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Giustizia: Caruso e i detenuti per "tendenza a delinquere"
Liberazione, 15 febbraio 2008
Il deputato indipendente del Prc Francesco Caruso ha fatto visita alla Casa di Lavoro di Castelfranco Emilia (Modena), discutendo coi 28 internati la loro condizione e oggi ha commentato che "è molto peggio di un carcere. Sbarre ovunque, celle sovraffollate, le guardie sono la cornice di una detenzione tra le più angoscianti: invece di una pena certa, hai dinanzi una pena minima: in genere due anni, al termine dei quali un giudice decide se hai dato segni di reinserimento, senza i quali hai un’ulteriore proroga di due anni e così via, anche all’infinito". "Nella maggioranza dei casi restano rinchiusi poveri cristi - ha detto ancora Caruso - quelli che non hanno una famiglia, una rete di affetti e di relazioni all’esterno, che entrano in questo girone infernale e non riescono più ad uscire fuori ed è per questo che si parla di veri e propri ergastoli bianchi. A Castefranco come nelle altre tre case-lavoro ancora esistenti (Saliceta San Giuliano, Sulmona e Favigliana) puoi finire dentro senza aver compiuto alcun reato o fatto specifico, solo perché un magistrato ravvisa nella tua personalità una tendenza a delinquere. Si condanna quindi - sostiene Caruso - in via preventiva, non sulla base di fatti, un principio in contrasto con qualsiasi presupposto di uno stato di diritto, tant’è che l’istituzione delle case lavoro in Italia fu fatta da Benito Mussolini nel 1931 per gli oppositori del regime". "Presenterò interpellanza urgente al ministro della giustizia - ha concluso Caruso - per denunciare l’assurdità di per sé di questa istituzione e per segnalare la presenza all’interno di Castelfranco di almeno due internati che hanno finito da giorni di scontare l’internamento ma che non vengono rimessi in libertà a causa della lentezza della giustizia che ancora non si degna di fissare la camera di consiglio". Giustizia: Radicali; interrogazione sulla Cassa delle Ammende
Agenzia Radicale, 15 febbraio 2008
Bruno Mellano ha depositato ieri un’interrogazione a risposta scritta al nuovo Ministro della Giustizia, Luigi Scotti, sulla vicenda della Cassa delle Ammende. Un lancio dell’Agenzia Ansa, datato Roma 6 febbraio, aveva infatti riportato le seguenti dichiarazioni di Luigi Scotti, nuovo Ministro della Giustizia del Governo Prodi: "Porterò avanti l’attività del Ministero già avviata. In due mesi si può fare ancora molto, sempre nell’ordinaria amministrazione. Io, d’altronde, sono un tenace lavoratore" e, rispondendo a chi gli chiedeva cosa intendesse portare avanti fino all’insediamento del prossimo governo nel suo nuovo incarico, tra le priorità di lavoro per i prossimi mesi il Ministro indicava: la realizzazione di un servizio unico di intercettazioni telefoniche, così come ci è imposto da una direttiva comunitaria e dalla legge Finanziaria; il recupero delle somme tra le pene pecuniarie di condanna da destinarsi alla Giustizia; il completamento del sistema informatico. Come è noto, almeno agli esperti grazie alle iniziative dei Radicali, la Cassa delle Ammende è un fondo di denaro, gestito dal Dipartimento Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, dove confluiscono i proventi del pagamento delle ammende e delle multe oggetto delle sentenze penali di condanna ed anche tutti i beni mobili ed immobili confiscati alla criminalità. Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 (artt. da 121 a 130) ha rivisitato l’istituto della Cassa delle Ammende, attribuendole precise finalità fra cui il finanziamento di "programmi che attuano interventi di assistenza economica in favore delle famiglie dei detenuti e degli internati, nonché di programmi che tendono a favorire il reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti e degli internati anche nella fase di esecuzione di misure alternative alla detenzione" (art. 129, 3° comma). Nella risposta ad una precedente interrogazione in Commissione Giustizia, svolta il 16 ottobre scorso, il sottosegretario Li Gotti aveva affermato "Alla data del 30 giugno 2007 l’ammontare del fondo patrimoniale della cassa ammende era pari ad euro 113.856.586,02. Attualmente gli impegni finanziari deliberati dalla cassa ammende in attuazione del disposto di cui all’articolo 129, II e III comma del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 sono pari ad euro 13.193.355,41. Quaranta sono i progetti presentati dalla cassa ammende ed approvati alla data del 12 settembre 2007 e di questi, quattordici sono quelli finalizzati al reinserimento socio-lavorativo delle persone che hanno beneficiato del provvedimento di indulto. Questi quattordici progetti coinvolgono 882 soggetti, hanno una durata temporale che va da un minimo di nove mesi ad un massimo di due anni e sono stati finanziati tutti dalla cassa delle ammende per un importo complessivo di circa 3 milioni e 313 mila euro". A me sembra che occorra prendere sul serio ed incoraggiare l’impegno del neo Ministro della Giustizia e per questo ho voluto sollecitarlo, con l’unico strumento parlamentare che mi è disponibile in questa fase: credo davvero che Luigi Scotti possa lasciare il segno del suo passaggio al Ministero facendo funzionare almeno la Cassa delle Ammende.
