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Giustizia: ora l’Europa è "unita" contro il sovraffollamento
Redattore Sociale, 28 febbraio 2008
Parte oggi la campagna della "Federazione sindacale europea dei pubblici servizi" (Fsesp). Iniziative in 20 città. Almeno 600.000 i detenuti nell’Ue, il 125% della capienza regolamentare. Parte oggi la campagna della "Federazione sindacale europea dei pubblici servizi" (Fsesp) contro il sovraffollamento nelle carceri. Previste iniziative in 20 città di 10 Stati europei e una manifestazione a Bruxelles, dove 500 delegati del settore penitenziario di tutta Europa si sono dati appuntamento davanti all’edificio Justus Lipsius, sede del Consiglio dei Ministri, dalle 12 alle 15. Ieri 1.000 persone hanno manifestato a Madrid e nella sola Austria sono previste iniziative in 28 case circondariali. I detenuti in Europa sono circa 600.000, di cui 131.000 in attesa di giudizio. La popolazione carceraria è pari, in media, al 125% della capienza regolamentare. In alcuni paesi, il sovraffollamento sfiora il 200%. Una situazione che genera enormi pressioni sul personale penitenziario. Con questa protesta la Fsesp "chiede che la questione del sovraffollamento delle carceri sia inserita all’ordine del giorno dell’Ue e che venga garantito il miglioramento delle condizioni di lavoro all’interno dei penitenziari riducendo il numero dei detenuti". Nell’Ue, la popolazione carceraria è aumentata negli ultimi dieci anni in 23 Stati su 27 e in 14 su 27 ha superato il limite della capienza regolamentare. Secondo Fsesp, il sovraffollamento "riduce la capacità di controllare crimini e violenza e aumenta la diffusione nelle carceri di malattie e persino di suicidi". "Il sovraffollamento genera trattamenti inumani e degradanti, a prescindere dalla buona volontà degli operatori penitenziari" dichiara Mauro Palma (rappresentante italiano del "Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti" del Consiglio d’Europa). Ma, continua Palma, "il sovraffollamento non si risolve con i piani edilizi". Quello che serve, secondo Palma, è "una nuova politica penale e sociale". Perché "non tutti i reati richiedono una sanzione detentiva e perché un investimento sociale ha un’azione preventiva rispetto a certi reati. E alla lunga risulta essere conveniente. Perché le carceri costano. E - conclude - se si spende di più per costruirne di nuove, si dovrà poi tagliare le spese dei servizi di assistenza e integrazione oppure privatizzarle, perché la società non è favorevole a carichi fiscali troppo elevati per i detenuti". D’accordo anche Patrizio Gonnella (Associazione Antigone): "I magistrati e le forze dell’ordine sono impegnati nella repressione di fatti che potremmo decidere a tavolino non essere penalmente rilevanti". Gonnella ha ricordato il rapporto di fine 2007 del Ministero dell’Interno, che dava in diminuzione il numero dei reati commessi in Italia. E ha parlato dell’indulto come "una occasione persa". "Eravamo scesi a 33.000 detenuti, si poteva intervenire con un piano di riforme e riorganizzazione, ma ciò non è avvenuto". E non è avvenuta nemmeno l’approvazione della legge sul garante dei detenuti, né quella che istituiva il reato di tortura, 21 anni dopo la ratifica dell’Italia della Convenzione dell’Onu contro la tortura, nel 1982. Entrambe erano state approvate alla Camera, ma con le elezioni anticipate il loro iter è stato bloccato. I rappresentanti del personale penitenziario in Europa chiedono "un detenuto per cella" e "un agente per detenuto", un "potenziamento del personale medico sanitario" e soprattutto la riduzione del numero di detenuti attraverso "l’introduzione di misure non detentive" e la "riduzione del numero di detenuti in attesa di processo", che in Italia erano 29.166 su un totale di 50.851 nel settembre 2006. E infine la depenalizzazione di alcuni reati, a partire dal reato di clandestinità. Infine viene chiesto anche un potenziamento del ruolo del difensore civico e dei deputati nazionali nelle visite ispettive nelle carceri. Giustizia: in Italia 8mila detenuti in più e 5mila agenti in meno
Comunicato Sappe, 28 febbraio 2008
Il fallimento delle politiche penitenziarie del Paese è ben evidente nei numeri attuali. Quasi 51mila detenuti presenti nei 205 penitenziari italiani (Case Circondariali, di Reclusione, Istituti per le misure di sicurezza) a fronte di una capienza regolamentare di circa 43mila posti. E sul fronte Personale che lavora nelle carceri i dati sono altrettanto allarmanti. La differenza tra il Personale di Polizia Penitenziaria effettivamente in forza e quello previsto registra una carenza di 4.425 Agenti uomini e 335 Agenti donne. Le carenze di Baschi Azzurri più consistenti si registrano in Lombardia (circa 1.200 unità), Piemonte (900) Emilia Romagna, Toscana, Veneto e Liguria. Anche il Personale amministrativo e tecnico è fortemente sotto organico di ben 2.300 unita. È quindi evidente che la mancata adozione di provvedimenti strutturali da parte di Governo e Parlamento per modificare il sistema penitenziario contestualmente all’approvazione dell’indulto ha riportato le carceri italiane a livelli di sovraffollamento insostenibili, arrivando oggi ad avere un numero di detenuti pressoché uguale a quello per il quale, poco più di un anno fa, l’80% dei parlamentari italiani decise di approvare il provvedimento di clemenza. Le coalizioni che si candidano a governare il Paese non posso però tralasciare la grave situazione penitenziaria che si registra oggi nei nostri Istituti di pena, che si ripercuote principalmente sulle donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria, e devono quindi porre l’emergenza carceraria tra le priorità di intervento. Il Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione sindacale della Polizia Penitenziaria, rinnova quindi l’invito a chiunque vincerà le prossime elezioni di porre la questione penitenziaria tra le priorità d’intervento, prevedendo una modifica del sistema penale - sostanziale e processuale - che renda stabili le detenzioni dei soggetti pericolosi affidando a misure alternative al carcere la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale. Che si trovino soluzioni al problema degli stranieri detenuti (che rappresentano oggi circa il 40% della popolazione carceraria) mediante accordi internazionali che consentano l’espiazione delle pene nei Paesi di origine. Ma soprattutto che si impegnino ad assumere almeno 3.000 nuovi poliziotti penitenziari, stante la grave carenza di Personale che si registra nel Paese." "Alla data del 31 luglio 2006, prima dell’approvazione dell’indulto, avevamo nei 207 istituti penitenziari italiani 60.710 detenuti a fronte di una capienza regolamentare pari a 43.213 posti. Approvato l’indulto (Legge n. 241 del 31 luglio 2006), esattamente un mese, e cioè il 31 agosto 2006, il numero dei detenuti presenti in carcere era drasticamente sceso a 38.847 unità. Gli ultimi dati, riferiti al 31 gennaio 2008, attestano la presenza di 49.963 detenuti presenti (ben oltre la capienza regolamentare pari a 43.242 posti), un trend velocemente in ascesa se si pensa che un mese prima, il 31 dicembre 2007, i detenuti erano 48.693 - dunque circa 1.500 detenuti in più in soli 30 giorni! - e nello stesso mese dello scorso anno, 31 gennaio 2007, erano 39.827. E si consideri che i detenuti che materialmente uscirono dal carcere per effetto dell’indulto sono stati circa 27mila, a cui bisogna aggiungere quelli che ne hanno beneficiato pur non essendo fisicamente in un penitenziario: circa 6.800 che fruivano di una misura alternativa alla detenzione, circa 200 già usciti dal carcere per l’indultino del 2003 e 250 minori. E sul fronte Personale i dati sono altrettanto allarmanti. La differenza tra il Personale di Polizia Penitenziaria effettivamente in forza e quello previsto registra una carenza di 4.425 Agenti uomini e 335 Agenti donne. Le carenze di Baschi Azzurri più consistenti si registrano in Lombardia (circa 1.200 unità), Piemonte (900) Emilia Romagna, Toscana, Veneto e Liguria. Anche il Personale amministrativo e tecnico è fortemente sotto organico di ben 2.300 unita!".
