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Giustizia: decreto sicurezza; minorenni puniti come gli adulti
La Stampa, 25 giugno 2008
Una prima pezza è stata messa, ma il danno è fatto: niente affidamenti in prova, niente mediazione, niente cancellazione dei reati per irrilevanza. Ben che vada sarà così per almeno due mesi: i minorenni che delinquono verranno trattati alla stregua degli adulti. Un colpo di spugna su anni di studi e sperimentazioni per la rieducazione dei minorenni a rischio. E già successo a Catanzaro, dove un diciassettenne arrestato per un reato contro il patrimonio è stato immediatamente condannato e dove stessa sorte è capitata a un sedicenne. E succederà ancora. Un’anomalia giuridica dovuta al nuovo decreto legge sulla sicurezza, entrato in vigore da poche settimane. L’intenzione del governo era di velocizzare i processi degli adulti. Si è così introdotto l’obbligo per i pubblici ministeri di mandare a processo per rito direttissimo o immediato i delinquenti arrestati. Ma così facendo l’esecutivo non si è accorto che l’obbligo sarebbe ricaduto anche sui Sostituti Procuratori dei minori. Che negli ultimi anni hanno studiato e sperimentato una serie di strumenti ad hoc per il recupero dei minori che delinquono. Strumenti alternativi alla pena, come l’affidamento in prova che permette la sospensione del processo e la cancellazione del reato nel caso in cui il ragazzo dimostri di riuscire a raggiungere una serie di obiettivi educativi, sociali e lavorativi rigidissimi. Il problema è che, per questi strumenti, è necessario avere del tempo, studiare il soggetto, incominciare un percorso con l’aiuto di esperti del settore e servizi sociali. Attività che non possono sposarsi con la rapidità del rito direttissimo o quello immediato. "Un passo indietro - racconta uno dei sostituti procuratori dei minori di Catanzaro perché il processo penale minorile italiano è un modello studiato e ammirato in tutto il mondo". Proprio i casi di Catanzaro hanno spinto l’Unione Nazionale delle Camere minorili, associazione di avvocati che si occupano di processi ai minori, a muoversi per riuscire a far notare al governo il rischio che si stava correndo. In pochi giorni il Senatore del Pd ed ex magistrato Felice Casson ha presentato un emendamento a sua firma sollecitato dall’Unione delle Camere Minorili e "sostenuto" dall’Associazione Magistrati Minorili. Dopo un primo voto contrario da parte del governo, però, l’esecutivo si è subito reso conto delle conseguenze a cui si andava incontro e, grazie anche al grande lavoro condotto dal sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, la settimana scorsa l’emendamento è stato approvato dal Senato con 277 voti favorevoli, 3 astenuti e 1 contrario. Prevede che il pm non possa richiedere giudizio direttissimo o immediato "nei casi in cui ciò pregiudichi gravemente le esigenze educative del minore". Un risultato bipartisan che dimostra quanto il rischio sia reale. A questo punto l’emendamento tornerà alla Camera. I tempi potrebbero essere anche lunghi, visto che proprio sulla parte riguardante la Giustizia il decreto legge dovrà affrontare le discussioni più accese tra maggioranza e opposizione. Fino a quando però il decreto non si trasformerà in legge (il che dovrà necessariamente avvenire entro la fine di luglio), i minorenni arrestati avranno lo stesso trattamento riservato ai loro cattivi maestri. In una nota dell’Unione Camere Minorili la presidente Fabrizia Bagnati e il responsabile settore penale Luca Muglia fra le altre cose auspicano "una sempre maggiore attenzione politico-legislativa alle tematiche riguardanti la giustizia minorile, che sta via via assurgendo a ruolo propulsivo della nostra società". Giustizia: decreto passa al Senato; la contrarietà di Antigone
Dire, 25 giugno 2008
Il Presidente Patrizio Gonnella: "È un provvedimento brutto, sporco e cattivo, di cui non condividiamo neanche una virgola. Nel breve periodo potrà pur portare qualche compenso, ma poi determinerà una reazione contraria". "È un provvedimento, quello passato oggi in Senato, di cui non condividiamo neanche una virgola. Nel breve periodo potrà pur portare qualche compenso in più, ma nel medio e lungo periodo determinerà sicuramente una reazione contraria in quanto la gente si renderà conto che la sicurezza non avrà avuto beneficio mentre sarà compromesso lo stato di diritto nel nostro paese". Così Patrizio Gonnella, presidente nazionale dell’associazione Antigone, che commenta il decreto sicurezza. "È un provvedimento brutto in quanto se la prende con gli ultimi della nostra società - continua -. L’aggravante della clandestinità è palesemente illegittima. Punire chi affitta un appartamento ad un extracomunitario significa trasformare in criminali persone per bene. Prevedere i militari per strada che fanno ordine pubblico è inutile e dannoso in quanto aumenta il senso di insicurezza collettivo". Il decreto è poi, per Antigone, "un decreto sporco, perché spaccia per sicurezza un misto di autoritarismo e impunità per i potenti. Si cristallizza una giustizia di classe clemente con i forti e inclemente con i deboli. È un provvedimento cattivo - conclude Gonnella - in quanto molto violento e diretto a trasformare questioni sociali in questioni criminali. Non era questo ciò di cui aveva bisogno la sicurezza del nostro paese". Giustizia: Finocchiaro (Pd); combattiamo blocco dei processi
Dire, 25 giugno 2008
La Presidente del gruppo del Pd al Senato, Anna Finocchiaro, e il ministro ombra del Pd per le pari opportunità, Vittoria Franco, hanno incontrato le donne del Partito democratico e delle associazioni che hanno organizzato il sit in davanti Palazzo Madama durante il voto sul decreto sicurezza. "Animo, continuiamo la battaglia", ha detto Finocchiaro salutando la piccola delegazione. Le donne hanno ringraziato le parlamentari per l’impegno con il quale hanno contrastato in Aula e nelle commissioni il decreto che contiene la norma "salva-Berlusconi" che prevede la sospensione di 100.000 processi molti dei quali riguardano lo stupro, la violenza sessuale e le lesioni contro le donne e i bambini, i maltrattamenti in famiglia e lo sfruttamento della prostituzione minorile. "Sconcerto - ha detto Anna Finocchiaro - è quello che si prova davanti agli atteggiamenti contraddittori della maggioranza che, in commissione e in Aula, ha sostenuto essere poco organici gli interventi sull’argomento della violenza perché un tema così importante merita ben altro, alludendo al ddl che il ministro Carfagna ha presentato al Consiglio dei Ministri". È forse più organica, allora, ha domandato Finocchiaro, "la sospensione dei processi che, guarda caso, coinvolge il Presidente del Consiglio? Anche noi siamo convinte della necessità che la materia della violenza contro le donne vada affrontata in un complessivo atto legislativo, ma perché la ministra Carfagna non ha detto chiaramente "io voglio fare un lavoro serio e organico" e ha lasciato che permanesse questa grave ambiguità anche su provvedimenti così gravi?". Ora, ha concluso la capogruppo Pd al Senato, "il provvedimento passerà alla Camera e anche lì, siamo certe, troverà la forte opposizione delle nostre parlamentari". E Vittoria Franco ha sottolineato con un "bravissime" la mobilitazione delle donne del Pd romano e ribadito: "Noi vogliamo che le donne e le famiglie italiane sappiano che insieme a Berlusconi si salvano anche gli stupratori e gli sfruttatori". Giustizia: Polizia; servono risorse importanti per la sicurezza
Apcom, 25 giugno 2008
Il governo deve stanziare "risorse importanti per il comparto sicurezza e difesa, altrimenti avvieremo una stagione di lotta e di mobilitazione". È quanto afferma, in un una nota, il segretario generale del Sindacato Autonomo di Polizia (Sap), Nicola Tanzi, che ieri sera, nell’ambito dell’incontro a Palazzo Chigi, è stato indicato come portavoce delle richieste dei sindacati di Polizia e delle rappresentanze militari. "La sicurezza non si fa a costo zero e dall’incontro di ieri sera col Governo non sono venute fuori risposte positive per le Forze dell’Ordine - spiega - anche se dopo la lettura del documento congiunto siglato da tutte le organizzazioni sindacali e di rappresentanza di Polizia, Carabinieri, Finanza, Forestale, Penitenziaria, Esercito, Marina e Aeronautica, c’è stata una piccola apertura di credito da parte dei ministri Maroni, La Russa e Brunetta". "Abbiamo respinto con forza qualsiasi tentativo di ulteriori tagli ai bilanci dei Ministeri relativi al comparto sicurezza e difesa - ha detto Tanzi - da questo Governo, dopo l’elemosina dell’esecutivo Prodi che ha ridotto all’osso le risorse per il Viminale e ha regalato ai poliziotti aumenti da 5 euro al mese, pretendiamo e vogliamo di più". Tanzi fa sapere che ieri sera vi è stata una apertura di credito da parte di alcuni ministri presenti: "Brunetta ha detto che a luglio partiranno i tavoli per il nuovo contratto 2008-2009 e ha confermato la disponibilità di 200 milioni di euro per la coda contrattuale relativa all’accordo 2006-2007. La Russa - prosegue il segretario - ha assicurato il suo personale impegno per normare con legge la specificità del Comparto Sicurezza e Difesa. Il ministro dell’interno Maroni, dal canto suo, ha giudicato sacrosante le richieste dei sindacati di polizia e delle rappresentanze militari. Tutti, insomma, si sono impegnati a cercare di reperire risorse. Non possiamo che prendere positivamente atto di queste apertura di credito, ma aspettiamo il Governo alla prova dei fatti. Altrimenti, avvieremo una stagione di lotta e di mobilitazione". Giustizia: Sappe; sottoscriviamo le preoccupazioni di Alfano
Il Velino, 25 giugno 2008
