Rassegna stampa 2 febbraio

 

Giustizia: Garante Comunicazioni; stop ai processi mediatici

 

Ansa, 2 febbraio 2008

 

Basta con i processi trasferiti dalle aule di giustizia agli studi televisivi, che siano Rai o Mediaset o di altre emittenti. Il monito arriva, perentorio, dall’Autorità Garante delle Comunicazioni con un atto di indirizzo approvato ieri e che mira a mettere ordine sulla materia, coinvolgendo direttamente anche gli operatori dell’informazione attraverso un tavolo di confronto da cui far scaturire un’autoregolamentazione. Se l’atto di Indirizzo non dovesse rivelarsi sufficiente, allora la strada diverrebbe quella delle sanzioni inflitte dall’Agcom alle emittenti.

A darne l’annuncio è stato, in conferenza stampa appositamente convocata, Corrado Calabrò, presidente dell’Authority, il quale ha sottolineato che l’atto di indirizzo sui processi in tv risponde anche al recentissimo monito venuto dal primo presidente della Corte di Cassazione, Vincenzo Carbone, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. "Non è ammissibile - ha detto Calabrò - che il ruolo di giudici, il ruolo dell’accusa e quello della difesa, come pure quello dei testimoni, venga svolto da giornalisti, soggetti estranei al processo, addirittura figuranti come nelle docu-fiction che finiscono con l’ingannare il pubblico". Nessun limite, ha detto ancora Calabrò, alla libertà di informazione, "ma l’informazione non può assumere i caratteri di una gogna mediatica, di una spettacolarizzazione ispirata più dall’amore dell’audience che dall’amore della verità".

 

Richiamo alla Rai per "Anno Zero"

 

Un richiamo alla Rai da parte dell’Autorità Garante nelle Comunicazioni per il programma "Annozero" di Michele Santoro su Raidue. Il richiamo è scattato in seguito ad esposti ricevuti dall’Agcom riferiti alle puntate del 4 ottobre e del 6 e 20 dicembre scorsi: la prima relativa alla vicenda Mastella - De Magistris; la seconda alla presenza in studio del solo ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni e la terza relativa alla vicenda D’Alema - Forleo e all’intercettazione che ha riguardato Silvio Berlusconi e il direttore di Rai Fiction, Agostino Saccà.

In tutti e tre i casi le puntate sono risultate non in linea - dice l’Agcom con i criteri fissati nell’atto di indirizzo della commissione parlamentare di Vigilanza Rai. Non in linea "per quanto riguarda i profili relativi al rispetto dei principi di imparzialità e parità di trattamento nella conduzione del contraddittorio". Di qui il richiamo alla Rai, per il prosieguo del programma "al rigoroso rispetto delle norme", perché nelle puntate in questione sarebbe invece mancato il rispetto dei principi di completezza e correttezza dell’informazione, di obiettività, equità, lealtà, imparzialità, pluralità dei punti di vista e osservanza del contraddittorio.

Nell’annunciare il richiamo il presidente dell’Agcom, Corrado Calabrò, ha sottolineato che l’Authority vigilerà sul rispetto di questo stesso richiamo e in caso di ulteriori violazioni richiederà al vertice di Viale Mazzini di "attivarsi nei confronti dei dirigenti responsabili", dando corso ai provvedimenti sanzionatori previsti dalla legge.

Giustizia: Osapp; recupero dei detenuti è sempre più difficile

 

Apcom, 2 febbraio 2008

 

Nel giorno della nascita della Conferenza Nazionale dei Garanti dei detenuti, l’Osapp, sindacato di polizia penitenziaria, ricorda che ad oggi, le strutture carcerarie ospitano in totale 49.565 unità (solo in Lombardia 2.008 oltre la capienza tollerabile), mentre ad inizio anno eravamo a quota 48.693, i rientrati per indulto sono 358".

Un dato che, secondo l’Osapp, rende "complesso favorire il recupero e il reinserimento sociale delle persone sottoposte a limitazioni delle libertà personali", in linea con l’articolo 3 della Costituzione, così come sostenuto da Angiolo Marroni, presidente della Conferenza nazionale garanti dei detenuti. L’affluenza nelle carceri italiane, spiega il segretario generale Osapp, Leo Beneduci, aumenta "in media di mille unità al mese". Quindi, secondo Beneduci, prima di intraprendere qualsiasi iniziativa è "importante - afferma - individuare gli obiettivi e la strategia che si vuole mettere in atto".

"Se il problema del sovraffollamento non sarà fronteggiato con logiche nuove e diverse - chiarisce Beneduci - e se non verrà definito il ruolo dell’unico Corpo addetto per legge a funzione risocializzante, quale è la polizia penitenziaria, non ci potrà essere organo di garanzia che tenga". Per questo, Beneduci invita il presidente Marroni ad un confronto "serio" con le istanze che questa rappresentanza sindacale già esprime da tempo. "Auspico che per gli scopi che si prefigge la Conferenza nazionale dei Garanti dei detenuti - conclude - ci debba necessariamente essere il contributo offerto da quelle forze di polizia che operano sul campo ogni giorno".

Giustizia: Uil; sul suicidio dell'Ispettore di Polizia Penitenziaria

 

Asca, 2 febbraio 2008

 

Ancora una volta il Corpo di Polizia Penitenziaria piange l’ennesimo collega suicida. Dalla preoccupazione si è passati alla vera e propria emergenza.

Dopo i poliziotti penitenziari colpiti dalla stessa tragica sorte nelle scorse settimane, ieri si è registrato un ennesimo caso di suicidio a Ferrara che ha visto coinvolto un ispettore superiore di Polizia Penitenziaria di 47 anni, trovato impiccato nella sua abitazione. Da quello che è dato sapere l’ispettore era persona mite e gentile e mai avrebbe fatto pensare ad un gesto così estremo. Quello che la Uil penitenziari lancia è un autentico grido di allarme e che si somma a quelli fatti non più di qualche settimana fa. Gli appelli lanciati in quella occasione sono andati deserti e l’unica speranza che si ha è di trovar giustificazione nel disastroso clima politico che negli ultimi tempi ha riguardato l’intero scenario Italiano.

