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Giustizia: la bulimia berlusconiana e il silenzio delle sentinelle di Giuseppe D’Avanzo
La Repubblica, 22 dicembre 2008
Dovremmo aver imparato in questi quindici anni che, nonostante l’abitudine alla menzogna, Berlusconi non nasconde mai i suoi appetiti. Il sermone di fine anno ci ricorda che la sua bulimia non conosce argini. Vuole il presidenzialismo come il compimento della sua biografia personale. Non si accontenta di avere in pugno due poteri su tre. Dopo aver asservito il Parlamento al governo, pretende ora che evapori l’autonomia della magistratura. Dice che la riforma della giustizia è pronta e sarà battezzata al primo Consiglio dei ministri del 2009. Anticipa quel che ci sarà scritto: i pubblici ministeri se le scordino le indagini. Diventeranno lavoro esclusivo delle polizie subalterne al ministro dell’Interno, quindi affar suo che governa in nome del popolo. I pubblici ministeri, ammonisce, diventeranno soltanto "avvocati dell’accusa". Andranno in aula "con il cappello in mano" davanti al giudice a rappresentare come notai, o come burocrati più o meno sapienti, le ragioni del poliziotto. Dunque, del governo. Con un colpo solo, si liquidano l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 3 della Costituzione, "Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge"); l’indipendenza della magistratura (art. 104, "La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere"); l’unicità dell’ordine giudiziario (art. 107, "I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni"); l’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 ""Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale"); la dipendenza della polizia giudiziaria dal pm (art. 109, "L’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria"). Soltanto un effetto auto-inibitorio può impedire di udire, nelle "novità" di Berlusconi, una vibrazione conosciuta e cupissima. Anche a rischio di indispettire il suo alleato decisivo (Bossi), il mago di Arcore rimuove - per il momento - il federalismo dalle priorità del 2009 per rilanciare il castigo delle toghe e la nascita della repubblica presidenziale. Sarà un gaffeur o un arrogante, sarà per ingenuità o per superbia, Berlusconi propone la necessità di una riforma costituzionale con le stesse parole - e per le stesse ragioni - di Licio Gelli. Se non lo si ricorda, davvero "le memorie deperiscono e i fatti fluttuano", come ripete nel deserto Franco Cordero. Appena il 4 dicembre il "maestro venerabile" della P2, intervistato da Klaus Davi, ha detto: "Nel mio piano di rinascita prevedevo la creazione di una repubblica presidenziale, perché dà più responsabilità e potere a chi guida il Paese, cosa che nella repubblica parlamentare manca". Berlusconi, 20 dicembre: "Sono convinto che il presidenzialismo sia la formula costituzionale che può portare al migliore risultato per il governo del paese. L’architettura attuale non permette di prendere decisioni tempestive e non dà poteri al premier". Fa venire freddo alle ossa il farfuglio dell’opposizione di fronte a questo funesto programma da realizzare presto (si annotano soltanto parole che dicono d’altro). È un silenzio che lascia temere o lo stato confusionale di opposizioni ormai assuefatte al peggio o un’altra letale tentazione di quella commedia bicamerale che, senza sfiorare il conflitto di interessi, concesse al mago di Arcore l’impero mediatico e, in nome del primato della politica sulla giustizia, la vendetta sulla magistratura. Dio non voglia che, con il prepotente ritorno al proscenio di qualche campione di quel tempo, la stagione si rinnovi. In una giornata di sconcerto, sono così un balsamo le parole di Giuseppe Dossetti, padre della Costituzione e dello Stato poi fattosi monaco (le ha ricordate ieri Filippo Ceccarelli). Vale la pena tornarci ancora su. In memoria del suo grande amico Giuseppe Lazzati, e in coincidenza della prima vittoria delle destre, Dossetti pronuncia un discorso famoso. Il titolo lo ricava da un salmo di Isaia (21,11) "Sentinella, quanto resta della notte?". In quei giorni del 1994, egli vede affiorare un male diagnosticato con molti anni di anticipo: la supremazia di una concezione individualistica, in cui il diritto costituzionale regredisce a diritto commerciale (il primato del contratto, l’eclissi del patto di fedeltà); il dissolversi di ogni legame comunitario, mascherato dietro l’appello al "federalismo" (il "politico" diventa pura contrattazione economica); il rifiuto esplicito di una responsabilità collettiva in ordine alla promozione del bene comune (la comunità è fratturata sotto un martello che la sbriciola in componenti sempre più piccole sino alla riduzione al singolo individuo). Non si può sperare, dice Dossetti e parla ai cattolici, che si possa uscire dalla "nostra notte" "rinunziando a un giudizio severo nei confronti dell’attuale governo in cambio di un atteggiamento rispettoso verso la Chiesa o di una qualche concessione accattivante in questo o quel campo (la politica familiare, la politica scolastica)". Dossetti non nega la necessità di cambiamenti. Elenca: riforma della pubblica amministrazione; contrasto alle degenerazioni dello Stato sociale; lotta alla criminalità organizzata; valorizzazione della piccola e media imprenditoria; riforma del bicameralismo; promozione delle autonomie locali. Teme però riforme costituzionali ispirate da uno "spirito di sopraffazione e di rapina". "C’è - avverte - una soglia che deve essere rispettata in modo assoluto. Questa soglia sarebbe oltrepassata da ogni modificazione che si volesse apportare ai diritti inviolabili civili, politici, sociali previsti dalla Costituzione. E così va pure ripetuto per una qualunque soluzione che intaccasse il principio della divisione e dell’equilibrio dei poteri fondamentali, legislativo, esecutivo e giudiziario, cioè per l’avvio, che potrebbe essere irreversibile, di un potenziamento dell’esecutivo ai danni del legislativo ancorché fosse realizzato attraverso referendum che potrebbero trasformarsi in forma di plebiscito". I referendum, segnati da "una forte emotività imperniata su una figura di grande seduttore", possono trasformarsi infatti "da legittimo mezzo di democrazia diretta in un consenso artefatto e irrazionale che appunto dà luogo a una forma non più referendaria ma plebiscitaria". Il "padre costituente" denuncia senza sofismi quel che vede dietro la "trasformazione di una grande casa economico-finanziaria in Signoria politica". Vede la nascita, "attraverso la manipolazione mediatica dell’opinione", di "un principato più o meno illuminato, con coreografia medicea". Dossetti chiede allora ai cristiani di "riconoscere la notte per notte" e di opporre "un rifiuto cristiano" ritenendo che "non ci sia possibilità per le coscienze cristiane di nessuna trattativa". Nessuna trattativa. Per trovare queste parole che aiutano a sperare ancora in una via diurna, si deve ricordare Dossetti. Dove sono le "sentinelle" a cui si può chiedere oggi: "Quanto resta della notte"? Giustizia: su corruzione non ripetere gli errori di Mani Pulite di Ernesto Galli Della Loggia
Corriere della Sera, 22 dicembre 2008
