Rassegna stampa 8 febbraio

 

Vasto: detenuto suicida con la testa in sacchetto di plastica

 

Ansa, 8 febbraio 2008

 

Un detenuto di 30 anni, Sandro Di Nisio, di Pescara, si è suicidato nel carcere di Vasto, approfittando di un momento di assenza dei compagni dalla cella nella quale era recluso.

Nessuno si sarebbe accorto di niente e solo una ispezione degli agenti di polizia penitenziaria ha permesso di ritrovare il cadavere del giovane. Il tragico episodio è avvenuto ieri pomeriggio ma la notizia è stata diffusa solamente questa mattina. Secondo quanto emerge da una prima ricostruzione dei fatti il ragazzo sarebbe morto per soffocamento. Di Nisio avrebbe approfittato di un momento in cui erano assenti i compagni di cella e non c’erano guardie in giro per compiere l’insano gesto. Si sarebbe servito di una busta di plastica, ci avrebbe infilato la testa dentro fino a morire soffocato.

Il suo corpo senza vita è stato trovato dagli agenti della polizia penitenziaria nel corso di giro di ispezione e ogni tentativo di rianimarlo è stato vano. La magistratura vastese ha aperto un’indagine sull’accaduto per accertare le dinamiche dell’episodio. L’uomo era recluso nel carcere di Vasto per spaccio di sostanze stupefacenti. La salma del giovane oggi sarà sottoposta a ricognizione cadaverica da parte del medico legale e solo l’esame autoptico potrà chiarire definitivamente le modalità del suicidio e i tempi. In queste ore verranno ascoltate persone a lui vicine per cercare di capire se qualcuno sospettasse dello stato di grave malessere dell’uomo.

 

Quella rapina del 2005

 

Era il 2005 e Sandro Di Nisio fu arrestato e accusato di essere l’autore di una rapina decisamente povera: spiccioli arraffati in tutta fretta in un panificio di Scafa. La proprietaria credeva di essere sola nel suo negozio quando all’improvviso si accorse di un giovane che stava trafugando nel registratore di cassa ed aveva afferrato già il ricavato della giornata. Dopo essersi riempito le tasche uscì strattonando e spintonando violentemente la signora che cercò di bloccarlo. La donna dolorante non si era persa d’animo ed aveva inseguito il ladro. I testimoni avevano poi chiamato i carabinieri che giunti sul posto tempestivamente rintracciarono il giovane già noto per aver avuto problemi di droga.

Giustizia: Opg; "l’ergastolo bianco" dei dimenticati da tutti

di Francesco Caruso (Deputato Prc-Se)

 

Liberazione, 8 febbraio 2008

 

Nell’istituto di Aversa dove sono ammassati 300 internati su un massimo di 130 posti. Marco non è pericoloso per sé e per gli altri, malgrado i 12 anni trascorsi in questo girone dantesco, non lo dice solo lui con gli occhi spenti e piegati verso il basso, ma lo dicono tutte quelle carte e scartoffie che attestano la sua "non pericolosità sociale". Può uscire ieri, oggi o domani, ma ieri oggi e domani non ha nessuno, non c’è nessuno che può farsene carico, non c’è una famiglia, la sua distrutta negli anni 80 da un incidente stradale. Non c’è una asl che può farsene carico perché costa troppo e i direttori hanno ben altri interessi di cui occuparsi che restituire la libertà a Marco.

Resta qui, rinchiuso nella sua cella con altre tre, quattro, cinque, sei persone, ogni mese una in più, con i letti che fioriscono come rose a primavera, si schiudono i materassi di gomma piuma sui quali si appoggia un lenzuolo un tempo bianco e una coperta lercia che Marco si porta sempre sulle spalle sempre più curve.

In questo oceano di disperazione sociale vorresti piangere, ma è un sorriso e una parola di conforto quello che cerca e non posso che promettere di preoccuparmi e occuparmi del suo destino anche una volta che il mio corpo riprenderà a respirare la libertà. Ma ancora non è tempo di tornare lì fuori, dove altri pazzi più o meno illuminati discutono e si accapigliano sulla legge elettorale. Non è il momento di andare perché oggi forse è l’ultimo giorno utile, prima dello scioglimento delle camere, per sparare le mie cartucce istituzionali verso le istituzioni totali che soffocano la libertà: ma tornare dopo pochi mesi per l’ennesima volta all’Opg di Aversa ha anche il significato della sconfitta, la sconfitta di chi ha sperato di concretizzare, all’interno della riforma del servizio sanitario nazionale, almeno la dismissione di questi manicomi che dopo la riforma Basaglia ci si era "dimenticato" di chiudere.

Il tempo qui è immobile per il cervello, il piede e gli altri resti organici conservati da oltre un secolo nelle stanze vicino la direzione dell’Opg, un tempo laboratorio per la ricerca lombrosiana delle origini biologiche della follia.

