente del testo, le restrizioni in materia di sospensione della pena a carico di chi ha commesso reati come il furto o l’incendio con particolari aggravanti. Giustizia: no attenuanti generiche, anche per gli incensurati
Il Sole 24 Ore, 17 luglio 2008
L’assenza di precedenti penali non basta da sola a far scattare le attenuanti generiche. Lo prevede il decreto legge sulla sicurezza che ieri ha ottenuto il primo sì della Camera. Non solo firma e fotografia ma anche impronte digitali nelle carte d’identità che verranno rilasciate dal 1° gennaio 2010. La novità, introdotta con un emendamento all’articolo 31 del DI 112 (primo firmatario è Marco Marsilio, del Pdl, ma hanno votato a favore anche i parlamentari di Pd, Udc e Idv), è figlia delle polemiche che nelle ultime settimane s’erano scatenate sull’ordinanza voluta dal ministro dell’Interno per la schedatura dei rom nei campi nomadi. Ieri Roberto Maroni ha salutato con favore la norma ("l’approvo in pieno ma nulla cambia nell’azione di identificazione che stiamo svolgendo nei campi"). E lo stesso hanno fatto tutti i leader dell’opposizione sottolineando, tuttavia, la discontinuità che le "impronte per tutti" introducono rispetto alle "schedature razziali e discriminatorie decise in nome della sicurezza". La misura sulle impronte digitali s’accompagna al raddoppio da 5 a 10 anni della durata delle carte d’identità attualmente in circolazione. E, in prospettiva, incrocia con il piano di introduzione della carta d’identità in versione elettronica, che è attualmente nelle tasche di circa due milioni di italiani grazie alla sperimentazione in corso da qualche anno in circa 200 comuni. "Speriamo che questo emendamento dia una spinta positiva al piano di passaggio alle carte elettroniche - ha commentato Feliciano Polli, responsabile del progetto per l’Anci - anche se prima di arrivare all’obiettivo di 40 milioni di card con impronta digitale e codice fiscale dovranno essere risolti una serie di problemi che riguardano i soggetti cui è stato affidato l’incarico di produrre le macchine che rilasciano le card e distribuirle ai comuni". Il riferimento è al contenzioso tuttora aperto tra il Poligrafico dello Stato e Finmeccanica, impegnati nel progetto delle carte elettroniche tramite il consorzio Innovazione e progetti (Ip) dall’ottobre del 2005. La società, cui partecipano anche le Poste, era stata sciolta dal Poligrafico (che controlla il 70%) dopo il taglio del prezzo delle carte da 30,5 a 20 euro, deciso con un decreto ministeriale del febbraio 2007. Visti i margini più ridotti s’era deciso di ricorrere al mercato e, all’inizio dell’anno, il Poligrafico ha bandito gare per la fornitura delle macchine di distribuzione delle card sulla base di un piano in project financing del valore di 200 milioni e che prevedeva, appunto, l’obiettivo dell’emissione di 40 milioni di carte elettroniche e un rinnovo annuo di 8-9 milioni di card. Ma Finmeccanica ha fatto ricorso al Tar, che ora dovrà pronunciarsi sia sulla chiusura di Ip sia sulle gare aperte. Nel caso di una sospensiva, fonti vicine al dossier sostengono ora che Finmeccanica e il Poligrafico potrebbero cercare in tempi stretti una soluzione condivisa. Anche perché il raddoppio della durata delle carte d’identità deciso dal Governo impone la riscrittura del business plan. A questo punto, pur di centrare l’obiettivo della registrazione delle impronte digitali sulle carte d’identità a partire dal 2010, i due partner potrebbero decidere di salvare parte del lavoro fatto fin qui e che dovrebbe consentire la consegna di 17.500 distributori di card in tutti i Comuni entro i primi mesi del 2009. L’addio definitivo alle carte d’identità in versione cartacea doveva avvenire entro il gennaio 2007, una data ora solo teoricamente rinviata al 31 dicembre 2008 dal Codice dell’amministrazione digitale, che prevede la possibilità dell’accesso online per tutti i cittadini ai servizi della pubblica amministrazione. Giustizia: Calderoli; immunità parlamentare? non è priorità
La Repubblica, 17 luglio 2008
La riforma della giustizia che vuole Berlusconi "non è una priorità" e comunque "non va fatta contro qualcuno" ma "dialogando con i magistrati". Il ripristino dell’immunità parlamentare "non è previsto nella riforma che stiamo discutendo". Roberto Calderoli, ministro della Semplificazione e anima critica del governo, mette un freno alla lotta del premier contro la magistratura e indica alla maggioranza un’agenda alternativa.
Ministro sembra che lei abbia fatto arrabbiare Berlusconi, l’ha sentito per telefono? "Io non litigo con nessuno, pongo delle questioni politiche. E poi no, non l’ho sentito. Ho staccato i telefoni per tutto il giorno".