Bruno Mellano, Segreteria Radicali Italiani Giustizia: Osapp; un commissario straordinario per le carceri
Ansa, 15 febbraio 2008
Al 13 di questo mese i detenuti presenti nelle strutture carcerarie sono 50.220, su una capienza totale prevista di 43.228, come si vede, da un bel pezzo già superata". Lo dichiara il segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma Polizia penitenziaria) Leo Beneduci, facendo chiarezza sulle cifre riportate questa mattina e riguardanti i dati del sovraffollamento. "Quello che è interesse ricavare, leggendo i dati regione per regione - spiega Beneduci -, sono le percentuali di scopertura che si ottengono analizzando il rapporto tra capienza effettiva e quella prevista come regolamentare. Nella regione Puglia i detenuti presenti oltre la capienza prevista raggiungono il 12 per cento, la Sicilia è al 12 per cento, la Liguria al 14, la Toscana e il Piemonte sono al 16, passando a casi più sconvolgenti come il Veneto (37 per cento), la Lombardia (38) e l’Emilia Romagna (60). Guardando solo all’Emilia Romagna - precisa Beneduci - i detenuti sono 3.772, su 2.255 previsti, come si vede quasi il doppio oltre il consentito. Siamo impressionati dal fatto che l’amministrazione penitenziaria rimanga ancora inerme di fronte a una situazione che continua a considerare il minore dei mali, sostenendo che l’indulto approvato due anni fa ha comunque consentito a non aggravare il quadro globale. Ci colpisce l’approccio approssimativo di chi, riportando i dati, esamina la situazione con lo sguardo rivolto all’indietro, citando gli effetti di una misura che rispetto al reale impatto prodotto non può essere considerata radicale: a oggi infatti, a due anni dal voto in Parlamento, assistiamo al rientro in carcere di 8.115 persone beneficiarie dell’indulto, quasi un terzo sulle 27.194 totali. Due cose sono vere e sacrosante - continua Beneduci - che in carcere si sta male, e che questa situazione sia stata determinata dalla scandalosa e consapevole incapacità della dirigenza che siede ancora al proprio posto, con in testa il capo del dipartimento Ettore Ferrara. Si possono trovare tutte le scuse, e i piani di lettura che si vuole, ma a questo punto ci chiediamo che senso abbia stipendiare coloro che pur nell’inerzia, perdurano nell’amministrare, e male, il nostro dipartimento. Forse consapevoli e certi che la condizione lasciata sia comunque una buona lettera di referenze per rimanere anche con il nuovo governo. Al ministro Scotti e al sottosegretario Manconi chiediamo - conclude Beneduci - la designazione di un commissario straordinario che gestisca l’attuale emergenza carceri, in attesa che il nuovo esecutivo assuma urgenti iniziative Giustizia: legge "Pinto" intasa il Tribunale di Strasburgo di Giovanni Negri
Il Sole 24 Ore, 15 febbraio 2008
Effetto boomerang per la legge Pinto. E alla Corte europea dei diritti dell’uomo si teme un ritorno al passato. Dall’autunno a oggi, a Strasburgo, si sono moltiplicati i ricorsi presentati contro l’Italia per la violazione della disciplina sui risarcimenti concessi per l’eccessiva durata dei processi. Restando alla cronaca: a gennaio 2007, i nuovi casi introdotti davanti ai giudici erano stati in tutto 4, mentre al 24 gennaio 2008 erano già 96. Stesso discorso per i mesi precedenti con un brusco aumento tra settembre e ottobre, poi confermato nei mesi successivi: a settembre i ricorsi da legge Pinto erano stati 30, in media con i mesi precedenti, ma a ottobre il boom, con 218 casi, cui hanno fatto seguito i 288 di novembre, i quasi 100 di dicembre (che hanno portato il totale di tutto il 2007 a 967) e i 96 di inizio 2008. Una crescita imponente, che inizia a preoccupare la Corte di giustizia di nuovo alle prese con il "caso Italia". Con effetti paradossali. Tra le cause che indussero infatti il Parlamento a muoversi nell’approvare una legge che prevedesse il risarcimento per l’eccessiva durata dei processi, ci fu anche il pressing di Strasburgo nei confronti del ministero della Giustizia italiano: erano infatti ormai diventate troppe, e di fatto ingestibili, le cause giacenti alla Corte di giustizia per il dilatarsi dei tempi dei processi. A prevalere, nei motivi della ri-proposizione della questione "durata dei processi" alla Corte dei diritti dell’uomo, è il ritardo con cui le somme stabilite per il risarcimento vengono liquidate agli aventi diritto. Infatti 712 dei 967 casi approdati a Strasburgo l’anno scorso hanno infatti a fondamento proprio la lunghezza delle procedure con cui lo Stato italiano, dopo averlo riconosciuto all’esito di un procedimento giudiziario, corrisponda la cifra considerata congrua. Un ritardo, peraltro, che ha ragioni ben precise: a pesare è infatti soprattutto l’endemica scarsità di fondi a disposizione. Il budget messo a disposizione viene rapidamente esaurito e il Governo è costretto a continui rifinanziamenti. L’ultima manovra, per esempio, ha stanziato 60 milioni di euro, 30 dei quali da utilizzare subito (ma metà di questi, 15, dovranno essere destinati a ripianare le condanne arretrate). Gli altri 30 saranno utilizzati per il 2009 e il 2010. A dare un’ulteriore spinta ai procedimenti introdotti a Strasburgo c’è anche la notevole incognita legata alla consistenza del risarcimento. Con una giustizia italiana almeno contraddittoria. Che, nelle sentenze di Cassazione, ha ormai fatto i propri i parametri di durata del processo stabiliti in sede europea, e cioè, di norma, 5 anni per primo grado e appello; che ha poi considerato congruo il risarcimento di almeno mille euro per anno di ritardo, ma ha invece respinto la posizione della Corte europea di considerare risarcibile l’intera durata del procedimento. Così, si apre la strada per un ricorso a Strasburgo da parte di chi ha ricevuto meno in Italia di quanto gli sarebbe stato attribuito in sede europea. Giustizia: grazie ai "Patti per la sicurezza" diminuiti i reati di Fiorenza Sarzanini e Antonio Castaido
Corriere della Sera, 15 febbraio 2008
