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Giustizia: Turco; il S.S.N. è pronto ad occuparsi dei detenuti
Redattore Sociale, 29 febbraio 2008
Il ministro della Salute interviene a un convegno a Firenze: "Adesso aspettiamo il decreto attuativo". Focus sulle carceri toscane: manca un budget che assicuri qualità e continuità dell’assistenza. Suicidi in calo. "Il Sistema sanitario è pronto al passaggio delle competenze riguardanti l’assistenza sanitaria ai detenuti". Con queste parole il ministro della Salute Livia Turco ha aperto il suo intervento al convegno nazionale in corso a Firenze su "La salute dei detenuti e degli internati nel servizio sanitario nazionale". "Dobbiamo ringraziare anche le associazioni - ha continuato il ministro Turco - che ci hanno sostenuto in questo passaggio di consegne dal ministero della Giustizia a quello della Salute. Abbiamo già predisposto le linee guida e le risorse necessarie, adesso aspettiamo il decreto attuativo per dar corso a una riforma che migliorerà la prevenzione, gli interventi d’urgenza e la continuità assistenziale in carcere". Al convegno è intervenuto anche il vice capo del dipartimento di amministrazione penitenziaria, Armando D’Alterio, che ha posto l’accento sulla particolare condizione del detenuto malato: "Stiamo tentando di risolvere la pesante situazione di questo tipo di detenuti - ha spiegato - con un’azione su più punti: innanzitutto migliorando l’accoglienza, con un’assistenza medico-psicologica migliore e soprattutto cercando di dare piena attuazione al regolamento penitenziario". Ciò implica, ha proseguito D’ Alterio, la necessità di un miglioramento edilizio. "Adeguare le celle significherebbe, nei lavori di ristrutturazione, ricavarne solo due da tre iniziali:questo implicherebbe una diminuzione di ricettività, che ora non siamo in grado di affrontare. Abbiamo il grande limite della mancanza di fondi per l’edilizia penitenziaria". D’Alterio ha anche ricordato come attualmente sia in corso un progetto per eliminare le barriere durante i colloqui, sostituendole con tavolini: "Siamo al 50 per cento dell’opera, entro un anno contiamo di adeguare tutte le strutture". Altro problema su cui si è posto l’accento durante il convegno, quello dei detenuti tossicodipendenti: "Attualmente sono 22 mila, circa il 30 per cento del totale - ha spiegato D’Alterio - e in crescita costante: è un tema alla nostra attenzione, che speriamo di poter affrontare con il passaggio di competenze alle regioni". In leggera diminuzione invece, come è stato spiegato durante il convegno, il trend dei suicidi, passati dalla media di 80 all’anno di dieci anni fa, a quella attuale di circa 50-60. Una fotografia della situazione carceraria toscana è arrivata invece da Maria Pia Giuffrida, provveditore regionale all’amministrazione penitenziaria della Toscana: "Abbiamo il privilegio e la responsabilità di essere una regione rappresentativa, con una legge regionale valida, ma abbiamo un budget che non assicura la qualità e la continuità dell’assistenza medica" ha spiegato. "Non si può ancora parlare di sovraffollamento nelle carceri della regione - ha spiegato - ma dopo un anno siamo tornati a una situazione limite, con 3.300 presenze". Tra le priorità d’intervento segnalate dal provveditore toscano, quella degli investimenti strutturali: "Abbiamo ad esempio un problema rilevante nell’Opg di Montelupo: lì abbiamo superato la soglia limite di presenze ed è urgente recuperare posti agibili". Giustizia: Ass. Antigone; sono già 7.700 i detenuti "di troppo"
Redattore Sociale, 29 febbraio 2008
Sono 50.851 i reclusi nelle carceri italiane (al 21 febbraio), il 60% è in attesa di giudizio. Il 35% è straniero e il 23,4% tossicodipendente. Nelle carceri italiane ci sono più imputati che condannati. Ogni dieci detenuti sei sono in attesa di giudizio. Soltanto 20.190 dei 50.851 detenuti è stato condannato. Il 35% è straniero e il 23,4% tossicodipendente. Questi gli ultimi dati aggiornati del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, relativi al 21 febbraio 2008, presentati dall’Associazione Antigone. Nelle carceri italiane è di nuovo sovraffollamento. Ad oggi sono detenute 7.702 persone in più rispetto alla capienza. L’indulto aveva liberato più di 25mila persone. Così dai 61.264 detenuti del 30 giugno 2006 si era passati al minimo storico dei 33.326 nel settembre 2006. Ma le leggi sulle droghe, sull’immigrazione e sulla recidiva hanno continuato a far aumentare gli ingressi in carcere, con una incremento di 1.000 persone al mese. La capienza regolamentare di 43.149 posti è stata superata il 30 giugno 2007 con 43.957 presenze ed è continuata ad aumentare fino alle 48.693 unità del 31 dicembre e le oltre 50.000 del 21 febbraio 2008. Senza l’indulto - stima Antigone - saremmo oggi di fronte alla cifra record di 72.000 detenuti. Eppure il tasso di carcerazione in Italia è tra i più bassi in Europa: 94 detenuti ogni 100.000 abitanti. Meno di un terzo dei 321 dell’Estonia, che detiene il primato seguita da Lettonia, Lituania e Polonia. Ma anche molto meno della Spagna (146) o della Gran Bretagna (145). Un dato tipico della popolazione carceraria italiana è quello dei detenuti in