Nessuno sa bene in questo momento che cosa nascerà dalle inchieste avviate a carico di esponenti di amministrazioni locali di centrosinistra da Firenze a Napoli, da Pescara a Potenza. Ma fin d’ora la politica, la stampa, l’opinione pubblica, una cosa possono, anzi devono, promettere a se stesse: che in ogni caso non sarà come fu all’epoca di Mani Pulite. In ogni caso cercheremo tutti di non ripetere gli errori commessi allora. È una promessa necessaria perché invece la tentazione di ripetere (più o meno) quel copione fa continuamente capolino. Da tutte le parti e in tutti i sensi. Per esempio, in molte osservazioni sulle indagini della magistratura che Bruno Miserendino ha raccolto per l’Unità di mercoledì scorso tra i dirigenti del Pd, del tipo: "È come se le Procure avessero fiutato il vento", è "Come se qualcuno avesse dato il via", "Non penseremo davvero che dietro tutto questo non ci sia una regia politica?". Ovvero nella diffusa voluttà di nemesi, all’insegna del "Chi la fa l’aspetti", che spira in altri ambienti. Cerchiamo allora di fissare poche regole di base con le quali affrontare la situazione che potrebbe crearsi nell’immediato futuro se le inchieste dovessero allargarsi. Prima regola: un’accusa è solo un’accusa, non una colpa provata. Rimane esclusivamente un’accusa e nulla di più anche quando essa è ripetuta, e magari sceneggiata, in uno studio televisivo: ciò che peraltro costituisce una barbarica (sì, barbarica) condizione di sfavore ai danni di una parte. Seconda regola: mantenere fermo che gli atti illegali commessi da esponenti politici devono sì cadere senza remore sotto la più rigorosa sanzione della legge, e cioè essere individualmente perseguiti e puniti, ma che questi atti, nel caso in cui indicano l’esistenza di un fenomeno di massa, costituiscono altresì un problema eminentemente politico che va risolto politicamente, partendo dai problemi concreti. Vale a dire non limitandosi a chiedere e a distribuire condanne penali ma introducendo regole adeguate. Ad esempio un provvedimento intelligente come "l’anagrafe degli eletti" proposta da tempo dai Radicali ma che nessuno fin qui si è filato. Terza regola: considerare i magistrati, in specie i pm, come benemeriti della cosa pubblica quando compiono il proprio dovere con rispetto scrupoloso delle procedure e senza guardare in faccia nessuno. Evitare però che solo per questo essi assurgano al rango di eroici arcangeli del bene e a supremi rappresentanti della moralità civica, vedendosi sommersi di interviste, invocazioni, fax, e per giunta omaggiati con l’offerta della carica di ministri, parlamentari, sindaci, e quant’altro. Ricordarsi che istruendo dei processi essi fanno solo il loro dovere e nulla di più. Infine resistere alla tentazione di adoperare a getto continuo e a sproposito termini come "società civile", "casta", "questione morale": sono gratificanti perché fanno sentire dalla parte giusta, è vero, ma quasi sempre sono fuorvianti. Al tempo stesso ricordarsi che nelle aule di giustizia si comminano condanne penali e si decretano assoluzioni. Ma quelle aule - ormai dovremmo saperlo - non sono mai state il posto adatto per sottoporre la politica ad alcun lavacro purificatore. Giustizia: farmaci, grandi opere, cimiteri, Italia delle tangenti di Walter Galbiati
La Repubblica, 22 dicembre 2008
Così fan tutti. E chi pensava che dopo Tangentopoli ci sarebbe stata una frenata non ha fatto i conti con la debolezza umana davanti a una bella mazzetta di denaro. La corruzione, che accompagna la "Res publica" fin dai tempi dei Romani, non se ne è certo andata dal suolo italico con gli anni novanta, ma continua a imperversare senza distinguere troppo gli idiomi regionali e gli schieramenti politici. Da Milano a Napoli, da Genova a Firenze, da Pescara a Potenza - e certamente si tralascia qualche altro focolaio del "morbo" - corrompere per ottenere favori è più che un’abitudine, è un costume del quale non sembra si possa fare a meno se si vuole mettere su impresa. Piccola o grande che sia. A Milano, l’ex capitale morale d’Italia, la procura ha scoperto un giro di presunte tangenti per aggiustare pratiche edilizie. Bastava allungare qualche centinaio di euro ad alcuni tecnici del Comune per sveltire una ristrutturazione di una mansarda o per trovare una scorciatoia per un abuso edilizio. Per primeggiare nel campo dei funerali, invece, molte aziende, tra cui le onoranze funebri San Siro, sarebbero ricorse alla corruzione degli infermieri delle camere mortuarie per indirizzare i cari degli estinti ai propri call centre. Un modo di fare business diffuso anche a Bari e a Roma, così come ha interessato non solo la provincia di Milano, ma anche molti altri Comuni d’Italia il fenomeno dei semafori truccati, quelli dalle multe facili, appaltati a varie amministrazioni previa una "oliatura" degli ingranaggi autorizzativi. A Torino, un giro di mazzette e favori scambiati tra rappresentanti di case farmaceutiche, mediatori, lobbisti e pubblici funzionari, ha messo nei guai l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco. Secondo un’inchiesta della magistratura, bastava pagare per lasciare in circolazione più del dovuto i propri farmaci o per ottenere velocemente l’autorizzazione alle modifiche di alcuni prodotti. Il personaggio chiave del troncone di indagine rimasto in città, dopo la trasmissione a Roma di gran parte degli atti, è l’ex parlamentare leghista Roberto Ceresa, manager della Bayer, grande tessitore di relazioni e di contatti. A Genova, l’ultimo scandalo legato alla corruzione ha preso il nome di Mensopoli. Qui, gli inquirenti hanno ricostruito una fitta rete, in cui sarebbero implicati gli ex consiglieri ds Massimo Casagrande e l’ex portavoce del sindaco Stefano Francesca, per truccare alcuni appalti ospedalieri e scolastici, tangenti che hanno permesso all’imprenditore Roberto Alessio di aggiudicarsi il business della ristorazione tra Savona e Genova. Nel centro Italia le cose non vanno diversamente. L’urbanizzazione dell’area di Castello, alla periferia nord ovest di Firenze, sta scuotendo l’intera giunta comunale. L’area appartiene alla Fondiaria Sai del gruppo Ligresti, ed è stata sottoposta a sequestro preventivo. La procura ipotizza che vi siano stati episodi di corruzione e ha messo sotto inchiesta, oltre a Salvatore Ligresti e quattro suoi collaboratori, due assessori comunali: Gianni Biagi (urbanistica) e Graziano Cioni (sicurezza sociale). Nel corso delle trattative con il Gruppo Ligresti, l’interesse pubblico sarebbe stato sacrificato a quello dei privati, soprattutto per collocare il nuovo stadio di calcio proposto da Diego Della Valle, patron della Fiorentina, nel parco previsto nel nuovo insediamento di Castello, dove oltre a edifici privati dovevano andare Regione e Provincia. In riva all’Adriatico, a Pescara, ha lavorato la grande rete dell’ex sindaco, Luciano Alfonso: attraverso il suo uomo e tesoriere del Comune, Guido Dezio, avrebbe raccolto almeno 150 mila euro in nero come frutto di una capillare e sistematica corruzione e concussione. Per dirla con il gip, "una squadra d’azione" (sindaco, capo di gabinetto, portavoce, tesoriere), di cui sarebbero documentate malversazioni nei confronti di almeno 15 aziende, soldi destinati a finanziare ora la "Margherita", ora la campagna per l’Unione del 2006, ora l’immagine dello stesso D’Alfonso e i suoi desideri. Qualche mese prima, sempre a Pescara era toccato a Ottaviano Del Turco, presidente della Regione Abruzzo, travolto dalle confessioni dell’imprenditore della sanità Vincenzo Angelini: "Sì è vero, giudice: ho pagato questi signori. Li ho pagati altrimenti mi avrebbero fatto chiudere". Si tratterebbe di tangenti per lavorare nel settore ospedaliero. Nel sud, i casi più recenti e roboanti. A Napoli, l’immobiliarista Alfredo Romeo ha dato nome a un sistema di corruzione capillare che secondo l’accusa avrebbe ramificazioni in tutta Italia, ma che per il momento ha gettato nel panico solo il Comune guidato da Rosa Russo Iervolino. Per i pm, Romeo è "lo scrittore, lo sceneggiatore, il regista, l’attore, il protagonista e il beneficiario finale" di un "sistema" elementare, meglio noto come un "do ut des". A Potenza il pm John Henry Woodcock ha denunciato presunte tangenti pagate da un imprenditore, Francesco Ferrara, e dalla Total a politici e funzionari regionali per gestire gli affari nello sfruttamento del petrolio della Basilicata. Tra gli indagati il deputato Salvatore Margiotta (Pd) e il presidente della Provincia, Carmine Nigro (ex Udeur). Giustizia: dal Csm 1.282 i procedimenti disciplinari, in 10 anni di Giovanni Bianconi
Corriere della Sera, 22 dicembre 2008