Ma il tempo è immobile anche per Marco, Franco, Roberto, fantasmi giovani e anziani ma ancora in carne ed ossa, che oggi come un anno fa incroci nel passeggio e ti salutano come se ci fossimo visti ieri, perché oltre alle guardie penitenziarie e al personale non hanno incrociato nessuno sguardo estraneo al loro mondo fatto di sbarre e poche decine di metri quadri.

Dopo 6 ore di naufragare in balia di queste ondate umane di disperazione sociale è arrivato un fax sulla scrivania del direttore, il ministero ha disposto l’immediato trasferimento di 50 internati, il direttore col quale tante volte abbiamo litigato mi guarda felicemente stupefatto: da mesi segnalava al dipartimento l’insostenibilità della situazione dell’istituto dove sono ammassati 300 internati quando ne potrebbe accogliere al massimo 130.

Ma dal ministero mai nessuna risposta. Qui infatti l’indulto ha avuto l’effetto contrario, intasando l’Opg di detenuti che hanno anticipato il fine pena ma con le misure di sicurezza da scontare in pieno. Il direttore era allibito: quel "rompiscatole" parlamentare che visita a sorpresa e senza preavviso gli comunica la decisione di restare chiuso qui anche stanotte, appena trasmette ai suoi superiori questa folle notizia, ecco che per magia gli arriva la risposta che da mesi attendeva anche se, dal mio punto di vista, questo trasferimento non risolve il problema ma semplicemente lo sposta da un’altra parte.

Ci toccherà fare altre notti, nella speranza che si attivi una volta per tutte il programma di dismissione e presa in carico da parte delle asl. Ma dormire in quest’ufficio è difficile, pensi di ascoltare le grida di dolore degli internati immobilizzati nelle celle di coercizione, con i polsi e le caviglie legate all’estremità di questi letti di contenzione dove il buco al centro ti indica l’impossibilità di muoverti nemmeno per i propri bisogni fisiologici. Li avevo visti su qualche libro di storia della psichiatria questi letti, ma sono anche qui, oggi, febbraio 2008, Avesra, Italia, Europa, in fondo al corridoio a sinistra del primo piano del reparto.

Le urla accompagnano l’oscurità ma non riesco a capire se sono urla umane, di animali o semplicemente le urla immaginarie che mi rimbombano nel cervello, le urla dei fantasmi delle migliaia di persone che hanno travalicato dal 1876 i cancelli di questo riformatorio, manicomio od Opg come si suol chiamare a seconda delle convenienze democratiche dell’epoca.

I fantasmi dei contadini condannati a vivere il resto della loro vita dentro queste mura per uno sgarro al padrone, le fanciulle rinchiuse a vita con l’unica colpa di essere state stuprate a 13 anni, gli antifascisti ammassati durante il ventennio, torturati con elettroshock, assurde macchine della verità e altri diabolici marchingegni. E i fantasmi presenti. Giorgio, 82 anni che è sepolto vivo qui dentro ma non si ricorda da quanto tempo o Gaetano, un ragazzo di 20 anni che la famiglia ha abbandonato qui da due anni, salvo ricordarsi di lui il 26 di ogni mese per ritirare e accaparrarsi la sua pensione.

O il fantasma di Michele 28 anni, uscito dopo 5 anni da quest’inferno e che per essersi dimenticato di porre la firma quotidiana al commissariato di polizia viene rispedito dentro il 29 gennaio di quest’anno, lo stesso giorno in cui prende i lacci delle sue scarpe e si impicca vicino alle sbarre della sua cella.

È questo suo grido estremo di protesta che mi ha portato ancora una volta qui dentro, il suo suicidio, il secondo nel giro di un mese, il quinto nel solo ultimo anno, che è anche un omicidio, un omicidio perpetrato dalle istituzioni e da tutti noi che passiamo ogni giorno fuori queste mura incuranti di quello che succede qui dentro, indifferentemente felici perché almeno questa discarica di spazzatura umana non ci turba più di tanto la vista e la salute, la nostra infime e folle quotidianità.

Giustizia: interrogazione su trasferimenti Polizia Penitenziaria

 

www.camera.it, 8 febbraio 2008

 

Realacci. Al Ministro della Giustizia. Per sapere - premesso che: secondo i dati statistici forniti dal Ministero della Giustizia, l’effetto indulto sta andando verso l’esaurimento e le carceri sono nuovamente a rischio sovraffollamento.

Nel giugno 2007 a fronte di una capienza regolamentare di 43.140 posti già si erano raggiunte le 43.957 presenze di detenuti; a fronte di questo si registra una diffusa carenza di personale carcerario. Secondo il Sappe, il Sindacato Autonomo della Polizia Penitenziaria, i due fenomeni determinano una miscela non certo rassicurante che deve essere continuamente monitorata e sulla quale occorre intervenire; stando ai dati forniti dallo stesso Ministero della giustizia, inoltre, risulta che gli organici in dotazione agli istituti di pena del centro-nord registrino una situazione di generale carenza del personale effettivamente in servizio;

