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Giustizia: la corruzione inconsapevole sta affondando il Paese di Roberto Saviano
La Repubblica, 20 dicembre 2008
La cosa enormemente tragica che emerge in questi giorni è che nessuno dei coinvolti delle inchieste napoletane aveva la percezione dell’errore, tantomeno del crimine. Come dire ognuno degli imputati andava a dormire sereno. Perché, come si vede dalle carte processuali, gli accordi non si reggevano su mazzette, ma sul semplice scambio di favori: far assumere cognati, dare una mano con la carriera, trovare una casa più bella a un costo ragionevole. Gli imprenditori e i politici sanno benissimo che nulla si ottiene in cambio di nulla, che per creare consenso bisogna concedere favori, e questo lo sanno anche gli elettori che votano spesso per averli, quei favori. Il problema è che purtroppo non è più solo la responsabilità del singolo imprenditore o politico quando è un intero sistema a funzionare in questo modo. Oggi l’imprenditore si chiama Romeo, domani avrà un altro nome, ma il meccanismo non cambierà, e per agire non si farà altro che scambiare, proteggere, promettere di nuovo. Perché cosa potrà mai cambiare in una prassi, quando nessuno ci scorge più nulla di sbagliato o di anomalo. Che un simile do ut des sia di fatto corruzione è un concetto che moltissimi accoglierebbero con autentico stupore e indignazione. Ma come, protesterebbero, noi non abbiamo fatto niente di male! E che tale corruzione non vada perseguitata soltanto dalla giustizia e condannata dall’etica civile, ma sia fonte di un male oggettivo, del funzionamento bloccato di un paese che dovrebbe essere fondato sui meccanismi di accesso e di concorrenza liberi, questo risulta ancora più difficile da cogliere e capire. La corruzione più grave che questa inchiesta svela sta nel mostrarci che persone di ogni livello, con talento o senza, con molta o scarsa professionalità, dovevano sottostare al gioco della protezione, della segnalazione, della spinta. Non basta il merito, non basta l’impegno, e neanche la fortuna, per trovare un lavoro. La condizione necessaria è rientrare in uno scambio di favori. In passato l’incapace trovava lavoro se raccomandato. Oggi anche la persona di talento non può farne a meno, della protezione. E ogni appalto comporta automaticamente un’apertura di assunzioni con cui sistemare i raccomandati nuovi. Non credo sia il tempo di convincere qualcuno a cambiare idea politica, o a pensare di mutare voto. Non credo sia il tempo di cercare affannosamente il nuovo o il meno peggio sino a quando si andrà incontro a una nuova delusione. Ma sono convinto che la cosa peggiore sia attaccarsi al triste cinismo italiano per il quale tutto è comunque marcio e non esistono innocenti perché in un modo o nell’altro tutti sono colpevoli. Bisogna aspettare come andranno i processi, stabilire le responsabilità dei singoli. Però esiste un piano su cui è possibile pronunciarsi subito. Come si legge nei titoli di coda del film di Francesco Rosi Le mani sulla città: "I nomi sono di fantasia ma la realtà che li ha prodotti è fedele". Indipendentemente dalle future condanne o assoluzioni, queste inchieste della magistratura napoletana, abruzzese e toscana dimostrano una prassi che difficilmente un politico - di qualsiasi colore - oggi potrà eludere. Non importa se un cittadino voti a destra o a sinistra, quel che bisogna chiedergli oggi è esclusivamente di pretendere che non sia più così. Non credo siano soltanto gli elettori di centrosinistra a non poterne più di essere rappresentati da persone disposte sempre e soltanto al compromesso. La percezione che il paese stia affondando la hanno tutti, da destra a sinistra, da nord a sud. E come in ogni momento di crisi, dovrebbero scaturirne delle risorse capaci di risollevarlo. Il tepore del "tutto è perduto" lentamente dovrebbe trasformarsi nella rovente forza reattiva che domanda, esige, cambia le cose. Oggi, fra queste, la questione della legalità viene prima di ogni altra. L’imprenditoria criminale in questi anni si è alleata con il centrosinistra e con il centrodestra. Le mafie si sono unite nel nome degli affari, mentre tutto il resto è risultato sempre più spaccato. Loro hanno rinnovato i loro vertici, mentre ogni altra sfera di potere è rimasta in mano ai vecchi. Loro sono l’immagine vigorosa, espansiva, dinamica dell’Italia e per non soccombere alla loro proliferazione bisogna essere capaci di mobilitare altrettante energie, ma