C’è qualche nome noto, coinvolto nelle più recenti burrasche giudiziarie, come Luigi de Magistris (condannato) e Henry John Woodcock (assolto). E qualche altro meno noto ma importante (procuratori in carica, giudici di processi delicati o che hanno appassionato l’opinione pubblica), molti dei quali assolti, ma alcuni condannati; per esempio i magistrati del tribunale di sorveglianza di Palermo che concessero la semilibertà al "mostro del Circeo" Angelo Izzo facendolo tornare a Campobasso dove uccise di nuovo, ai quali è stato inflitto un "ammonimento". Infine c’è un elenco di nomi quasi mai balzati all’onore (o al disonore) delle cronache. È il piccolo esercito di toghe finite sotto processo davanti alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura: il "tribunale" che giudica gli illeciti commessi al di fuori di eventuali reati. È l’organo di giustizia interno all’ordine giudiziario e al suo autogoverno, spesso finito a sua volta sotto processo perché di manica troppo larga. L’idea che le toghe si autoassolvano fa ormai parte del "comune sentire" anche se i magistrati (ma pure qualche osservatore esterno) la considerano soprattutto un luogo comune. Fatto sta che un diverso sistema, come la collocazione della Disciplinare fuori dal Csm, è uno dei temi sul tavolo quando si parla di riformare la giustizia, come di questi tempi. E scavare tra qualche cifra può forse aiutare a comprendere il problema. Fino alla riforma varata nel 2006, che comincia a far vedere i suoi effetti soltanto adesso, doveva andare sotto processo disciplinare (avviato dal procuratore generale della Cassazione o dal ministro della Giustizia) "il magistrato che manchi ai suoi doveri o tenga in ufficio o fuori una condotta tale che lo renda immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere, o che comprometta il prestigio dell’ordine giudiziario ". Formula forse troppo vaga che però, con un andamento un po’ ondivago da un anno all’altro, nell’ultimo decennio 1998-2007 ha portato davanti alla Sezione del Csm 1.282 magistrati (punta massima nel 2006, 153, e minima nel 2007, 87) su un numero complessivo di toghe italiane che oggi è arrivato a 9.000; ma bisogna tener conto dei casi in cui uno stesso giudice o pubblico ministero è stato giudicato più volte. Degli oltre 1.200 casi giudicati, i condannati sono stati 290 (in media 29 all’anno), cioè il 22 per cento. Ma in questa valutazione bisogna considerare un altro dato: i 156 "imputati" che hanno abbandonato l’ordine giudiziario prima della sentenza, interrompendo così il procedimento. Comunque la percentuale dei condannati è quella, mentre la media dei colpevoli nei processi penali dopo i tre gradi di giudizio arriva a circa il 40 per cento. Le sanzioni inflitte dalla Disciplinare vanno dalla più lieve (l’ammonimento) alla più grave (destituzione dall’ordine giudiziario) passando per misure intermedie come la censura e la perdita dell’anzianità. La maggior parte delle condanne sono alla pena minima, ma il consigliere "laico" dell’attuale Csm e della Sezione disciplinare Michele Saponara commenta: "Anche sanzioni lievi, o addirittura certe assoluzioni, pesano sulla carriera del magistrato perché finiscono nel fascicolo personale e vengono considerate quando c’è la valutazione di professionalità per le promozioni o altro. Quindi un semplice ammonimento può avere conseguenze pesanti per chi lo subisce". Saponara non è un "laico" qualunque. È un avvocato che ha dato battaglia in processi movimentati (difendeva Previti nei dibattimenti "toghe sporche", coimputato Berlusconi) ed è stato parlamentare di Forza Italia. Non può essere sospettato di "tenerezza" nei rapporti con i magistrati, e dopo due anni passati a giudicare le toghe spiega: "Direi che il funzionamento è fisiologico, e sinceramente non vedo grosse storture nel sistema. Certo, si può pensare come sostiene qualcuno di aumentare la componente "laica" rispetto a quella "togata" (attualmente è di un terzo, 2 su 6, secondo la proporzione che la Costituzione stabilisce per il Csm), ma non cambierebbe molto. Spesso mi ritrovo ad essere il più buono al momento del giudizio, perché conosco il sistema giudiziario e mi rendo conto che ci sono molte componenti dietro il comportamento di un magistrato incolpato". I numeri di coloro che finiscono sotto processo disciplinare (e quel 20 per cento o poco più di condannati) sono il risultato di un lavoro che parte da cifre molto più vaste. Ogni anno alla Procura generale della Corte di Cassazione, il "motore" dell’azione disciplinare verso i giudici, arrivano oltre mille segnalazioni; dagli uffici giudiziari (con la riforma i procuratori generali locali sono obbligati a segnalare gli eventuali illeciti, pena finire loro stessi sotto procedimento disciplinare), dal ministero all’esito delle ispezioni, da semplici cittadini. E ancor più ne vengono "lavorate", scartando quelle infondate o da archiviare dopo una semplice istruttoria. Nel 2007 ne sono arrivate 1.307, ne sono state definite 1.479 (smaltendo un po’ di arretrato) e alla fine è stata esercitata l’azione disciplinare davanti al Csm solo in 103 casi. Nel 2008,(secondo i dati del 15 dicembre), sono state definite 1.457 posizioni (su 1.361 sopravvenute) e s’è avviato il procedimento per 99 magistrati. "La Disciplinare è uno dei cardini dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura - spiega il sostituto procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, che ne ha fatto parte da "togato" del Csm - giacché è preposta non solo a giudicare la deontologia e sanzionare comportamenti scorretti, ma anche a garantire i singoli magistrati da iniziative infondate. Il problema, semmai, è che nel settore disciplinare finiscono problemi che hanno a che fare con la valutazione della professionalità, dove ci sarebbe molto da innovare". Buona parte dei giudizi davanti al Csm sono per i ritardi nella definizione dei procedimenti, molte volte giudicati fisiologici per le difficoltà strutturali degli uffici giudiziari. Ma le più recenti sentenze hanno stabilito una soglia di quei ritardi, oltre la quale la sanzione arriva anche se non viene acclarata l’indolenza del magistrato. Poi ci sono i comportamenti, dentro e fuori i processi, sanzionati secondo un elenco di casi espressamente previsti dalla legge del 2006, con la "tipizzazione" degli illeciti. "Forse questa riforma - dice Elisabetta Cesqui, componente "togata" del Csm per Magistratura democratica, nonché membro della Disciplinare - ha lasciato scoperte delle aree di comportamenti che invece andrebbero sanzionati, ma è ancora presto per valutarne gli effetti. Conviene sperimentarla. Non si può dire che quello attuale sia un sistema che funziona alla perfezione, ma per lo meno è trasparente rispetto ad altri casi di giustizia domestica. E che sia domestica, nel nostro caso, lo stabilisce la Costituzione. A volte si commette l’errore di caricare il settore disciplinare di troppe attese, dovute al mancato funzionamento della responsabilità civile del giudice e di altri problemi che invece dovrebbero trovare soluzioni nei meccanismi della giustizia ordinaria". Giustizia: Ucpi; sciopero 27-28 gennaio, contro blocco riforma
Apcom, 22 dicembre 2008
Una contro-inaugurazione dell’anno giudiziario e due giorni di sciopero: sono le iniziative dell’Unione delle Camere Penali italiane che indice per il 28 gennaio 2009, a Milano, la seconda ‘inaugurazione dell’anno Giudiziario degli avvocati penalisti italiani", e convoca, per il 27 e 28 gennaio, due giornate di astensione dalle udienze e dall’attività giudiziaria penale. Queste iniziative di protesta e di proposta vogliono "valorizzare le proposte di Ucpi per la riforma della giustizia e contrastare con determinazione politiche contrarie al rinnovamento dell’amministrazione della giustizia". Ucpi osserva con preoccupazione la situazione politica in cui versa la riforma organica della giustizia: "Dopo annunci circa la sua impellente necessità - segnala il presidente Oreste Dominioni - accompagnati da generiche indicazioni sui suoi contenuti, e dopo prese di posizione contrarie alla stessa, la politica sembra arenata in tatticismi che non tengono conto della necessità del Paese di avere un profondo rinnovamento dell’amministrazione della giustizia, a tutela dei singoli e della collettività". "È indispensabile - prosegue Dominioni - dare immediato avvio ai lavori parlamentari, consultando quanti operano nel mondo della giustizia, dando luogo al più ampio confronto istituzionale fra gli schieramenti politici, valutando tutte le proposte in campo in modo che su queste basi si costruisca il consenso necessario ad adottare le decisioni che competono alla politica e che ne rappresentano doveri indefettibili, secondo le regole stabilite dalla Costituzione". Ucpi ribadisce che la riforma "deve riguardare l’intero panorama della giustizia, senza cedere a indebiti interessi di conservazione ideologica e corporativa". "Occorre attuare la separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministeri; occorre riformare il Csm; occorre ridurre drasticamente il fenomeno dei magistrati fuori ruolo; occorre una disciplina dell’azione penale che ne assicuri in concreto l’obbligatorietà; occorre un nuovo codice penale e una riforma sistematica del codice di procedura penale del 1988 per recuperare l’autenticità di processo di parti; occorre occuparsi della gravissima situazione del carcere. I penalisti chiedono che "il governo e la sua maggioranza perseguano in modo determinato i progetti di riforma, rispondendo autenticamente alle esigenze del Paese"; stigmatizzano e si impegnano a "contrastare le pregiudiziali posizioni di opposizione ad ogni ipotesi di riforma organica che le minoranze parlamentari coltivano da posizioni di immobilismo conservatore, manifestando anche elementi di regressione"; si impegnano a "contrastare la persistente aspirazione degli organismi della magistratura associata a mantenere posizioni di prevaricante condizionamento sulla politica"; e a "promuovere nella società una sempre più ampia consapevolezza dei reali bisogni di riforma della giustizia". Giustizia: auto-blu; Francia 64mila; Usa 75mila; Italia 607mila di Giacomo Susca