Sappe - Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Giustizia: quando a valere è la "presunzione di colpevolezza" di Piero Ostellino
Corriere della Sera, 28 febbraio 2008
Ora che i corpi di Salvatore e Francesco Pappalardi sono stati trovati in un pozzo, dove nessuno era andato a cercarli, emerge un volto della nostra giustizia penale a dir poco discutibile. Da un lato, il padre dei due bambini, Filippo Pappalardi, in carcere perché indiziato, sulla base solo di un’intercettazione ambientale e della fragile testimonianza (tardiva) di un bambino, di averli uccisi. Inoltre un’inchiesta che ha cercato Salvatore e Francesco nelle grotte di Matera, nelle campagne delle Murge, persino in Romania, lungo le piste delle sette sataniche e del traffico di organi. Dall’altro, il casuale ritrovamento dei loro corpi in un pozzo nel centro di Gravina, non lontano dalla piazza dove erano stati visti l’ultima volta. Da un lato, dunque, il volto di una giustizia metafisica, che cerca aprioristicamente la verità attraverso la speculazione intellettuale e gli indizi, anche i più inverosimili, costruiti nel laboratorio della mente inquirente. Dall’altra, la scoperta casuale dei corpi dei due bambini morti, ma per fame e per freddo, nella profondità di un pozzo. Quale verosimiglianza logica si può rintracciare nel gesto di un padre presunto assassino che non avrebbe ucciso i suoi figli, ma li avrebbe gettati vivi in un buco, e non nella sperduta campagna, bensì in un luogo dove qualcuno avrebbe potuto ritrovarli prima della loro morte? Ma il procuratore di Bari, Emilio Marzano, ha detto: "L’impianto accusatorio per ora rimane, non abbiamo elementi per ripensarlo". Sotto il profilo formale, l’affermazione è ineccepibile. Sotto quello sostanziale, appare, però, incauta almeno per due ragioni. La prima: il ritrovamento dei due fratelli nel pozzo dove l’altro giorno è caduto il bambino e l’autopsia dei loro corpi aprono interrogativi nuovi che il dottor Marzano aveva evidentemente sbagliato a escludere a priori. La seconda: per ora, la colpevolezza di Filippo Pappalardi è confermata solo dalla sua carcerazione preventiva, direbbe il filosofo dei diritti civili "per mezzo del castigo", e dal carattere ferocemente arcaico della sua figura. Forse non è inutile ricordare che l’esposizione prolungata dell’indiziato all’avvenimento minaccia di distruggerne l’immagine e, probabilmente, già l’ha distrutta. La verità mediatica, in questi casi, rischia di apparire più forte di quella vera e non è attraverso la prima che si può ragionevolmente sperare di pervenire alla seconda. Qui non è in discussione la colpevolezza o l’innocenza del Pappalardi. Sono in discussione un pregiudizio giudiziario e la stretta correlazione fra il sistema giudiziario e quello mediatico che sta diventando tale da rendere sempre più difficile capire dove finisca l’uno e incominci l’altro e viceversa. Scrive Daniel Soulez Larivière: "La magistratura scopre con delizia che accanto alle armi terrificanti che esistono già nel codice di procedura penale esiste anche lo strumento mediatico che lo completa efficacemente" ("Il circo mediatico-giudiziario", ed. Liberilibri). Eppure, il rimedio a questa confusione dei ruoli che si è imposta in Italia da quindici anni a questa parte e che nuoce sia alla magistratura sia al giornalismo, ci sarebbe: scindere la fase istruttoria e investigativa, rigorosamente coperta da segreto, da quella giurisdizionale e dibattimentale, aperta invece al pubblico. Giustizia: Programma della Sinistra Arcobaleno; via Bossi-Fini
Dire, 28 febbraio 2008
In tema di diritti di cittadinanza, la Sinistra ritiene "indispensabile" l’abolizione della legge Bossi-Fini, il diritto di voto alle elezioni amministrative per gli immigrati, la chiusura dei Cpt. Lotta alla precarietà e aumento delle retribuzioni, nuovo welfare, istruzione, laicità, aborto, cultura e ricerca. Sono i punti relativi alle politiche sociali e ai temi etici toccati dal programma de La Sinistra l’Arcobaleno, presentato oggi, si chiama "Fai una scelta di parte". Trenta pagine, che saranno distribuite a partire da domenica, e una proposta in chiara contrapposizione con quella del Pd: "casa e salario sociale a chi si iscrive al collocamento e in più un assegno annuo di 2.500 euro per i servizi". Per quanto riguarda il tema dell’aborto, si parla di "libertà di scelta delle donne nella procreazione" quale "fondamento della nostra idea di civiltà". Per questo "la legge 194 non solo va difesa, ma applicata estendendo in tutto il paese la rete dei consultori, introducendo in via definitiva la pillola Ru 486, promuovendo l’educazione sessuale nelle scuole e una grande campagna di informazione sui metodi contraccettivi". Spazio, poi, al riconoscimento pubblico delle coppie di fatto, con l’uguaglianza "sostanziale dei diritti delle persone lesbiche, gay e transessuali". La Sinistra l’Arcobaleno propone anche una nuova legge sulla fecondazione assistita "per eliminare gli ingiusti divieti della legge 40" e dice sì al testamento biologico con una legge ad hoc. Inoltre lo schieramento di sinistra vuole ridurre ad un anno il periodo di separazione trascorso il quale chiedere il divorzio. Per quanto concerne i salari, nel programma si dice che "il contratto a tempo indeterminato deve divenire il sistema ordinario di assunzione". È prevista l’assunzione a tempo indeterminato nel caso di contratti a termine di 36 mesi complessivi. La Sinistra vuole poi "aumentare da subito i salari dei lavoratori dipendenti". Sempre in tema di lavoro, la coalizione di Bertinotti propone il superamento della legge 30. La Sinistra Arcobaleno propone anche una legge che fissi la durata massima del lavoro giornaliero in otto ore e in due ore la durata massima degli straordinari. In tema di scuola, si definiscono le private "libere ma senza oneri a carico dello Stato". L’obbligo scolastico deve essere elevato a 18 anni. Per quanto riguarda la formazione universitaria, la coalizione di Bertinotti propone il reclutamento di 3mila giovani ricercatori l’anno per i prossimi 5 anni. In tema di diritti di cittadinanza, la Sinistra ritiene "indispensabile" l’abolizione della legge Bossi-Fini, il diritto di voto alle elezioni amministrative per gli immigrati, la chiusura dei Cpt. In quanto alla questione sanità, infine, la Sinistra propone di adeguare il fondo sanitario nazionale al livello europeo, superare definitivamente i ticket e le liste d’attesa, inserire le cure odontoiatriche nei livelli essenziali del sistema sanitario. Giustizia: le parole… e il silenzio per gli "anni di piombo" di Andrea Boraschi e Luigi Manconi
L’Unità, 28 febbraio 2008
L’ennesima riprova che gli "anni di piombo" non abbiano mai trovato una soluzione pubblica condivisa, se non da tutti, almeno da una parte consistente dei cittadini di questo Paese, viene dalle polemiche addensatesi, in questi giorni, su un dibattito in programma a Bologna per il prossimo 24 aprile. L’incontro dovrebbe tenersi al teatro Ridotto, a margine della rappresentazione di un testo di Erri De Luca, "Chisciotte e gli invincibili"; e vedrà protagonisti lo stesso scrittore napoletano, il direttore del teatro Renzo Filippetti e l’ex militante delle Br Vittorio Antonini. Diciamo subito che il titolo dell’iniziativa, ancorché poi spiegato ampiamente, ha prestato il fianco a equivoci facili da prevedersi. "Gli invincibili" - questo il nome voluto per il dibattito - ha sollevato dubbi di opportunità proprio in relazione alla persona di Antonini: che, nella schiera di quanti sono stati condannati per terrorismo, non si è mai dissociato ne pentito. Che i promotori e lo stesso De Luca abbiano poi spiegato il senso di quell’espressione - che non intende esaltare l’irriducibilità della violenza a sfondo ideologico, quanto evidenziare la buona volontà di chi dagli errori e dalle sconfitte più eclatanti trae, comunque, motivo di riscatto e riabilitazione - è servito a ben poco. Il sindaco di Bologna, Sergio Cofferati, si è espresso con toni molto duri, chiedendo l’annullamento del dibattito; ed altri, con lui, ne hanno contestato l’opportunità e i protagonisti, fino all’avvio di una piccola campagna mediatica approdata anche alle cronache nazionali. Non è nostra intenzione discutere di Vittorio Antonini e della sua storia politica e penale. Egli è stato invitato a testimoniare "non il proprio passato di terrorista, ma la propria esperienza, nel carcere e fuori del carcere, di fondatore e animatore dell’Associazione Papillon. Questa associazione, da lungo tempo presente e attiva all’interno dell’Istituto di pena di Rebibbia nuovo complesso, ha coinvolto nel corso degli anni centinaia di detenuti nelle proprie attività culturali e associative ed ha promosso recentemente, grazie all’attività di ex detenuti e detenuti in semilibertà, come lo stesso Antonini, un Centro culturale e una biblioteca popolare nella estrema periferia est della città di Roma" (così i garanti dei diritti dei detenuti di Firenze e Roma, Franco Corleone e Gianfranco Spadaccia). Anche per queste attività ad Antonini è stata concessa la semilibertà (ovvero, quell’uomo non ha finito di scontare la propria pena: non è "libero"). Tali attività testimoniano comportamenti e azioni che configurano quella riabilitazione alla quale ogni pena dovrebbe tendere. E la pena, a sua volta, essendo comminata da un potere dello stato, non è questione "privata", di mortificazione dei