Rassegna stampa 31 gennaio

 

Giustizia: ogni cittadino spende 480 euro per la "sicurezza"

di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone)

 

Italia Oggi, 31 gennaio 2008

 

In Italia c’è un detenuto ogni mille abitanti. Un giudice ogni 9 mila. Un Pm ogni 25 mila. Sono questi alcuni dei dati del Rapporto Italia 2008 dell’Eurispes. La sicurezza costa allo stato 480 euro a cittadino. I processi penali pendenti continuano a essere intorno ai 5 milioni e mezzo. Nel rapporto si legge che "l’obiettivo da porsi non è un diritto penale migliore, ma qualcosa di meglio del diritto penale: la sanzione efficace non è quella esemplare ma quella tempestiva, il risarcimento o la riparazione possono valere di più del processo e del carcere".

Le carceri sono sempre più piene, nonostante l’indulto. Le cifre sono eloquenti. Al 31 dicembre 1990 i detenuti erano 25.000 circa. Oggi sono il doppio nonostante l’indulto del 31 luglio 2006. L’allarme sicurezza cresce, ma non è supportato dai dati statistici. I reati sono in calo. L’allarme si crea per ragioni legate al consenso sociale.

Un dato è da sottolineare: il 34,8% delle persone intervistate dai ricercatori Eurispes ritiene che i media usino toni eccessivamente allarmistici sui fatti criminali. La percezione di insicurezza è, secondo l’Eurispes, maggiore soprattutto se riferita alla possibilità di subire un furto in appartamento. Il 33,3% degli italiani, secondo l’Eurispes, ha infatti installato un allarme antifurto a difesa della propria casa. Una percentuale piuttosto elevata ha, invece, deciso di rafforzare la protezione della propria abitazione con porte blindate (49,3%) e inferriate alle finestre (30,2%). Meno diffusa è la tendenza a ricorrere alla videosorveglianza (9%) o a portare con sé armi da fuoco (5,1%) o da taglio (5,4%).

10 milioni sono le armi legali in Italia. In 4 milioni di famiglie vi è almeno una pistola. Nel 2003, per esempio, nella sola Capitale sono state avanzate 5.000 richieste per concessione di porto d’armi rispetto alle 9.800 richieste del 2005 e alle 11.250 del 2006, anno che ha visto l’approvazione della legge 13 febbraio n. 59 che ha modificato, ampliando, le ipotesi di legittima difesa.

La scelta del sistema di difesa dipende in larga parte dalla disponibilità economica dei proprietari dell’abitazione: per un impianto base più economico è necessario spendere almeno 2 mila euro, ma si può arrivare a spendere anche 15 mila euro, utili per allestire 15 telecamere collegate a un monitor con un sistema di registrazione 24 ore su 24.

La paura di subire furti in casa è più fondata di altre paure, che non hanno basi statistiche. I furti in appartamento sono oggi circa 160 mila l’anno. Erano 20 mila in meno nel 2006. Tutto questo nonostante nel 2001 sia stata fortemente irrigidita la norma penale prevedendo sanzioni carcerarie elevatissime. Ciò significa che le dinamiche reali e le percezioni soggettive non sempre sono correlate. Mentre le risposte repressive dello stato non hanno efficacia deterrente.

Secondo le rilevazioni del ministero dell’interno il numero dei reati denunciati è poco meno di 3 milioni. Sono in lievissimo calo i reati cosiddetti predatori (scippi e furti), le rapine, le violenze sessuali, gli incendi, le estorsioni, i reati legati agli stupefacenti e gli omicidi. C’è però una quota oscura e non quantificabile di delitti non denunciati.

Ciò è strettamente connesso alla questione della scarsa fiducia verso il sistema della giustizia. Esiste infatti, secondo i dati rilevati dall’Eurispes nel 2008, un consistente 30,6% di italiani che, pur essendo stati vittime di reati, hanno preferito non denunciare l’accaduto alle forze dell’ordine. Il maggior numero di reati subiti viene denunciato dagli abitanti del Nordest (77,3%), mentre i più restii a rivolgersi alle forze dell’ordine sono coloro che vivono nell’Italia delle Isole (51,8%) e nelle regioni del Sud (39,1%).

Quanto ai reati ascritti alla popolazione detenuta, quelli per violazione della legge sugli stupefacenti sono intorno al 15% del totale, quelli per reati contro il patrimonio il 31%, quelli per delitti contro la persona il 15%. In totale nel 2007 il numero degli omicidi continua a essere basso rispetto alla media europea. Gli omicidi sono stati poco meno di 650. Meno di due persone ammazzate al giorno.

Negli Stati Uniti hanno esultato perché nella sola città di New York nel 2007 vi sarebbero stati "soli" 492 omicidi. Nel 1990 avevano raggiunto la quota record di 2.250. Stabili anche le lesioni dolose, poco meno di 60 mila l’anno, in leggera crescita le violenze sessuali rispetto al 2006. Si attestano su una cifra di poco inferiore ai 5 mila episodi criminali. Infine anche le rapine sono stabili rispetto all’anno precedente, infatti continuano a essere intorno alle 50 mila l’anno.