Il Giornale, 22 dicembre 2008
Messe una di seguito all’altra, possono incolonnarsi per 2.400 chilometri, praticamente la stessa distanza che separa Roma dalla Lapponia. I politici in auto blu, comunque, per un improrogabile appuntamento di lavoro con Babbo Natale non temono mica il traffico, tanto basta appoggiare la sirena sul tettuccio e superare i limiti di velocità. E anche quelli della decenza. L’ultimo record degli sprechi targati Italia ovviamente è mondiale. Allacciate le cinture: nella Penisola circolano 607.918 automobili di rappresentanza intestate a Parlamento, Governo, Regioni, Province, Comuni, comunità montane, enti pubblici, Asl, procure, società senza scopo di lucro, aziende miste, partecipate varie. L’elenco è lungo, eppure non tanto quanto quello delle voci di spesa. In un anno la gestione, la manutenzione e la rottamazione di questo elefantiaco parco auto comporta un esborso per lo Stato pari a 18,2 miliardi di euro all’anno. In media, 30mila euro a vettura compresi costi contrattuali, stipendi ad autisti, pedaggi, riparazione danni e carburante (viste le oscillazioni sul listino del petrolio, almeno 30 euro di benzina al giorno). Tra parentesi, oggi va di moda il leasing "corto" a tre anni. Certo, per cambiare modello più spesso. Intanto le macchine da corsia preferenziale fissa, nel giro di un biennio, sono pure aumentate. Due anni fa, calcola l’Associazione contribuenti italiani, ce n’erano 574.215, il 6 per cento in meno. "E meno male che dopo la famosa legge del 1991 sarebbero state limitate ai soli ministri, sottosegretari e a determinati direttori generali - osserva Vittorio Carlomagno, presidente di www.contribuenti.it -. Invece oggi ci ritroviamo al comando della classifica internazionale, persino davanti agli Stati Uniti che però hanno 50 Stati e 300 milioni di abitanti. E con uno sperpero che vale mezza Finanziaria". Proprio così: il Bel paese stacca tutti e fa mangiare la polvere agli Usa, che possono contare su 75mila vetture di rappresentanza, oppure la Francia, ferma a 64mila. E via gli altri. "Poveracci", davvero, anche perché gli italici amministratori non si accontentano certo di quattro ruote qualsiasi. Nei garage della pubblica amministrazione la lumaca peggiore ha 1.300 di cilindrata. Mentre abbondano i bolidi come le Lancia Thesis 3.2, come quella su cui viaggia il governatore del Lazio Piero Marrazzo, e non mancano le Maserati per le trasferte "disimpegnate". Perciò fanno quasi tenerezza l’associazione che invoca "un freno, anzi l’utilizzo di prestigiose utilitarie a marchio tricolore: magari la Grande Punto". Stiamo ancora cercando parcheggio. Già, per sistemare la flotta delle 607mila servirebbe un’area estesa come 1.065 campi di calcio. E per dare una lavata al parabrezza? Ecco pronta una cascata di 11 milioni di metri cubi d’acqua. Altro che chiudere i rubinetti. Giustizia: La Russa (An); su riforma l'accordo è ancora lontano
Apcom, 22 dicembre 2008
Alcuni punti relativi alla riforma della giustizia sono condivisi da tutta la maggioranza di Governo, ma la strada verso l’intesa è ancora lunga. Lo ha spiegato a Libero il ministro della Difesa Ignazio La Russa. "C’è stata una riunione la scorsa settimana. Su alcuni principi generali c’è l’accordo, ma non siamo scesi nel dettaglio". Per Alleanza Nazionale, sottolinea La Russa, esistono aspetti fondamentali da tenere in considerazione. Innanzitutto, "la magistratura deve rimanere indipendente. - evidenzia il ministro - Diciamo no all’ipotesi di sottoporre i pubblici ministeri al potere pubblico". Niente deroghe dunque sull’obbligatorietà dell’azione penale. L’obiettivo, aggiunge La Russa, è l’efficacia del "principio costituzionale del giusto processo", attraverso "una vera parità tra difesa e accusa". Un tema condiviso esiste già. "La costruzione di nuove carceri. - dice il reggente di Alleanza Nazionale - È l’unica soluzione per risolvere il problema dell’affollamento e fare salvo il principio della certezza della pena. Su questo An non tratta". Giustizia: "bambini fuori dal carcere", nasce Gruppo di lavoro
Agi, 22 dicembre 2008
Costituire istituti di custodia attenuata per madri detenute con lo scopo di far uscire i bambini dal carcere. È l’obiettivo di un Gruppo di lavoro nazionale di sei persone, ideato dal Ministero di Giustizia, di cui fa parte anche l’assessore della Provincia di Milano, Francesca Corso. Il gruppo è stato costituito "al fine di dare impulso, coordinamento, uniformità alla costituzione degli Istituti a Custodia Attenuata per Madri (Icam)", per definire "il modello operativo, facendo riferimento alle esperienze già avviate e a quelle in fieri, per consolidare modelli condivisi di trattamento per donne detenute con bambini". Per l’assessore Corso l’inclusione nel novero dei sei del gruppo è il "riconoscimento del lavoro svolto per anni dall’assessorato per togliere i bambini dal carcere e del buon andamento dell’Istituto che la Provincia ha costituito a Milano. Grazie a questo gruppo di lavoro - ha spiegato - sarà ora possibile esportare ciò che di positivo abbiamo fatto sia nel nostro Paese che in Europa, dove l’esperienza di Milano è vista come esemplare". "Chi semina bene raccoglie i frutti. Le buone pratiche - ha dichiarato il Presidente della Provincia di Milano Filippo Penati - danno risultati duraturi. L’iniziativa del Ministero è motivo di soddisfazione perché riconosce il lavoro pionieristico svolto in questi anni dalla Provincia di Milano per far uscire dalle carceri i bambini e garantire loro un’infanzia più serena. Un impegno che da Milano proseguirà ora per affermare questo diritto in tutto il Paese". Giustizia: Natale in carcere; "domandine" e famiglie lontane di Irene Testa (Deputato Radicali-Pd)
Left Avvenimenti, 22 dicembre 2008
Il gelo quest’anno farà capolino tra gli immigrati stipati nel carcere milanese di San Vittore, dove il sovraffollamento non è utile neanche a riscaldare le celle gelide, ora che la caldaia si è rotta e tutti sono costretti a indossare giubbotti e cappotti. Tutti, agenti inclusi, tranne chi ha fatto "domandina" per poter avere indumenti più pesanti e nel frattempo continua a tremare in calzoncini e t-shirt, come denunciato al termine di una visita ispettiva dalla radicale Rita Bernardini. E il Natale potrebbe anche solo timidamente affacciarsi nelle ultime celle, dove non tutti i giorni arriva il rancio passato dalle cucine, e portare perlomeno una buona cena anche a chi magari non è cristiano, ma soffre la fame e non può affrontare i costi proibitivi del sopravitto. Per qualcuno che ha la fortuna di partecipare a qualche attività lavorativa o educativa, il Natale porterà forse l’occasione di poter uscire a respirarne più da vicino il clima, mentre si allestisce un mercatino o si recita in uno spettacolo teatrale. Per molti altri, la messa col vescovo, mezz’ora d’aria in più, il panettone portato in dono al colloquio, fatto a pezzetti dagli agenti per ispezione, saranno già il regalo impagabile di una giornata diversa, forse capace di strappare un sorriso alla sterminata tristezza di chi può solamente vedere in televisione le strade illuminate, la gente e l’allegria, e assapora l’illusione di essere lì anche lui, magari insieme ai suoi cari e ai bambini. E si chiede che il Natale, nonostante tutto, riesca anche per i familiari, vicini o lontani, a esser gioioso e a spazzar via quel pensiero fisso rivolto a chi sta in carcere. Ma a Natale in carcere si riesce anche a ricordare chi sta peggio - come ha scritto una detenuta attraverso un blog, "Dentro e fuori" che si occupa di raccogliere e pubblicare testimonianze dal carcere Le Vallette di Torino - e augurare un po’ di felicità anche per loro. Tante sono le preghiere a questo Natale da affidare a una lettera, alla domandina, o semplicemente accese a scaldare il cuore. Per tutte queste lettere di Natale dal carcere auguriamo, fiduciosi che non sarà solo carbone, la cosa più semplice, o forse la più difficile: per tutti i detenuti sia un Buon Natale! Genova: Uil; a Marassi condizioni indicibili... celle come pollai