sane, forti, mirate al bene comune. Idee che uniscano la morale al business, le idee nuove ai talenti. Ho ricevuto l’invito a parlare con i futuri amministratori del Pd, così come l’invito dell’on del Pdl Granata ad andare a parlare a Palermo con i giovani del suo partito. Credo sia necessario il confronto con tutti e non permettere strumentalizzazioni. Le organizzazioni criminali amano la politica quando questa è tutta identica e pronta a farsi comprare. Quando la politica si accontenta di razzolare nell’esistente e rinuncia a farsi progetto e guida. Vogliono che si consideri l’ambito politico uno spazio vuoto e insignificante, buono solo per ricavarne qualche vantaggio. E a loro come a tutti quelli che usano la politica per fini personali, fa comodo che questa visione venga condivisa dai cittadini, sia pure con tristezza e rassegnazione. La politica non è il mio mestiere, non mi saprei immaginare come politico, ma è come narratore che osserva le dinamiche della realtà che ho creduto giusto non sottrarmi a una richiesta di dialogo su come affrontare il problema dell’illegalità e della criminalità organizzata. Il centrosinistra si è creduto per troppo tempo immune dalla collusione quando spesso è stato utilizzato e cooptato in modo massiccio dal sistema criminale o di malaffare puro e semplice, specie in Campania e in Calabria. Ma nemmeno gli elettori del centrodestra sono felici di sapere i loro rappresentanti collusi con le imprese criminali o impegnati in altri modi a ricavare vantaggi personali. Non penso nemmeno che la parte maggiore creda davvero che sia in atto un complotto della magistratura. Si può essere elettori di centrodestra e avere lo stesso desiderio di fare piazza pulita delle collusioni, dei compromessi, di un paese che si regge su conoscenze e raccomandazioni. Credo che sia giunto il tempo di svegliarsi dai sonni di comodo, dalle pie menzogne raccontate per conforto, così come è tempo massimo di non volersela cavare con qualche pezza, quale piccola epurazione e qualche nome nuovo che corrisponda a un rinnovamento di facciata. Non ne rimane molto, se ce n’è ancora. Per nessuno. Chi si crede salvo, perché oggi la sua parte non è stata toccata dalla bufera, non fa che illudersi. Per quel che bisogna fare, forse non bastano nemmeno i politici, neppure (laddove esistessero) i migliori. In una fase di crisi come quella in cui ci troviamo, diviene compito di tutti esigere e promuovere un cambiamento. Svegliarsi. Assumersi le proprie responsabilità. Fare pressione. È compito dei cittadini, degli elettori. Ognuno secondo la sua idea politica, ma secondo una richiesta sola: che si cominci a fare sul serio, già da domani. Giustizia: i costi della politica nel 2009 aumentano di 26,5 mln di Mauro Romano
Italia Oggi, 20 dicembre 2008
E meno male che negli ultimi due anni ha tenuto banco la polemica sui costi della politica. Chissà cosa sarebbe accaduto se libri, inchieste e denunce di ogni tipo non ci fossero state. Fatto sta che dal bilancio dello stato, approvato definitivamente ieri dalla camera, la realtà che emerge è sin troppo chiara: i costi dei palazzi della politica continuano ad aumentare a ogni livello, senza eccezioni. Partiamo proprio dal ramo del parlamento che ieri ha dato il via libera al provvedimento. Montecitorio, che nel 2008 ha prodotto un costo di 978 milioni e 150 mila euro, l’anno prossimo sfiorerà il miliardo. Per l’esattezza si tratta di 992 milioni e 800 mila euro, con un incremento di 14 milioni e 650 mila. Se poi si passa al senato la musica non cambia. Nel 2008 palazzo Madama ha pesato sulle casse dello stato per 511 milioni e 500 mila euro. Per il 2009, però, ne sono previsti 519.172.500, per un’impennata di 7.672.500 euro. Tirate le somme, in sostanza, le strutture guidate da Gianfranco Fini e Renato Schifani, costeranno la bellezza di 22,3 milioni in più rispetto all’anno che sta per finire. E che dire della Corte Costituzionale, di cui è recentemente diventato presidente Giovanni Maria Flick? Nel 2008 ha impegnato per il suo sostentamento 51 milioni e 900 mila euro. Peccato che l’anno prossimo ne serviranno 52 milioni e 700 mila, ovvero 800 mila euro in più. E certo non è da meno, in tutta questa escalation, il Quirinale. Anche in questo caso i numeri parlano piuttosto chiaro. La presidenza della repubblica, infatti, nel 2008 è stata finanziata con 227 milioni e 800 mila euro. Ma nell’anno che verrà ne serviranno 231 milioni e 217 mila, con un incremento di 3 