colpevoli e di soddisfazione delle vittime; le coscienze degli autori dei reati rimangono ad essa estranee; dunque, estranee le sono anche la misura, l’intensità e le motivazioni di ogni ravvedimento. La legge non chiede "pentimento": non chiede, cioè, atti formali di contrizione, né è preposta a indagare la sfera intima dove si avverte la coscienza e l’eventuale resipiscenza; essa, piuttosto, esige dal condannato comportamenti non lesivi (tanto meglio se positivi e virtuosi), nei confronti dei compagni di pena e verso la società. I giudici hanno stabilito che Antonini questi comportamenti li ha fatti propri e li ha mantenuti nel tempo. E oggi, nella misura in cui gli è possibile, egli può tornare a partecipare alla vita associata. Con i diritti e le prerogative che dovrebbero essere riconosciuti a ciascun cittadino; dunque, anche con il diritto alla parola in occasioni pubbliche. Appurato, allora, che la sua partecipazione a quel dibattito al teatro Ridotto è perfettamente legittima, resta da chiedersi se essa sia anche opportuna. La risposta, anche qui, ci appare affermativa. Non solo per i contenuti di quella iniziativa - che solo per amore del grottesco qualcuno ha potuto immaginare fossero celebrativi della violenza terrorista; ma proprio perché quell’occasione di confronto è un altro piccolo tassello di reinserimento nella società, in un percorso che Antonini ha già da tempo intrapreso. E perché se è vero, come dicevamo in apertura, che il vulnus politico, culturale e umano degli anni di piombo non è mai stato sanato, è vero anche che a esso bisogna tornare: con tutta la razionalità e la disponibilità intellettuale di cui siamo capaci. Non si può trovare motivo di comprensione definitiva di quella tragica vicenda sin quando non siano chiare a tutti le cause dei tremendi errori e degli odiosi crimini di cui si sono macchiati i protagonisti di quegli anni. Quelle cause possono essere cercate negli elementi biografici dei terroristi, nei loro tratti psicologici e in mille altri fattori scatenanti: ma esse sono, e restano, primariamente politiche. Dunque, interessano tutti noi: chi quegli anni non li ha conosciuti direttamente e chi, invece, li ha vissuti o ne è rimasto segnato. Il terrorismo è stato sconfitto, grazie al cielo: ma la pace, ricordiamolo, la si fa anche con i nemici sconfitti. E ogni pace inclemente ha, di regola, il solo effetto di trascinare i conflitti oltre la loro naturale fine (come sta avvenendo oggi in Italia per il terrorismo, appunto). C’è un’ultima questione, forse la principale, che merita di essere discussa. A molti, legittimamente, appare scandaloso lo spazio pubblico concesso agli ex terroristi. Libri, convegni, dibattiti, incarichi pubblici, visibilità mediatica. E si protesta perché, a confronto di tutto ciò, ai familiari delle vittime è stato riconosciuto ben poco spazio di parola, meno che meno gli è stato tributato un riconoscimento pubblico tangibile per i drammi vissuti, se non parzialmente e tardivamente. Che lo Stato abbia fatto poco e male, per chi in quegli anni è stato segnato dalla violenza terrorista, è dato inconfutabile. Tuttavia, non è impedendo agli ex terroristi di esprimersi pubblicamente che si potrà porre rimedio a tali omissioni e inadempienze. Piuttosto, se a quelli è concessa la parola nel dibattito pubblico, altrettanto e ancor più va garantito a chi dal terrorismo ha subito lutto e dolore. Piuttosto che ridurre la voce ai primi, allora, si amplifichi quella dei secondi (le vittime e i loro familiari). Giustizia: busta con proiettili e minacce al Vice Capo del Dap
Adnkronos, 28 febbraio 2008
Nel plico, indirizzato a Emilio Di Somma, un volantino firmato dal Partito comunista combattente (Pcc) che inneggia ai terroristi Lioce e Galesi e avverte: "I prossimi proiettili non arriveranno così". Una busta con due proiettili e un volantino con una stella a cinque punte è stata recapitata questa mattina al ministero della Giustizia. Il volantino era firmato dal Partito comunista combattente (Pcc) e la busta era indirizzata al vice capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Emilio Di Somma. A quanto si apprende, il volantino inneggia ai terroristi Nadia Desdemona Lioce e Mario Galesi. Il contenuto riguarda un messaggio contro il carcere e la repressione e si conclude sottolineando che i prossimi proiettili "non arriveranno così". Solidarietà al vice capo del Dap per "l’ignobile atto intimidatorio" ha espresso il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni. "Emilio Di Somma - dice Marroni - gode della stima unanime di quanti "vivono" quotidianamente il carcere per il suo impegno a favore dei diritti dei detenuti, e per rendere migliori le condizioni di vita negli istituti, secondo lo spirito del dettato Costituzionale. A Di Somma va tutto il mio sostegno, convinto che non saranno atti insensati di questo tipo ad impedirgli di svolgere il suo prezioso lavoro". "La più completa solidarietà per l’inquietante episodio di intimidazione" è arrivata anche dal Sappe, Sindacato autonomo polizia penitenziaria. Il segretario Donato Capece ha inviato un telegramma a Di Somma in cui esprime l’auspicio che "presto siano identificati gli autori del vile gesto". "Non sarà certo un deprecabile gesto, pur grave e intollerabile - conclude - ad intimidire un Dirigente generale dello Stato serio, capace, fedele alle Istituzioni democratiche repubblicane". Le donne e gli uomini della polizia penitenziaria manifestiamo solidarietà al vice capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Emilio di Somma, per "il grave atto subito". Lo afferma in una nota il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, dopo aver appreso della lettera di minacce recapitata oggi a Di Somma. "Da sempre chi lavora per la difesa delle istituzioni, all’interno del sistema penitenziario, è in prima linea nella lotta contro le emergenze criminali che affliggono il Paese. Non ultima quella del terrorismo - dice Beneduci - La risposta che lo Stato necessariamente deve dare, anche a difesa degli operatori penitenziari, è la creazione di un sistema più umano, ma anche più sicuro". Giustizia: Sappe; schermare le carceri ad uso telefoni cellulari
Comunicato Sappe, 28 febbraio 2008
Uso dei telefonini in carcere? Da anni sosteniamo l’adozione anche nei penitenziari italiani dei mobile phone jammer, apparecchi studiati per impedire in ambienti circoscritti l’uso del telefonino. Schermare le carceri all’uso dei cellulari, insomma, garantendo solamente le chiamate di emergenza. C’è la volontà di investire concretamente nella sicurezza in questo senso? È quanto si chiede Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione della Categoria, in una lettera inviata al direttore de Il Giornale Mario Giordano commentando un articolo apparso oggi sul quotidiano milanese - "Pronto, San Vittore: in cella telefonate in libertà", pubblicato a pagina 20. La condanna a 4 anni di carcere di un agente di Polizia Penitenziaria in servizio a Milano per avere portato droga e telefonino ad un detenuto - scrive il Sappe - non può dar luogo ad un discredito generalizzato delle oltre 40mila donne ed uomini del Corpo che lavorano nei 205 penitenziari italiani (Case circondariali, di reclusione, istituti per le misure di sicurezza) in cui oggi sono presenti quasi 51mila detenuti a fronte di una capienza regolamentare di circa 43mila posti. Donne e uomini che lavorano quotidianamente con alto senso del dovere e professionalità, spirito di sacrificio di non comune, nel pieno rispetto del giuramento prestato allo Stato ed alle Istituzioni democratiche repubblicane. Donne e uomini della Polizia Penitenziaria, rappresentanti dello Stato, che quotidianamente si fronteggiano con il mafioso, il sequestratore di persone, il narcotrafficante, il pedofilo, lo spacciatore di droga e rispetto ai quali dobbiamo rappresentare l’inflessibilità, la durezza, l’implacabilità della giustizia che si riafferma sul delitto. Ci viene anche chiesto di avere a che fare col tossicodipendente, di capire i drammi umani complessi, difficili, di intere generazioni di giovani che l’emarginazione e la disperazione hanno spinto sulla strada della droga. E i sieropositivi, i malati di mente. Quanti altri problemi umani, anche drammatici, dobbiamo ogni giorno fronteggiare! Per altro, in casi analoghi in cui ad essere coinvolti sono appartenenti alla Polizia di Stato, ai Carabinieri o altro personale in "uniforme" nessuno si permette di condannare per intero il Corpo di appartenenza. Quando, invece accade qualcosa nella Polizia Penitenziaria si scatena una vera e propria gara al massacro. Giustizia: il legale di Contrada invita il Magistrato in carcere
Ansa, 28 febbraio 2008
Nuova istanza di scarcerazione avanzata dallo studio legale Giuseppe Lipera di Catania e Roma, al magistrato di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) Daniela Della Pietra "invitata" letteralmente e personalmente in carcere a verificare le condizioni di salute di Bruno Contrada, l’ex Sisde detenuto nel penitenziario militare per scontare una condanna a 10 anni. ‘Solo per ricordare - scrive Lipera - alla S.V. che le condizioni di salute del dott. Bruno Contrada, sono gravissime. Pertanto o ne ordina la scarcerazione, o nomina un perito medico-legale o lo va a trovare al carcere militare e de visu accerta quanto lamentato dal difensore". Lettere: come sono finito in carcere 16 anni dopo il reato...