Il Velino, 22 dicembre 2008
"Lo avevamo detto: il carcere di Marassi è una pentola a pressione pronta a scoppiare. Lo ribadiamo e lo confermiamo. Ad oggi sono ben ottocento i detenuti ristretti e tale sovrappopolamento determina condizioni inenarrabili. Le celle somigliano sempre più a pollai e i detenuti sono ammassati anche in sette in poco più di venti metri quadrati. Ciò determina, inevitabilmente, forti tensioni che si riflettono direttamente sugli operatori penitenziari". Non una mezzi termini Fabio Pagani, segretario regionale della Uil Pa Penitenziari della Liguria, nel denunciare le "scandalose condizioni detentive "a Genova Marassi. Ma il sindacalista riapre le polemiche per i tanti episodi di violenza perpetrata in danno di poliziotti penitenziari. "Il 7 dicembre scorso un detenuto aveva proditoriamente aggredito un agente colpendolo con un pugno al volto e le lesioni di tale violenza furono certificate dal medico dell’istituto e dal Pronto soccorso. Ora per quell’agente la direzione ha aperto un procedimento disciplinare perché ritiene irregolare l’iter di comunicazione della malattia, ovvero la convalescenza seguita alla violenza subita. Prendiamo atto - afferma ironicamente Pagani - dello scrupolo e dello zelo con cui la direzione si è premurata di inviare le comunicazioni di avvio di procedimento disciplinare direttamente al domicilio dell’agente ferito". Di certo la notizia dell’apertura di un procedimento disciplinare non ha contribuito a calmare gli animi dei poliziotti in servizio a Genova, che già in molte occasioni hanno contestato l’operato della direzione. "Certamente la notizia non aiuta a ritrovare il morale giusto. Diciamo che dalla Direzione potevamo aspettarci ben altro regalo di Natale. È chiaro che con tali atteggiamenti le tensioni aumentano e il personale viene ulteriormente demotivato. Si vorrà convenire che essere mazziati e rapportati non è la più esaltante delle condizioni di lavoro. A questo punto appena dopo le festività natalizie, se non intercorreranno fatti gravi, occorre una verifica urgente con il provveditore regionale sulle condizioni di lavoro a Marassi e sulla gestione complessiva delle risorse umane". La notizia è giunta anche al segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, che l’ha accolta "con tanta amarezza" e invita il ministro Alfano ad un intervento diretto "Non avere un capo del dipartimento presente ai fatti della quotidianità penitenziaria determina anche situazioni paradossali come quella di Genova Marassi. Oramai - sostiene il segretario della Uil Penitenziari - abbiamo sempre più certezza di un sistema prossimo al collasso e in regime di anarchia. Un sistema autoreferenziale dove il rispetto delle regole è solo una enunciazione di principio e il calpestamento dei diritti del personale l’affermata normalità". "Il presidente Ionta si affanna a ripetere di essere il capo della polizia penitenziaria. Ma un vero Capo si vede soprattutto nei momenti di difficoltà. Oggi il personale si sente, e ne ha ben donde, abbandonato e isolato. Anche i 500 poliziotti penitenziari - chiosa Sarno - feriti negli ultimi sei mesi, causa aggressioni da parte di detenuti e nel più assoluto silenzio dipartimentale, sono una più che valida giustificazione alla montante frustrazione. A questo punto non possiamo non sollecitare il ministro Alfano perché verifichi presenza e attività dei vertici del Dap. Altrimenti non ci resterà che chiedere aiuto a Chi l’ha visto". Bologna: i detenuti non hanno neanche soldi per i francobolli di Paola Cascella
La Repubblica, 22 dicembre 2008
C’è quel ragazzo romeno di 21 anni che gira con la fotografia del padre e dei fratelli ancora bambini in tasca, e la mostra ai compagni di cella. È dentro per furto. "Da mesi non sa più niente dei suoi cari", racconta Desi Bruno la Garante dei diritti delle persone private della libertà del Comune. "Non ha i soldi per comunicare con loro. La popolazione carceraria è sempre più povera, sia da un punto di vista sociale che economico. Perché le due cose viaggiano insieme. Pensi a una persona che non ha i mezzi per comprare neppure un francobollo e quindi non può spedire una lettera a casa, oppure non ha i soldi per fare una telefonata e finisce per perdere le tracce dei suoi familiari che magari vivono in un altro paese. Sa cosa significa? Significa che uno pian piano, insieme alle radici e alle relazioni affettive, dimentica la propria identità. Allora puoi organizzare tutti i corsi che vuoi, e qui si fa un buonissimo lavoro, gliel’assicuro. Ma resta un intervento di nicchia per gruppi limitati. E anche gli effetti sono limitati se chi ne usufruisce non può contattare con suo figlio e neppure comprarsi una scatola di biscotti". Risorse tagliate ("ma non da questo governo in particolare, è così da anni"), borse lavoro ridotte che fruttano fino a 300 euro al mese ai detenuti "fortunati" ("non più di una volta all’anno"), l’amministrazione penitenziaria vive con fondi sempre più risicati a fronte di una popolazione carceraria che cresce in modo esponenziale: 1080 persone alla Dozza, di cui 700 stranieri, capienza per 480, massimo 550. Così non riesce a garantire il minimo indispensabile, anche ciò che per legge sarebbe obbligata ad assicurare ai suoi ospiti. "Cose come il vestiario - racconta Bruno - un cambio di biancheria, il dentifricio. Sono i volontari dell’Avoc a vestire i detenuti e a procurargli ciò che arriva a comprare. Le fondazioni e gli enti locali, la Regione, danno una grossa mano. Ma è una strada in salita. Qui c’è gente che non ha nulla". Un problema gravissimo anche per quelli che escono dal carcere. "Stiamo cercando di organizzare una specie di kit per i più indigenti con le cose di primissima necessità, in modo che il rientro nel mondo non sia uno choc inaffrontabile". Una maglia nuova, un cambio di biancheria, una scheda telefonica, la piantina dei dormitori pubblici bolognesi, un biglietto d’autobus, il progetto partirà nei primi tre mesi del nuovo anno. "Ma è ancora troppo poco". A fine autunno, sempre col lavoro dell’Avoc, e il permesso del Tribunale di sorveglianza, i detenuti per una settimana hanno potuto pranzare con le famiglie nella sala del cinema della Dozza. I pasti erano preparati dai volontari. Nella sezione femminile, a Natale arriverà una lavatrice, grazie alla generosità del Lyons di Ravenna. Una grandissima novità, c’è molta attesa. Finora il bucato si doveva fare a mano. E poi sotto l’albero le detenute troveranno un piccolo dono, un prodotto di bellezza, offerto dalle Farmacie comunali. "Tutte cose importanti - dice Bruno - ma sono gocce nel mare". Che Natale sarà quello della Dozza? "Un Natale freddo, e non solo per l’impianto di riscaldamento che funziona e non funziona. O per le celle fatiscenti, i materassi sporchi, le coperte vecchie che dovrebbero essere cambiate. Sarà un Natale duro. Il carcere è sempre più una discarica sociale di gente destinata a perdere tutto. Anche la dignità. Fa male al cuore". Rimini: è partita l'indagine su condizioni sanitarie del carcere
Il Resto del Carlino, 22 dicembre 2008
