Rassegna stampa 14 luglio

 

Giustizia: Alfano cerca intese, il Pd "apre" sulla sicurezza?

di Dino Martirano

 

Corriere della Sera, 14 luglio 2008

 

Riforma dei codici, modifica graduale dell’obbligatorietà dell’azione penale, ripristino dell’immunità parlamentare, mano tesa ai magistrati sul fronte degli stipendi ma anche riforma del Csm con l’auspicio però che, dopo il varo del lodo Alfano, il clima con l’opposizione sia più sereno: perché, dice il Guardasigilli, ora non capiterà più che "le norme siano tacciabili di essere volte a proteggere Berlusconi".

Il "dopo lodo" è già iniziato per il ministro Angelino Alfano che ha tracciato il programma dei prossimi mesi sulla giustizia. Sulle riforme più delicate, compresa la modifica costituzionale dell’immunità parlamentare cancellata nel ‘93 dopo Tangentopoli, il Guardasigilli guarda con interesse quei settori della minoranza che sostengono il modello europeo di immunità, il clima sereno, tuttavia, si potrebbe guastare se l’architrave costituito dal lodo Alfano, la norma che presto bloccherà il processo in cui è imputato Berlusconi, venisse contestata sotto il profilo della costituzionalità: "Non so - ha detto Alfano al Foglio - se i giudici di Milano sono poi così convinti di mandare questa norma alla Corte al fine di poter giudicare Berlusconi. Vedremo quale sarà l’atteggiamento dei magistrati".

Sull’annacquamento dell’obbligatorietà dell’azione penale è già arrivato il no dell’Associazione Nazionale Magistrati: "Siamo contrari a modificare questo principio", dice il segretario generale Giuseppe Cascini. Ma il vero banco di prova del dialogo per il governo, che oggi alla Camera potrebbe imporre il voto di fiducia sul decreto sicurezza, riguarda i rapporti sempre tesi con l’opposizione: "Voteremo no al pacchetto sicurezza", annuncia Antonio Di Pietro (Idv) che respinge al mittente il "trabocchetto del dialogo".

Il Pdl, però, deve pur tenere conto delle posizioni del Partito Democratico, che non sono di totale chiusura: "L’opposizione - sostiene il ministro ombra Marco Minniti - lavora per cambiare i provvedimenti, non per votare contro". Così dopo le aperture di Francesco Rutelli e di Piero Fassino, anche Minniti manda a dire che senza voto di fiducia si può discutere in Aula di alcune modifiche al decreto "che in ogni caso deve tornare al Senato" a causa della norma blocca processi ora riformulata.

Per Minniti, il governo dovrebbe accogliere almeno tre emendamenti: cancellazione dell’aggravante di clandestinità, ridimensionamento dell’uso dell’esercito per pattugliare le aree urbane, riformulazione della norma che intende punire gli speculatori ma che poi finisce per colpire anche la vecchietta che ospita la badante irregolare. Pierluigi Mantini va oltre e dice che anche con la fiducia il Pd dovrebbe astenersi: "Perché molti dei contenuti del decreto sicurezza, già tracciati da Amato, noi li condividiamo".

Giustizia: Veltroni; su sicurezza e processi voteremo contro

di Liana Milella

 

La Repubblica, 14 luglio 2008

 

Fiducia sul decreto sicurezza? Elio Vito, il ministro per i Rapporti col Parlamento, di domenica sera prova a fare il magnanimo: "Non è ancora scontata. Non l’abbiamo definitivamente decisa. Tutto dipende dall’opposizione. Io domani (oggi, ndr.) vado alla Camera, conto gli emendamenti e in base a quel numero il governo decide. Se sono ancora più di mille la fiducia è scontata. Se calano si può ragionare.

Un fatto è certo: la norma blocca-processi è stata cambiata. Ora è condivisa da tutti. E noi abbiamo tutta l’intenzione di esaminare il dl nel merito. Ma i tempi sono quelli che sono: entro il 25 va convertito". Dall’altra parte Antonello Soro, il capogruppo del Pd alla Camera, la fiducia la dà già per scontata: "Non una, ma due nella stessa settimana. E vai... La prima sulla sicurezza, la seconda sulla manovra economica. Ma che vogliono da noi? Che votiamo l’aggravante per i clandestini? Una bestemmia in senso giuridico e per il buon senso? Questa non è questione di emendamenti, ma di contenuto del decreto. Se lo cambiano e accolgono tutte le nostre richieste, allora si può anche parlare".

Il dialogo tra Pdl e Pd non comincia dalla sicurezza. Nonostante qualche dissenso che esiste tra i Democratici, ma che al vertice minimizzano. Walter Veltroni con i suoi è stato chiaro: "In quel testo ci sono troppi elementi negativi, se non cambiano votiamo no". Niente da fare coi dubbi dei rutelliani. Il primo a metterli in piazza è stato Pierluigi Mantini: "Il 70% delle proposte sono le nostre, certo c’è l’aggravante, ma si può arrivare a un’astensione sul provvedimento e un sì a singole misure".

Mantini vuole dare battaglia nel gruppo. Gli dà man forte Renzo Lusetti: "Veltroni è stato troppo frettoloso sul voto contrario. Possiamo astenerci sulla blocca-processi e votare contro sul dl, perché il no è scontato sull’aggravante e sulle impronte ai bimbi rom". Enzo Bianco guarda già al Senato dove l’astensione vale voto contrario: "Abbiamo ottenuto un grande risultato e se votiamo contro lo svalutiamo. La via giusta è l’astensione". Soro stronca i tentennamenti: "Certo, abbiamo sbagliato a non approvare il pacchetto Amato, ma adesso è tardi. Sull’aggravante non sono ammessi dubbi".

Gli esperti sono con lui. I ministri ombra Marco Minniti (Interno) e Lanfranco Tenaglia (Giustizia). Il primo: "La pensiamo come al Senato: l’aggravante, anticamera del reato d’immigrazione clandestina, e l’esercito nei pattuglioni, sono in netto contrasto con la linea del Pd. La politica della faccia feroce contro gli immigrati non ci piace e sta dando risultati risibili. Gli sbarchi sono quintuplicati rispetto a quelli dell’anno scorso". Tenaglia sta ai fatti: "Valuteremo durante il comitato dei nove, ma su alcuni punti fermi non ci smuoviamo di un solo passo. O accettano le nostre modifiche o il nostro sarà un no".

Nel Pdl i maligni sostengono che "è tutta colpa di Di Pietro", perché "lui vota no e il Pd gli corre dietro". L’ex pm non ha dubbi: "Si vota no perché non possiamo passare sopra alla schedatura dei rom". Ma anche l’Udc è perplessa. Michele Vietti, vice di Casini alla Camera: "Mah! Se dovessimo far prevalere la soddisfazione per la modifica della biocca-processi potremmo pure astenerci. Ma se il governo forza la mano con la fiducia e l’aggravante resta com’è saremo contrari".

Il capogruppo della Lega Roberto Cota liquida tutti quanti: "Chi critica il decreto si arrampica sugli specchi. Se si vogliono combattere i clandestini non può non esserci l’aggravante, altrimenti parliamo d’altro". Ma nel Pd, come tra le toghe, c’è allarme per l’annuncio del Guardasigilli Angelino Alfano sull’obbligatorietà dell’azione penale. Al Foglio ha detto: "Il Paese non è pronto perché si abolisca. Ma si può proseguire sulla strada delle priorità ai procedimenti più urgenti, come auspicato da esponenti di centrosinistra quali Violante".