www.radiocarcere.com, 28 febbraio 2008
La storia di Vincenzo finito in carcere nel 2006 per un fatto del 1990. La piccola casa in affitto, mia moglie, due bambini e il lavoro fisso come manovale per una ditta di costruzioni. Ero felice, anche se tanti erano i sacrifici per andare avanti. La sveglia alle 5 tutte le mattine, mai al ristorante, le vacanze sempre a casa dei suoceri. Il 16 febbraio del 2006 tutto è finito. Come un incidente stradale, come una disgrazia, che travolge una famiglia. Il 16 febbraio del 2006, sono stato arrestato. La mattina, squilla il telefono di casa e un agente della polizia dice a mia moglie: "Suo marito deve passare in commissariato per firmare un documento. Gli dica che è urgente". Appena finito di lavorare, sono andato dalla Polizia. Ricordo che mi vergognavo un po’, perché ero ancora sporco di calce. "Si accomodi qui". Mi hanno chiuso in una stanza e dopo qualche minuto è arrivato un maresciallo. "Dobbiamo eseguire un ordine di carcerazione nei suoi confronti". Io ho sorriso, pensavo fosse uno scherzo. Il maresciallo: "non è uno scherzo! Deve andare in carcere per scontare 3 anni e 9 mesi perché condannato per un reato del 1990". A quel punto ho smesso di sorridere. Ho provato a ricordare cosa avevo fatto 16 anni prima. Ero confuso. Tra l’altro, non avevo mai saputo di un processo a mio carico. Mentre cercavo di capire, mi sono trovato ammanettato, dentro una macchina, diretto al carcere. Io detenuto per un fatto commesso 16 anni prima. Ho impiegato diverse settimane per scoprire il motivo della mia carcerazione. Le prime quattro settimane le ho passate in trasferimenti da un carcere all’altro. Tanto che, sia per mia moglie che per l’avvocato, era difficile rintracciarmi. Quando mi hanno portato nel carcere di Avellino, ed era già passato più di un mese, l’avvocato finalmente mi ha spiegato che nel 1990 ero stato indagato, che nel 2001 ero stato condannato in primo grado e che nel 2005 la condanna era stata confermata in appello. 16 anni, tra indagini e processo. Il tutto, senza che io sapessi mai nulla del procedimento a mio carico. Risultavo irreperibile. All’indirizzo dove abitavo, dicevano, non mi avevano trovato. Insomma, per me ormai c’era poco da fare. Dovevo stare in carcere per un reato di 16 anni fa. Mentre ero in carcere, la pena maggiore era pensare alla mia famiglia e a cosa sarebbe stato di loro senza di me. Ogni mese mia moglie veniva al colloquio e, piangendo, mi diceva o che ero stato licenziato o che c’era lo sfratto, o che non aveva i soldi per i bambini. Questa era la mia vera pena. Non il carcere, non una cella con altri 7 detenuti. Ma la mia famiglia e la nostra piccola normalità distrutta per un reato commesso 16 anni prima. Perché è vero. Io il reato l’avevo commesso. Tre ricettazioni. Ero giovane e mi ero imbattuto in un brutto giro. Un brutto giro da cui ero presto uscito. Già nel 1992 lavoravo a tempo pieno come manovale. E, dopo un anno, mi sarei sposato. "La Giustizia è una macchina lenta e inesorabile" - mi ha detto un agente di custodia - "Una volta che si mette in moto non si ferma più". Sarà pure così, ma io non riuscivo a capire. Faccio il manovale e ho solo la quinta elementare, ma non riuscivo a credere giusta quella condanna arrivata dopo tanti anni. Una condanna che puniva un’altra persona rispetto a quella che aveva commesso il reato. Perché non mi avevano condannato subito? Questi i pensieri che mi tormentavano in carcere. Già il carcere, un posto folle, dove anche le cose incredibile diventano normali. Così è sembrato normale che io mi togliessi un dente con una forchetta. L’ho dovuto fare perché il dentista non arrivava mai e il dolore mi faceva impazzire. I compagni di cella mi hanno aiutato e sembravano sapere quello che facevano. Dopo un’oretta, e qualche bicchiere di vino, il dente è saltato via. Il giorno dopo è passata una dottoressa e mi ha detto: "Ora si faccia gli sciacqui con acqua e sale". Tutto qui. Poi, un bel giorno è arrivato l’indulto e sono uscito. L’incubo di quella carcerazione era finito. Ma ne iniziava un altro. Fuori non avevo più niente. Né lavoro, né casa. Con mia moglie e i miei figli abbiano ricominciato da capo. Ora vivo con la mia famiglia in un garage. Non ho un lavoro fisso, ma l’idea fissa di lavorare. Ogni mattina mi alzo all’alba e cerco lavoro. Come tanti, faccio la fila davanti ai cantieri per cercare di guadagnarmi la giornata. Se ti prendono, la paga è sempre la stessa. 35 euro. A prescindere da quante ore si deve lavorare. Sempre che non piova. Perché se piove la giornata di lavoro non si riesce a fare. Con mia moglie facciamo salti mortali per sopravvivere. Ma l’altra settimana, quando si è ammalato mio figlio e non avevo i soldi per le medicine, ho provato rabbia. Rabbia per me, colpevole di un reato commesso 16 anni fa. Rabbia per una giustizia, che mi ha punito dopo 16 anni, distruggendo quel poco che avevo.
Vincenzo 40 anni Lettere: detenuti da varie carceri scrivono a Riccardo Arena
www.radiocarcere.com, 28 febbraio 2008
Antonio, dal carcere di Taranto Ciao Caro Riccardo, purtroppo questa settimana ti scrivo per portati una brutta notizia. Infatti, l’altro giorno si è suicidato un nostro compagno del carcere di Taranto. Si chiamava Andrea, aveva 32 anni. Andrea si è impiccato nella sua cella. Lo so, un detenuto impiccato non fa notizia, ma conosciamo bene l’attenzione di Radio Carcere alle persone imputate, alle persone vittime dei reati e anche alle persone detenute. Ecco perché siamo certi che saprai cogliere il dramma della morte di Andrea, uno di noi. Vedi il fatto è che il caso di Andrea avviene in una situazione di grande difficoltà presente nel carcere di Taranto. Un carcere dove subiamo ogni giorno pressioni psicologiche terribili. Io sono 2 anni che sto qui e non cambia mai nulla. Non c’è un aspetto della detenzione che migliora per noi. Non c’è socialità, o rieducazione, né possiamo distrarci un attimo per giocare a pallone. Nulla. Siamo costretti a starcene in cella per 22 ore al giorno e basta. Come se non bastasse non ci sono neanche i farmaci di prima necessità. Insomma lo stesso, schifoso scenario di prima dell’indulto. Sappi che da Taranto ti seguiamo sempre. Ti saluto con tanta stima e affetto.