I "Patti per la sicurezza" superano il primo esame. Il Viminale traccia il bilancio semestrale e registra un calo evidente dei reati nelle città che hanno scelto il nuovo modello di intervento per il controllo del territorio. La diminuzione già registrata in tutta Italia alla fine del 2007 diventa evidente nei capoluoghi dove vertici delle forze dell’ordine e amministratori locali decidono insieme le strategie anticriminalità. Il primato spetta a Roma, dove si è passati dai 272.866 illeciti del 2006 ai 269.879 dello scorso anno. Calo anche a Bari e soprattutto a Napoli. Ma c’è un dato che va in controtendenza: furti e rapine continuano ad aumentare. Sono i cosiddetti "delitti predatori", quelli che maggiormente allarmano i cittadini. Calo di omicidi e droga Marco Minniti, il viceministro dell’Interno che quei patti li ha resi esecutivi e poi ne ha seguito l’attuazione, sfoglia i grafici e spiega: "Sappiamo tutti che questi sono gli illeciti tipici della microcriminalità prodotta dagli stranieri che vivono in clandestinità. Le cifre ci dicono che il tasso di violazione della legge da parte degli immigrati regolari è pari, se non inferiore, a quello degli italiani. E dunque bisogna continuare a lavorare per la regolamentazione degli ingressi e, soprattutto, per l’integrazione di chi si stabilisce nel nostro Paese. Bisogna intensificare la cooperazione con Romania e Libia, i due Stati che possono aiutarci a controllare il flusso degli arrivi illegali. Anche perché abbiamo avviato un trend positivo nella prevenzione e repressione della delinquenza che non deve essere in alcun modo interrotto". Roma, Milano, Torino, Genova; e poi piccoli centri come Asti e Modena, realtà complicate come quelle di Napoli e Bari: ovunque, al di là degli schieramenti politici e delle emergenze locali, i delitti sono in calo. E tra i dati ritenuti maggiormente significativi c’è la riduzione forte degli omicidi. Nel capoluogo lombardo - se si escludono le rapine in abitazione e in strada - nel primo semestre 2006 i furti sono stati 101.869 e 90.862 nel secondo. Scende anche il numero di reati legati agli stupefacenti, come del resto avviene anche in quasi tutte le altre città. Nella capitale diminuiscono le violenze sessuali e gli scippi. Ma a fare impressione sono soprattutto le cifre napoletane, perché per la prima volta dopo anni le rapine in strada vanno giù, passando da 4.736 dei primi sei mesi dell’anno a 3.823. E perché le estorsioni calano da 363 a 293. A Firenze, dove si abbassa notevolmente il numero degli stupri e delle rapine, c’è un’impennata degli scippi. A Torino aumentano solo i furti in abitazione. "La lettura di questi numeri - chiarisce Minniti - ci dimostra che la strada è quella giusta e dobbiamo continuare a seguirla superando le logiche di partito proprio come abbiamo fatto in questi mesi: governava il centrosinistra, ma la collaborazione ha riguardato anche i sindaci del centrodestra e i risultati, come si vede per l’amministrazione guidata da Letizia Moratti, sono stati più che soddisfacenti. Perché per avere sicurezza bisogna sapere intervenire in modo giusto sul territorio e questo avviene soltanto se c’è cooperazione tra lo Stato e gli enti locali". L’analisi dell’andamento criminale serve a sindaci e prefetti per sollecitare l’impiego delle squadre di intervento rapido. "Quando abbiamo istituito questi nuclei speciali - ricorda Minniti - nessuno avrebbe scommesso sulla loro efficacia. E invece la prima missione è stata a Scampia, lì dove la guerra tra clan aveva fatto decine di morti e da allora ci sono arrivate richieste da tutte le città che dovevano far fronte alle emergenze". I segnali positivi che arrivano dalle zone dove impera la criminalità organizzata trovano conferma a Catania. Perché nella città siciliana si registra una diminuzione tipica dei reati legati al racket che fa ben sperare in un’inversione di tendenza. Conforta che le denunce per estorsione siano scese dalle 155 del primo semestre 2007 alle 102 del secondo semestre. Ma davvero indicativo è il trend che riguarda i casi di danneggiamento e incendio doloso passati da 2.662 da gennaio a giugno a 2.545 da giugno a dicembre. "La possibilità di impiegare in modo razionale le forze dell’ordine - dice Minniti - ci consente di individuare le aree di rischio dove intervenire anche grazie alle indicazioni che arrivano dalle polizie locali. Una sinergia che serve soprattutto ad individuare le carenze. In questo modo sappiamo quali sono i luoghi dove bisogna potenziare l’illuminazione e quelli dove intensificare i sistemi di videosorveglianza, solo per fare esempi concreti di provvedimenti che contribuiscono ad aumentare il bisogno di sicurezza delle persone. La fotografia complessiva ci indica, a sei mesi dalle firme dei Patti, quali sono i settori dove si deve lavorare in maniera più decisa". Lazio: allarme sovraffollamento, solo Civitavecchia si salva
Asca, 15 febbraio 2008
È di nuovo allarme affollamento per le carceri del Lazio, che con l’effetto indulto di un anno e mezzo fa, avevano tirato un sospiro di sollievo, dovuto all’elevato numero di scarcerazioni. Il dato da considerare è la capienza regolamentare delle strutture, che spesso negli anni passati veniva superata dall’ eccessiva presenza di persone arrestate, mettendo in crisi le direzioni dei vari istituti, impegnate a cercare le soluzioni più indolori per far fronte alle continue emergenze. Anche la capienza massima tollerabile veniva spesso superata prima della legge indulto, ma le condizioni sono rimaste stabili per un discreto periodo, al disotto della soglia tollerabile ma comunque al di sopra di quella regolamentare, tornando nuovamente a suscitare polemiche a partire dallo scorso febbraio, quando il numero degli "inquilini" degli istituti di pena è andato ben oltre le previsioni fatte a livello regionale. Su quattordici istituti dislocati sul territorio laziale (cinque solo a Roma), ben 11 hanno una popolazione detenuta che va oltre il limite massimo regolamentare e solo quello di latina sfora i parametri massimi tollerabili. Civitavecchia, dotata di due strutture, la Casa di Reclusione si via Tarquinia e il nuovo complesso di Borgata Aurelia ha una situazione tutto sommato sotto controllo. Per quanto riguarda il carcere "piccolo" della città, i parametri sono nella norma: 36 detenuti per una capienza regolamentare di 105 unità e per quella tollerabile di 120. Meno rosea la situazione ad Aurelia, con il nuovo complesso che accoglie 368 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 340 e di una tollerabile di 620 unità. Nella norma quindi la portata tollerabile, seppure quella regolamentare viene superata al momento di 28 detenuti. Il problema dell’affollamento interessa essenzialmente la capitale e il basso Lazio, anche se Viterbo resta sulla soglia dell’accettabilità. Sulla questione è intervenuto il Garante regionale per i detenuti Angiolo Marroni, affrontando soprattutto il tema legato all’elevato numero di reclusi di origine straniera: "Occorre urgentemente una riforma della legge Bossi-Fini - ha fatto sapere - sono poi in aumento i casi di epatite e di tubercolosi all’interno degli istituti della Regione Lazio". Una situazione che però sembrerebbe destinata a precipitare, tenendo conto del fatto che i nuovi arresti eseguiti dalle forze dell’ordine a cadenza più o meno regolare, vanno ad infrangere la flebile boccata d’ossigeno che l’applicazione della legge sull’indulto concesse agli affollatissimi istituti di pena.
