Rassegna stampa 24 giugno

 

Giustizia: il Decreto legge sulla sicurezza approvato in Senato

 

Adnkronos, 24 giugno 2008

 

Stop ai processi fino al giugno 2002 per dare priorità a quelli per reati più gravi; 3mila soldati nelle città con compiti di vigilanza su obiettivi sensibili; una stretta sulle espulsioni per gli immigrati clandestini e aggravante della clandestinità, ma anche più poteri a sindaci e prefetti in materia di sicurezza e ordine pubblico. Queste alcune delle misure più rilevanti contenute nel decreto legge approvato oggi dall’assemblea di palazzo Madama (166 voti favorevoli, 123 contrari ed un astenuto) e che ora passerà al vaglio di Montecitorio. Ecco cosa prevede il provvedimento.

 

Stop ai processi fino al giugno 2002

 

Priorità ai procedimenti per delitti puniti con l’ergastolo o con una reclusione superiore a 10 anni, ai delitti di criminalità organizzata, ai procedimenti con imputati detenuti e a quelli da celebrarsi con rito direttissimo e con giudizio immediato. Precedenza assoluta anche ai reati in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Per favorire un iter più veloce per questi processi, saranno sospesi per un anno quelli per fatti commessi fino al 30 giugno 2002 che si trovino in uno stato compreso tra la fissazione dell’udienza preliminare e la chiusura del dibattimento di primo grado. Il corso della prescrizione rimane sospeso e riprende dal giorno in cui è cessata la sospensione. La sospensione non vale per i procedimenti sulle cosiddette "morti bianche". Gli imputati che lo vorranno potranno comunque chiedere di essere giudicati.

 

Utilizzo dei militari nelle grandi città

 

Il ricorso a unità dell’esercito nelle grandi città sarà consentito ‘per specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità". Saranno 3 mila le unità che, per un periodo massimo di sei mesi (rinnovabile una volta) saranno a disposizione dei prefetti delle aree metropolitane o comunque densamente popolate per servizi di vigilanza a siti e obiettivi sensibili, nonché di perlustrazione e pattugliamento in concorso e congiuntamente alle forze di polizia. Saranno utilizzati preferibilmente carabinieri impiegati in compiti militari o comunque volontari delle stesse forze armate specificamente addestrati per i compiti da svolgere.

 

Ergastolo per chi uccide pubblico ufficiale

 

Per chi uccide un agente delle forze dell’ordine in servizio (poliziotti, carabinieri, finanzieri e altri agenti di pubblica sicurezza) la condanna sarà dell’ergastolo. Viene così introdotta un’ulteriore fattispecie tra quelle per cui scatta il carcere a vita.

 

Più reati senza sospensione pena

 

Aumenta il numero dei reati per i quali non è concessa la sospensione della pena detentiva. Rimarrà in carcere chi commette atti osceni, violenza sessuale, violenza sessuale di gruppo, furto e tutti i delitti aggravati dalla clandestinità, ma anche chi spaccia sostanze stupefacenti e psicotiche. Per chi è incensurato non scatteranno più in maniera automatica le attenuanti generiche. Il giudice valuterà caso per caso a seconda della gravità del reato.

 

Più riti direttissimi, no a patteggiamento in appello

 

Per accelerare i processi, il decreto prevede l’obbligo, e non più la facoltà per il pubblico ministero (a meno che ciò non pregiudichi gravemente le indagini) di richiedere il rito direttissimo o il giudizio immediato per i reati per i quali sono previsti i riti speciali. Aumentano inoltre le fattispecie perseguibili con processo ordinario. Il pubblico ministero può procedere con il rito direttissimo nei confronti dell’imputato quando l’arresto in flagranza è già stato convalidato e quando lo stesso imputato abbia confessato o la prova della sua colpevolezza sia evidente. Il rito direttissimo diventerà la regola in relazione a tutte le indagini che non richiedono attività ulteriori da parte del pm. Anche per il giudizio immediato è stata introdotta la previsione della necessità come regola generale. Viene introdotto il divieto di patteggiamento in fase di appello: l’accordo tra le parti potrà aversi solo in fase di udienza preliminare. La sospensione della pena non potrà essere applicata per i reati in relazione ai quali ci sono esigenze di tutela della collettività.

 

Espulsione stranieri irregolari

 

Le nuove norme ampliano i casi di espulsione degli immigrati clandestini su ordine del giudice prevedendo analogo provvedimento per i cittadini comunitari, attraverso la misura dell’allontanamento di chi non ha reddito o delinque. Il limite della pena per applicare l’espulsione o l’allontanamento viene portato a due anni di carcere (ora è previsto a non meno di 10). Il giudice, in tutti i casi di condanna dello straniero o del cittadino comunitario a più di due anni di carcere, ne ordina il rimpatrio. Chi trasgredisce l’ordine di espulsione o di allontanamento è punito con la reclusione da uno a quattro anni. I Centri di permanenza temporanea (Cpt) e i Centri di permanenza temporanea e assistenza (Cpta) cambiano nome e diventano Centri di identificazione ed espulsione (Cie). Per chi dichiara una falsa identità a un pubblico ufficiale si prevede l’innalzamento del massimo della pena, che passa da tre a sei anni. Verrà punito con il carcere fino a sei anni anche chi altera parti del proprio corpo o del corpo di un altro. La pena è aggravata se è commessa da un medico o da un operatore del settore sanitario.

 

Aggravante clandestinità

 

Se chi commette un reato si trova illegalmente sul territorio nazionale le pene sono aumentate di un terzo. La nuova aggravante di clandestinità viene applicata sia agli extracomunitari che ai cittadini di Stati membri dell’Unione europea irregolarmente entrati in Italia.

 

Carcere e confisca casa per chi lucra su affitti a immigrati

 

Carcere da sei mesi a tre anni per chi, a titolo oneroso, al fine di trarre ingiusto profitto, dà alloggio a uno straniero privo di titolo di soggiorno in un immobile di cui abbia disponibilità, o lo cede allo stesso anche in locazione. Con la condanna scatta anche la confisca del bene. La fattispecie dell’ingiusto profitto dovrebbe escludere i casi di chi ospita badanti o colf.

 

Sanzioni più dure per pirati strada ubriachi

 

Sanzioni più severe per chi guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti prevedendo un’aggravante delle pene e delle sanzioni accessorie in caso di lesioni gravi o gravissime a persone o di omicidio colposo. Per l’automobilista ubriaco o drogato che causa incidenti mortali o feriti gravi è previsto il carcere da 3 a 10 anni, la confisca del veicolo e il ritiro della patente. Ulteriori inasprimenti della pena sono previsti per chi non si ferma a prestare soccorso. Per chi rifiuta di sottoporsi ai controlli per accertare lo stato di ebbrezza o l’assunzione di droghe non ci sarà più solo una sanzione amministrativa ma l’arresto da tre mesi a un anno con sospensione della patente e confisca del mezzo.

 

Più poteri a sindaci e prefetti

 

Più poteri a sindaci e prefetti in tema di sicurezza e ordine pubblico. Prevista la cooperazione tra la polizia locale (municipale e provinciale)e le forze di polizia statale, nell’ambito di direttive di coordinamento del ministero dell’Interno. Il sindaco può adottare provvedimenti "contingenti e urgenti" per prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. Anche al prefetto è dato un ruolo più attivo, consentendogli di intervenire con propri provvedimenti in caso di inerzia del sindaco e di predisporre gli strumenti necessari all’attuazione delle iniziative adottate dal primo cittadino per l’incolumità pubblica. In tema di contrasto all’immigrazione, il sindaco segnalerà alle competenti autorità gli stranieri irregolari da espellere (o i cittadini comunitari da allontanare).

 

Polizia municipale e capitaneria di porto hanno accesso al Ced del Viminale

 

Il personale della polizia municipale addetto ai servizi di polizia stradale accede direttamente al Centro elaborazioni dati del Viminale (Ced) per consultare lo schedario dei documenti di identità rubati o smarriti (fino a oggi poteva accedere solo allo schedario dei veicoli rubati o rinvenuti). Oltre alla consultazione dei dati del Ced (e questa è un’ulteriore novità) gli agenti di polizia municipale possono immettere dati acquisiti autonomamente. Possono accedere al Ced anche gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria della capitaneria di porto.

 

Lotta a contraffazione

 

Vengono introdotte norme specifiche in materia di distruzione delle merci contraffate sequestrate.

 

No a gratuito patrocinio per condannati mafia

 

I mafiosi già condannati non potranno più avvalersi del gratuito patrocinio.

Giustizia: Maroni; non ritireremo la norma "blocca-processi"

 

Affari Italiani, 24 giugno 2008

 

Il decreto sicurezza approvato con 166 voti a favore, 123 contrari ed 1 astenuto da Palazzo Madama ha fatto registrare il primo scontro di questa legislatura tra maggioranza e opposizione, in particolare per due punti: la sospensione dei processi per i reati commessi fino al 30 giugno 2002 che prevedono una pena inferiore a dieci anni e l’uso dell’esercito nelle città. Il punto più contestato dell’intero decreto è quello riguardante la sospensione dei processi. Saranno infatti sospesi per un anno tutti i processi per reati punibili con meno di dieci anni di reclusione che si trovano in uno stato compreso tra la fissazione dell’udienza preliminare e la chiusura del dibattimento di primo grado.

Sono esclusi dal rinvio i processi in cui gli imputati sono detenuti, quelli per terrorismo, contro minori, quelli della criminalità organizzata e tutti quelli commessi in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, le cosiddette morti bianche. L’imputato può rinunciare alla sospensione e nel caso la prescrizione resta sospesa.

Si amplia anche il numero dei reati per i quali non è concessa la sospensione della pena. Non sarà quindi più possibile sospendere la pena detentiva per atti osceni, violenza sessuale, singola e di gruppo, furto, e tutti i delitti aggravati dalla clandestinità nonché produzione, detenzione e traffico di sostanze stupefacenti. Per gli incensurati non scatteranno più automaticamente le attenuanti generiche ma sarà il magistrato a valutare caso per caso. Per accelerare i processi vi è l’obbligo e non più la facoltà per il pm di richiedere il rito direttissimo o il giudizio immediato per tutti quei reati per i quali sono previsti riti speciali.