Leone, dal carcere di Cagliari Carissimo Riccardo, ti informo che sto per ricominciare lo sciopero della fame. La ragione: protestare contro l’ennesimo rigetto alla mia richiesta di essere trasferito in un carcere dove io possa studiare. Un trasferimento che chiedo anche per riavvicinarmi alla mia famiglia, dopo 5 anni e mezzo di galera fatta lontano da loro. Attraverso la lotta non violenta chiedo l’applicazione della legge, chiedo che io possa scontare la mia pena in modo costruttivo e vicino alla mia famiglia. Non mangerò finché non vedrò realizzato il mio piccolo sogno di una pensa sensata. Come se non bastasse, recentemente in Calabria hanno anche arrestato mio nipote con l’accusa di essere un mafioso. E questo solo perché io sono lo zio. Sta di fatto che mio nipote alla fine è stato prosciolto e scarcerato. Come me la chiami tu questa giustizia? Ti saluto con una forte stretta di mano. Emilia Romagna: carceri stracolme, la tollerabilità è al limite di Massimo Pandolfi
Quotidiano Nazionale, 28 febbraio 2008
La rivolta di Ravenna riaccende le luci sull’emergenza sovraffollamento. Cibo scarso, docce rotte e a Bologna piove nei corridoi. Il garante dei detenuti: "Siamo fuori da tutte le regole". Carceri stracolme ai limiti della tollerabilità. Questa la situazione dei detenuti in Emilia-Romagna. Sono in 3.722 a "soggiornare" nelle strutture della regione, contro un limite di capienza di 2.263. La situazione, che poteva sembrare più distesa dopo l’indulto, è ritornata al limite. Dagli oltre 4mila detenuti, prima dell’indulto, si è passati, a fine settembre 2006, a 2.800, per poi tornare ai suddetti 3.722 di oggi. Arrivano diffide anche dall’Ue. I dati, pubblicati dal Resto del Carlino, parlano chiaro: oltre ad un sovraffollamento reale, che supera i limiti di capienza, si è al margine della massima tollerabilità, ovvero dello spazio vitale che, secondo l’Unione Europea, ogni carcerato dovrebbe avere a disposizione in cella (almeno 7 metri quadri). L’esubero più eclatante riguarda il capoluogo: contro una capienza regolare di 483 unità, il carcere di Bologna ospita ben 1.062 detenuti, 579 in più. Anche a Reggio Emilia la situazione non è rosea, con un esubero di 239 carcerati. Parma (201), Modena (195) e Ferrara (145), non sono da meno. La situazione è molto preoccupante, anche perché si vanno ad infrangere norme ben precise stabilite dall’Unione Europea. Piove dentro il carcere di Bologna, la celeberrima Dozza, anno di costruzione 1984, struttura nuova ma già vecchia. Al terzo e ultimo piano, nei corridoi, ci si bagna in continuazione se fuori Giove Pluvio si scatena. Eppure quelli di Ravenna invidiano un po’ i colleghi bolognesi perché loro, in Romagna, l’acqua non ce l’hanno proprio. Ve l’abbiamo raccontato ieri: a Ravenna è scoppiata quasi una sommossa fra i detenuti. Motivo: le docce non funzionano. Un medico-donna è stato preso in ostaggio da un carcerato che le ha puntato alla gola il coperchio di una scatola. Racconta: "Ho passato un momento poco piacevole, certo, ma non ho avuto paura. Quell’uomo voleva solo lavarsi". L’indulto è già un ricordo: prima del provvedimento firmato da Mastella i detenuti erano 4.053, al 31 gennaio scorso erano 3.722. Le carceri sono di nuovo una polveriera. L’Emilia Romagna vanta un non invidiabile record: è la regione italiana più a rischio, nel senso che il numero dei detenuti, oltre che superare abbondantemente la capienza regolare delle sue tredici strutture detentive, sfiora anche il grado di massima tollerabilità. In realtà, assicurano gli esperti, pure questo massimo grado di tollerabilità è stato superato in febbraio. Ma andiamo sul concreto, perché le parolone rendono poco l’idea: "Massima tollerabilità vuol dire che certe volte mettono anche sei detenuti per cella. Sta diventando la regola poi riunire tre persone in una cella: tre detenuti che vivono e dormono in dieci metri quadrati. La normativa europea prevede invece espressamente che ogni carcerato dovrebbe avere a disposizione almeno sette metri quadri; ci sono anche arrivate diffide in tal senso dall’Ue, ma l’Italia se ne infischia". Chi parla è un avvocato, Desi Bruno, da due anni e mezzo "garante" a Bologna per i detenuti. Presto nascerà anche una figura regionale ma per ora fanno un po’ tutti capo a lei: ed è alla Bruno che i detenuti di Ravenna stanno scrivendo un esposto collettivo con il quale denunceranno il degrado della struttura e, sussurra radio-carcere, anche le velate pressioni del direttore: "Se fuori si sanno certe cose vi trasferisco tutti". Tante cose che succedono "dentro" non si vengono a sapere fuori: i suicidi dei carcerati, i tentati suicidi, i gesti di autolesionismo, le risse e poi i problemi banali ma tremendamente reali di tutti i giorni. Alla Dozza di Bologna, oltre che piovere dentro, per un certo periodo non arrivava l’acqua calda e l’inizio dell’inverno guardie e carcerati l’hanno passato con le coperte addosso, perché non funzionava il riscaldamento. Mancano pure saponi e detersivi per pulire i pavimenti. Il sindaco Cofferati ha addirittura firmato un’ordinanza per mettere in mora l’amministrazione penitenziaria: questione d’igiene. E poi il vitto: poco e cattivo (a Bologna e non solo). Per non parlare del poco gusto: a Forlì, il venerdì e il sabato, i parenti dei carcerati si umiliano in coda, anche per ore, fuori dalla casa circondariale della Rocca, perché non c’è una stanza che può accoglierli. E chi passa di lì sa per forza che quelli hanno genitori, figli, fratelli, sorelle, mariti o mogli in carcere; magari un po’ di discrezione non guasterebbe, o no? L’indulto, si diceva, ha già bruciato tutto. Entro l’estate saremo messi peggio che prima del luglio 2006. Alla Dozza ci sono quasi 1100 detenuti e ne entrano 4-5 nuovi al giorno; quasi il 70% sono stranieri, ed è difficile capirli. Un lavoraccio per tutti, anche e soprattutto per gli agenti di polizia penitenziaria (ne parleremo meglio domani): sono pochi, stremati e stressati. E pure un po’ disorientati, almeno a Bologna: negli ultimi tre mesi hanno silurato il direttore della Dozza e il comandante delle guardie che però ha fatto il ricorso al Tar e l’ha vinto. Siamo al paradosso che in questo momento ci sono praticamente tre comandanti dei secondini: quello vecchio (reintegrato dal Tar) il facente funzione e quello nominato per il futuro. Ma a Giove Pluvio di questi giochi di potere importa poco: dentro la Dozza piove. Anzi, non piove soltanto: qua grandina. E forte. Campania: i Fondi europei per il recupero degli ex detenuti di Barbara Romano
Il Mattino, 28 febbraio 2008
Sono stati 150 gli ex detenuti nelle carceri campane coinvolti nel progetto di reinserimento sociale previsto dall’Unione Europea. Dei tredici programmi attuati in Italia, tre hanno visto impegnata la Campania: coinvolgere detenuti ed ex detenuti in tirocini formativi è stata la missione del progetto Equal. Imparare ad usare il computer, specializzarsi in opere di giardinaggio e diventare operatori socio-assistenziali sono i tre percorsi svolti nel corso di questi anni. Tutti con un unico obiettivo: concedere un’opportunità di reinserimento a chi ha sbagliato, un modo per poter tornare a vivere nella legalità. Samuele Ciambriello, presidente dell’associazione La mansarda, tra le sostenitrici del progetto insieme con le associazioni Antigone, Arci e Lenof, ha espresso tutto il suo entusiasmo per i risultati ottenuti e ha ricordato l’importanza di una simile iniziativa. Stamattina, in conferenza stampa, sono stati presentati i volti di chi è tornato tra i banchi per imparare un mestiere e darsi una seconda possibilità. C’è stato chi ha colto l’occasione di mettere in piedi una cooperativa grazie alle competenze assunte e chi, ancora in cerca di un lavoro, chiede di non essere abbandonato. Sensibilizzare la società civile ad accettare l’inserimento degli ex detenuti ed attuare