"Sottoscriviamo le preoccupazioni espresse oggi in materia carcere dal ministro della Giustizia Alfano alla commissione Giustizia di palazzo Madama. È davvero necessaria un’audizione ad hoc sul tema penitenziario, che rischia oggi davvero l’implosione". È quanto afferma Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), la prima e più rappresentativa Organizzazione di categoria con oltre dodicimila iscritti, in relazione all’audizione odierna del ministro della Giustizia Alfano in commissione Giustizia. "Anche il pacchetto sicurezza dovrà tenere nel debito conto le ricadute che ciò comporterà sui nostri penitenziari, già abbondantemente sovraffollati con 55 mila detenuti presenti a fronte di poco più di 42 mila posti. Non si può immaginare l’equazione più sicurezza uguale più carcere. Le nostre strutture non sono in grado di sostenere un ulteriore aumento di detenuti. E gli organici del Corpo di Polizia penitenziaria sono carenti di ben quattro mila unità. Questo vuol dire più assunzioni e un generale ripensamento del sistema carcerario nazionale. Mi auguro si vorrà tenere in debito conto questa pesante criticità e sottoscriviamo per tanto quanto ha detto oggi il ministro". "Mi auguro - aggiunge il segretario generale Capece - ma credo di poter dire che ce lo auguriamo tutti, che le lodevoli dichiarazioni di intenti di Governo, maggioranza e opposizione parlamentare per una ampia collaborazione bipartisan nell’interesse del paese che prescinda dalle appartenenze sulla questione penitenziaria produca effetti benefici per il paese e per le donne e gli uomini del Corpo di polizia penitenziaria. Per altro, lo stesso capo dello Stato Giorgio Napolitano ha spesso parlato della necessità di ripensare l’intero sistema sanzionatorio e della gestione della pena nel nostro paese ritenendo indispensabile che in Parlamento si cercassero soluzioni condivise per la trasformazione dell’amministrazione della giustizia e del mondo penitenziario, soluzioni che tengano nel dovuto conto un nuovo impiego operativo della Polizia penitenziaria ed un necessario adeguamento degli organici (mancano ben 4mila agenti, come ha recentemente ricordato anche la commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati che ha reso pubblica l’indagine conoscitiva sullo stato della sicurezza in Italia, sugli indirizzi della politica della sicurezza dei cittadini e sull’organizzazione e il funzionamento delle Forze di Polizia)". Firenze: gli negano "domiciliari", 26enne si impicca in cella di Laura Montanari
La Repubblica, 25 giugno 2008
Una corda al collo, a penzoloni nel bagno. Si è ucciso così, unendo le stringhe delle scarpe alle strisce di stoffa tagliate dai jeans. Nemmeno una lettera lasciata a qualcuno, nemmeno una parola o un indizio consegnato ai compagni di cella. È sparito per un quarto d’ora dietro la porta e quando la guardia si è insospettita era già troppo tardi. Niki Aprile Gatti aveva 26 anni, era nato ad Avezzano, in provincia dell’Aquila e viveva tra Rimini e Londra. Sposato, senza figli. Era finito nel carcere di Sollicciano pochi giorni fa, il 19 giugno, arrestato nell’ambito dell’inchiesta sulle truffe telefoniche legate al prefisso 899, un’operazione condotta dalla squadra mobile fiorentina e coordinata dalla magistratura che aveva emesso diciannove ordinanze di custodia cautelare. Niki Aprile Gatti gestiva un’azienda di servizi di telefonia a San Marino, una di quelle diventate oggetto delle indagini coordinate dal pm della Dda Paolo Canessa e dal sostituto procuratore Giulio Monferini. Secondo le accuse c’era un’organizzazione che avrebbe truffato ignari utenti, inducendoli a telefonare o a collegarsi con connessioni internet a tariffa maggiorata. Tutto ciò sarebbe costato complessivamente 10 milioni di euro ai clienti incappati in quei servizi. I proventi invece sarebbero confluiti in società estere "off shore". Nell’ambito dello stesso filone di indagine è stato arrestato il presidente dell’Arezzo Calcio, Piero Mancini, amministratore di una concessionaria di servizi telefonici. Fra i reati contestati a vario titolo agli indagati l’associazione per delinquere, la truffa informatica e il riciclaggio. Il giovane imprenditore della telefonia è stato portato a Sollicciano lo scorso giovedì: il 20 secondo quanto ricostruisce il garante per i diritti dei detenuti, Franco Corleone, "aveva avuto un colloquio con lo psicologo e non era emerso niente di preoccupante". Dal 20 al 22 era stato ospitato nelle celle del "transito", poi trasferito alla quarta sezione. "Era incensurato e l’impatto con la detenzione deve essere stato traumatico - prosegue Corleone - il giorno prima a due degli arrestati erano stati concessi i domiciliari, a lui no: dopo l’interrogatorio di garanzia il gip gli aveva confermato il carcere. Forse si è scoraggiato pensando a una lunga detenzione, so che aveva cambiato avvocato, altro segnale di inquietudine. Ho parlato col direttore di Sollicciano e con gli agenti, erano affranti, da tempo non si registravano suicidi nell’istituto fiorentino. Mi hanno spiegato anche che i soccorsi sono stati rapidi". Ieri mattina alla 10 Niki Aprile Gatti aveva avuto la sua ora d’aria, era rientrato in cella, aveva scambiato qualche parola con un agente sul processo, alle 11 uno dei suoi compagni di cella era andato in infermeria per prendere il metadone, un altro era rimasto lì. Lui si è chiuso nel bagno e si è impiccato. "Se posso fare una riflessione ampia e non legata strettamente a questo evento tragico - conclude il Garante - dico che non si può pensare di risolvere tutto col carcere e che a volte se ne dovrebbe fare un uso più prudente. Sono preoccupato anche per il sovraffollamento, Sollicciano sfiora quota 900 detenuti". Salerno: detenuta 34enne si suicida, era in carcere da 8 mesi
Ansa, 25 giugno 2008
Si è tolta la vita impiccandosi all’interno del carcere di Fuorni. È accaduto stamattina nel penitenziario salernitano, dove una donna, Tamara Selli, 34 anni, di origini romane, si è tolta la vita stringendosi al collo una maglia. Ad accorgersi della donna ormai priva di vita sono state le guardie penitenziarie. La donna, che pare non fosse da sola in cella al momento della tragedia (stando ad una prima versione la Sella era insieme ad altre detenute, che però non si sarebbero accorte di quanto stava facendo la loro compagna) già due mesi fa aveva tentato di suicidarsi, procurandosi delle lesioni. La donna era detenuta nel carcere salernitano da circa otto mesi con condanne per rapine ed estorsioni. Roma: detenuti gravemente ammalati trasferiti senza motivo
Garante dei detenuti del Lazio, 25 giugno 2008
Gravemente ammalato, con una patologia che lo pone a rischio di vita, un detenuto romano di Regina Coeli è stato trasferito nei giorni scorsi, senza motivi né giustificazioni, da Roma al carcere di Napoli, aggravando ancor di più le sue condizioni di salute. La vicenda è stata segnalata dal Garante regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni con una lettera inviata al Capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria Ettore Ferrara, al Vice Capo del Dap Emilio di Somma e al responsabile dell’Ufficio Detenuti e trattamento del Dap Sebastiano Ardita. Fabio O., questo il nome del detenuto, è stato trasferito il 21 maggio dal Centro Clinico di Regina Coeli, dove era ricoverato da 2 mesi, a quello napoletano di Poggioreale. "Il suo trasferimento - ha scritto la moglie in una lettera inviata al Garante - è avvenuto senza che né il magistrato, né l’avvocato né tantomeno la famiglia fossero avvertiti". Cardiopatico grave con angina instabile per la quale è stato operato, invalido al 100%, Fabio soffre di apnee notturne che lo mettono a rischio di vita e, per questo, avrebbe bisogno di un respiratore quando dorme. Da quando è arrivato in carcere, lo scorso aprile, ha perso 20 chili ed ha avuto un’ischemia. Per avere il colloquio settimanale i familiari oggi sono costretti ad un viaggio di 400 km fra andata e ritorno e ad attese di ore prima di vedere il loro congiunto. Una situazione simile è quella di Natale N. che - non deambulante e affetto da Hiv, cirrosi epatica ed epilessia - è stato trasferito da Regina Coeli a Milano, presso una coop sociale dove, però, non ha trovato l’assistenza che si aspettava. Dopo aver fatto inutilmente istanza per tornare a Roma è stato trasferito nel carcere di San Vittore, da qui all’ospedale "Sacco" per una broncopolmonite contratta in carcere e quindi nell’Istituto di detenzione di Opera. "A Roma - ha scritto al Garante - ho una madre di 81 anni e un figlio piccolo. Ero in contatto con il Sert di appartenenza e con i dottori dello Spallanzani, che mi curano da anni. Stare lontano dalla famiglia mi ha molto depresso e la malattia ha trovato campo libero. Tornare a Milano vorrebbe dire morire". "Da anni - ha scritto Marroni ai vertici del Dap - i nostri uffici lavorano per recepire ciò che la Costituzione e l’Ordinamento Penitenziario esprimono in tema di trattamento e rieducazione. Con questo spirito di collaborazione Istituzionale, torno ad affrontare il tema dell’espiare la pena, della territorializzazione della pena, della centralità delle cure e del diritto della continuità terapeutica e assistenziale. Chiedo quindi di considerare un avvicinamento dei due detenuti." "Le lettere dei detenuti - ha aggiunto il Garante - fanno sorgere alcune domande: quale logica c’è dietro i trasferimenti? Quale ragionamento porta a trasferire un malato da Roma a Napoli? Perché allontanarlo dalla famiglia, dai medici, dall’avvocato o dall’ospedale? Mi rendo conto della difficile gestione di migliaia di detenuti, ma credo sia compito delle istituzioni affrontare le singole situazioni e trovare le risposte che mettono al primo posto, accanto alla sicurezza, il diritto alla salute e alle relazioni con i propri famigliari".