attesa di giudizio: sono il 60%, 29.166 persone, più dei condannati, complice la lentezza dei procedimenti penali nel nostro Paese. Tra i condannati, il 29,5% sconta una pena per reati contro il patrimonio, il 16,5% contro la persona, il 15,2% per violazioni della legge sulle droghe, il 3,7% per reati contro l’amministrazione e il 3,2% per associazione mafiosa. Le donne rappresentano il 4% dell’intera popolazione carceraria. Per loro non vale il problema del sovraffollamento, visto che le detenute sono 2.278 su 2.358 posti disponibili. Tuttavia sono ancora 50 le detenute madri con bambini al seguito, di età inferiore ai tre anni. I detenuti stranieri sono il 35% della popolazione. Nel 1990 erano solo l’8%. Perlopiù si tratta di africani. Il 23,4% dei detenuti è tossicodipendente e il 4% in trattamento metadonico. Un altro 2% ha problemi di alcolismo. Per quanto riguarda la durata delle pene, il 31,9% dei detenuti sconta pene inferiori ai tre anni, che - sostiene Antigone - "potrebbero astrattamente usufruire delle misure alternative". Il 21,3% sconta pene tra i tre e i sei anni ed il 46,8% sconta pene di durata superiore. Giustizia: in Europa sovraffollamento carcerario è del 125%
Redattore Sociale, 29 febbraio 2008
Nella Ue la popolazione carceraria è aumentata costantemente in 23 Stati su 27. I maggiori problemi di sovraffollamento in Grecia, Spagna, Ungheria e Belgio. Sono circa 600.000 i detenuti ristretti nelle carceri dei paesi dell’Unione europea. Di questi, circa 131.000 sono in attesa di giudizio. Le donne rappresentano circa il 5% dell’intera popolazione carceraria. In media vi è un poliziotto penitenziario ogni 283 detenuti. Un dato opposto a quello italiano, dove il rapporto è di circa uno a uno. Nella Ue negli ultimi anni la popolazione carceraria è costantemente aumentata in 23 Stati su 27. Quattordici stati su 27 hanno superato il limite della capienza regolamentare. Il tasso di sovraffollamento vale in media 125%. I paesi con maggiori problemi di sovraffollamento sono la Grecia, con 168 detenuti ogni 100 posti disponibili, la Spagna (140%), l’Ungheria (137%) e il Belgio (118%). Tra i 14 paesi che non superano il limite della capienza regolamentare, il primato spetta alla Slovenia, seguita da Danimarca, Finlandia, Irlanda e Svezia. Che guarda caso sono gli Stati con il minore tasso di carcerazione dell’Unione europea, rispettivamente 65, 69, 71, 74 e 79 detenuti ogni 100.000 abitanti. Tassi che valgono meno di un quarto dei tassi dell’Europa orientale, con il primato di carcerazione che spetta all’Estonia (322 detenuti ogni 100.000 abitanti), seguita da Lettonia (285), Lituania (237), Polonia (230) e Repubblica Ceca (186). Nell’Europa occidentale il primato spetta al Lussemburgo (164) seguito da Spagna (146) e Inghilterra (145). L’Italia, al 21 febbraio 2008, ha un sovraffollamento del 117,8% a fronte di un tasso di carcerazione del 94,1%, in linea con la media europea. Ma in termini assoluti il nostro paese si pone al sesto posto per il numero di detenuti, dietro Polonia (88.647), Germania (79.156), Gran Bretagna (77.982), Spagna (64.120) e Francia (57.816). Giustizia: Ferrero; rischiamo la deriva verso lo "stato penale"
Dire, 29 febbraio 2008
"I dati diffusi oggi dall’Associazione Antigone sulla situazione carceraria italiana dimostrano non solo il superamento di qualsiasi soglia d’allarme ma anche una evidente crisi". Lo afferma il ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, secondo il quale di fronte "a dati che ci parlano di un 23,4% dei detenuti tossicodipendenti e di 35% di stranieri non ci si può non domandare se il carcere non sia chiamato oggi a risolvere le contraddizioni della società piuttosto che a favore il recupero sociale di chi ha commesso un crimine". Dinanzi a questo quadro, conclude il ministro, "è necessario interrogarsi sulla funzione reale della pena nel nostro Paese, e sanare le contraddizioni più evidenti attraverso forme alternative alla detenzione". Giustizia: Osapp; più dignità per i detenuti e un Prefetto al Dap
Il Velino, 29 febbraio 2008
Meno carceri, più dignità per il detenuto e un Prefetto al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria: lo chiede l’Organizzazione sindacale Autonoma di Polizia Penitenziaria (Osapp). "Quello che deve far riflettere non è tanto la lettura della situazione nelle carceri, di dibattiti e convegni ne abbiamo abbastanza, ma la responsabilità di chi le ha ridotte così che vorremmo fuori dal dipartimento il più presto possibile. O l’approccio ai problemi cambia, o arriveremo presto a 72 mila detenuti". È quanto denuncia il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, in occasione della giornata di mobilitazione europea indetta dai sindacati contro il sovraffollamento nelle carceri. "Sfogliando i programmi elettorali si nota spesso che risolvere la questione carceraria equivale a costruire nuovi carceri - spiega Beneduci - ma se non iniziamo a parlare di questione carceraria, e a pensare che il problema vero sia quello di liberare gli istituti e ridare dignità ai detenuti prendendo in considerazione la nomina di un Prefetto esterno alla guida del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, non