milioni e 417 mila euro. Manca all’appello, a questo punto, soltanto lo stipendio del capo dello stato, Giorgio Napolitano, che non rimane insensibile al trend. L’assegno del presidente della repubblica, che nel 2008 ha assorbito 226.561 euro, salirà nel 2009 a 235.171,con un ritocco all’insù di 8.610 euro. Alla fine della fiera, insomma, fra Quirinale, Consulta, Montecitorio e palazzo Madama, lo stato spenderà 26,5 milioni di euro in più rispetto al 2008. Per carità, ci sono ragioni che non potevano impedire questi incrementi, perché tra vitalizi e voci varie un rallentamento dei flussi di spesa sarebbe stato a dir poco utopistico. E nessuno può mettere in dubbio l’importanza delle funzioni connesse a ciascuna di queste istituzioni. Rimane lo stesso l’impressione che il treno in corsa della spesa pubblica, nonostante mille tentativi e promesse, sia troppo difficile da fermare, soprattutto quando si tratta di incidere le risorse che finiscono dritte dritte nelle tasche della "casta". Giustizia: Berlusconi; riforma a gennaio, basta processi in Tv
La Stampa, 20 dicembre 2008
La riforma della giustizia è urgente ma ancora più urgente è mettere freno al circuito mediatico-giudiziario. Il presidente del Consiglio lo ha spiegato anche oggi durante il pranzo con gli eurodeputati. Il premier, riferiscono alcuni partecipanti, ha citato l’esempio di una puntata di "Anno zero". "Ho guardato in tv la trasmissione - ha riferito il premier - e ho visto che addirittura hanno simulato una sorta di fiction su fatti che non sono ancora andati a processo". Berlusconi ha spiegato di aver visto che un attore impersonava la parte di un giudice, un altro quella di un imputato. "Una ricostruzione avvenuta soltanto attraverso i testi delle intercettazioni", sottolinea il Cavaliere. "Bisogna finire con questi processi mediatici", ha ripetuto il premier secondo quanto viene riferito. "I tempi per la riforma della giustizia saranno "immediati. Abbiamo la riforma pronta - aveva detto il presidente del Consiglio in mattinata - i lavori procederanno di pari passo con la riforma federalista". "Sappiamo - ha proseguito il premier - che c’è urgenza di avere questa riforma anche perché si è scatenato di nuovo il meccanismo mediatico-giudiziario delle intercettazioni e delle indagini che credo non sia qualcosa di positivo per il Paese. Penso che questa riforma della giustizia, che faremo andare avanti di pari passo con quella del federalismo, possa vedere la luce molto presto". Riferendosi all’opposizione, Berlusconi ha ribadito di aver sempre ritenuto che "stare con il campione del giustizialismo come Di Pietro" fosse "purtroppo la prova che la sinistra del Pd è ancora essa stessa una sinistra giustizialista, ma ho sempre pensato che sarebbe stato un abbraccio mortale per il Partito democratico. Il che è assolutamente confermato, i risultati dell’Abruzzo sono la prova del nove che quanto avevo già annunciato corrisponde al vero". Giustizia: Rutelli; magistratura distingua onesti da delinquenti di Francesco Rutelli
La Stampa, 20 dicembre 2008
Caro Direttore, fa amaramente riflettere la pubblicazione su La Stampa di frasi che io avrei pronunciato due giorni fa presso la Procura di Napoli. Si tratta di un reato; e di una violazione del segreto istruttorio che mi ha spinto a presentare ieri un esposto al Consiglio Superiore della Magistratura. Quelle frasi, peraltro, in più parti alterano il mio pensiero e riferiscono opinioni che non ho espresso. È bene riassumere i fatti. 1) Non c’è neppure una parola, tra le 550 pagine dell’Ordinanza del gip di Napoli riferite a mesi e mesi di intercettazioni, che abbia pronunciata io. Tutte le parole pronunciate da altri che si riferiscono alla mia persona sono relative a circostanze o appuntamenti ai quali io non ho partecipato, come ho spiegato analiticamente ai magistrati di Napoli. 2) Non ho confidenza con il dott. Romeo, che ho conosciuto e verso il quale non ho avuto alcun motivo di sospetto, anche visto che la sua impresa ha vinto gare presso le più alte Istituzioni della Repubblica, grandi aziende pubbliche, imprese private. Non mi sono mai, e dico mai, occupato di promuovere o difendere gli interessi del dott. Romeo. 3) Ci sono varie frasi, in un articolo apparso ieri sulla Stampa, che contraddicono radicalmente le mie dichiarazioni a Napoli. Ma ciò sarà evidente solo quando verrà pubblicato il verbale. Oggi il danno è fatto. Come è stato fatto il danno della pubblicazione dei verbali delle intercettazioni, con le ormai consuete modalità. Non rendono giustizia, ma sommaria ingiustizia alle persone coinvolte? La risposta inarrestabile, a quanto pare, è: Chi se ne frega. 