Sergi: "Il fenomeno non riguarda via Tarquinia"
La direttrice della Casa di Reclusione di via Tarquinia, Silvana Sergi, fa il punto sulla situazione riguardante la struttura: "Fortunatamente non abbiamo mai superato la soglia tollerabile ne quella regolamentare, anche perché quello del sovraffollamento è un problema che interessa principalmente le case circondariali". Il carcere di via Tarquinia infatti non accoglie gli arrestati, bensì ospita i reclusi in attesa di scontare la pena. La Sergi precisa: "I detenuti da noi arrivano a seguito di un trasferimento da altro istituto, essendo il nostro un circuito premiale vengono per lavoro o residenza, seguendo un percorso trattamentale". Ribadisce tuttavia il problema legato alla carenza di personale: "Quest’anno abbiamo già avuto 3 nuovi pensionamenti - ha riferito - il personale esistente ce la mette tutta per garantire un servizio efficiente". Milano: Agnoletto; San Vittore è una... "struttura indegna"
Redattore Sociale, 15 febbraio 2008
A San Valentino l’europarlamentare ha visitato il carcere. Sovraffollamento, locali fatiscenti, due reparti chiusi da tempo per ristrutturazione. E anche un Centro Clinico Psichiatrico dove i detenuti vengono "trattati" secondo canoni pre-180. L’europarlamentare Vittorio Agnoletto (Sinistra Unitaria Europea) lancia l’allarme: il carcere milanese di San Vittore è una struttura indegna di un paese civile: sovraffollamento (1309 uomini per una capienza di 950 posti, 100 donne per una capienza di 85), locali fatiscenti, due reparti chiusi da molto tempo per ristrutturazione. All’interno del carcere anche un centro clinico psichiatrico (16 posti: sette celle da due e due singole) dove, a trent’anni dall’approvazione della legge Basaglia, gli "ospiti" vengono ancora trattati secondo i canoni pre-legge 180 (vengono costretti talvolta nella camicia di forza, ma fortunatamente non sono sottoposti a elettrochoc). Ma c’è di più: nel centro clinico psichiatrico non c’è intonaco, i muri e il pavimento presentano dei buchi, non c’è riscaldamento e le finestre sono rotte. Un vero e proprio inferno. L’europarlamentare osserva che in una sua recente visita a due carceri di Lima (Perù) ha trovato reparti psichiatrici in condizioni decisamente migliori e auspica che venga trovata a Milano una struttura alternativa esterna al carcere. Oggi i futuri ospiti del centro clinico psichiatrico entrano a San Vittore "in osservazione" da tutta Italia e vi rimangono "provvisoriamente" anche per vari mesi. Agnoletto ha incontrato i giornalisti al termine di una visita (al settimo raggio - quello del centro clinico - e al terzo raggio) che si è protratta dalle 9.30 alle 13 di oggi, Festa di San Valentino, una data scelta non a caso. Il deputato era accompagnato da Alessandra Naldi (associazione Antigone) e Annamaria Cavenaghi (associazione Naga). L’iniziativa è inserita in un progetto più ampio, dal tema "Il sole a scacchi", promosso dallo stesso Agnoletto, che lo porterà a entrare nei prossimi mesi (con sospensione delle visite durante la campagna elettorale per le elezioni politiche) nelle diciannove carceri lombarde, nel Centro di Permanenza Temporanea di Milano e in alcuni ospedali psichiatrici giudiziari. "A San Valentino - ha spiegato Agnoletto - tutti hanno un pensiero per il proprio innamorato. Ma non tutti possono trascorrere questa giornata all’insegna dell’amore e della tenerezza. Non chi vive dietro le sbarre. Credo quindi che sia la giornata giusta per dedicare un pensiero ai detenuti di San Vittore e in generale al pianeta-carcere. Il progetto che parte oggi si focalizza in particolare su due aspetti della detenzione e delle condizioni di vita dei detenuti: la sanità e l’affettività". L’eurodeputato e le signore Naldi e Cavenaghi torneranno nelle prossime settimane nel carcere milanese per visitare i reparti femminili, il sesto raggio (ospita persone che vengono protette dal contatto con gli altri detenuti) e gli alloggi del personale, il cui numero è inferiore al necessario. La situazione è aggravata dal fatto che alcuni agenti sono stati trasferiti, dopo un breve corso, a incarichi amministrativi. Mancano anche educatori e mediatori culturali. A San Vittore vengono registrati ogni giorno una quarantina di nuovi ingressi. Nell’agosto 2006 (quando scattò l’indulto) a San Vittore c’erano 1.450 detenuti. Ne uscirono circa cinquecento. In 18 mesi ne è rientrato il 10%, con una percentuale di recidivi fisiologica. La maggior parte dei detenuti del carcere è straniera (di provenienza comunitaria ed extracomunitaria). Il 20% del totale è tossicodipendente. In centocinquanta facevano uso di cocaina. Dagli ex dipendenti da eroina si apprende che è cambiata la modalità di assunzione (viene sniffata e non assunta per endovena). Ciò comporta un minor rischio di sieropositività ed epatite. Le terapie per i tossicodipendenti sono regolarmente a disposizione, ma non c’è più la convenzione con il Centro Antidroga (Cad) che accompagnava il reinserimento sociale, facendo da tramite tra il Sert interno e quello esterno. Ciò penalizza i tossicodipendenti senza residenza che, una volta usciti dal carcere, sono in pratica abbandonati a loro stessi. Altra notizia fornita dall’europarlamentare: la quasi totalità dei tossicodipendenti fa uso di ansiolitici, come del resto accade a molti altri detenuti. Tra i detenuti stranieri, un terzo è legato alla grande criminalità, ma gli altri due terzi sono giovani o donne che entrano in carcere per piccoli furti o in quanto manovalanza nello spaccio di droga: "Con servizi sociali funzionanti - osserva Agnoletto - queste persone potrebbero non finire in carcere, un luogo che poi spesso li induce a un salto di qualità nell’attività criminale". Va anche tenuto conto che il 10% degli emigrati entra in carcere per non aver rispettato il decreto di espulsione, senza aver commesso veri e propri reati. Non è solo il reparto psichiatrico a essere un inferno, ma il centro clinico nel suo complesso. È permessa attualmente una sola ora d’aria al giorno, perché a dicembre a un detenuto è stato trovato un cellulare. Nelle celle i detenuti fumano, quindi "a porte chiuse" i cardiopatici sono particolarmente a