Un altro argomento che ha fatto molto discutere maggioranza e opposizione è l’uso dell’esercito per motivi di ordine pubblico nelle grandi città. Saranno circa tremila gli uomini delle Forze Armate per un periodo di massimo sei mesi e rinnovabile una sola volta che saranno a disposizione dei prefetti delle aree metropolitane o delle zone densamente popolate per servizi di vigilanza, a siti e obiettivi sensibili.

Gli uomini delle Forze Armate potranno anche svolgere compiti di perlustrazione e pattugliamento in concorso e congiuntamente alle forze di polizia. Il decreto contempla anche l’ergastolo per chi uccide un agente delle forze dell’ordine in servizio. Il decreto sicurezza contiene l’aggravante della clandestinità, cioè pene aggravate di un terzo se a compiere il reato è una persona presente illegalmente in Italia.

La nuova aggravante di clandestinità viene applicata sia agli immigrati extracomunitari che ai cittadini di Stati membri dell’Unione europea irregolarmente entrati in Italia. Una nuova figura è anche quella della pena del carcere e della confisca dell’immobile per chi affitta immobili a cittadini stranieri irregolari. Si va dal carcere da sei mesi a tre anni e la confisca del bene per chi "al fine di trarre ingiusto profitto" dà alloggio ad uno straniero privo di titolo di soggiorno o cede l’immobile in locazione.

Badanti e colf sono escluse da questa figura criminosa. Giro di vite sui pirata della strada. Tempi sempre più duri per chi guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Scatterà infatti una aggravante delle pene e delle sanzioni accessorie in caso di lesioni gravi o gravissime a persone o di omicidio colposo. Carcere da tre a dieci anni e confisca definitiva del veicolo, nonché ritiro della patente a chi guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di droghe e causa incidenti mortali o con feriti gravi. Giro di vite anche per chi non si ferma a prestare soccorso in caso di incidenti.

Non ci sarà più, poi, solo una sanzione amministrativa ma l’arresto da tre mesi ad un anno con sospensione della patente e confisca dell’autoveicolo per chi si rifiuta di sottoporsi ai controlli antialcol e antidroga. Cambia anche il 416-bis.

Infatti aumentano di due anni le pene per l’associazione mafiosa e si estende il reato anche alle mafie straniere. Sono anche previsti la confisca dei patrimoni mafiosi in via definitiva e i mafiosi già condannati non potranno più avvalersi del gratuito patrocinio. Il decreto sicurezza contempla anche procedure più snelle per l’espulsione degli stranieri. Sarà espulso chi è condannato a più di due anni di reclusione a fronte dei 10 anni previsti fino ad oggi.

 

Maroni: non la ritireremo

 

"Ritirare le norme del blocca-processi vorrebbe dire ritirare l’intero decreto. Non vedo perché dovremmo farlo, la maggioranza ha votato compatta e non darà ascolto alle polemiche pretestuose e inutili dell’opposizione". Lo dice il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, rispondendo alle domande dei giornalisti in Senato dopo il via libera del decreto sicurezza. Riguardo alla possibilità di uno scambio tra lodo-Schifani e ritiro delle norme sul blocca-processi, Maroni sottolinea che "se il governo deciderà di presentare un provvedimento come il Lodo-Schifani o Lodo Maccanico può farlo senz’altro, ma le due cose sono distinte e separate. Questo decreto che abbiamo approvato oggi - continua - contiene delle norme durissime contro la mafia e la criminalità organizzata, le stesse norme che Giovanni Falcone ha voluto per lungo tempo".

 

La protesta dell’Idv

 

E al momento del voto sul decreto sicurezza in Aula al Senato scoppia la bagarre. Compatto, il gruppo dell’Italia dei Valori si alza e inalbera dei cartelli. "Vergogna", è scritto in rosso. E un altro: "Il caimano è tornato". Invano i commessi cercano di strappare dalle mani i cartelli inalberati dai senatori di Di Pietro, mentre dai banchi della maggioranza si levano le urla "buffoni, buffoni". Commenta il capogruppo dell’Italia dei Valori Felice Belisario: "È intollerabile questo blocca processi. In questa legislatura assisteremo ad attacchi violenti contro la magistratura perché - sostiene - nel disegno piduista la magistratura deve essere asservita al potere esecutivo".

Giustizia: critiche a Berlusconi… anche da Famiglia Cristiana

 

Il Corriere della Sera, 24 giugno 2008

 

Mentre il clima è quello della tregua armata, dell’attesa circospetta perché Silvio Berlusconi sulla giustizia si gioca una partita che ritiene decisiva, e non vuole sbagliare, a movimentare la giornata arriva un durissimo editoriale di Famiglia Cristiana contro il Cavaliere.

Berlusconi "ha un’ossessione: i magistrati. E una passione: gli avvocati. Naturalmente i primi sono contro di lui, gli altri li fa eleggere in Parlamento", scrive il settimanale cattolico, censurando la scelta di nominare Guardasigilli il suo "ex segretario personale" e di "inquinare" il pacchetto sicurezza con il "complesso dell’imputato". La conseguenza? E quella di bruciare "il capitale di fiducia degli italiani", la sua "immagine di grande statista" e allontanare dalle sue prospettive future il Colle, perché "l’ossessione personale" ha "il sopravvento sui problemi del Paese". Ma non è tutto: perché il settimanale si scaglia anche contro la politica economica del governo, definita "deludente", da "luna di fiele" perché alle famiglie "è destinata soltanto carità di Stato", e non si "cambia la vita dei poveri" con una "carta degli anziani": a quel punto, valgono "molto di più i pacchi della Caritas o della San Vincenzo".

Parole pesanti, alle quali replica Maurizio Lupi, Pdl: "Editoriale più da manifesto che da Famiglia Cristiana". Berlusconi però preferisce rimanere cauto: non alza i toni, rimanda a data da destinarsi l’eventuale, annunciata conferenza stampa per spiegare al Paese perché serve una riforma che metta un freno alle "persecuzioni" di certi magistrati nei suoi confronti (comunque, per l’evenienza ha fatto commissionare nuovi sondaggi che tastino il polso del Paese) e aspetta le mosse del Csm.

In ogni caso, una cosa è certa: è ferma l’intenzione di "andare avanti" con il pacchetto sicurezza (che sarà votato oggi dal Senato) e di presentare forse già in settimana un ddl con la nuova edizione del Lodo Schifani, il provvedimento che sospende i procedimenti per le cariche istituzionali per tutta la durata del loro mandato (e la conferenza stampa potrebbe accompagnare proprio la presentazione del provvedimento).

Ma appunto si guarda anche al Csm, al "clima generale", perché è evidente che segnali positivi da palazzo dei Marescialli potrebbero condurre ad un atteggiamento più dialogante. Per esempio, all’ipotesi (non scartata dal Pdl) di modificare alla Camera il decreto sicurezza "ammorbidendo" il contestato punto del blocca-processi.

Una mossa, questa, che piacerebbe molto al Quirinale, il cui atteggiamento a detta di tutti - da Ghedini, a Bonaiuti a Cicchitto - è quello "positivo" di chi si adopera per svelenire il clima. Ma ce la farà davvero Napolitano - è il dubbio pesante del Cavaliere - a tenere a bada il Csm?

Giustizia: questo il concetto di "legalità" secondo il Cavaliere

di Carlo Federico Grosso

 

La Stampa, 24 giugno 2008

 

Alcune settimane fa Berlusconi aveva affermato che, quando incombono grandi emergenze, rispettare la legge può diventare opinabile. Parlava del caso Napoli e della sua immondizia.

Si riferiva, in particolare, alle infrazioni compiute in Campania da alcuni funzionari nel nome di un asserito interesse generale e criticava le indagini penali compiute nonché le misure cautelari assunte nei confronti dei responsabili delle infrazioni. Se agire era necessario per risolvere un gravissimo problema, occorreva comunque operare, qualunque cosa stabilissero le leggi. Nei limiti posti, il problema poteva anche costituire oggetto di discussione fra i giuristi. Non sempre rispettare alla lettera la legge corrisponde all’interesse pubblico del momento.

Una legge inadeguata alla situazione può recare danno anziché sollievo. Fino a che punto, allora, nel nome del rispetto della legalità, è ragionevole rischiare di non risolvere i problemi? Fino a che punto l’osservanza del precetto può essere, invece, sacrificata all’esigenza di salvaguardare gli interessi minacciati? Legalità è sempre, e soltanto, rispetto della norma o può diventare, talvolta, tutela concreta, per necessità, degli interessi in gioco?

Teoricamente si possono sostenere entrambe le posizioni. Si può affermare che la legge deve essere rispettata sempre e comunque, pena la perdita di autorità dello Stato; si può affermare che in via del tutto eccezionale, quando sono minacciati interessi vitali delle persone, è consentito infrangerla nel nome di una ragionevole valutazione degli interessi in gioco. La prima tesi corrisponde a una visione formale e rigorosa della legalità; la seconda inquadra il tema nella prospettiva di una valutazione anche di sostanza. In questa seconda ipotesi la legalità è comunque salva, si dice, poiché a cose fatte dovrebbe essere in ogni caso un giudice a stabilire se vi era lo stato di necessità idoneo a giustificare la condotta.

Qualche giorno fa, alzando i toni contro la magistratura politicizzata che lo avrebbe dolosamente vessato, parlando addirittura di magistrati eversivi che si sarebbero infiltrati nell’istituzione giudiziaria per contrastarlo, Berlusconi ha fornito un ulteriore suo concetto di legalità. Quando un Governo ha ricevuto un mandato forte dagli elettori e governa pertanto direttamente in nome del popolo, ha diritto di gestire il potere senza intralci o impedimenti.

Sarà il popolo, a fine legislatura, a giudicare la sua azione, approvando o bocciando, con il voto, l’attività compiuta. In questa prospettiva poco spazio deve essere lasciato ai controlli in corso d’opera, siano essi politici da parte dell’opposizione, giuridici da parte degli organi di garanzia, di legalità da parte di una magistratura indipendente.

