|
Caserta: suicidio all’Opg di Aversa, è il quinto in 14 mesi
Caserta Oggi, 30 gennaio 2008
Un detenuto ricoverato all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario si è tolto la vita impiccandosi alla grata della finestra. Un gesto disperato quello del poveretto, un gesto dettato dallo smarrimento di un momento. Si tratta di giovane salernitano, Vincenzo Romano, nato a Siano (Sa) il 6 luglio del 1973. Attualmente l’uomo era detenuto presso l’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, ritenuto instabile anche se non pericoloso, il poveretto che soffriva di disturbi mentali, soffriva della sua condizione di detenuto e, non potendo fare altro, ha deciso che mettere fine alla propria vita fosse il gesto migliore che potesse fare. Il corpo è stato trovato dal personale sanitario che era entrato nella camera per espletare le proprie funzioni alle 11.30 di ieri mattina. Lo sfortunato, approfittando dei momenti di calma e del fatto che non c’era personale che potesse disturbare, ha afferrato il lenzuolo, ha usato una estremità come cappio e l’altra l’ha attaccata alla grata della finestra, così si è lasciato andare giù fino a soffocare completamente, la morte è sopraggiunta dopo pochi secondi. Nella stanza erano ricoverati altri pazienti che non si accorgevano di quello che stava accadendo. La sua storia è una storia di miseria e povertà, di abbandono familiare, la sofferenza di sentirsi ignorato ed abbandonati a sé stessi, al proprio misero destino. Vincenzo fu inizialmente arrestato per un reato non grave: resistenza al pubblico ufficiale e lesioni e percosse. Poi ebbe la pena da non detentiva da scontare a casa con l’obbligo di firma, ma lui trasgredì tutti gli obblighi ed il giudice dovette dargli delle misure di sicurezza più drastica e trasformare la libertà vigilata a pena detentiva. Con il tempo, rinchiuso nel carcere aversano, il poveretto si è reso conto di essere solo ed abbandonato dalle persone più care: la sua famiglia. Non aveva soldi per pagare l’avvocato che avrebbe dovuto difenderlo, ormai si sentiva perso. Queste sono le motivazioni per cui l’uomo è arrivato a farla finita con la sua vita, che ormai pensava priva di significato, priva d’amore, a questo si aggiungeva la sua malattia, un mix che ha fatto esplodere la mente del poveretto. Tra il personale sanitario dell’ospedale psichiatrico ieri regnava una tristezza incredibile, in fondo sono loro che conoscono la storia e la vivono con loro ogni giorno. L’ispettore Nicola Picone è stato chiaro nell’esprimere le sue pene per questo detenuto e quanti altri prima di lui hanno commesso lo stesso gesto. "A noi dispiace quando succedono queste cose, noi siamo persone che dedichiamo il nostro lavoro per loro, per farli vivere con dignità, sono esseri umani. Quando si entra in questo ambiente però, si viene lasciati spesso soli, abbandonati. Purtroppo non è il primo caso che ci capita, combattiamo con i tentativi di suicidio tutti i giorni, capita che prima o poi qualcuno riesca a portare a termine l’insano gesto". Vincenzo aveva trentacinque anni, ancora giovane, non sarebbe rimasto a lungo in quel posto, ma ora non tornerà nemmeno mai più a casa. Il suo corpo è stato trasferito nel reparto di medicina legale dell’ospedale civile San Sebastiano e Sant’Anna di Caserta a disposizione dell’autorità giudiziaria, su disposizione del sostituto procuratore di turno alla Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, dott. Landolfi, che ne ha chiesto la visita autoptica per ogni chiarimento sulle cause del decesso del povero sfortunato.
All’Opg di Aversa 5 suicidi negli ultimi 14 mesi
Un uomo di 34 anni, F.R., internato nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, si è tolto la vita, ieri pomeriggio. L’uomo era presente nella struttura da circa un anno, con l’accusa di oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. Lo rende noto l’Associazione Antigone Campania. "Questo è il quinto suicidio nell’Opg di Aversa - ha dichiarato Dario Stefano Dell’Aquila, portavoce dell’associazione - nel corso di 14 mesi. Solo venti giorni fa un internato si era tolto la vita in maniera analoga, mentre ad ottobre si è registrato un tentato suicidio. Complessivamente, tra suicidi e improvvisi decessi, contiamo 9 morti in poco più di un anno. Riteniamo indispensabile che si chiariscano le dinamiche di queste morti e che ci si attivi, a livello politico ed istituzionale, per garantire, in attesa di una riforma che chiuda i manicomi giudiziari, degne condizioni di vita per gli internati in Opg".
Associazione Antigone Campania Roma: muore detenuto rom 40enne, era tossicodipendente
Ristretti Orizzonti, 30 gennaio 2008
Ieri un detenuto di origine rom e di nazionalità classificata come ex jugoslava di 40 anni è morto a Regina Coeli alle ore 21.30 di ieri sera per arresto circolatorio. Quando si è sentito male è stato subito assistito ma il medico non ha potuto fare nulla per salvarlo. Si trovava a Regina Coeli incriminato per furto e per reati legati alla sua tossicodipendenza. Nei mesi scorsi aveva potuto usufruire, per superare l’astinenza alla droga, del trattamento metadonico a scalare. Il trattamento si era concluso da tempo e il detenuto era curato con psicofarmaci. Sono in corso indagini della magistratura, c’è da sperare che l’esame autoptico possa accertare la causa dell’arresto circolatorio. Questo ulteriore episodio ripropone tuttavia indipendentemente dai risultati della autopsia e dalle indagini giudiziarie il problema delle condizioni e del trattamento dei tossicodipendenti in carcere. Il carcere non è infatti il luogo più adatto per la cura delle tossicodipendenze come riconosce la stessa legge Fini-Giovanardi, che almeno a parole privilegia il ricorso alla misura alternativa dell’affidamento alle comunità terapeutiche.