tale fenomeno è dovuto in parte alle mancate assunzioni in servizio, ma è decisamente aggravato dal gran numero di richieste di trasferimento in sedi del sud Italia, luogo di origine della maggior parte del personale penitenziario italiano, con una emorragia di personale nelle carceri del centro nord; il fenomeno sopra descritto determina da una parte la carenza di personale in determinate aree geografiche e in alcuni istituti del centro nord, mentre dall’altra fa registrare veri proprio esuberi nelle aree geografiche del sud e nelle isole. Di conseguenza si riscontra un eccesso di personale in alcune sedi e gravi carenze in altre;

semplificativa di questo quadro, la situazione della Toscana, dove nel 2007 si registra un 37 per cento in meno rispetto agli organici che dovrebbero essere garantiti, con dei picchi nell’Istituto penitenziario di Gorgona con - 50,5 per cento di deficit di organico operante, Arezzo con - 41,5 per cento o Pisa con - 36,2 per cento; la situazione che si determina è grave e merita la massima attenzione sia dal punto di vista della condizione dei detenuti, sia della situazione in cui si trovano ad operare le persone impegnate nei servizi di sorveglianza e di assistenza degli istituti di pena;

la carenza di personale nelle carceri, infatti, da una parte genera maggiori carichi di lavoro e di stress per le guardie, ma dall’altra anche meno diritti, meno assistenza e più disagi per i detenuti;

è opportuno segnalare, inoltre, che anche il trasferimento di questo personale molto spesso avviene nonostante il parere contrario dei dirigenti delle strutture che si vedono assottigliare gli organici. Parere di cui, invece, si dovrebbe tenere maggior conto in sede decisionale per approvare o meno tali richieste;

la circostanza è particolarmente delicata e complessa, anche stando a quanto rilevato dall’Associazione Ristretti Orizzonti e agli allarmi lanciati dai sindacati di categoria, secondo i quali, negli ultimi anni, il fenomeno dei suicidi nelle carceri, non solo fra i detenuti (43 nel solo 2007), ma anche da parte del personale penitenziario, va considerato come una vera e propria emergenza. Non è erroneo pensare infatti che le cause vanno ricercate in turni massacranti, carichi di lavoro eccessivi, rapporti umani inesistenti;

si deve tenere conto, inoltre, dei disagi che incarichi molto lontano dal luogo di provenienza possono essere anch’essi causa di disagio sociale e psicologico. Sarebbe opportuno venire incontro alle esigenze del personale con soluzioni per migliorare la loro situazione, come per esempio, un’attenzione e un’agevolazione per le condizioni abitative. L’equilibrio è delicato perché se si osservano le statistiche relative ai suicidi fra il personale della Polizia Penitenziaria, si nota un picco nel 2007 con addirittura 7 suicidi (quattro negli ultimi dieci giorni dell’anno, che corrispondono a un tasso di 1,63 su 10.000 persone, ovvero quasi il triplo della percentuale che si riscontra a livello nazionale. Una casistica che ha indotto il Sappe ha sollecitare l’apertura di un tavolo interministeriale che conduca un’inchiesta per capire quanto abbiano inciso le difficili condizioni lavorative sui drammatici atti delle guardie e di appurare se fra le guardie carcerarie sia diffusa la sindrome del burnout, ossia il disagio derivante dalla discrepanza tra i propri ideali e le effettive condizioni di lavoro. Un fenomeno questo che in qualche misura può anche essere messo in relazione con i disagi di ordine sociale e familiare che destinazioni lontano dai luoghi di origine può provocare -:

come intenda verificare e approfondire il fenomeno dei trasferimenti ai fini di ottimizzare la gestione del personale in dotazione; come intenda scongiurare i rischi derivanti da un lato dal sovraffollamento delle carceri e dall’altro dalle carenze di personale in dotazione riscontrate; come intenda salvaguardare i diritti del personale di guardia e migliorare la loro condizione sociale come la dotazione di alloggi adeguati e/o la possibilità di avere integrazioni al reddito per casa o famiglia.

Giustizia: Sappe; improprio parlare di esubero del personale

 

Comunicato stampa, 8 febbraio 2008

 

Lettera del Segretario Generale del Sappe, Donato Capece, il giornalista del Corriere della Sera Gian Antonio Stella. Egregio dott. Stella, con il suo apprezzato acume, sul Corriere della Sera del 7 febbraio scorso, si è occupato di polizia penitenziaria ed ha messo in luce, riprendendo un’interrogazione parlamentare di Ermete Realacci, la situazione degli organici del corpo. Vorrei però chiarire alcune cose fondamentali.

La prima è che le Sue valutazioni (e di Realacci) sui numeri dei poliziotti penitenziari negli Istituti si riferiscono a piante organiche definite autonomamente nel 2001 da un decreto ministeriale dell’allora Guardasigilli Piero Fassino, nonostante la contrarietà di tutte le organizzazioni sindacali del Corpo che giudicarono non rispondente alla realtà la ricognizione effettuata a livello nazionale ed in ogni Istituto di pena da una Commissione dell’Amministrazione penitenziaria, che per altro valutò gli organici senza un confronto con le rappresentanza sindacali delle varie realtà locali.