Lei ha detto che, guardando l’agenda parlamentare da qui a fine anno, lo spazio per inserire una riforma della giustizia proprio non c’è. Gasparri è convinto del contrario, chi ha fatto male i conti? "Guardi, ho una certa esperienza parlamentare, ho fatto il vicepresidente del Senato per qualche anno e una quantificazione dei tempi riesco a farla piuttosto bene. Posso spiegare?"
Prego... "Noi abbiamo davanti due "collegati" pesanti, due convitati di pietra che si trascinano da anni: il federalismo fiscale e il codice delle autonomie, che sono assolutamente indispensabili, come sanno tutti quelli che si occupano di queste cose. E questi due collegati vanno approvati per forza entro dicembre 2008. Inoltre c’è pur sempre la Finanziaria che, anche se più leggera del solito, ha dei tempi definiti per la discussione, che non possono essere compressi sotto i 45 giorni. In più c’è la legge elettorale per le Europee, che va approvata entro novembre. Quindi spazio per altro proprio non c’è".
Sicuro? "Non si può mettere un litro d’acqua in una lattina da 33 centilitri".
Non è solo questione di tempi. La Lega non vuole far saltare il dialogo sulle riforme con le opposizioni, è così? "Vengo ora dall’Aspen, dove ho avuto un proficuo incontro con Franco Bassanini. Sono sicuro che non solo ci sia voglia di confrontarsi, ma ci sia anche la possibilità di una convergenza. Ma sulla riforma costituzionale io non mi sono mai sognato di dire: il progetto è questo, da luglio si parte. Tanto più sulla giustizia il confronto è necessario. A gennaio prenderà il via la riforma della Costituzione, in quel momento potrebbe partire, in un altro ramo del Parlamento, anche la discussione sulla giustizia".
I magistrati temono una riforma punitiva, gli affondi del premier non li rassicurano... "La riforma della giustizia è nel programma, ma non va fatta contro qualcuno. Non è una partita "noi contro il resto del mondo". E se esiste una minoranza di magistrati che, a volte, esce dal seminato, c’è anche una larga parte di magistrati che fa il proprio dovere. E con questa parte "buona" e maggioritaria la riforma va condivisa".
Berlusconi vorrebbe reintrodurre l’immunità parlamentare, che voi leghisti nel ‘93 criticaste aspramente. Siete con lui? "Nella riforma costituzionale che stiamo mettendo a punto l’immunità parlamentare non c’è. Iniziamo a fare il federalismo fiscale, poi chi vivrà vedrà".
Il Cavaliere si è pentito di non aver limitato a mafia e terrorismo le intercettazioni. Il disegno di legge verrà modificato? "Siamo stati noi della Lega a chiedere che anche i reati contro la pubblica amministrazione fossero inclusi nell’elenco. Non pretendiamo di imporre la nostra volontà, ma lo chiediamo anche agli altri: che sia il Parlamento, nella sua autonomia, a decidere".
Da quando è nato il governo vi state imponendo come un alleato scomodo per il Cavaliere... "Nel governo ci vuole anche una coscienza critica, che ragiona in termini di programma. E poi io condivido l’analisi pessimistica di Tramonti sulla crisi mondiale: l’unica possibilità di reggere è alzare gli argini prima che arrivi lo tsunami. E, per difendersi, occorre approvare subito i collegati. Altrimenti si rischia che, mentre noi stiamo a parlare di giustizia, arrivi l’onda e ci travolga tutti". Giustizia: polemiche tra Anm e Governo riguardo al "41-bis"
Adnkronos, 17 luglio 2008
La Giunta esecutiva centrale dell’Anm esprime in una nota il suo "sconcerto per i toni e i contenuti utilizzati, qualche giorno fa, da un esponente delle istituzioni commentando un provvedimento giurisdizionale che ha revocato l’applicazione del regime carcerario di cui all’art 41 bis ordinamento penitenziario ad alcuni condannati per fatti di mafia". "Naturalmente - aggiunge l’Anm - ogni critica alle decisioni giudiziarie è legittima, a condizione che non si trasformi nell’insulto gratuito e nell’accento esplicitamente intimidatorio. E, d’altronde, nelle menzionate dichiarazioni polemiche non vengono neppure indicati i motivi della presunta inaccettabilità del provvedimento sotto il profilo della correttezza giuridica o dell’errata considerazione degli interessi in gioco". "Il rispetto sempre doveroso della sensibilità delle vittime di gravi fatti di mafia non può trascurare la delicatezza dei compiti della magistratura di sorveglianza e la complessità di certe decisioni, sempre in bilico tra esigenze di tutela della collettività e garanzie minime di rispetto della dignità del detenuto. L’Anm, infine, coglie l’occasione per auspicare un dialogo costruttivo in ordine alle problematiche di fondo del regime carcerario per soggetti riconducibili al crimine organizzato, anche al fine di un aggiornamento della legislazione sulla base delle esperienze acquisite e dei mutamenti avvenuti", conclude la Giunta Esecutiva Centrale dell’Anm. Lettera: la storia di Nino, morto di "malasanità penitenziaria" di Carmelo Musumeci (Detenuto a Spoleto)