L’Ufficio Stampa del Garante Lucera: serial killer confessa 15 omicidi, scagiona 8 imputati di Paolo Viotti
La Repubblica, 25 giugno 2008
Confessa il serial killer delle vecchiette "Ma ci sono ancora imputati in carcere". Uno degli indagati si suicidò in cella subito dopo la sentenza di colpevolezza. Cinque persone sono sotto accusa. L’avvocato: è il più grande errore giudiziario. La confessione del serial killer delle vecchiette, Ben Mohamed Ezzedine Sebai, tunisino di 44 anni, è "pienamente attendibile": lo scrive il Gup del tribunale di Lucera Carlo Chiriaco motivando la sentenza con la quale, il 15 febbraio, ha condannato Sebai a 18 anni di reclusione (con rito abbreviato) per l’omicidio di Celeste Madonna, di 81 anni, uccisa a Lucera il 25 aprile 1996. Il tunisino è già stato condannato con sentenza definitiva a quattro ergastoli per altrettanti omicidi di anziane donne pugliesi e ha confessato di averne ammazzate altre undici, compresa Celeste Madonna. Per i delitti confessati da Sebai sono stati in carcere per anni otto imputati (sei in relazione a quattro omicidi, due per reati collegati) che, tramite i loro legali, hanno scritto al presidente della Repubblica chiedendo la sospensione della pena "senza attendere i lunghissimi tempi della giustizia italiana" legati ai meccanismi di revisione. Gli imputati "ingiustamente" detenuti per gli omicidi sono: Vincenzo Faiuolo, unico ancora detenuto; sono invece liberi dopo anni di carcere Davide Nardelli, Francesco Orlandi, Giuseppe Tinelli e Cosimo Montemurro. Si è invece suicidato in carcere dopo essere stato condannato Vincenzo Donvito. Dopo questo suicidio Sebai ha deciso di collaborare con la giustizia. Il tunisino, hanno poi ricostruito gli inquirenti, sceglieva le vittime all’ora del rosario: si mescolava alle anziane che entravano in chiesa. Sempre educato, gentile, le aiutava a sedersi sui banchi. Chiedeva l’elemosina, poi ringraziava, mandando benedizioni. Le seguiva. Prendeva nota delle loro abitudini. Dopo qualche giorno, facendosi riconoscere, bussava alle abitazioni di quelle povere donne: anziane, vedove, sole, indifese. Entrava, le sgozzava, rubava quello che poteva e trovava. Fuggiva e si nascondeva. Poi un altro colpo, un’altra anziana, stesso copione, stessa ferocia. Il serial killer delle vecchiette in Puglia era ancora in Italia nonostante tre decreti di espulsione: nel ‘91 anni fa era stato espulso per tentato omicidio e violenza carnale in provincia di Bolzano (successivamente gli era stato intimato l’allontanamento anche dalle questure di Ancona e di Bari). Da Merano era fuggito, verso le Marche. Poi era sceso in Puglia. Per alcuni dei 15 omicidi per i quali si è accusato Ben Mohamed Ezzedine Sebai, "ci sono degli innocenti che hanno trascorso in carcere circa 60 anni che costituiscono il più grosso errore giudiziario seriale della storia italiana". Ne è convinto l’avvocato Claudio Defilippi, del Foro di Milano, che difende cinque delle otto persone (una si è suicidata in carcere dopo la condanna) detenute per lunghi anni "pur essendo innocenti". Dopo la sentenza del Gup di Lucera che ha definito "pienamente attendibile" la confessione di Sebai e lo ha condannato (con rito abbreviato) a 18 anni per un omicidio, il legale spera che per "Vincenzo Faiuolo, unico imputato ancora detenuto da dieci anni, si arrivi velocissimamente ad una sospensione della pena. Alla luce di questa situazione paradossale - conclude - se risulterà innocente, come io credo, lo Stato risparmierà soldi per la riparazione dell’errore giudiziario che verrà intentato anche dagli altri protagonisti di questa vicenda che da anni gridano la loro innocenza". Santa Maria Capua Vetere: carcere in abbandono e degrado
Asca, 25 giugno 2008
L’opposizione sammaritana intensifica la sua azione. E questa volta è Paolo De Riso, consigliere di opposizione in quota Forza Italia, ad attaccare l’amministrazione comunale. Motivo del contendere lo stato di abbandono nello spiazzale antistante il carcere. "Intervengo nella duplice qualità di consigliere comunale ma soprattutto, in questa circostanza, quale sindacalista della Uil Penitenziari e lamento lo stato di totale abbandono e degrado dell’area esterna il Nuovo Complesso Penitenziario cittadino". Il consigliere accusa, in una nota diffusa alla stampa, l’amministrazione di non curare adeguatamente l’area destinata al parcheggio ed all’accoglienza dei parenti dei carcerati "si assiste allo stato di completo abbandono - continua - a danno visivo non solo di una struttura che insiste sul nostro territorio ma a danno in particolare delle famiglie dei detenuti costrette non solo al calvario dell’attesa di una visita al proprio parente ma anche al cattivo stato esterno che certamente non rasserena gli animi". Non solo, ma lo stato di abbandono sarebbe tale da costringere le guardie penitenziarie ad occuparsi anche delle migliorie che invece sarebbero di compito dell’amministrazione "Lo stato di abbandono dell’area è anche motivo di aggravio di lavoro per i colleghi della polizia penitenziaria costretti a sobbarcarsi anche il compito di organizzare una pulizia esterna seppur superficiale. Solidarietà esprimo al direttore della struttura, Di Martino, in quanto nonostante molteplici sollecitazioni inviate all’amministrazione comunale nessun riscontro ha ottenuto dagli uffici competenti". Gorgona: nel Tirreno l’ultima "Colonia penale" su un’isola di Maria Brigida Langellotti
La Nazione, 25 giugno 2008
Non c’è vento, si parte. Mentre in tv impazza l’isola dei famosi, io decido di visitare l’isola dei detenuti. Gorgona, la più piccola e la più settentrionale delle isole dell’Arcipelago Toscano. Niente fusi orari, basta prendere un traghetto, anzi la motovedetta della polizia penitenziaria. Per raggiungere l’isola serve un permesso speciale, bisogna essere o residenti o parenti di un detenuto o di un agente. Io sono autorizzata dal ministero della Giustizia. Mi fermerò tre giorni. Arrivo di domenica, e la passo a osservare da lontano i protagonisti dell’isola: i detenuti. Sono già nelle sezioni, non posso avvicinarli ma solo scrutarli. La serata scorre lenta, allo spaccio della caserma e in spiaggia. Sono le onde del mare, lo stridere acuto e incessante dei gabbiani e le sgommate delle jeep della polizia penitenziaria che scandiscono il resto della mia domenica. Il lunedì mi sveglio presto: è un giorno di novità, sull’isola arriva il nuovo direttore del carcere, Ester Ghiselli, accompagnata dal suo predecessore Salvatore Iodice. Il loro ok dà inizio al mio tour carcerario. Tre giorni a stretto contatto con i detenuti. Non devo spiare dal buco della serratura, non devo sbirciare oltre le sbarre per incrociare gli sguardi. A Gorgona gli ospiti hanno l’opportunità di svolgere le mansioni liberi, ma sempre sotto il controllo degli agenti, e vengono retribuiti: chi alleva gli animali, chi coltiva orti, oliveti e vigneti, altri fanno il meccanico, il fornaio, il muratore. Ne incontro molti, posso ricambiare sorrisi e saluti. Carlo, Luciano, Giulio, Adil, Gianni, Antonio: tanti nomi (di fantasia) legati a storie diverse, ma accomunati da un’unica condizione. Molti considerano un privilegio scontare la pena a Gorgona, perché qui tutti lavorano all’aria aperta. La domenica possono fare il bagno in mare, tuffandosi da un trampolino naturale nella piccola insenatura di Cala Martina. Chi vuole può partecipare alla messa. Carlo è di Domodossola, ha 34 anni. Siamo nel magazzino, si racconta: è un fiume in piena. Ha un aspetto curato, è stato istruttore di body building. È arrivato il 21 agosto e ha realizzato, con le stesse mani che l’hanno condotto in carcere, un’insegna per l’infermeria. Ha fatto anche l’insegnante di tennis, poi gli incontri clandestini di kick-boxing, fino al giorno in cui la sua vita si è fermata. E anche quella di qualcun altro. "Sono in carcere da cinque anni e mezzo. A Terni ho conosciuto l’isolamento per 40 giorni, è stato