Alla luce di questa importante precisazione, si converrà che - stanti comunque le gravi carenze di Personale nelle sedi nel Centro-Nord Italia, è quindi improprio parlare di "esuberi di Personale" in quelle del Sud. Ad esempio, con riferimento al dato riferito alla regione Lazio che più colpisce per il presunto surplus di Agenti, c’è da dire ad onor di cronaca che si tratta di personale impiegato nei servizi e negli Uffici centrali (Ministero della Giustizia, Dipartimento penitenziario, Uspev e Gom, Ufficio Ispettivo, Ufficio Centrale di PG, etc.).

Ed è per questo che il Sindacato autonomo Polizia penitenziaria Sappe, la prima organizzazione più rappresentativa della Categoria, ha continuato a chiedere, a tutti i vari Ministri della Giustizia che si sono succeduti da 2001 ad oggi, di rivedere quelle piante organiche e quel decreto ministeriale. Richieste rimaste tutte inascoltate.

A nostro avviso due soluzioni si potrebbero adottare per fronteggiare questa emergenza. Dopo aver accertato le reali carenze di organico, si bandiscono concorsi pubblici per quelle sedi penitenziarie deficitarie. Mancano in Lombardia 500 agenti di polizia penitenziaria ? Si bandisca dunque un concorso per le sedi penitenziarie di Lombardia, Veneto o Liguria. Chi partecipa al concorso sa che andrà a fare servizio in una delle città di quelle Regioni. Ma poniamo però anche un vincolo di permanenza in quelle sedi, ed è questa la nostra proposta.

Oggi vi sono colleghi dell’Italia centro-meridionale (ed insulare) che hanno come prima sede di servizio una città del Nord. La loro legittima aspirazione è avvicinarsi al luogo di residenza, in cui spesso rimane la famiglia perché con un nostro stipendio è impossibile fronteggiare il costo della vita del Settentrione. Spessissimo, però, al Nord ci restano per decenni e addirittura vanno in pensione sempre in servizio in quella sede perché la mobilità del personale del Nord verso il Sud movimenta poche, pochissime unità. Attiviamo dunque un meccanismo di assunzioni tali che permetta, raggiunta una certa anzianità di servizio al Nord trasferendovi la propria famiglia. Assunzioni, è opportuno chiarirlo, che servirebbero a coprire i posti lasciati liberi dal personale in quiescenza.

Se non si lavora in queste due direzioni, non risolveremmo mai il problema messo in luce da Lei e da Ermete Realacci. La ringrazio per l’attenzione che mi vorrà riservare e, con l’auspicio che queste mie considerazioni possano trovare spazio sul Corriere della Sera, le pongo cordialissimi saluti.

 

Il Segretario Generale Sappe, Donato Capece

Giustizia: Corradi (Ln); per agenti serve supporto psicologico 

 

Sesto Potere, 8 febbraio 2008

 

Nei giorni scorsi, a Ferrara, si sarebbe verificato il "tragico" suicidio di un agente della Polizia Penitenziaria, che si va ad aggiungere ad un analogo episodio accaduto a Modena ed ai "quasi contemporanei" casi registrati a Verbania, Imperia e Tempio Pausania. Lo afferma in un’interrogazione il consigliere regionale Roberto Corradi (LN), evidenziando che i casi di suicidio tra gli appartenenti a questo Corpo di Polizia sarebbero in "preoccupante aumento", tanto che si potrebbe prefigurare la diffusione fra gli agenti della cosiddetta sindrome di "burn out". Essi, infatti, sarebbero sottoposti ad un "elevato stress psicologico, essendo impegnati quotidianamente a controllare, spesso in completa solitudine, centinaia di detenuti, molti dei quali con problemi di tossicodipendenza".

Ad oggi - sottolinea il consigliere - non esisterebbero centri specializzati idonei a fornire un "adeguato e specifico supporto psicologico" a questi agenti che, per la peculiarità del loro lavoro, sarebbero "fortemente esposti a stress psico-fisici tali da pregiudicarne la stabilità emotiva", mentre il loro "benessere psichico" rappresenterebbe l’elemento "basilare" per svolgere "la propria missione in modo adeguato". Corradi chiede quindi alla Giunta regionale se non ritenga opportuno concertare, con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, l’istituzione a livello regionale di un servizio specializzato di supporto psicologico a favore di questi agenti per prevenire quelle forme di disagio che potrebbero determinare casi analoghi ai "tragici" fatti accaduti a Modena e a Ferrara.

Giustizia: Osapp; per prossime elezioni programma "del fare"

 

Ansa, 8 febbraio 2008

 

Una "politica del fare" in grado di affrontare l’emergenza carceri: è quello che l’Organizzazione autonoma di polizia penitenziaria (Osapp) chiede alle forze politiche in vista delle prossime elezioni. Nei programmi elettorali - afferma in una nota Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp - vanno tenuti in conto i problemi del sovraffollamento degli istituti e della carenza del personale di polizia penitenziaria, mentre "lo scontro di aprile rischia di far cadere nel nulla la discussione sulle soluzioni da adottare e, peggio ancora, inasprisce la lotta trasformando l’ambito che viviamo abitualmente in un terreno di conquista per il consenso".