Il Garante dei detenuti di Roma, Gianfranco Spadaccia
Detenuto serbo di 40 anni muore nella sua
cella di Regina Coeli Un
detenuto nomade di origine serba di 40 anni, Mija D., è morto, per cause ancora
da accertare, all’interno della sua cella del carcere romano di Regina Coeli.
L’episodio, reso noto dal Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo
Marroni, è avvenuto nella serata di ieri. Secondo
le informazioni raccolte dal Garante, alle 21.30 di ieri sera l’uomo - recluso
in una delle celle della II Sezione del carcere romano, dedicata ai
tossicodipendenti - si è sentito male. A nulla sono valsi i tentativi degli
agenti di polizia penitenziaria, allertati dagli altri due compagni di cella
della vittima, di rianimarlo. Mija
D., che risultava essere residente nel campo nomadi di Villa Gordiani, era
arrivato a Regina Coeli ad agosto 2007 su ordine di custodia cautelare spiccato
dal Gip di Rieti, che lo accusava di alcuni furti in appartamenti commessi nella
zona reatina. Risultato tossicodipendente, lo scorso mese di ottobre aveva
smesso di assumere metadone. La salma è stata messa a disposizione
dell’autorità giudiziaria, che ha disposto l’autopsia per accertare le
cause della morte. Nel pomeriggio di ieri, poco prima della crisi fatale,
l’uomo aveva avuto un ultimo colloquio con i suoi familiari. “Auspico che la
magistratura faccia, in tempi brevi, piena luce su questa vicenda” - ha detto
il Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni. "Quale che
siano le cause della morte di quest’uomo, resta tuttavia un dato di fondo
inequivocabile: sono ancora tanti, troppi, i decessi che avvengono in carcere. E
con il mancato trasferimento delle competenze della medicina penitenza alle Asl,
quello alla salute resta uno dei diritti più discriminati dietro le sbarre". Il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni Giustizia: sanità in carcere, la riforma è alla stretta finale di Stefano Anastasia (Associazione Antigone)
Fuoriluogo, 30 gennaio 2008
La sanità alla sanità, la giustizia alla giustizia. Per far valere questa lapalissiana attribuzione di competenze ci sono voluti dieci anni, ma finalmente - pare - ci siamo arrivati. Ricordiamone i precedenti: nel 1998 la riforma del Servizio sanitario nazionale targata Bindi, che prevede - tra l’altro - il passaggio di competenze nell’assistenza sanitaria ai detenuti e agli internati dal Ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale; nel 1999 il decreto legislativo 230 che, conseguentemente, dispone il riordino della medicina penitenziaria, subordinandolo però a una sperimentazione che si protrarrà stancamente fino al 2002. Poi, più nulla: durante il lungo inverno berlusconiano, sotto il giogo del leghista Castelli, il Ministero della giustizia è tornato a coltivare una vocazione autarchica, con l’assistenza sanitaria ai detenuti prestata sempre più fiaccamente dalla medicina penitenziaria, progressivamente spogliata di risorse. Con il ritorno al governo del centrosinistra, si è potuto riprendere quel cammino, destinato ad affermare la portata universalistica del diritto alla salute attraverso il suo pieno riconoscimento ai detenuti e agli internati. Su iniziativa del governo, la Finanziaria prevede la completa attuazione del passaggio di competenze nell’assistenza sanitaria ai detenuti e agli internati negli Istituti penitenziari e negli Ospedali psichiatrici giudiziari, nei Centri di prima accoglienza, nelle Comunità e negli Istituti per i minori. Entro il prossimo marzo un decreto governativo disporrà il trasferimento delle funzioni, del personale, delle attrezzature e delle risorse finanziarie fino ad oggi gestite dal Ministero della giustizia. Una grande riforma. Qualcuno dice, la più grande che investa il nostro sistema penitenziario dai tempi della Gozzini. Forse. Certo è che non solo si afferma l’universalità del diritto alla salute, ma si spinge l’apertura delle strutture penitenziarie fin dove non era mai arrivata. Per un aspetto delicatissimo delle sue implicazioni, la privazione della libertà è sottratta alla competenza del Ministero della giustizia: la tutela della salute dei detenuti e degli internati, il loro benessere psico-fisico, secondo la canonica definizione dell’Organizzazione mondiale della sanità, non dipende più da chi ha la responsabilità di eseguire i provvedimenti giudiziari, ma da altre amministrazioni pubbliche. Non è detto che questo trasferimento di competenze dia subito e sull’intero territorio nazionale il risultato auspicato, di un miglioramento effettivo delle condizioni di assistenza. Occorrerà, perché ciò sia, un impegno straordinario delle amministrazioni competenti e della società civile organizzata. Ma se dovesse funzionare, il sistema penitenziario ne risulterà trasformato, la sua autosufficienza (un vero e proprio dogma del potere coercitivo) sorpassata. Dalla apertura del carcere al territorio, che ha segnato la riforma e la prima costituzionalizzazione del sistema penitenziario italiano, invece di regredire verso lo splendido isolamento dei modelli meramente contenitivi di tipo statunitense, potremmo arrivare a una nuova corresponsabilità istituzionale nella esecuzione delle pene, in cui le Regioni e gli enti locali possano farsi carico fino in fondo dei bisogni della popolazione detenuta. Anche questo c’è, nella sfida di una sanità penitenziaria riformata. Stefano Anastasia Giustizia: Rita Borsellino; la politica e il senso della vergogna Intervista di Saverio Lodato