Giustizia: Opg Aversa; allarme suicidi, e 9 morti in un anno

di Nicola Rosselli

 

Caserta Oggi, 31 gennaio 2008

 

"Siamo di fronte ad una situazione agghiacciante. Lo sto denunziando continuamente. Se non è vero quanto dico, almeno mi punissero. Al momento ci sono 300 persone dove dovrebbero essercene 130". A parlare Adolfo Ferraro, direttore dell’ospedale psichiatrico giudiziario "Filippo Saporito" di Aversa.

L’occasione macabra: un altro detenuto che sceglie di togliersi la vita all’interno del manicomio. Continua, con quella di ieri, una catena di disperazione che ha portato a cinque suicidi negli ultimi quattordici mesi (due negli ultimi venti giorni) presso il "manicomio criminale" normanno. Un carcere-ospedale dove le condizioni dei reclusi sono aberranti, come riconosce lo stesso direttore della struttura normanna.

A denunziare questo ennesimo triste episodio l’associazione "Antigone" Campania, che si occupa delle condizioni dei detenuti nelle carceri italiane. Quest’ultima morte risale a ieri pomeriggio, il secondo decesso in venti giorni. Si tratta di un uomo di 34 anni, originario della provincia di Salerno, internato nell’Opg di Aversa da circa un anno con la solita accusa che contraddistingue questi "pazzi": oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. L’uomo si è impiccato qualche minuto dopo essere tornato in cella a seguito della passeggiata.

"Questo è il quinto suicidio ad Aversa nel corso di 14 mesi - ha detto, in una nota, Dario Stefano Dell’Aquila, portavoce dell’associazione - Solo venti giorni fa un internato si era tolto la vita in maniera analoga, mentre ad ottobre si è registrato un tentato suicidio. Complessivamente, tra suicidi e improvvisi decessi, contiamo 9 morti in poco più di un anno".

"Riteniamo indispensabile che si chiariscano le dinamiche di queste morti - aggiunge - e che ci si attivi, a livello politico ed istituzionale, per garantire, in attesa di una riforma che chiuda i manicomi giudiziari, degne condizioni di vita per gli internati in Opg". Parole che non trovano impreparato il direttore della struttura penitenziaria aversana Adolfo Ferraro che dichiara: "La vittima dell’altro giorno è una di quelle che non ha famiglia, ma poteva essere dimessa, come il 60% degli attuali internati, solo che l’Asl di appartenenza aveva dichiarato di non essere in grado di seguirlo. Negli ultimi tempi stava meglio ed è proprio questo stare meglio, questa consapevolezza maggiore del proprio stato che li porta al gesto estremo. Un gesto che, al di là di ogni retorica, costituisce il loro grido d’aiuto".

"Da parte nostra - continua Ferraro - evidenziamo continuamente (anche a rischio di sanzioni da parte dei superiori) la situazione. Attualmente abbiamo trecento internati a fronte dei centotrenta/centosettanta che la struttura potrebbe ospitare. Abbiamo più volte chiesto ufficialmente di far trasferire parte dei ricoverati presso altre strutture, ma non ci riusciamo. Ben venga l’intervento di Antigone, ma non si limitasse a contare i morti e ci dia una mano per risolvere la situazione anche attraverso la mobilitazione".

"Oggi - conclude il dirigente dell’amministrazione penitenziaria - potremmo dimettere il sessanta per cento degli internati, ma dal dicembre 2006 ad oggi la situazione non fa che peggiorare. Questi casi portano allo sconvolgimento anche degli operatori penitenziari che pure riescono a vanificare numerosi tentativi di suicidio. Sono direttore da 10 anni, ma solo in questi ultimi mesi, con questo carico e con l’assenza delle Asl stiamo giungendo alla tragedia. Facciamo di tutto per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica. Significativa è stata l’esperienza teatrale napoletana, quando i pazienti hanno portato in scena Aspettando Godot. Un testo scelto non a caso. I malati continuano ad aspettare".

Giustizia: Opg Aversa; internati sono qui perché costano meno

 

Ansa, 31 gennaio 2008

 

Adolfo Ferraro, psichiatra e direttore dell’Opg: "Un malato psichiatrico in una residenza protetta costa al Servizio Sanitario 180 euro al giorno, mentre nell’Opg solo 52 euro, questo spiega perché così tanti rimangono dentro".

"L’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa è in una situazione di grave emergenza perché in un istituto con 130 posti, con una tollerabilità di 170, sono internate oltre 300 persone". Così Adolfo Ferraro, psichiatra e direttore dell’Opg campano da oltre 10 anni, spiega l’alto tasso di suicidi messi in atto dai ricoverati negli ultimi mesi e che, dopo l’ultimo caso avvenuto ieri, l’associazione Antigone ha denunciato.