L’Anm punta subito i piedi col segretario Giuseppe Cascini: "Siamo contrari a modificare un principio strettamente collegato a quello dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Meglio depenalizzare, ridurre i reati, snellire le procedure". Alfano conferma pure la voglia di immunità. E in vista dell’autunno il clima si scalda. L’anticamera dello scontro sarà il no sulla sicurezza.

Giustizia: sospensione dei processi, un sadismo processuale

di Luciano Violante

 

La Stampa, 14 luglio 2008

 

La riscrittura della norma sulla sospensione dei processi (ora si chiama rinvio) appare frutto di una sorta di sadismo processuale. È indubbiamente meno dannosa della precedente, ma potrebbe produrre danni maggiori rispetto a quelli che intendeva evitare. Il rinvio è diventato facoltativo, riguarda i processi per reati meno gravi, ma non bagattelle, può durare sino a diciotto mesi, teoricamente da un giorno a un anno e mezzo. Dovrebbe funzionare in questo modo:

a) il presidente del tribunale si fa dare dai presidenti di sezione l’elenco dei processi che potrebbero essere sospesi in base alla legge e ai criteri che egli stesso stabilisce;

b) i presidenti di sezione studiano le centinaia di processi che potrebbero essere, in astratto, sospesi, al solo fine di accertare se l’imputato potrebbe essere condannato a una pena estinta per l’indulto;

c) i presidenti di sezione, terminato l’esame dei fascicoli, li mandano al presidente del tribunale;

d) questi li esamina uno per uno (nei grandi tribunali si tratta di alcune migliaia di fascicoli) e decide per quali di essi è opportuno emettere il decreto di rinvio;

e) rintraccia l’indirizzo dell’imputato per chiedergli attraverso regolare notifica se consente al rinvio del suo processo ("Il rinvio non può essere disposto se l’imputato si oppone" dice il terzo comma del nuovo articolo 2 ter);

f) l’imputato non ha un termine entro il quale opporsi al rinvio;

g) ma finché l’imputato non manifesta la propria volontà oppositiva la prescrizione continua a decorrere.

È prevedibile che questo grave e traballante carico di adempimenti, dall’incerto destino, disincentivi qualunque presidente di buon senso dall’esercizio del potere di rinvio, che, ripetiamo, è puramente discrezionale.

Egli dedicherà il suo tempo a condurre in porto i processi che la stessa legge definisce urgenti piuttosto che a studiare quelli che, sempre in base alla stessa legge, non lo sono.

Ma la scelta non è indolore. Se il processo non si fa perché c’è il decreto di rinvio, la prescrizione è sospesa e la parte civile può trasferire la sua azione nel processo civile, con corsia preferenziale. Se il processo non si fa perché non c’è tempo per farlo, senza decreto di rinvio, decorre la prescrizione che estingue il reato e l’imputato viene assolto. Sono prevedibili le polemiche per l’uso o il non uso del potere di rinvio.

Nel momento in cui la politica lamenta l’eccesso di discrezionalità della magistratura nella trattazione dei processi penali e la magistratura denuncia la farraginosità delle procedure, il Parlamento si appresta a votare una proposta che aumenta insieme discrezionalità e farraginosità. Qualcosa, evidentemente, non funziona.

A questo punto una modesta proposta: non è meglio mettere da parte questa norma sul rinvio e richiedere, come del resto opportunamente stabilisce un altro comma dell’emendamento del governo, che il ministro relazioni dopo un anno al Parlamento sull’applicazione da parte della magistratura dei criteri di priorità? Ascoltata la relazione, si potrà fare un bilancio e decidere eventuali, meditati, passi ulteriori.

Giustizia: processo per il G8 di Genova, stasera la sentenza

di Massimo Calandri

 

La Repubblica, 14 luglio 2008

 

Violenze a Bolzaneto, l’accelerata dei Pm per dribblare il decreto "blocca processi" porta a una clamorosa decisione. Il giudice ordina l’apertura "a oltranza" del Palazzo di giustizia.

Il presidente del tribunale ha chiesto ai cancellieri di tenersi pronti, stasera i custodi del palazzo di giustizia hanno l’ordine di lasciare aperto. La sentenza per i soprusi e le violenze nel "carcere provvisorio" di Bolzaneto, è questione di ore. Quarantasei imputati tra generali e funzionari di polizia, ufficiali dell’Arma e guardie carcerarie, militari, agenti e medici. Sono accusati di abuso d’ufficio, violenza privata, abuso di autorità contro detenuti o arrestati, falso, violazione dell’ordinamento penitenziario e della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. I pm Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati hanno chiesto complessivamente 76 anni, 4 mesi e 20 giorni di reclusione.

Renato Delucchi, presidente del seconda sezione del tribunale, ha suggerito a cancellieri e segretari di tenersi pronti. Il personale di guardia è stato avvertito: oggi l’ingresso del Palazzo di giustizia resterà eccezionalmente aperto anche dopo le 19. Perché la sentenza è attesa in serata. G8, soprusi e violenze nel "carcere provvisorio" di Bolzaneto: 46 imputati tra generali e funzionari di polizia, ufficiali dell’Arma e guardie carcerarie, militari, agenti e medici. Sono accusati di abuso d’ufficio, violenza privata, abuso di autorità contro detenuti o arrestati, falso, violazione dell’ordinamento penitenziario e della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. I pm Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati hanno chiesto complessivamente 76 anni, 4 mesi e 20 giorni di reclusione. E un’assoluzione, quella di Giuseppe Fornasier.

Stamani alle 9.30 il giudice chiuderà l’istruttoria dibattimentale, prendendo atto della formale rinuncia dell’accusa alle repliche. I pubblici ministeri lo avevano anticipato: temendo le nefaste influenze dell’emendamento al decreto sicurezza, inquieti per il pericolo che anche il loro processo si potesse fermare per un anno, hanno preferito stringere i tempi. Basta parole in aula, passiamo alla decisione. Delucchi si congederà, per riunirsi in camera di consiglio con i colleghi a latere. Tutto suggerisce che qualche ora più tardi - diciamo che dal tardo pomeriggio ogni momento è quello buono - gli avvocati del dibattimento saranno convocati per la lettura della sentenza.

In caso di condanna, la sentenza di primo grado sarà penalmente sorpassata dalla prescrizione. Che nel caso dei reati in questione scatta dopo sette anni e mezzo, e cioè il prossimo gennaio. Nessuno farà un giorno di galera, tanto per intenderci. Ma il primo giudizio darà il via libera alle cause civili. In quei giorni del luglio 2001 da Bolzaneto transitarono 252 tra arrestati e fermati. Le vittime accertate sono 209, e tutte hanno chiesto che vengano loro risarciti i danni. Si parla in media di settantamila euro a testa, che fa in tutto circa quindici milioni.

Nel corso del dibattimento l’Avvocatura dello Stato non ha solo chiesto "scusa" ai no-global che furono fatti prigionieri durante il G8. Ha annunciato che, essendo venuto meno il "nesso organico" - le forze dell’ordine non si comportarono come tali - , i ministeri di appartenenza non tireranno fuori un centesimo. Ripudiati.