L’Osapp premette di "non essere contraria, per partito preso, ad alcuna proposta, che sia il braccialetto elettronico o la dismissione di vecchi edifici. Vogliamo rinnovare il proposito di un piano a termine - aggiunge Beneduci - che definisca obiettivi, risorse e mezzi, e verifichi i risultati raggiunti. Un programma che incentivi sicuramente le misure alternative al carcere ma che offra la possibilità di un potenziamento, con revisione dei ruoli di chi è incaricato a controllare l’effettivo impiego di quelle misure". Tra le ipotesi avanzate dall’Osapp c’è anche la costruzione di carceri nuove, ma sempre nell’ambito di una più "generale e necessaria riforma", che sia in grado di valorizzare il lavoro dei detenuti e di potenziare le capacità professionali del poliziotto penitenziario.

Giustizia: Ugl, i detenuti curati in ospedale, è uno svantaggio

 

Ansa, 8 febbraio 2008

 

Oltre 500 operatori del Servizio Sanitario Penitenziario passeranno alle Agenzie Sanitarie Locali, quindi, i detenuti, saranno curati negli ospedali. La Ugl Ministeri, preannuncia, infatti, che un accordo tra Giustizia e Salute prevede di accelerare l’iter della Finanziaria, promuovendo "in fretta e furia un turismo sanitario".

Secondo l’Unione generale del lavoro (Ugl), sarebbe pronto un accordo tra ministeri della Giustizia e della Salute per accelerare attraverso un Dpcm l’iter previsto dalla Finanziaria sul passaggio di oltre 500 operatori sanitari dal Servizio Sanitario Penitenziario alle Aziende Sanitarie Locali. "Un vero e proprio colpo di coda del vecchio governo - afferma il segretario nazionale Ugl Ministeri, Paola Saraceni - che di fatto promuove in fretta e furia il "turismo sanitario" visto che per i detenuti ammalati si apriranno le porte di ospedali e pronto soccorso del Paese dove dovranno essere tradotti nei casi di necessità".

"Ciò significa - conclude la sindacalista - spese maggiori e Polizia Penitenziaria che oltre ad accompagnare i detenuti nei vari tribunali e procure dovrà anche condurli nei presidi ospedalieri. Non ci spaventano le riforme ma le frenesie di riformare tutto a tutti i costi, anche distruggendo ciò che di buono si è costruito nei decenni passati, sia sotto il profilo di modello organizzativo sia come assistenza sanitaria ai detenuti".

Lombardia: Fp-Cisl; carceri regionali, mancato 1.500 agenti

 

Adnkronos, 8 febbraio 2008

 

Nelle carceri lombarde mancano più di 1.500 addetti, tra agenti di Polizia penitenziaria e personale amministrativo. Lo sostiene la Fp Cisl Lombardia: a mille agenti di Polizia Penitenziaria, secondo il sindacato, "vanno sommate le centinaia di agenti distaccati a vario titolo in altre regioni. Inoltre, in tutti i ruoli del personale amministrativo (contabili, ragionieri, educatori, ecc) le carenze raggiungono il 50% circa, costringendo i direttori ad impiegare altri poliziotti in attività amministrative".

"Complessivamente la carenza di personale in Lombardia nel settore penitenziario è di ben oltre 1500 unità - afferma il segretario regionale della Funzione pubblica della Cisl, Pietro Paris - più volte abbiamo denunciato la grave situazione della regione, senza mai trovare ascolto. Inoltre, le già precarie condizioni di lavoro dei penitenziari sono destinate a peggiorare ulteriormente, per effetto del numero dei detenuti che continua ad aumentare".

Dalla data dell’indulto ad oggi, prosegue la Fp-Cisl, "la crescita è stata costante e continua. Attualmente i detenuti sono ben oltre settemila e tutto lascia prevedere che in poco tempo ritorneremo ad oltre 9mila, come nel periodo antecedente il condono. La Cisl-Fp della Lombardia ha ripetutamente suggerito possibili iniziative per cercare di dare risposte concrete a questi problemi: incentivi al personale che lavora negli Istituti del Nord, risoluzione del problema degli alloggi e sostegno al costo degli affitti, concorsi con posti riservati esclusivamente agli Istituti carenti, revisione dell’attuale sistema che consente il distacco del personale fuori regione".

"Questi interventi concreti e possibili - denuncia ancora il segretario della Cisl-Fp - purtroppo non sono mai stati presi in considerazione dall’Amministrazione. Nei prossimi giorni è nostra intenzione coinvolgere le Istituzioni locali, in primis la Regione, convinti della necessità di intervenire tempestivamente in un delicato settore estremamente importante e direttamente coinvolto nella tutela della sicurezza dei cittadini".