L’opposizione, se è rigorosa, deve essere considerata automaticamente faziosa, gli organi di garanzia, se possibile, devono essere resi domestici con riforme che ne sviliscano i poteri, la magistratura deve essere a sua volta contenuta. Quest’ultima esigenza costituisce priorità assoluta. In tale prospettiva si spiegano le iniziative legislative in materia di giustizia.

Con un disegno articolato e complesso sono state progressivamente programmate, con ritmi incalzanti per dimostrare determinazione e disorientare gli avversari, limitazioni delle intercettazioni, meno notizie sui giornali in materia di indagini penali, sospensione dei processi, nuovo lodo Schifani a copertura delle alte cariche dello Stato, in grado di eludere, se possibile, le vecchie censure della Corte Costituzionale. Chissà quant’altro ancora, a questo punto, verrà progettato, nella medesima direzione, nei mesi prossimi venturi.

Ecco che si profila, allora, il volto nuovo dello Stato di diritto voluto dal presidente del Consiglio. Non si tratta più, soltanto, di valutare come legittime condotte antigiuridiche necessarie per fronteggiare asserite situazioni d’eccezione, come egli aveva sostenuto alcune settimane fa a Napoli in un clima politico ancora molto diverso. Con una escalation di progetti, con l’innalzamento dei toni, con l’aggressività delle parole, egli sembra, oggi, volere instaurare un nuovo sistema di governo sostanzialmente senza regole e controlli, introdurre una nuova Costituzione materiale. In questo modo, egli sostiene, il governo potrà diventare più efficiente, risolvere finalmente i molti problemi incancreniti, rilanciare il Paese. Gli italiani avranno finalmente più sviluppo, più benessere, più felicità.

Poche sono, a questo punto, le discussioni possibili fra i giuristi. O si accetta il nuovo concetto di legalità o lo si rifiuta in blocco. Non sono più possibili mezzi termini, parziali benedizioni, condiscendenze. Fino a ieri si era sperato che un nuovo clima di non contrapposizione fra maggioranza e opposizione potesse favorire l’accordo per un approccio ragionevole al tema delle indispensabili riforme elettorali e costituzionali. Oggi il barometro segna, purtroppo, tempesta. Abbozzare, condividere, acconsentire diventa molto più difficile, forse impossibile.

Giustizia: Cnca; il Governo vuole "scaricare" la Costituzione

 

Comunicato stampa, 24 giugno 2008

 

Il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza contesta la legittimità e l’efficacia dei provvedimenti preannunciati o varati dall’Esecutivo in materia di giustizia. Tolleranza zero per i marginali, impunità per i potenti.

Il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (Cnca) esprime la propria ferma contrarietà ai provvedimenti in materia di giustizia annunciati o già emessi dal Governo Berlusconi. In primo luogo, il decreto sicurezza - introducendo un doppio binario per i cittadini italiani, da una parte, e i cittadini migranti in stato di clandestinità/irregolarità, dall’altra - viola in modo flagrante il principio di uguaglianza sancito dalla Carta Costituzionale. Infatti, prevedere un’aggravante della pena esclusivamente per il fatto che chi commette un reato si trova in situazione di "clandestinità" o "irregolarità" significa condannare il semplice status della persona e non un qualche atto lesivo dei diritti degli altri.

In secondo luogo, il Cnca contesta la proposta di revisione della legge Gozzini in materia di benefici penitenziari (permessi, liberazione anticipata, concessione di misure alternative...) perché pregiudica l’orientamento riabilitativo della pena sancito dall’art. 27 della Costituzione.

L’induzione di un clima forcaiolo, impregnato di intolleranza e razzismo, è del tutto irresponsabile giacché non si interroga sulle conseguenze prevedibilmente ingestibili delle misure adottate sia sulla popolazione detenuta che sulla popolazione libera. Il carcere, infatti, non sarà più gestibile perché verrà meno ogni ipotesi di speranza, divenendo sempre più difficile costruire un nuovo progetto di vita; nella società, invece, ne risulterà minato anche quell’esile collante sociale - sempre più residuale - che garantisce la convivenza civile.

In terzo luogo, la Federazione sottolinea l’inaccettabilità di proposte inique tese, da un lato, a colpire più duramente le fasce più marginali della popolazione - anche aldilà di una reale "pericolosità sociale" o responsabilità personale - e, dall’altro, a garantire impunità ai potenti.

Infine, il Cnca rileva che questa deriva politica e culturale trae origine anche dal comportamento dei media, che soffiano anch’essi, pericolosamente e irresponsabilmente, sul fuoco.

 

Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza

Giustizia: il ministro Alfano a confronto con giuristi e sindacati

 

Irpinia News, 24 giugno 2008

 

A pochi anni dalla legge sull’indulto, tornano a riempirsi gli Istituti Penitenziari del nostro Paese tanto da presumere entro la fine dell’anno l’implosione delle carceri. Nei primi quattro mesi del 2008, il numero di detenuti è aumentato di 4mila unità, l’8 per cento in più rispetto al 2007, inoltre a causa del sovraffollamento si sta generando una situazione di violenza ai danni del Corpo di Polizia Penitenziaria. In virtù quindi di una situazione che rischia il collasso i Giovani Penalisti Irpini in collaborazione con l’Uil-Pa hanno organizzato ad Avellino un convegno per affrontare la drammatica situazione che interessa gli Istituti penitenziari italiani.

L’incontro ha visto la partecipazione dell’onorevole Giuseppe Gargani, Presidente della Commissione Giuridica Parlamento europeo, Edoardo Volino Presidente Del Consiglio dell’ordine degli Avvocati Di Avellino, Luigi Petrillo Presidente della Camera Penale di Avellino, Gerardo Di Martino, Presidente dell’Associazione Giovani Penalisti Irpini, Eugenio Sarno, Segretario Generale Uil Pa - Penitenziari, Ettore Ferrara, Capo Del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Angelica Di Giovanni, Presidente Tribunale di Sorveglianza di Napoli, Filippo Ascierto, Componente della Commissione Difesa alla Camera dei Deputati, e infine Federico Palomba, Vice Presidente della Commissione Giustizia Camera dei Deputati. Era prevista anche la partecipazione del Ministro Della Giustizia, Angelino Alfano, ma a fronte della querelle che si sta consumando nei Palazzi della Capitale tra Csm e Governo sull’emendamento "Salva Premier" è stato impossibilitato a prendere parte all’evento.

La diatriba che si sta sviluppando tra magistratura e politica in merito al decreto legge che prevede la sospensione dei processi per i reati commessi entro il 2002 con pena inferiore ai 10 anni è stata al centro del dibattito di questo pomeriggio: "In Europa - ha spiegato l’onorevole Gargani - si guarda all’Italia con grande scetticismo a causa di questa contrapposizione che si è venuta a creare tra magistratura e politica. Ma nel momento in cui la magistratura irrompe nella politica e si permette di esprimere giudizi in merito all’anticostituzionalità della norma che sospende i processi svilisce il suo ruolo e perde credibilità. Anche il CSM - ha aggiunto l’onorevole - è andato ben oltre il suo ruolo.

Il sistema giuridico italiano è armonico e prevede che le leggi siano approvate in Parlamento e poi firmate dal Capo dello Stato, per questo motivo non comprendo perché Mancino, persona che stimo, si permette di dire cos’è costituzionale e cosa non lo è". Chiuso l’argomento il Presidente Gargani è entrato nel merito della questione al centro del convegno di oggi: "Il problema carceri è stato trascurato non solo dai governi di centro sinistra, ma anche dai cinque anni di governo Berlusconi a causa principalmente della necessità di rivedere l’ordinamento giudiziario che interessa in particolare la magistratura. Credo che a questo punto sia arrivato il momento di approfondire seriamente il problema attraverso una politica che tenga conto della funzione rieducativa della pena.

La certezza della pena - ha concluso il Presidente Gargani - è una cosa seria, se si sapesse il modo in cui viene scontata e quali sono le caratteristiche di coloro da rieducare, credo che si potrebbe contribuire a diminuire il problema". Polemico nei confronti del nuovo Governo è apparso il segretario generale Uil Pa Penitenziari che con un intervento molto appassionato ha ricordato che negli Istituti Penitenziari vivono non solo i detenuti, ma anche il Corpo di Polizia Penitenziaria sempre più spesso lasciato in balia di se stesso.

"In tre mesi il corpo di polizia Penitenziaria - ha esordito Eugenio Sarno - ha riscontrato 62 feriti per aggressioni subite dai detenuti. È un dato allarmante del quale si parla poco. Il sistema carceri non interessa soltanto i detenuti ma anche il Corpo di Polizia che nel 2008 gira ancora tra i corridoi delle carceri con mazzi di chiavi da 3 chili!

Come può il Ministro Brunetta parlarmi di innovazione tecnologica e privatizzazione delle carceri? Noi sindacati siamo pronti ad aprirci alla politica, ma sempre nel rispetto del diritto, per questo non possiamo tollerare il fatto che esista ancora la legge Simeone che permette ai condannati in via definitiva di non andare in carcere. Intanto, mentre le parole si susseguono, sempre più detenuti e sempre meno agenti affollano quel mondo oltre le sbarre di cui tanti parlano, ma i cui pochi si occupano concretamente.

Giustizia: arresto europeo, vale solo il "pre-sofferto" in Italia

 

www.diritto&giustizia.it, 24 giugno 2008

 

Ai fini della consegna di un cittadino straniero in esecuzione di un mandato di arresto europeo, l’autorità giudiziaria italiana non dovrà computare nella pena che il condannato dovrà espiare all’estero il "pre-sofferto" nello Stato richiedente.

Ai fini della consegna di un cittadino straniero in esecuzione di un mandato di arresto europeo, l’autorità giudiziaria italiana non dovrà computare nella pena che il condannato dovrà espiare all’estero il "pre-sofferto" nello Stato richiedente. In pratica, anche se lo Stato di emissione non lo prevede, si applicherà il limite temporale alla fungibilità dei periodi di carcerazione previsto dall’articolo 657 Cpp ("Computo della custodia cautelare e delle pene espiate senza titolo"). In particolare, il quarto comma della disposizione citata che stabilisce che si computa solo la custodia cautelare subita dopo la commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire e, quindi, consegnato il detenuto in esecuzione del Mae.