Carabinieri, poliziotti, guardie dovranno pagare di tasca propria. In alcuni i casi i legali degli imputati, cui lo Stato non ha naturalmente anticipato le spese, hanno già iniziato le pratiche per pignorare case e stipendi. "Ma i veri colpevoli sono ai vertici dell’amministrazione, sono quelli che dovevano organizzare il G8 e non sono stati in grado di farlo", ha replicato tra gli altri l’avvocato di Alessandro Perugini, l’ex numero 2 della Digos genovese che rischia tre anni e mezzo di reclusione.

"A Bolzaneto fu tortura", hanno ribadito i pm nella loro requisitoria. Ma a differenza di tutti gli altri paesi, l’Italia non si è mai adeguata alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo. L’ha sottoscritta nell’89, però il codice penale quel reato non lo ha mai disciplinato. Altrimenti, gli imputati avrebbero rischiato pene molto più pesanti. Gli avvocati delle vittime sono comunque pronti a ricorrere a Strasburgo. I magistrati insistono: "I trattamenti provati come inflitti a Bolzaneto sono stati inumani e degradanti".

Torture fisiche e psicologiche che "si sono potute realizzare per il grave comportamento anche omissivo di pubblici ufficiali, o comunque con il loro consenso tacito o espresso". Dita spezzate, pugni, calci, manganellate su persone inermi, bruciature con accendini e mozziconi di sigaretta, bastonate alle piante dei piedi. Teste sbattute contro i muri, taglio dei capelli, i volti spinti nella tazza del water. Insulti, umiliazioni.

"Sono stati adottati tutti quei meccanismi che vengono definiti di dominio psicologico al fine di abbattere la resistenza dei detenuti e di ridurne la dignità. Tutto ciò è potuto avvenire grazie a quel meccanismo fatto di omissioni, per cui i responsabili non vengono puniti e le vittime terrorizzate hanno paura di denunciare i maltrattamenti subiti. La parola chiave è stata: impunità".

Giustizia: Abruzzo; governatore in arresto per "mazzette"

 

La Repubblica, 14 luglio 2008

 

Il governatore della Regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco (Pd), che guida una giunta di centrosinistra, è stato arrestato questa mattina dalla Guardia di finanza nell’ambito di un’inchiesta sulla sanità condotta dalla Procura della Repubblica di Pescara. I reati ipotizzati sono associazione a delinquere, truffa, corruzione e concussione per gestione privata nella sanità.

Il provvedimento di custodia cautelare ha riguardato anche altri assessori regionali e funzionari dell’ente: l’assessore alla Sanità, Bernardo Mazzotta, il segretario generale della presidenza, Lamberto Quarta, l’assessore Antonio Boschetti, l’ex assessore alla Sanità del centrodestra Vito Domenici e l’ex presidente della finanziaria regionale Giancarlo Masciarelli.

Le somme della presunta concussione e corruzione arriverebbero a cinque milioni e ottocentomila euro per Del Turco, Cesarone e Quarta. In generale, secondo l’accusa vi sarebbero stati movimenti di denaro per circa 14 milioni di euro, di cui 12,8 già consegnati. L’Abruzzo è una delle regioni italiane con il più alto debito nella sanità.

L’inchiesta riguarda la vicenda della cartolarizzazione di un miliardo di euro della sanità abruzzese. Gli arresti giungono a conclusione delle indagini sulle cartolarizzazioni dei crediti vantati dalle case di cura private nei confronti delle Asl regionali. A tirare in ballo il governatore e gli altri arrestati sarebbe stato Vincenzo Angelici, un imprenditore del settore della sanità che possiede diverse cliniche nella Regione.

Oltre al Del Turco, sono in carcere Lamberto Quarta, Antonio Boschetti, Gianluca Zelli, Camillo Cesarone, Luigi Conga. Agli arresti domiciliari invece si trovano Masciarelli, Vito Domenici, Bernardo Mazzocca, Angelo Bucciarelli. A Francesco Di Stanislao è stata applicata la misura del divieto di dimora a Pescara. Nel complesso, sono trentacinque le persone sottoposte ad indagine. Durante gli arresti, eseguiti durante la notte, è stata anche perquisita la casa del governatore. L’inchiesta sarebbe la seconda parte di quella avviata due anni fa sui debiti della sanità abruzzese, per la quale già in passato era finito in carcere Masciarelli, ritenuto il creatore di un sistema per il pagamento di tangenti.

Giustizia: Amapi; dalle carceri arriva allarme umanitario

 

Comunicato stampa, 14 luglio 2008

 

Con l’arrivo del grande caldo arrivano anche grandi problemi. L’effetto indulto oramai è cessato. Nuovamente le carceri si stanno gonfiando come fiumi in piena e fra non molto tracimeranno. La tregua quindi è virtualmente cessata. Nel frattempo non sono stati costrutti nuovi Istituti, e quelli che c’erano se erano scadenti sono rimasti scadenti. Le celle che dovrebbero contenere due detenuti arrivano a ospitarne anche quattro o cinque. Non esistono nella maggioranza dei casi celle per fumatori e per non fumatori.

Ciò che è diventata una priorità nel mondo libero rimane ancora un extralusso nelle carceri. Né ci risulta che nel frattempo intorno a noi i molti si siano redenti. Anzi, i nuovi arrivi giungono a frotte. Come sempre d’estate si riempiono di turisti i bagni della riviera e di detenuti quelli penali. La forzata convivenza negli ambienti stretti e soffocanti non fa che alimentare tensioni. Se le differenze culturali possono essere motivo di ricchezza intellettuale di un Paese, nelle patrie galere sono solo un ulteriore fonte di attrito. Ci rendiamo conto che le risorse statali sono oramai ridotte al lumicino e nessuno si sognerebbe mai di far diventare prioritaria l’edilizia carceraria.

Il malessere dei detenuti anzi è quasi considerato un bene dai più. Però bisogna sempre considerare che i detenuti non è che si autogestiscono. Sono gli operatori del carcere che oltre a vivere in ambienti malsani e degradanti devono anche avere a che fare con gente molto stressata e poco raccomandabile.

La situazione umanitaria delle carceri, in un paese civile come il nostro, è al di sotto dei limiti di guardia. In queste condizioni è a rischio il diritto alla salute. Qualcosa bisognerebbe fare. Le risse fra detenuti aumentano; i gesti autolesivi sono frequenti; i tentativi di azioni suicidarie crescono; le aggressioni al personale sono all’ordine del giorno.

Tutte queste problematiche passano inevitabilmente, anche e sempre, nelle infermerie. Luoghi silenziosi, nel senso che ciò che accade in infermeria non assurge mai a fatto di cronaca. Tuttavia non è solo una stanza attrezzata per la salvaguardia della salute. A volte sembra di essere al congresso di Vienna: il medico diventa un grande mediatore. Si tratta di una figura comunque già per sua natura neutrale, inoltre è anche un civile in un ambiente di polizia, per cui spesso i detenuti ricorrono al medico per parlare.