"Sono anni, ormai, che cerchiamo di trovare una soluzione al problema - aggiunge Ferraro - ma il ministero della Giustizia sembra sordo alle nostre richieste di aiuto. Siamo arrivati ad avere anche 6 ricoverati per stanza e trattandosi di malati psichiatrici ciò è particolarmente grave. Se abbiamo avuto 5 suicidi in 14 mesi i tentativi di suicidio non si contano". "Il personale è rimasto numericamente lo stesso di quando gli internati erano 130-170 - spiega il direttore - dunque è sempre più difficile fare attività trattamentali. Siamo in grado di trattare circa 120 persone, per le altre non c’è speranza ed è così che nasce il desiderio di farla finita". "Sono inoltre sempre più numerose - racconta - le risse e i litigi che rendono la vita all’interno dell’ospedale veramente faticosa". Ferraro sottolinea poi come l’aspetto più grave è che il 60% dei ricoverati ad Aversa non è socialmente pericoloso, si tratta dunque di malati che potrebbero essere affidati ai servizi sociali "se - dice lo psichiatra - i servizi di salute mentale sul territorio accettassero di collaborare con noi. Purtroppo però un malato psichiatrico in una residenza protetta costa al servizio sanitario 180 euro al giorno, mentre nell’Opg solo 52 euro, questo spiega perché così tanti rimangono dentro". "L’ultima speranza che abbiamo, dopo tanti esposti e relazioni al ministero - conclude Ferraro - è che, come sempre accade dopo due-tre suicidi, via Arenula mandi gli ispettori. Si renderanno conto così della situazione insostenibile in cui i malati sono costretti a vivere".

Giustizia: in carcere più facili le infezioni da epatite B, C e Hiv

 

Redattore Sociale, 31 gennaio 2008

 

Uno studio coordinato da ricercatori dell’Università Cattolica di Roma evidenzia il rischio di coinfezione da epatite B, C e Hiv all’interno delle carceri italiane e aiuta a studiare come combattere più efficacemente molti ceppi del virus dell’epatite C. La ricerca ha evidenziato che all’interno delle carceri italiane la percentuale di malati contemporaneamente di epatite B, epatite C e HIV è più elevata che fra la popolazione normale, ed è associata allo stato di tossicodipendenza e a quello di tabagismo.

Questi risultati, non del tutto sorprendenti, che confermano la denuncia lanciata nei giorni scorsi dal Gfk Eurisko, emergono dall’approfondito studio condotto su un migliaio di detenuti di sesso maschile nelle carceri del basso Lazio (Frosinone, Cassino, Latina) da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Igiene e dell’Istituto di Medicina Interna dell’Università Cattolica di Roma, e dell’Università di Cassino, pubblicato di recente dalla rivista internazionale Bmc Infectious Diseases.

Secondo i dati ricavati dalle carceri del Sud del Lazio, che riguardano le cartelle cliniche di tutti i carcerati fra il 1995 e il 2000, la coinfezione fra Hiv ed epatite C riguardava il 4% dei casi, quella fra epatite B e C il 18% dei casi e quella fra Hiv e epatite B il 3% dei casi."I risultati sono in piena sintonia con quanto denunciato nei giorni scorsi dalla Società italiana di medicina e sanità penitenziaria, anche se non sono sorprendenti - spiega l’epidemiologo Giuseppe La Torre, primo autore dell’articolo -.

Si tratta infatti di una popolazione molto particolare, formata per la metà da tossicodipendenti, e questo stesso è un dato molto significativo. Inoltre la popolazione carceraria presenta solitamente un livello socioeconomico piuttosto basso e infine in Italia rispetto agli altri Paesi in generale si trova una più elevata incidenza di sieropositività fra gli eroinomani". Lo studio, spiega ancora l’internista Antonio Grieco, "oltre alla ovvia correlazione con la tossicodipendenza, ha analizzato anche gli altri fattori di rischio che sono più spesso associati a queste infezioni, come lo stato civile e la nazionalità".

I ricercatori sottolineano la disponibilità e la collaborazione del ministero della Giustizia che ha incoraggiato questo tipo di ricerca e che ha fornito tutto il sostegno per consentire l’accesso alla storia sanitaria della popolazione carceraria. Vale la pena di rimarcare -, aggiunge La Torre -, che il personale sanitario carcerario ha livelli elevati di professionalità.

Non solo ci ha fornito ogni tipo di collaborazione alla ricerca, ma segue con molta attenzione i pazienti che vivono in carcere". Tanto che, paradossalmente, come sottolineano gli autori nello studio, per questi pazienti problematici, "all’interno dell’ambiente carcerario c’è una maggiore opportunità di ricevere una buona cura" e di essere seguiti correttamente di quanto non accadrebbe all’esterno.

Per quanto riguarda la prevenzione, sottolinea invece Grieco, "è evidente che bisogna migliorare la qualità della vita nel carcere, riducendo i fattori di promiscuità e rischio, favorendo l’igiene e i sistemi di controllo, nonché combattendo il sovraffollamento". Ma i ricercatori dell’Università Cattolica hanno in mente anche un altro obiettivo scientifico, da perseguire in prossime ricerche. "In molti servizi sanitari carcerari -, racconta infatti La Torre -, sierotipizzano il virus dell’epatite C per ottimizzare la terapia.

La sierotipizzazione comporta l’individuazione del ceppo del virus che ha infettato il paziente. Considerato che esistono moltissime varianti del virus dell’epatite C, andarle a studiare in popolazioni selezionate, come quella carceraria- conclude La Torre-, aggiungerà moltissimo alla nostra conoscenza dell’epidemiologia dell’infezione sostenuta da questo virus".