Lettera alla Redazione, 17 luglio 2008
A parte pochi fatti eclatanti si leggono e si sentono pochi articoli e brevi notizie sui giornali e alla televisione sui morti per malasanità ma nulla proprio nulla sui morti in prigione di carcere. Anche per questo molti detenuti non amano la (in)giustizia di Stato. Anche per questo molti detenuti subiscono e accettano in silenzio le violenze di Stato per non rischiare di essere additati e strumentalizzati come mafiosi (i mafiosi veri e intoccabili stanno fuori quelli finti si fanno il carcere). Non tutti sanno o fanno finta di non sapere che per malasanità non si muore solo fuori, in carcere si muore più spesso e più soli. Il carcere in Italia oltre a non rieducarti ti ammazza e lo fa in silenzio senza che nessuno sappia nulla. L’esclusione della sinistra, della sinistra vera, della sinistra a sinistra, dal parlamento, ha sicuramente privato molti detenuti di uno strumento di denuncia e di rivendicazione di diritti violati e/o non riconosciuti. Spesso le persone malate in carcere vengono rinchiuse e legate ancor di più perché sono quelle che danno più fastidio. Ho letto in questi giorni in un libro una frase riportata da una scritta dal muro di un lager nazista: "io sono stato qui e nessuno lo saprà mai". Per questo ho deciso di scrivere della morte di Nino. La pena non dovrebbe essere vendetta, ma nel caso di Nino lo é stata. Nino era calabrese, piccolo di statura, con la pelle scura e gli occhi azzurri. Sorrideva sempre, amava la vita e la famiglia. Nino frequentava l’Istituto d’Arte di Spoleto. Io e Nino siamo stati in cella insieme per sei mesi. Nino era malato e una volta mi ha confidato che il suo desiderio più grande era quello di morire libero con accanto i suoi familiari. Nino, sollecitato dal dirigente sanitario dell’istituto presenta richiesta di sospensione pena. Gli mancavano due anni. Nino viene trasferito al Centro Clinico del carcere di Napoli. La famiglia lo va a trovare e gli comunicano che Nino é morto. Questa é la storia sintetica e cruda di Nino ma é anche la storia di tanti detenuti che muoiono in carcere. Forse molti di loro non potrebbero essere salvati ma sicuramente in libertà potrebbero essere curati meglio anche solo con il conforto dell’affetto dei familiari. Voglio ricordare ai governanti, ai giudici e ai carcerieri che si sono occupati di Nino che Sandro Pertini, che in galera passò lunghi anni, un giorno disse: "Ricordatevi, quando avete a che fare con un detenuto, che molte volte avete davanti una persona migliore di quanto non lo siete voi". Ciao Nino, arrivederci fra le stelle, più di ricordarti in questo modo non posso fare e se mi puniscono per questo ben venga la punizione. San Gimignano (Si): ergastolano di 47 anni si impicca in cella
Il Tirreno, 17 luglio 2008
Si chiamava Giuseppe Pistorino ed era originario di Messina, il detenuto che ieri mattina è stato trovato impiccato nel carcere di San Gimignano. L’uomo, 47 anni, stava scontando l’ergastolo. Il suicidio è avvenuto questa mattina nella sua cella. Al momento sono ignote le cause che hanno spinto l’uomo a uccidersi. A scoprire il cadavere del detenuto è stato il personale di sorveglianza dell’istituto di pena. Pistorino fu arrestato dalla Dia di Milano e successivamente processato e condannato all’ergastolo per l’omicidio di Letterio Sofio, anch’egli messinese, e del ferimento di Marco Vannuccini avvenuto nel marzo del 1992 a Milano. Certo è che in carcere, come denuncia Antigone, ci si ammazza diciotto volte di più che all’esterno e soltanto nei primi sei mesi del 2008 si contano già 23 suicidi - più altri 30 morti per cause diverse - a cui si aggiunge il suicidio avvenuto ieri nel carcere di San Gimignano. Nel 2007 sono stati 45, di questi: 43 erano uomini, di cui 27 italiani e 16 stranieri, e due donne italiane. Cagliari: Caligaris (Ps); Comune nomini Garante dei detenuti
Agi, 17 luglio 2008
L’amministrazione comunale di Cagliari, al pari di quelle di Nuoro e Sassari, deve dotarsi di una figura istituzionale in grado di salvaguardare i diritti dei detenuti. È quanto sostiene in una lettera al sindaco Emilio Floris il consigliere regionale socialista Maria Grazia Caligaris (Ps). "Una delle questioni più delicate all’attenzione dell’opinione pubblica e in particolare dei cittadini di Cagliari riguarda - afferma Caligaris che è anche componente della Commissione Diritti Civili del Consiglio ragionale - la condizione di vita dei detenuti. Il rapporto che la città ha instaurato con la struttura di Buoncammino e la presenza del carcere nel tessuto urbano hanno reso l’Istituto Penitenziario un luogo "familiare" e i detenuti parte integrante del tessuto sociale. Questo positivo rapporto tra cittadini liberi e ristretti, al di là dei numeri - nel carcere di Buoncammino ci sono attualmente 455 detenuti di cui 18 donne e 217 agenti di polizia penitenziaria oltre a medici, infermieri, operatori culturali e volontari impegnati quotidianamente - comporta - sottolinea il consigliere socialista - un’assunzione di responsabilità da parte dell’amministrazione civica". Padova: per i detenuti formazione professionale d’eccellenza