O sono proprio gli agenti, quando notano una situazione nervosa, a suggerire al detenuto di consultare il medico prima di compiere qualche sciocchezza. Il rapporto medico-paziente esiste fuori come esiste dentro. Nel mondo libero come in quello coatto. Per questo sarebbe importante che le figure non venissero continuamente cambiate. Tuttavia non si può neanche chiedere a un medico di rimanere a lavorare solo ed esclusivamente per il carcere altrimenti saremo noi prima o poi a dare di matto.

Ma non ci spiacerebbe se il nostro ruolo venisse maggiormente apprezzato. Invece a volte abbiamo l’impressione che venga considerato marginale. Speriamo vivamente che le Asl non pongano sul medesimo piano la Medicina Generale con quella Penitenziaria. Le gestioni devono differenziarsi perché se le competenze sono le stesse, gli approcci sono completamente diversi.

Staremo a vedere. Per l’intanto ci prepariamo ad affrontare questo grande caldo nel grande caos delle carceri. Con la responsabilità e con la serietà professionale di sempre.

 

Valerio Scrivo, Medico Sias C.C. Pisa

Ufficio di Presidenza Amapi, Francesco Ceraudo

Milano: manifestazione dei sindacati di Polizia Penitenziaria

 

Comunicato stampa, 14 luglio 2008

 

"Quando si decide di portare in piazza i lavoratori a luglio, in pieno periodo feriale, significa che la misura è colma e la pazienza esaurita". Con queste parole Angelo Urso, Segretario Nazionale della Uil Pa Penitenziari, commenta la decisione di Cgil-Cisl-Uil del settore penitenziario della Lombardia di manifestare oggi a Milano con un sit-in di protesta davanti a S. Vittore.

"La manifestazione di Milano è solo la punta di un gigantesco iceberg composto dal disagio e dal malessere di tutti gli operatori penitenziari italiani. Per questo condivido e sostengo le ragioni della protesta" sottolinea Urso. Il sovraffollamento delle strutture e la grave carenza degli organici sono le motivazioni principali a base della protesta. Secondo un rilevamento della Uil Pa Penitenziari alla data odierna il maggior sovraffollamento si registra a Bergamo, Busto Arsizio e S. Vittore (150%), Brescia (120%) ma anche Monza, Pavia, Varese e Vigevano il dato è significativo (100%) "In Lombardia oggi sono presenti circa 8.300 detenuti a fronte dei circa 5.400 previsti. Un sovraffollamento, quindi, che si attesta al 55% a fronte di un dato nazionale del 25%.

Alcune strutture - continua Urso - sono praticamente esaurite in ogni ordine di posto e ciò comporta oggettive difficoltà. Per quanto attiene la polizia penitenziaria in regione sono previste 5.353 unità ma ne sono presenti solo 4.792, delle quali 539 impiegate fuori dalla Lombardia. Da ciò ne deriva che la carenza effettiva è di circa 1.100 unità. Per le altre figure professionali il gap organico arriva, in alcuni casi, anche al 70%".

Ma i sindacati scendono in piazza anche per denunciare le carenze di mezzi adibiti al servizio delle traduzioni. Del parco mezzi in dotazione alle varie strutture il 18% è già dichiarato fuori uso, il 6% è ricoverato in officina, il 37% ha oltre 10 anni e il 19 % ha un chilometraggio oltre i 170mila km. "Sono anni che denunciamo come i mezzi adibiti alle traduzioni siano particolarmente fatiscenti , inadeguati e privi delle condizioni minime di sicurezza. Proprio la settimana scorsa due traduzioni in partenza da Monza e S. Vittore si sono interrotte per avaria dei mezzi.

Questo significa mettere a rischio la sicurezza pubblica e del personale operante. Significativa nella sua assurda drammaticità - prosegue il sindacalista - la situazione delle autovetture protette (blindate) in uso per le traduzioni dei collaboratori di giustizia. In Lombardia ve ne sono solo tre che devono assicurare il servizio per tutta la regione. Per inquadrare il problema basti pensare che sono tre gli istituti che hanno sezioni per collaboratori e che ogni traduzione non può essere svolta con meno di due autovetture protette. È chiaro che in questa situazione la rabbia e la frustrazione rischiano di diventare ingovernabili.

Ancor più quando parliamo i poliziotti costretti a comprarsi le divise e ad anticipare le spese per i servizi di missione. In questo quadro d’insieme le prime mosse del governo Berlusconi sono come benzina sul fuoco - conclude Urso - Non possiamo passivamente accettare dal Governo, che della sicurezza ha fatto più di uno slogan elettorale, il taglio agli organici e agli straordinari, il blocco delle risorse destinate al rinnovo dei contratti. E non voglio dimenticare i provvedimenti del Ministro Brunetta che penalizzano tutti gli operatori del settore catalogandoli, di fatto, tra i fannulloni e i nullafacenti. Sicuramente non era questo il modo di affrontare un problema che pure c’è. Confidiamo in una inversione di rotta che possa esaltare meriti e diritti".

Milano: San Vittore è in condizioni disumane, chiudiamolo

 

Il Giornale, 14 luglio 2008

 

Chiudere San Vittore. Per Giuseppe Grechi, Presidente della Corte d’appello di Milano, lo smantellamento del carcere di piazza Filangieri ormai non è più soltanto un progetto urbanistico. È un’esigenza inderogabile, un dovere. Perché Grechi è il massimo garante del funzionamento della giustizia a Milano. Ed è ormai convinto che le condizioni di vita a San Vittore con la giustizia non abbiano nulla a che fare.

"Di segnali d’allarme - racconta Grechi - me ne erano già arrivati. Ma quello decisivo è venuto dal nostro arcivescovo. Tettamanzi è stato a San Vittore e quando ne è uscito ha descritto la realtà del carcere in due parole: "Sono inorridito". Mi ha descritto come vivono gli stranieri, come si vive nel reparto dei "protetti". A quel punto ho capito che la situazione era uscita dal ragionevole, dal tollerabile. Un carcere non è mai un bel posto.

Ma tutti gli elementi che ho raccolto in questi mesi mi dicono che a San Vittore siamo ormai nell’illegalità. Ci sono celle dove in sei metri quadri stanno sei detenuti. Uno, a turno, sta in piedi, e gli altri cinque sdraiati nelle brande. Questo non è civile e non è accettabile. C’è un ufficio giudiziario, il Tribunale di sorveglianza, che deve occuparsi proprio di controllare che nelle carceri vengano rispettati i diritti umani. Ho fatto presente al suo presidente che o nel giro di due mesi si trovano delle soluzioni, o io dirò pubblicamente che San Vittore deve essere immediatamente chiuso".

Grechi sa che le soluzioni non sono dietro l’angolo. Un nuovo carcere dovrebbe nascere a Rogoredo, nella "cittadella della giustizia", ma il progetto è in alto mare anche perché ancora non si è capito da che parte possa arrivare la montagna di euro necessari a realizzarlo. "Servirebbe un nuovo carcere, da realizzare subito, su un’altra area.

Ma il carcere a Rogoredo era stato accettato proprio perché inserito dentro il progetto complessivo della cittadella. Invece se adesso andiamo in un altro quartiere a dire che vogliamo costruire lì una prigione da sei o ottocento posti scoppia la rivoluzione. E i primi a protestare sarebbero gli avvocati che in carcere ci vanno tutti i giorni e non sono pronti a rinunciare alla comodità di San Vittore per una zona periferica e magari poco servita".