Vicenza: dentro il carcere un’officina che crea "benessere"

 

Giornale di Vicenza, 8 febbraio 2008

 

All’interno del San Pio X è attivo un laboratorio che finora ha occupato 84 detenuti. Una vera azienda che in sei anni ha moltiplicato i fatturati ed ora pensa a potenziamenti. Già messe le basi per creare un nuovo reparto produttivo per la lucidatura dell’allumini. Assindustria e Camera di Commercio vaglieranno il finanziamento per l’acquisto dei nuovi macchinari.

Nell’ambito delle attività legate alla Responsabilità Sociale d’Impresa, Confindustria Vicenza, in collaborazione con il CPV della Camera di Commercio e la Direzione della Casa Circondariale di Vicenza, mette in campo un progetto per avviare all’interno del carcere di Vicenza un nuovo reparto di lucidatura dei metalli.

All’interno del carcere S. Pio X di Vicenza è attiva da anni un’officina che dà lavoro (e stipendio) a un discreto numero di detenuti, regolarmente occupati per otto ore al giorno a svolgere attività di saldatura e carpenteria metallica per aziende vicentine. L’officina è gestita dalla cooperativa sociale Saldo & Mecc, sorta nel 2001 con l’obiettivo di favorire l’integrazione sociale ed economica dei detenuti, puntando appunto sul lavoro e sulla formazione di una professionalità ricercata sul mercato. L’idea iniziale è stata di alcuni soci volontari esterni e di alcuni detenuti che, con l’appoggio della direzione del carcere, avevano frequentato un corso di formazione di saldatura finanziato dal Fondo Sociale Europeo per disoccupati o inoccupati.

Sette anni di vita. In sette anni di vita Saldo & Mecc ha occupato in totale 84 persone e ha svolto, in collaborazione con lo IAL Veneto (Istituto addestramento lavoratori), 8 corsi di formazione che hanno interessato nel complesso 85 detenuti e hanno portato al rilascio di 15 brevetti di saldatore. Come una vera piccola azienda, il fatturato è salito dai 12 mila euro del primo anno agli oltre 100 mila del 2006.

Oggi questa realtà è diventata un punto di riferimento importante nelle attività di recupero e reinserimento nella società che l’istituzione carcere deve porsi nei confronti dei detenuti. Una realtà che ha attirato l’attenzione anche di Confindustria Vicenza e del Centro Produttività Veneto della Camera di Commercio, che in queste settimane stanno mettendo in piedi con la Saldo & Mecc e con la direzione della Casa Circondariale un progetto destinato a dare nuovo impulso all’attività della cooperativa.

Il progetto prevede che l’attuale officina venga potenziata e affiancata da un nuovo reparto produttivo dedicato espressamente alla lucidatura dell’alluminio, una fase lavorativa molto ricercata dalle imprese vicentine e per la quale c’è dunque parecchia richiesta di professionalità e manodopera da parte del mercato.

Le responsabilità di Assindustria. L’iniziativa del nuovo reparto per l’officina del carcere è partita da Stefano Talin, l’imprenditore che all’interno di Confindustria Vicenza ha la delega per la responsabilità sociale, in collaborazione con il Tavolo CSR del Centro Produttività del Veneto.

"Come Associazione riteniamo doveroso sviluppare attività di responsabilità sociale e favorire la crescita nelle aziende di una sempre maggiore sensibilità intorno a questi temi - dice Talin -. Quando, in occasione di un incontro sul tema del reinserimento lavorativo dei detenuti organizzato dalla Camera di Commercio con il supporto dello Sportello CSR del Centro Produttività, siamo stati informati delle potenzialità di sviluppo che ha la cooperativa sociale attiva nel carcere di Vicenza, abbiamo ritenuto doveroso impegnarci concretamente su un progetto che, fatta salva la necessità di salvaguardare il principio della certezza della pena, dia ai detenuti la possibilità di occupare il tempo di vita del carcere svolgendo una mansione come quella della lucidatura dei metalli, che consente di acquisire una professionalità richiesta dalle aziende e perciò spendibile nel mercato del lavoro, una volta scontata la pena".

"Il progetto - osserva Talin - punta da un lato a dare nuovo sviluppo alla cooperativa, con il conseguente aumento occupazionale di soci detenuti, e dall’altro a fornire nuove occasioni di arricchimento professionale e aumentare le possibilità che le persone oggi detenute possano un domani avere maggiori possibilità di reingresso nel mercato del lavoro e quindi nella società".

Un progetto in tre fasi. Il "Progetto Metalli Puliti" pensato con Confindustria Vicenza e CPV è articolato in tre fasi. La prima, già avviata, riguarda l’invio di un responsabile della cooperativa presso un’azienda, la Lucidatura SD di Albettone dell’imprenditore Diego Ambrosi, per acquisire gli elementi tecnico-produttivi di base necessari ad avviare l’attività. La seconda fase riguarda l’acquisizione di un impianto per lucidatura dell’alluminio, completa dei necessari apparati di aspirazione. La terza fase è quella che porterà all’avvio dell’attività, che fin d’ora può contare su un cliente sicuro: la fonderia Stampo Press di Montegalda, di cui è titolare l’imprenditore Aldo Dal Maso, e che potrà fare da volano per altre aziende che, vista la domanda di lucidatura metalli esistente in provincia, non dovrebbero tardare a farsi avanti.