In tutti i modi non possiamo che investire della problematica una persona che ha dimostrato di essere molto attento alle tematiche delle morti bianche: il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed al quale la Uil Penitenziari nei prossimi giorni invierà un documento sul tema del burnout del poliziotto penitenziario. La scelta nasce dal fatto appunto che per la Uil il suicidio di un poliziotto penitenziario proprio per la peculiarità del lavoro che svolge ed allo stress al quale lo vede sottoposto non può che essere catalogata come morte bianca. La speranza della Uil quindi di un personale impegno da parte della massima carica dello Stato italiano è più viva che mai e si lega a quella di un’altra O.S. di categoria (Sappe) che non ha mancato sin dal primo momento di mostrare, insieme alla O.S. Che rappresento, segni di forte interessamento alla drammatica situazione venutasi a creare.

Non possiamo aspettare altro tempo. La realtà potrebbe non migliorare nel prossimo futuro giacché non esiste uno studio approfondito sul tema . Sarebbe quindi opportuno che qualcuno si prenda a cuore la vicenda e la faccia sua magari attivando quella procedura che porti allo svisceramento della problematica. A tal proposito primi contatti la Uil li ha avuti con alcuni esponenti dell’Università degli studi D’Annunzio con i quali nei prossimi giorni discuterà su di un progetto che potrebbe avere come oggetto appunto il disagio psichico del poliziotto penitenziario. L’idea di condurre una ricerca sulle condizioni di lavoro degli operatori penitenziari nasce non solo per cercare di dare una spiegazione ai numerosi casi di suicidio che riguardano appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria ma anche con l’intento di far luce e cercare di analizzare una realtà professionale estremamente delicata, che si ritiene debba essere monitorata con costanza e profondità per tenere sottocontrollo non solo l’effettivo svolgimento dei compiti e funzioni degli agenti ma soprattutto la relazione esistente fra condizioni soggettive e oggettive di stress e l’attuazione del proprio lavoro.

Se si verificasse un declino sempre maggiore delle capacità di resistenza al proprio lavoro da parte degli agenti, sarebbero diversi i problemi e le conseguenze che si ripercuoterebbero, prima nei detenuti, poi nella realtà penitenziaria, nell’istituzione Giustizia e, infine, sulla società intera. Affinché venga mantenuto alto il livello di attenzione, con la speranza che il Presidente Napolitano non rimanga l’unico interlocutore, sperando in un interessamento dei molti politici che si dicono interessati alle problematiche della Polizia Penitenziaria, nell’attesa, la Uil mantiene lo stato di agitazione di tutto il personale iscritto.

 

Segreteria Uil Penitenziari

Giustizia: caso Bianzino; secondo i periti fu "morte naturale"

 

Il Messaggero, 2 febbraio 2008

 

Fu un aneurisma cerebrale a provocare la morte del falegname Aldo Bianzino, di 42 anni, avvenuta nel carcere di Perugia il 14 ottobre scorso un giorno e mezzo dopo il suo arresto per la coltivazione di alcune piante di canapa indiana intorno a casa sua. È la conclusione cui sono giunti i medici legali Anna Aprile e Luca Lalli consulenti della procura della repubblica, che oggi hanno depositato la loro perizia. Sulla morte è in corso una inchiesta, coordinata dal sostituto procuratore Giuseppe Petrazzini, nella quale è indagato un agente di custodia per omissione di soccorso ed omissione di atti di ufficio. Per fare luce sulla morte del detenuto si era anche costituito a livello nazionale un "Comitato verità per Aldo".

Secondo i legali della ex moglie di Bianzino e della compagna, gli avvocati Massimo Zaganelli, Donatella Donati e Cistina Di Natale, che si avvalgono della relazione del perito Valter Patumi, è impossibile, però, per il tipo di lesione cerebrale che aveva, che Bianzino quella notte non avesse chiesto aiuto. Quella lesione cerebrale, infatti, secondo il medico legale, ha come conseguenza un mal di testa dolorosissimo che dura diveso tempo prima di provocare la perdita della coscienza. Secondo le famiglie del falegname tifernate, dunque, Aldo Bianzino poteva essere salvato se qualcuno avesse risposto alle sue richieste d’aiuto.

La senatrice Franca Rame, moglie del premio Nobel per la letteratura Dario Fo, ha annunciato, intanto, la sua intenzione di dare vita a un grande spettacolo teatrale, i cui proventi saranno devoluti interamente ai figli ed alla compagna di Bianzino, Roberta Radice.

L’ipotesi iniziale maturata circa le cause della morte di Aldo Bianzino era stata di un malore ma l’autopsia aveva poi evidenziato alcune lesioni sospette e la procura perugina ha aperto un fascicolo per omicidio a carico di ignoti per chiarire la vicenda.

Da quanto emerge dalla relazione depositata questa mattina dai consulenti del pm, la morte del falegname avvenne a causa di aneurisma cerebrale mentre alla milza non sarebbero state riscontrate lesioni. Spiegazioni plausibili ci sarebbero anche per le lesioni riscontrate al fegato, mentre nessuna lesione, a differenza di quanto era emerso inizialmente, avrebbe interessato le costole.

Giustizia: ma il Comitato "Verità per Aldo" non si arrende...

 

Comunicato stampa, 2 febbraio 2008

 

Verità per Aldo Bianzino! Sono ormai passati più di tre mesi da quando Aldo Bianzino è morto nel carcere di Capanne e da quando più di duemila persone sono scese in piazza per chiedere verità e giustizia per una morte tanto assurda. A casa di Aldo sono state ritrovate alcune piante di marijuana che coltivava per uso personale, ciò nonostante è stato trattato come un pericoloso criminale, arrestato e portato in una cella d’isolamento nel carcere di Capanne, dal quale non è più uscito vivo.