Eppure una soluzione-tampone sarebbe a portata di mano: a Bollate, nel carcere che oggi rappresenta un positivo esperimento di "custodia attenuata", ci sono due padiglioni nuovi di zecca praticamente pronti. Manca solo il collaudo. E manca soprattutto il personale - agenti, medici, educatori - in grado di farli funzionare. Se venisse aperto il Bollate bis, ospiterebbe trecentocinquanta detenuti. Sufficienti per riportare San Vittore vicino alla sua capienza naturale. E soprattutto a chiudere il sesto raggio, il raggio della vergogna.

Potenza: il direttore; servono progetti per il reinserimento

 

www.basilicataweb.it, 14 luglio 2008

 

A Potenza c’è un carcere o meglio una Casa Circondariale. È un edificio con un alto muro, lo costeggiamo lungo una delle vie principali della città. Oltre a questo, se non si viene a conoscenza di qualcosa di particolare, come gli avvenimenti degli ultimi anni in merito agli arresti di vip e teste coronate, tutto ciò che riguarda "quella realtà" è silenzioso. Si ignora, la maggior parte delle volte, tutto quello che può esserci all’interno di quel muro.

Nelle ultime settimane, le aggressione avvenute nella Casa Circondariale di Matera, hanno focalizzato l’attenzione sulla realtà delle carceri, in particolar modo di quelle che abbiamo sotto il naso. Certo a seguito dell’indulto, il tema è stato "sulla bocca di tutti", ma solamente perché legato ad una vera e propria apertura delle sbarre che ci dividono da quella realtà. Realtà fatta da persone. Per riuscire ad analizzare nel giusto modo questo complesso problema, Controsenso ha chiesto ed ottenuto di poter conoscere direttamente dal direttore della Casa Circondariale di Potenza, quelle che sono le motivazioni principali delle tensioni all’interno delle carceri.

Il dott. Michele Ferrandina è a Potenza da quasi due anni, nel capoluogo della nostra regione ha diretto inizialmente "un istituto che, a seguito dell’indulto, si era svuotato. Una fase sicuramente più blanda, durante la quale i detenuti presenti sono stati anche impegnati in piccoli interventi di ristrutturazione edile " ma i "vecchi problemi" sono comunque ritornati.

"Ad oggi sono presenti circa 200 detenuti" prosegue il direttore "la gestione è difficile, e le problematiche sono legate anche alla presenza degli stranieri". Quasi il 50% è di una diversa nazione. Hanno una propria cultura, una propria storia, e soprattutto non hanno sul territorio la presenza della famiglia".

"Rumeni, albanesi, magrebini, quasi tutti trasferiti da grandi centri dove, a volte, potevano avere un punto di appoggio socio-familiare. Stranieri due volte. Perdono ogni tipo di interesse ai benefici che le leggi prevedono. Possono avere atteggiamenti che noi non comprendiamo"

"Solo mediatori culturali e volontariato mirato possono risolvere il problema. I detenuti stranieri fuori non hanno riferimenti e non accedono a misure alternative, quindi non hanno nessun tipo di collegamento con il mondo esterno".

"Ogni anno si programma un discorso trattamentale, una serie di attività. Molto importante è stata la presenza dell’Associazione di Potenza Psi&Co Minerva in programmi legati all’educazione alla legalità, c’è anche stata una buona collaborazione con il Potenza Calcio nella persona di Rocco Galasso. Progetti dunque culturali, pedagogici e di legalità in cui sono coinvolti detenuti, Polizia Penitenziaria e tutte le associazioni attente a questa realtà".

Se si pensa che "l’ago della bilancia" generazionale si ferma sui trent’anni, creare un ponte che non sia costruito sulla retorica della solidarietà potrebbe oggettivamente contribuire all’assunto della Legge Gozzini che al terzo comma dell’art. 27 recita : "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

Livorno: "Vivicittà" nel carcere, una esperienza da ripetere

 

Il Tirreno, 14 luglio 2008

 

Finalmente dopo due rinvii siamo riusciti a correre Vivicittà 2008 anche in carcere, un epilogo speciale per questa manifestazione podistica organizzata dall’Uisp, riservata agli ospiti della Casa Circondariale delle Sughere alla quale potevano partecipare d’accordo con le autorità dell’Istituto anche persone esterne. Un’iniziativa davvero unica nel suo genere che ha il grande merito di creare un contatto fra le due realtà: quella esterna e quella interna.

Fa strano appunto il senso di isolamento dal resto del mondo, abbiamo vissuto una mattinata in un mondo delimitato da quelle mura di cemento che ne costituiscono i confini. Uno che vive nel mondo reale non vedrà mai il suo confine. L’iniziativa è stata curata dal Comitato Provinciale dell’Uisp, guidato dal suo presidente Michele Barzagli, che al suo arrivo è stato accolto dalla dottoressa Morgana Fantozzi, comandante della polizia penitenziaria unitamente ad alcuni suoi collaboratori.

Tutti con l’intento di dare vita ad un momento di festa consapevoli che lo sport costituisce un importante veicolo di recupero e un momento per sentirsi nuovamente parte della società e che anche solo un quarto d’ora di corsa possa essere fondamentale per affrontare le difficoltà della vita carceraria. Tutto questo ci è stato confermato dai detenuti con i quali abbiamo avuto l’occasione di confrontarci: importante è riuscire a socializzare; ad esempio uno ci ha raccontato che a questo proposito è stato felicissimo di partecipare ad un corso di informatica e di essere riuscito a conseguire la licenza di scuola media, mentre un altro, con un passato d’atleta che lo aveva visto protagonista in campo agonistico, ci sottolineava la necessità di questi momenti e l’importanza che sia stato realizzato all’interno del carcere un impianto per giocare a calcio.

Al di là del risultato agonistico, dominato da un albanese che ha corso abbondantemente sotto ai 5’ al chilometro, è la valenza umana di questa attività sportiva in carcere che ci preme sottolineare. Alla partenza si sono schierati circa in un centinaio, una compagine variegata e internazionale, anche perché così è la struttura anche all’interno delle carceri.

Molti perciò anche gli stranieri presenti sul percorso che prevedeva quattro volte il giro del perimetro interno alla casa circondariale per un totale di circa 3 chilometri e 200 metri. Importante è stato anche il tifo: rumoroso e caloroso, anche se sostenuto da dietro quelle sbarre delle finestre colorate di azzurro che danno sul percorso. Non è mancata neppure qualche battuta colorita, mentre qualcuno sicuramente per eccesso...di agonismo non è stato troppo attento al contagiri oppure si è lasciato andare a qualche "cambio" di percorso.

Alla fine trofeo ai primi classificati, medaglia e maglietta per tutti gli altri, e c’è stata l’opportunità anche di un breve ristoro a cui hanno fatto seguito i saluti ed anche un arrivederci. Trofeo Gran Prix a Grosseto. Oggi e domani sono in programma a Grosseto presso lo stadio e l’impianto del campo scuola i campionati regionali individuali assoluti maschili e femminili, la manifestazione sarà valida quale 5.a prova del Trofeo Gran Prix Banca Monte Paschi di Siena con alcune gare di contorno riservata alle categorie cadetti/e.