arriveremo mai a intraprendere la strada delle decisioni coraggiose. I numeri li conosciamo tutti e ci compiace che adesso, anche i vertici delle organizzazioni confederali si accorgano di quanto sia grave l’emergenza - continua il segretario generale dell’organizzazione sindacale - dimenticando che queste stesse cose, l’Osapp le sta denunciando già da tempo. Ribadiamo con forza la necessità di un cambiamento epocale ai vertici dell’Amministrazione penitenziaria. Una figura, quindi, che non sia né un magistrato, e né organico ai problemi degli istituti, e che si contraddistingua - conclude - come segnale forte per affrontare, in via definitiva, il problema drammatico dei 51 mila detenuti e gli oltre 40 mila agenti di polizia penitenziaria". Giustizia: Ugl; garanzie per i medici e gli infermieri penitenziari
Ansa, 29 febbraio 2008
Il passaggio della medicina penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale previsto dalla riforma sanitaria rischia di gettare nel baratro oltre 500 addetti del settore. Lo sottolinea la Ugl Ministeri chiedendo garanzie per medici e infermieri che rischiano di diventare le "vittime di una riforma ideologica senza benefici ma con molti sacrifici". "Abbiamo chiesto ai ministri competenti - spiega il segretario, Paola Saraceni - il riconoscimento dell’anzianità di servizio svolto nell’amministrazione penitenziaria per l’assegnazione del competente livello retributivo, la possibilità di scegliere l’Asl di assegnazione per consentire l’avvicinamento al nucleo familiare, l’istituzione di un ruolo dei medici inserito nell’organico del personale civile del Dap. Le riforme non devono essere intese come uno strumento per danneggiare il personale". Giustizia: pm Grasso; noi magistrati siamo socialmente inutili di Salvo Palazzolo
La Repubblica, 29 febbraio 2008
"Noi magistrati ci sentiamo ormai lavoratori socialmente inutili - dice Piero Grasso, il procuratore nazionale antimafia - il problema della lentezza della giustizia è diventato cronico. Non è stata mai attuata quella parte di riforma dell’articolo 111 della Costituzione che prevede la ragionevole durata del processo, fissata dalla corte europea dei diritti dell’uomo in non più di sei anni. In realtà - Grasso fa una pausa - di misure per sveltire i processi ce ne sono diverse: gli imputati di mafia li utilizzano tutte. Fra rito abbreviato in primo grado, concordato in appello e benefici penitenziari, un capomafia può sperare di lasciare il carcere in cinque o sei anni".
Procuratore, qualche anno fa aveva proposto di eliminare il secondo grado del processo. Qualcuno si scandalizzò. "La mia proposta voleva essere provocatoria e paradossale, per sollecitare una soluzione. Ma comunque quell’idea ha un suo fondamento. In fondo, l’appello contrasta con il nostro ordinamento di tipo accusatorio anglosassone, perché non è altro che un secondo giudizio di merito, fondato nella maggior parte dei casi solo sull’esame delle carte. Si potrebbero dunque recuperare i giudici del secondo grado, per rafforzare i tribunali che troppo spesso si ritrovano con carenze d’organico. Ma all’epoca quella proposta fu lasciata cadere. La verità è che bisognerebbe riformare la giustizia nel suo complesso, perché una giustizia che funziona fa bene a tutta la società".
I processi continuano invece ad essere lunghi, i termini di custodia scadono inesorabili con scarcerazioni eccellenti e gli imputati di mafia sanno che potranno usufruire di sconti considerevoli. C’è il rischio che i successi ottenuti sul fronte della lotta a Cosa nostra perdano valore? "Purtroppo, continua a esserci una grande distanza fra i successi ottenuti sul piano della repressione e i momenti successivi: i dibattimenti hanno davvero tempi troppi lunghi. E ciò che ne va di mezzo è l’effettività della condanna. La deterrenza della pena sta ormai diventando un concetto troppo vago".
Già nei mesi scorsi hanno lasciato il carcere mafiosi di rango vicinissimi a Provenzano, da Pino Lipari a Tommaso Cannella, e sono stati già riarrestati perché avevano tentato di rinserrare le fila di Cosa nostra. La Procura nazionale ha fatto un monitoraggio delle scarcerazioni eccellenti? "Quelli sono solo i casi più eclatanti. Le cito il caso di un trafficante di droga che in astratto potrebbe essere condannato a una pena che va dai 21 ai 30 anni. Con l’abbreviato e il patteggiamento in appello ha ottenuto 8 anni. Dopo quattro di buona condotta, avrà anche i benefici previsti dalle norme penitenziarie. La Procura nazionale continua a fare periodicamente il monitoraggio sulle scarcerazioni e lo offre alla valutazione delle procure distrettuali e della commissione parlamentare antimafia".
L’indagine sul figlio di Salvatore Riina fu avviata dalla Procura di Palermo che lei all’epoca dirigeva. Quanto fu difficile entrare nei meandri di una nuova cosca che aveva relazioni con professionisti della città bene? "Le indagini furono fatte, come sempre, in tempi celeri, grazie al contributo determinante delle intercettazioni ambientali. In tempi brevi si è arrivati al processo. È la storia di molte inchieste di mafia, che quando escono dagli uffici inquirenti finiscono per scontrarsi con le difficoltà del processo".