percorsi formativi per trovare spazio nel mercato del lavoro. Queste le finalità dei progetti "Equal Cos" e "Equal Oltre la linea d’ombra", promossi rispettivamente dall’Associazione Mansarda, Enof, Copim, da Arci Napoli, Arci Campania, Arci Ora d’Aria ed Antigone Onlus e con il patrocinio dell’Unione Europea, Regione e Ministero del Lavoro. "Il progetto "Equal" prevede la compartecipazione di 5 Stati europei - afferma l’Assessore regionale al lavoro, Corrado Gabriele - in Italia è stato effettuato in Emilia Romagna ed in Campania, la sua mira è quella di sperimentare nuovi metodi e sistemi per favorire l’inclusione socio-lavorativa degli ex detenuti". "Il progetto Equal ha coinvolto 75 reclusi, tra cui sei donne, del carcere di Lauro e di Pozzuoli - spiega il responsabile del progetto, Samuele Ciambriello - il progetto Equal Cos ha accolto 45 beneficiari-detenuti, che hanno partecipato a un corso di formazione per operatore socio assistenziale. Il progetto "Oltre la linea d’ombra" ha, invece, formato 30 detenuti come addetti al verde pubblico ed operatori di computer. Un passo che può risollevare il malessere del sistema penitenziario. In Campania ci sono 6.114 detenuti, tra i quali cresce il tasso di suicidi". "Equal prevede anche la stipula di un Protocollo d’Intesa tra i promotori del progetto, la Caritas, l’Amministrazione penitenziaria, la Casa circondariale di Pozzuoli e la l’Uepe di Napoli (Ufficio esecuzione penitenziaria esterna Napoli), per garantire l’effettivo inserimento di almeno 4 detenute nel settore socio-assistenziale, all’interno di famiglie bisognose - afferma il Provveditore amministrazione penitenziaria Campania, Tommaso Contestabile - e l’istituzione di una Cooperativa sociale in cui potranno confluire una parte dei detenuti del progetto". Venezia: i Francescani in carcere... con Corano e Vangelo
Il Gazzettino, 28 febbraio 2008
Una settimana in carcere per esprimere amicizia nei confronti di chi soffre, donando il Vangelo e il Corano, e far conoscere all’esterno il mondo penitenziario. È con questa filosofia che lunedì è iniziata nel carcere di Santa Maria Maggiore la missione francescana "Camminare nello spirito di San Francesco", condotta da una quindicina di volontari guidati dal cappellano don Antonio Biancotto e da fra Beppe Prioli, il famoso frate Lupo, frate minore veronese che dal 1965 va nelle prigioni di tutta Italia, riuscendo a trasformare i detenuti in agnelli. Fondatore e per molti anni presidente dell’associazione di volontariato e prevenzione "La Fraternità", fra i suoi allievi ci sono i rapinatori assassini della "Uno bianca", i pluriomicidi Gianfranco Stevanin e Marco Bergamo; c’è Pietro Maso (il ragazzo veronese che il 17 aprile ‘91 massacrò la sua famiglia a Montecchia di Crosara); c’è anche il "mostro di Foligno" Luigi Chiatti e le giovani assassine che in Val Chiavenna massacrarono suor Maria. Tra i missionari veneziani vi sono il parroco dei Tolentini mons. Mario Ronzini, il vicepresidente della Caritas don Luca Biancafior, il responsabile della pastorale giovanile don Renato Mazzuia, fra Fabio Miglioranza, il diacono Giuseppe Pistolato, il direttore del Coro Fanis Giorgio Tiozzo, il responsabile di Casa mons. Vianello Giorgio Schipilliti. Lunedì i missionari hanno incontrato i 230 detenuti di Santa Maria Maggiore, passando per le sezioni e i cortili. Hanno poi dialogato e pranzato con loro nelle salette della "socialità". Ieri, giornata di confronto e riconciliazione, è stata annunciata la "Buona Novella" e sono stati consegnati, a chi lo vorrà, la Bibbia in varie lingue e il Corano (ai fratelli musulmani). Domani la giornata sarà dedicata al dialogo personale e alla confessione e si concluderà con la messa e la consegna a tutti i presenti del Tau, il simbolo di San Francesco. Venerdì sarà invece dedicato agli agenti di custodia e ai loro familiari, con un incontro-riflessione alle 17 nella parrocchia di San Pietro Orseolo a Carpenedo, seguito dalla consegna del Tau e dalla cena. Sabato marzo in carcere incontro interreligioso con il pope ortodosso, monsignor Dino Pistolato e il mediatore culturale arabo di Treviso e chiusura della missione; alle 12 a Santa Chiara incontro con i familiari dei detenuti. Lunedì 3 marzo alle 18 nel patronato dei Frari, tavola rotonda su "Di fronte al male, quale risposta? Solo carcere?". Nell’occasione fra Beppe presenterà il suo libro "Risvegliato dai Lupi". Brescia: il nuovo carcere nell'agenda del Consiglio comunale
Giornale di Brescia, 28 febbraio 2008
Il Garante Fappani lancia l’allarme: "Su 359 detenuti a Canton Mombello, solo 40 sono condannati in via definitiva". Il Garante dei detenuti Mario Fappani prende atto "con soddisfazione dell’iniziativa assunta, con voto unanime, da parte del consiglio comunale di Brescia nella sua ultima seduta, in merito alla necessità di provvedere alla realizzazione di una nuova sede per la casa circondariale di Canton Mombello". Le condizioni in cui sono costrette a vivere le persone ristrette in questo istituto di pena, scrive Fappani, si stanno "aggravando ogni giorno di più per un progressivo, inarrestabile sovraffollamento". Come più volte denunciato, sia nella prima relazione del garante dei detenuti al consiglio comunale nel marzo dello scorso anno, sia in vari interventi sui media cittadini, continua, "le nostre carceri non sono degne di una comunità attenta ai diritti costituzionali come quella bresciana". A Canton Mombello, incalza Fappani, la popolazione "ristretta" è costituita "per la stragrande maggioranza da persone in stato di arresto o indagate o appellanti ( al 31 dicembre su 359 detenuti, solo 40 circa erano condannati in via definitiva): "per la stragrande maggioranza di loro vige dunque la presunzione di innocenza". La situazione dunque a Brescia, come nel resto d’Italia, "nonostante lo sfollamento avvenuto in seguito al provvedimento d’indulto a fine luglio 2006, si va facendo ogni giorno più intollerabile". Il garante cita anche i dati nazionali di Ristretti Orizzonti secondo cui in soli 52 giorni, dall’1 gennaio 2008 al 21 febbraio 2008, il numero dei detenuti nelle carceri italiane è aumentato di oltre 2 mila unità. Dall’inizio del 2007 ad oggi l’aumento è stato di quasi 12.000 persone. La gestione di questa situazione si preannuncia difficile dal punto di vista logistico e sotto il profilo economico (ogni detenuto costa 150 euro al giorno alle casse dello Stato). Dati da cui emerge "tutta la gravità - chiude Fappani - di un’emergenza ormai prossima". Venezia: volontariato e istituzioni per recupero di emarginati
Il Gazzettino, 28 febbraio 2008
È stato sottoscritto il rinnovo per l’anno in corso del Protocollo d’Intesa Progetto di inserimento in Associazioni/Enti/Organismi religiosi di soggetti in situazioni di marginalità o sottoposti a misura alternativa alla detenzione. Oltre al Comune di Venezia - Assessorato alle Politiche Sociali e Rapporti con il Volontariato Direzione Politiche Sociali, Partecipative e dell’Accoglienza Servizio Adulti UOC Autonomia degli Adulti, al Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (U.E.P.E.) di Venezia, Treviso e Belluno e alle associazioni Anffas Venezia, Arci, Asdive, Auser, Caritas veneziana, Croce Verde Mestre, Dingo, El Fontego, Cism, Fondazione Carpinetum, Associazione Carpenedo solidale, Enpa, Lipu, Uisp, Forte Carpenedo, hanno dato per la prima volta la loro adesione anche i Servizi sociali delle Municipalità Venezia-Murano-Burano, Lido-Pellestrina, Mestre-Carpenedo e Favaro. Il progetto è stato avviato nel 2002 ed è rivolto a persone adulte che vivono in condizioni di disagio sociale (senza dimora, soggetti deboli, svantaggiati ed ex-detenuti) e a persone sottoposte a misura alternativa alla detenzione. La finalità principale è quella di offrire loro la possibilità di sperimentarsi in contesti diversi da quelli per loro abituali, volti a favorire, con l’inserimento in associazioni, organismi ed enti del territorio, processi di emancipazione, socializzazione e autonomia personale. Per i soggetti sottoposti a misura alternativa alla detenzione, l’Uepe si prefigge di costruire una rete di risorse per realizzare un’attività di riparazione del danno arrecato con il compimento del reato. Le 14 Associazioni aderenti dal 2002 ad oggi hanno garantito l’accoglienza di 89 persone e attualmente garantiscono un bacino sufficientemente ampio ed eterogeneo, ma si ritiene comunque importante continuare la ricerca di altre realtà coinvolgibili. Per informazioni è possibile contattare la U.O.C. Autonomia degli Adulti al numero 041.2747861 o inviare una e-mail a areapenitenziaria@comune.venezia.it. Milano: a San Vittore… "telefonate libere" per i detenuti