Così la Cassazione con la sentenza 23288/08 (qui leggibile come documento correlato) ha respinto il ricorso di un cittadino rumeno contro il verdetto con cui la Corte d’appello di Roma aveva disposto la sua consegna alla Romania in relazione alla condanna di un anno di reclusione per il reato di furto commesso nel luglio 2004, ritenendo che dovesse dedursi ex articolo 23, sesto comma, legge 69/2005 (legge Mae) dalla durata della pena (un anno) solo il periodo di custodia cautelare sofferta in Italia in esecuzione del mandato di arresto europeo. La Corte territoriale, infatti, riteneva che dei periodi di custodia sofferti nello Stato rumeno e indicati nel Mae non poteva tenersi conto, trattandosi di custodia antecedente alla commissione del reato per il quale doveva essere eseguita la pena in relazione alla quale veniva disposta la consegna. E al riguardo si richiamava al comma quarto dell’articolo 657 del Codice di rito.

La seconda sezione penale del Palazzaccio, nel confermare il ragionamento fatto dai giudici del merito, ha affermato che la circostanza che nell’ordinamento dello Stato di emissione non sia previsto un limite temporale alla fungibilità dei periodi di carcerazione sofferti per reati che, commessi in tempi diversi, siano stati giudicati separatamente appare irrilevante, essendo comunque riservata nel caso di specie allo Stato nei cui confronti viene effettuata la consegna l’eventuale deduzione dell’ulteriore periodo di custodia preventivamente sofferto ad altro titolo.

Giustizia: Milano; clinica Santa Rita, l’istinto di colpevolezza

di Pierluigi Battista

 

Corriere della Sera, 24 giugno 2008

 

Il tribunale del Riesame di Milano non è stato affatto indulgente con l’ex primario della clinica Santa Rita, Pier Paolo Braga Massone, descritto anzi nell’ordinanza come un chirurgo "socialmente pericoloso", dedito all’esercizio della sua professione come "sedimento di Indebito profitto". Riconoscendo che non esistono prove sufficienti per trattenerlo in carcere con l’accusa di omicidio volontario e per stabilire un nesso certo tra le operazioni del personale medico della clinica e la morte di alcuni pazienti, i giudici non smettono infatti di insistere sulla condotta riprovevole dei medici usi a "interventi chirurgici inutili, fortemente invasivi e mutilanti" per fini truffaldini.

Nessun "innocentismo", dunque. Solo che tra un truffatore e un omicida esiste una differenza fondamentale. E questa differenza fondamentale finisce troppo spesso per essere ignorata da un diffuso istinto di colpevolezza preventiva, privo di filtro giudiziario, anzi animato e intensificato da un contesto verbale di orrore che suscita comprensibile furore e indignazione, ma mai l’attesa di riscontri che diano solidità alla certezza diffusa della colpa.

Non c’entrano i magistrati. C’entra l’ansia sociale e mediatica di accorciare, semplificare, forzare l’esito di un’inchiesta destinata a un impatto micidiale sulla sensibilità pubblica, però prescindendo a priori dalle prove di un delitto mostruoso di cui si pensa di costruire preventivamente l’identikit. Nel 2007, a Rignano Flaminio, sulla base di parole rese ancor più terribili da quella commistione di immaginazione e di realtà tipica del lessico infantile, l’Italia si convinse che una banda di pedofili (oramai anziane maestre d’asilo, una bidella, un benzinaio cingalese) si fosse resa responsabile di inenarrabili violenze ai danni dei bambini deportati nell’orrore dei "castelli cattivi".

Quella presunta banda venne poi scagionata: semplicemente non esisteva, come non esistevano le prove di un delitto che aveva già provocato la reazione allarmata e disgustata del grosso dell’opinione pubblica, n caso dei medici del Santa Rita è diverso, perché il venir meno dell’accusa principale, l’omicidio volontario, non cancella i trama di una rete di truffatori che millantavano rimborsi gonfiati per arricchirsi sulla pelle dei malati. Ma è l’accusa principale che, prima ancora delle verifiche, viene a essere immediatamente metabolizzata come un dogma, una verità indiscutibile e anzi antefatto di mostruosità ancora maggiori, foriera di verità ancor più raccapriccianti.

Un meccanismo inesorabile che spazza via ogni dubbio, qualsiasi prudenza. I "discorsi" intercettati o registrati, con la loro potenza suggestiva e la sensazione potentissi-ma di verità che da essi promana, si trasformano, prima ancora di ogni valutazione giudiziaria, in surrogati delle prove che devono essere ancora confermate.

E i "mostri", che peraltro non hanno bisogno di additivi per confermarne, come scrivono i giudici, l’immorale "pericolosità sociale", vengono impiccati alle loro voci e agli spezzoni delle loro frasi prima ancora che alle conversazioni intercettate sia restituito un senso compiuto. Stavolta non la solita ed eterna disputa tra innocentisti e colpevolisti, ma la condanna morale preventiva che non ammette nessuna gradazione delle colpe. I giudici, invece, sono chiamati proprio a ricercare i gradi e la dimensione esatta di una colpa, n contrario assoluto della fede in una verità preconfezionata.

 

Cambia l’accusa ma resta l’orrore, di Adriano Sofri

 

È vero che il tribunale del riesame ha corretto le imputazioni ai medici della Santa Rita, escludendo che ci siano prove di un’intenzione omicida e aggravata dalla crudeltà, come avevano ritenuto l’accusa e i suoi periti per cinque casi di morte, e ventilato per molti altri. Restano confermati gli addebiti di lesioni gravissime e truffa aggravata alla sanità pubblica, che sono tremendi. È un fatto che nella reazione sgomenta alla notizia dell’indagine la specifica imputazione di omicidio volontario aveva colpito assai meno della esibizione di indifferenza umana e di corruzione intima e disinvolta dei protagonisti.

Avevo scritto fra l’altro: "Persone sofferenti si mettevano nelle loro mani, e le loro mani, in solido, le storpiavano fino alla morte per amore del denaro... Questi della Santa Rita, come li restituiscono le carte dell’ accusa e le registrazioni delle telefonate, non sono ne buoni ne cattivi, ne esaltati ne depressi: sono solo fedeli al tariffario". Tutto questo viene ribadito, e duramente, dal tribunale del riesame. Chi, come ho fatto anch’io, ha provato a descrivere i propri ed altrui sentimenti nei confronti della "bassa macelleria" della clinica milanese, deve prendere atto della correzione sulla volontà omicida ed efferata, e augurarsi ancora ú che cosa? Che il linguaggio di volta in volta cinico, sordido, atroce e ottuso delle conversazioni intercettate e pubblicate, abbia potuto eccedere (per cinismo, per ottusità, per atrocità) la stessa realtà dell’operato degli interlocutori.

Ora la derubricazione dei reati per i quali medici e amministratori sono imputati, rilevante sul piano penale, non scalfisce l’impressione morale suscitata dalle loro parole e comportamenti. C’è un altro augurio? Quando si scopre qualcosa di così disumano da far esclamare: "Non ci posso credere!", da far intitolare alla "clinica degli orrori", da indurre alla rivolta o, peggio, alla rassegnata costernazione, si può desiderare che le accuse non siano smentite ne rimpicciolite, per non dover correggere le proprie parole scandalizzate, per non sentire sprecata quella costernazione cosi dolorosa.

Dal disgusto per le conversazioni dei medici e degli amministratori della Santa Rita non si tornerà più indietro, ne da una diffidenza spaventata o risentita di pressoché qualunque paziente nei confronti di pressoché qualunque medico, ma se si appurasse che le loro azioni siano state meno gravi e criminali di come sono apparse ai primi inquirenti e a tutti noi, non avremmo che da es-serne sollevati. Magari per una volta ciò cui "non possiamo credere "si mostrasse davvero incredibile.

Cagliari: Caligaris (Ps); disporre direttive su riforma sanitaria

 

Agi, 24 giugno 2008

 

"La sanità penitenziaria, che la riforma approvata dal Parlamento ha trasferito alle Regioni dal 30 maggio scorso, potrà essere gestita in Sardegna dal ministero di Giustizia fino al 31 dicembre 2008. La Sardegna con la Sicilia sono, infatti, le uniche Regioni che non hanno ancora predisposto le direttive che consentiranno il passaggio alle Asl dei servizi di assistenza ai detenuti ammalati". Lo sostiene il consigliere regionale socialista Maria Grazia Caligaris che, in un’interrogazione all’assessore della Sanità, ha chiesto "se sono state avviate le consultazioni con le parti interessate, necessarie per la stesura delle norme di attuazione" e "quando potrà divenire operativa in Sardegna la riforma della sanità penitenziaria".

L’esponente politico ha inoltre chiesto di conoscere "gli interventi che l’assessorato riterrà di adottare per far fronte alle situazioni di emergenza createsi nella fase di transizione per decisioni assunte dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria con riferimento al personale impegnato nell’assistenza sanitaria ai detenuti".

"In Sardegna l’assistenza sanitaria alle persone detenute presenta - sottolinea Caligaris - gravi difficoltà organizzative e di erogazione delle prestazioni, che non garantiscono alle persone in carcere il diritto alla salute. L’assenza delle norme di attuazione e delle linee guida frutto, anche dell’intesa con le parti interessate, ha creato, nella fase di transizione, un preoccupante stato di confusione negli istituti di pena dell’isola che rischia di ripercuotersi sui detenuti ammalati, molto numerosi in Sardegna. Inoltre gli stanziamenti a disposizione del ministero della Giustizia si esauriranno entro il 31 dicembre 2008?.

Milano: nasce l’osservatorio per salute di stranieri in carcere

 

Dire, 24 giugno 2008

 

Progetto "Immigrazione sana". Firmato l’accordo tra comune e amministrazione penitenziaria per informare gli ospiti sui diritti e doveri collegati alla propria salute, anche dopo l’uscita dalle Case Circondariali.