Proposte di modifica per migliore la galassia giustizia ce ne sono tante in campo. Qualcuna le sembra più valida delle altre? "Tutte le parti politiche devono avere a cuore questi temi. Perché una giustizia che funziona aiuta alla soluzione di molti problemi sociali. Ad esempio, quando si colpisce l’evasione fiscale si recuperano soldi da destinare alla collettività. Quando si individuano i trafficanti di rifiuti, l’ambiente ne trae subito beneficio. E non dimentichiamo che non c’è solo la giustizia penale: dodici anni per vedere riconosciuti i propri diritti in un processo civile sono davvero troppi". Giustizia minorile: criminalità sempre più violenta e giovane
Redattore Sociale, 29 febbraio 2008
Utile la detenzione, ma il reinserimento è possibile se si punta su formazione e lavoro. Cavallo: "Il vero problema è che manca il limite: i bulli di un tempo sapevano quando fermarsi". Convegno a Verona dell’Istituto Don Calabria. La delinquenza di oggi è una delinquenza diversa rispetto a quella del passato: le baby gang, l’età degli autori di reato che si abbassa, la tipologia dei reati stessi dimostra che il mondo cambia anche in questo aspetto. Tuttavia i dati del crimine minorile in Italia non devono necessariamente far disperare: non siamo il Paese in Europa che se la passa peggio. A margine del convegno ospitato dall’Istituto Don Calabria di Verona la dottoressa Carmela Cavallo, a capo del Dipartimento per la giustizia minorile, commenta la situazione attuale: "Non siamo in condizioni gravi rispetto al resto d’Europa - esordisce -: la delinquenza non è in aumento, ma è sicuramente cambiata, fatta in gruppo, non più dal singolo individuo. È sicuramente più violenta, prevaricatrice, con un’età media degli autori di reato che di sicuro si è abbassata. L’incremento dei reati a sfondo sessuale si spiega con la facilità di reperire materiale pornografico che in qualche modo influenza negativamente il giovane". Qualche dato: nel 2006 la presenza media negli Istituti penali minorili è stata di 417,6 persone (il 12% in meno rispetto al 2005 per effetto dell’indulto). Di questi il 54% erano stranieri (perlopiù rumeni, marocchini, serbi) e l’89% maschi. Al Nord e al Centro gli stranieri sono più numerosi, mentre al Sud il dato si inverte. L’età prevalente è di 16-17 anni (nel 51% dei casi) e la maggioranza (63%) in attesa di primo giudizio. Tra i reati più numerosi spiccano spaccio di droga - frequente tra gli italiani -, rapina e furto, diffusi tra gli stranieri. Molti minori (il 70% dei quali sono italiani) che entrano in contatto con la giustizia minorile fanno uso di droghe, occasionalmente o abitualmente, perlopiù di cannabinoidi e cocaina. Ancora: il 56% dei ragazzi in comunità è italiano e in queste strutture dal 1998 al 2006 gli ingressi sono aumentati del 128%. La presenza in larga parte di italiani si spiega con il fatto che questi ragazzi finiscono meno in carcere perché hanno una famiglia alle spalle e nessun problema di clandestinità, quindi hanno più possibilità di ricorrere alle misure alternative. "Il vero problema è che manca il limite - continua la dottoressa Cavallo -: i bulli di un tempo sapevano quando fermarsi, ma ora non è più così, i ragazzi crescono senza regole. Questo è indice di un fallimento delle agenzie educative". Ma recuperare questi ragazzi si può, non è facile ma è un traguardo raggiungibile: "Per ottenere il reinserimento tutte le realtà - famiglia, scuola, istituzioni, volontariato - si devono muovere con obiettivi condivisi. La giustizia viene per ultima e il suo compito è di educare alla legalità. La detenzione quindi serve nel momento in cui diventa una parentesi per responsabilizzare il ragazzo, che il più delle volte non si rende conto della gravità del fatto che lo ha portato alla detenzione". Giustizia minorile: una "ipotesi di lavoro" per i minori detenuti
Redattore Sociale, 29 febbraio 2008
Positivi i risultati del progetto di inserimento socio-lavorativo avviato in 12 regioni; coinvolti 260 ragazzi, inseriti nel circuito penale esterno o in detenzione, di 14-21 anni. Sono italiani, rumeni, marocchini e dell’ex Jugoslavia. Inserire nel tessuto socio-economico i minori autori di reato si può. Lo dimostrano i risultati del progetto "Ipotesi di lavoro", sviluppato e realizzato all’interno dell’iniziativa comunitaria Equal - Fase II e presentato oggi a Verona nel corso del convegno "Il minore autore di reato. Percorsi. Temi. Responsabilità". Dodici le Regioni italiane protagoniste dell’iniziativa, che ha coinvolto oltre mille persone tra operatori, formatori, educatori, esperti di giustizia minorile. "Questo progetto ha portato a risultati tangibili e allo sviluppo di nuovi sistemi per l’inserimento dei minori - spiegano gli organizzatori -: le azioni svolte in due anni e mezzo di sperimentazione hanno confermato come la creazione e l’incremento delle reti territoriali siano da considerarsi un’ottima opportunità per sviluppare approcci e modalità che uniscano e producano sinergia tra gli aspetti sociali e di custodia". Nel concreto, sono stati coinvolti 260 ragazzi, inseriti nel circuito penale esterno o in detenzione, di cui il 90% maschi e un centinaio dal Veneto. Tutti di età tra i 14 e i 21 anni e di nazionalità italiana, rumena, marocchina, dell’ex Jugoslavia. "Da un punto di vista operativo si è trattato di individuare particolari ambiti di interesse dei singoli giovani affinché li si potesse formare in vista di un inserimento lavorativo seguendo le loro capacità e potenzialità" spiega Catia Zerbato, responsabile del progetto per il Triveneto. Questo coinvolgendo in primo luogo il tessuto sociale, a