In un primo momento, le cause della sua morte sembrano essere piuttosto chiare, dopo pochi giorni trapela la notizia di un omicidio avvenuto in carcere. Dalle dichiarazioni del primo medico legale che ha fatto l’autopsia sul corpo di Aldo emerge con chiarezza l’ipotesi di una morte causata da percosse che avrebbero provocato ematomi al cervello, distaccamento del fegato, lesioni alla milza e costole rotte. La notizia fa il giro di tutti i giornali locali e subito dopo anche dei media nazionali, l’ipotesi del pestaggio resta per diverso tempo la più accreditata.

L’attenzione dei media sul caso di Aldo Bianzino cala progressivamente, oscurata dalla notizia dell’omicidio avvenuto a Perugia della studentessa inglese Meredith Kercher, un evento ben più vendibile, costruito per soddisfare la morbosità di tanti lettori. Sull’onda mediatica la risposta delle istituzioni è sfociata in misure repressive e di ordine pubblico con veri e propri rastrellamenti che ricordano scenari d’altri tempi, mentre è assordante il loro silenzio sulla vicenda di Aldo. Il caso di una morte avvenuta all’interno delle mura domestiche sembra essere più facile da gestire rispetto a quello di una morte in carcere, luogo simbolo della sicurezza dello Stato, sicuro da morire! verrebbe da aggiungere.

Da questo momento in poi le indagini su quanto avvenuto a Capanne prendono un’altra direzione, si comincia a parlare di possibile morte naturale. Si profila così un nuovo scenario, costruito ad hoc attraverso una serie di passaggi che tendono chiaramente ad insabbiare quanto è realmente successo tra il 13 e il 14 di Ottobre nel carcere di Capanne. Sappiamo bene che si tratta di una vera e propria strategia e che le ultime fuorvianti ipotesi potrebbero portare all’archiviazione del caso. Ora più che mai è necessario far sentire la nostra voce. Affinché la morte di Aldo non passi sotto silenzio! Affinché sia fatta luce su quanto accaduto! Perché di carcere non si può morire! Perché in carcere non si deve finire!

 

Il Comitato Verità per Aldo

Giustizia: Sinappe; morte Bianzino non fu causata da percosse

 

www.spoletonline.com, 2 febbraio 2008

 

Le considerazioni di Massimo Ceppi, del Sinappe, dopo le deduzioni del medico legale. Oggi apprendiamo finalmente le deduzioni della perizia medico-legale sul corpo del povero Bianzino. Ieri, per l’appunto, è stata deposita in Procura la relazione conclusiva dei periti incaricati. La causa del decesso non è da addebitare a percosse, lesioni volontarie e quant’altro ma ad un aneurisma celebrale, malattia terribile per la quale si era già da tempo, con varie indiscrezioni ventilata l’ipotesi. Niente costole rotte e milza lesionata.

Quindi, per buona pace di molti personaggi benpensanti anche noti del panorama regionale e nazionale, filosofi radical-chic, studiosi delle teorie del complotto e dell’insabbiamento, che da subito a priori hanno sposato la causa dell’omicidio di stato, del brutale pestaggio, che hanno descritto l’istituto penitenziario di Perugia, percorrendo fantasie hollywoodiane, come prigione alla Alcatraz, questa volta (come per altre volte) devono fare non uno, ma molti passi indietro. Con loro rammarico sta emergendo la verità, quella vera non quella voluta. Chissà se ora si limiteranno, parafrasando, al "silenzio assordante", oppure qualcuno dignitosamente farà mea culpa.

Ripetendo quello che con forza avevamo già in precedenza scritto, noi non cerchiamo di nascondere nulla, quello che chiediamo e auspichiamo e solo la verità e la prudenza nell’emettere giudizi prim’ancora che sia la magistratura a farlo, evitando congetture preconcette senza la minima cognizione di causa, magari condite da fantasie stereotipate, in barba al garantismo sbandierato continuamente e poi dimenticato in casi come questo, nel quale è un istituzione dello stato sul banco degli accusati, un’istituzione fatta di migliaia di uomini e donne che quotidianamente svolgono il loro lavoro con l’umiltà di chi è servitore dello stato e la serenità di chi ha la coscienza pulita.

 

Massimo Ceppi

Segretario Provinciale Sinappe Perugia

Sindacato Nazionale Autonomo Polizia Penitenziaria

Bologna: carceri dell'Emilia-Romagna, sporche e sovraffollate

 

Dire, 2 febbraio 2008

 

È passato solo un anno e mezzo dall’indulto. E le carceri dell’Emilia-Romagna sono di nuovo piene. Anzi: un terzo dei detenuti non dovrebbe essere lì. Ma c’è. E le 3.600 persone rinchiuse negli istituti penitenziari (che hanno una capienza regolamentare di 2.400 posti) vivono in edifici fatiscenti e in condizioni igieniche borderline al punto che dietro le sbarre sopravvivono "malattie altrove scomparse", come ad esempio la tubercolosi. Spesso poi non sono nemmeno condannati in via definitiva: 2.253 sono imputati e 975 condannati. Insomma, le 13 carceri presenti in Emilia-Romagna sono da vari punti di vista "in grande difficoltà". Un esempio su tutti la situazione di Bologna, 1.057 detenuti per 483 posti di capienza regolamentare. L’effetto dell’indulto "è svanito - dice l’avvocato Desi Bruno, garante dei diritti delle persone private della libertà personale - senza che siano state poste in essere le misure di riforma necessarie". Ed infatti la maggior parte delle persone rinchiuse ha commesso (o è accusata di aver commesso) reati legati alla droga o contro il patrimonio.

Qualcosa comunque a Roma si è mosso prima della crisi di Governo. Proprio nell’ultima legge Finaziaria, alcune norme "hanno finalmente assegnato alle Regioni la piena titolarità dell’assistenza sanitaria in carcere", dice il consigliere regionale del Pd Gianluca Borghi, primo firmatario di un progetto di legge ad hoc. Il documento, che da poco ha ottenuto il via libera dalla Commissione regionale Sanità, se approvato dall’Assemblea consentirà a viale Aldo Moro di intraprendere "iniziative strutturali - spiega Borghi - nell’ambito sociale, sanitario, della formazione e di maggior tutela delle donne detenute".