rischio. Da citare, tra i malati più gravi, il caso di una persona di 35 anni, con un passato di dipendenza. Ha l’osteoporosi e postumi da intervento alla vescica, non ha più il retto e manca di un rene. Si trova in una cella fredda: "Una sicura condanna a morte, nelle sue condizioni", commenta Agnoletto. Una situazione sicuramente incompatibile con il carcere. Un altro detenuto, sessantenne, ha quattro by-pass e due occlusioni carotidee. Ha chiesto il rinvio dell’intervento di angioplastica per incontrare la figlia che non vedeva da anni. La data del nuovo ricovero, ed è passato parecchio tempo dalla richiesta di rinvio, non è stata ancora fissata. Quanto ancora potrà sopravvivere? L’accesso ai farmaci - ha continuato Agnoletto -, differentemente da quanto avevo constatato in passato, è garantito nei reparti maschili che ho visitato". "Il Centro di osservazione neuropsichiatrica (Conp) è un girone dantesco dove persone che dovrebbero ricevere cure psichiatriche per poter superare crisi depressive con potenziali episodi di autolesionismo, disturbi paranoidei e psicosi acute, vivono in una condizione poco più che animalesca, in celle senza riscaldamento, con finestre rotte, una sola ora d’aria" ha denunciato Agnoletto, sottolineando inoltre di aver incontrato al centro clinico (che si trova al settimo raggio insieme con il Conp) "persone dalle situazioni drammatiche, come un 35enne affetto da osteoporosi, operato alla vescica, senza retto e senza un rene, con un passato di dipendenza da stupefacenti, che vive in uno spazio assolutamente inadatto, freddissimo e umido: praticamente una condanna a morte". Infine, Agnoletto rivela che "i costi dei prodotti nell’emporio interno al carcere: "dovrebbero essere più bassi dell’esterno e invece sono addirittura superiori, e i detenuti pagano 4,5 euro le sigarette e 3 euro un chilo di riso". Vasto: Acerbo (Prc); vergogna per morte tossicodipendente
Ansa, 15 febbraio 2008
Il deputato di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo, definisce "una vergogna nazionale" la morte di un detenuto tossicodipendente del carcere di Vasto, avvenuta tre giorni fa mentre tentava di drogarsi in cella dopo avere inalato gas e infilato la testa in una busta di plastica. L’autopsia ha consentito di accertare che è stata questa la causa del decesso, attribuito in un primo momento a suicidio. "Le carceri italiane - afferma Acerbo - sono il buco nero della nostra democrazia e dei diritti negati, come quello alla cura sanitaria. Ci chiediamo come mai un giovane tossicodipendente sia costretto a morire perché la copertura metadonica non è assicurata in maniera adeguata dietro le sbarre". Secondo il deputato "è una vergogna nazionale dover constatare che giovani che dovrebbero essere curati sono costretti, per mancanza di politiche adeguate a trovare la morte in maniera così drammatica". Acerbo chiederà di poter verificare direttamente le condizioni di salute nel carcere vastese e "se le normative nazionali - che devono trasferire le competenze in materia ai Servizi sanitari - siano state rispettate". Torino: Osapp; personale Vallette teme per propria sicurezza
Ansa, 15 febbraio 2008
All’interno del carcere torinese delle Vallette ci sono gravi carenze di gestione nel Padiglione C, dove "non esiste uno spettro di sicurezza" e il personale di Polizia Penitenziaria è arrivato al punto di "temere per la propria incolumità", e nel padiglione femminile: lo denuncia il sindacato autonomo Osapp in una lunga missiva inviata al provveditore regionale e al capo del Dap (dipartimento dell’amministrazione penitenziaria). "Ci viene quasi fatto di ritenere che il Padiglione C sarebbe terra di nessuno", afferma la nota, in cui si parla di "inferno quotidiano vissuto dai nostri colleghi". Il personale è "abbandonato a se stesso e subisce gli esiti di una disorganizzazione che non ha precedenti". Quanto al Padiglione Femminile, si lamenta una cattiva organizzazione dei turni di servizio. L’Osapp invita le autorità competenti a valutare se è il caso di procedere all’attuale avvicendamento del direttore del carcere Palermo: detenuti immigrati e "mediatori" per i connazionali
Dire, 15 febbraio 2008
Al Pagliarelli, carcere del capoluogo siciliano, che ospita 230 reclusi migranti, prende il via il corso di formazione. La direttrice della struttura: "Un servizio di raccordo socioculturale destinato agli ultimi delle carceri, gli stranieri". Entro il mese di maggio 15 detenuti stranieri del carcere Pagliarelli di Palermo diventeranno mediatori culturali. Nella casa circondariale, la più grande della Sicilia, oltre il 25% dei detenuti è immigrato; sono circa 230 i migranti reclusi provenienti da 20 paesi diversi. La maggioranza è completamente isolata dal mondo esterno per la mancanza di riferimenti familiari e socio-culturali e per la scarsa conoscenza della lingua italiana. Afferma la direttrice della struttura Laura Brancato: "Con questo corso per mediatori culturali Pagliarelli assume un ruolo d’avanguardia e diventa una delle poche case circondariali italiane dotate di un servizio di raccordo socioculturale destinato agli ultimi delle carceri, gli stranieri. L’iniziativa è promossa dal provveditore regionale per la Sicilia Orazio Faramo e dal Rotary International club Palermo Parco delle Madonie. Il corso riceve anche il contributo economico della provincia di Palermo. Si tratta di 90 ore di formazione, destinate ai detenuti stranieri disponibili, provenienti dalle aree geografiche maggiormente presenti: Nord-Africa, Albania, Romania. I mediatori culturali dovranno avere una sufficiente conoscenza della lingua italiana e delle buone capacità relazionali e comunicative. Il loro compito sarà quello di affrontare le principali problematiche legate all’immigrazione per quanto concerne gli aspetti politici, giuridici e culturali. Inoltre, nel servizio che renderanno ai loro connazionali, dovranno essere a conoscenza delle basi dell’ordinamento penitenziario italiano, delle misure alternative alla detenzione e dei vari benefici con relativi requisiti e modalità di accesso. L’obiettivo fondamentale sarà quello di alleviare le difficoltà dei detenuti stranieri che, rispetto a quelli italiani, risultano più svantaggiati perché privi di strumenti culturali e assistenziali. Treviso: carcere Santa Bona è stato classificato "di 3° livello"