Le Due Città, 17 luglio 2008
Un ottimo laboratorio di pasticceria, le lavorazioni della valigeria Roncato e della gioielleria Morellato fanno dell’istituto "Due Palazzi" un vero fiore all’occhiello che ha meritato la visita del Vicepresidente del Parlamento Europeo e del responsabile Onu per i Progetti di Sviluppo Sostenibile. Una formazione professionale d’eccellenza che offra ai detenuti la possibilità di reinserirsi pienamente nella società una volta pagato il debito con la giustizia. Questo il percorso proposto dalla cooperativa Giotto, capofila del consorzio Rebus, per conto della quale nella Casa di reclusione Due Palazzi di Padova sono prodotti ogni giorno paste, dolci, panettoni, colombe, torte nuziali, e sono predisposti servizi catering. Tutti prodotti di alto livello inseriti sul mercato e regolarmente distribuiti nei più prestigiosi locali della città, come il Caffè Pedrocchi e in ristoranti e alberghi. A confezionarli i detenuti che lavorano nella pasticceria e nella cucina del carcere e che hanno meritato già due anni fa il "piatto d’argento" da parte dell’Accademia Italiana della Cucina. Per far conoscere questi prodotti, che per il secondo anno consecutivo saranno presentati dalla Comunità di San Patrignano nell’area FastGood in occasione della manifestazione "Squisito", la rassegna enogastronomia internazionale organizzata appunto dalla Comunità di San Patrignano, la cooperativa Giotto ha promosso, sabato 17 maggio, una visita al laboratorio di pasticceria e alle altre lavorazioni del carcere. A guidarla il presidente del consorzio Rebus, Nicola Boscoletto, assieme al direttore del carcere dottor Salvatore Pirruccio. Ospiti di riguardo Jorge Rios, responsabile Onu per i Progetti di Sviluppo Sostenibile Unodc (United Nations Office on Drugs and Crime), che ha dato il suo patrocinio all’area GoodFood di "Squisito 2008" e Mario Mauro, Vice Presidente del Parlamento Europeo. Gli ospiti, accompagnati da una folta presenza di giornalisti della carta stampata e delle TV nazionali e locali, hanno potuto osservare i detenuti al lavoro, nelle diverse fasi di preparazione dei prodotti di pasticceria e di quelli di catering destinati nella stessa giornata alla Festa della Polizia di Padova e a uno sponsale con 400 invitati. "La nostra storia comincia nel 1991 - ha spiegato Boscoletto - quando partecipammo ad una gara d’appalto per recuperare le aree degradate dell’istituto, con un primo corso di giardinaggio. Abbiamo via via dato vita al laboratorio di pasticceria e ad una cucina in grado di fornire un servizio catering che ha saputo conquistarsi un’importante fetta di mercato". Gli ospiti hanno poi visitato il Call Center Asl che si occupa delle prenotazioni da tutta Italia delle visite mediche nelle strutture ospedaliere padovane, un servizio giudicato alla pari se non superiore rispetto a quello offerto dagli altri centri esterni. È stata poi la volta delle lavorazioni di assemblaggio della valigeria Roncato e della gioielleria Morellato, produzioni riportate in patria dalla Croazia dove erano delocalizzate e dove si aveva uno scarto del 30%, mentre nel carcere si è arrivati ad un risibile 0,1%. Un’altra produzione raffinata prodotta nell’istituto è oggi quella di manichini per l’alta moda e altre lavorazioni potranno essere avviate in futuro, non appena saranno costruiti nuovi capannoni. L’ultima arrivata tra le mura del penitenziario è la Diesel. Renzo Rosso, infatti, l’imprenditore stilista padovano il cui marchio è noto in tutto il mondo ha deciso di realizzare qui le mani giganti che arrederanno i suoi negozi in 80 Paesi. Nella conferenza stampa che è seguita alla visita, hanno preso la parola, dopo il direttore del carcere Salvatore Pirruccio, che ha portato i saluti del capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Ettore Ferrara , che non è potuto essere presente alla manifestazione, il direttore del Caffè Pedrocchi, Federico Menetto, che ha tenuto a ribadire che i prodotti della pasticceria realizzati dai detenuti hanno tutte le caratteristiche di eccellenza, Dario Odifreddi, presidente della "Piazza dei Mestieri", che ha parlato delle attività scolastiche e professionali offerte a ragazzi emarginati tra i 13 e 14 anni che hanno abbandonato la scuola, e che hanno raggiunto oggi il numero di 500: di questi ben il 95% hanno già completato il percorso trattamentale, di cui il 70% ha trovato immediata occupazione. e ancora hanno preso la parola Luca Passarin, presidente della cooperativa sociale Work Crossing, che ha illustrato le attività di ristorazione offerte dalla cooperativa sociale che attualmente impiega 178 persone e che ha prodotto ben 1.150.000 pasti per le mense universitarie nello scorso anno e il professor Cesare Bisantis, in