Tra il Po e l’Adriatico sopravvive dunque una realtà carceraria "pesante", come testimoniano i dati diffusi dallo stesso Borghi e ricavati dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Situazione che ricade anche sulla condizione di lavoro di coloro che operano a contatto con queste strutture come gli agenti di Polizia Penitenziaria. Proprio un loro sindacato, il Sappe, ha rilanciato l’allarme carceri rivolgendosi al capo dello Stato Giorgio Napolitano, dopo il suicidio di un loro collega a Ferrara (a livello nazionale è il quinto in poco più di un mese).

I numeri dunque parlano chiaro: a Bologna, i detenuti non dovrebbero superare le 483 unità: in realtà dall’ultima rilevazione (30 novembre 2007) i carcerati erano 1.057, più del doppio. Ma il congestionamento della Dozza non è un caso isolato. A Ferrara i carcerati sono 327 (dovrebbero essere 228), a Forlì 189 (il limite regolamentare è di 135) e a Modena 395 (222 posti di capienza massima).

E l’elenco prosegue con i 271 in carcere a Piacenza (non potrebbero essere di più di 178), i 133 detenuti di Ravenna (a fronte di una capienza di 59 persone) e i 147 di Rimini (dove dovrebbero essere al massimo 122). A Reggio Emilia sia la Casa circondariale che l’Opg soffrono del problema sovraffollamento: nella prima ci sono 247 persone (la capienza, sulla carta, è di 161) e nel secondo sono 267 (129 consentiti). Infine nella casa di reclusione per minorati fisici di Parma sono tenute 327 persone (e non potrebbero essere più di 303). A conti fatti sono a norma solo la "Casa lavoro" di Castelfranco Emilia e il penitenziario di Parma. Tra la popolazione carceraria emiliano - romagnola è schiacciante la presenza di uomini: su 3.600 sono 3.468, le donne sono 124 concentrate sotto le Due Torri (48%).

Genova: Mazzeo; carcere Marassi non è tra peggiori d’Italia

 

Lettera alla Redazione, 2 febbraio 2008

 

Egregio direttore, nel suo notiziario del 1 febbraio 2008 leggo che l’Istituto di Marassi viene indicato fra i peggiori d’Italia e accostato ad istituti fatiscenti e degradati. Non è dato conoscere gli indici di valutazione, ma francamente ritengo che l’autore dell’articolo probabilmente ha dei ricordi lontani e sfumati.

Per chiarezza e per corretta informazione, le chiedo di rettificare l’articolo contestato, perché Marassi è un istituto moderno, ristrutturato alla fine degli anni 90, con cancelli automatici, una cucina modernissima, un Centro Clinico attrezzato, con celle arredate e con bagni separati. L’Istituto è pulito, decorosissimo, e mi consenta anche all’avanguardia sotto il profilo trattamentale. Non basterebbero dieci pagine per descrivere i numerosi progetti trattamentali e le numerose attività organizzate, per cui le cito le più significative.

Esiste una panetteria gestita da detenuti che fornisce importanti supermarket locali; abbiamo una falegnameria; abbiamo realizzato nel laboratorio odontotecnico diverse protesi mobili dentarie per detenuti indigenti; abbiamo creato una compagnia teatrale che ha effettuato diverse rappresentazioni in due prestigiosi teatri genovesi; abbiamo realizzato nel laboratorio di grafica una guida della città; abbiamo organizzato - esperienza unica in Italia - un progetto di raccolta differenziata, con i consorzi del settore.

Presso il centro clinico il progetto A27 si occupa del fenomeno dell’Hiv e ricerche scientifiche nel settore sono state inviate all’ufficio sanitario del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Oltre 250 detenuti frequentano giornalmente le scuole di ogni grado e i corsi professionali fra cui quello di grafica e di odontotecnico. Abbiamo realizzato con l’università dell’Ecuador un Polo Scolastico per i detenuti ecuadoriani. Mi fermo qui ma posso mandarle tutte la documentazione delle altre numerose attività svolte.

Quella classifica offende quindi l’impegno e il lavoro svolto da tutti gli operatori penitenziari di Marassi e pertanto le chiedo di pubblicare tale articolo per una doverosa rettifica.

 

Mazzeo Salvatore

Direttore dell’Istituto di Marassi

Brescia: Canton Mombello, un carcere "incivile" e da chiudere

 

Giornale di Brescia, 2 febbraio 2008

 

Si riapre il dibattito dopo una lettera scritta dal Garante dei detenuti alla Presidente del Consiglio Comunale, che ha suscitato l’interesse del deputato di An Saglia. L’Amministrazione Comunale e il Garante Mario Fappani in cerca di fondi per il "Nuovo Canton Mombello". L’assessore Venturini: "Il penitenziario è stato inserito fra le criticità nel nuovo Pgt".

La Casa Circondariale di Canton Mombello è vecchia e fatiscente. Una recente classifica la mette al terzo posto tra le carceri peggiori d’Italia dopo Favignana (isole Egadi) e Regina Coeli (Roma). In città si parla da tempo di "emergenza carceraria", e ora si chiede una nuova struttura penitenziaria a Verziano. L’idea non è nuova, ma adesso i tempi sembrano maturi. A sollevare il problema è stato nei giorni scorsi Mario Fappani, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale. Il suo appello ha trovato terreno fertile in Loggia, e pure il deputato di An Stefano Saglia ha messo un nuovo carcere nel suo "Patto per la Giustizia" lanciato qualche giorno fa.