Il Giornale, 28 febbraio 2008
Un carcere troppo aperto. Un carcere dove i detenuti possono procurarsi un telefonino con cui gestire dalla cella affari, delitti, amori. Che a San Vittore circolasse sottobanco qualche telefono era già emerso in varie inchieste, quando erano state casualmente intercettate chiamate provenienti dal vecchio carcere milanese: dove, in teoria, di telefonini non dovrebbero circolarne. Ma ieri un agente di polizia penitenziaria viene condannato a quattro anni di carcere per avere portato droga e telefonino a un detenuto. E il processo apre uno spiraglio di luce su un fenomeno vasto e radicato, su un traffico che avviene quasi alla luce del sole. Un fenomeno tanto grave che da Roma il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso avrebbe scritto al suo collega milanese Ferdinando Pomarici per chiedere una analisi dettagliata sulla facilità con cui i telefoni cellulari entrano in prigione. Il secondino condannato a quattro anni si chiama Maurizio Miriello, lo hanno preso in flagrante i carabinieri del Ros. In aula il pm Marcello Musso va all’attacco: parla di una rete di corruttele nel carcere, parla di cocaina che entra nelle celle. Che in carcere si consumi droga è senz’altro grave. Ma ad allarmare è soprattutto la diffusione dei cellulari. "Per l’attività criminale - dice il pm nella requisitoria - il telefono è uno strumento di lavoro fondamentale. Il telefono consente ai detenuti di continuare i traffici illeciti, di mantenere i legami con le organizzazioni, di dare e ricevere ordini". A San Vittore circola anche un tariffario: un telefono completo di ricarica e scheda gsm, intestato ad un nome "pulito", costerebbe intorno ai 300 euro. In un giorno qualunque, a San Vittore, sarebbero attivi tra i quindici e i venti cellulari illegali. A occuparsi di farli entrare è sufficiente un numero anche piccolo di agenti penitenziari corrotti: d’altronde che tra i mille agenti che lavorano a San Vittore, pagati mille euro al mese, a contatto diretto con i detenuti, che qualche mela marcisca appare purtroppo inevitabile. Di certo gli stessi carcerati parlano della possibilità di procurarsi un telefono al mercato nero come di una faccenda di disarmante facilità. Racconta il detenuto Daniele La Face: "Il 13 febbraio avrei dovuto svolgere un colloquio con la mia fidanzata ma la stessa non si è presentata perché avevamo litigato. Pertanto ho pensato di procurarmi un telefono cellulare per contattare la fidanzata e ho richiesto all’appuntato Miriello se poteva portarmi un cellulare. L’appuntato si rendeva immediatamente disponibile ad assecondare la mia esigenza, io gli promettevo che avrei ricambiato il favore appena ne avrebbe avuto bisogno". Questa volta il telefono serviva al detenuto - dice lui - per questioni di cuore. Ma la Procura sa che di solito sui telefonini di San Vittore passano conversazioni che di romantico hanno molto poco. Alessandria: conferenza su "detenzione e accompagnamento"
Comunicato stampa, 28 febbraio 2008
Si svolgerà presso il cinema Ambra di Alessandria una conferenza su "Detenzione e accompagnamento fuori dal carcere". All’organizzazione della serata ha partecipato la redazione di "Altrove" che ha realizzato delle interviste ai reclusi e curato la scaletta. Ai video seguiranno brevi interventi del Magistrato di sorveglianza, della direttrice del carcere di San Michele di Alessandria, dell’educatore, del direttore responsabile di Altrove e di un detenuto in permesso. Seguirà un dibattito. La conferenza avrà inizio alle ore 21.00 dell’11 marzo 2008.
La redazione di Altrove Napoli: stasera su Sky partita di rugby con ragazzi dell’Ipm
Il Mattino, 28 febbraio 2008
In onda su Sky Sport Italia, alle 21, il rugby contro il degrado giovanile. Un’iniziativa fortemente voluta dalla direzione dell’istituto penale minorile di Nisida e realizzata con l’aiuto degli atleti del rugby Amatori Napoli. Il progetto Palla Storta, che dal 2005 è stato sviluppato non solo nelle scuole, ma anche nel carcere minorile e nelle comunità dei minori a rischio, ha oggi un ulteriore impulso: il successo internazionale, infatti, sbarcate da Londra le telecamere di Total Rugby, con seguito di numerosi giornalisti, hanno dimostrato, nel documentario in onda stasera in centinaia di paesi, che l’esperimento è riuscito. Il progetto di affermare il rugby come modus operandi della rieducazione, ha offerto ai giovani ospiti del carcere minorile di Nisida non solo un’esperienza emotiva e fisica, ma anche la possibilità di fare dell’impegno sociale un’alternativa di reale integrazione attraverso i valori e le esperienze umane. Immigrazione; il Governo "recupera" decreto sulle espulsioni
Dire, 28 febbraio 2008
Le norme, varate dopo l’uccisione Giovanna Reggiani, ma mai convertite in legge dal Parlamento, sono confluite nel decreto legislativo varato oggi in Consiglio dei Ministri. Le norme sull’espulsione dei cittadini comunitari, varate dopo la morte di Giovanna Reggiani, il 30 ottobre scorso, a Roma, per il cui delitto è in carcere un cittadino rumeno, e non convertite in legge del Parlamento, sono confluite nel decreto legislativo, approvato oggi in Consiglio dei ministri, che "modifica la disciplina di recepimento delle norme comunitarie sul diritto dei cittadini dell’Unione e loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri". Varie le novità apportate al testo del Dlgs 30, varato nel marzo dello scorso anno. Come "la disciplina relativa alla dichiarazione di presenza sul territorio nazionale, la necessità che le fonti di reddito siano dimostrabili, la cancellazione anagrafica in caso di allontanamento per motivi di sicurezza, l’obbligo di consegna di un attestato di ottemperanza all’ingiunzione di lasciare il territorio nazionale". La più rilevante, però, è quella relativa al decreto sicurezza: "Per motivi di organicità della disciplina ed in adempimento ad un indirizzo espresso dal Parlamento - si legge nella nota di Palazzo Chigi - sono state accorpate e trasfuse nel provvedimento le disposizioni del decreto legge 249 del 2007 in materia di allontanamento dei cittadini comunitari per motivi imperativi di pubblica sicurezza e di prevenzione del terrorismo". Il decreto, dopo la registrazione della Ragioneria e il vaglio dei Quirinale, verrà pubblicato in Gazzetta ufficiale, entrando così in vigore.
La Sinistra Arcobaleno si astiene
I ministri della Sinistra arcobaleno non hanno votato le modifiche al Dlg 30 del 2007 sulla libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea. Lo fa sapere, dopo la riunione, Paolo Ferrero. "Io e gli altri ministri della Sinistra arcobaleno, sulla direttiva sui neocomunitari - spiega il responsabile della Solidarietà sociale - non abbiamo partecipato al voto. Il nostro assenso c’era stato in un contesto che prevedeva anche norme contro l’omofobia e una nuova legge sull’immigrazione". Il contesto è mutato: "Oggi - conclude - sarebbe come un triciclo con una ruota sola". Ha votato invece a favore del decreto legislativo il ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi.