partire dalle associazioni, ma anche intavolando un dialogo con le aziende attraverso il canale privilegiato delle associazioni di categoria. Per i giovani che non avevano particolari ambiti di interesse sono stati attivati una sorta di stage estivi sempre finalizzati all’inserimento lavorativo. Sono stati poi individuati degli "accompagnatori" che indicassero ai giovani come presentare un curriculum o come sostenere un colloquio. "I risultati sono stati più che positivi - continua Zerbato - perché se il ragazzo lavora bene ed è motivato le aziende tendono a mantenere il rapporto lavorativo. Quasi la totalità dei ragazzi è riuscito a inserirsi". Nel dettaglio, le regioni che hanno partecipato alla sperimentazione sono Lombardia, Liguria, Veneto-Friuli Venezia Giulia, Trentino, Lazio, Abruzzo-Molise-Marche, Calabria-Basilicata, Sicilia. Al progetto hanno aderito il Dipartimento ministeriale della Giustizia minorile, il Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (Cnca), il Consorzio Nazionale della Cooperazione di Solidarietà Sociale Gino Mattarelli (Cgm), la Sfera Servizi Formativi Emiliano Romagnoli Associati, il Comune di Milano, la Fondazione Enaip Lombardia. Capofila dell’iniziativa è la Comunità San Benedetto, Istituto don Calabria di Verona. Giustizia minorile: solitudine degli stranieri, storia di Blendian
Redattore Sociale, 29 febbraio 2008
Arrivato in Italia come straniero non accompagnato a 15 anni, oggi è maggiorenne e il suo traguardo è il diploma in ragioneria a giugno, dopo cinque anni di scuole serali. Una scommessa da non rimandare: garantire la formazione e l’accesso al mondo del lavoro per produrre responsabilità nei giovani che sono o sono stati detenuti. Di questo si è discusso nel corso del convegno "Il minore autore di reato. Percorsi. Temi. Responsabilità", organizzato dalla Comunità San Benedetto dell’Istituto Don Calabria, che ha messo a confronto numerosi esperti del settore della giustizia minorile. Formazione e lavoro, dunque, sono le due parole chiave sulle quali bisogna ragionare e operare concretamente per far capire al giovane che esiste una vita diversa, lontana dai reati e dal carcere. "Quando un ragazzo è detenuto dietro a lui si chiede una porta - ha commentato il dottor Claudio Nizzetto, responsabile regionale degli interventi dell’area penale minorile della Fondazione Enaip Lombardia -. Quando questa porta si riapre bisogna essere in grado di offrire al giovane una prospettiva diversa, trasmettendo di nuovo curiosità, passione per qualcosa". La strada, però, non può essere quella della scuola, dal momento che "questi ragazzi spesso sono fuori dal contesto scolastico. Finita la detenzione, vanno accompagnati, per evitare che ricapiti loro ciò che è successo in passato". Serenella Pesarin, della Direzione generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari del Dipartimento per la Giustizia Minorile, ha aggiunto che "questi giovani parlano di responsabilità, di famiglia, di consapevolezza del valore della libertà. E vivono una solitudine forte, l’assenza di riferimenti certi soprattutto a causa della società odierna che porta a un certo malessere perché chiede sempre la prestazione massima di efficienza, che non è umana". Per quanto riguarda la giustizia minorile, Pesarin, ha voluto precisare che "per noi il tempo del circuito interno deve essere il più breve possibile: è un importante momento di riflessione, ma se è troppo lungo diventa dannoso. Garantire formazione e lavoro è una scommessa che non possiamo rimandare, perché le baby gang, i ragazzi delle mafie, gli stranieri di seconda generazione, i neocomunitari non accompagnati soffrono tutti di doppia orfanità, derivata dai sogni infranti, dall’incapacità di far credere loro che si possa costruire qualcosa di diverso, di ritrovare quella fiducia che spesso intercettiamo ma che rischia di essere dispersa". La soluzione, quindi, è quella di creare una rete di sistema che diventi un modello di riferimento che, indipendentemente dalle istituzioni, dai ruoli e dai finanziamenti, faccia capire ai giovani che ci sono soggetti in grado di dare loro le risposte che cercano. Un esempio della validità di questo modello è Bledian, giovane ormai diciottenne che, arrivato in Italia come minore non accompagnato, nonostante le difficoltà è riuscito a ritrovare la strada: ora il suo traguardo è il diploma in ragioneria a giugno, dopo cinque anni di scuole serali: "Mi ritengo fortunato perché ho fatto un percorso che mi ha aiutato a crescere, a farmi una formazione. Sono arrivato qui a 15 anni e a quell’età non ci si rende conto di quanto sia importante la formazione professionale. Nel mio percorso di difficoltà ce ne sono state, ma le ho superate grazie alle persone e alle strutture che mi sono state vicine". Piemonte: Osapp; carceri sovraffollate, manca persino il pane
Apcom, 29 febbraio 2008
Il sovraffollamento delle carceri ha raggiunto in Piemonte una situazione allarmante nei 13 istituti della Regione, tanto che "manca persino il pane". È quanto si legge in un articolo sulla edizione locale de "La Stampa" che, sulla base di una denuncia dell’Osapp, sottolinea carenze e vuoti di personale a fronte di celle sempre più affollate. A Cuneo "la situazione è esplosiva", ma complessivamente nei 13 istituti di pena piemontesi mancano 887 agenti sui 3240 previsti dalle tabelle, mentre nelle celle si trovano quattromila detenuti a fronte di 3270 posti di capienza regolamentare. Nelle carceri, inoltre - denuncia infatti un dossier del sindacato - non solo mancano le cose più banali, ma a causa dei preoccupanti vuoti di organico, gli agenti rischiano di saltare le ferie pasquali. E il vuoto riguarda anche i posti di comando, tanto che i commissari vengono "prestati" da un istituto all’altro. Firenze: botte a un detenuto, indagato agente di Sollicciano