rappresentanza del presidente dell’Accademia Italiana di Cucina, ha voluto testimoniare con una sorta di timbro di qualità la produzione di eccellenza della pasticceria dell’istituto. "GoodFood, in programma dal 30 maggio al 2 giugno - ha spiegato poi Andrea Muccioli della Comunità di San Patrignano - all’interno di "Squisito", vede come protagoniste, accanto ai grandi nomi della cucina internazionale, tante realtà di Paesi diversi che hanno fatto del cibo una bandiera nella lotta all’emarginazione sociale. E Padova, come San Patrignano ed altre realtà qui rappresentate, sono delle grandi opportunità offerte alle classi svantaggiate". "Oggi - ha poi spiegato ancora Boscoletto - in Italia i detenuti sono 53.000, ma solo 700 hanno un vero lavoro, retribuito secondo le regole del mercato. Padova, con 100 detenuti lavoratori su 700, sta diventando un modello di riferimento anche per altre realtà e per altri Paesi. L’aspetto più entusiasmante è che, dopo questo percorso di lavoro, la recidiva è scesa all’1%. Le realtà presenti qui oggi, ha ancora sottolineato, pur diverse nei settori di intervento, hanno un minimo comune denominatore, sono delle best pratices. Queste buone prassi - ha aggiunto - sono un esempio di sussidiarietà applicata, cioè di benessere sociale e ad un costo vantaggioso, perché le pene devono essere certe così come certissimo deve essere il percorso di recupero. La filiera della sicurezza - ha concluso - deve avere come punti certi l’arresto e il processo immediato, la certezza della pena e la certezza del recupero del reo". "Questo modello di recupero attraverso il lavoro, ha infine ribadito Mario Mauro, Vice Presidente del Parlamento Europeo, deve essere condiviso anche dal Parlamento Europeo e dal Consiglio d’Europa. È ovvio che la media europea della recidività che è del 90% ci preoccupa enormemente. E le best pratices applicate a Padova riducono drasticamente queste percentuali. Chiederò alle cooperative del Consorzio Rebus che gestiscono il progetto di partecipare alle audizioni al Parlamento Europeo in vista del dibattito sulla nuova normativa in tema di sussidiarietà". "Si tratta, infatti come ha sottolineato Jorge Rios responsabile del Progetto di Sviluppo Sostenibile dell’ufficio della lotta contro droga e crimine delle Nazioni Unite, di un’attività molto importante e da condividere, in grado di assicurare un efficace reinserimento, grazie all’intervento del privato. Un modello esemplare che potremmo applicare in molti angoli dove si sta tentando la strada del recupero dei detenuti, come in Afghanistan e in Perù". L’Aquila: all’Istituto Penale Minorile arriva la "pet therapy"
Dire, 17 luglio 2008
Firmata l’intesa il Centro per la Giustizia Minorile per l’Abruzzo e la Cooperativa Diapason. L’obiettivo: migliorare la vita dei ragazzi ospiti degli istituti di pena, dei Centri di prima accoglienza e delle comunità. Si parte da L’Aquila. La pet therapy supera le mura degli ospedali per arrivare dentro i luoghi di reclusione. È stato firmato, nei giorni scorsi a l’Aquila, un innovativo protocollo d’intesa tra il Centro per la Giustizia Minorile per l’Abruzzo e la Cooperativa Sociale Diapason Onlus di Chieti, al fine di migliorare la vita dei minori "a rischio" ospiti degli istituti penali, gli uffici di servizio sociale, i Centri di Prima Accoglienza e le Comunità, tramite lo svolgimento di programmi educativi e attività assistite dagli animali: la pet-therapy. Caterina Di Michele coordinatrice dell’associazione Diapason: "Grazie alla sensibilità e all’entusiasmo di Paola Durastante, direttore del Centro per la Giustizia Minorile per Abruzzo, Marche e Molise, si è giunti alla formalizzazione della collaborazione con la Diapason, attraverso questo protocollo d’intesa in cui sono esplicitate le attività che l’equipe della cooperativa proporrà ai minori interessati, che prevedono contatti con alcuni animali, come conigli e i cani, per stimolare l’autostima, il senso di responsabilità, l’empatia, la consapevolezza del ruolo intrapreso, l’apprendimento di strategie per superare e gestire situazioni di difficoltà degli adolescenti. In programma anche progetti di volontariato volti alla riparazione indiretta del danno causato dalla commissione del reato e che possono rappresentare un momento educativo importante per la maturazione e la responsabilizzazione dei e delle minorenni e giovani adulti, nonché di arricchimento personale e sociale". A breve partirà il primo progetto sperimentale di attività assistite dagli animali rivolto ai giovani dell’Istituto penale per i minorenni dell’Aquila, in cui saranno proposte attività specifiche condotte da operatori formati nel settore. "Siamo interessate a promuovere i cambiamenti nel vissuto socio-emotivo dei ragazzi - ha aggiunto Caterina Di Michele -. Diverse ricerche scientifiche hanno evidenziato come questo tipo di attività con minori "a rischio" ha condotto a un graduale miglioramento nella sfera emotiva, motivazionale e interpersonale. Siamo quindi fiduciosi che questo primo intervento possa rappresentare un nuovo percorso di inclusione sociale per gli utenti e l’inizio di una interessante collaborazione con tutti gli enti del territorio che si occupano di minori o giovani adulti sottoposti a procedimento penale". Catania: laboratori didattici per i minori detenuti a Bicocca