È partita dalla Casa Circondariale di Rimini l’indagine conoscitiva sulle condizioni sanitarie nelle carceri italiane predisposta dal Senato. È infatti assodato che spesso le condizioni di salute dei carcerati peggiorano durante la detenzione. Un’infermeria attrezzata con tanto di gabinetto per le cure dentistiche, supporto psicologico per i detenuti e, cosa che non guasta un ampio campo sportivo. Il carcere di Rimini ha superato a pieni voti l’esame nell’ambito dell’indagine nazionale sulle condizioni sanitarie dei penitenziari. "Si tratta - ha commentato il senatore Berselli - di un carcere esemplare che purtroppo non ha molti eguali in Italia". Un penitenziario modello quindi, specie se raffrontato ad esempi negativi - ha detto ancora Berselli - come quello di Bolzano: celle con anche 12 detenuti e bagni a vista appena nascosti da una tenda. In realtà anche la struttura riminese aveva una sezione simile, la seconda, chiusa però per manifesta inadeguatezza. "Se il reato non fosse prescritto - ha commentato Berselli - bisognerebbe aprire un’inchiesta per capire chi ha fatto costruire una sezione indegna come la "seconda" in una struttura recente, degli anni 70". In primavera il carcere riminese inaugurerà, prima in Italia, una nuove sezione nell’ambito del circuito di custodia attenuata per i detenuti, con pene lievi, che soffrono di alcolismo o tossicodipendenza e mirano ad entrare in Comunità di recupero. La nuova sezione, chiamata Cassiopea, potrà ospitare 50 persone anche da altre carceri d’Italia. Si aggiungerà ad Andromeda, sezione attiva dal 2003, che ospita fino a 16 detenuti nella fase pre-comunità. Anche Rimini però, visti i lavori in corso, non è esente dal problema sovraffollamento: 170 i detenuti, solo 60 quelli che scontano una pena definitiva. Quella dei carceri stipati (59.000 i detenuti in Italia e crescono di mille unità al mese) non è una questione di poco conto specie se si pensa che ogni detenuto costa allo stato 250 euro al giorno (90mila l’anno). Il senatore Berselli ha presentato un disegno di legge per modificare la legge Gozzini e conferire maggiore certezza alla pena. "Però il mio ddl - ha spiegato Berselli - non aumenterebbe la popolazione carceraria, come invece ritiene qualcuno, io sono per la certezza della pena ma anche per garantire la presunzione di innocenza fino alla sentenza definitiva (come recita la Costituzione). Fino ad allora, salvo casi eccezionali, non si dovrebbe procedere alla custodia cautelare. Invece il 62% dei detenuti in Italia è in attesa della condanna definitiva." Alghero: la polizia penitenziaria; siamo in 80 per 220 detenuti
La Nuova Sardegna, 22 dicembre 2008
Si è svolta durante l’intera mattina di ieri la manifestazione di protesta del Sappe, il sindacato degli agenti di Polizia penitenziaria, nell’ambito delle iniziative programmate in seguito alla proclamazione dello stato di agitazione della categoria. Il sit-in nelle intenzioni del sindacato si pone l’obiettivo di sensibilizzare il dipartimento regionale sulla grave situazione che sul piano operativo ha investito il carcere catalano. Tra le problematiche di maggiore rilievo quella del personale: 80 agenti per oltre 220 detenuti. La segreteria provinciale del Sappe, presente con i vertici dell’organizzazione sindacale, segnala inoltre un sovraffollamento della casa di reclusione "sempre meno contrastabile" visto che a fronte della attuale popolazione carceraria, occorrerebbero almeno 200 unità. Altro problema quello della permanenza in servizio costante per gli agenti con orari di lavoro che non rispettano i diritti di ciascun operatore e inoltre migliaia di giornate di riposo settimanale e di ferie ancora da fruire, a partire dagli anni 2006, 2007 e 2008. A supporto della protesta locale del Sappe è intervenuto anche il segretario generale del sindacato, Donato Capece, che chiede alle istituzioni l’assunzione di "interventi indifferibili prima che la costante emergenza determini episodi la cui valenza potrebbe essere incalcolabile". Sulla vicenda si registra una presa di posizione del sindaco Marco Tedde che ha annunciato un suo intervento presso il Ministro Alfano e il dipartimento regionale. "Il carcere di San Giovanni - sottolinea Tedde - per anni ha rappresentato un esempio per l’intero sistema carcerario isolano, e non solo, per l’impegno e la professionalità messe in campo per la formazione professionale dei reclusi in vista del loro rientro nella società. Impegno che senza il valido e indispensabile supporto degli agenti non può essere portato a buon fine". Catanzaro: in cella da 5 anni, la Regione gli paga lo stipendio di Roberto Galullo
Il Sole 24 Ore, 22 dicembre 2008
Chi l’ha detto che a stare al fresco non ci si guadagna! Provate a chiederlo a Gennaro Ditto, trentaduenne di Paola, in carcere ininterrottamente dal 21 agosto 2003. Quando fu prelevato, risultava assunto - dal 1° aprile - dall’impresa calabrese Team Service. Il brav’uomo - ritenuto dalla magistratura vicino alla ‘ndrangheta, nelle patrie galere perché accusato di tentato omicidio, mentre di un assassinio è ritenuto il mandante - ancora oggi, a fine mese, percepisce regolare stipendio. La sua qualifica: sorvegliante idraulico. Con tanto di diritti contributivi e previdenziali, scrive indignata la Procura generale di Catanzaro che in settimana ha spedito, oltre a Ditto, avvisi di garanzia ad altre 105 persone - tra le quali il Governatore Agazio Loiero, suo fratello Tommaso, decine di dirigenti regionali, imprenditori, politici locali e nazionali - a conclusione dell’indagine Why Not (avocata a Luigi De Magistris). Se Ditto è in galera come può risultare ancora nel libro matricola della "Team service" e prestare la propria attività nell’alto tirreno cosentino, tra Cetraro e Morano Calabro? Se lo chiedono i magistrati che, in esecuzione dello stesso disegno criminoso, hanno spedito un avviso per truffa aggravata anche ad Antonio Saladino, recordman di informazioni di garanzia nell’ambito della stessa inchiesta Why Not, ritenuto da De Magistris al vertice della cupola affaristica che grava sulla regione (ma la Procura di Catanzaro, a conclusione delle indagini, sembra avvalorare quanto scoperto dal magistrato trasferito poi a Napoli). La Procura ritiene che il rapporto di lavoro di Ditto è stato mantenuto in vita coscienziosamente, nonostante gli indagati fossero a conoscenza della reclusione. A guadagnarci non è solo il recluso ma anche chi lo aveva assunto. Team Service fattura infatti l’inesistente rapporto di lavoro al Consorzio Brutium (entrambi governate e riconducibili secondo la Procura ad Antonio Saladino), che a sua volta fattura alla Regione in virtù del contratto di appalto stipulato in precedenza. Tra le 38 pagine dell’avviso di conclusione delle indagini, non è questa l’unica perla. Lo sport dei lavoratori fantasma - che gonfiano il portafoglio dei dipendenti e fanno lucrare come abbiamo visto anche le imprese consenzienti - è praticato con profitto in Calabria. Se si salta a pagina 15 del provvedimento della Procura si scopre infatti che lo stesso Antonio Saladino, in compagnia dei sodali, tra i quali alcuni dirigenti regionali, avrebbe messo in piedi un meccanismo complesso in base al quale la Regione pagava due volte gli stessi dipendenti mentre altri venivano retribuiti pur non prestando alcuna attività lavorativa. Lavorare, soprattutto in Calabria, stanca. Meglio dunque stare al fresco o non lavorare proprio. Tanto - si legge in controluce tra le conclusioni della Procura di Catanzaro - lo stipendio arriva lo stesso. Caserta: Premio Nazionale alla ricetta dei detenuti di Larino
Caserta Oggi, 22 dicembre 2008
Nuovo riconoscimento per la sezione Itis carceraria di Larino che lo scorso 19 dicembre presso l’Auditorium della Provincia di Caserta è stata premiata nell’ambito del Concorso Nazionale "Cib…Arti" per lavori creativi sul tema dell’alimentazione promosso dal Ministero della Pubblica Istruzione. Il concorso prevedeva 4 sezioni: il miglior spot, disegno, inno e video di comunicazione sul diritto all’ alimentazione. La sezione carceraria di Larino dell’Itisi ha ricevuto il Primo premio per la sezione video Sezione Intervista… al piatto (il miglior piatto povero inteso come il piatto con il miglior risultato organolettico, il miglior valore nutritivo realizzato con il minor numero di ingredienti e il minor costo totale comprese le spese per realizzarlo, incluse quelle energetiche). Gli alunni si sono impegnati nella ricerca di una ricetta povera presentata in modo fantasioso, originale e ironico, ricca di immagini e disegni. Questo il piatto: Una ricetta D.O.R. (d’origine riciclata Maccheroni con la mollica. Premessa Dosi: per un clan di due, tre persone altamente indiziate! II Premessa: Non amiamo i cibi freschi… ma solo quelli scottanti! III Premessa: Entrando in cucina lasciare la coppola e indossare il cappello del cuoco! IV Premessa: Lavarsi le mani togliendo l’eventuale presenza di inchiostro! V Premessa: Come sottofondo solo musica siciliana! VI Premessa: Gli ingredienti devono essere tutti D.O.R. = d’origine riciclata! VII e ultima… Premessa (finalmente!) Se avanza un po’ della nostra pietanza… è un dovere occultarla, chiudendola sotto chiave! Ed eccoci all’esecuzione: Sbriciolare del pane latitante, cercandolo in ogni covo! Lasciarlo dorare in una padella con l’olio che non deve essere recidivo, ma incensurato. Nella padella con l’olio far dorare uno spicchio di aglio, un po’ ricercato, girando spesso. Lessare la pasta in abbondante acqua salata evitando di renderla incallita. Scolarla e versarla nell’insalatiera condendola con la mollica, associando prezzemolo spregiudicato. Non saranno assolti coloro che eccederanno nell’uso di spezie! Ogni altro condimento è bandito! Buon appetito a tutti. Il Direttore della Casa Circondariale di Larino Dott.ssa Rosa La Ginestra si è complimentata con gli alunni. Alla cerimonia di premiazione erano presenti la coordinatrice del lavoro prof.ssa Italia Martusciello e il responsabile dell’editing prof. Antonio Tamburro. Immigrazione: Maroni; mai esistita una "emergenza romeni"