Nascerà a Milano un Osservatorio sulla salute nelle carceri, con l’obiettivo di formare e informare gli stranieri ospiti sui diritti e doveri collegati alla propria salute, anche dopo l’uscita dalle case circondariali. Il Comune e il provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria hanno annunciato oggi di avere firmato in merito un accordo. È una delle iniziative avviate da Palazzo Marino nell’ambito del progetto "Immigrazione sana", presentato stamane a Milano davanti alla stazione Centrale. Presenti, fra gli altri, l’assessore alla Sanità della Regione, Luciano Bresciani, e quello del Comune di Milano, Giampaolo Landi di Chiavenna.

"Stare bene - spiega Giampaolo Landi di Chiavenna - non è solo un diritto ma anche un dovere per qualsiasi essere umano che vive in una grande città come la nostra, in continuo contatto con le altre persone". A Milano, stima il Comune, oltre a 170mila stranieri regolari esiste il "popolo dei clandestini" che per le scarse condizioni igienico-sanitarie in cui vive e per il recente arrivo dal Paese di origine può contribuire a trasmettere alcune malattie, da quelle infettive come tubercolosi e salmonellosi ad altre patologie legate a traumi malcurati.

Da qui i progetti avviati con "Immigrazione sana", mirati a coinvolgere gli stranieri anche irregolari sul tema della salute pur mantenendo la segretezza sulla loro identità. Una delle proposte è l’osservatorio nelle carceri, dove - spiegano dall’assessorato - il 70% della popolazione è straniera e ci sono le stesse problematiche connesse alla salute.

Stamane, però, è stata presentata anche una sintesi dell’attività svolta da Antenna sanitaria, una postazione mobile (un camper e un’ambulanza attrezzata) con un infettivologo e un mediatore culturale che nelle ultime settimane ha fatto tappa in diversi punti della città. Sette le uscite, nel corso delle quali sono state contattate 115 persone in 71 colloqui (l’età media degli utenti del servizio è di 26 anni, per il 60% si tratta di uomini). Sul totale dei casi esaminati si è rilevato che il 70% dei soggetti non si è mai sottoposto a controlli sanitari.

L’attività di Antenna sanitaria (a settembre si aggiungerà un altro camper) continuerà anche in futuro, collaborando ad altre iniziative di prevenzione: il progetto Tb, che prevede un monitoraggio degli immigrati contro la diffusione della tubercolosi e il progetto Mts, per la prevenzione e la cura delle malattie trasmesse sessualmente. Nei progetti saranno coinvolte la associazioni di volontariato aderenti al Gruppo regionale immigrazione e salute. Ogni tre mesi verrà stilato un report per valutare l’andamento e l’evoluzione delle patologie più frequenti.

Messina: convegno Cgil su riforma della sanità penitenziaria

 

Img Press, 24 giugno 2008

 

Il sistema sanitario penitenziario alla luce del decreto di riforma che dispone il trasferimento di operatori e dipendenti presso il Servizio sanitario nazionale. Questo il tema di cui si è discusso oggi nell’ambito di un Convegno organizzato dalla Funzione pubblica della Cgil di Messina al quale hanno preso parte esperti, tecnici e dirigenti del settore tra i quali l’assessore regionale alla sanità, Massimo Russo, alla sua prima uscita ufficiale in provincia di Messina. "L’OPG di Barcellona è uno dei più importanti nel nostro paese ma oggi, a causa dell’inerzia del governo regionale che non ha recepito la normativa di riforma, rischia di rimanere l’unico ospedale giudiziario in tutta Italia.

Mentre gli altri Opg hanno avviato il processo di trasformazione lanciato dal Dlgs 230/99, a Barcellona tutto è bloccato - spiega la responsabile del settore giustizia della Funzione pubblica della Cgil di Messina, Clara Crocè-. Un problema che riguarda la dignità della persona, di questa particolare tipologia di detenuti che sono pazienti perché con problemi mentali. E l’internamento non è la detenzione. Spesso non finisce con l’esaurirsi della pena".

La Cgil di Messina ha promosso l’incontro per sollecitare la regione ad adeguarsi alla nuova normativa. Importante a questo riguardo la presenza del neo assessore alla sanità Massimo Russo che ha riconosciuto il ritardo della regione ma non ha comunque indicato soluzioni a breve. "Difendere il diritto alla salute di tutti i cittadini, anche di quelli privati della libertà e affetti da malattie mentali, è elemento di civiltà che non può essere subordinato a lungaggini formali o a compatibilità economiche che valgono solo per alcuni- commenta il segretario generale della Fp Cgil di Messina, Lillo Oceano-. Sulla salute non possono esserci cittadini di serie A e cittadini di serie B. Una differenziazione inaccettabile per i malati come per i lavoratori".

Sulmona: nominato Garante detenuti, è un medico carcerario

 

Prima da Noi, 24 giugno 2008

 

Si è inchiodato per quasi un’ora e mezza sulla modifica dell’ultimo comma dell’art. 3 del regolamento sull’istituzione del Garante dei detenuti, il consiglio comunale fiume che ha tenuto banco nel caldo pomeriggio di ieri a Palazzo San Francesco.

L’assise si surriscalda con l’ottavo punto all’ordine del giorno, quando il Presidente del Consiglio comunale, Nicola Angelucci, relaziona sulla proposta di modifica del regolamento per la nomina del Garante dei detenuti, già predisposta da precedente deliberazione del commissario straordinario del 15 ottobre 2007. In pratica, si chiede che venga abolito il passaggio di norma statutario che impedisce al sindaco di nominare personalità che abbiano legami di parentela con i consiglieri eletti. Richiesta giustificata dalla non remunerazione della carica, precisa Angelucci. Si accende la polemica: Di Benedetto (Pd) contesta l’aspetto procedurale e sostanziale dell’operazione "che corre il rischio di introdurre un precedente non conforme al rispetto della democrazia" e con lui fa scudo l’intera opposizione (Manasseri e Iannamorelli in testa).

Difesa serrata, invece, dalle fila della maggioranza, con Masci (An) prima e Di Cesare (Pdl) poi a premere sul passaggio non obbligatorio in consiglio a garanzia della correttezza del provvedimento in capo al sindaco.

Poi, salta fuori il nome di Alfonso De Deo, una vita come medico di base al carcere di Sulmona e criminologo di fama internazionale (padre del consigliere di maggioranza Antonio De Deo), e in un ping pong di repliche, dalla maggioranza si puntualizza sulla condivisione dell’elevata statura etica ed umana della persona, non sul procedimento adottato.

Alla fine, è il sindaco Fabio Federico a relazionare, rimarcando con forza l’urgenza di una figura come il garante "in un momento delicato come questo che vede i medici penitenziari passare al controllo delle Asl, senza che queste sappiano come dover agire e a chi riferirsi per i diritti sanitari dei cittadini detenuti". Dunque, "atto di importanza civile", dice il primo cittadino, "che non può aspettare", lasciando aperta, comunque, la porta ad aggiustamenti di regolamento dopo la nomina. Alla fine, su 18 consiglieri votanti (non ha preso parte Antonio De Deo, assenti D’Angelo e La Civita), il provvedimento passa con 11 voti favorevoli e 7 contrari. Poi, su decisione all’unanimità, il consiglio sospende i lavori per dieci minuti per la riunione dei capigruppo. Dopo un’ora e mezza di dibattito, si riprende alle 17.42: il nono punto sulla nomina del garante è stralciato e si arriva alla votazione nominale dei capigruppo. Il nome al voto è Alfonso De Deo, che riceve consenso unilaterale.

Matera: la Conferenza volontariato e la protesta degli agenti

 

Comunicato stampa, 24 giugno 2008

 

In riferimento all’agitazione degli agenti di Polizia Penitenziaria, in corso presso la Casa Circondariale di Matera e con ripercussioni anche su quelle di Potenza e Melfi, la Conferenza Regionale Volontariato Giustizia della Basilicata esprime solidarietà e vicinanza soprattutto per quanto riguarda il problema della sicurezza sul posto di lavoro.

I volontari penitenziari aderenti alla Conferenza regionale vogliono però ricordare all’opinione pubblica che le questioni segnalate dagli agenti devono essere esaminate nella loro complessità.

Alcuni servizi basilari a cui i soggetti sottoposti a provvedimenti della Autorità Giudiziaria (detenuti) avrebbero diritto, quali il servizio di mediazione culturale e linguistica previsto dall’art. 35 Dpr 230/2000 (Regolamento ordinamento penitenziario), attualmente svolto esclusivamente dal volontariato, dovrebbe essere preso in carico dall’Amministrazione della Giustizia che lo detiene tra i suoi compiti. Nel carcere di Matera attualmente la maggioranza assoluta delle persone detenute non è di nazionalità italiana e parecchie di loro faticano molto a esprimersi: il servizio continuativo di mediazione culturale sarebbe davvero prezioso, non solo all’interno dell’Istituto, ma anche per garantire la corretta comunicazione tra i detenuti e i loro avvocati.

La maggior parte dei detenuti nelle carceri locali viene trasferito in Basilicata da Istituti di pena sovraffollati del Nord Italia. I trasferimenti avvengono senza preavviso, nell’arco di una giornata: quasi mai i detenuti in arrivo sanno collocare le nostre città nello spazio italiano. La maggior parte di essi vivono in Lombardia, in Veneto o in Emilia Romagna e, con loro, i parenti. Improvvisamente, dunque, si vedono privati dei pochi legami familiari perché quasi mai i congiunti possono permettersi il viaggio per una visita in una città del Sud e la sensazione della perdita delle relazioni familiari, soprattutto del rapporto con i figli, crea tensione.

Tali questioni sono state anche dibattute nel Convegno "Su quella barca non voglio più tornare - Cittadinanza, diritti e rispetto delle regole per gli adulti e i minori immigrati" promosso nei giorni scorsi a Potenza dall’Aics a cui hanno partecipato esponenti di spicco delle Istituzioni Locali e del Ministero della Giustizia.

Non giustifichiamo i comportamenti aggressivi, ma i problemi reali che gli agenti stanno segnalando in questi giorni vanno posti nel giusto contesto, evitando il rischio di attribuire ai detenuti immagini stereotipate che non sempre trovano conferme nella realtà.