Intanto, la gestazione del Pgt (il Piano di Governo del Territorio che sostituirà il Prg) procede a ritmo serrato, per arrivare all’adozione prima della scadenza amministrativa di primavera. E anch’esso affronta il problema con l’indicazione programmatica di una nuova struttura a Verziano. Tutto sembra convergere. D’altronde, già un anno fa il sindaco Paolo Corsini, in occasione del Consiglio comunale a Canton Mombello - ricorda Fappani - si era detto "disponibile a indicare al ministero un’area vicina al carcere di Verziano, che con una trasformazione urbanistica potrebbe essere destinata a servizi sociali".

Ci vorrà tempo e denaro, tuttavia, e la situazione attuale è di grave emergenza. Fappani ha esplorato la possibilità di un allargamento nella caserma del Distretto militare, lì di fronte, "ma l’Esercito se l’è riservata - spiega - e non può essere acquisita dal Comune". Sarebbe servita come soluzione provvisoria per i detenuti in semilibertà, "mal sistemati in un’ala del terzo piano". Avrebbe potuto funzionare bene pure da alloggio per gli agenti di custodia. Ora sono sistemati a Villa Paradiso di via Ziziola, nei pressi del Palatenda, ma una direttiva ministeriale impone che trovino posto in un edificio pubblico.

Nei giorni scorsi Fappani ha scritto una lettera alla presidente del Consiglio comunale Laura Castelletti, in vista della seduta in cui presenterà la sua relazione sulla situazione carceraria bresciana dall’indulto a oggi. Castelletti ha girato ai capigruppo quella lettera in cui Fappani denuncia una situazione "al limite della civiltà" e chiede alla Loggia di sollecitare il Governo affinché stanzi fondi per il nuovo carcere.

Non sarà facile. La Finanziaria 2008 stanzia 80 milioni di euro, ma non mette Brescia tra le priorità. Quindi ci vorranno altri fondi. "Nel nostro programma di governo - annuncia Saglia - porremo attenzione all’edilizia penitenziaria, e la futura amministrazione della città dovrà prendere a cuore la questione, per cercare risorse economiche con il ministero della Giustizia".

Quanto all’area, il Piano dei servizi del Pgt impone una ricognizione dell’esistente, la segnalazione delle criticità, la proposta di nuovi servizi. E "tra le criticità - sottolinea l’assessore all’Urbanistica Mario Venturini -, abbiamo inserito in primo luogo Canton Mombello, con l’indicazione programmatica per la costruzione di una nuova struttura a Verziano". Il progetto verrà di conseguenza, e probabilmente - aggiunge Castelletti - interesserà un terreno degli Spedali Civili. Ma l’area sembra l’ostacolo minore.

 

204 posti letto, 480 presenze

 

Il Garante per i diritti dei detenuti Mario Fappani si appresta a presentare al Consiglio comunale la situazione carceraria bresciana dall’indulto a oggi. La sua relazione dipingerà un quadro di assoluta emergenza. Tra l’altro dirà che a Canton Mombello "ci sono mediamente 450 presenze, quando il Ministero dice che i posti letto dovrebbero essere 204 e quelli tollerabili 286".

Se tra le novità recenti Fappani deve cercare qualcosa di buono lo trova nella Finanziaria 2008 che "sancisce il passaggio della Sanità penitenziaria molto carente al Servizio sanitario nazionale". A Brescia ha reso già possibile "una bozza di carta dei servizi sanitari carcerari che potrebbe essere la base per il trasferimento delle funzioni".

Ma c’è altro da correggere nel pianeta carceri bresciano, soprattutto sul fronte della rieducazione: "Se non si mettono in atto iniziative vere di riabilitazione, interventi di affiancamento temporaneo nel passaggio dal carcere al reinserimento nella società - sottolinea -, la percentuale di chi torna a delinquere resterà alta".

Le statistiche dicono che quanti tornano in libertà senza una famiglia dove andare, "nel 70 per cento dei casi diventano recidivi, mentre chi viene accompagnato con arresti domiciliari, semilibertà, affidi sociali, nei sette anni successivi ha una recidiva del 19 per cento".

È un dato che per il Garante dovrebbe far riflettere tutti, sia chi è più sensibile ai problemi del recupero anche attraverso la detenzione, sia chi pensa che si debba guardare solo all’utilità della pena. Rieducare conviene in ogni caso.

La Loggia, per parte sua, con un emendamento al Bilancio - spiega la presidente del Consiglio comunale Laura Castelletti -, "ha stanziato 50 mila euro in più per dare un contributo di maggiore attenzione al carcere". Ma a Canton Mombello - aggiunge il deputato di An Stefano Saglia pensando alla sua esperienza di assessore provinciale - esiste un grave problema di spazi: "Non si può lavorare nonostante le cooperative si offrano, la formazione è limitata, in definitiva non c’è possibilità di rieducazione". E si torna punto e a capo.

 

Edificato a fine 800, aperto dal 1917

 

Canton Mombello è un carcere di fine Ottocento, entrato in esercizio nel 1917. All’esterno appare in buono stato di manutenzione. Dalle diverse visite parlamentari, risulta che all’interno i reparti mostrano tutti i segni dell’età, in particolare nei servizi. È un edificio "panottico", costituito da una rotonda interna da cui partono due raggi di quattro piani ciascuno (nord e sud). Ogni sezione ha una dozzina di celle di diverse dimensioni, da 9 a 18/20 metri quadrati.

Il bagno è interno alle celle, separato da un tramezzo, è dotato di turca e c’è solo acqua fredda. Le docce sono nelle sezioni (3 o 4 per sezione) e possono essere usate durante il giorno. Nelle celle trova posto pure l’attrezzatura per cucinare (stoviglie, fornelletti). Per il passeggio ci sono due cortili in cemento, con una piccola fascia coperta; ciascuno serve quattro piani. Non ci sono impianti sportivi, ma esiste una palestra. Recentemente è stata ristrutturata la sala colloqui, che era ancora priva di vetro divisorio. Il carcere dispone di due cucine, alcuni locali sono adibiti ad aule scolastiche e laboratori. Altri locali ospitano infermeria, lavanderia, magazzini e uffici.