Redattore Sociale - Dire, 22 dicembre 2008
"Non c’è stata e non c’è un’emergenza criminalità per la comunità romena. C’è stata e c’è" l’emergenza "di alcuni cittadini romeni che sono presi, catturati, arrestasti, processati e condannati, così come per altre comunità". Così il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, nel corso della conferenza stampa di fine anno. "La collaborazione tra i Paesi è eccellente - continua il titolare del Viminale - ed è stata sottolineata anche recentemente all’incontro che il governo romeno ha fatto qui in Italia. La collaborazione tra le due polizie è assolutamente utile. Intendiamo continuare in questa direzione". Inoltre Maroni ha rimarcato che il potere di ordinanza "sta funzionando bene, ne sono state fatte a centinaia. I primi ad attuare questa norma sono stati i sindaci di centrosinistra, della serie Quando facciamo le cose, le facciamo bene". Quanto al pacchetto sicurezza predisposto dal governo, il titolare del Viminale spiega che "abbiamo lavorato molto e da parte del Parlamento c’è stato un contributo di grande saggezza". Quindi, "non c’è nulla da modificare nelle cose che abbiamo fatto, ma c’è solo da completare il percorso con l’approvazione del disegno di legge". Droghe: supermercati Coop; niente alcol ai minori di 18 anni
Notiziario Aduc, 22 dicembre 2008
Dal primo gennaio stop alla vendita negli oltre 1.300 supermercati in tutta Italia. "Non possiamo assistere impotenti a una minaccia per la salute di tutti e in particolare dei giovanissimi". Firenze - La Coop, dal 1° gennaio 2009, interrompe la vendita di alcolici ai minori di 18 anni negli oltre 1300 punti vendita in tutta Italia La decisione di vietare l’alcol ai minorenni nasce dalla volontà - si legge in una nota di Coop - di "non assistere impotenti a una minaccia per la salute di tutti e in particolar modo per i giovanissimi, malgrado non esista ancora una legge in materia. Eppure i dati fanno paura: secondo l’Istituto Superiore di Sanità ogni 100 ricoveri per intossicazione da alcol, 17 sono a carico di giovani al di sotto dei 14 anni di età e oltre 740 mila minori adottano abitualmente comportamenti considerati a rischio. Tra l’altro nel resto d’Europa i divieti per i minori di 16 o 18 anni sono legge già da anni". "Con questa decisione - prosegue la nota - ci facciamo carico di un fenomeno pericoloso per la salute e altrettanto pericoloso per le sue ricadute sociali. Lo consideriamo un impegno importante e in linea con la nostra politica valoriale. Contiamo che ciò serva a sollevare un dibattito, ad aprire un tavolo istituzionale con altri operatori interessati per arrivare al più presto all’emanazione di una legge che riteniamo indispensabile. È una decisione che non si limita alla rinuncia della vendita. Ad essa affiancheremo iniziative di informazione e di sensibilizzazione dei giovani e degli adulti al problema dell’alcol per fare in modo che una delle piaghe più dolorose del nostro tempo possa essere combattuta più efficacemente e sconfitta". Droghe: Parma; aumento consumatori cocaina, 6mila in città
La Repubblica, 22 dicembre 2008
Una città dal viso pulito e dal battito accelerato. Cocaina e bella vita. Astinenza e carcere. Parabola discendente di un Guru della moda. E di altri 184 detenuti che hanno deciso di dichiararsi tossicodipendenti. Che sotto i riflettori non ci sono mai stati e forse non ci finiranno mai, che non hanno jet privati e saune da 150mila euro, ma che comunque hanno fatto "la bella vita". Fino a quando se la sono potuti permettere, fino a quando i soldi per comprarsi il cielo con la chimica li hanno trovati, fino a quando tutto non è finito con un paio di manette e l’ingresso in via Burla, dove le maschere cadono e i vizi si ammettono. Seimila i consumatori che, secondo i parametri dell’osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, a Parma usano cocaina: studenti, operai e professionisti. Quei bravi ragazzi di via Farini che bevono tanto e fuggono la noia stendendo una riga nei bagni di pub e discoteche. Il sabato sera e poi tutti i giorni. Per divertirsi, lavorare e alla fine anche per vivere. Gli operatori hanno paura: il primo tiro a 14 anni, tossici ancora bambini come i 90 che hanno chiesto aiuto a Mondo Teen, un servizio creato per i minorenni e che, stando alle statistiche, descrive solo la punta di un iceberg: sarebbero almeno cinque volte di più gli adolescenti con il naso sporco di bianco. Medici e psicologici guardano al futuro con pessimismo, si preparano al peggio e lanciano l’allarme descrivendo una città su di giri, dove i prezzi della coca giocano al ribasso, acquistare un grammo è un gioco da ragazzi, l’hashish si sequestra a colpi di chili, ma la polvere solo a singhiozzo. Chi arriva al Sert spesso non ammette che la cocaina sia un problema. Semplicemente vi è costretto da un giudice. Com’è successo a Matteo Cambi che ai servizi territoriali della provincia è approdato solo dopo la perquisizione della guardia di finanza. Ha seguito l’iter di disintossicazione, evidentemente senza grandi risultati, se è vero che all’interrogatorio di garanzia ha aperto bocca solo per dire che in carcere non riesce a stare, sta male, ha bisogno della cocaina, quella che prima non mancava mai, che sosteneva una vita consumata a mille. Diritti: Togo e Burundi decidono abolizione della pena di morte
Associated Press, 22 dicembre 2008
Togo e Burundi hanno deciso di abolire la pena di morte, confermando il ruolo centrale dei Paesi del continente africano nell’approvazione, da parte dell’Assemblea delle Nazioni Unite, della moratoria contro le esecuzioni capitali. Incompatibile con la giustizia del Paese. La pena di morte in Togo non viene applicata da almeno 30 anni. Lo scorso 11 dicembre è stata diffusa una nota del governo al termine del Consiglio dei ministri, che ha approvato la cancellazione della pena capitale dall’ordinamento giudiziario nazionale "L’abolizione della pena di morte, considerata come una pena umiliante e degradante e crudele dalla comunità delle Nazioni rispettose dei diritti umani, si è imposta alla coscienza collettiva dei togolesi dopo trent’anni di moratoria" si legge nella nota diffusa dal Consiglio dei ministri di Lomé, nella quale la punizione viene giudicata "irrimediabile" e "incompatibile" con la scelta del Paese di dotarsi di "una giustizia che limiti gli errori giudiziari, corregga, educhi e garantisca i diritti inerenti la persona". Il contributo della Comunità di Sant’Egidio. Più significativa, dal punto di vista politico e simbolico, l’abolizione della pena capitale da parte del Parlamento di Bujumbura, che ha approvato a fine novembre il nuovo codice penale. La novità più importante della riforma è sicuramente l’abolizione della pena di morte nel Paese e la sua trasformazione in ergastolo. "Tutti i prigionieri attualmente in carcere e condannati a morte avranno commutata la pena in ergastolo". Lo ha reso noto un comunicato della Comunità di Sant’Egidio, considerando questo fatto un segno positivo e di speranza per tutta la regione dei Grandi Laghi, proprio ora che è scossa da un nuovo conflitto nella Repubblica democratica del Congo. L’abolizione è avvenuta anche a seguito della partecipazione