Il Gazzettino, 15 febbraio 2008
Il carcere di Treviso, attualmente con 60 unità di organico in meno e 120 detenuti in più è stata collocata fra i più piccoli istituti di pena: quelli di terzo livello. "Questo è lo specchio fedele di quanto sta avvenendo: una realtà che si commenta da sola". Non va oltre il direttore del carcere di Treviso, Francesco Massimo, non vuole commentare, ma amareggiato racconta di come il penitenziario di Santa Bona sia stato inserito tra le carceri di "Serie C"; quelle di terzo livello nel recente decreto ministeriale. "A fronte di una suddivisione in livelli delle carceri in Italia - spiega il direttore Massimo - senza rendere noti i criteri seguiti in questa classificazione, si colloca Treviso in terza fascia, accanto ad istituti di "poca" importanza". Quindi Santa Bona si ritrova con carceri come quelle di Pordenone e Gorizia mentre un penitenziario come quello di Trieste, di dimensioni inferiori a quello della nostra provincia è al secondo livello, come anche il circondariale di Padova. "Santa Bona con 255 detenuti e 125 persone in servizio - prosegue Massimo - si ritrova con istituti che hanno dimensioni ben più piccole a volte anche di un quarto. E tutto questo con ovvie ripercussioni su eventuali future misure, contributi, unità di organico e quant’altro". Torino: al lavoro un Gruppo Tecnico per la salute in carcere
Comunicato Stampa, 15 febbraio 2008
Mercoledì 13 febbraio scorso, sono stati avviati i lavori del Gruppo Tecnico per la Tutela della Salute in ambito penitenziario promosso dall’Assessore per la Tutela della Salute e Sanità della Regione Piemonte - Eleonora Artesio. Con atto formale da parte della Direzione Generale Sanità della Regione Piemonte è stato costituito il Gruppo Tecnico con la relativa individuazione dei referenti delle Aziende Sanitarie Regionali sede di carcere; tra i componenti del Gruppo figurano la Garante dei diritti dei detenuti della Città di Torino - Maria Pia Brunato, il Direttore Generale dell’Assessorato alla Sanità Regionale, i Direttori ASL territoriali, i Direttori degli Istituti Penitenziari, i Direttori Sanitari degli Istituti Penitenziari, un rappresentante del Provveditorato Regionale, un rappresentante del Centro Giustizia Minorile, un rappresentante dell’Assessorato Regionale al Welfare. Lo scopo del Tavolo è quello di predisporre il passaggio di competenze dalla medicina penitenziaria a quella regionale, come previsto dal D. Lgs. 230/99. "I componenti che costituiscono il Gruppo Tecnico - si legge nella nota - sono stati individuati in quanto garanti del contributo che apportano per l’area che essi rappresentano".
L’Ufficio del Garante diritti detenuti della Città di Torino Torino: "Sottoveglianza", patto per una sicurezza "dal basso"
Redattore Sociale, 15 febbraio 2008
L’iniziativa è promossa a Torino da Libera e Acmos. L’obiettivo: far sì che sicurezza non sia sinonimo di isolamento. E, oggi, happening di "amorosi intenti" in occasione della festa di San Valentino. Un incontro dedicato al coraggio dei giornalisti "rompicoglioni". A Peppino Impastato, a trent’anni dalla morte, che fu ucciso perché denunciò gli abusi edilizi della mafia e stava per impegnarsi in politica; alla giornalista Anna Politkovskaja, uccisa un anno e mezzo fa a Mosca". Cosi Davide Mattiello di Libera Piemonte ha aperto stamattina l’incontro "Sottoveglianza", una campagna promossa da Libera e Acmos per ottimizzare i sistemi di sicurezza attraverso uno sguardo dal basso, da sotto le telecamere, sulla base di un principio di convivenza civile e non di coercizione. "L’Italia - ha proseguito Mattiello - è l’unico paese dove rischiano la vita coloro che hanno il coraggio di informare. La sottoveglianza quindi è un invito a stare sul territorio con occhi e orecchie ben aperti; i sorvegliati di tutto il mondo devono farsi media e diventare, simbolicamente, degli spioni". "La sottoveglianza vuole essere un patto collaborativo e creativo sulla sicurezza a Torino, tramite un controllo sociale della telesorveglianza dal basso - ha dichiarato il giornalista Carlo Infante - . Fondamentale il ruolo delle nuove tecnologie quali internet, che sta diventando ‘spazio pubblicò. Non viviamo più in una società industriale, ma in una società dell’informazione, dove le notizie sono sempre più merce di scambio. Ciascuno può fare qualcosa per il sistema informativo, può produrre degli atti, inventare lo spazio pubblico, la mente collettiva". Non solo spettatori dei grandi giochi di potere (come quelli di Google o Microsoft), ma "fare della rete uno spazio pubblico dove estendere le pratiche virtuose delle comunità e allo stesso tempo intraprendere una via di sviluppo post-industriale". Fabio Anibaldi, giornalista, già direttore di Narcomafie, si rifà a Kafka, al racconto del 1923 "La tana", quanto mai attuale. Nel racconto si può ritrovare un parallelo con l’oggi, dove ognuno tende a isolarsi nei propri spazi per difendersi dall’altro. Ma più una persona si isola, più vedrà crescere la sua paura. "È la metafora del nostro isolamento impaurito - ha commentato Anibaldi - delle nostre città dove c’è una grande lacerazione fra lo spazio pubblico e quello privato. Quello che sta fuori o dentro la tana. In Italia ci sono 1 milione e 300mila telecamere, una ogni 46 abitanti. Abbiamo superato la Francia, e siamo secondi solo agli inglesi, che ne hanno 4 milioni". "Gli spazi privati - ha proseguito - sono alveari non comunicanti fra loro, sono tane fisicamente vicine, ma dove manca il contatto umano. L’incontro con l’altro è molto difficile. Più la paura cresce più ci blindiamo, e questo nonostante le statistiche provino che il numero dei reati è diminuito". Immigrazione: rinnovo del permesso per gli stranieri detenuti
Comunicato stampa, 15 febbraio 2008
La Garante dei diritti dei detenuti di Bologna, Avv. Desi Bruno, ha inviato una lettera di Ministri dell’Interno e della Giustizia chiedendo la revisione della Circolare che di fatto impedisce il rinnovo del permesso di soggiorno per gli stranieri detenuti.