Brescia: ministero non paga stenotipiste, il tribunale si ferma

di Wilma Petenzi

 

Giornale di Brescia, 2 febbraio 2008

 

Il ministero della Giustizia non ha ancora pagato lo stipendio di dicembre. Stenotipiste in sciopero E il tribunale si ferma. Ieri mattina assemblea dei dipendenti Meeting Spa. Molte udienze previste aggiornate a nuova data.

Sono ancora in attesa dello stipendio di dicembre e ieri mattina hanno incrociato le braccia. Dalle 9 alle 12, orario caldo per le udienze, i lavoratori della Meeting Service Spa - la società che cura la stenotipia e la fonoregistrazione digitale delle udienze processuali - si sono riuniti in assemblea. Sono una decina, seguono le udienze in Tribunale a Brescia e con l’assemblea di ieri mattina qualche disagio l’hanno creato.

Il tribunale si è praticamente bloccato: buona parte delle udienze ha dovuto essere aggiornata a una nuova data, non essendo presente l’operatore che fa funzionare la registrazione. Anche l’udienza del processo a Bruno Lorandi, rinviata peraltro per un problema familiare di un giudice popolare, sarebbe saltata per l’assenza della stenotipista che ad ogni udienza trascrive in tempo reale tutto quello che viene detto in aula: un lavoro immane, che consente alle parti di avere a disposizione le dichiarazioni di testi e consulenti e di rivedere le domande dell’accusa e della difesa.

Lo stipendio ai verbalizzanti degli atti giudiziari è versato, ovviamente, dalla società di Padova, ma alla Spa i soldi arrivano dal Ministero della Giustizia. E dal ministero non è stato inviato nulla. Morale: i dipendenti della società sono in stato di agitazione. Sperano di essere saldati al più presto. In caso contrario stanno valutando ulteriori forma di protesta che, come conseguenza, aumenteranno ulteriormente i tempi già lunghi della giustizia.

"Ancora una volta - si legge in una nota delle Rsu Meeting Service Spa - gli operatori addetti alla verbalizzazione degli atti giudiziari si trovano a scontare sulla propria pelle l’inefficienza, la burocrazia e la lentezza del Ministero della Giustizia. I dipendenti della Meeting Service spa di Padova a causa del ritardo dei mandati di pagamento da parte del Ministero di Giustizia a tutt’oggi non hanno percepito lo stipendio del mese di dicembre 2007 e si trovano costretti a fare i conti con prospettive future di assoluta incertezza e negatività".

Per i lavoratori la situazione è molto grave: "La discontinuità nel riconoscimento economico del servizio svolto dalle aziende del settore ha generato continue difficoltà, l’impossibilità di attuare strategie imprenditoriali di incentivazione del mercato del lavoro e rischia di interrompere un servizio pubblico essenziale per la giustizia".

Lanciano: appello dei detenuti, chiedono che l'educatore resti

 

Il Tempo, 2 febbraio 2008

 

Un appello al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, al Provveditorato della stessa Amministrazione e al Magistrato di Sorveglianza, per chiedere che l’educatore Lucio Di Blasio - da 6 mesi in servizio provvisorio al carcere di Lanciano - non venga trasferito e possa continuare il suo lavoro a Villa Stanazzo.

Lo lanciano i detenuti della Casa Circondariale frentana, che hanno raccolto decine di firme all’interno dell’istituto di pena. "Negli ultimi tempi - scrivono i detenuti - il nuovo educatore ha provveduto a studiare un programma pedagogico che prevede numerose attività in più rispetto al passato: c’è un corso professionale per cuoco, un laboratorio teatrale, un laboratorio artistico dove è stato ad esempio realizzato il presepe esposto nelle scorse settimane all’auditorium Diocleziano di Lanciano".

Gli ospiti di Villa Stanazzo questa volta hanno scelto di presentare la loro istanza attraverso i canali ufficiali, evitando le manifestazioni di protesta che erano state promosse in altre occasioni. "L’educatore - continua la lettera - è di fondamentale importanza nel percorso rieducativo del detenuto. È con lui che ci si confronta per capire gli errori del passato ed è lui che ci fornisce gli strumenti per essere in grado di tornare a vivere nella società libera e normale una volta scontata la pena". Ora che l’incarico di Di Blasio sta giungendo al termine, i detenuti sono preoccupati di trovarsi di nuovo a fronteggiare i problemi con cui avevano dovuto convivere in precedenza.

Vasto: direttore del carcere e dirigente comunale? è polemica

 

www.cronacadabruzzo.org, 2 febbraio 2008

 

Potrebbe presto approdare in Consiglio comunale la vicenda della probabile nomina di Massimo Di Rienzo, direttore del carcere di Torre Sinello, a nuovo dirigente del Personale del Comune di Vasto. Non poche, infatti, sono le perplessità ed i dubbi a riguardo sollevati da alcuni consiglieri. E sono in particolare Riccardo Alinovi (Udeur), Guido Giangiacomo (Forza Italia) e Antonio Russi (indipendente) a chiedere chiarezza sulla questione, soprattutto alla luce di quello che il sindaco Luciano Lapenna annunciò nei mesi scorsi in merito alla riduzione delle figure apicali di dirigenti, all’interno della pianta organica comunale.

Il sindaco, intanto, non ha ancora ufficializzato la nomina di Di Rienzo, ma "voci di corridoio" a palazzo di città vogliono già sulla "buona strada" il progetto. In municipio sono complessivamente undici i settori, alcuni dei quali (Anagrafe, Personale, Sistema Informatico Comunale e Commercio) rimasti scoperti e dei quali si occupa, ad interim, il Direttore Generale del Comune Giacinto Palazzuolo. Una situazione che, secondo il primo cittadino, non può continuare ad andare avanti così. Da qui, dunque, la necessità di una nuova figura dirigenziale. Passaggi, però, non ancora ben chiari a diversi consiglieri comunali, in modo particolare di minoranza (Giangiacomo) e neo oppositori (Alinovi e Russi) che propongono di discuterne nell’ambito di una prossima riunione dell’assise civica cittadina.