Asca, 17 luglio 2008
Laboratori didattici per i minorenni detenuti nell’istituto penale di Bicocca a Catania. Attività 2 volte a settimana. Laboratori didattici per i giovani ospiti dell’istituto penale minorile di Bicocca, sono stati avviati nell’ambito delle attività socio-educative a partire dal 2 luglio e per l’intero mese. Gli atelier, rivolti ai giovani fino ai 21 anni, terranno conto degli interessi e delle attitudini dei partecipanti, al laboratorio di artistica si affiancheranno momenti di conoscenza e socializzazione attraverso giochi verbali ed espressivi. L’attività, con cadenza bisettimanale, è curata dalla animatrici scolastico-culturali Luciana Parisi e Loredana Veronese. L’obiettivo è quello di creare momenti di integrazione e socializzazione, stimolando, attraverso varie tecniche artistiche, l’espressività e la creatività dei minori e dei giovani partecipanti. Immigrazione: meeting di San Rossore, contro ogni razzismo
Asca, 17 luglio 2008
Carceri, ghetti e campi profughi: dilaga la logica dell’esclusione nei conflitti e nella giustizia il codice etnico sostituisce quello etico. Gli stranieri in carcere finiscono più facilmente, anche per reati molto lievi, ricevono una difesa minore (spesso da parte di avvocati di ufficio che al massimo suggeriscono il patteggiamento), scontano totalmente la pena e raramente ricorrono ad altri gradi di giudizio: questa la situazione illustrata da Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze, nel suo intervento alla tavola rotonda "Immigrazione e sviluppo umano" nel pomeriggio della seconda giornata del Meeting di San Rossore. "Stiamo rischiando di passare - ha detto - dal codice Rocco, un codice su base etica, ad un codice su base etnica, dove chi compie i reati viene trattato in maniera diversa a seconda della propria provenienza". Corleone ha fatto l’esempio del carcere di Sollicciano dove il 60% dei detenuti è straniero, segnalando, però, come la maggior parte dei detenuti immigrati si trovino in carcere per reati per collegati alla violazione della legge Bossi-Fini (quindi violazioni amministrative) o in base alla legge Fini-Giovanardi sulle droghe. "Con l’indulto sono usciti molti più detenuti stranieri che italiani - ha ricordato - e questo perché gli italiani vengono condannati spesso per reati più gravi, con pene più severe. Nelle carceri, che sono luoghi difficili, di potere sui detenuti e tra i detenuti, servirebbero molti più mediatori culturali, invece si pensa di sostituire i Cpt con una detenzione di 18 mesi. Voglio almeno sperare che in essi venga adottato un regime carcerario pubblico, con regole, diritti e doveri, e non siano lasciati alla gestione privata". "Uno dei problemi più rilevanti in materia di cooperazione - ha affermato nel suo successivo intervento Luciano Carrino, del comitato scientifico del programma dell’Onu Art Undp - è la difficoltà di scegliere modi appropriati di intervento, anche in presenza di una reale volontà politica. In cooperazione, ad esempio, è molto difficile evitare il ricorso alla creazione di ghetti, campi profughi o di contenimento. È perché in molti abbiamo un "ghetto" nella testa prima ancora che nelle azioni pratiche. Un altro errore è quello di mettere in atto progetti assistenziali per categorie speciali, contribuendo così alla separazione e allo stigma. Si tende così a ripetere un modello escludente, che non si conforma ai principi dello sviluppo umano. Al contrario i progetti che danno migliori risultati sono quelli concepiti per uno sviluppo territoriale integrato e partecipato". Una riflessione analoga quella svolta dalla rappresentante di Mani Tese Mariarosa Cutilli: "Quello che manca è un approccio basato sui diritti. E pensare che ormai sotto il profilo giuridico gli strumenti ci sono e impongono agli stati di garantire i diritti fondamentali non solo ai loro cittadini ma anche a coloro che provengono da un altro paese". Immigrazione: dal 2010 impronte su carta identità per tutti
La Repubblica, 17 luglio 2008