Ferrara: muore suicida un Ispettore di Polizia Penitenziaria

 

Ansa, 31 gennaio 2008

 

Un Ispettore Superiore di Polizia Penitenziaria si è ucciso impiccandosi nella sua abitazione nel centro di Ferrara. L’uomo, Agostino De Nicola, 47 anni, è stato trovato privo di vita da alcuni colleghi, inviati dal comandante di reparto dell’Istituto, allarmato dal fatto che da due giorni non si avevano sue notizie. Sono intervenuti anche il 118 e la polizia; gli accertamenti sono coordinati dalla Procura della Repubblica. A darne notizia è stato in tarda serata il Sappe, Sindacato autonomo della Polizia penitenziaria.

"Sono in corso accertamenti per cercare di capire le motivazioni del gesto - ha spiegato il segretario generale del Sappe, Donato Capece - ma il collega suicida viene descritto dai colleghi di Ferrara come persona dal carattere mite e gentile, sempre corretto verso tutti, grande lavoratore, stimato dai colleghi, che sono rimasti tutti esterrefatti". Il sindacato aveva già parlato nelle scorse settimane di emergenza, dopo che altri baschi azzurri si erano tolti la vita nel giro di pochi giorni a Modena, Verbania, Imperia e Tempio Pausania.

"È ormai una vera e propria emergenza - ha aggiunto Capece - e, nell’attuale situazione di incertezza politica, ci rivolgiamo al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano perché valuti un proprio autorevole intervento. Auspichiamo con urgenza opportuni provvedimenti". "Nonostante i nostri gridi di allarme dopo gli episodi di dicembre - ha commentato il segretario generale del Sappe - ci saremmo aspettati una sensibilizzazione sull’argomento da parte delle Autorità istituzionali e politiche del Paese, in particolare di quelle con competenze in ordine a giustizia, sicurezza e sanità.

Ma non ci risulta essere stato fatto nulla. Per questo rivolgiamo un pubblico appello al Capo dello Stato e rinnoviamo quello a suo tempo già fatto al Capo dell’Amministrazione Penitenziaria, Ettore Ferrara, affinché intervengano con autorevolezza, anche aprendo un confronto con le organizzazioni sindacali del Corpo, sulla drammatica realtà dei suicidi nella Polizia penitenziaria".

Già dopo i precedenti episodi il Sappe aveva chiesto di approfondire se anche tra gli appartenenti al Corpo vi sia la sindrome del burnout, una forma di disagio professionale derivato dalla discrepanza tra gli ideali e la realtà della vita lavorativa. Tra le richieste del sindacato, l’istituzione di Centri specializzati in grado di fornire un buon supporto psicologico e interventi istituzionali per "privilegiare maggiormente l’aspetto umano ed il rispetto della persona nei rapporti gerarchici e funzionali che caratterizzano la Polizia penitenziaria".

 

Il Sappe si rivolge al Capo dello Stato Napolitano

 

Dalla preoccupazione alla vera e propria emergenza. Dopo i 3 poliziotti penitenziari suicidi nelle scorse settimane di dicembre 2007, siamo appena stati informati di un nuovo, ennesimo caso di suicidio a Ferrara che ha visto coinvolto un ispettore superiore di Polizia Penitenziaria nato nel 1960 e trovato impiccato nella sua abitazione.

"È ormai una vera e propria emergenza e, nell’attuale situazione di incertezza politica, ci rivolgiamo al Capo dello Stato Giorgio Napolitano perché valuti un proprio autorevole intervento" commenta con preoccupazione Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione della Categoria.

"Quattro suicidi di poliziotti penitenziari in poco più di un mese è davvero un dato da leggere davvero con estrema preoccupazione, rispetto al quale auspichiamo che la più Alta carica dello Stato assuma con urgenza opportuni provvedimenti. Il collega suicida a Ferrara è stata rinvenuto nella sua abitazione privata dai colleghi in servizio a Ferrara, inviati dal Comandante di Reparto dell’Istituto allarmato dal fatto che da 2 giorni non si avevano sue notizie. Attualmente sono in corso accertamenti per cercare di capire le motivazioni dell’infausto gesto, ma il collega suicida viene descritto dai colleghi di Ferrara come persona dal carattere mite e gentile, sempre corretto verso tutti, grande lavoratore, stimato dai colleghi che sono rimasti tutti esterrefatti".

"Nonostante i nostri gridi di allarme dopo gli episodi di dicembre" conclude Capece "ci saremmo aspettati una sensibilizzazione sull’argomento da parte delle Autorità istituzionali e politiche del Paese, in particolare di quelle con competenze in ordine a giustizia, sicurezza e sanità. Ma non ci risulta essere stato fatto nulla. Ed è per questo che oggi rivolgiamo un pubblico appello al Capo dello Stato Giorgio Napolitano e rinnoviamo quello a suo tempo già fatto al Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Ettore Ferrara affinché intervengano con autorevolezza, anche aprendo un confronto con le Organizzazioni sindacali del Corpo, sulla drammatica realtà dei suicidi nella Polizia Penitenziaria".

Bologna: Garante dei detenuti eletto Coordinatore nazionale

 

Adnkronos, 31 gennaio 2008

 

Il Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Bologna, Desi Bruno, è stata designata come coordinatore per il 2008 a livello nazionale tra i Garanti regionali, provinciali e comunali costituiti finora in molte città d’Italia. La designazione è avvenuta ieri a Bologna nel corso di una riunione in cui erano presenti i garanti della Regione Lazio, dei Comuni di Roma, Brescia, Torino, Reggio Calabria e delle Province di Milano e Lodi.