Immigrazione: in Europa ogni anno venduti 600 mila schiavi

di Piero Sansonetti

 

Liberazione, 2 febbraio 2008

 

I dati terrificanti del Consiglio d’Europa. L’80% sono donne. Cosa c’è di liberale in questo liberismo? In Europa ogni anno vengono messi in vendita 600 mila schiavi. Questo dato è stato fornito non da una associazione politica o da una organizzazione di carità - le quali sono sempre sospettabili di faziosità - ma dalle autorità competenti dell’Unione Europea.

Per essere precisi, dal segretario generale del Consiglio d’Europa Terry Davis, con il massimo possibile di ufficialità. Davis non ci ha detto quale sia la cifra complessiva degli schiavi che circolano o transitano nei nostri paesi. Non è difficile immaginare che se ogni anno avvengono 600.000 "vendite", la cifra complessiva degli schiavi deve essere di alcuni milioni.

Non so quanti schiavi ci fossero in Europa prima della rivoluzione francese, o in America prima di Lincoln, ma non credo che il numero fosse molto più alto. L’ottanta per cento di queste persone sono donne. Le forme principali della schiavitù sono la schiavitù sessuale e i lavori forzati. Una parte minore del traffico di esseri umani è destinato al commercio di organi da trapiantare e alle adozioni illegali.

Secondo le autorità europee la compravendita degli schiavi è diventata, insieme al commercio di armi e di droga, la principale fonte di ricchezza per la malavita internazionale. È una attività che porta a foltissimi movimenti di denaro, che incidono profondamente e interferiscono con il normale funzionamento delle economie dei paesi europei.

Spostando, e dominando, ricchezze e forza lavoro. Non riesco a capire in che modo si potrebbe considerare questa notizia meno che sconvolgente. Naturalmente sapevamo che la schiavitù è un fenomeno tutt’altro che cancellato nel mondo. Però non potete negare che trovarsi di fronte a queste cifre e scoprire che nell’occidente moderno e civilissimo esista un numero così forte di schiavi e che la schiavitù abbia ancora un peso cosi significativo nelle relazioni economiche, trovarsi di fronte a una realtà così cruda, fornita da fonti assolutamente autorevoli, provoca una specie di shock.

Quale riflessione si può fare? È inevitabile ragionare sulla struttura dei nostri sistemi politici e sociali. Si può discutere finché si vuole sugli aspetti positivi e liberali del capitalismo e dell’ideologia neoliberista; si, può affermare, saggiamente, che la libertà (valore principe del capitalismo) è ancora più importante dell’uguaglianza (valore principe del socialismo e della sinistra); ma di fronte a queste cifre bisognerà prendere atto che nel sistema liberista moderno la "quota" di liberalità è sempre più ridotta. n suo sviluppo non sta portando ad un aumento del grado di libertà a disposizione della collettività, ma ad una drastica riduzione, che oltretutto sembra inarrestabile.

Vedete, quando si parla di un problema come quello della. schiavitù, la questione della libertà e quella dell’uguaglianza si mescolano e diventano indistinguibili. La schiavitù è la massima negazione dell’uguaglianza, perché stabilisce un legame di possesso di una persona su un’altra; ma è anche - nel suo termine stesso - la totale negazione della libertà. E quando la schiavitù, da fenomeno marginale - drammatico ma storicamente ininfluente - assume queste dimensioni, è chiaro che tutto il modello politico viene messo in discussione.

Non perché non assicuri uguaglianza, anzi sia basato sull’aumento delle disuguaglianze. Ma perché produce drammatici fenomeni "illiberali". Totalmente illiberali. Nel liberismo moderno il mercato ha del tutto soppiantato la libertà, facendo perdere a quel modello ogni sua forza moderna e trainante, ogni qualità ideale o culturale. Non è questo un problema che dovrebbe investire in pieno non solo le sinistre - per le quali la condanna e l’indignazione è automatica - ma anche le correnti cristiane e liberali del pensiero europeo?

Invece non è così. A differenza di vent’anni fa, le espressioni politiche del centrismo liberale e cristiano e - in parte - persino del riformismo socialdemocratico, si sono fatte completamente assorbire dal’ideologia liberista, ne sono subalterne, e hanno rinunciato ad ogni possibilità di critica e di rivolta. Il segretario generale del Consiglio di Europa Terry Davis ha fatto notare che l’Europa, per fronteggiare questa situazione tragica e incivile, ha preso delle contromisure.

Ha varato una Convenzione, che certo non risolerà il problema, ma che almeno fornisce alcuni strumenti per combattere la piaga della schiavitù, specie della schiavitù sessuale. Per esempio delle misure che garantiscono agli schiavi, una volta che vengono liberati, un piccolo risarcimento: la non espulsione immediata (visto che quasi tutti gli schiavi sono clandestini, e le leggi che impongono loro la clandestinità sono il principale strumento di potere degli schiavisti).

Questa convenzione, per diventare legge, ed essere applicata, ha bisogno dell’approvazione dei Parlamenti. Molti parlamenti europei l’hanno approvata. C’è un paese però che finora ha rinviato la decisione. Sapete qual è? L’Italia. Non vi sembra che sia una vergogna?

Droghe: Firenze; con la crisi economica più consumo di eroina

 

Notiziario Aduc, 2 febbraio 2008

 

"La crisi economica, la mancanza di liquidità sta spingendo sempre più i consumatori di droga a orientarsi verso l’eroina, uno stupefacente più a buon mercato rispetto alla cocaina". È l’analisi del prefetto di Firenze, Andrea De Martino, che oggi ha incontrato la stampa per fare il punto sull’allarme eroina, lanciato ieri dalla Guardia di Finanza fiorentina. Per supportare la sua analisi il prefetto ha fornito le cifre dei sequestri di stupefacenti eseguiti dalle forze dell’ordine in Toscana tra il 1 aprile e il 31 dicembre 2007.