Dal 2010, tutti gli italiani avranno le proprie impronte digitali sulla carta d’identità. Nel frattempo, ai bambini rom che saranno trovati, nei campi nomadi, senza genitori, sarà concessa la nazionalità italiana. Sono, queste (con il raddoppio, da 5 a 10 anni, della validità del documento di riconoscimento), le due più importanti novità sul fronte della sicurezza. Ma la decisione bipartisan di sottoporre tutti ai rilievi dattiloscopici (l’emendamento di An, votato dalle Commissioni Bilancio e Finanza della Camera anche dal Pd), anziché riportare pace tra maggioranza e opposizione, ha infiammato le polemiche sul censimento dei campi nomadi a Napoli, Milano e Roma. Nel giorno in cui il Garante ha ammonito a non usare "secondo criteri discriminatori" i rilievi dattiloscopici, e all’indomani delle critiche degli esperti Onu che hanno definito "discriminatoria" l’iniziativa di schedare i rom, c’è stato, sull’argomento, un botta e risposta fra il segretario del Pd e il ministro dell’Interno. Walter Veltroni ha giudicato "giusta la decisione di prendere a tutti le impronte digitali" visto che, fra l’altro, questa procedura è già prevista dal 2001 nel nostro Paese per chi sceglie la carta d’identità elettronica. "Per questo - ha detto il responsabile del Pd - non ha alcun senso che vengano registrate solo ai rom: noi chiediamo che quella misura sia sospesa perché non viene certo meno la gravità della discriminazione nei confronti dei bambini nomadi". Gli ha replicato Roberto Maroni secondo cui, invece, "l’emendamento non cambia nulla rispetto a quel che stiamo facendo per rendere più sicure le città italiane". "Il parlamento - ha aggiunto il ministro - ha esteso alla collettività una norma che avevamo previsto per i campi nomadi. È la conferma che la nostra strada è giusta". "Tutto quello che va nel senso della sicurezza - ha detto ancora Maroni - va benissimo perché ci saranno maggiori informazioni anche per l’identificazione più certa di chi è già conosciuto". "Tutto il resto - è l’affondo del titolare del Viminale - è polemica strumentale. Veltroni si vada a rileggere il "patto per Milano sicura" sottoscritto dal ministro Amato, governo Prodi: lì sì che c’era la discriminazione etnica perché si parlava di "emergenza rom". Nella nostra ordinanza, invece, si fa riferimento ai "campi nomadi"". La decisione di prendere le impronte a tutti trova, fra l’opposizione, il plauso del presidente dell’Udc, Pier Ferdinando Casini ("è stata accolta una nostra proposta"), mentre il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro, ha attaccato ancora l’iniziativa di prendere le impronte ai minori nomadi: "una cosa - ha detto - è l’identità certa, un’altra è tornare indietro alla dittatura fascista". Qualche perplessità rispetto ad un eccessivo ricorso a rilievi biometrici, per la verità, l’ha espressa anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini, di An, che ha definito "affascinante" la possibilità di essere riconosciuti "attraverso sensori che leggono i codici naturali che ci portiamo addosso, come impronte, iride, voce". Ma s’è chiesto "fino a che punto possiamo essere tranquilli che tali informazioni non possano essere catturate e sottoposte ad un uso distorto". Sul fronte delle iniziative a favore dell’integrazione dei bimbi rom, il ministro dell’Interno, dopo aver ricordato che a Roma "meno di mille giovani rom, su 7 mila, va a scuola", durante un incontro con Unicef Italia ha proposto di dare la nazionalità italiana ai minorenni trovati nei campi senza genitori. "Poiché - ha spiegato il titolare del Viminale - la stragrande maggioranza di questi minori non ha genitori certi, penso che le istituzioni e il governo italiano debbano mantenerli, dare loro un futuro e magari subito la cittadinanza come segno concreto che li consideriamo figli di questa terra". Per Maroni, questa è una via "per garantire ai minori rom i diritti di cittadinanza attraverso anche un’eccezione alla regola dello ius sanguinis". Immigrazione: Consulta; sì a ricorso per posta su espulsione
Il Sole 24 Ore, 17 luglio 2008
Censurata la disposizione che imponeva agli extracomunitari la consegna dell’atto al cancelliere. Il signor Abdelhamid F., trattenuto nell’ex Cpt "Brunelleschi" di Torino e in attesa di essere rispedito a casa, aveva il diritto di mandare per posta il ricorso con cui si opponeva all’espulsione. Con la sentenza 278 del 9 luglio, la Corte Costituzionale ha stabilito che è illegittima la norma del testo unico sull’immigrazione (l’articolo 13, comma 18, del decreto legislativo 286/1998), "nella parte in cui non consente l’utilizzo del servizio postale per la proposizione diretta, da parte dello stranièro" del ricorso contro l’espulsione "quando sia stata accertata l’identità del ricorrente". A sollevare la questione di legittimità è il Giudice di Pace di Torino, per violazione dell’articolo 3 (per "disparità di trattamento tra il ricorrente e la Pa che si avvale ampiamente dell’invio degli atti processuali a mezzo posta o addirittura a mezzo fax"), e dell’articolo 24 della Costituzione (perché il ricorso nelle mani del cancelliere sarebbe "incoerente con la struttura semplificata del procedimento"). La Corte non fa suoi questi rilievi, ma dichiara illegittima la norma con un altro ragionamento. Nella sentenza si premette che la giurisprudenza di legittimità "è concorde" nell’escludere che il ricorso possa essere spedito via posta o telefax, e considera necessaria "la consegna a mani del cancelliere". Perché