L’Unità, 30 gennaio 2008
Il Sud sta diventando un gigantesco verminaio. L’ultimo blitz in Calabria non rientra più nella tradizionale casistica dei blitz per mafia e politica che con puntuale cadenza si susseguono da anni nelle regioni del Meridione. Non sono solo più in gioco nomine e raccomandazioni, clientele e semplice voto di scambio e mortificazione della meritocrazia. Questa volta si scopre che quel modo osceno di intendere il rapporto fra mafia e politica provocava l’abbandono irresponsabile di anziani pazienti nella lussuosissima clinica dell’Onorevole, e agonie che non determinavano mai l’intervento di un medico; era causa principale di decessi, a volte favoriti da medici e infermieri spietati e corrotti; certificazioni e diagnosi false, spostamento di cadaveri in altre strutture ospedaliere fingendo che il paziente fosse ancora vivo. Per non parlare dell’emergenza rifiuti in Campania, dove in tanti, accecati dalla ghiotta possibilità di una miserevole strumentalizzazione politica di corto respiro, trovano normalissimo inserire, in coda al discorso, quel piccolissimo codicillo sui "grandi interessi della camorra" in materia di spazzatura. Comunque sia, è la legge inesorabile del sistema di potere politico mafioso che ormai sembra travolgere le pie intenzioni di chi crede ancora che un pizzico di etica in politica, da qualche parte, dovrebbe pur essere. Sud verminaio. Sud pattumiera. Sud in cui la politica ha perduto qualsiasi senso della misura. Sud non tutto uguale, certo: che il caso di Villa Anya, di proprietà dell’Onorevole Domenico Crea, è ancora, miracolosamente, un caso limite. A confronto della Calabria di oggi, la Sicilia sembra la Svizzera. Ma in questa Svizzera, entro novanta giorni, si toma a votare, perché un governatore eletto a furor di popolo è stato costretto a dimettersi per una condanna a 5 anni, e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Rita Borsellino, alla quale i siciliani, un anno e mezzo fa, preferirono proprio Totò Cuffaro, guarda a questo Sud con amarezza e preoccupazione.
Rita, in questo Sud si è perduto il senso della vergogna? "Credo si sia perduto il senso della misura. Forse non si sa più da quale punto in avanti occorre iniziare a vergognarsi. Credo che alla Calabria, in questi anni, rispetto alla Sicilia, sia mancata quella presa di coscienza, quella assunzione di responsabilità che da noi avvenne dopo le stragi del 1992. E che portò tanti, soprattutto giovani, a guardare in maniera nuova alla realtà nella quale vivevano. Questo fenomeno di massa in Calabria si è verificato in misura assai minore. Certamente in tempi molto più recenti, all’indomani infatti dell’uccisione di Francesco Fortugno. E purtroppo devo notare che attorno al movimento giovanile "Ammazzateci tutti", non si coglie quell’attenzione e quella condivisione che si ebbe in Sicilia, nonostante difficilissime condizioni".
Parliamo di questa Sicilia che al confronto della Calabria sembrerebbe quasi una Svizzera. Che ne pensi del fatto che Cuffaro in un primo momento aveva pensato di potar restare al suo posto come se non fosse accaduto nulla? "Credo che siano proprio le differenti condizioni che si sono verificate in Sicilia, e di cui parlavo prima, che hanno costretto il presidente Cuffaro a prendere atto della situazione, dimettendosi. Una Sicilia che sta vivendo una rivolta morale come quella degli imprenditori e dei commercianti che denunciano i loro taglieggiatori; dove i vertici, prima siciliani e poi nazionali, della Confindustria si sono finalmente schierati; dove le forze dell’ordine stanno infliggendo duri colpi a Cosa Nostra; non avrebbe potuto accettare la permanenza in carica di un presidente condannato seppure in primo grado. Si sta verificando quasi un paradosso..."
Quale? "Il paradosso sta nel fatto che una parte significativa della società chiede alla politica di assumersi le sue responsabilità e di fare finalmente scelte etiche. Dovrebbe essere il contrario: dovrebbe essere cioè la politica a farsi parte dirigente, a far da esempio. Purtroppo non è accaduto quasi mai".
Secondo la relazione annuale della Dna, si assiste Intanto a un’estensione preoccupante della "zona grigia", in altre parole proprio di quel sistema di potere politico mafioso che fa del voto di scambio la sua leva principale. Che ne pensi? "È un’analisi chiara e preoccupante, specchio di una realtà che i siciliani conoscono molto bene e con la quale sono costretti a misurarsi quotidianamente".
Cuffaro si era appena dimesso che i vertici nazionali del suo partito, l’Udc, lo candidavano in pompa magna al Senato, anche in vista di una possibile immunità parlamentare. Non ti sembra il gioco del bussolotti? "È il perpetuarsi di un meccanismo politico consolidato che ha completamente perso di vista il ruolo della politica. La politica dovrebbe essere servizio alla società, diventa invece nient’altro che l’esaltazione di un privilegio personale".