Al Sig. Ministro dell’Interno Al Sig. Ministro di Giustizia
Riferimento: Circolare Ministero dell’Interno 4 settembre 2001
Pregiatissimi, nella circolare in oggetto viene precisato che non può essere accolta una eventuale richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno presentata da detenuti stranieri, in quanto " superata" dal titolo di detenzione. Mi permetto di segnalare, a distanza di alcuni anni dalla sua emanazione, l’opportunità di un " ripensamento" della medesima, nel senso di consentire ai cittadini non appartenenti all’Unione europea detenuti presso gli istituti penitenziari dello Stato l’inoltro delle domande di rinnovo del permesso di soggiorno il cui termine scada in corso di detenzione. Ciò al fine di evitare, in caso di risoluzione positiva della vicenda processuale, o comunque nel caso che sussistano comunque i requisiti per il mantenimento del titolo di soggiorno, che gli eventuali aventi diritto siano comunque destinatari di provvedimenti di espulsione o di allontanamento, immediatamente eseguibili e idonei, anche se impugnabili, a compromettere la possibilità di legale permanenza sul territorio. A tal fine la accettazione della richiesta, in attesa di informazioni sull’esito del procedimento penale in corso, non comprometterebbe in alcun modo la decisione dell’autorità amministrativa, ma assicurerebbe la giusta tutela a coloro che comunque possono avere titolo al rinnovo e che si trovano in una situazione di evidente difficoltà. Quest’Ufficio auspica un fattivo interessamento e ringrazia dell’attenzione.
Avv. Desi Bruno Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna Immigrazione: Roma; prestiti agevolati a imprese di stranieri di Chiara Righetti
La Repubblica, 15 febbraio 2008
Il Comune di Roma mette a disposizione 700mila euro per aiutare i cittadini stranieri che aprono un’attività autonoma nelle aree più degradate della città. È stato pubblicato ieri il nuovo bando "Autopromozione sociale", nato per concedere finanziamenti agevolati alle imprese costituite da immigrati nelle periferie. L’iniziativa, la seconda di questo genere espressamente rivolta dal Comune ai cittadini stranieri, è infatti promossa dall’assessorato comunale alle Politiche per le periferie. La scadenza per presentare le domande è il prossimo 12 maggio. Possono accedere ai finanziamenti le imprese già esistenti, ma anche quelle nuove (rientrano in questa categoria anche quelle aperte da meno di 18 mesi), che potranno richiedere fondi fino alla metà degli investimenti progettati. Comunque, ciascun imprenditore potrà ottenere fino a un massimo di 50mila euro, che saranno così suddivisi: una parte (almeno la metà dell’importo totale) in prestito agevolato, da restituire con un tasso d’interesse dello 0,5% all’anno; il resto a fondo perduto (in pratica questa parte di finanziamento non dovrà essere restituita). Possono partecipare al bando ditte individuali, ma anche cooperative, società di persone e di capitale. Che però per accedere ai fondi devono soddisfare alcuni requisiti. Nel bando infatti sono specificati in dettaglio: l’elenco dei Paesi d’origine (a "forte pressione migratoria") degli imprenditori che possono essere finanziati; l’elenco delle vie di Roma in cui la ditta deve trovarsi; l’elenco dei settori di attività finanziabili. I cittadini extracomunitari che fanno domanda devono essere domiciliati a Roma, e avere il permesso o carta di soggiorno (validi o in attesa di rinnovo) rilasciati per uno dei seguenti motivi: lavoro subordinato o autonomo, attesa occupazione, famiglia, motivi umanitari, asilo politico. Ai cittadini comunitari è sufficiente avere un passaporto e una carta d’identità italiana. Scarica il bando e il formulario di partecipazione (pdf) Droghe: Gruppo Abele; e i giovani "giocano" con la cocaina
Redattore Sociale, 15 febbraio 2008
Lo psicologo Leopoldo Grosso (Gruppo Abele) fa il punto su diffusione delle droghe, modi di consumo e rischi. Per l’eroina cambia la rappresentazione del consumatore: "I ragazzi rifiutano l’immagine del perdente che non si regge in piedi". La cocaina negli anni novanta era un prodotto di nicchia, consumato prevalentemente da artisti, professionisti e malavitosi. Con un prezzo minore, è diventato un prodotto di massa: oggi si trova a meno di 80 euro al grammo, con 20 si compra una dose con una purezza del 55%. Nel nostro Paese, 278.780 persone ne hanno fatto uso recente, all’interno di un gruppo molto più ampio - oltre 2 milioni di persone, dai 16 agli 80 anni - che ne ha fatto uso almeno una volta. I rischi legati all’abuso sono ingenti, spesso sottovalutati: tachicardia, ipertensione, infarti, ictus, scompensi psicologici, deliri paranoici. Alla cocaina si associano le "3 v": velocità (l’associazione con l’alcol è una delle cause di tanti incidenti stradali), violenza (molte risse in discoteca sono provocate dalla cocaina), virus (aumenta il rischio di malattie trasmissibili sessualmente, perché si tende a non usare protezioni). Come si assume? "Si sniffa, si fuma, si assume in via endovenosa. È utile la terapia cognitivo - comportamentale, che in tre mesi può risolvere il problema. Il quadro è tracciato da Leopoldo Grosso, psicologo del Gruppo Abele, che a Torino è intervenuto ad una iniziativa della "Fabbrica delle E" prendendo in esame sostanze e droghe leggere e pesanti, tipologie di consumatori e danni. Cannabis. I dati evidenziano che i fermati dalle forze dell’ordine con dosi minime per uso personale, quindi non spacciatori, dal luglio 1990 alla fine del 2006 sono risultati 516.000 su un totale di quasi 700.000 segnalazioni. L’età media è attorno ai 24-25 anni; 93% sono maschi, 7% femmine. I giovani fermati erano in possesso per l’80% di cannabis (hashish marijuana), con la maggioranza di giovani attorno ai 18-20 