I Garanti hanno espresso la propria preoccupazione per gli sviluppi della crisi politica che rischia di trasformarsi in crisi della legislatura con ripercussioni gravissime sulla situazione della giustizia, comportando necessariamente il blocco di tutte le iniziative legislative all’esame del Parlamento.

Proprio per questo hanno deciso di rinviare in attesa degli sviluppi e degli esiti della crisi di governo gli appuntamenti che erano stati previsti per sensibilizzare Parlamento e governo sulle questioni riguardanti la riforma del sistema penale. I garanti infine hanno deciso di intensificare lo scambio delle rispettive esperienze per utilizzare i risultati positivi di progetti andati a buon fine e favorirne la realizzazione anche in altre realtà e di formalizzare la costituzione del Coordinamento dei garanti dopo questo primo periodo di positiva sperimentazione.

Napoli: medici dicono che Bruno Contrada è in pericolo di vita

 

Ansa, 31 gennaio 2008

 

"Bruno Contrada è in serio pericolo di vita, come affermano i medici, tutti i medici, privati, pubblici, di parte e della direzione sanitaria" del carcere di Santa Maria Capua Vetere dove è detenuto per scontare una condanna a 10 anni per concorso esterno all’associazione mafiosa. Lo ribadisce il legale dell’ex funzionario del Sisde, l’avvocato Giuseppe Lipera.

In una nota inviata al giudice di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, al presidente della Corte d’appello e al procuratore generale di Caltanissetta il penalista, tra l’altro, afferma: "dobbiamo soltanto confidare di trovare qualcuno che ha la volontà di applicare la legge, in nome di Dio e del popolo italiano".

 

Quando la giustizia diventa inumana

 

Tecnicamente non è una nuova istanza di differimento della pena per motivi di salute né di accoglimento della misura di detenzione domiciliare. Non ancora almeno. Nella pratica però il documento presentato ieri dall’avvocato Giuseppe Lipera nell’interesse del proprio assistito Bruno Contrada ha il sapore di una messa in mora a tutti i giudici cui è stata indirizzata: il magistrato di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, Daniela Della Pietra, il presidente della prima sezione penale della corte di appello di Caltanissetta, cioè il giudice che ha pronunciato la condanna a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa, ormai divenuta definitiva, e il procuratore generale della corte di appello, la stessa che ha responsabilità dell’esecuzione della pena un volta diventata irrevocabile la sentenza pronunziata in nome del popolo italiano. Una messa in mora ma anche un mettere con le spalle al muro tutti questi magistrati qualora dovesse accadere qualcosa di brutto all’ex numero tre del Sisde. Cosa che il difensore paventa senza mezzi termini nel proprio esposto. "Contrada - si legge - soffre contemporaneamente delle seguenti affezioni: cerebropatia vascolare cronica, vasculopatia ostruttiva carotidea, aortosclerosi, arteriopatia obliterante carotidea, ipertensione, cardiopatia, diabete, colecistopatia, sindrome depressiva, eczema diffuso, ipertrofia prostatica benigna...". Per dirla alla romana Contrada "sta più di là che di qua". Ciò nonostante nessuno sembra avere pietà per questo vecchio che appare ormai destinato a morire in carcere. E infatti l’istanza di Lipera si chiude con tre domande, oramai desinate a essere definite "retoriche": "con queste patologie, a quell’età, con la sofferenza particolare connessa allo stato detentivo, quanto tempo ancora, ed in che condizioni, potrà vivere il dottor Contrada? È giusto tutto questo? Siamo o no in una situazione di trattamento contrario al senso di umanità?".

Roma: il carcere di Regina Coeli è antieconomico, in vendita?

 

www.radiocarcere.com, 31 gennaio 2008

 

Regina Coeli vendesi. È nel cuore di Trastevere. In Via della Lungara. I romani ci passano davanti e neanche si accorgono della sua esistenza. L’edificio nasce nel 1654. Nel 1900 diventa istituto di pena. Oggi ci sono rinchiusi 916 detenuti, divisi in 8 sezioni e in un centro clinico. Le celle sono sovraffollate, e contengono dai 4 ai 6 detenuti. Molti sono in attesa di giudizio. Per ristrutturare Regina Coeli, lo Stato ha speso 21 milioni di euro dal 1999 al 2003. Più 450 mila euro dati dalla Regione Lazio nel 2006.

Nonostante le ingenti somme spese, Regina Colei resta una struttura vecchia e inadeguata. Delle 8 sezioni solo tre sono state ristrutturate. Ma restano problemi che riguardano le tubature, l’impianto elettrico e il riscaldamento. La quarta e la quinta sezione sono chiuse per lavori. Nelle altre sezioni i detenuti vivono in uno stato di totale degrado. Le celle sono buie, sporche e in pessime condizioni. Gli intonaci cadono a pezzi, non c’è riscaldamento e l’umidità crea chiazze di muffa sulle pareti.

Regina Colei è un carcere degradato e costoso. Oltre ai soldi spesi, è un carcere che costa 14 milioni e mezzo di euro all’anno, solo di manutenzione. Più giusto ed economico venderlo. E con i soldi realizzati costruire due strutture penitenziarie. Una a sud di Roma e una al nord. Due strutture distinte. Una pensata per detenuti condannati e, l’altra, solo per chi è in misura cautelare. Un’operazione corretta dal punto di vista economico e di buon senso. Un’operazione da cui tutti, cittadini e detenuti, trarrebbero beneficio.