Assicurata è la presenza dei migliori specialisti delle società in campo regionale dove cercheranno di distinguersi gli atleti dell’Atletica Livorno e della Libertas Runners. Podismo a Villa Corridi. Per domani il circolo Acsi Grande Blu ha organizzato una cosa podistica di circa 9 chilometri, valida come prova del trofeo Podistico Livornese Uisp, con partenza e arrivo all’interno della Villa Corridi dove nella stessa giornata si concluderà la manifestazione "Livorno Rock". La partenza è prevista per le ore 9, il percorso si preannuncia selettivo e impegnativo.

Roma: detenuto vuole l’espulsione, ma aspetta da 5 mesi

 

Comunicato stampa, 14 luglio 2008

 

Mentre il nuovo governo vara misure rigorose sulle espulsioni degli stranieri irregolari, un detenuto nigeriano chiede ed ottiene di essere espulso, ma da più di cinque mesi attende invano che il provvedimento diventi esecutivo. Protagonista della singolare vicenda, denunciata dal Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni, il 38enne Samuel Oguike.

A quanto appreso dal Garante l’uomo, arrestato nel 2006 per reati connessi alla droga, è stato condannato a tre anni di carcere e rinchiuso nel penitenziario di Civitavecchia. Nel novembre 2007 dal carcere Samuel ha presentato, di sua spontanea volontà, istanza di espulsione in Nigeria accolta nel febbraio 2008. Da allora l’uomo è in vana attesa che il provvedimento diventi esecutivo. Anzi, nel frattempo è stato trasferito da Civitavecchia a San Severo (Fg), dove il Dap ha subito provveduto a segnalare il suo caso all’Ufficio stranieri della locale questura.

"La vicenda di Samuel è lo specchio di come vanno le cose in Italia - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - Mentre si invoca un maggior rigore nelle espulsioni e ci si preoccupa per il crescente sovraffollamento delle carceri, un uomo che chiede ed ottiene di sua spontanea volontà di essere espulso viene dimenticato in carcere dalla burocrazia. È l’ennesima riprova, su questo come su molti altri aspetti che riguardano il mondo penitenziario, che a non funzionare non sono le leggi, ma l’organizzazione che dovrebbe applicarle".

 

Ufficio del Garante dei detenuti del Lazio

Rimini: al Meeting di Cl un incontro e una mostra sul carcere

 

www.meetingrimini.org, 14 luglio 2008

 

Libertà va cercando, ch’è sì cara. Vigilando redimere (domenica 24 agosto 2008 - sabato 30 agosto 2008). Alla presentazione della mostra sono stati invitati: Angelino Alfano, Ministro della Giustizia; Ettore Ferrara, Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia; Giovanni Maria Pavarin, Magistrato di Sorveglianza del Tribunale di Padova; Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà. Introduce Nicola Boscoletto, Presidente Consorzio Rebus. L’incontro sarà preceduto dalla proiezione di un video internazionale e dalle testimonianze di due detenuti.

Viviamo in una società dove chi sbaglia è dannato: dentro o fuori le sbarre rimarrà sempre prigioniero dei suoi errori, un malvagio da emarginare. Ben diversa è l’esperienza cristiana. In essa un uomo, qualunque delitto abbia commesso, ha sempre una possibilità di cambiare e di redimersi.

Non a caso fin dall’inizio del cristianesimo c’è stata un’attenzione profonda al mondo delle carceri: visitare i detenuti è una delle opere di misericordia corporale. Scriveva sant’Agostino: "È necessario perseguire i peccati non i peccatori… è esempio di umanità chi persegue il peccato avendo come fine di liberare/salvare l’uomo". E rivolgeva questo invito: "Diligite homines, interficite errores", "amate gli uomini, condannate gli errori".

Il principale intento della mostra è proprio documentare che, paradossalmente, in un luogo dove tutto sembra finalizzato alla privazione della libertà, può nascere una domanda di verità di sé, inizio di un percorso di riconquista dell’umano. Proprio il riconoscimento dell’errore e la richiesta di perdono agli uomini e a Dio è il principio di un cammino di redenzione.

Si scopre così che in tutto il mondo chi sta espiando una pena può dare testimonianza di libertà, umana e di fede, monito per tutti a scoprire che "omnia gloria filiae regis ab intus", "tutta la gloria della figlia del re viene dal di dentro", cioè dalla coscienza del rapporto col Mistero. Persone colpevoli dei peggiori crimini vivono la reclusione come possibilità di ripresa della dignità umana, imparano che la libertà non dipende dalle circostanze, sperimentano la cella come una "clausura", cioè il modo con cui vivere il rapporto con Cristo.

Analogamente ci sono uomini - magistrati di sorveglianza, guardie, educatori - che vivono con grande umanità e rispetto per le persone il loro lavoro nelle carceri. Ad essi si aggiungono molti fra coloro che svolgono nelle carceri un’attività di caritativa o danno vita ad attività produttive che offrono lavoro ai detenuti.

Il più importante aspetto di queste testimonianze, messo in luce dalla mostra con diversi mezzi espressivi, ma soprattutto dalla presenza di chi è direttamente coinvolto nella vita delle carceri, è la documentazione di una presenza che fa rinascere la speranza in un ambiente dove non si dovrebbe aver più speranza.

Si potrà anche toccare con mano l’alto livello qualitativo del frutto del lavoro di questo "mondo sommerso", lavoro reso possibile dall’iniziativa di cooperative di produzione e lavoro che, scevre da connotati assistenzialisti, sono state capaci di inserirsi con professionalità sul mercato. Queste testimonianze saranno illuminate nella loro più vera prospettiva da documentazioni di tipo storico, artistico, letterario, teatrale, cinematografico, opera di grandi personalità che hanno colto il duplice aspetto di fallimento e di possibile resurrezione dell’umana esistenza nelle carceri.

Infine la mostra metterà a tema anche il ruolo della detenzione nel nostro Paese, a partire dalla costituzione che concepisce la detenzione come un "percorso di redenzione" e il carcere come un luogo in cui "vigilando redimere". Oggi questa funzione rieducativa prevista dalla Costituzione è spesso disattesa. Accade così che nella maggior parte dei casi non è vero che le carceri sono luoghi di recupero e di redenzione dei detenuti. Quale deve essere la strada perché in questi luoghi sia possibile un percorso riabilitativo per chi "libertà va cercando, ch’è sì cara"? O protagonisti o nessuno. A maggior ragione in carcere.

Immigrazione: operai nella "bassa"… dove la fatica uccide

 

La Repubblica, 14 luglio 2008

 

Gli schiavi sono scappati. I carabinieri che vagano nei campi a far controlli, l’ispettorato del lavoro in allarme, i politici che stigmatizzano. Meglio cambiare aria, cercare più in là. Verso Reggio, verso Ferrara, o magari al sud. Anche i padroni sono d’accordo, perché hanno paura pure loro. Con i campi pieni di meloni maturi, pronti per essere colti, e mezza Italia che aspetta col suo bravo piatto di prosciutto crudo da accompagnare con un frutto sugoso, gli si stringe il cuore, ma si devono far bastare i regolari, quelli che pretendono i 7.80 euro l’ora più gli oneri da pagare. Era meglio dargli 6 euro in nero, ovvio, ma dopo lo "scandalo" il momento nella pianura mantovana si è fatto difficile.