anni; il 15% di cocaina (e l’età si alza un po’, attorno ai 23-25 anni), l’1% di ecstasy (fra i 18-21 anni). Per quanto riguarda la cannabis, le ricerche hanno evidenziato che in genere il consumo dura 7-8 anni, inizia alle scuole superiori e poi scende o cessa. La cannabis ha rischi diversi a seconda del soggetto. Può provocare crisi psicotiche (se vi sono problemi preesistenti), perdita di concentrazione e memoria, crisi di panico per uso intensivo, cancro come il tabacco, rischio nella guida, o (rischio molto ridotto) può essere un "ponte" per altre sostanze. In alcuni casi può creare dipendenza. Eroina. Sta ritornando: l’Afganistan detiene il 92% della produzione mondiale. Le rotte del narcotraffico si stanno diversificando: oltre alle consuete, come i Balcani, anche l’ex Unione sovietica, o attraverso le coste dell’Africa, il Kenya. Anche i sequestri sono in aumento. Ci sono nuove forme di consumo dell’eroina, che "seda", quindi viene usata a fine weekend dopo l’uso di altre sostanze. I ragazzi oggi non la iniettano, per non essere come il perdente che non sta in piedi, l’immagine del tossico a cui non vogliono assomigliare. Droghe: Cassazione annulla la condanna di Rita Bernardini
Notiziario Aduc, 15 febbraio 2008
Annullamento con rinvio della sentenza con cui la segretaria dei radicali italiani, Rita Bernardini, era stata condannata in appello per cessione di sostanze stupefacenti. È quanto ha deciso la Quarta Sezione Penale della Cassazione che ha così disposto, accogliendo il ricorso della difesa, la celebrazione di un nuovo processo. Rita Bernardini si era resa protagonista il 29 novembre 2000, di un atto di disobbedienza civile e aveva, durante la Conferenza nazionale sulla droga in corso Genova, consegnato otto grammi di hashish a Giancarlo Caselli, allora direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. La leader radicale era stata assolta in primo grado, ma il verdetto, dopo l’impugnazione da parte della Procura di Genova era stato ribaltato in appello: i giudici di secondo grado, nel gennaio 2006, l’avevano condannata a quattro mesi di reclusione e al pagamento di 800 euro. Contro tale sentenza Rita Bernardini aveva presentato ricorso in Cassazione, dove è stata assistita dall’avv. Giandomenico Caiazza: la condanna è stata così annullata e rinviata ad una nuova sezione della Corte d’Appello di Genova. Anche il sostituto procuratore generale della Suprema Corte, Mario Iannelli, aveva stamane, nella sua requisitoria, sollecitato l’annullamento con rinvio della sentenza d’appello. Stati Uniti: "diritto alla difesa", il confronto tra Usa e Italia di Rico Guillermo
www.osservatoriosullalegalita.org, 15 febbraio 2008
Mentre in Italia l’Unione Camere Penali chiede al ministero della Giustizia di garantire l’immediata effettività del diritto alla difesa per i detenuti, negli USA un giudice è costretto ad imporre ad un avvocato di rappresentare un detenuto nel braccio della morte, a causa del rifiuto di tutti gli altri legali interpellati. "Il giudice conclude che in ultima analisi, ha la facoltà di nominare un consulente disposto a rappresentare il ricorrente, ma solo se il procuratore individuato è giustamente compensato", ha scritto il magistrato Stephen Roth - dello Utah - in merito alla nomina del difensore di Ralph Leroy Menzies, condannato alla pena capitale nel 1986 per aver ucciso una madre di tre bambini il cui corpo fu ritrovato in un Canyon. Al prescelto, l’avvocato Richard P. Mauro, dovrebbe ora essere richiesta l’entità della parcella. Se l’importo sarà ritenuto ragionevole, il magistrato ne autorizzerà il pagamento da parte della Divisione delle Finanze dello Utah. Tuttavia potrebbe anche capitare che la divisione non paghi, il che costringerà Roth a tenere un’udienza per risolvere il problema. Gli avvocati chiamati in precedenza avevano rifiutato affermando che la quantità di tempo e gli sforzi richiesti per qualsiasi causa relativa ad un condannato a morte non trovano giusto compenso negli importi disponibili in base al regolamento dello Stato. Secondo l’Associazione degli avvocati penalisti dello Utah, l’impegno richiesto ed il tempo necessario sono tali che a volte l’avvocato finisce per guadagnare 10 euro all’ora. In Italia, invece, dove l’imputato (fortunatamente non per la pena capitale) può scegliere a spese dello Stato l’avvocato che ritiene più opportuno ed esiste un tariffario nazionale di riferimento stilato dall’Ordine degli Avvocati, il problema è diverso. Si tratta di avvisare tempestivamente i legali prescelti dai detenuti. In numerose case di reclusione, fa notare l’Ucpi con una lettera al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, i difensori degli indagati, imputati, condannati / detenuti,vengono tempestivamente avvisati tramite fax della nomina a difensore di fiducia effettuata dal detenuto, con l’indicazione del giorno in cui la dichiarazione di nomina è stata effettuata. Tale pratica purtroppo non è adottata su tutto il territorio nazionale e troppe sono ancora le case di reclusione che non comunicano della intervenuta nomina. Ciò può comportare che il difensore abbia notizia della nomina a distanza di tempo "con la pericolosa conseguenza - nota l’Unione Camere Penali - che possono decorrere i termini per impugnare (appello, ricorso per Cassazione, riesame) provvedimenti dell’autorità giudiziaria o per avanzare richieste (vedi riti alternativi)". Al fine di evitare una lesione del diritto di difesa, quindi, l’Ucpi chiede che il Dap provveda a rendere operativa su tutto il territorio nazionale la comunicazione al difensore della intervenuta nomina con trasmissione dell’atto tramite fax ai Consigli degli Ordini degli Avvocati che provvederanno ad avvisare il singolo difensore.
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