Bologna: un Pdl regionale sulla tutela dei diritti dei carcerati

 

Romagna Oggi, 31 gennaio 2008

 

La commissione "Politiche per la salute e politiche sociali", presieduta da Tiziano Tagliani, ha dato il via libera alla proposta di legge che prevede "Disposizioni per la tutela delle persone ristrette negli istituti penitenziari della regione Emilia-Romagna", presentato dai gruppi regionali Pd (primo firmatario e relatore Gianluca Borghi), Sd, Pdci, Idv, Sdi e Prc.

Approvati 12 emendamenti (presentati dallo stesso Borghi) che sono il risultato delle proposte e delle indicazioni pervenute alla commissione (nel corso di due udienze conoscitive) da parte delle associazioni di volontariato, dagli Enti locali e dalla Giunta.

"Il documento - ha detto il relatore Gianluca Borghi - si pone in piena continuità con la tradizione di impegno della Regione a favore delle persone private della libertà personale, intervenendo in tutti i settori che sono già stati oggetto di precedenti intese con lo Stato.

A questo proposito, il relatore ha ricordato "che l’attività della Regione, che dal 1995 al 2005 ha erogato risorse pari a 4,5 milioni di euro, si svolge in precisi ambiti: sportello informativo per detenuti ed attività di mediazione culturale in carcere, miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti, formazione dei detenuti e del personale, sostegno all’attività del volontariato in carcere, mediazione penale e giustizia riparativa, qualità del vitto e, soprattutto, sostegno alle madri detenute".

Il progetto di legge, che consta di 11 articoli, va quindi ad interessare settori come la tutela della salute, le attività socio educative, il sostegno alle donne detenute, l’istruzione e la formazione professionale dei detenuti e degli operatori penitenziari e la prestazione di attività lavorativa da parte dei detenuti, con interventi disciplinati nel pieno rispetto del riparto di competenze fra organi statali e locali, con una continua attenzione del ruolo svolto dalle associazioni di volontariato.

Tra gli articoli del progetto, si ricorda il primo che ne individua le finalità, stabilendo che la Regione si impegna a tutelare la dignità dei detenuti, nonché il recupero ed il reinserimento nella società dei detenuti stessi. Nel corso dell’esame dell’articolato, sono intervenuti: Donatella Bortolazzi (Pdci), Paolo Nanni (Idv), Gianni Varani (Fi), Massimo Piva e Gian Luca Rivi (Pd). In particolare, gli interventi hanno riguardato la figura del "Garante regionale", finalizzato a garantire, in conformità ai principi costituzionali e nell’ambito delle competenze regionali, i diritti delle persone presenti negli istituti penitenziari.

Lecce: "Senza Scarti", tirocini formativi per gli ex detenuti

 

www.iltaccoditalia.info, 31 gennaio 2008

 

Il programma "Senza scarti" prevede azioni mirate alla riqualificazione ed il reinserimento in società di soggetti deboli o svantaggiati.

L’obiettivo è facilitare l’inclusione sociale a soggetti solitamente svantaggiati come gli ex detenuti o i minori. Il Pit9 risponde a questa necessità mettendo in atto il programma "Senza scarti" che entra nel vivo con la pubblicazione di quattro avvisi pubblici per l’assegnazione di tirocini formativi e di orientamento nel mondo del lavoro.

Il programma "Senza scarti" interviene con azioni mirate ed incisive volte alla costruzione di iniziative che hanno come obiettivo la riqualificazione ed il reinserimento di soggetti che sono stati coinvolti dal mondo dell’illegalità, perdendo dunque i benefici derivanti dal vivere sociale. L’intero programma rientra negli intenti del Pit9 in quanto mira al rafforzamento dello sviluppo del territorio operando in collaborazione con gli Ambiti territoriali dei Piani Sociali di Zona del bacino di Casarano, Gagliano del Capo, Gallipoli, Maglie, Martano e Poggiardo, andando così a coprire ben 67 Comuni.

Una prima azione messa in atto nell’ambito di "Senza scarti" è dunque l’attivazione di tirocini di formazione e di orientamento volti all’inclusione sociale e lavorativa di ex detenuti, beneficiari dell’indulto o presi in carico dall’Ufficio esecuzione penale esterna (Uepe) minorenni in difficoltà, seguiti dall’Ufficio servizi sociali minorili (Ussm) o dai servizi sociali comunali ed infine di neo maggiorenni con procedimenti giudiziari in corso, presi in carico dall’Ussm.

I beneficiari saranno inseriti lavorativamente presso quelle imprese private, scuole, gruppi e imprese sociali o pubbliche amministrazioni che avranno manifestato la volontà di attivare i tirocini presso le proprie strutture, rispondendo a due dei quattro avvisi pubblicati lo scorso 29 gennaio dall’Ufficio Unico del Pit9.

Azioni queste, previste al fine di fornire un primo e temporaneo sostegno economico e lavorativo a persone che altrimenti risentono di oggettive difficoltà nel momento in cui tentano il reinserimento nella società, e che grazie a queste attività riacquisteranno quei benefici e quelle qualità che gli consentiranno di interfacciarsi con il mondo del lavoro in una condizione di "parità".