Quando a Sala d’Erede, sede dell’Assemblea regionale siciliana, venne respinta la mozione di sfiducia firmata da tutta l’opposizione il centro destra obiettò: e se alla fine Cuffaro fosse assolto, non saremmo forse responsabili di avere interrotto una carriera politica? Non è un curioso modo di ragionare? "Che la presunzione di innocenza sia un diritto sancito dalla Costituzione, non c’è dubbio. Ma qui non stiamo parlando di un cittadino qualunque, ma del presidente della regione. In questo caso i siciliani sarebbero stati comunque governati da un colpevole di favoreggiamento. Il problema resta sempre lo stesso: il politico ha o no il dovere di essere sempre al di sopra di ogni sospetto? Nell’Italia di oggi sembrerebbe di no".
Come finiranno questo elezioni siciliane? "Bella domanda. Mi auguro, e spero che oggi, a differenza di appena un anno e mezzo fa, i siciliani siano più maturi, e quindi più liberi di deridere. Decidere non in maniera emozionale, ma sui programmi per il futuro della Sicilia". Caltanissetta: a Villalba un carcere da 9 miliardi mai aperto
La Sicilia, 30 gennaio 2008
Entro l’anno in corso saranno aperte in Sicilia tre nuove carceri per ospitare, complessivamente, 360 detenuti. Una delle tre strutture carcerarie è quella di Gela; le altre sono quelle di Noto e Barcellona Pozzo di Gotto. L’annuncio è stato dato dal provveditore per la Sicilia dell’amministrazione penitenziaria regionale Orazio Faramo. Ad aprile sarà aperta la casa carceraria di Noto, a settembre-ottobre quella di Barcellona Pozzo di Gotto e verso la fine dell’anno quell’altra di Gela per la quale il provveditore Faramo ha detto: "Questo termine dipende dal Comune di Gela; appena l’avremo acquisita (ancora il Comune formalmente non ce l’ha data), la trasformeremo in casa circondariale con un centinaio di posti letto". C’è quindi da aspettare ancora quasi un anno per l’apertura della casa circondariale di Gela dopo che lo scorso anno venne inaugurata dall’allora ministro Clemente Mastella per essere chiusa subito dopo. Saranno aperte nuove carceri, ma non quello di Villalba che continua a rimanere chiuso senza sapere se sarà mai un giorno utilizzato e per cosa. Del carcere di Villalba non si parla nemmeno; non se ne parla anche se le altre carceri sono sovraffollate e c’è necessità di posti per i carcerati. Sono stati 9 miliardi di lire (tanto è costata la sua costruzione) spesi invano, perché non è stato mai utilizzato dai primi anni Novanta quando fu realizzato. Ora è in uno stato di abbandono completo con le pecore che pascolano nel cortile interno e gli uccelli che svolazzano e nidificano nei locali con le aperture ormai inesistenti. Proprio nei giorni scorsi Marcello Vara "un cittadino di Caltanissetta particolarmente affezionato alle sorti della propria provincia di residenza", come si è presentato, ha scritto a "Striscia la notizia" per "segnalare la scandalosa vicenda riguardante la struttura carceraria sita nel Comune di Villalba in provincia di Caltanissetta". Marcello Vara ha spiegato che "Villalba è un piccolissimo paese sito al centro della Sicilia con una percentuale di disoccupazione altissima, forse la più elevata all’interno dell’Unione Europea, dove negli anni Novanta è stata inaugurata una struttura carceraria dalle caratteristiche innovative che avrebbe dovuto dare un po’ di ossigeno alla situazione lavorativa di quel piccolo centro". Ha quindi affermato che "nonostante la precaria situazione carceraria italiana, questa importante struttura è stata chiusa e si trova attualmente nel più completo abbandono, meta anche del pascolo di ovini" e ha riferito che "successivamente questa struttura fu affidata ad una comunità per tossicodipendenti, ma recentemente è stata riconsegnata al Comune di Villalba". "Io - ha scritto Marcello Vara - come cittadino di questa provincia, sono disgustato e provo rancore per tutti quei giovani disoccupati che avrebbero potuto avere una possibilità di lavoro che attualmente manca loro; penso, inoltre, che se la situazione carceraria in Italia è drammatica, dovrebbero essere sfruttate meglio queste "opere incompiute" invece di avviare inutili indulti ed amnistie". Ha quindi concluso chiedendo "l’interessamento dell’ammirabile redazione di "Striscia la notizia" e mi rendo completamente disponibile per eventuali chiarimenti". La nota trasmissione televisiva già in passato si è occupata della struttura carceraria, lo fece in occasione di una iniziativa provocatoria avanzata dal sindaco Eugenio Zoda che voleva aprire le celle, a titolo gratuito, ad un eventuale turismo tipo bed and breakfast. Ma non se ne fece nulla. Padova: la "psicosi dell’insicurezza" e le prossime elezioni...