Gente di nessuno, che puoi tenere in pugno, dargli i soldi quando hai già venduto la merce, che non ti denuncerà mai perché la legge ha motivo di temerla più di te. Uomini che possono dormire all’aperto e bere l’acqua dei fossi. Si popolano di schiavi d’estate le campagne d’Italia, immigrati indiani, romeni, nordafricani che raccolgono i frutti della terra, sfruttati dalle aziende e dai caporali, indispensabili quanto invisibili. E se uno di loro si accascia nel campo riarso dal sole, davanti a una pianta di meloni, l’unico problema per il padrone è quello di farlo trovare lontano dalla sua proprietà per non avere guai.

Morire di fatica ed essere buttato via. È capitato due settimane fa a Viadana, provincia di Mantova, ma poi la verità è venuta a galla, ne hanno parlato i giornali e c’è stato il fuggi-fuggi dei poveretti. Vijay Kumar, 44 anni, indiano del Punjab, arriva in Grecia con un visto turistico, di lì direttamente nel mantovano, dove c’è bisogno di braccia per raccogliere i meloni. Alloggia in una catapecchia e gli va già bene. Vijay si alza alle cinque e via. Si ferma a mangiare un po’ di riso a mezzogiorno e ricomincia. L’afa è soffocante. Alle 4 crolla con la faccia tra le zolle. Il padrone, Mario Costa, ordina: "Fatelo sparire di qui". Passano ore, si trova una macchina che lo scarica verso Suzzara, e quando finalmente viene chiamata un’ambulanza, il suo cuore si ferma. Il padrone e sua moglie sono indagati per omissione di soccorso e omicidio volontario. Mentre si passa al vaglio la Cooperativa Facchini Vitelliani, che avrebbe fornito la forza lavoro a Costa, in sospetto di caporalato.

Due giorni fa, un altro indiano è stramazzato in un campo di meloni, a pochi chilometri dal primo. Ma stavolta il padrone, Bruno Francescon, forse il più importante produttore della zona, ha chiamato il 118. Così Jasdir Singh, 22 anni, è stato portato in tempo in ospedale e ieri i medici hanno detto che probabilmente si salverà. Perché Singh era assunto in regola e Francescon è un imprenditore per bene, che non ha avuto problemi a polemizzare pubblicamente con la Lega: "Ma come facciamo nei campi senza di loro? Qui sono una benedizione".

Fabrizio Bruni, segreteria Cgil, per anni si è occupato della manovalanza nel mantovano. Racconta: "Dopo le nostre denunce, almeno non sono più trattati da bestie, quando li facevano dormire lungo i fossi. Da schiavi ancora sì. Gli danno i soldi alla fine, così li tengono inchiodati lì, paga bassa in nero. Flussi incontrollati, comandati solo dalle esigenze del lavoro. Via di qui a inseguire altre raccolte: le fragole, i meloni, i cocomeri. Magari poi le mele e l’uva. Senza nessuna tutela. Denunce non ne fanno, sono ricattati". Nei campi è difficile far rispettare le regole: "Già per i lavoratori con i documenti succede qualsiasi cosa. Orari di lavoro elastici, in pratica dall’alba al tramonto. Per quelli in nero, poi, è tutto privo di controllo. Poi c’è il caporalato, anche se qualcuno dice che non è vero. Ma quanto ci sono imprenditori agricoli senza un pezzo di terra, mi si spieghi qual è il loro business, se non quello di procurare braccia".

È nelle piccole aziende agricole che l’immigrato, soprattutto indiano e marocchino, viene trattato da schiavo. Dice Bruno Francescon: "La mia azienda ha un ciclo di lavoro lungo, anche sette mesi, e questo facilita sia il lavoratore che noi. Da anni abbiamo gli stessi che poi, la prossima primavera, torneranno. Se ne abbiamo bisogno in numero maggiore, portano amici e parenti. Ma per i piccoli, per quelli che hanno bisogno solo per 15 giorni o un mese, sono guai. Con la Bossi-Fini c’è una burocrazia infinita e così vanno sul mercato del lavoro nero".

Mukesh Chander, indiano, qui a Mantova è arrivato 22 anni fa, lavorava in un circo. Poi ha fatto il contadino, il mungitore di mucche, l’operaio, poi ancora il contadino. Ora fa l’artigiano per conto terzi, dal Punjab ha fatto venire la famiglia, se la cava bene e organizza anche una manifestazione che si chiama "Un po’ di Gange". Nel tempo libero cerca di dare una mano ai connazionali. "Per arrivare fino a qui buttano soldi, lo sai come funziona, così si ammazzano di lavoro per rimborsare il debito. Lavorare in nero è brutto perché nessuno ti protegge. I soldi te li danno quando vogliono, i conti delle ore li fa il padrone, la paga è più bassa. La vita nei campi è dura. Ma non abbiamo scelta. Meglio comunque qui che al sud Italia. Ci sono posti che nemmeno te li sogni. Meglio i meloni a Viadana che i pomodori a Napoli, noi indiani lo sappiamo. Che anche qui ci sono i padroni bastardi, è normale". Adesso gli indiani irregolari sono scappati via? "Torneranno, se non trovano altro lavoro e appena è tutto tranquillo".

Droghe: Moratti; distinguere fra spacciatori e consumatori

 

Notiziario Aduc, 14 luglio 2008

 

"Nel pacchetto sicurezza manca la certezza della pena per i recidivi, che potrebbero continuare a beneficiare degli sconti. Ed è del tutto assente il tema delle violenze sessuali, un reato che nell’ordinamento deve essere assolutamente previsto nella sua autonomia quando viene commesso dentro le mura domestiche, mentre occorre il processo per direttissima agli stupratori". Lo ha dichiarato in un’intervista a "La Repubblica", diretto da Ezio Mauro, il sindaco di Milano, Letizia Moratti.

"Nel decreto non si fa alcun cenno alla distinzione tra spaccio e consumo di droghe. I cittadini si sentono assediati dagli spacciatori, mi chiedono continuamente di fare qualcosa per colpire gli spacciatori. Ma adesso è impossibile, perché se anche vengono arrestati dalle forze dell’ordine c’è sempre qualche giudice che li rimette in libertà. E pensare che sarebbe bastato inserire nel decreto le tabelle di Giovanardi...Queste cose che mancano pesano come macigni." "Non ci vedrei niente di male se un provvedimento estendesse a tutti l’obbligo di rilasciare impronte. Quando andiamo negli Stati Uniti siamo tenuti a quest’obbligo: quando si parla della sicurezza di tutti bisogna accettare certe regole. Ci si abitua, non è un dramma. E mi sembra giusto così".

Droghe: lo psichiatra; le i-doser funzionano, io ho provato

di Giulia Vola

 

La Stampa, 14 luglio 2008

 

 

La nuova droga sonora funziona, e fa paura. "L’ho provata insieme ai miei specializzandi e l’effetto è stato immediato: mal di testa, sonnolenza, stordimento, formicolii. Abbiamo dovuto interrompere l’esperimento. Senza dubbio funziona". Donato Munno, psichiatra e professore di Psicologia clinica alla facoltà di Medicina di Torino, nonché autore del saggio "Nuove droghe e nuovi tossicomani", ha scaricato "iDoser" da internet, le ha provate e ha scoperto che il suo testo merita un aggiornamento.