Mantovano (An): disposizioni minimali
"Disposizioni minimali". Così Alfredo Mantovano, senatore di Alleanza Nazionale commenta il decreto legislativo, approvato oggi in Consiglio dei ministri, che modifica la disciplina di recepimento delle norme comunitarie sul diritto dei cittadini dell’Unione e loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. "Dall’omicidio della signora Giovanna Reggiani - ricorda Mantovano - sono trascorsi quattro mesi. In questo periodo Veltroni ha, nell’ordine: preteso da Prodi un decreto legge sulla sicurezza; ha assistito impassibile al suo ritiro per incapacità del centrosinistra di sostenerlo in Parlamento; ha osservato senza particolare trasporto la ripetizione del medesimo teatrino, con un nuovo decreto presentato a gennaio e un nuovo ritiro pochi giorni fa". Oggi poi, spiega il senatore di An "accetta che disposizioni minimali sugli allontanamenti siano inserite in un decreto legislativo, senza che sia affrontato uno solo dei nodi critici derivanti dal flusso di comunitari di nuovo in ingresso". Dopo l’omicidio Reggiani "Veltroni accusò la Sinistra di avere una trave nell’occhio in tema di sicurezza. Quattro mesi dopo - conclude Mantovano - mostra di condividere nei fatti l’occlusione visiva. Immigrazione: Ferrero; presto un nuovo "decreto - flussi"
Ansa, 28 febbraio 2008
Il Ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, al termine del Consiglio dei Ministri di ieri, 27 febbraio, ha annunciato che il Governo varerà un nuovo decreto flussi nelle prossime settimane. Il Ministro ha raccolto l’appello dei tre sindacati confederali e ha proposto al Consiglio dei Ministri di varare un nuovo decreto flussi per il 2008 che risponda alle esigenze reali di mano d’opera straniera del paese. "Nel 2007 a fronte di 800mila domande di datori di lavoro, il decreto concedeva 170 mila permessi. Quest’anno a mio giudizio" , ha dichiarato Ferrero, " bisogna tenere conto della effettiva domanda, anche perché sono richieste di datori di lavoro e non di lavoratori che cercano un lavoro". Il Ministro ha riferito anche di aver chiesto al Presidente del Consiglio "un provvedimento di regolarizzazione per tutti quei migranti che lavorano in Italia pur essendo clandestini" ma di aver ricevuto una risposta negativa. Svizzera: dalla "tolleranza zero" alla… "credibilità zero" di Michel Venturelli
Swiss Info, 28 febbraio 2008
Alla base del discorso criminologico c’è la teoria della prevenzione generale. Questa teoria postula che il crimine, per essere combattuto efficacemente, deve essere sanzionato con condanne adeguate (la pena è severa). Inoltre ad ogni infrazione dovrebbe corrispondere una sanzione (la pena è certa). Certezza e Severità della pena contribuiscono a far apparire l’inconveniente di una sanzione superiore ai vantaggi derivanti dall’infrazione. In sintesi, più la sanzione prevista dalla legge è severa e certa, più i cittadini si asterranno dal commettere reati. In questo contesto già Cesare Beccaria, ma prima di lui Montesquieu e addirittura Aristotele, postulavano che se la severità non era accompagnata dalla certezza, o viceversa, la dissuasione veniva a mancare. Questo postulato, fondato sul razionalismo umano, ha inspirato i legislatori del XVIII e XIX secolo. Nel XX secolo si è aggiunto un ulteriore concetto, quello della celerità della pena. Con la celerità si intendeva, e si intende tutt’oggi, che la sanzione per avere lo scopo educativo auspicato dai codici deve essere applicata nel minor tempo possibile. La relazione causa-effetto deve essere rapida. Quarant’anni fa il consumo di stupefacenti, resi illegali all’inizio del secolo scorso, diventa di massa e agisce da moltiplicatore nel campo delle attività criminali; le rapine decuplicano in meno di 10 anni. I furti esplodono. Il motore s’inceppa. Attualmente circa il 60% dei detenuti che intasano i penitenziari europei sono in galera per infrazioni legate agli stupefacenti. L’alta percentuale delle detenzioni "per droga" indica che una parte non indifferente delle risorse repressive è consacrata agli stupefacenti e ai crimini da essi indotti. Riassumendo: abbiamo gli apparati giudiziari intasati come un cesso pubblico, sottraiamo importanti risorse destinate alla sicurezza dei cittadini e il risultato è sotto gli occhi di tutti, la droga è come il porno: sempre di più per sempre di meno. Eppure è proibito, come è proibito lavorare senza permessi, anche se l’economia sommersa vale miliardi. Il principio della prevenzione generale è sempre valido, ma il legislatore ne fa astrazione tendendo a promettere condanne che lo Stato difficilmente è in misura di emettere. Il delinquente valuta costi a benefici di un’operazione, esattamente come fa un banchiere; il legislatore, elaborando le proprie strategie di contrasto o di contenimento, dovrebbe tenerne conto per elaborare leggi che facciano giustizia. Invece, secondo le ricerche sul tema, è chiaro ed assodato che in Svizzera il tasso di risoluzione dei reati si situa attorno al 10%. Un delitto sanzionato ogni 10. Se ne deduce che ci sono troppe cattive proibizioni; cattive anche perché non ci sono le risorse per applicarle. Brasile: italiani detenuti, il Garante Marroni scrive a D’Alema
Sulla vicenda dei cittadini italiani reclusi nel carcere brasiliano di Nadal a Rio De Janeiro, il Coordinatore della Conferenza Nazionale dei Garanti dei detenuti, Angiolo Marroni, scrive una lettera al Ministro degli esteri Massimo D’Alema. Definire in tempi brevi l’Accordo bilaterale Italia - Brasile, strumento importante di cui beneficeranno i cittadini italiani condannati in Brasile, che potranno chiedere di scontare la pena in Italia. È quanto auspica il coordinatore nazionale della Conferenza nazionale dei Garanti regionali dei diritti fondamentali dei detenuti Angiolo Marroni con una lettera inviata al Ministro degli Esteri Massimo D’Alema. Marroni ha scritto al Ministro degli Esteri dopo il reportage pubblicato il 16 febbraio dal settimanale "D - La Repubblica delle Donne" sugli italiani detenuti nel carcere di massima sicurezza di Natal, a Rio de Janeiro. "Come Garante e cittadino della Repubblica Italiana - ha scritto Marroni - sono rimasto molto turbato dal reportage. Carceri sovraffollate, pessime condizioni igieniche, violenze inaudite e sistematiche, violazione dei diritti umani: all’interno di questo contesto sono reclusi i nostri connazionali, colpevoli o innocenti poco importa. Gli episodi raccontati dai reclusi, sono corredati da immagini che si commentano da sole e che confermano quantomeno una assurda condizione umana e carceraria in contrasto ,con la Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, con il trattamento umanitario dei detenuti sanciti da Carte ed Accordi internazionali e con i più elementari principi fissati dal diritto penale penitenziario in vigore nella maggior parte dei Paesi del mondo che credono e si impegnano per caratterizzare la pena non in termini afflittivi ma di recupero del reo per un suo efficace reinserimento sociale". Dopo aver giudicato "intollerabile ed offensivo per la dignità dell’uomo" quanto accade nelle carceri brasiliane, Marroni ha chiesto al Ministro degli Esteri, ove non si fosse già provveduto, di esperire ogni consentito intervento presso il Governo Brasiliano "a tutela della dignità e dei diritti dei nostri concittadini reclusi in Brasile". Parallelamente Marroni ha chiesto la veloce definizione, dell’Accordo bilaterale con il Brasile, "che consentirà ai cittadini italiani condannati in Brasile di chiedere di scontare la pena in Italia". Lo stesso dovrà avvenire anche per i cittadini brasiliani detenuti negli istituti penitenziari Italiani, anche se, in quest’ultimo caso, "il trasferimento potrà essere effettuato solo se il Brasile si impegnerà a garantire un trattamento penitenziario degno di un paese civile". GB: togliere sussidi ai tossicodipendenti che non si curano
Ansa, 28 febbraio 2008
Per la nuova proposta del Governo, i tossicodipendenti che rifiutino le cure potrebbero perdere i benefici dell’assistenza sanitaria per un massimo di sei mesi. "Noi vorremmo che un tossicodipendente prenda un appuntamento con uno specialista per disintossicarsi se non riuscisse a riprendere il lavoro a causa della sua dipendenza", ha dichiarato l’Home Secretary Jacqui Smith. Circa 50 mila persone ricevono supporti economici, assegni di invalidità e di disoccupazione, fornendo così un alibi per molti per non trattenere il lavoro. La nuova strategia incoraggia i nonni a prendersi cura dei nipoti i cui genitori abbiano problemi di droghe, e agli assistenti sociali di intervenire "presto" in caso di minori a rischio.
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