Dati che parlano da soli: 138 i chili di cocaina sequestrati, a fronte di 72 chili di cocaina. La droga più consumata continua a essere l’hashish (213 chili sequestrati), seguito dalle anfetamine (152 chilogrammi), mentre i chili di marijuana sequestrati ammontano in totale a 21. "Hashish e eroina costano di meno rispetto alla cocaina e in un periodo di crisi economica generalizzata anche gli assuntori di droghe si stanno orientando verso sostanze più a buon mercato".

Aumenta anche il numero dei minori, dei ventenni e degli adulti che assumono sostanze stupefacenti. Tra i 1112 consumatori generici di droga segnalati alla Prefettura di Firenze nel 2007, 60 sono minorenni, 280 nella fascia di età 18-25 anni, 138 quelli tra i 31 e i 40 anni e 48 gli over 40.

"È un segnale che ci deve far riflettere. Gli ultraquarantenni che venti, trenta anni fa prendevano droghe, hanno una diversa visione del problema e anche i figli possono in un certo senso essersi assuefatti, nel senso che hanno una minore percezione della pericolosità, sociale e a livello di salute fisica, che l’assunzione di droga comporta".

Da qui l’invito del prefetto di Firenze a "una reazione da parte delle famiglie, della scuola, del mondo dell’associazionismo laico e religioso. La sola repressione del fenomeno, pur importante, non è sufficiente a stroncare il consumo di stupefacenti tra i minori, per cui - ha concluso - serve la collaborazione di tutti i soggetti sociali coinvolti".

Droghe: Torino; An propone il "kit" antidroga per le famiglie

 

Notiziario Aduc, 2 febbraio 2008

 

Fornire gratuitamente un kit antidroga alle famiglie in cui siano presenti giovani nelle fasce di età a rischio, in modo che i genitori possano controllare l’eventuale assunzione di droghe da parte dei figli. Proposta già accolta in Comuni come Crema, dove solo una dozzina di famiglie hanno poi ritirato il kit. È la proposta viene da Torino, dall’esponente di An Agostino Ghiglia, che annuncia la presentazione di mozioni in Regione Piemonte e al Comune.

"La spaventosa e crescente diffusione delle droghe di sintesi e il consumo crescente di sostanze tossiche da parte dei minori impone un salto di qualità nella prevenzione. Tutti siamo contro la droga ma nessuno si batte più in prima persona e sovente si ha paura di esercitare quell’autorevolezza e quell’autorità che il diritto naturale prima che le leggi, pongono in capo ai genitori. Il test non può sopperire alla carenza di un dialogo o di un rapporto familiare ma è comunque uno strumento di controllo con cui coinvolgere anche chi vi si sottopone".

"Il fatto di indurre un minorenne a misurarsi con un test antidroga non significa necessariamente farlo in segreto, ma piuttosto avere il coraggio di coinvolgerlo, attraverso il dialogo, la persuasione, e solo alla fine l’obbligo. Occorre individuare le forme migliori attraverso le quali coinvolgere i giovani e le loro famiglie in una battaglia che, lungi dall’essere soltanto etica, sta diventando una grande lotta di prevenzione contro un’ emergenza sociale legata a un mercato della morte sempre più invasivo, pericoloso e diversificato".

Droghe: Torino; repressione non può essere l'unico intervento

 

Notiziario Aduc, 2 febbraio 2008

 

Dichiarazione di Domenico Massano (Associazione Radicale Adelaide Aglietta): Il nuovo prefetto si propone di ripercorre le strade vecchie con cui si è affrontato e si continua ad affrontare il fenomeno della tossicodipendenza a Parco stura: reprimere e ripulire. Questo binomio che sino ad oggi si è rivelato fallimentare come strategia elettiva ed esclusiva di intervento, sembra voler ridurre le persone tossicodipendenti, che quotidianamente vivono nel dramma di questo luogo, alla stregua di rifiuti umani da ripulire o di delinquenti cronici da internare.

Ricordiamo che anche queste persone sono cittadini di cui ci si deve occupare definendo ed attuando politiche inclusive, capaci di governare un fenomeno complesso, quello della tossicodipendenza, che troppo spesso viene ridotto a problema risolvibile esclusivamente con interventi di tipo repressivo. A livello internazionale si è ormai affermata la politica dei quattro pilastri per il contrasto alle dipendenze: lotta al narcotraffico, prevenzione, cura e riabilitazione e riduzione del danno.

Un intervento di "polizia" come quello proposto dal Prefetto se non viene accompagnato da politiche sociali capaci di offrire alternative, capaci di governare il fenomeno della tossicodipendenza, non avrà altro esito che spostare altrove il problema, creando nuovi ghetti, nuovi contesti capaci solo di ridurre le persone tossicodipendenti in condizioni di marginalità e deprivazione sempre più estreme.

È preoccupante che questa linea d’azione venga proposta subito dopo la bocciatura in Consiglio comunale della mozione che proponeva la sperimentazione di almeno una sala del consumo a Torino, un’iniziativa di riduzione del danno che avrebbe rappresentato una buona mediazione tra i bisogni dei cittadini residenti, permettendo il recupero e la tutela degli spazi urbani, ed i bisogni dei cittadini tossicodipendenti offrendo loro un’alternativa alla situazione di degrado e pericolo cui sono costantemente esposti.

Invitiamo il Prefetto, se vuole affrontare realmente il problema e non semplicemente spostarlo altrove per riaffrontarlo in seguito, a discutere delle possibilità di intervento oltre che con il questore ed i responsabili dell’Arma, anche con i servizi socio sanitari, in particolare con quelli di riduzione del danno, e di confrontarsi con altre esperienze europee, come quella di Francoforte, in cui la strada concertata tra forze di polizia e servizi socio sanitari ha permesso la realizzazione di sale del consumo e di nuovi servizi di riduzione del danno che hanno reso possibile interventi efficaci ed inclusivi, capaci di rispondere ai bisogni di tutti, nessuno escluso.

 

 

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