"La lucidatura dei metalli è un segmento del mercato in costante espansione - conferma Guerrino Tagliaro, presidente della cooperativa e anima dell’iniziativa -. Richiede però attrezzature specifiche: una smerigliatrice e pulitrice combinata e un impianto di aspirazione delle polveri con filtri carrellati. Oggi non abbiamo le risorse per un investimento del genere, da qui la richiesta di un finanziamento, sottoposta sia agli Industriali che alla Camera di Commercio. La nostra è un’azienda che si confronta con il mercato e vive con il proprio fatturato. I detenuti che lavorano da noi sono soci lavoratori e percepiscono un regolare salario. Non siamo dunque una realtà protetta, ma una "palestra" che mette in condizione di fare un lavoro vero in una vera realtà lavorativa".

Un ponte con la libertà. Un ponte tra lo stato di detenuto a quello di cittadino libero, insomma. Un ponte che, se attraversato con volontà di rimettersi in gioco, fa trovare dall’altra parte una professionalità da spendere sul mercato del lavoro, per un concreto reinserimento sociale ed economico.

"Pensare di risolvere i problemi soltanto attraverso la reclusione è un’illusione - osserva Tagliaro -: se in carcere una persona ha le porte chiuse per uscire, nella società rischia di trovare chiuse le porte per entrare: la trasformazione passa attraverso la riscoperta della dimensione umana del vivere sociale, legata alla possibilità di avere un lavoro e una propria autonomia economica. La conquista di una professionalità e di un lavoro non risolve tutti i problemi, ma certo sono ottimi strumenti per iniziare una nuova vita".

Da parte sua, anche la direzione della Casa Circondariale di Vicenza appoggia questo progetto con favore. "È un’iniziativa che riteniamo valida sia perché consente l’acquisizione di nuova professionalità attraverso una formazione professionale adeguata, sia per il valore psicopedagogico dell’attività lavorativa svolta anche all’interno della struttura penitenziaria di Vicenza - dice Irene Iannucci, direttore della Casa Circondariale di Vicenza -. Il percorso di reinserimento diventa dunque più efficace, potendo mettere in gioco una professionalità spendibile nel mercato del lavoro".

Roma: nel carcere di Regina Coeli nasce un centro ascolto 

di Silvia Salvati

 

www.korazym.org, 8 febbraio 2008

 

Da un po’ di tempo, nei corridoi del carcere di Regina Coeli a Roma, il sabato pomeriggio si possono incontrare tre amici che girano per i diversi settori con un foglietto in mano, ricercando detenuti. Sono molto discreti e cordiali ma nello stesso tempo molto determinati a raggiungere tutti coloro che lo desiderano. Sono i volontari della Comunità Nuovi Orizzonti che fanno parte dell’equipe Micors, l’équipe impegnata nell’evangelizzazione nelle carceri e negli ospedali. Hanno iniziato con una semplice corrispondenza di sostegno ed ora sono riusciti ad avere libero accesso agli spazi penitenziari, con grande curiosità ed interesse da parte dei detenuti.

Alcuni li conoscono già da tempo attraverso il sostegno attento e solidale ricevuto con le lettere, altri vengono in contatto con loro attraverso un passaparola, altri ancora solo perché vedendoli passare nei corridoi con aria disponibile e cordiale si fermano a chiedere informazioni sulla comunità di appartenenza e sul tipo di percorso che la comunità propone. È veramente piacevole a volte vedere questi "ragazzi" circondati da detenuti pieni di curiosità e di speranze. Alcuni in cerca reale di una indicazione concreta di maturazione personale, altri solo per una alternativa al carcere, altri solo forse per il bisogno di scambiare una parola con qualcuno che non sia il compagno di cella o l’agente di turno. La vita del detenuto è talmente difficile che non riusciamo neanche ad immaginare cosa possa significare per loro un qualsiasi diversivo alla triste quotidianità. E poi ci sono purtroppo anche quelli che la vita ha talmente maltrattato che hanno quasi timore ad avvicinarsi ed essere avvicinati: quelli hanno ancora più bisogno di aiuto.

Per tornare ai nostri "ragazzi", nel giro di poco tempo sono riusciti a farsi conoscere, riconoscere ed a farsi benvolere. Hanno incontrato molti detenuti e con alcuni hanno stabilito dei rapporti molto profondi, costruttivi e significativi, dei rapporti non a "senso unico" ma di arricchimento e condivisione reciproca.

Per alcuni di essi, dopo un percorso di conoscenza e di approfondimento delle proprie motivazioni profonde, si è aperta la prospettiva concreta di un ingresso nella Comunità Nuovi Orizzonti. E questo è indubbiamente un grosso risultato: è la concretizzazione di un impegno che a volte non viene compreso fino in fondo. Alcuni possono pensare che questo tipo di attività sia svolto solo per colmare esigenze personali senza invece rendersi conto di quanta vera umanità, dedizione e donazione di sé ci sia in tutto questo, quanto incontro del Gesù sofferente e abbandonato si possa sperimentare in ogni approccio all’altro, al mistero dell’altro.