orribile". "Il primo ricordo di Gorgona? Poter usare posate di ferro", risponde imbarazzato. La giornata inizia presto a Gorgona, l’ultima colonia penale agricola in attività su un’isola dopo le dismissioni dell’Asinara e di Pianosa. Ci sono una settantina di detenuti, tutti maschi, qualcuno è straniero. L’ispettore superiore Giovanni Martano mi spiega che chi arriva qui deve scontare un residuo di pena non superiore ai 10 anni (15 in via eccezionale), godere di buona salute, non avere legami con la criminalità organizzata. L’accesso è anche regolato da "interpelli" indetti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. A tratti sembra di essere in un villaggio vacanza, ma i segni della prigione sono inequivocabili. "La guardia non va mai abbassata", sostiene il vicecommissario Gisberto Granucci, sull’isola da aprile per gestire il personale di polizia penitenziaria. Così, salendo dal porto si incontrano posti di sorveglianza e agenti, e le "conte" sono lì a ricordare che si è in carcere. Nelle sezioni dette "di transito" vivono gli "articolo 21" (possono lavorare con le ditte esterne che operano sull’isola), e le "capanne" per i detenuti comuni. Vivono in un palazzo giallo, con guardie all’entrata e celle dalle porticine blu. Sui balconi intravedo panni stesi, nel cortile c’è chi ascolta musica, chi gioca a pallone, chi sonnecchia al sole e chi va a mensa. Alcuni si prestano ai flash e alle domande per raccontare come si sta in una "prigione-paradiso". Raggiungo Luciano nella sala hobby delle "capanne". È il falegname dell’isola. Ha 53 anni, padre romano e madre tunisina. Sconta un cumulo di pena per vari reati. Nel tempo libero realizza oggetti in legno, ha partecipato a mostre organizzate dall’Unicef e dalla Caritas. Ha appena finito una nave: "Con un’imbarcazione così bella vorrei tornare a casa". Intanto, si infervora parlando di politica, la segue in tv, è favorevole all’indulto ma più propenso a un uso corretto della legge Gozzini. La maggior parte di questi detenuti ha chiesto di essere trasferito qui. "Cercavano un macellaio, ho fatto domanda", scelta sofferta quella di Giulio, leccese 38enne: così è lontano dalla figlia di 11 anni che vive in Puglia. È dentro per una rapina costata la vita a un gioielliere, dice che in gioventù era "una testa calda, un ragazzo viziato". A Gorgona è venuto per lavorare e mettere da parte qualche soldo. Riesce a guadagnare 350-380 euro al mese. "Il mio ricordo più bello di Gorgona? Quando ho fatto il bagno in mare dal trampolino. Quello più triste? La lontananza da mia figlia". L’ultimo pensiero della sera è rivolto a Santa Rita: "Papà prega pure tu - gli dice la sua bimba - così se siamo in due a farlo forse Santa Rita ci ascolta". Adil è un turco di 27 anni. È musulmano, ha appena osservato il Ramadan. Lo hanno arrestato a Fiumicino, tornava dal Venezuela ed era diretto in Siria, "ma quella valigetta mi ha incastrato". Qui si occupa delle mucche. Sembra imbarazzato e parla un italiano stentato. Dal carcere cerca di aiutare i genitori: "È un modo per ripagare i miei di tutta la vergogna che hanno provato quando mi hanno arrestato". A Gorgona guadagna quasi 500 euro, più che in Turchia dove lavorava negli alberghi e ne prendeva 300. La detenzione non ha smorzato il campanilismo di Gianni: sulla parete della sua cella ha la ‘bandiera dei Quattro Morì, mentre sul comodino c’è la foto del padre, che è morto. Ha 25 anni, è un ragazzo sardo muscoloso e bruno. È in carcere dal 2004. A Gorgona si occupa dei maiali. Il suo preferito l’ha chiamato Igor, lo accarezza grattandogli la pancia: "Non posso coccolare le persone - ammette - così do il mio affetto a lui". Antonio è un calabrese di 35 anni. Fa il fornaio, è a Gorgona da 8 mesi. Qui prepara pizze e pane per il fabbisogno dell’isola. È fidanzato da 19 anni. Il martedì è il giorno dei colloqui, i parenti arrivano con la nave Toremar che va a Capraia. Non può attraccare, è la vedetta a portare i passeggeri sull’isola. Talvolta trasporta i detenuti che beneficiano del permesso. Assisto al passaggio da un mezzo all’altro e mi viene in mente la figura mitologica di Caronte, il nocchiere delle anime. Martedì scendono sei parenti, c’è la nipote di Antonio con il marito, sono in viaggio di nozze. E prima di tornare in Calabria hanno fatto capolino a Gorgona per riabbracciare lo zio. Antonio ha preparato per loro pizze e pasticcini. Quando l’agente gli comunica che i suoi parenti sono arrivati nella sala colloquio, comincia ad agitarsi e dall’emozione diventa tutto rosso. Mi saluta e si allontana saltellando. Incontro anche Giuliana, agente scelto. Abita a Livorno, ha un bimbo di un anno, prima lavorava a San Vittore. Di solito raggiunge l’isola il martedì con la Toremar e ha il compito di sorvegliare i colloqui, in biblioteca dalle 10.30 alle 16.30. "È un po’ imbarazzante - dice - negli altri carceri i colloqui sono solo visibili e non udibili". Sull’isola vivono e lavorano anche gli agenti, alcuni civili dipendenti del penitenziario e pochi altri residenti. Ma Gorgona non è vissuta da tutti come un paradiso. Il motivo principale che spinge il personale della polizia penitenziaria a prestare servizio sull’isola è la possibilità di accumulare quattro punti, anziché uno, per ogni anno di permanenza. Questo perché Gorgona è considerata una zona disagiata. Rocco è un agente lucano, da un anno sull’isola: prima era ad Aosta. In Basilicata ci sono sua moglie e tre bambini. Sull’isola non potrebbero stare, mancano le scuole. "A livello lavorativo - dice - mi trovo bene, in un carcere chiuso ci sono più problemi, ma mi rammarica molto non poter stare con la mia famiglia". Nei primi mesi del 2004 due omicidi tra i detenuti avevano messo in crisi le attività e la sopravvivenza del carcere. Ma non le hanno spente. Comunque non mancano i problemi: dalla carenza di personale, di vedette e di rappresentanza sindacale all’assenza di acqua potabile fino alla mancanza di elettricità: per generare energia si usa il gasolio, è una spesa forte, ma è ancora lontana l’installazione di pali eolici. Il numero degli indigeni si conta sulle dita di una mano. Prima di partire, scambio due chiacchiere con la famiglia Brozzi. Conosco Valentina che, con il suo bimbo di un anno e mezzo, raggiunge il padre che sta pescando su una barchetta. Lei è nata e cresciuta a Gorgona, qui ha trovato anche l’amore sposando un agente. Dice di essere felice: "Sto bene, non mi sento sola, andrò via solo quando il mio bambino andrà all’asilo". Per me, invece, è arrivato il momento di andare. Ci sarebbe molto da esplorare e da descrivere qui, a cominciare da un cielo sorprendentemente azzurro e da un mare incantevole. Il vento, intanto, si è calmato: non c’è più nessun pericolo e la vedetta può ripartire. Sono le 18.30 di martedì. Mi imbarco e mi allontano piano piano da quest’isola affascinante e silenziosa. Empoli: un carcere con 22 agenti che sorvegliano 4 detenute di Giuseppe Caporale
La Repubblica, 25 giugno 2008