Ansa, 29 febbraio 2008
Un agente di polizia penitenziaria del carcere fiorentino di Sollicciano è indagato dalla procura di Firenze per il presunto pestaggio subito da un detenuto il 20 novembre del 2007. L’inchiesta è nata dopo l’esposto presentato dal detenuto, un tunisino di 28 anni, nel quale si parlava di calci, pugni e offese da parte di sei agenti. Nella denuncia si ipotizzavano reati che vanno dalle lesioni all’abuso di autorità. Nell’inchiesta, l’agente è indagato in concorso con altri ancora da identificare. Il tunisino, assistito dall’avvocato Michele Passione, è in carcere per droga. Nell’esposto parlava di un’aggressione nata per una risposta ironica data ad un agente e sfociata in botte e offese da parte delle guardie penitenziarie, che poi avrebbero minacciato il detenuto affinché non raccontasse il fatto. Alcuni giorni dopo, l’uomo riferì l’accaduto al proprio avvocato, che nominò un consulente tecnico per valutare le condizioni fisiche del detenuto. Secondo quanto scritto nell’esposto, il medico nominato riscontrò segni di contusioni compatibili alle conseguenze di calci e pugni. "L’indagato - ha spiegato il direttore del carcere Oreste Cacurri - è conosciuto come una persone corretta e tranquilla. Quando c’è una denuncia, si apre anche un’inchiesta. L’indagine farà il suo corso. L’iscrizione dell’agente è anche un modo per metterlo in condizione di difendersi". Padova: le colombe pasquali? dalla pasticceria dei detenuti
Comunicato stampa, 29 febbraio 2008
Sono oggetto di cure incredibili, quelle colombe. Devono lievitare per più di 24 ore e poi riposare altre 15 a testa in giù. Vengono lavorate a una a una, con tutta l’attenzione che occorre perché gli ingredienti (non chiedete quali, la ricetta è segreta) vengano amalgamati al punto giusto. E sì che i pasticceri che le confezionano fino a poco tempo fa non si sarebbero neppure sognati di praticare quel mestiere in una delle pasticcerie oramai più note d’Italia, pluripremiata dai più conosciuti critici di enogastronomia. Il fatto è che la pasticceria in questione è ospitata dalla Casa di Reclusione Due Palazzi, carcere di massima sicurezza nei dintorni di Padova. E i pasticceri sono detenuti che spesso devono scontare pene molto lunghe e che hanno affrontato una lunga gavetta, dopo un adeguato periodo di formazione da parte dei maestri artigiani del consorzio Rebus di Padova. Detenuti che affidano a questa nuova attività le loro speranze di un rientro, prima o poi, nella società, o comunque di una vita più umana dietro le sbarre. Le principali cooperative che formano il consorzio sono la Giotto e la Work Crossing, ognuna con le sue peculiarità. La cooperativa Giotto, che opera soprattutto nel settore del verde, gestisce in carcere altri laboratori, dalla confezione di manichini all’assemblaggio di valigie e bijoux. Tutto il settore della ristorazione, colombe comprese, è gestito dalla Work Crossing, che con il marchio Ristorazione Forcellini a Padova gestisce un ristorante molto elegante e una linea di catering. In carcere, sempre attraverso i detenuti, fa funzionare a pieno ritmo una cucina che serve anche pasti all’esterno. Ma torniamo alle nostre colombe. Di recente, assieme a panettoni, biscotti e altre squisitezze, proposte con il marchio "I dolci di Giotto", hanno ricevuto riconoscimenti prestigiosi. Tra questi, il piatto d’argento dell’Accademia italiana della cucina, che viene tributato solo ai maggiori chef. Anche il "gastronauta" Davide Paolini, guru di Radio24 che gira la penisola a caccia delle migliori specialità, è rimasto conquistato dalla morbidezza e dal profumo degli impasti. Il panettone e le colombe si sono fatti conoscere ben oltre Padova. Apprezzati nelle esposizioni di settore Squisito e Golosaria, hanno ricevuto le lodi di un maestro di gusti come Paolo Massobrio e sono stati richiesti da una clientela internazionale che va da Parigi a New York. Ai golosi di ogni latitudine la pasticceria del carcere non offre solo la colomba Classica, con lievitazione naturale, mandorle, zucchero e canditi, ricca di gusto e fragranza. I detenuti propongono anche la Delicata con il suo impasto senza canditi avvolto da una glassa croccante e saporita e, per i più golosi, la Prelibata: la tipica glassa si unisce con il morbido impasto arricchito dal vellutato gusto del cioccolato in gocce. Vari anche i tipi di presentazione del prodotto. Si va dalla confezione semplice ma elegante in carta colorata, fino al prodotto al vertice della gamma, presentato in una scatola raffigurante gli affreschi della cappella degli Scrovegni e realizzata in carcere dal laboratorio di cartotecnica. "Stiamo lavorando a pieno ritmo per soddisfare tutte le richieste", spiega Luca Passarin, responsabile della ristorazione Forcellini, "con i panettoni siamo andati in overbooking, superando quota 13mila: un numero eccezionale, se si pensa ai tempi lunghi della lavorazione artigianale". Anche le colombe stanno riscuotendo un grande successo. Per i clienti dello storico caffè Pedrocchi di Padova sono diventate irrinunciabili e ogni anno le prenotazioni da ogni angolo d’Italia aumentano sempre più. Aumenta, in parallelo, anche l’attenzione per l’esperienza lavorativa dei detenuti padovani. Ettore Ferrara, direttore del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che sovrintende a tutte le carceri italiane, in una sua recente visita a Padova ha indicato i laboratori del consorzio