Il Mattino di Padova, 30 gennaio 2008
Le elezioni si vincono promettendo il taglio delle tasse (prerogativa inesistente per un sindaco, Ici e addizionale Irpef a parte) e con il controllo della sicurezza, materia che il centrosinistra ha sempre delegato alla destra e alla Lega. Ecco perché il sondaggio Swg su Padova è considerato dai dirigenti nazionali del Pd un termometro vero per capire i mutamenti sociali più profondi. Il verdetto è impietoso: solo il 19 per cento considera Padova una città sicura, mentre il 58% ha il giudizio opposto. Una vera psicosi che prescinde dal numero di reati consumati o dalle esperienze dirette degli interpellati. Magari non sono mai stati borseggiati o scippati, magari non hanno mai subito nemmeno il furto di una bici ma hanno paura e si sentono terribilmente "insicuri". Dopo aver sperimentato la solidarietà e l’accoglienza, dopo aver garantito servizi agli immigrati, cala il sipario sulla stagione del "buonismo". Se ne sono accorti i romeni, costretti a rientrare a casa in fretta e furia a novembre sull’onda del decreto di espulsione degli stranieri Ue e dell’offensiva, spesso razzista, dei sindaci della Lega che hanno applicato i tetti di reddito della direttiva Ue recepita in ritardo dal ministro Amato. Che significa città-insicura? Che le forze dell’ordine non sanno più contrastare il crimine, oppure che ogni rione pensa di alzare un "muro" per difendersi dagli spacciatori di droga e pretende una volante della polizia sotto casa giorno e notte? Le risposte vanno cercate nelle azioni amministrative che la giunta Zanonato ha messo in atto. E così lo sgombero del ghetto di via Anelli è condiviso dal 74% del campione. Un consenso decisamente superiore a quello fatto registrare, appena un mese fa, da un altro sondaggio effettuato da Panel Data, secondo cui lo svuotamento del ghetto di via Anelli ha solo trasferito altrove lo spaccio della droga. Chi ha ragione? Swg o Panel Data? Saranno le elezioni tra un anno a decretare il vero vincitore. Intanto, c’è da registrare che per il 45% degli interpellati l’immigrazione avrà delle conseguenze negative e solo il 28% si sente rassicurato dal Melting Pot inarrestabile su scala planetaria. È la rivincita del localismo, la difesa strenua della propria identità in un momento di recessione che incute paura e frena ogni cambiamento a determinare la fine del "buonismo" verso l’immigrato nel Nordest dei miracoli. Immigrazione: la sicurezza tra primi problemi degli italiani
Redattore Sociale, 30 gennaio 2008
Risultati e commenti sul sondaggio di Eurobarometro. Secondo la maggioranza relativa degli italiani, per rafforzare la propria immagine l’Unione europea nei prossimi anni dovrebbe focalizzare la sua attenzione primariamente sull’immigrazione e sulla sicurezza. Non sorprende che la richiesta di maggiori interventi in queste materie venga dalle categorie tendenzialmente più vulnerabili della popolazione, e in particolare donne e anziani. Oltre ad essere considerate come politiche chiave per migliorare l’immagine dell’Ue, immigrazione e soprattutto sicurezza sono anche tra i principali grattacapi degli italiani. Per farvi fronte, il campione sostiene in netta maggioranza un approccio europeo. "È significativo però che nelle Isole si registri la minore percentuale di intervistati favorevoli ad un accresciuto ruolo europeo in materia di sicurezza". Nonostante la prevalenza di giudizi positivi per una gestione Ue di sicurezza e immigrazione, aumentano i critici dell’operato dell’Europa. Gli intervistati che giudicano positivo il ruolo dell’Ue nella lotta al crimine sono passati dal 45% al 34%. In materia di immigrazione, i critici e gli indifferenti hanno superato i favorevoli. Ora il 34% non vede un ruolo né positivo né negativo dell’Ue nella gestione dei flussi migratori, il 30% vi vede un ruolo negativo, e soltanto il 25% valuta positiva l’azione europea. Immigrazione: Msf; lavoratori stagionali, una vita d’inferno...
Redattore Sociale, 30 gennaio 2008
Medici senza Frontiere ha scelto di passare… "Una stagione all’inferno". L’organizzazione ha scelto questo titolo per la sua indagine sulle condizioni di vita, lavoro e salute dei lavoratori stagionali nelle campagne del sud Italia. Con il rapporto Msf intende denunciare "quest’inaccettabile stato di cose che lede la dignità dei migranti e tutelare un diritto fondamentale, quello dell’accesso alla salute". E raffrontare la situazione attuale con quella trovata con una simile indagine nel 2004. "Pur di lavorare - afferma Msf - queste persone accettano paghe da fame e sono costrette a condizioni di povertà ed esclusione estreme. Nel complesso fenomeno dell’immigrazione in Italia, la condizione degli stagionali resta dunque un nervo scoperto ipocritamente nascosto". Per Msf, "i sindaci, le forze di Stato, gli ispettorati del lavoro, le associazioni di categoria e di tutela, i ministeri: tutti sanno e tutti tacciono. L’utilizzo di forza lavoro a basso costo, il reclutamento in nero, la negazione di condizioni di vita decenti, il mancato accesso alle cure mediche sono aspetti ben noti e tollerati". Ma vediamo i risultati dell’indagine, condotta da luglio a novembre 2007 da un’equipe itinerante. Msf ha visitato 643 immigrati e somministrato 600 questionari. La popolazione di riferimento è stata stimata in diverse migliaia di stranieri impiegati nei campi e nelle serre in diverse località del sud Italia. Gli intervistati sono nelle quasi totalità uomini (97%) giovani, la cui età è compresa tra i 20 e i 40 anni (84%). Le donne rappresentano appena il 3% del campione e sono principalmente cittadine di paesi neo comunitari quali Bulgaria e Romania. Gli stranieri visitati e intervistati provengono: da paesi dell’Africa sub-sahariana quali Sudan, Eritrea, Etiopia;dai paesi del Magreb quali Marocco, Algeria, Tunisia ed Egitto; dal sud est asiatico, in particolare dall’India; dai paesi dell’Unione Europea, cittadini bulgari e rumeni di etnia rom. Infine lo status giuridico: il 72% degli intervistati non ha un regolare permesso di soggiorno mentre il 28% ha un permesso di soggiorno per motivi di lavoro, motivi umanitari, ha ottenuto lo status di rifugiato o ha presentato richiesta di asilo. Inoltre, il 66,5% degli intervistati ha dichiarato di trovarsi nel luogo della visita di Msf da meno di 4 mesi. "Un dato - afferma Msf - che evidenzia il carattere di stagionalità per quei migranti che si spostano seguendo i periodi di raccolta. Nelle località di Eboli e Battipaglia in Campania e di Latina nel Lazio si registra invece una popolazione più stanziale che riferisce di vivere e lavorare in quelle aree da più di 12 mesi". Ma Msf, a fronte dell’indagine, avanza anche delle considerazioni ritenute utili per affrontare nell’immediato le