L’istituto si è svuotato dopo l’indulto, ma il personale è rimasto lo stesso. A disposizione delle ospiti celle singole, sala ricreativa e biblioteca. C’è un carcere in Italia con appena quattro detenute. Un carcere di oltre mille metri quadrati, distribuiti su due piani, con ventisei celle spaziose e ben arredate, una biblioteca, un’ampia sala ricreativa, un gabinetto dentistico, l’infermeria, un campo di calcetto, un ettaro di terra con ulivi, una serra e tanto di azienda agricola. Qui si producono anche vino e olio. Un carcere con ventidue guardie carcerarie e sei dipendenti ministeriali. Un carcere modello, ma quasi vuoto, da due anni. È il penitenziario femminile di Pozzale, ad Empoli. Una situazione talmente anomala da indurre la Regione Toscana a istituire un "tavolo d’emergenza" e lanciare un appello a tutti i penitenziari del territorio nazionale: si cercano detenute. Urgentemente. Altrimenti rischia la chiusura o quanto meno di essere riconvertito. Inaugurato l’8 marzo del 1997, questo istituto "a custodia attenuata", è andato in crisi con l’indulto. Cancellata la pena sotto i tre anni, quasi tutte le detenute che al Pozzale seguivano corsi di cucina e cucito, facevano teatro, coltivavano l’orto e pubblicavano un periodico, sono uscite. E di nuove non ne arrivano, in quanto con pene superiori ai tre anni è difficile avere i requisiti necessari. Ora però la Regione sta studiando una strategia per riequilibrare il numero così esiguo. Al "tavolo d’emergenza" siedono il sindaco di Empoli, Luciana Cappelli, la direttrice del carcere, Margherita Michelini, l’assessore regionale alle politiche sociali, Gianni Salvadori, e il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Maria Pia Giuffrida. Ma trovare detenute idonee non è semplice, dato che per poter entrare in questo penitenziario a cinque stelle, occorrono anche determinati requisiti, come spiega la direttrice: "Occorre un’età non superiore ai 40 anni, e una condanna ormai definitiva". Ma guai a definirlo carcere di lusso. "Non si tratta di offrire comfort alle detenute, quanto accompagnarle in un percorso di recupero personale, per questo preferiamo celle singole" prosegue. Alla casa di "custodia attenuata" è stato fatto anche uno studio sulla percentuale dei reinserimenti. "Dal 1997 - chiosa la Michelini - dalla struttura di Pozzale sono passate cento donne in gran parte con reati legati alla tossicodipendenza: nel 70% dei casi sono riuscite a reintegrarsi a Empoli o in altre città". Ma i paradossi non sono finiti. Le ventidue guardie pare non siano sufficienti per sorvegliare le quattro detenute. Infatti la maggior parte del personale (per una serie di vincoli e tutele previsti dal contratto di lavoro) non può fare tutti i servizi ed i turni, in particolare i notturni, e spesso si ricorre a guardie da altre carceri. E scatta lo straordinario per vigilare le quattro detenute. Alessandria: protesta detenuti, cella in fiamme e agenti feriti
Ansa, 25 giugno 2008
Momenti di tensione si sono avuti oggi nel carcere San Michele di Alessandria per la protesta di due detenuti: il primo, che chiedeva di essere trasferito, ha aggredito una coppia di agenti della Polizia Penitenziaria, e il suo compagno di cella, pochi minuti dopo, ha dato fuoco a quanto lo circondava, rischiando di rimanere intossicato dal fumo insieme alle guardie. Sei agenti e lo stesso detenuto, per precauzione, sono stati visitati in ospedale. Gli episodi sono stati denunciati dai sindacati Sappe, Osapp, Ugl Sinappe, Cgil, Cisl, Uil e Fsa-Cnpp, i quali, ricordando che già sabato sera un agente era finito in ospedale per le percosse subite da un recluso, parlano di "tragedia sfiorata" e criticano il dirigente, il quale - affermano - "con le recenti direttive emanate, visti anche l’inizio del piano ferie e l’alta frequenza degli eventi critici, non riesce a garantire la sicurezza personale dei lavoratori". I due detenuti sono stati trasferiti in carceri diverse. Messina: riforma della sanità penitenziaria, appello da Cgil
La Sicilia, 25 giugno 2008
Il sistema sanitario penitenziario alla luce del decreto di riforma che dispone il trasferimento di operatori e dipendenti presso il Servizio sanitario nazionale. Questo il tema di cui si è discusso ieri nell’ambito di un Convegno organizzato dalla Funzione pubblica della Cgil di Messina al quale hanno preso parte esperti, tecnici e dirigenti del settore tra i quali l’assessore regionale alla sanità, Massimo Russo, alla sua prima uscita ufficiale in provincia di Messina. Oceano, Fp Cgil: "Difendere il diritto alla salute dei cittadini, anche se detenuti e con patologie psichiche, è civiltà". "L’Opg di Barcellona è uno dei più importanti nel nostro paese ma oggi, a causa dell’inerzia del governo regionale che non ha recepito la normativa di riforma, rischia di rimanere l’unico ospedale giudiziario in tutta Italia. Mentre gli altri Opg hanno avviato il processo di trasformazione lanciato dal Dlgs 230/99, a Barcellona tutto è bloccato - spiega la responsabile del settore giustizia della Funzione pubblica della Cgil di Messina, Clara Croce -. Un problema che riguarda la dignità della persona, di questa particolare tipologia di detenuti che sono pazienti perché con problemi mentali. E l’internamento non è la detenzione. Spesso non finisce con l’esaurirsi della pena". La Cgil di Messina ha promosso l’incontro per sollecitare la regione ad adeguarsi alla nuova normativa. Importante a questo riguardo la presenza del neo assessore alla sanità Massimo Russo che ha riconosciuto il ritardo della regione ma non ha comunque indicato soluzioni a breve. "Difendere il diritto alla salute di tutti i cittadini, anche di quelli privati della libertà e affetti da malattie mentali, è elemento di civiltà che non può essere subordinato a lungaggini formali o a compatibilità economiche che valgono solo per alcuni - commenta il segretario generale della Fp Cgil di Messina, Lillo Oceano -. Sulla salute non possono esserci cittadini di serie A e cittadini di serie B. Una differenziazione inaccettabile per i malati come per i lavoratori". Trento: "Italia Nostra"; il vecchio carcere? non va demolito
L’Adige, 25 giugno 2008
Un appello a non demolire il carcere di Trento, di fine Ottocento, è stato lanciato con una lettera dal presidente nazionale di Italia Nostra onlus, Giovanni Losavio, al presidente del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi, al sottosegretario Letta, ai ministri della Giustizia e dei Beni culturali e al capo ufficio legislativo del ministero per i Beni e le Attività culturali. "L’articolo 30 del codice dei beni culturali - si legge nella lettera - vincola lo Stato a garantire la conservazione dello storico complesso carcerario di Trento, bene culturale di sua appartenenza, ed è obbligo perfino sanzionato penalmente. Il nuovo polo giudiziario di Trento - conclude la lettera di Italia Nostra, in riferimento alla nuova e più ampia struttura prevista - non può fondarsi sulla violazione di legge e di un principio fondamentale della Costituzione". Nel rendere noto l’appello, Salvatore Ferrari, vicepresidente della sezione trentina di Italia Nostra, precisa che con la lettera l’associazione "non vuole mettere qui in discussione la disposizione dello Statuto speciale della Provincia autonoma di Trento che affida in via esclusiva alla stessa Provincia ogni funzione di amministrazione attiva della tutela del patrimonio storico artistico". Aversa: ricoverati dell’Opg vanno al concerto di Vasco Rossi
Comunicato stampa, 25 giugno 2008
Il giorno 28 giugno al concerto di Vasco Rossi allo stadio Arechi di Salerno saranno presenti tra il pubblico quindici internati nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, direttamente e personalmente invitati dal cantante di Zocca. La partecipazione degli ospiti della struttura psichiatrico giudiziaria è un ulteriore passo che la struttura aversana mette in atto - con la Direzione Sanitaria guidata da Adolfo Ferraro - ad una operazione finalizzata a reintegrare i soggetti affetti da patologia mentale e a ridurre lo stigma che il ricovero in una struttura psichiatrico giudiziaria produce su chi la subisce. È inoltre il primo passo della collaborazione tra l’Opg di Aversa e il Consorzio Abn-Network sociale, che prevede per l’ottobre di questo anno la messa in funzione direttamente dall’interno dell’Opg di una web television totalmente gestita da una cooperativa formata dagli internati della struttura psichiatrico giudiziaria. Droghe: relazione annuale sullo stato delle tossicodipendenze
Ansa, 25 giugno 2008