4) A più riprese La Stampa attribuisce opinioni ai pm di Napoli. Poiché non gliele ho riferite io, sarà interessante sapere chi l’abbia fatto. E riferisce di un atteggiamento "silenzioso" dei pm nel corso delle mie dichiarazioni che, questo sì, posso smentire senza violare alcun segreto istruttorio; la registrazione di quella conversazione ne darà atto, anche se non so tra quanto tempo. In conclusione: io sono una persona corretta e onesta che non farà mai il callo all’idea che si sollevino dubbi sulla propria onorabilità. E che pretende che la magistratura, di cui ho profondo e autentico rispetto, sia sempre molto attenta a separare gli onesti dai delinquenti, e le chiacchiere dai fatti. Continuo, però, a non essere d’accordo con chi vorrebbe impedire le intercettazioni per i reati contro la Pubblica Amministrazione. Mi batterò perché si continui a farle. Certo: è consigliabile che le inchieste giudiziarie non si riducano in alcuni casi a registratori tenuti accesi per migliaia di ore, che sostituiscano le attività di indagine. E che i frutti delle intercettazioni non possano finire in pasto all’opinione pubblica fuori delle regole. Giustizia: scioglimento del Comune di Napoli? Maroni è cauto di Gerardo Ausiello
Il Mattino, 20 dicembre 2008
An incalza Maroni e torna a chiedere lo scioglimento del Comune di Napoli, travolto dalle vicende giudiziarie di questi giorni che hanno portato in carcere l’imprenditore Alfredo Romeo e ai domiciliari due assessori e altrettanti ex. A fare pressing è il parlamentare Marcello Tagliatatela, componente della commissione Antimafia, secondo cui "vi sono tutti i presupposti visto il verificarsi di gravi e persistenti violazioni di legge". "Sono certo - commenta il vice Capogruppo alla Camera del Pdl - che il ministro dell’Interno non avrà nessuna difficoltà nel verificare che la situazione rientra pienamente in quanto previsto dal decreto legislativo numero 267 del 18 agosto 2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) e in particolare dall’articolo 141 del Capo II (Controllo sugli organi)". Ma cosa prevede la normativa? "Si procede - aggiunge Taglialatela - con lo scioglimento dei consigli comunali con decreto del presidente della Repubblica e su proposta del ministro dell’Interno qualora ci siano stati atti contrari alla Costituzione o gravi e persistenti violazioni di legge". Condizioni che, secondo il deputato del Pdl in quota An, si sono appunto verificate con le indagini sul Global service: "È evidente - conclude - che quanto sta emergendo con "Magnanapoli", che con altre inchieste investe la giunta Iervolino, conferma che le violazioni di legge, sia gravi che persistenti, ci sono state. Dunque si può procedere con i dovuti accertamenti per arrivare allo scioglimento". Una posizione, questa, non condivisa nelle scorse ore dal ministro Maroni che ha escluso scenari del genere. Ma le continue pressioni di una parte del centrodestra hanno spinto ieri il capo del Viminale a correggere il tiro facendo ipotizzare nuovi scenari, tra cui l’eventuale commissariamento: "Stiamo seguendo da vicino la situazione di Napoli - spiega a margine dell’inaugurazione dell’anno accademico 2008-2009 della scuola di perfezionamento per le forze di polizia - pronti a intervenire se ci saranno le condizioni di legge come abbiamo fatto per il Comune di Pescara", che sarà sciolto il 5 gennaio. Poi precisa: "Naturalmente il Comune di Napoli non può essere sciolto e non sta a me dire se sia opportuno che il sindaco faccia le proprie valutazioni in seguito all’inchiesta". Sul caso interviene anche il premier Silvio Berlusconi che, rispetto alla richiesta di dimissioni avanzata dal Pdl nei confronti del governatore Antonio Bassolino, chiarisce: "È una cosa che non posso pensare... perché tocca a lui decidere". Quanto alle vicende giudiziarie auspica che "si ridimensionino le attribuzioni di responsabilità ai vari protagonisti in campo. E non mi piace che si riavvii la macchina mediatico-giudiziaria che abbiamo visto imperversare negli anni passati". Giustizia: devianza minorile in calo, più italiani degli stranieri di Bianca Stancanelli
Panorama, 20 dicembre 2008