situazioni. "Nonostante il cambiamento del panorama politico e le reiterate promesse da parte delle istituzioni nazionali e regionali - afferma -, non abbiamo potuto riscontrare cambiamenti sostanziali nelle inaccettabili condizioni degli stranieri stagionali. Appare dunque evidente che i meccanismi fino ad oggi approntati per regolamentare i flussi migratori, basati sull’incontro a distanza tra domanda e offerta di lavoro, contribuiscono a generare irregolarità". "Di fatto - continua - gli stranieri che entrano in Italia attraverso questa procedura coprono solo in parte le richieste di manodopera stagionale. Nelle Regioni del Sud Italia dove è stata condotta l’indagine i datori di lavoro reclutano, prevalentemente, stranieri già presenti sul territorio in modo irregolare o migranti che hanno presentato richiesta di asilo e non hanno trovato adeguata accoglienza sul territorio". Per il superamento di questa situazione Msf chiede alle istituzioni locali di "garantire, nelle aree interessate dalla presenza di lavoratori stagionali, condizioni minime di accoglienza a tutti gli immigrati impiegati nelle produzioni agricole. Inoltre a causa delle condizioni di marginalità ed esclusione sociale in cui gli stagionali vivono e nonostante le garanzie riconosciute dalla legge, queste persone non riescono ad accedere ai servizi sanitari. Ciò è determinato sia dalla mancanza di servizi di informazione rivolti agli immigrati, sia dalla carenza di ambulatori di primo livello dedicati agli stranieri irregolari". Pertanto Msf auspica che "il Servizio Sanitario Nazionale ottemperi alla legislazione vigente garantendo adeguate informazioni agli stranieri presenti sul territorio italiano in merito al loro diritto alla salute e che fornisca adeguate risposte sanitarie nelle aree interessate dalla presenza di lavoratori stagionali mediante l’istituzione di ambulatori dedicati e di servizi di mediazione culturale. Droghe: Radicali; attivare distribuzione controllata di eroina
Notiziario Aduc, 30 gennaio 2008
Pubblichiamo la lettera inviata da Radicali Italiani al ministro della Salute Livia Turco e al ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero. Mentre scriviamo questa lettera, è appena iniziata la crisi di governo, i cui esiti sono, almeno a noi, imprevedibili. Riteniamo, però, che finché i ministri del governo Prodi rimarranno in carica, sia necessario ed urgente interloquire con loro per cercare di ottenere piccoli passi in avanti sulle questioni sul tappeto. Una di queste concerne la cura dei cittadini tossicodipendenti, anche se il termine più adatto, non spregiativo, sarebbe quello di "cittadini farmacodipendenti", dipendenti da quel farmaco che fu chiamato "eroina", oltre cent’anni fa, dalla ditta produttrice, la Bayer, perché era ritenuto il migliore fra tutti i farmaci; un esempio illuminante di come la percezione delle cose muta con l’andare del tempo! Della cura dei cittadini farmacodipendenti parla la mozione particolare approvata dal Congresso di Radicali Italiani di Padova, che trovate allegata (Allegato 1). Ma della cura dei cittadini farmacodipendenti ha parlato e, soprattutto, scritto il Ministro della Salute nella sua lettera del 12 novembre 2007 al sindaco di Torino, Sergio Chiamparino. In tale missiva il ministro esprime, innanzitutto, un parere sfavorevole all’istituzione delle cosiddette "narco-sale". Qui non vogliamo trattare tale questione; ci permettiamo di richiamare semplicemente alla vostra attenzione quanto esposto in modo esauriente dai promotori della petizione per una narco-sala a Torino nelle due lettere indirizzate al Ministro della Salute e al Ministro della Solidarietà Sociale e rimaste, a quanto ci risulta, ancora senza risposta. Ci interessa, invece, sottolineare il seguente passaggio della lettera citata del Ministro della Salute: "Ritengo senz’altro più utile, sotto il profilo sanitario, una sperimentazione - certo più ardua e complessa ma anche ben più significativa - che affidi a personale sanitario specializzato il compito di consegnare in modo controllato l’eroina e poi assistere e monitorare nel tempo il tossicodipendente. L’impatto di questa soluzione sulla normativa vigente, peraltro, è assai più pesante, a cominciare dalla individuazione delle modalità con cui la struttura sanitaria viene a disporre della sostanza stupefacente. Ma credo che l’importanza della posta in gioco giustifichi un forte impegno da parte delle istituzioni. Per procedere concretamente sul terreno della fattibilità, si potrebbe istituire un gruppo di lavoro misto fra i tecnici del Ministero e quelli del Comune di Torino e della Regione, che, anche con il sostegno tecnico dell’Istituto Superiore di Sanità, possa, dopo aver approfondito le esperienze straniere, individuare le linee essenziali di una possibile proposta di disciplina della sperimentazione, da sottoporre al legislatore. Se sei d’accordo con quanto ti ho ora prospettato, ti prego di farmi conoscere i nominativi degli esperti che potranno partecipare ai lavori ministeriali, per consentirne l’avvio immediato". Non ci risulta che il sindaco Chiamparino abbia indicato al Ministro della Salute i nominativi degli esperti in materia. Ci risulta, invece, che il Consiglio Comunale di Torino, nella seduta del 14 gennaio scorso, abbia approvato una mozione (Allegato 4), con la quale si "impegna il Sindaco e la Giunta a sollecitare: il Ministero della Salute a dare seguito all’impegno assunto con lettera del 12 novembre 2007, costituendo il gruppo di lavoro nella medesima richiamato, e coordinando tale gruppo con il Ministero della Solidarietà Sociale (anche) al fine: a) di compiere una approfondita valutazione dei risultati che sono stati ottenuti dalle differenti sperimentazioni condotte in altri paesi in materia di prevenzione e contrasto della tossicodipendenza e di "riduzione del danno"; b) di definire le modifiche legislative necessarie per avviare una sperimentazione sulla somministrazione controllata di eroina in ambito sanitario analoga a quella avvenuta in altri paesi". Dal combinato disposto dei vari documenti da noi citati e allegati si evince un comune convergere sulla volontà di lavorare per l’incardinamento della sperimentazione di programmi di somministrazione di eroina medica a cittadini farmacodipendenti. Si tratta ora, semplicemente, di passare dalle parole ai fatti. Pertanto, vi chiediamo di attivarvi subito per costituire il gruppo di lavoro auspicato sia dal Ministro della Salute sia dal Consiglio Comunale di Torino; come sempre, mettiamo a disposizione del lavoro comune le idee e l’esperienza accumulata dai militanti radicali antiproibizionisti in decenni di puntuale lotta politica. Rimanendo in attesa di un Vostro cortese cenno di riscontro, inviamo distinti saluti.