La scuola è uno dei luoghi in cui i ragazzi italiani trovano la droga più facilmente. L’allarme è del sottosegretario Carlo Giovanardi. La Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, presentata oggi rivela che il 31,3% degli italiani (tra i 15 e i 64 anni) e il 51% degli studenti (tra i 15 e i 19 anni) trova le sostanze illegali in modo facile o piuttosto facile. A scuola il 12% ci trova facilmente eroina, il 26,4% la cannabis, il 5,7% gli stimolanti e il 4% gli allucinogeni. In discoteca il 15% degli studenti dice di poter comprare eroina, il 25% cocaina, oltre il 30% cannabis. Cocaina è in Parlamento, negarlo è negare realtà. "In Parlamento c’è la cocaina, non dirlo sarebbe negare la realtà". Così il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri. Sul tema, in ogni caso, per Giovanardi bisogna fare chiarezza, perché "non è vero che ne fa uso la metà dei parlamentari". 85 italiani su 100 disapprovano gli spinelli. Gli italiani sono abbastanza consapevoli dei rischi per la salute connessi al consumo di droghe, e hanno una forte opinione negativa sul loro uso, anche se esso si limita agli spinelli: è quanto emerge dalla Relazione. La maggior parte degli intervistati dagli autori della ricerca, infatti, disapprova l’uso di qualunque sostanza illegale (84,6%) e percepisce il rischio derivante dal farne uso (89,8%). Per la cannabis, il 70% esprime preoccupazione e l’80% ne biasima il consumo: si è quindi invertita la tendenza che aveva portato, negli ultimi anni, a una diminuzione della percentuale di chi disapprova gli spinelli. In ddl sicurezza misure su smart drug e pubblicità. Nel Disegno di legge che accompagnerà in Parlamento l’iter del disegno di legge sulla sicurezza, saranno inserite due misure che punteranno a bloccare la diffusione tra i giovani delle cosiddette smart drugs, ovvero le sostanze stimolanti intelligenti ma illegali, e pubblicità ingannevoli quali quelle connesse a iniziative anche di alcuni Comuni italiani che, con la scusa della promozione di culture indigene o altre idee simili, diffondono in particolare tra i più giovani la cultura dell’uso della droga. Le due misure, ha spiegato Giovanardi, dovevano già essere inserite nel ddl sulla sicurezza, ma abbiamo temuto che lo appesantissero ma è urgente, secondo il sottosegretario ‘contrastare l’uso di sostanze che in senso legale ancora non sono droghe, ma che sono oggetto di un fiorente commercio in ambigui esercizi commerciali denominati smart shop. Droghe: da Giovanardi solito elenco di sconfitte e incapacità di Vincenzo Donvito (Presidente Associazione Utenti e Consumatori)
Notiziario Aduc, 25 giugno 2008
Il sottosegretario Carlo Giovanardi, ha illustrato i dati della Relazione al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze per l’anno 2007. Ecco i titoli che l’agenzia stampa Ansa ha dato ai vari "lanci" per informare: - droga: per gli studenti più facile trovarla, anche a scuola - droga: aumentano i morti, stabile eroina ma incremento cocaina - droga: si attenua trend aumento cocaina ma non cannabis - droga: aumentano soggetti segnalati a prefetture per possesso - droga: aumentati del 200% nel 2007 controlli su guidatori - droga: eroina e cocaina costano sempre meno, aumenta cannabis - droga: aumentano consumatori cocaina in cura, meno eroinomani - droga: 85 italiani su 100 disapprovano gli spinelli - droga: Giovanardi, situazione grave ma non allarmante Cosa c’è di diverso dalle relazioni degli anni precedenti? A parte i numeri in sé, in valore assoluto e percentuale, la differenza non c’è: il trend è di crescita in tutte le direzioni. Questo vuol dire che la legge in vigore, concepita e attuata per invertire questo trend, non sta dando i risultati auspicati. Una legge - è bene ricordarlo - approvata dal Governo Berlusconi il 21.02.2006 modificando in fase di conversione un decreto legge per assicurare il corretto svolgimento delle Olimpiadi invernali di Torino. L’opposizione di centro-sinistra in Parlamento mostrò tutto il proprio disappunto, sconcerto, rabbia e annunciò dura battaglia che, nella legislatura chiusa lo scorso aprile, ha solo significato conferma di una legge che ha visto i suoi maggiori oppositori dell’epoca trasformati nei suoi esecutori per eccellenza. Ora è di nuovo Governo Berlusconi e tocca al sottosegretario Giovanardi ricordarci - suo malgrado - di avere uno strumento legislativo inadeguato, al pari dell’inadeguatezza che si riscontra in tutto il mondo: con consumo e produzione sempre in aumento e con strutture di sicurezza e sanitarie che girano su se stesse senza azzardare approcci diversi che trattino i malati non come delinquenti e avochino alla legalità statuale ciò che è stato regalato a delinquenti e terroristi. I nostri legislatori lo hanno fatto con droghe più diffuse, più pericolose e più mortali come tabacco e alcool, ma non hanno alcuna intenzione (Onu in testa) di provare per le droghe oggi illegali. Noi, siccome non nutriamo alcuna speranza o fiducia che a breve ci possa essere una inversione di questo folle e suicida trend, continueremo nella nostra opera di denuncia, informando sullo sfascio e stimolando tutte le istituzioni ad affrontare il problema in modo diverso. Droghe: cannabis; verso l’inasprimento delle leggi in Europa
Notiziario Aduc, 25 giugno 2008
Secondo l’Osservatorio europeo sulle droghe le modifiche approvate da diversi Stati nelle leggi sul consumo di stupefacenti denunciano un atteggiamento più restrittivo nei confronti del consumo di cannabis. L’Europa vira verso misure più restrittive contro il consumo di cannabis. È la conclusione dell’analisi dei recenti sviluppi legislativi nei paesi dell’Unione europea contenuta nel rapporto presentato dall’Osservatorio europeo sulle droghe di Lisbona. Comparando le misure adottate nei vari paesi, l’Agenzia europea evidenzia una tendenza verso un inasprimento delle normative dovuto anche all’aumento delle richieste di trattamento legate al consumo di questa sostanza (nel 2005 hanno rappresentato il 29 per cento del totale delle domande). Una tendenza in linea con le preoccupazioni espresse a livello internazionale, in particolare dalle Nazioni Unite, sulla possibilità che la "linea morbida" sulla cannabis possa compromettere gli sforzi compiuti a livello globale contro le droghe in generale. E così, a eccezione di alcuni paesi come Portogallo e Lussemburgo in cui le norme sono state rese meno restrittive (Lisbona ha depenalizzato il consumo nel 2000 e il Lussemburgo nel 2001 ha sostituito la detenzione con una multa), nel vecchio continente aumenta il numero dei sostenitori della linea dura. In Danimarca, ad esempio, dove fin dagli anni Settanta chi veniva trovato in possesso di cannabis per uso personale riceveva solo un avvertimento, si è passati nel 2004 alle multe. In Olanda, dove tra la metà degli anni Novanta e il 2004, si è dimezzato il numero di coffee shop, il governo ha approvato un piano di azione per prevenire il consumo di cannabis. E nel Regno Unito, lo scorso maggio il governo ha dichiarato in Parlamento l’intenzione di riportare la cannabis dalla classe C alla classe B dell’elenco delle droghe pericolose, aumentando dunque la categorie di pericolo che era stata diminuita nel 2001. Tra i casi esemplari della tendenza verso misure più restrittive, l’Agenzia europea cita anche l’Italia e la legge Fini-Giovanardi che dal 2006 ha eliminato la distinzione tra la cannabis e le altre droghe. Droghe: cannabis; ingiustificati allarmismi aumento potenza
Notiziario Aduc, 25 giugno 2008