Così nasce il centro di ascolto di Nuovi Orizzonti a Regina Coeli in stretta collaborazione con l’Associazione Vo.Re.Co (Volontari del carcere Regina Coeli di Roma), dopo l’esperienza analoga svolta già da tempo nel carcere di Rebibbia. Così cerca di incarnarsi il carisma della Comunità: la discesa agli inferi di tanti ragazzi, di tanta umanità sofferente in cerca di speranza, in cerca di ascolto e accoglienza.

"C’è più gioia nel dare che nel ricevere - dicono Alessandra B., Luca G. e Maria Grazia -. Questo è il nostro sabato pomeriggio varcando la soglia di uno spazio che sembra un "non luogo" ma che diventa incontro, stupore, meraviglia di una vita che, seppur segnata dal dolore, dalla sofferenza, dalla caduta, conserva la speranza della Resurrezione".

Bologna: le detenute stiliste per il commercio "on the road"

 

Dire, 8 febbraio 2008

 

Niente pietismi né compassione, ma corsi per detenute per diventare vere sarte e confezionare abiti destinati a signore eleganti. Anche molto visto che i capi sono venduti da Porto Cervo a Cortina e sono stati visti addosso a Donatella Versace.

Le detenute del carcere della Dozza di Bologna, sulla scia di un’attività già avviata a Milano a San Vittore, potranno imparare l’arte della sartoria e tagliare e cucire vestiti che hanno già una rete di vendita anche se un po’ speciale: la strada. Sono 60 le potenziali corsiste della Dozza che saranno però selezionate a seconda di vari fattori, tra cui la lunghezza della pena (perché il progetto dura un anno). Si tratta di una iniziativa "Moving shop", presentata oggi in Comune a Bologna dall’assessore al Commercio Cristina Santandrea che mette insieme imprenditoria e solidarietà, lusso e disagio, carcere e strada.

A Milano, spiega l’ideatrice e imprenditrice Valeria Ferlini si è cominciato con i corsi rivolti alle donne in carcere. Oggi le detenute producono circa 1.000 pezzi all’anno venduti sulle strade di Milano, Torino, Palermo, Forte dei Marmi. Non su bancarelle però, ma a bordo di un Ape Piaggio, ribattezzate "Malandra", attrezzate e colorate, ormai riconoscibilissime dalle clienti affezionate. La stessa Ape comincerà a girare anche a Bologna (per ora coi prodotti di Milano) dal mese prossimo vicino alle scuole (per catturare le mamme che accompagnano i bambini) per il centro storico e fuori porta. L’assessorato ha intenzione di pubblicare un calendario con gli itinerari in modo da indirizzare le bolognesi. L’Ape-boutique, nelle città dove già è operativa, fa quotidianamente percorsi stabiliti e può arrivare anche sotto casa o davanti all’ufficio delle signore più esigenti.

A Bologna il laboratorio di sartoria partirà i primi di marzo (quando si avrà un responsabile al carcere dopo il trasferimento di Manuela Ceresani), verranno selezionate le detenute da formare che poi frequenteranno il corso. Il progetto durerà un anno ma è ripetibile. A Milano, infatti, va avanti da cinque anni e sta dando ottimi risultati, tanto che oltre a Bologna anche Roma vorrebbe adottarlo.

Intanto, si attende che dalla Dozza inizino a uscire gli abiti in modo che sull’Ape si troveranno anche i prodotti bolognesi. Ma attenzione, avverte Ferlini, i capi in vendita non sono affatto creati per far lavare la coscienza alle clienti, ma sono confezionati con cura e controllati nel minimo dettaglio, "cosa che responsabilizza le sarte - spiega Ferlini - e le rende consapevoli di avere per le mani prodotti di alto livello". E le detenute-sarte sono pagate come una loro collega professionista.

Senegal: gay in carcere, associazioni chiedono loro liberazione

 

Ansa, 8 febbraio 2008

 

In una lettera al ministro della Giustizia del Senegal, le associazioni "International Gay and lesbian Human Rights Commission" e la "Pan-African Ilga" hanno chiesto l’immediato e incondizionato rilascio di dieci persone che sembra siano state arrestate per sospetto di omosessualità in Senegal. L’arresto, rende noto il Circolo Mario Mieli, è avvenuto il 3 febbraio a seguito della pubblicazione, su una nota rivista locale, di fotografie del matrimonio tra due uomini senegalesi. La cerimonia sarebbe avvenuta più di un anno e mezzo fa nella capitale Dakar. Ancora ignoto il luogo in cui le donne e gli uomini sono detenuti. Il Senegal è uno dei pochi paesi africani francofoni che penalizzano l’omosessualità. Il Circolo Mario Mieli ha chiesto "alle autorità italiane, in particolare al Ministero degli Esteri, di intervenire presso le sedi diplomatiche per assicurarsi del rilascio degli arrestati e della generale condizione dei diritti umani nei confronti della popolazione omosessuale in Senegal".

 

 

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