Rebus come un’esperienza pilota: "è il vero modo di coniugare la vigilanza con il recupero", ha dichiarato, "ciò che prevede la nostra Costituzione e purtroppo rimane spesso lettera morta". "Quando è cominciata la produzione in carcere avevamo deciso di chiamarle le colombe della solidarietà e della pace", commenta Nicola Boscoletto, presidente del consorzio Rebus. "Non è retorica buonista, ma un riferimento alla condizione dei nostri pasticceri. Per chi è in carcere niente vale come il lavoro a cambiare la prospettiva, a non ritenersi perduti per sempre, a pensare un futuro in cui ci si possa rifare dei propri errori. Lo prova la percentuale di recidiva dei detenuti che lavorano con noi, che da una media dell’90% crolla a livelli prossimi allo zero. E non è buonismo anche per un’altra ragione: i prodotti con una forte connotazione sociale come il nostro devono puntare alla massima qualità. I riconoscimenti che abbiamo ottenuto finora ci danno ragione, ma non ci sentiamo arrivati e anche la Pasqua 2008 è una nuova sfida a raccogliere i riscontri degli esperti e dei consumatori". E c’è solo un metodo per scoprire se questi dolci così particolari mantengono la loro promesse: assaggiarli... Magari, per evitare i disguidi dovuti al successo di questi giorni, prenotandoli per tempo via internet: l’indirizzo di posta elettronica è idolcidigiotto@rebus.coop. Libri: "Diritti e Castigo", un saggio sulle istituzioni totali in Italia
Dire, 29 febbraio 2008
Carceri, Cpt, Ospedali Psichiatrici Giudiziari e commissariati di polizia. Il rapporto sull’Italia del Comitato europeo contro la tortura, arricchito di saggi inediti di Bauman, Palma e Wacquant. Crotone, commissariato di polizia. È l"11 maggio del 2006 e un cittadino irakeno ammanettato viene pestato a sangue a colpi di manganellate, schiaffi e calci, da cinque poliziotti presenti nella stanza. Poi viene trasferito in un locale senza finestre. È sul punto di perdere conoscenza per il dolore. L’hanno arrestato durante un tentativo di fuga dal centro di prima accoglienza di Crotone, dove lo avevano trasferito dall’isola di Lampedusa, dove era sbarcato pochi giorni prima. Nelle 24 ore successive non riceve niente da bere né da mangiare. L’indomani, davanti al Tribunale, dopo aver dichiarato quanto accaduto al giudice, l’uomo viene rassicurato sul fatto che la sua denuncia sarebbe stata oggetto d’inchiesta. E invece non è accaduto nulla. La sua storia è stata raccolta nel rapporto sulle istituzioni totali italiane del "Comitato europeo per la prevenzione della tortura" del Consiglio d’Europa, pubblicato a dicembre da Carta/Edizioni Intra Moenia, in un libro intitolato "Diritti e castigo", curato da Susanna Marietti e Gennaro Santoro, con saggi inediti di Z. Bauman, M. Palma e L. Wacquant. Il Comitato per la prevenzione della tortura è stato istituito nel 1987. Visita i luoghi di detenzione - carceri, centri per stranieri, ospedali psichiatrici giudiziari di ben 47 Paesi europei e formula raccomandazioni ai relativi governi. Il libro raccoglie quello che il Comitato ha scritto sulle carceri e sui campi di detenzione dei migranti in Italia. Ma anche sulle caserme e sui commissariati di polizia. Luoghi meno accessibili ad osservatori esterni di un carcere, spesso teatri di violazioni dei diritti delle persone fermate dalle forze dell’ordine. Il libro raccoglie anche le risposte date dal Governo italiano al Comitato. Le istituzioni totali non fanno notizia. Di loro si sa poco e poco si vuole sapere. Questo libro e i commenti in esso contenuti sono "ispirati ai valori della conoscenza e dei diritti". Due valori coincidenti. "Solo la prima sa dare una garanzia autentica sulla tutela dei secondi". Susanna Marietti è coordinatrice nazionale dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone, e collabora con il dipartimento di filosofia dell’Università di Milano. Gennaro Santoro è membro del direttivo dell’associazione Antigone e lavora per il settore carceri del Prc. Immigrazione: illegittima l'espulsione verso "paesi a rischio" di Marina Castellaneta
Il Sole 24 Ore, 29 febbraio 2008
No alle espulsioni se c’è il rischio che un individuo possa subire trattamenti disumani o degradanti. Anche in materia di lotta al terrorismo internazionale, la tutela dei diritti umani non può arretrare di fronte alle esigenze di sicurezza nazionale. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza di condanna all’Italia depositata ieri (caso Saadi), destinata ad avere conseguenze su tutti i provvedimenti di espulsione verso Paesi a rischio. La Grande Camera (massimo organo giurisdizionale di Strasburgo) non accetta compromessi: l’Italia non può espellere o estradare nei casi di possibili violazioni dell’articolo 3 della Convenzione, in base al quale nessuno può essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti. Non importano le assicurazioni formali dello Stato di destinazione: se da rapporti, anche di organizzazioni non governative, risulta che in uno Stato il trattamento dei detenuti configge con l’articolo 3, i Paesi che hanno ratificato la Convenzione europea non possono dare il via alla consegna di individui a rischio. A Strasburgo si era rivolto un tunisino che, pur avendo il permesso di soggiorno in Italia per motivi di famiglia, era stato colpito, nel 2006, dall’espulsione del ministro dell’Interno. L’uomo era stato collocato in un centro di permanenza temporanea e il giudice di pace aveva confermato l’espulsione, con il seguito di ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato. Il tunisino, condannato per associazione a delinquere (e non per terrorismo, dopo la riqualificazione