il deposito fatto così "costituisce il necessario ed esclusivo strumento per portare all’esame del giudice adito l’atto di impulso processuale (sentenze del 10 aprile 2003 n. 5.649 e 5.667)". Poi, però, i giudici costituzionali richiamano una loro sentenza (la 98/2004) con cui si dichiara illegittima una norma d’articolo 22 della legge 689/1981) nella parte in cui non consente l’uso della posta per proporre opposizione all’ordinanza-ingiunzione. In quel caso, argomenta la Corte, l’esclusione della possibilità dell’utilizzo del servizio postale appariva "incongrua per il suo formalismo e perciò lesiva del canone di ragionevolezza". Dopo questa premessa, però, non scatta l’automatismo, né l’analogia. La Corte afferma infatti che "l’argomento può essere solo in parte riferito alla procedura di impugnazione del decreto di espulsione", che "pur essendo improntata alla massima semplicità di forme e all’obiettivo di un accesso immediato alla giustizia, si colloca in un contesto del tutto particolare". Preoccupazione della Consulta è insomma ribadire che "la presentazione del ricorso viene articolata in modo da garantire la certezza circa l’identità dello straniero destinatario del provvedimento di espulsione". La garanzia è assicurata se il ricorso è presentato attraverso "il difensore, la rappresentanza diplomatica o con la sottoscrizione personale del ricorso da parte dello straniero". Ma la certezza sull’identità di chi si vuol espellere ci può essere lo stesso. La conclusione è pragmatica: "Quando vi sia certezza circa l’identità dello straniero non c’è ragione di escludere l’utilizzabilità del servizio postale per la presentazione del ricorso. In tale ipotesi, infatti, l’esclusione risulterebbe incongrua". Immigrazione: Padova; accordo tra Comune e polizia romena
Il Mattino, 17 luglio 2008
L’iniziativa si colloca all’interno del programma "In.Tel.Just" coordinato dall’Università di Padova. Progetto mirato a favorire la cooperazione transfrontaliera a favore della lotta alla criminalità. Sono circa 7 mila i romeni in città. Una cooperazione internazionale nel segno delle buone prassi in materia di sicurezza. È questo l’obiettivo dell’accordo di collaborazione siglato tra il Comune di Padova e il sindacato nazionale di polizia romena e del personale a contratto (Snppc), che vuole creare "un valore aggiunto europeo" su questioni che sempre più si trovano sotto i riflettori. L’iniziativa parte da lontano e si colloca all’interno del programma "In.Tel.Just" coordinato dall’Università di Padova. È in questo ambito che sono si sono verificati i primi incontri tra l’amministrazione comunale e i rappresentanti delle istituzioni locali della Contea di Arad, durante i quali sono state messe in luce alcune problematiche irrisolte in materia di sicurezza. Da qui si è partiti con il progetto mirato a favorire la cooperazione transfrontaliera a favore della lotta alla criminalità. "Nella prima fase di collaborazione - si legge nell’accordo - il Snppc delegherà due poliziotti rumeni, rappresentanti del sindacato, che al di fuori del programma di servizio si trasferiranno a Padova per approfondire le problematiche, riscontrabili, nell’ambito italo-romeno della sicurezza urbana e dei reati quali accattonaggio, prostituzione, borseggio". Inoltre i due poliziotti dovranno collaborare con le autorità italiane fornendo "informazioni e buone prassi al di fuori delle aree coperte dal segreto professionale". Questa fase di conoscenza e sperimentazione durerà un mese, dal 10 settembre al 10 ottobre, durante il quale ai due poliziotti sarà garantito alloggio, rimborso delle spese del viaggio e un’indennità di mille euro. La durata del progetto, comunque, è variabile dal momento che "il periodo può essere prolungato e riproposto in base agli esiti". Ma chi sono i rumeni di Padova, cui soprattutto questa iniziativa si rivolge, per conoscerli e aprire, dove possibile, il dialogo? Secondo recenti stime nella sola città del Santo alle porte del 2008 si contavano circa 7mila presenze. Dati meno recenti (Istat, 2004) parlano di oltre 11mila presenze in provincia, la quarta d’Italia dopo Roma, Torino e Milano. Un’indagine su questa realtà ("La presenza romena a Padova: quotidianità, lavoro, reti amicali e centri di aggregazione") è stata presentata recentemente da Donatella Schmidt, antropologa e docente al Master di Studi Interculturali all’Università degli Studi di Padova, che scrive: "Lavora, la collettività romena: nei cantieri edili, nelle fabbriche, nelle case. Ha fretta, la collettività romena: di far soldi, di inviarli a casa, di portarli a casa; di sposarsi, di comprare appartamenti, di ospitare i parenti, di far figli, di mandarli a scuola. Si muovono i giovani maschi: da poco maggiorenni, troppo mobili per seguire l’iter dei documenti e per preoccuparsi di frequentare coetanei italiani, girano i cantieri o trovano impiego dai connazionali lavorando sempre in nero".
|