Rita Bernardini (Segretaria di Radicali Italiani) Lucio Bertè (Comitato Nazionale di Radicali Italiani) Giulio Manfredi (Giunta di Segreteria Radicali Italiani) Europa: aumento le detenute, ma le carceri non s'adeguano
Redattore Sociale, 30 gennaio 2008
Sono il 5% della popolazione carceraria: in 10 anni +410% a Cipro, +173% in Inghilterra. Un rapporto della commissione Donne del Pe chiede che l’Europa dia risposte ai bisogni specifici: dalle relazioni familiari alla cura dei figli. "La popolazione femminile delle carceri rappresenta una minoranza sul totale dei detenuti, ma i loro bisogni specifici non sono tenuti sufficientemente in conto dall’Unione europea". È questa la denuncia dell’eurodeputata greca Marie Panayotopoulos Cassiotou, relatrice del rapporto discusso e votato all’unanimità in seno alla commissione dei Diritti della donna al Parlamento europeo. Il documento punta l’attenzione sulla situazione delle donne detenute, popolazione minoritaria ma in forte aumento. Secondo i dati contenuti nel rapporto, le donne rappresentano una debole percentuale della popolazione carceraria dell’Unione europea, attestandosi a circa il 5%. La Spagna e il Portogallo registrano la maggiore presenza di donne detenute (rispettivamente l’8 e il 10%) ma la maggior parte dei paesi europei ha recentemente visto crescere questa percentuale in modo importante: ad esempio, la popolazione carceraria femminile è aumentata del 173% in Inghilterra e Galles nel decennio 1992-2002 e addirittura del 410% a Cipro tra il 1994 e il 2003. Partendo dal presupposto che le strutture carcerarie sono luoghi "attrezzati" per accogliere una popolazione prettamente maschile, il rapporto mette l’accento sulle condizioni di detenzione, il mantenimento delle relazioni familiari e la reinserzione sociale e professionale delle donne detenute. Sotto il primo aspetto, il rapporto ricorda le profonde differenze in termini di bisogni specifici delle donne e degli uomini, come nel caso delle cure sanitarie e di maternità. A questo riguardo, gli eurodeputati domandano alla Commissione e al Consiglio dell’UE di adottare una decisione-quadro sulle norme minime di protezione dei diritti dei detenuti sulla base dell’articolo 6 del Trattato dell’Unione europea, e che tenga conto dei bisogni specifici delle donne. Per questo motivo, i deputati europei fanno appello alle istituzioni penali degli stati membri raccomandando loro di garantire alle donne incinte di poter beneficiare delle cure adeguate, sia prenatali che dopo la nascita. Posto che un grande numero di donne detenute sono anche vittime di atti di violenza, di abusi sessuali o di maltrattamenti, il rapporto invita ugualmente gli stati membri a fornire un sostegno psicologico alle donne in carcere, in particolare a quelle che hanno vissuto questi tipi di violenze, oltre che alle madri, responsabili di famiglie e di minori. Dai dati si evince che più della metà delle donne rinchiuse nelle carceri europee siano madri di almeno un bambino e questa percentuale raggiunge picchi particolarmente elevati in Spagna e Grecia. Un altro problema sul quale il rapporto si sofferma è la preservazione dei legami familiari: considerato il numero ridotto di istituti penitenziari che ospitano donne, molto alta è la probabilità che le stesse siano imprigionate anche molto lontano dalle loro case e comunità, rendendo per questo più limitate e difficili le possibilità di ricevere visite. La sfida è creare un ambiente che bilanci il necessario bisogno di sicurezza che normalmente si attende da un istituto penitenziario con la capacità di offrire delle condizioni favorevoli al mantenimento di buoni contatti delle detenute con i familiari. Quanto alla reinserzione sociale e professionale delle detenute, il rapporto ribadisce che il carcere deve avere finalità rieducative oltre che punitive e porre in essere le condizioni per un migliore reinserimento dei carcerati nella società. Statistiche citate in questo rapporto suggeriscono un basso livello di educazione tra le donne incarcerate: nel Regno Unito, ad esempio, il 47% non ha alcuna qualifica scolastica. Ad un sistema penitenziario già debole di risorse (finanziarie e di personale) non si può certo chiedere il gravoso onere di compensare tutti i deficit scolastici, ma è lecito chiedere di offrire ai detenuti la possibilità di acquisire le conoscenze scolastiche di base che siano necessarie alla loro futura reintegrazione nella società. Allo stesso modo, per prevenire le difficoltà legate alla ricerca di un alloggio e di un reddito regolare che possa provvedere ai bisogni suoi e dei suoi figli, generalmente affrontate dalle donne uscite dal carcere, il rapporto raccomanda che siano posti in essere, in ogni centro di detenzione, dei programmi di accompagnamento e di sostegno individuali, accessibili a tutte le detenute su base volontaria, al fine di definire e mettere in opera un progetto personale di inserimento sociale. A questo proposito il rapporto "tira le orecchie" agli Stati membri, incoraggiandoli ad investire più risorse per la creazione di programmi di alfabetizzazione, educazione e formazione professionale nel quadro penitenziario, utilizzando a questo fine strumenti messi a disposizione dall’UE quali il Fondo sociale europeo e il programma Progress. Svizzera: detenuto di 29 anni ucciso dal compagno di cella