Nell’Italia ossessionata dalle imprese dei bulli rilanciate da YouTube, una piccola, buona notizia arriva dalle statistiche del Ministero della Giustizia: il numero dei minorenni arrestati è in calo, lento e costante. Erano più di 4 mila dieci anni fa, si sono fermati a quota 3.385 nel 2007. Nei primi sei mesi di quest’anno, i ragazzi entrati in un Cpa, i centri di prima accoglienza, le strutture filtro dove i minorenni vengono portati dopo il fermo o l’arresto, sono stati 1.612. Hanno scritto i ricercatori dell’Eurispes nell’ultimo Rapporto nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza: "I tassi di delinquenza minorile registrati nel nostro Paese diminuiscono in modo pressoché costante". E hanno annotato: "La situazione italiana appare oggi decisamente meno grave rispetto a quella della maggior parte dei paesi europei in condizioni economico-sociali simili alle nostre". Sullo sfondo c’è uno scenario in continuo mutamento. Segnala il criminologo Ernesto Savona: "Dai dati del ministero dell’Interno, nel primo semestre 2008 risultano una diminuzione delle denunce di reato e un aumento del numero di reati per i quali è stato identificato l’autore. Ma tra quegli autori di reato si contano più minorenni che nel primo semestre 2007?. Una contraddizione? "No" risponde Savona "piuttosto il segno che le forze di polizia lavorano con più efficacia. E prendono più delinquenti, maggiorenni o minorenni che siano". Da anni, sull’onda delle grandi migrazioni degli anni Novanta, il numero dei minorenni stranieri arrestati ha sorpassato quello degli italiani. Fino al 1996 il 52 per cento dei ragazzi che entravano in un Cpa erano italiani. Dal 1997 gli stranieri sono diventati la maggioranza, fino a toccare punte record del 59 per cento degli arresti. Ma a sorpresa, nei primi sei mesi di quest’anno gli esperti del Dipartimento della Giustizia Minorile hanno annotato una novità che va ancora decifrata: tra i 1.612 minori entrati in un centro di prima accoglienza, gli italiani sono stati 823, la maggioranza, contro 789 stranieri. È un fenomeno che ha il suo epicentro a Roma. Spiega Donatella Caponetti, responsabile del Centro per la giustizia minorile del Lazio: "Assistiamo al riassettarsi di una situazione che era stata segnata per anni da una grande anomalia: a partire dal 2004, c’era stato a Roma un enorme aumento della criminalità minorile, soprattutto romena. Un’esplosione che ha cominciato a riassorbirsi con l’ingresso della Romania nell’Unione Europea". Nel 2006, nel solo Lazio, i minorenni romeni arrestati erano stati 515. Nel 2008 si sono dimezzati. Sostiene il criminologo Savona: "Sono diminuiti notevolmente anche gli arresti di romeni adulti. L’impressione è che tanti abbiano deciso di andarsene dall’Italia". È proprio fra gli stranieri che si conta il maggior numero di bambini sorpresi a commettere reati, in massima parte furti e borseggi. Dal gennaio al giugno 2008 sono stati 112 i minori di 14 anni portati in un centro di prima accoglienza e rilasciati perché non imputabili. La maggioranza proveniva da paesi dell’Est europeo: Bosnia, Croazia, Romania, Serbia e Montenegro. Sostiene Donatella Caponetti: "A Roma abbiamo un gran numero di reati contro il patrimonio continuamente reiterati da minorenni non imputabili. È un dato che sicuramente non ci piace". E non è l’unica ragione di preoccupazione. Racconta la responsabile del Centro per la giustizia minorile: "Una novità degli ultimi anni è data dall’arrivo nei nostri servizi di ragazzi che manifestano problemi di tipo psichiatrico. Per loro è più difficile l’inserimento in comunità educative. Accade sia con i ragazzi italiani sia con gli stranieri. Per questi ultimi stiamo cominciando a collaborare anche con etnopsichiatri, che ci aiutino a capire e a intervenire. Quanto agli italiani, notiamo un aumento dei ragazzi, anche figli di famiglie benestanti, che hanno gravi problemi nell’ambito familiare. È una novità che ci preoccupa anche perché, sui tassi decisamente più contenuti di devianza minorile nel nostro Paese rispetto ad altre nazioni europee, incide probabilmente la maggior tenuta delle nostre famiglie, una realtà sociale più solida". Sono segnali da non trascurare. Soprattutto in un paese che ha un codice minorile tra i più avanzati al mondo e un sistema d’intervento studiato con attenzione in Europa. Rivendica Donatella Caponetti: "Inglesi e francesi sono venuti a visitare le nostre carceri, si sono stupiti nel constatare come siano prive di violenza. Nei confronti dei minorenni c’è in Italia un fortissimo investimento di risorse. I finanziamenti per i progetti ci arrivano dagli enti