Così il sindaco di Casarano, Remigio Venuti commenta l’avvio del programma "Senza scarti": "L’azione che promuoviamo è particolarmente significativa, perché sono convinto che lo sviluppo di un territorio deve necessariamente far leva sul proprio capitale umano, una risorsa preziosissima. Per questo è indispensabile mettere in atto politiche di inclusione sociale necessarie non solo a recuperare quei soggetti che sono stati coinvolti dall’illegalità e che già hanno avviato un percorso di recupero, ma che abbiano allo stesso tempo l’obiettivo di diffondere una cultura fondata sulla legalità.

Nella ferma convinzione che per realizzare un complesso programma di sviluppo del nostro territorio sia necessario calibrare tutte le attività puntando ad un ‘tessuto umanò di qualità, è necessario attivare le iniziative che possano garantire a chiunque abbia la volontà di reinserirsi nella società, la concreta possibilità di sentirsi parte attiva e produttiva di una comunità. È molto importate quindi attivare percorsi di didattica e formazione ma sottolineo anche quanto sia fondamentale che la cultura dell’inclusione sociale sia il più diffusa possibile, perché a quei soggetti che desiderano il reinserimento nella società, deve necessariamente corrispondere una società che questa volontà di riaggregazione deve non soltanto manifestarla, ma accoglierla con favore.

Un passaggio che appare di fondamentale importanza nel momento in cui ci si rivolge ai minori, verso i quali abbiamo l’obbligo morale e civile di garantire l’inclusione nella società, ma anche e soprattutto la sicurezza da essa derivante, una sicurezza di cui noi tutti dobbiamo farci garanti". Gli avvisi sono stati pubblicati dall’Ufficio Unico del Pit9 lo scorso 29 gennaio e la scadenza per la presentazione delle istanze è prevista per l’11 febbraio prossimo.

Droghe: è schedatura di massa, 500mila gli italiani segnalati

di Giulio Manfredi (Segreteria dei Radicali Italiani)

 

Notiziario Aduc, 31 gennaio 2008

 

Capisco che le traversie giudiziarie di Lady Mastella o il delitto di Erba siano più eccitanti ma la notizia ufficiale (fonte Ministero degli Interni) che dal 1992 ad oggi ben mezzo milione di cittadini italiani sono stati segnalati alle Prefetture per detenzione di quantitativi minimi di sostanze stupefacenti mi pare degna di qualche considerazione e non del silenzio con cui è stata accolta.

Intanto, dobbiamo constatare che il sistema burocratico - repressivo messo in piedi da Rosa Russo Iervolino (all’epoca ministro degli Affari Sociali) e da Giuliano Vassalli (all’epoca ministro di Grazia e Giustizia) ha lavorato sodo; è un vero peccato che a farne le spese siano stati (siano e saranno) cittadini che, ricordiamolo, non hanno compiuto alcuna violenza nei confronti di altri, non hanno leso alcuna libertà o alcun bene altrui, ma volevano solamente ingerire, fumare, sniffare, iniettarsi sostanze che hanno dovuto procurarsi - tranne i pochi casi di autocoltivazione e scambio - nel mercato criminale creato dal proibizionismo.

In realtà, il sistema creato dalla legge "Iervolino - Vassalli" è servito a perseguitare i consumatori dei derivati della cannabis (l’80% delle segnalazioni), senza incidere minimamente sulle dimensioni del narcotraffico: rispetto alla situazione del 1992, oggi in Italia ci sono dieci volte più droghe e dieci volte più consumatori. Le narco-mafie ringraziano.

Se la mole di denaro e di strutture impegnata nel segnalare e nello schedare mezzo milione di italiani fosse stata utilizzata per informare correttamente tutti i cittadini sulle sostanze stupefacenti illegali e legali, sui pericoli alla salute derivanti dal loro uso e abuso, sicuramente il risultato in termini di salute personale e collettiva sarebbe stato migliore.

Droghe: le psicosi aumentano anche a causa della cannabis

 

Adnkronos, 31 gennaio 2008

 

Improvvisi e imprevedibili cambiamenti dell’umore, ansia, isolamento, problemi con il sonno e l’appetito. Sono diversi i sintomi che caratterizzano le psicosi, problemi di salute mentale che incidono pesantemente sulla vita di chi ne è colpito e dei familiari.

"Si calcola che il 4% degli italiani adulti soffra di disturbi bipolari, periodi ricorrenti di eccitazione eccessiva, di solito intervallati da depressione, mentre l’1% è vittima di schizofrenia. Le psicosi si manifestano raramente dopo i 40 anni, e sempre più spesso fanno la prima comparsa proprio nell’adolescenza", spiega all’Adnkronos Salute Alberto Siracusano, della cattedra di Psichiatria dell’Università di Roma Tor Vergata, a margine dell’incontro "Psicosi. Riconoscerla e affrontarla", organizzato a Milano da Astra Zeneca.

Non esiste una sola causa: molti fattori stressanti possono innescare un episodio psicotico in un persona vulnerabile. "Per esempio la fine di una relazione sentimentale, un lutto, la perdita del lavoro, ma anche l’abuso di sostanze. Negli ultimi anni sono in forte aumento i casi di ragazzi di 16-18 anni con segni di psicosi, specie del disturbo bipolare. Anche per via del consumo di sostanze stupefacenti, la cui diffusione facilita l’inizio dei problemi".