Swiss Info, 30 gennaio 2008
Il detenuto 49enne che domenica ha ucciso un recluso di 25 anni nel penitenziario "Pöschwies" di Regensdorf (ZH) non si è mai reso in precedenza responsabile di atti violenti all’interno del carcere. Nei 14 anni finora passati in detenzione il 49enne ha ricevuto un’unica sanzione disciplinare per motivi che non hanno a che fare con la violenza, hanno dichiarato stamane in una conferenza stampa i responsabili del Dipartimento zurighese di giustizia. L’uomo, un ex infermiere psichiatrico condannato nel 1996 all’ergastolo e all’internamento per l’assassinio di due adolescenti, figura fra i 180 detenuti del penitenziario zurighese considerati potenzialmente pericolosi. Gran Bretagna: le "super prigioni" rischiano aumento crisi
Apcom, 30 gennaio 2008
Le cosiddette "Super prigioni" rischiano di peggiorare la situazione di crisi in cui si trovano le carceri britanniche. Il sistema penale del Regno Unito, che già ospita più di 80.700 detenuti, si trova a "un bivio", a causa delle numerose pressioni e dei previsti tagli di finanziamenti, con il rischio di sommosse: a lanciare l’allarme è l’ispettore capo degli istituti penitenziari britannici, Anne Owers, in un rapporto annuale, come scrive oggi l’Independent. La situazione dietro le sbarre è preoccupante: i suicidi sono aumentati del 40 per cento l’anno scorso, ha sottolineato Owers, le celle sono sovraffollate e non è facile i prigionieri con disturbi mentali. "La crisi era stata prevista ed era prevedibile, alimentata da leggi e normative che hanno ignorato le conseguenze, i costi o l’efficienza, assieme all’assenza di una direzione di coerenza strategica", ha puntualizzato la responsabile. Nel suo rapporto annuale, l’ispettore capo ha criticato i piani governativi che mirano a creare delle "Titan jails", delle prigioni "titaniche", definendole "contro produttive": "All’orizzonte appare il titano, complessi carcerari in grado di ospitare 2.500 detenuti", ma le "piccole prigioni lavorano meglio di quelle grandi", ha messo in chiaro. E per colpa dei risparmi derivati dall’aumento di efficienza, da aprile molti detenuti potrebbero rimanere rinchiusi nelle loro celle, senza l’opportunità di fare sport o incontrare altri prigionieri, tra il venerdì sera e il lunedì. Ulteriori tagli ai finanziamenti - ha avvertito - sono previsti nei prossimi due anni. Germania: detenuto del Perù chiede scontare pena in Italia
Apcom, 30 gennaio 2008
È detenuto da due anni in Germania per traffico di droga, ma vuole scontare in Italia il residuo di pena, ancora un anno e dieci mesi, e per questo ha alla Corte di Appello di Roma, dopo aver avuto il via libera dalle autorità tedesche, che sia riconosciuta la sentenza emessa nei suoi confronti dal tribunale di Francoforte sul Meno. I giudici italiani hanno fissato la data del 13 marzo prossimo per l’esame dell’istanza. Protagonista del caso Maurizio P., di 23 anni. Il giovane, di origine peruviana, fu arrestato il 21 gennaio del 2006 perché trovato in possesso di un chilo e mezzo di cocaina. In precedenza, durante un viaggio in Argentina - è la sua versione - aveva rifiutato una proposta di entrare nel giro degli stupefacenti, ma qualche tempo dopo, per problemi economici amplificati dai problemi di salute della moglie, si convinse ad accettare la proposta di un argentino, conosciuto come Juan, e ad acquistare il chilo e mezzo di cocaina (quattromila euro il prezzo) da rivendere a Roma. Sulla strada del ritorno, però, l’arresto a Francoforte e la condanna a tre anni e dieci mesi di carcere. Ora il giovane, detenuto nel carcere di Weiterstadt, vuole finire di scontare la pena in Italia, in base a quanto previsto da una convenzione di Strasburgo del 1983, anche per avere la possibilità di incontrare i familiari. "Mi auguro soltanto - ha dichiarato il legale del giovane, Gianluca Arrighi - che la decisione della corte d’appello arrivi in tempo utile per far sì che il mio assistito possa al più presto rientrare in Italia e rivedere i propri cari".
|