locali, dalle Regioni, dai privati, come banche e grandi aziende. È una realtà degli ultimi anni che ci ha consentito di conseguire risultati interessanti e di sopperire alla diminuzione degli stanziamenti da parte dello Stato, che ha già annunciato, per il 2009, un taglio di spesa del 30 per cento rispetto al 2008?. E anche di sperimentare strumenti innovativi. Uno dei più riusciti è la messa alla prova, inaugurata nell’autunno del 1991. Adottata dal giudice, la messa alla prova sospende il processo per consentire al ragazzo di dedicarsi a un progetto di recupero che può durare da un mese a tre anni (la media è di poco inferiore ai dieci mesi). Trascorso quel periodo, il giudice valuta i risultati del lavoro svolto: se è convinto che sia servito, dichiara l’estinzione del reato, come se non fosse mai stato commesso. In 15 anni la giustizia minorile ha quadruplicato l’adozione dei provvedimenti di messa alla prova: erano stati 788 nel 1992, sono diventati 2.339 nel 2007. E i risultati sembrano essere eccellenti. Hanno scritto gli esperti del Dipartimento della giustizia minorile, calcolando la media per tutti gli anni Duemila: nell’80,7 per cento dei casi, concluso il periodo di prova, il giudice si è pronunciato per l’estinzione del reato. Una quota di successi così alta da convincere il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, a proporre l’adozione di uno strumento simile anche per gli adulti. Senza fortuna: impallinata da una scarica di polemiche, la proposta è stata rapidamente ritirata. Giustizia: adesioni alla petizione "mai più bambini in carcere"
Comunicato stampa, 20 dicembre 2008
Dichiarazione di Irene Testa Segretario dell’Associazione Il Detenuto Ignoto, Massimiliano Iervolino delegato alla provincia di Roma per i Diritti Umani e Demetrio Bacaro, Segretario dell’Associazione Radicali Roma. È necessario che Governo e Parlamento si mobilitino per approvare al più presto una legge che consenta alle mamme detenute con bambini di età inferiore ai tre anni di scontare la pena fuori dal carcere, in apposite strutture atte ad ospitare mamme e bambini. Non è più ammissibile per la politica continuare a rimanere inerme di fronte alla crudeltà di far scontare anche ai bambini la colpa delle loro mamme dentro le mura di un carcere. La Commissione parlamentare per l’Infanzia, che oggi si è recata presso il nido dell’istituto femminile del carcere di Rebibbia per visitare i bambini fino a tre anni di età che stanno lì "reclusi" con le loro mamme detenute, può fare molto per indirizzare il Governo e il Parlamento verso una rapida calendarizzazione delle proposte depositate al Senato e alla Camera, come quelle della Sen. Donatella Poretti e dell’On. Rita Bernardini. Ciò è quanto chiede anche la petizione popolare "Mai più bambini in carcere" presentata il 10 dicembre scorso, giorno del 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e promossa dall’Associazione il Detenuto Ignoto e da Radicali Roma. Ad oggi sono pervenute oltre 500 adesioni, tra cui quelle di: Don Antonio Mazzi, Clemente Mastella, Luigi Manconi, Sergio Segio, Don Andrea Gallo, Ristretti Orizzonti, Patrizio Gonnella e Gennaro Santoro (Ass. Antigone), Livio Ferrari (Garante dei diritti delle persone private della libertà del Comune di Rovigo). La raccolta firme proseguirà anche domani a Roma presso i tavoli organizzati da Radicali Roma. Uno Stato democratico e che vuole continuare a definirsi civile deve mettere al primo posto il benessere del minore. Per queste ragioni le Associazioni Il Detenuto Ignoto insieme all’Associazione Radicali Roma abbiamo nelle passate settimane dato avvio ad una petizione popolare per una rapida calendarizzazione dei disegni di legge che giacciono in parlamento, in particolare i disegni di legge delle parlamentari Donatella Poretti e Rita Bernardini. Ad oggi sono state raccolte circa 500 firme, tra cui: Don Antonio Mazzi, Don Andrea Gallo, Clemente Mastella, Luigi Manconi, Ristretti Orizzonti, Sergio Segio Gruppo Abele, Patrizio Gonnella (Presidente Antigone), Gennaro Santoro (Coordinatore Antigone), Livio Ferrari Garante dei diritti delle persone private della libertà del Comune di Rovigo. La raccolta firme proseguirà anche domani, in tutta Roma saranno predisposti dei tavoli per raccogliere le firme. Lettere: detenuto suicida; replica di Patrizio Gonnella a Fleres di Patrizio Gonnella (Presidente di Antigone)
Lettera alla Redazione, 20 dicembre 2008