del reato), aveva subito in contumacia una condanna a vent’anni di carcere in Tunisia per terrorismo internazionale. Il suo rientro in patria avrebbe comportato un rischio per la sua vita e la certezza di un trattamento penitenziario equiparabile alla tortura. La richiesta di asilo, però, era stata respinta, perché considerato un pericolo per la sicurezza nazionale, anche se l’espulsione era stata sospesa su richiesta di Strasburgo. L’articolo 3, osserva la Corte, protegge un valore fondamentale assoluto, che non può subire deroghe o eccezioni, anche in presenza di rischi per la collettività. Non è possibile - come sostenuto invece dai governi intervenuti in udienza - bilanciare il rischio di un danno per la persona espulsa con le esigenze di sicurezza dello Stato: si tratta di situazioni che devono essere considerate separatamente, perché la minaccia del terrorismo non può intaccare la tutela dei diritti dell’uomo, così come non può essere imposto un onere probatorio più gravoso sulla persona che rappresenta un pericolo per la collettività. Spetta quindi alle autorità nazionali analizzare, caso per caso, se un provvedimento di espulsione possa avere conseguenze sulla vita stessa dell’individuo allontanato. Sotto il profilo dell’onere della prova, pur richiedendo un accertamento rigoroso delle tesi del soggetto espulso, la Corte ha rimesso l’onere sullo Stato, cui spetta dissipare ogni dubbio, primo dei quali i casi in cui un individuo rientri in gruppi sistematicamente a rischio di trattamenti disumani. Così nella vicenda Saadi, perché dai rapporti internazionali di organizzazioni non governative - osserva la Corte - risulta che proprio le persone accusate di terrorismo subiscono trattamenti non in linea con gli standard internazionali. È lo Stato quindi a dover accertare, per non incorrere in una violazione dell’articolo 3, che un provvedimento di espulsione non presenti rischi per l’individuo da allontanare. Non basta però - come ha fatto l’Italia - fare riferimento a dati formali come la ratifica, da parte della Tunisia, di trattati internazionali sulla tutela dei diritti umani. Usa: 2,3 milioni di detenuti, un americano su 100 è in carcere di Alessandra Marseglia
Vita, 29 febbraio 2008
Record mondiale nel 2007: dietro alle sbarre 2,3 milioni di persone, un giovane afro-americano su nove. Effetto della "tolleranza zero" degli anni 80. Notizia shock ieri su tutti i principali quotidiani americani: gli Usa guidano la classifica mondiale dei Paesi con il numero più alto di detenuti. Un report stilato dal Pew Center on the States rivela che oggi in America dietro le sbarre ci sono oltre 2,3 milioni di persone, un numero superiore a quello di qualunque Paese, - Cina compresa che segue gli Usa ma a distanza - sia in assoluto, sia in percentuale sul totale della popolazione. In pratica, in cella c’è oggi un americano adulto su 100, e la concentrazione è impressionate tra gli afro-americani: i numeri parlano addirittura di un detenuto su nove tra maschi di età tra i 20 e i 34 anni. Stesso discorso per le donne: nella fascia tra i 35 ai 39, è in galera una donna di colore su 100, mentre per le donne bianche la proporzione è di una su 355. Situazione preoccupante anche per gli ispanici, considerato che uno su 36 è dietro le sbarre. L’incremento del numero dei detenuti è dovuta essenzialmente alla politica incentrata sulla "tolleranza zero" lanciata a metà degli anni 80, i cui maggiori effetti si sono visti soprattutto nello scorso decennio. Allora, leggi particolarmente dure - come quella che sbatteva in prigione anche chi veniva sorpreso per più di tre volte sotto effetto di cocaina e crack - fecero lievitare il numero dei detenuti con ritmi vicini all’80%, fino a 86 mila persone per anno. "Non c’è dubbio che mettere dietro le sbarre i criminali violenti e che si macchiano di reati gravi abbassi il rischio di crimine nelle strade" ha commentato ieri Adam Gelb, direttore del Pew Center’s Public Safety Performance Project e uno degli autori del report. "D’altra parte c’è un gran numero di persone dietro le sbarre che potrebbero essere sorvegliate in comunità ad hoc, sicure, efficienti e a costi più bassi". Ciascun detenuto, infatti, costa a governo federale e quello di ciascuno Stato una cifra superiore a 23 mila dollari all’anno, per un totale di oltre 55 miliardi di dollari complessivi. Ciascuno Stato mediamente spende per le prigioni il 7% del bilancio, all’incirca le stesse risorse che dedica all’educazione scolastica. Per le carceri, insomma, gli efficienti Stati americani rischiano grossi buchi di bilancio, un buon motivo questo per ripensare il modo di gestire chi viola la legge. In realtà dal 2000 ad oggi qualcosa è già cambiato. Uno stato come la Florida, ad esempio, che negli ultimi 15 anni aveva duplicato il numero dei detenuti, ha sperimentato un leggero calo, esattamente come New York che è oggi sotto il livello raggiunto nel 1993. In California, storicamente lo Stato con più detenuti, il numero è calato di 4000 persone l’anno scorso, lasciando al Texas il primato con 172.000 persone dietro le sbarre. Anche lo Stato di George W. Bush, noto per il numero record delle condanne a morte eseguite, sta lentamente seguendo la strada degli altri Stati, apportando alcune correzioni al sistema giudiziario, come l’inserimento di programmi di trattamento per tossicodipendenti e della libertà vigilata per alcune categorie di reati. I 25 mila nuovi detenuti del 2007 e il triste record raggiunto quest’anno indicano, tuttavia, che quanto fatto non è ancora sufficiente per invertire la rotta.
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