del ministro della Giustizia burundese agli Incontri contro la pena di morte organizzati dalla stessa Comunità di Sant’ Egidio con i ministri della Giustizia africani in questi anni, di cui l’ultimo il 29 settembre 2008 a Roma. Recepite le disposizioni del diritto internazionale anche contro la tortura e lo stupro. Ma vi sono anche altri elementi significativi che rendono questo voto storico e che vale la pena di sottolineare. Il nuovo codice, infatti, come ha spiegato il ministro della Giustizia Didace Kiganahe, accoglie le disposizioni del diritto internazionale in materia di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, e di reati che fino ad oggi non erano neppure contemplati come la tortura. Tra le altre novità la protezione giuridica accordata a donne e bambini contro ogni tipo di atti di violenza, specialmente domestica: in particolare il reato di stupro - non specificatamente menzionato nel vecchio codice- viene punito con una pena carceraria che va dai 20 anni di reclusione all’ergastolo. Abolizione globale. Un altro importante passo verso l’abolizione della pena di morte nel mondo. Amnesty International sottolinea come l’evoluzione positiva verso l’abolizione della pena di morte in atto nel mondo da oltre 30 anni si sia confermata anche nell’ultimo anno. Secondo Amnesty, dal 1976 ad oggi una media di tre nuovi Paesi ogni anno ha aggiunto il proprio nome alla lista dei paesi che hanno abolito la pena di morte. La maggioranza delle nazioni ha posto termine alla pena capitale nella legislazione o nella prassi. Ancora nel 1977 erano solo 16 i paesi che avevano abolito la pena di morte per tutti i reati, mentre oggi sono 135 i paesi o i territori che hanno deciso di abolirla per legge o in pratica, cioè oltre i due terzi degli stati del mondo. I paesi che mantengono in vigore la pena capitale sono 62 e il numero di quelli in cui le condanne a morte sono eseguite è ancora più basso, appena 24. L’anno scorso, l’88 percento delle esecuzioni è stato registrato in soli cinque paesi: Cina, Iran, Arabia Saudita, Pakistan e Stati Uniti. Come negli anni passati, dunque, la maggior parte delle condanne a morte è stata eseguita in una manciata di paesi, sempre più isolati e ormai non più in sintonia con la tendenza mondiale. Secondo i dati di Amnesty International, il numero delle esecuzioni nel mondo è sceso negli ultimi due anni da 2148 a 1252. E il fatto che la risoluzione dell’Onu dello scorso dicembre per porre fine all’uso della pena di morte sia stata adottata con una così chiara maggioranza (104 voti a favore, 54 contrari e 29 astensioni) mostra che l’abolizione globale della pena di morte è possibile. Francia: telecamera clandestina, ripreso l’orrore del carcere
Redattore Sociale - Dire, 22 dicembre 2008
Alcuni detenuti della prigione di Fleury-Mérogis, vicino Parigi, hanno filmato per mesi la loro vita quotidiana con una telecamera introdotta di nascosto nel carcere. Mostrare la vera realtà delle carceri francese e sconfessare i documentari edulcorati della comunicazione ufficiale. Con questo obiettivo alcuni detenuti della prigione di Fleury-Mérogis, nel Dipartimento di Essonne, vicino a Parigi, hanno filmato per mesi la loro vita quotidiana con una telecamera introdotta di nascosto nel carcere. Le immagini (alcuni minuti del video sono pubblicati sul sito di Le Monde) confermano con la loro crudezza la denuncia fatta poche settimane fa dal Consiglio d’Europa: condizioni igieniche precarie, strutture fatiscenti, violenza e abusi. Il video integrale è ora in mano a due registi, Karim Bellazzaar e Omar Dawson, che sperano di realizzare un documentario. Scozia: detenuti di Edimburgo recitano video-storie per i figli di Marco Pasqua
La Repubblica, 22 dicembre 2008
Anche i papà detenuti devono poter leggere una fiaba della buona notte ai loro figli. Partendo da questo principio, un istituto penitenziario di Edimburgo ha deciso di offrire ai padri che stanno scontando una pena detentiva in carcere, la possibilità di riprendersi con una telecamera, mentre leggono una fiaba. Il tutto verrà poi inviato, sotto forma di dvd, ai propri bambini. Se l’iniziativa dovesse avere successo, potrebbe essere estesa ad altri istituti penitenziari del Regno Unito. Il nuovo progetto pilota, definito "Storybook Dads" (Padri da libro delle favole), è stato lanciato nel carcere scozzese di Saughton, in occasione della presentazione di una moderna biblioteca. Sottoposta ad un intervento di ristrutturazione e modernizzazione, costato 19mila euro, la rinnovata struttura metterà a disposizione un punto in cui i detenuti potranno riprendersi con una telecamera, mentre leggono una fiaba. "I dvd che saranno spediti a casa, vogliono aumentare il legame tra i padri e i loro figli - ha spiegato Nigel Ironside, il direttore del carcere - Siamo stati noi a chiedere ai detenuti cosa avrebbero voluto ricevere, e abbiamo cercato di andare incontro alle loro esigenze". Il direttore, anticipando anche eventuali polemiche, puntualizza: "Anche se alcune persone potrebbero criticare il fatto che mettiamo a disposizione dei carcerati oggetti tecnologicamente moderni, noi crediamo che queste persone siano parte integrante della nostra comunità, e prima o poi dovranno uscire da qui. È interesse di tutti - ha proseguito - far sì che queste persone vengano aiutate a cambiare". La biblioteca, che è stata arricchita da computer portatili, potrebbe presto essere aperta anche ai familiari dei detenuti, inclusi i figli. A oggi, infatti, può consultare i libri esclusivamente chi è ospitato nel carcere: "È giusto che i detenuti possano trascorrere del tempo con i loro figli, e, soprattutto, possano imparare insieme, leggendo", ha spiegato la bibliotecaria, Kate King. Soddisfatti i carcerati: "Le nostre famiglie ci mancano e iniziative di questo genere non possono che essere positive", ha detto il 25enne Michael White, che è stato condannato per aggressione. Ai detenuti viene anche offerta la possibilità di segnalare alla bibliotecaria una lista di testi che si vorrebbero avere a disposizione. La mossa del carcere di Edimburgo, comunque, rischia di sollevare altre polemiche da parte degli stessi politici che, nelle scorse settimane, avevano puntato il dito contro un’altra struttura, a West Lothian. Nel carcere di Addiewell, infatti, i detenuti hanno, nella loro cella, un televisore a schermo piatto, e possono anche ordinare i loro pasti preferiti. Per i detrattori dell’iniziativa, se i livelli di comfort sono troppo elevati, si rischia di far sì che un carcere non rappresenti più un valido deterrente, in grado di contribuire a ridurre il numero di crimini. Cisgiordania: scontri detenuti palestinesi - guardie israeliane
Associated Press, 22 dicembre 2008
Scontri tra detenuti palestinesi e secondini israeliani sono scoppiati in un carcere della Cisgiordania. Il vice ministro delle questioni penitenziarie palestinesi, Ziad Abu Ein, ha dichiarato che gli agenti stavano effettuando un’ispezione quando sono nati i tafferugli. Ha aggiunto che le guardie hanno utilizzato granate stordenti, gas lacrimogeni e manganelli. Otto detenuti sono rimasti feriti. Il servizio carcerario israeliano ha riferito invece che sette detenuti hanno avuto un malore per aver respirato del fumo e tre guardie sono rimaste ferite durante gli scontri. Il servizio carcerario ha aggiunto che circa 150 prigionieri hanno preso parte ai combattimenti, iniziati quando le guardie sono state bersaglio di un lancio di oggetti e due tende sono state date alle fiamme. La situazione è tornata sotto controllo. Germania: disponibili ad accogliere detenuti di Guantanamo
Apcom, 22 dicembre 2008
Berlino sarebbe pronta ad accogliere i detenuti di Guantanamo. Fonti vicine al ministero degli Esteri tedesco confermano che il ministro Frank-Walter Steinmeier avrebbe dato "indicazioni" in proposito. Il capo della diplomazia sarebbe dell’idea di sostenere il proposito del neoeletto presidente Barack Obama di chiudere il centro di detenzione sull’isola di Cuba e di non farlo naufragare a causa dell’indisponibilità di Stati terzi ad accogliere i detenuti, tutti presunti terroristi. A novembre scorso alcuni avvocati di detenuti di Guantanamo avrebbero avuto colloqui con funzionari del ministero degli Esteri tedesco, scrive la Frankfurter Allgemeine Zeitung.
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