Pare abbia ragione Salvo Fleres, deputato Pdl e garante delle persone private della libertà in Sicilia. Il detenuto suicidatosi ieri non era quello che aveva denunciato lo stupro in galera ad agosto. Era un altro. Casualmente un altro detenuto anche lui stuprato in carcere. Il mio era un commento ad una notizia che altri avevano pubblicato (in ordine, giornali siciliani, Apcom, Corriere.it). Detto questo, confermo che a mio parere Salvo Fleres dovrebbe dimettersi. Noi di Antigone siamo quelli che nel lontano 1998 hanno scritto la prima proposta di legge diretta a istituire il difensore civico delle persone private della libertà. Sempre noi di Antigone, in attesa di un organismo indipendente nazionale, abbiamo chiesto agli enti locali e alle regioni di avviare sperimentazioni locali, pur nella consapevolezza della mancanza di poteri di ingresso e di ispezione. Dicevamo allora che si doveva trattare, come la tradizione della difesa civica in Scandinavia insegna, di persone la cui autorevolezza avrebbe dovuto trovare fondamento nella indipendenza e nella esperienza. A questo punto posso dire che le ragioni della richiesta di dimissioni rimangono tutte. Non ricito quelle relative allo svolgimento dell’inchiesta. Ne cito una per tutte: l’incompatibilità funzionale ed etica tra il ruolo di garante regionale dei detenuti e quello di deputato. Sarà Salvo Fleres a dirci, se vuole, quanto guadagna con il doppio incarico. In ogni caso il suo ruolo indipendente, nonché l’efficacia del suo comportamento, è minato dal doppio incarico. Vorremmo che sulla sua proposta di legge depositata in Senato, la quale prevede che il garante dei detenuti sia nominato dal governo, si esprimessero gli altri garanti, regionali e non. A noi non piace, non la appoggeremo. La nomina governativa esclude categoricamente l’indipendenza. Comunque, per quanto ci riguarda, Salvo Fleres può decidere di dimettersi non da garante ma da parlamentare.
Patrizio Gonnella Veneto: solo 95 Comuni, su 580, si occupano del reinserimento
Redattore Sociale - Dire, 20 dicembre 2008
Solo 95 enti locali "virtuosi" su 580; 360 hanno ammesso di non fare niente in materia di reinserimento. I dati dell’Osservatorio regionale devianze, carcere e marginalità. Bene le attività di Padova e Venezia. Gli enti locali di fronte alla sfida del reinserimento socio-lavorativo di persone uscite dal circuito penale: di questo si è parlato ieri a Padova nel corso di un convegno che ha voluto fare il punto sulle linee guida in materia, sulle buone prassi, sulle esperienze locali di un Veneto che dimostra di avere a livello locale ancora molte falle. I dati - raccolti e diffusi dall’Osservatorio regionale Devianze, carcere e marginalità - non sono certo rassicuranti: su tutti i 580 comuni veneti contattati, il 20% di essi non ha nemmeno voluto rispondere alle richieste di informazioni dell’Osservatorio, mentre in 360 hanno ammesso di non fare niente in materia di reinserimento. Si contano solo, dunque, 95 comuni più o meno virtuosi (il 16% del totale). Ma quando con questi ultimi si è scesi nel dettaglio delle iniziative, solo 67 hanno accettato di rendere note le proprie attività, di cui 27 in provincia di Padova. "I comuni più virtuosi sono risultati quelli medio piccoli - spiega Daniele Berto dell’Osservatorio regionale -. Per quanto riguarda le attività svolte, alcuni hanno semplicemente un colloquio con l"ex detenuto, senza ulteriori azioni, anche perché non hanno un modello applicativo preconfezionato da seguire. Altri invece inviano la persona verso gli uffici specifici, smistando e orientando le richieste. Colloqui mirati al lavoro sono stati svolti solo da 14 Comuni e altri tipi di attività non sono segnalate. Solo un ente locale ha uno sportello stabile dedicato a ex detenuti". Ma quante persone sono state realmente seguite? "In Veneto le persone in uscita dal circuito penale sono circa 2.500. Ci si aspetterebbe dunque un numero elevato di interventi da parte delle amministrazioni mentre ad esempio Venezia, che è un comune virtuoso, ha seguito 203 persone, Belluno 3, Padova circa 70. Si è trattato perlopiù di ex detenuti stranieri e questo non ci stupisce: per gli italiani è più facile avere delle alternative alla detenzione e un circuito familiare che in alcuni casi li riaccolga". Analizzando nel dettaglio gli interventi, questi sono per il 66% centrati e rivolti alla persona, attuati immediatamente dopo l’uscita dal carcere. Ben 38 Comuni consegnano dei soldi alla persona che vi si rivolge per un aiuto: "Questa è solo una soluzione tampone per affrontare i primi giorni, è una sorta di anestetico sociale. Più utile è l’orientamento, importante perché davvero le persone quando escono dal carcere sono disorientate". Altri 27 comuni garantiscono l’inserimento lavorativo appoggiandosi a cooperative convenzionate. Solo in 7 invece prevedono delle borse lavoro, 4 hanno a disposizione mediatori culturali, 8 offrono alloggio ai non-residenti. "Gli interventi messi in atto prima dell’uscita dal carcere sono pochissimi, ed è una delle carenze che andrebbero colmate". Veneto: il reinserimento dei detenuti? deve iniziare in carcere