Secondo l’Osservatorio di Lisbona, la concentrazione di principio attivo è rimasta stabile nell’ultimo decennio attorno al 5% nel mercato europeo. Picchi più alti sono dovuti alla coltivazione domestica, ma bisogna attendere ricerche più complete. In generale la potenza della cannabis in Europa non è aumentata negli ultimi anni. Così l’Osservatorio europeo sulle droghe smentisce gli allarmismi su un possibile incremento della concentrazione di principio attivo nella cannabis, in resina o in forma erbacea, che circola nel mercato europeo. Allarmismi, spesso alimentati dai media, che, secondo l’Agenzia europea, possono derivare dall’aumento del numero delle richieste di trattamento contro l’uso di questa sostanza ma che non sono giustificati. Per gli esperti europei, infatti, "il contenuto di tetracannabinolo (Thc) nella cannabis in foglie e in resina importata in Europa è rimasto relativamente stabile nell’ultimo decennio, con una potenza media di circa il 5 per cento". Il che non significa - sottolineano i ricercatori dell’Osservatorio di Lisbona - che la potenza della cannabis non sia una questione importante, ma che semplicemente i dati a disposizione non sono tali, anche per motivi di incompletezza, da giustificare gli allarmi. In attesa di ricerche più complete, un’evidenza rispetto all’aumento della potenza è la comparsa in Europa a partire dagli anni Novanta di varietà a maggiore concentrazione di Thc. Si tratta delle specie coltivate "indoor", a livello domestico, utilizzando metodi intensivi che determinano un aumento della presenza di tetracannabinolo la cui concentrazione può arrivare anche al 12 per cento. E sono varietà sempre più diffuse: la cosiddetta "sinsemilla" copre attualmente la metà del mercato di marijuana in Irlanda, oltre la metà in Olanda e quasi la totalità nel Regno Unito. Ma la potenza è solo uno dei fattori che influiscono sugli effetti del consumo di cannabis: elementi importanti sono anche la modalità di somministrazione, la tecnica usata per fumare, la quantità di sostanza consumata e l’uso in combinazione con altre sostanze come tabacco e alcol. Un aspetto che rende difficile anche l’accertamento degli effetti sulla salute del consumo di cannabis. Secondo l’Agenzia europea sulla base delle ricerche disponibili "è prematuro pronunciarsi in modo conclusivo su una vasta gamma di effetti a lungo termine sulla salute legati all’uso di cannabis". Oltre al consumo in associazione con altre sostanze, a complicare la verifica degli effetti a lungo termine ci sono l’assenza di prodotti standardizzati, i diversi modelli di assunzione e la mancanza di studi sui consumatori adulti. Più che sugli effetti diretti, gli interventi di salute pubblica si concentrano sui rischi secondari associati al consumo di cannabis, come il suo ruolo negli incidenti stradali. Uno studio pubblicato in Francia nel 2005 ha stimato che su 6mila incidenti mortali registrati in un anno, 230 morti sono da attribuire all’assunzione di questa sostanza. Droghe: cannabis; nell’Ue 3 milioni ne fanno uso tutti giorni
Notiziario Aduc, 25 giugno 2008
Lo rivela l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze che, alla vigilia della Giornata internazionale, presenta la prima monografia completa sulla sostanza. Il Marocco il primo paese di provenienza. Tre milioni di europei ne fanno uso tutti i giorni. Otre 13 milioni l’hanno assunta nell’ultimo mese e un cittadino europeo su cinque l’ha provata almeno una volta nella vita. Sono alcuni dei dati contenuti nel nuovo rapporto "Un’Antologia sulla cannabis: aspetti globali ed esperienze locali" preparato dall’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (Emcdda) in occasione della Giornata internazionale contro l’abuso e il traffico illecito di droga che si celebra domani in tutto il mondo. Si tratta della più grande monografia scientifica mai pubblicata su quello che l’Agenzia europea definisce un "controverso fenomeno culturale". "La cannabis si conferma la droga illecita più diffusa in Europa, e continua a essere una questione controversa - ha dichiarato il direttore dell’Emcdda Wolfgang Gotz - che scatena frequenti dibattiti tra decisori politici, scienziati, ricercatori, giuristi, operatori professionali e cittadini. Il risultato è un flusso giornaliero di informazioni, alcune ben fondate, altre parziali e in alcuni casi fuorvianti. Lo scopo di questa monografia è pertanto fornire una guida autorevole di riferimento per la ricerca, il dibattito e le decisioni politiche che riguardano questa complessa questione". Nella mappa del consumo e del traffico globale di cannabis, l’Europa si attesta come il più grande mercato della resina derivata dalla pianta (hashish). Nel 2005 il 70 per cento dei sequestri di hashish su scala globale è avvenuto nell’Europa occidentale, il 18 per cento in Medio Oriente e nell’Asia sudoccidentale, e l’8 per cento in Nord Africa. Il principale paese di provenienza, nonostante significative diminuzioni nella produzione negli ultimi anni, continua ad essere il Marocco che fornisce il 70 per cento dell’hashish che arriva sul mercato europeo. La Spagna, con il 51 per cento, è in testa alla classifica mondiale dei sequestri di questa sostanza, seguita dal Pakistan e dal Marocco (7 per cento), dall’Iran (5 per cento) e dall’Afghanistan (3 per cento). In Europa per numero di sequestri dopo la Spagna ci sono Francia (6 per cento), Regno Unito (5), Portogallo e Italia (2 per cento). Il numero dei sequestri nel 2007 è comunque sceso in tutt’Europa del 15 per cento, proprio in seguito al calo della produzione marocchina. Secondo i dati dell’Unodc, ripresi dall’Agenzia europea, ridotto è invece il peso dell’Europa nel mercato globale di cannabis in forma erbacea (marijuana): nel 2005 solo il 2 per cento dei sequestri è avvenuto in territorio europeo (era il 4 nel 2000), contro il 63 per cento del Nord America, il 18 dell’Africa e l’11 del Sud America. Per l’Emcdda nella diminuzione della quota di mercato europea possono aver giocato un ruolo importante i cambiamenti legislativi avvenuti negli ultimi anni. Droghe: che senso ha la Giornata mondiale contro la droga? di Simone Feder
Lettera alla Redazione, 25 giugno 2008
Quando si pensa alla giornata mondiale contro la droga come non si può tener conto che oggi di droga è assurdo parlarne. Ci sarà poi una giornata del malessere, della noia, della tristezza, del non amore? Fossilizzati come siamo su quella che è solo una conseguenza estrema, rischiamo di non accorgerci di tutto il resto o meglio di arrivare sempre dopo a rincorrere quel disagio sommerso che spesso finisce per travolgerci. La nostra società si sta letteralmente spegnendo, stiamo guardando solamente la punta di quel maledetto iceberg ma mentre cerchiamo di evitarla non ci rendiamo conto di ciò che sotto continua a crescere e rischia di distruggerci, che assurdità. Paola 16 anni vive una vita che non sente più sua, capelli finti per farla sembrare una persona che non è, mentre mi parla piange in continuazione La sua colpa è quella di non essere accettata ed amata o meglio capita. L’unica sua forma di espressione è quella maledetta sostanza che si inietta con rabbia nella solitudine della sua stanza: "La droga uccide lentamente il mio mondo ma io non ho fretta". E intanto l’eroina continua imperterrita il suo disastroso viaggio dentro quella tenera vita che gradualmente distrugge. Quanti giovani incontriamo che spinti dalla disperazione cercano di avvicinarsi e scoprire questo mondo delle sostanze che per qualche strano sortilegio li attira affascinati, e allora sniffano, fumano, bevono, si impasticcano e quant’altro, ragazzi sempre più giovani in piena fase di crescita che alterano il loro mondo ancor prima di scoprirlo e farlo proprio. Devastati e assuefatti dalla vita: soldi che non mancano, sostanze reperibili ovunque a basso costo, poco controllo, ma di che cosa ci meravigliamo? "Dove andremo a finire" dico a Michel che insieme ai suoi 14 anni ogni giorno a scuola si porta nello zaino la bottiglietta di acqua minerale riempita di vodka. "Dove vuoi che finisca? Tanto chi si interessa di come sto; ai miei importa solo la carriera, la loro posizione, il loro lavoro: a loro va bene sempre tutto, tanto se ne fregano, non sono quello che si aspettavano e così provano a non accorgersene". Solo questa mattina con don Franco, responsabile della Casa del Giovane di Pavia, abbiamo ascoltato quattro minorenni imbottiti di tristezza e noia che spesso li porta a scaricare la rabbia assumendo sostanze. Provate a spiegarlo voi a questi giovani che continuamente si imbottiscono di farmaci, alcol e droga che la vita vale la pena di essere vissuta, quando non si sentono capiti ed