Secondo Siracusano il problema sta anche nel fatto "che le droghe attuali non sono paragonabili a quelle di un tempo: lo stesso spinello 20 anni fa era molto più leggero, dunque gli effetti sono diversi. La società sta esponendo i giovani a seri rischi, e il problema peggiorerà in futuro".

Ma come accorgersi se qualcosa non va? "Bisogna essere attenti ai segnali d’allarme: il ragazzo - spiega lo psichiatra - tende all’improvviso a isolarsi, dorme meno, non fa ma si affaccenda, cambia il suo comportamento a tavola e contemporaneamente cala il rendimento scolastico". Cosa fare? "Occorre uno sforzo da parte di famiglia, scuola e sanità, per favorire interventi precoci". Che non vuol dire etichettare un giovane, ma seguirne l’evoluzione, sostenendolo e aiutandolo.

E per gli adulti? "Inquadrare le psicosi non è facile, ma già due o tre anni prima dell’esordio vero e proprio si possono osservare sintomi di ansia e depressione, perdita dell’attenzione o calo dell’impegno lavorativo, ma anche disturbi della sfera sessuale o dell’appetito". La cattiva notizia è che, tra l’arrivo dei primi sintomi di psicosi e il contatto con lo specialista, passa circa un anno. Il recupero della persona è possibile, "a condizione però che si curi.

La moderna psichiatria clinica si basa su interventi educativi e psico-sociali per aiutare pazienti e famiglie, ma anche sull’impiego di terapie farmacologiche. Scrivere una ricetta però non basta. Bisogna saper ascoltare la sofferenze e tener conto delle persone in cura nella loro interezza".

Droghe: Radicali Milano; ripristinare macchine scambia-siringhe

 

Notiziario Aduc, 31 gennaio 2008

 

Dichiarazione di Nathalie Pisano e Virginia Fiume dell’Associazione Enzo Tortora - Radicali Milano: La proposta dell’Assessore Landi di rilanciare il "kit antidroga" per le famiglie è inutile e propagandistica, peggiore ancora della precedente proposta dell’ex-assessore De Albertis. Non ha insegnato nulla al nostro assessore il precedente di Crema, dove in due mesi sono stati ritirati in farmacia solamente 73 kit gratuiti sui 1.600 disponibili.

I giovani non hanno bisogno né dei cani antidroga fuori dalle scuole, né dei kit antidroga quando ritornano a casa. È paradossale che il vice sindaco De Corato si dimostri allarmato per il pesante ritorno dell’eroina, dimostrato dai sequestri della sostanza come quello avvenuto ieri: 91 kg di eroina purissima, che non fa che aumentare i rischi di overdose. È grave che in un contesto come quello milanese accada che venga interrotto uno dei servizi minimi di riduzione del danno: le macchinette scambia.siringhe. Il Sindaco ha bloccato i finanziamenti da settembre. Gli scambia.siringhe erogavano 70.000 pezzi all’anno… e nel frattempo è aumentato enormemente l’utilizzo di cocaina per via endovenosa, con uso compulsivo (anche 20 iniezioni al giorno!).

È per questo che l’ "Associazione Enzo Tortora - Radicali Milano" ha iniziato la raccolta firme su una petizione popolare per richiedere la riattivazione degli scambia-siringhe. La petizione è stata sottoscritta sia da Don Ciotti (fondatore Gruppo Abele) sia da Pat O Hare (direttore dell’Associazione Internazionale di Riduzione del Danno).

Il Sindaco Moratti è responsabile della salute pubblica dei suoi amministrati, di tutti, nessuno escluso. Disinteressarsi alla riduzione del danno, negarne addirittura l’utilità e nel frattempo lanciare accorati allarmi e generici proclami contro la droga è un vero e proprio atto di irresponsabilità. Invitiamo tutti i cittadini a venire a firmare la petizione sugli scambia-siringhe sabato mattina al mercato di Viale Papiniano, dalle 10.00 alle 13.00. Invitiamo i vari comitati di quartiere a farsi promotori a loro volta della raccolta firme.

Russia: Khodorkovsky in sciopero fame per difesa detenuto

 

Asca, 31 gennaio 2008

 

È in sciopero della fame Mikhail Khodorkovsky, l’ex magnate petrolifero divenuto acerrimo avversario politico del presidente russo Vladimir Putin e condannato a nove anni di reclusione per evasione fiscale, truffa e altri reati, pena che sta scontando a lavori forzati in un penitenziario siberiano. Lo hanno denunciato due dei legali dello stesso Khodorkovsky, Robert Amterdam e Yury Schmidt, secondo cui il loro assistito ha deciso di astenersi dal cibo per protestare contro i maltrattamenti e la mancata assistenza ai danni di un altro detenuto eccellente, Vasily Aleksanyan, già suo socio quando ancora era alla guida del colosso energetico Yukos, del quale Aleksanyan era all’epoca vice presidente. Quest’ultimo, rinchiuso in un carcere di Mosca, è malato di Aids ma la Corte Suprema di Russia gli ha negato gli arresti domiciliari o persino il ricovero all’ospedale, e rischia di morire in prigionia giacché gli sarebbe negata la necessaria terapia.

 

 

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