I volontari della Conferenza Regionale Volontariato Giustizia, impegnati in attività a favore di detenuti nelle carceri lucane, segnalano tali questioni contestualmente alla volontà di collaborazione con l’Amministrazione Penitenziaria cosi come recita il Protocollo d’Intesa stipulato dal 2005.

Gli agenti meritano di trovare l’attenzione che attendono e i volontari della Conferenza continueranno a percorrere la strada della sensibilizzazione, cosi la società civile potrà meglio comprendere le situazioni nelle carceri, ricordando che l’art. 27 della Costituzione recita, tra l’altro: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

 

Conferenza Regionale del Volontariato della Basilicata

Il Presidente, Francesco Cafarelli

Il Vice Presidente, Suor Lucia Cima

Lucca: "Vale la Pena", Servizio Civile con volontari carcerari

 

Vita, 24 giugno 2008

 

È possibile fare il servizio civile con il Gruppo volontari carcere di Lucca che opera da oltre 20 anni nell’ambito delle problematiche della detenzione.

C’è tempo fino al 7 luglio alle ore 14, per la presentazione delle domande come volontario del servizio civile nazionale presso il Gruppo Volontari Carcere di Lucca che da oltre 20 anni opera nell’ambito delle problematiche della detenzione. Il progetto Vale la pena è la naturale prosecuzione dei progetti di servizio civile nazionale Diade, 2004-2005, Dinamite 2005-2006 e Nonosolopena 2006-2007, che hanno visto impegnati 13 giovani volontari e volontarie della città di Lucca e non solo, in una serie di attività legate al mondo del carcere e al tema della pena. Sulla base di questa esperienza saranno riprese e continuate alcune attività già messe in cantiere e ne saranno iniziate di nuove.

Le possibilità per il servizio sono molteplici e spaziano dalla presenza dentro la casa di accoglienza; i contatti con le famiglie; i colloqui in carcere; altre attività in carcere da svolgere assieme alle persone detenute o a quelle accolte presso la Casa San Francesco in misura alternativa o agli arresti domiciliari, quali la redazione di un giornalino, l’attività teatrale, la biblioteca, lo sviluppo delle attività del tempo libero; l’implementazione del nostro sito web; l’attività di sensibilizzazione, sul territorio; l’attività di sensibilizzazione ai temi del carcere e della pena rivolto alle scuole secondarie superiori nell’ambito dei programmi di educazione alla legalità; l’attività di accompagnamento e sostegno nella ricerca del lavoro per coloro che escono dal carcere e di supporto per chi usufruisce di borse lavoro, tirocini formativi; il sostegno ai cittadini detenuti cittadini extracomunitari; ecc.

"Crediamo che questa rappresenti per il gruppo una grossa occasione per far conoscere ancora di più l’Area Giustizia, termine più ampio con il quale si intende tutto ciò che ruota intorno al sistema penitenziario italiano, compreso l’importante ambito del trattamento extramurario, ovvero di tutte quelle persone che possono o potrebbero scontare la pena in una modalità diversa dalla detenzione. Con il servizio civile abbiamo la possibilità di offrire alle ragazze e ai ragazzi dai 18 ai 28 anni un’occasione per fare un’esperienza importante, per formarsi, per aiutare chi si trova in un momento difficile, per cercare di costruire un ponte tra l’interno del carcere ed il territorio" osservano i responsabili del Gruppo. Il referente del progetto è Massimiliano Andreoni (349.1067623)

Milano: il carcere di Bollate cambia faccia… e anche facciata

 

Redattore Sociale, 24 giugno 2008

 

Sotto la guida di un esperto, cinque detenuti e una guardia carceraria hanno ritinteggiato i muri esterni, i locali di ingresso e gli alloggi della polizia penitenziaria nel carcere di Bollate. L’inaugurazione oggi.

Il carcere di Bollate ha cambiato faccia e facciata. Sono state ritinteggiati i muri esterni, i locali di ingresso e gli alloggi della polizia penitenziaria, che sono anche stati riarredati. Non si tratta solo di un intervento decorativo ma di una "riqualificazione cromatica": il colore è cioè stato utilizzato per creare un clima armonico e confortevole secondo il progetto di Massimo Caiazzo, di professione "color consulant", che ha prestato gratuitamente il suo contributo.

"Non è detto che il bello debba abitare solo al centro di Milano" ha commentato Lucia Castellano, direttrice della casa di reclusione, che ha radunato una vera e propria squadra che ha lavorato a questo progetto a titolo gratuito: cinque detenuti volontari diretti un assistente della polizia penitenziaria, affiancati da architetti e designer milanesi che hanno fornito la consulenza per gli arredi. Anche le associazioni di volontariato già presenti nel carcere hanno contribuito, offrendo pezzi dell’arredamento. Non è mancata la partecipazione del mondo economico e produttivo: la ditta Sikkens ha donato le vernici e i colori, e altre aziende come Luce Plan, Kartell, Sintesi Magis Futura hanno venduto i loro prodotti a prezzo di costo.

"Per me è stata una lezione incredibile - dice Massimo Caiazzo, responsabile del progetto -. Un vero modello di cooperazione. Ciò che mi ha colpito è stato il senso di appartenenza e il legame profondo che si è instaurato tra chi ha preso parte al progetto. Ho visto una rara dedizione al lavoro da parte dei detenuti e della polizia penitenziaria e il risultato è stato di qualità altissima".

L’inaugurazione degli ambienti rinnovati è prevista per domani 24 giugno alle 16.00 quando tutti potranno verificare con i propri occhi ciò che, con un certo orgoglio, Lucia Castellano definisce "una trasformazione in luogo di un non luogo", aggiungendo:"Siamo una comunità di persone che ora vivono meglio grazie a un lavoro a più mani".

Ragusa: "Un calcio alle distanze", conclusione torneo calcetto

 

La Sicilia, 24 giugno 2008

 

Conclusione del torneo "Un calcio alle distanze". La finale del torneo di calcio a 5 promosso all’interno della Casa Circondariale di Ragusa per favorire l’integrazione dei detenuti ha permesso di chiudere un progetto voluto dall’assessorato alle Politiche Sociali. Il torneo è stato vinto dalla squadra degli ospiti della casa circondariale di Ragusa che in finale hanno battuto per 8-5 la squadra della Polizia Penitenziaria. Al termine della finale vi è stata la premiazione delle squadre alla presenza del presidente Franco Antoci, dell’assessore alle Politiche Sociali Raffaele Monte e del consigliere provinciale Silvio Galizia. "È stata una festa di sport e di amicizia - hanno dichiarato il presidente Antoci e l’assessore Monte - che ha dato agli ospiti della casa circondariale di Ragusa la possibilità di sentirsi protagonisti per un giorno e di eliminare le distanze dal mondo esterno".

Cuneo: il Consiglio s’interroga sull’ampliamento del carcere

 

www.targatocn.it, 24 giugno 2008

 

L’ampliamento del carcere di Cerialdo ed i risvolti derivanti dall’arrivo nella struttura di circa duecento nuovi detenuti hanno rappresentato la questione più ricca di spunti di discussione nella seduta di ieri sera del Consiglio comunale di Cuneo. Posta dai gruppi di maggioranza di Cuneo Solidale, Centro Lista Civica ed Idee ed Impegno, la questione ha confermato come, in alcuni settori, gli enti locali siano sostanzialmente destinati a subire decisioni prese a livello superiore dai ministeri competenti.

Introducendo l’interpellanza, l’esponente di Cuneo Solidale Silvio Falco ha, in prospettiva, anticipato ricadute e costi sociali per la città proprio nel momento in cui l’integrazione tra il supercarcere e la frazione di Cerialdo sembrava essere arrivata a buon punto. "Ci vorrebbe maggiore collaborazione tra gli enti in casi come questi - ha concluso l’interpellante -, ma purtroppo non mi sembra sia così". "Un fatto sociale è davanti agli occhi di tutti - ha osservato nel suo intervento il Consigliere del Pdl Riccardo Cravero -.

Le carceri scoppiano e bisogna intervenire per ospitate i detenuti in modo consono. Oltre a chiedere spiegazioni sull’ampliamento del penitenziario, vorrei però avere delle risposte su questioni che ho già sollevato tante volte. Quando sarà istituito un servizio navetta per portare i parenti dei detenuti al carcere? Sarebbe utile anche per collegare Cerialdo a Madonna dell’Olmo su di una strada stretta come via Roncata".

"Spero non vogliate addebitare al nuovo Governo l’ampliamento del carcere - ha osservato Beppe Lauria -. Mi pare una scelta molto più sensata dell’indulto. Piuttosto è preoccupante che serva un’interrogazione per venire a conoscenza del progetto. Sarebbe stato importante essere informati direttamente dal Sindaco". Al primo cittadino si è rivolto anche il Capogruppo di Centro Lista Civica Luigi Mazzucchi.

"Possiamo osservare ciò che succede dall’esterno - ha detto -, ma non vedere i lavori dall’interno delle mura. Per questo ci rivolgiamo al Sindaco sperando ne sappia più di noi. Altri 200 detenuti significa raddoppiare la popolazione del carcere di Cerialdo. La conseguenza sarebbe quella di aumentare di 50 unità le guardie carcerarie e di avere un Vicedirettore. Ma, per mancanza di risorse economiche, non è detto che questo accada. A queste considerazioni si aggiungono le richieste d’intervento per la manutenzione straordinaria del carcere ed il fatto che, quando la nuova ala del penitenziario entrerà in funzione, tra 5 o 6 anni, serviranno anche molti più volontari ed educatori per la struttura".

Non facendo mistero sullo scarso peso del Comune nel progetto di un’opera che pure determina per l’ente scelte e conseguenze non da poco, il Sindaco Valmaggia ha ripercorso i pochi passaggi che hanno messo in contatto la direzione del penitenziario con gli uffici comunali. "Nel febbraio 2007 - ha detto - il direttore del carcere ha chiesto un certificato di destinazione urbanistica con l’indicazione di eventuali vincoli idrogeologici, sismici o ambientali. Gli uffici risposero e la cosa finì lì.