ascoltati. Faticano a raccontarsi ad esprimere ciò che provano, a dare un nome alle loro emozioni ed è chiaro che ciò che al momento viene loro proposto in modo occasionale come ipotetica fonte della loro libertà, è ciò che invece li attanaglia e li schiavizza. E allora che fare? Oggi i giovani non riescono più a comunicare, perché faticano a trovare qualcuno sintonizzato sulla loro stessa frequenza e che si metta in condizione realmente di capire, di ascoltare e di prevenire. Si sente spesso che dobbiamo intervenire nel bloccare i consumi, ma è questa la strada giusta? Proviamo a pensare invece che esempi ci sono loro attorno, che figure di riferimento siamo noi per loro. Forse ci spaventano le loro modalità di comportamento: il "basare" in continuazione cocaina, fumare spinelli mischiando alcool e viagra, prendere dagli armadietti della mamma benzodiazepine, fumare su quelle stagnole eroina a dosi massicce, sniffare colle e benzina. Attaccati ai nostri script mentali cerchiamo in continuazione di dare spiegazioni assurde a questi comportamenti, cercando di fermarli, di impedirli, ma senza andare realmente a fondo dell’evidente malessere che si veste di droga o quant’altro. Il fascino del proibito, del trasgredire a qualsiasi costo, del dimostrarsi qualcuno davanti all’amico è solo la concretizzazione di quell’angosciante e spaventoso anelito che li spinge a dire: "io ci sono, esisto" e ricercare le modalità più efficaci ed evidenti di dimostrarlo. Pensiamo ai recenti fenomeni di bullismo messi in rete, questi giovani che si inventano le bravate più spettacolari pur di poter far parlare di loro, ricorrendo a forme di violenza e prepotenza inaudita che non interrogano le loro coscienze perché è più forte la necessità di sconfiggere questa noia e questo malessere che li pervade. E il mondo adulto cosa fa? Gli scoop sui giornali, la ricerca dell’esclusiva, la raccolta delle parole degli amici e delle amiche che vivono assieme a chi in quel momento dimostra di essere più fragile, ma cosa spinge ad addentrarsi e a sbandierare questo disagio tramite i mass-media? Non è forse vero che per molti è solo la ricerca del sensazionale che porta ad interessarsi ai loro casini e alle loro bravate che spesso purtroppo finiscono in tragedie? Chi, una volta scoperchiato il pentolone si prende realmente in carico di ciò che vi trova dentro e sceglie di immergersi realmente fino in fondo guardando oltre certi comportamenti e atteggiamenti devianti? I loro sentimenti, le loro emozioni, i loro pianti nascosti spesso messi in rete chi mai li incontra? Eppure sono tutti segnali e richieste di aiuto che inviano attraverso bottiglie gettate in un oceano in balìa delle onde e della corrente, sperando che qualcuno le raccolga e insieme ad esse raccolga anche tutta la loro disperazione che ancora non riescono ad esternare direttamente. I genitori faticano ad ascoltarli, ad accorgersi di loro, eppure rimangono stupiti ed esterrefatti davanti a quell’iceberg che oggi intravedono a prua. Il sommerso che sta sotto quell’iceberg urta con violenza e nel suo crescere rischia di spaccare qualsiasi congettura e strategia; non è fermando, ma è solo mettendo dentro una nuova qualità di vita, dei nuovi interessi, delle nuove attenzioni, delle giuste trasgressioni che le cose possono cambiare. Solamente insegnando nuove rotte di navigazione e rendendo le loro imbarcazioni più solide i nostri giovani sconfiggeranno quei maledetti mercanti di morte e potranno costruire una nuova cultura vincente e dominante, alla ricerca di un’alterità non da annientare ma che diventa credibile ricchezza per sé e per gli altri. Solo così allora potremo vivere il 26 giugno come momento importante e significativo.
Simone Feder Coordinatore Area Adulti Dipendenze Comunità Casa del Giovane di Pavia Estero: circa 3mila gli italiani detenuti nelle carceri straniere
Adnkronos, 25 giugno 2008
Sono 2.773 gli italiani detenuti nelle carceri del mondo, 1.448 già condannati e 1.288 in attesa di sentenza o estradizione. Secondo il dato, fornito dal dipartimento del Ministero degli Affari Esteri, 2.253 si trovano in Europa, concentrati soprattutto in Germania (1.140), Spagna (429) e Belgio (238). Dalla Farnesina precisano poi che gli altri si trovano in Africa, Asia e nelle Americhe. Dietro le sbarre in Burkina Faso, Emirati Arabi, Eritrea, Pakistan e India. E poi Indonesia, Perù, Tunisia, Cile, Bolivia, Tanzania, Giamaica, Stati Uniti, Argentina e Brasile. Alcuni rischiano la pena capitale per fatti che secondo il nostro ordinamento giuridico sono puniti con sanzioni detentive brevi o addirittura semplicemente amministrative. Accanto a reati come lo spaccio di droga, rapina e truffa, c’è anche, spiegano dalla Farnesina, il semplice over staying ossia la permanenza su un territorio straniero oltre il termine consentito. A farne le spese sono anche parenti e amici, costretti ad attese snervanti e alle prese con le parcelle esorbitanti degli avvocati locali. È il caso di Giovanni Falcone, carabiniere in pensione di Rotondello in provincia di Matera e padre di Angelo, 28 anni, prigioniero in India dal 9 marzo dell’anno scorso. Instancabile l’ex brigadiere ha denunciato la vicenda in un blog e costituito l’associazione Vivere liberi onlus. "Mio figlio con il suo amico Simone - ha raccontato Falcone a Ign, testata on-line del gruppo Adnkronos - è stato arrestato a Mandi, località indiana dello stato di Himachal Pradesh perché le autorità locali dicono di averlo trovato in possesso di 18 chili di hashish. Ma non ci sono prove, né testimoni del fatto". "Per mio figlio era il primo viaggio all’estero. Alloggiava in un’abitazione privata, insieme al suo amico Simone; due euro a testa per dormire, come fanno tanti giovani in viaggio da quelle parti", ha raccontato. "Ma la notte del 9 marzo 2007 sono arrivati i poliziotti e hanno costretto i ragazzi a firmare una dichiarazione in lingua hindi". Niente traduttore, niente telefonata all’ambasciata, come prevede la procedura. Il permesso di chiamare arriva solo dopo che Angelo firma un foglio con cui, scoprirà, la polizia dichiara di averli fermati sulla strada dell’aeroporto per Delhi con la droga. "Una montatura - ha denunciato l’ex brigadiere-. Gli stranieri in quei Paesi poveri e ad alto tasso di corruzione vengono visti come miniere d’oro". Angelo, quindi, incensurato in Italia, è sotto processo per traffico di droga. Il racconto della sua vita in carcere ricorda Fuga di Mezzanotte di Alan Parker. "Mangiano solo lenticchie e riso tutti i giorni - dice il padre-, dormono su una coperta sul pavimento e si lavano tutti con l’acqua di un secchio in cortile. È stato così che il mio Angelo e il suo amico si sono presi l’epatite virale e chissà che altro ancora". "Finora per le spese legali abbiamo sborsato diecimila euro - racconta ancora il padre - ma siamo ancora agli inizi". Il signor Giovanni chiede "che lo Stato si faccia carico di questi cittadini, prevedendo anche il gratuito patrocinio per i detenuti italiani all’estero". Un appello condiviso dalla nuova associazione Prigionieri del Silenzio che propone di istituire una figura statale, chiamata a occuparsi dei detenuti italiani all’estero. "Pensiamo anche a un magistrato di collegamento o a un avvocato del posto - ha detto la presidente Katia Anedda a Ign - che venga messo a disposizione del consolato per offrire un’adeguata assistenza legale ai nostri connazionali all’estero". Ma una fonte dalla Farnesina precisa a Ign: "L’assistenza consolare, che è più ampia del semplice patrocinio legale, può essere fornita su richiesta dell’interessato, anche se non è obbligatorio fornirla. In ogni caso i detenuti possono chiederla al consolato italiano, se sono in un paese dell’Unione europea. Se invece si trovano in un paese extra-Ue, in quanto cittadini europei possono rivolgersi a un consolato di uno qualsiasi dei 27 stati membri".
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