Che la musica entri nell’animo lo diceva già Platone più di duemila anni fa. Ma che le onde sonore spacciate on-line riproducano gli effetti di cocaina, ecstasy, eroina, lsd e marijuana è roba da maniaci del computer del terzo millennio. Trecento anni dopo le sonate di Mozart che sedavano le crisi epilettiche, i cybernauti si sono inventati le i-Doser: bastano un pc, una connessione a internet e un paio di cuffie e la dose è pronta da consumare "sdraiati nel letto e possibilmente al buio", raccomanda il principale sito-pusher.

A preoccupare è la dipendenza psichica: "Le droghe che creano carenza fisica sono in calo - spiega Munno - Oggi la tendenza è assumere sostanze che permettano una vita normale, come la cocaina. E le iDoser vanno in questa direzione: si ha "voglia", non "bisogno"" di consumarle. Mi vengono in mente i riti ancestrali dove la musica ripetuta a una precisa cadenza porta in stati di trance e ipnosi. Oppure si pensi alla musicoterapica, dove il suono che riattiva onde cerebrali ha risvegliato persone dal coma", come è successo a Torino, all’ospedale delle Molinette, nel 2002.

Il sistema funziona sulla base dei cosiddetti "battiti binaurali", sperimentati sul cervello negli anni Settanta dal medico newyorchese Gerald Oster. Spiega il professor Ferdinando Rossi, ordinario di Neurologia a Torino: "Vengono applicate alle orecchie frequenze diverse tra loro: la differenza crea una stimolazione nel cervello, tanto più forte quando più intense sono le onde. Le frequenze cerebrali vanno da 1 a 4 hertz per il livello Delta, quello del sonno profondo, ai 30 dello stato vigile, che corrisponde alla frequenza Beta". Le iDoser vengono sparate in un orecchio a 500 hertz, nell’altro a 510. Sono i dieci della differenza a provocare lo "sballo".

Sono centinaia le pagine web dedicate alla nuova fusione, ancora più numerose le proposte. "Una dose - si legge su un sito - costa appena 3 euro, mentre un mp3 con Peyotl, cocaina, marijuana e oppio costano tra i 16 e 13 euro. Stessi prezzi per Lsd, ecstasy e morfina". Listini che la Guardia di Finanza conferma: "Il rischio - spiega il maresciallo Antonio Landi - è a lungo termine. Una volta scaricate da Internet sono riutilizzabili infinite volte. Senza contare che ne verranno prodotte altre e questo alimenterà un mercato che promette già centinaia di migliaia di clienti".

Oltreoceano c’è già chi si è inventato tournée in giro per il mondo a base di onde a bassa frequenza, che più che concerti sembrano ipnosi collettive: "Lavoravo in un locale dove stavano suonando i Sunn O - spiega Mema Trapani, ventisette anni, torinese - una band di Los Angeles. Avevo i tappi ma non sono serviti a nulla: ho iniziato a sentire le formiche nelle vene, mi si è appannata la vista, non stavo in piedi, tutto era al rallentatore. È stato angosciante. L’effetto è passato solo quando sono uscita dal locale".

In rete, giovani adepti di tutto il mondo si scambiano entusiasmi sulla nuova droga quasi a costo zero: "Questa roba è super!" sottolinea James. "A me ha fatto effetto dalla quarta volta - ribatte Liu 92 - Ora sono quasi dipendente. Mi faccio tutti i giorni". "Io ho provato la cocaQH - aggiunge Zioser - ho iniziato a ridere senza senso". "La marijuana sonora è stupefacente - scrive Giacomo -. Prima di provarla ero ultrascettico, ma ho cambiato idea, ha gli effetti di una vera canna".

Iran: "le mie prigioni", parla studente simbolo della rivolta

 

Il Giornale, 14 luglio 2008

 

Una fuga durata giorni, in auto, autobus e a piedi attraverso le montagne del Kurdistan. L’accoglienza in Iraq dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, infine l’asilo concesso dagli Usa. Così Ahmad Batebi, personaggio simbolo della rivolta studentesca in Iran del 1999, già condannato a morte e incarcerato per otto anni, è scappato dalla Repubblica islamica e ora racconta la sua Odissea dalle colonne del New York Times.

Batebi, che ora ha 31 anni, era diventato famoso dopo che l’Economist, nove anni fa, aveva pubblicato in copertina la fotografia di lui che innalzava la maglietta insanguinata di un compagno ferito negli scontri di quei giorni, i più gravi dalla rivoluzione islamica di 20 anni prima. Condannato inizialmente alla pena capitale, il giovane si è visto ridurre la pena prima a 15 e poi a 10 anni di reclusione. Ma con il quotidiano americano l’ex studente parla di torture di ogni genere subite in carcere e di due finte esecuzioni.

In una di queste, ricorda, fu lasciato 45 minuti con un cappio intorno al collo, e in un’altra due detenuti furono impiccati accanto a lui. Batebi è l’ultimo in ordine di tempo di una serie di dissidenti riparati negli Stati Uniti, dopo anni passati nelle carceri della Repubblica islamica. Già da qualche anno vive negli Usa Ali Afshari, leader del movimento riformista studentesco all’epoca della rivolta, che nei giorni scorsi è stato a Roma, dove il sindaco, Gianni Alemanno, si è detto favorevole ad intitolare una strada della capitale proprio alla data che vide l’inizio degli scontri, il 9 luglio. Decine però sono ancora gli studenti in carcere nella Repubblica islamica.

E alcuni sono morti in detenzione. È il caso di un altro giovane condannato per la rivolta del 1999, Akbar Mohammadi, deceduto due anni fa durante uno sciopero della fame. Ahmad Batebi, che nel 1999 era studente di fotogiornalismo, era già in carcere quando la sua fotografia apparve sull’Economist. Per 17 mesi, racconta ora il giovane, fu tenuto in isolamento e sottoposto a torture per convincerlo a confessare in televisione che si era trattato di una montatura: che cioè quello che appariva sulla maglietta da lui mostrata non era sangue umano.

Venezuela: Chavez propone riforma del sistema carcerario

 

Associated Press, 14 luglio 2008

 

Il presidente del Venezuela Hugo Chavez vuole una riforma del sistema carcerario del suo paese dove troppo spesso i detenuto aspettano fino a due anni prima che i loro casi vengano affrontati in tribunale. Chavez ha detto che il suo governo formerà una task force per lavorare sulla riforma e si è lamentato con il presidente della Corte Suprema per l’attesa a cui sono costretti i carcerati. Anche la violenza è un problema sempre più grave nelle carceri sovraffollate del Venezuela.

Solo l’anno scorso, riferisce l’Osservatorio sulle prigioni venezuelane, sono stati uccisi in cella 498 detenuti. Durante la presidenza di Chavez, il governo si è attivato per creare programmi di riabilitazione, come la formazione di orchestre, ma oggi Chavez, inaugurando un nuovo carcere, ha affermato che questi sforzi non sono sufficienti e bisogna fare di più per riformare il sistema.

 

 

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