I contatti ripreso quando iniziammo a veder emergere la nuova struttura. Qualche giorno fa ci è stato risposto che è in corso un ampliamento del carcere mediante la costruzione di un padiglione che ospiterà 200 detenuti e che, al momento, non è possibile prevedere un aumento del personale né ulteriori strutture per il completamento funzionale dei lavori.

Allo stato attuale, non sappiamo se i nuovi ospiti saranno associati al regime di massima sicurezza o saranno detenuti ordinari. La situazione è molto simile a quella che si determinò con la realizzazione degli uffici finanziari. Si tratta di proprietà statali su cui è possibile costruire qualsiasi cosa senza l’intervento del Comune. Si sta a guardare, salvo poi apprendere di dover intervenire per migliorare la viabilità o realizzare altre opere".

Immigrazione: "clic day"; dopo 6 mesi solo l’1% di permessi

 

La Repubblica, 24 giugno 2008

 

Una montagna di pratiche ferme. Settecentomila domande in attesa di una risposta. Sono quelle di chi aspetta da mesi di mettere in regola un immigrato. È la gara del decreto flussi, ma la chiamano "lotteria delle quote": finora, solo uno su cento ce l’ha fatta. La corsa a un posto da regolare coinvolge ogni anno migliaia di immigrati invisibili.

Nel 2007, il decreto ha messo in palio 170mila posti. Come è finita? A sei mesi dalla presentazione delle oltre 740mila domande d’assunzione, meno di 8mila sono i visti d’ingresso rilasciati: circa 1’1%. Una débacle burocratica, che chiama in causa ministero dell’Interno e degli Esteri.

Un passo indietro: col decreto flussi, l’Italia fissa annualmente il tetto massimo (le "quote") di cittadini extracomunitari, che possono entrare nel Paese per motivi di lavoro subordinato o autonomo. Questo sulla carta. In realtà le cose vanno ben diversamente: il decreto è l’unica chance per mettere in regola chi già si trova in Italia. Come? Si presenta domanda d’assunzione, si spera di rientrare nelle quote, si esce dal Paese col nulla osta e si ritorna col visto d’ingresso. È un sistema di porte girevoli: esci clandestino, rientri regolare.

Ma solo a pochi fortunati il gioco riesce. I due decreti del 2006 avevano aperto le porte a 470mila ingressi: una massa di lavoratori, che hanno tenuto occupati gli uffici competenti per oltre 18 mesi. Per questo, nel 2007, i posti messi a disposizione dal decreto flussi sono scesi a 170mila, oltre un terzo per collaboratrici domestiche.

La novità? Le domande d’assunzione potevano essere presentate solo via Internet, a partire dal 15 dicembre: il cosiddetto clic day. In pochi minuti le quote sono state superate e dopo qualche settimana il conto si è fermato a 740mila domande presentate (di cui 475mi1a per lavoro domestico: colf e badanti).

I più richiesti? Marocchini (139mila), cinesi (80mila), bengalesi (79mila), indiani (56mila) e ucraini (53mila). Una valanga online di domande in attesa di una risposta. Che ne è stato? Al 17 giugno 2008 (dati del ministero dell’Interno), le domande "definite" sono solo 67.627, le pratiche in attesa d’integrazioni sono invece 5.147. Tra le "definite" rientrano quelle bocciate dalle questure (6.388) e dalle direzioni provinciali del lavoro (ben 19.311); quelle chiuse per rinuncia del datore di lavoro (2.585) e infine quelle che hanno finalmente ricevuto il nulla osta all’assunzione (39.343).

Purtroppo, però, il nulla osta non pone fine alla via crucis della regolarizzazione. A quel punto, infatti, la burocrazia si sposta all’estero, nei consolati italiani che devono rilasciare agli immigrati con nulla osta, il visto d’ingresso per l’Italia. E qui c’è la nuova strettoia. Quanti visti sono stati rilasciati finora? Solo 7.947 al 17 giugno 2008. Colpa delle difficoltà di attraversare la frontiera per chi si trova già in Italia da irregolare e dell’insufficienza di personale in molti consolati.

"Le colpe si distribuiscono tra ministero dell’Interno e degli Esteri - sostiene l’avvocato Marco Paggi dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione - dopo il clic day, infatti, nulla è cambiato: lo sportello unico dell’immigrazione è stata una semplificazione apparente e nei consolati mancano le risorse adeguate. In Moldavia manca addirittura un consolato italiano, bisogno andare fino in Romania per chiedere il visto. Che il 90% delle domande d’assunzione riguarda irregolari già presenti in Italia è poi un segreto di pulcinella - prosegue Paggi - e lo Stato dovrebbe avere la coerenza di procedere a sanatorie mirate per chi lavora e ha una casa. Ne riceverebbe in cambio denaro prezioso: il versamento dei contributi nelle sue casse".

Droghe: Maisto; "Fini-Giovanardi", meno peggio del previsto

 

Dire, 24 giugno 2008

 

Parla il sostituto procuratore presso la Corte d’Appello di Milano. "Dopo l’incertezza iniziale, fondamentale è stato l’intervento della Corte di Cassazione. Per arrestare bisogna tener conto allora di diversi parametri interpretativi"

La legge "Fini-Giovanardi" ha portato ad una maggiore repressione penale? In altri termini, si è arrestato di più o di meno sulla base del nuovo disposto? Oppure la situazione non è stata stravolta dai principi della nuova legge sulle tossicodipendenze? A tutte queste domande si potrebbe rispondere in maniera positiva e negativa. In estrema sintesi: gli arresti sono sicuramente aumentati, e i dati stanno lì a testimoniarlo, ma non nella maniera ipotizzata. E questo per le conseguenze incrociate di diversi fattori.

Ad analizzare la situazione è Francesco Maisto, sostituto procuratore presso la Corte d’Appello di Milano, in procinto di assumere la carica di presidente del Tribunale di sorveglianza dell’Emilia Romagna, a Bologna. Maisto è tra i principali osservatori dei fenomeni legati alla droga in Italia.

 

Allora dottor Maisto, i numeri parlano chiaro. Ma forse poteva andare peggio…

Per poter capire ciò che è effettivamente avvenuto, bisogna da una parte tener conto dei numeri e dall’altra parte vedere l’incidenza delle leggi che si sono succedute nel tempo. Quando si faceva una previsione dicendo che il decreto sulle Olimpiadi (al cui interno gli articoli della Fini-Giovanardi, ndr) avrebbe portato ad un maggior numero di arrestati, si metteva a confronto il decreto in questione con la il Dpr 309/90, cioè la legge precedente. Da qui i timori.

 

Ma cosa è avvenuto nel frattempo?

Dunque: il 30 dicembre del 2005 c’è stato il decreto sulle Olimpiadi, che in sé conteneva una maggiore carica repressiva, ma il 31 luglio del 2006 è stato approvato l’indulto. Si è trattato di un fenomeno che legislativamente e mediaticamente ha generato un minor rigore penale. Esso ha avuto un effetto in fatto di scarcerazioni di persone arrestate per stupefacenti, ma anche un effetto mediatico dopo il 31 luglio del 2006. Nell’immaginario collettivo, infatti, si pensava di poter essere arrestati ma poi liberati. Questa era la formula. È in base a questo che va fatto il ragionamento sui numeri.

 

Come è stata accolta la Fini-Giovanardi?

La previsione che si faceva leggendo letteralmente il decreto sulle Olimpiadi è stata gradualmente e parzialmente sconfessata. E spiego il perché: in una prima fase c’è stata una incertezza interpretativa e operativa, e quindi una confusione iniziale su tutto il territorio nazionale. Questo ha significato che c’erano dei luoghi, dei tribunali in cui si pensava che bastasse superare il limite quantitativo perché si configurasse il reato di spaccio e, di conseguenza, l’arresto. Poi ci sono state altre regioni dove fin dall’inizio non si è ritenuto che fosse così, e cioè che non bastasse il dato quantitativo ma bisognasse tener conto di una serie di indici rivelatori di una detenzione non finalizzata all’uso esclusivamente personale. Questa seconda interpretazione è quella che poi la Corte di Cassazione, come Giudice di legittimità, ha ritenuto ormai avvalorata. Infatti l’esempio più significativo è una sentenza della Sezione V penale, quella che si occupa di stupefacenti, in cui si dice: "La Corte ritiene che la previsione (Art. 73, modificato dalla legge 49) rettamente intesa non contenga elementi di sostanziale novità rispetto alla disciplina precedente". E dice allora che bisogna tener conto di vari parametri per dire che la destinazione non è ad uso esclusivamente personale.

 

Quali sono questi parametri?

La quantità, le modalità di presentazione e altre circostanze dell’azione. È allora evidente che un’interpretazione di questo tipo del massimo organo giurisdizionale che va a suggellare, a confermare altre interpretazioni in questo senso dei giudici sul territorio nazionale, non ha portato più quell’aumento spaventoso che si ipotizzava in base ad un’interpretazione formalistica della legge.

 

Comunque un aumento c’è. Prevedibile, fisiologico…

Non è un aumento spaventoso, ma c’è. Se noi prendiamo infatti la serie che ci da l’amministrazione penitenziaria e riguardante gli ingressi in carcere, vediamo che la serie del primo semestre 2005 era di 12.952 persone (pre-indulto), poi abbiamo il decreto sulle Olimpiadi e nel primo semestre 2006 gli entranti sono 12 mila. Quindi c’è l’indulto, e nonostante questo nel primo semestre 2007 gli entranti sono comunque 13.672. Questa cifra aumenta nel 2008, perché si passa a 14.094. Questo ci consente di dire che c’è stata sicuramente un’oscillazione interpretativa dal decreto legge all’indulto, e alla diversa interpretazione, fino alla Corte di Cassazione. Ma nonostante questo un aumento degli arresti c’è stato".

 

Ma così non si lascia una libertà interpretativa ai giudici?

Una delle finalità dichiarate della legge era quella di abbattere l’incertezza interpretativa. Di fatto non è stato così, perché se l Corte di Cassazione arriva a dire ciò che ho detto prima, vuol dire che l’incertezza interpretativa non è stata affatto abbattuta. Gli arresti non sono aumentati nella misura prevista per via delle leggi a cui ho fatto riferimento e, progressivamente, in virtù di un’interpretazione più ‘aperta’".

 

Ma in questa maniera si mantiene uniformità di giudizio? C’è pericolo di sperequazioni?

La constatazione di un’interpretazione iniziale a macchia di leopardo sul territorio nazionale è scomparsa perché poi si è affermata l’interpretazione della sentenza citata. La prassi ha superato la norma? No, ma meno male che è così. Altrimenti avremmo avuto un automatismo, che è sempre negativo quando si tratta di giudicare le persone. Ci sono sempre gli essere umani dietro la situazioni. Bisogna valutare sulla base di diversi parametri".

Droghe: a Bologna, nel 2007, dimezzati i decessi per overdose

 

Notiziario Aduc, 24 giugno 2008

 

L’Osservatorio dipendenze patologiche ne ha registrati 30 nel 2006. L’età media: 33 anni. Sono gli immigrati ad abbassarla: 26 anni contro i 35 degli italiani. I dati tornano ad allinearsi a quelli del 2000.

Dimezzano i decessi per overdose. Se nel 2006 l’Osservatorio dipendenze patologiche dell"Ausl di Bologna ne aveva registrati 30, nel 2007 i decessi si sono fermati a quota 14. L’età media di chi muore per droga si aggira sempre intorno ai 33 anni, mentre per quanto riguarda sesso e nazionalità i dati dell’anno scorso evidenziano solo due donne e due stranieri. E sono gli immigrati ad abbassare l’età dei decessi per overdose: 26 anni contro i 35 di media dei tossicodipendenti italiani. I più "vecchi" di tutti? Le donne, con 37 anni.

Se si considera invece la residenza, il 14,3% abita a Bologna, il 43% in provincia, il 35,7% viene da fuori regione e il 7% dall’estero. Infine le persone in carico ai Sert (Servizi tossicodipendenze), che rappresentano il 35% del totale. I dati del 2007 sono tornati ad allinearsi con quelli degli anni 2000, mentre alla fine degli anni ‘90 erano molte di più le persone che morivano a causa della droga: 39 decessi nel 1997, 43 nel ‘98 e 38 morti per overdose nel ‘99. Numeri, tabelle e altre informazioni sul sito dell’Osservatorio epidemiologico metropolitano sulle dipendenze patologiche.

Tunisia: Amnesty; i diritti umani sono rispettati solo a parole

 

Redattore Sociale, 24 giugno 2008

 

In un rapporto diffuso oggi, l’associazione ha accusato il governo tunisino di trarre in inganno il mondo presentando un’immagine positiva della situazione, mentre le sue forze di sicurezza continuano a commettere violazioni

In un rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha accusato il governo tunisino di trarre in inganno il mondo presentando un’immagine positiva della situazione dei diritti umani nel paese, mentre le sue forze di sicurezza continuano a commettere violazioni con regolarità e impunità.

"Il governo dice regolarmente di onorare i suoi obblighi internazionali in materia di diritti umani, ma queste affermazioni sono lontane dalla realtà. È davvero arrivato il momento che le autorità cessino di rispettare i diritti umani solo a parole e adottino misure concrete per porre fine alle violazioni - ha detto Hassiba Hadj Sahraoui, vice direttrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International -. Come primo passo, devono riconoscere i preoccupanti fatti denunciati nel nostro rapporto, impegnarsi ad aprire indagini e portare i responsabili davanti alla giustizià.

Il rapporto di Amnesty International, intitolato "In nome della sicurezza: in Tunisia le violazioni sono la regola", denuncia gravi violazioni dei diritti umani commesse nell’ambito delle politiche di sicurezza e antiterrorismo. Nel tentativo di prevenire la formazione di quelle che chiamano "cellule terroriste" all’interno del paese, le autorità si rendono responsabili di arresti e detenzioni di natura arbitraria, in violazione della stessa legge tunisina, di sparizioni forzate di detenuti, torture e altri maltrattamenti e, infine, di condanne emesse al termine di procedimenti iniqui, in cui imputati civili vengono processati da corti marziali che utilizzano elementi di prova scarsamente circostanziati.

"L’ampia definizione di terrorismo, contenuta nella legge antiterrorismo - afferma Amnesty, consente alle autorità di criminalizzare legittime e pacifiche attività di opposizione. Sebbene negli ultimi anni siano state adottate alcune riforme per fornire maggiore tutela ai detenuti, le leggi vengono regolarmente aggirate dalle forze di sicurezza e pertanto la protezione dalla tortura, dai processi iniqui e da altre gravi violazioni dei diritti umani risulta inadeguata".

Il rapporto di Amnesty International descrive i casi di Ramzi el Aifi, Ousama Abbadi e Mahdi Ben Elhaj Ali, tre coimputati nel cosiddetto processo Soliman. I tre prigionieri hanno riferito ai loro avvocati di essere stati picchiati, legati e presi a calci, il 16 ottobre 2007, per aver intrapreso uno sciopero della fame contro le condizioni di detenzione della prigione di Mornaguia. Il 20 ottobre, l’avvocato di Abbadi ha incontrato il suo cliente: impossibilitato a camminare, era su una sedia a rotelle, con un occhio pesto e una profonda ferita aperta su una gamba. El Aifi ha riferito al suo legale di essere stato legato con una corda, picchiato e sodomizzato con un bastone. Non risulta che i responsabili siano stati puniti né che sia stata avviata alcuna indagine su queste denunce. Ramzi el Aifi e Ousama Abbadi sono stati condannati all’ergastolo, Mahdi Ben Elhaj Ali a 12 anni. In appello, la condanna di Abbadi è stata ridotta a 30 anni, quella di Ali a 8.

La maggior parte delle violazioni dei diritti umani viene commessa dalle forze del Dipartimento per la sicurezza dello Stato (Dss), che ricorrono alla tortura in piena impunità.

"Non indagando sulle denunce di tortura, il procuratore generale e il suo staff da un lato, i giudici (spesso privi d’indipendenza) dall’altro contribuiscono efficacemente a nascondere i casi di detenzione segreta prolungata, in violazione della stessa legislazione tunisina, così come i casi di tortura, che si verificano in violazione delle norme interne e internazionali. Col silenzio e la mancanza d’iniziativa, questi organismi diventano complici delle violazioni".

"Le autorità tunisine hanno l’obbligo di proteggere la popolazione e combattere il terrorismo ma, nel farlo, devono rispettare gli obblighi assunti nei confronti del diritto internazionale dei diritti umani" - ha precisato Hassiba Hadj Sahraoui -. "Devono assicurare che tutta la normativa relativa alla lotta al terrorismo non faciliti le violazioni dei diritti umani e che l’operato del Dss e delle altre forze di sicurezza rispetti sempre le norme e gli standard internazionali sui diritti umani".

"Nonostante questo scenario di violazioni dei diritti umani - afferma Amnesty -, governi arabi ed europei, così come quello statunitense, hanno espulso verso la Tunisia persone che ritenevano coinvolte in attività terroristiche. In Tunisia, queste persone hanno subito arresti e detenzioni arbitrari, torture e altri maltrattamenti e processi clamorosamente iniqui".

Il rapporto di Amnesty International cita inoltre il caso di Houssine Tarkhani, rimpatriato dalla Francia il 3 giugno 2007 e arrestato all’arrivo in Tunisia. "Il Dss lo ha tenuto in detenzione segreta per nove giorni, in violazione delle norme internazionali e della stessa legge tunisina, che prevede un periodo massimo di detenzione garde à vue di sei giorni. Tarkhani ha riferito al suo avvocato di essere stato picchiato e bastonato su ogni parte del corpo, sottoposto a scariche elettriche, insultato e minacciato di morte. Quando ha chiesto di leggere il rapporto di polizia, non lo ha ottenuto ed è stato nuovamente picchiato. Durante i nove giorni di detenzione, nessuno dei suoi familiari è stato informato, nonostante ciò sia previsto dalla legge tunisina; ciò è avvenuto solo il 12 giugno, quando Tarkhani è stato portato di fronte al giudice, senza la presenza di un legale. Questi ha potuto incontrare il suo cliente solo il 19 giugno, nella prigione di Mornaguia. La richiesta dell’avvocato di un esame medico sulle torture subite da Tarkhani rimane tuttora senza risposta".

"Invece di rimpatriare i cittadini tunisini, che vanno così incontro a torture e processi iniqui, gli altri governi dovrebbero chiedere a quello di Tunisi di adottare provvedimenti concreti per introdurre riforme sui diritti umani", ha concluso Hassiba Haji Sahraoui.

Giamaica: giornalismo per i detenuti della massima sicurezza

 

Associated Press, 24 giugno 2008

 

È Prison Diaries, un progetto destinato ai detenuti del supercarcere di Kingston, la capitale della Giamaica, lanciato da Students Expressing Truth (S.E.T.).

Un progetto di giornalismo partecipativo molto particolare è stato lanciato da Students Expressing Truth (S.E.T.) ed è rivolto ai detenuti di un carcere di massima sicurezza di Kingston, la capitale della Giamaica. Ne parla diffusamente Prison Diaries mette a nudo la realtà dei detenuti in Jamaica, un articolo su Globalvoiceonline, l’edizione italiana del sito/movimento "che intende dare voce a quelle persone e a quei paesi che ne sono privi", e che è nata sotto il coordinamento di Bernardo Parrella.

Quando si pensa a Kingston, la capitale della Jamaica, blog e podcast non sono certo le prime cose che vengono in mente. Solitamente la si associa a notizie tipo "Capitale mondiale per numero di omicidi", oppure a Bob Marley e alla musica reggae. Ma certo non a un programma di riabilitazione che spiega ai detenuti di un carcere di massima sicurezza come curare un blog, creare un podcast e persino imparare a muoversi in Second Life.

È proprio questa l’iniziativa che Students Expressing Truth (S.E.T.) ha deciso di portare avanti lanciando il progetto di giornalismo partecipativo denominato Prison Diaries.

 

 

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