Redattore Sociale - Dire, 20 dicembre 2008
Le esperienze del Veneto e le linee guida nazionali. Limitazione della frammentarietà delle esperienze e razionalizzazione delle risorse, le priorità. Chi reinserire in società? Come farlo? Con quali mezzi e sinergie? A queste domande vogliono rispondere le Linee guida nazionali in materia di inclusione sociale, elaborate da ministero, regioni ed enti locali e presentate ieri nel corso di un convegno dal dirigente della Direzione regionale veneta per i Servizi sociali, Michele Maglio. "Con queste linee guida si punta sostanzialmente al consolidamento delle iniziative già esistenti - spiega il dirigente -, all’ampliamento del partenariato anche al mondo produttivo, alla diffusione delle buone prassi, che anche in Veneto esistono. Bisogna anche puntare alla limitazione della frammentarietà delle esperienze, formando un quadro di parità istituzionale. Senza dimenticare che è necessario prevedere una razionalizzazione delle risorse". La ricerca svolta dall’Ulss 16 che ha realizzato una mappatura delle esperienze di reinserimento in Veneto ha messo in evidenza, secondo il rappresentante della Regione, la vivacità e il gran numero delle attività condotte da soggetti del privato sociale nei territori di appartenenza. "La regione in questo contesto ha il compito di coordinare e di dare strumenti e impulsi alle associazioni e alle cooperative, che devono essere messe in condizione di realizzare i propri obiettivi". Su una cosa insiste Maglio: "Il reinserimento sociale deve iniziare già all’interno del carcere, per dare la possibilità ai detenuti di conquistare gli strumenti necessari e avere una reale chance una volta usciti. Nella fase di passaggio dalla detenzione alla libertà, poi, è fondamentale favorire il reingresso nella vita sociale della persona superando la solitudine e l’isolamento, che comporterebbero il rischio di una ricaduta". Per quanto riguarda le singole esperienze regionali, Maglio riserva un applauso alla realtà padovana del Due Palazzi che, grazie alle svariate attività della Cooperativa Giotto, sta dando la giusta visibilità alle buone prassi che possono essere messe in atto. Dal referente dell’Osservatorio regionale Devianze, carcere e marginalità arrivano altri input e indicazioni su come superare gli aspetti tuttora critici: "Mancano esperienze continuative e programmate in materia di inclusione sociale, a eccezione di Venezia e Padova dove, non a caso, c’è il carcere. Deve essere raggiunta una reale partecipazione degli enti locali, va poi promosso il coinvolgimento degli imprenditori, diffusa la conoscenza delle agevolazioni economiche per i datori di lavoro, favorita la cooperazione inter-istituzionale e garantito lo sviluppo delle competenze professionali delle persone". "La sicurezza sociale si attua anche attraverso il reinserimento lavorativo delle persone detenute ed ex detenute", ha sottolineato l’Assessore alle Politiche Sociali della regione Stefano Valdegamberi. "In Veneto - ha ricordato -, a parte poche realtà, su questo tema gran parte delle Amministrazioni non hanno sviluppato una strategia specifica. Infatti , dei 581 comuni, solo l’11% ha svolto una qualche azione concreta e in molti casi con iniziative estemporanee e al di fuori di strategie complessive. Eppure - ha proseguito - i dati ci dicono che, tra coloro i quali durante il periodo di detenzione hanno svolto attività lavorativa esterna, solo l’uno per cento è tornata a delinquere, mentre, chi lavora alle dipendenze del carcere, nove volte su dieci prima o poi torna dietro le sbarre". "E se si considera che un detenuto costa alla comunità 120 mila euro l’anno, contro i 58 mila di un disabile seguito in struttura residenziale, si capisce l’importanza rieducativa del lavoro "vero" ai fini del reinserimento sociale. Reinserimento - ha concluso Valdegamberi - che va inteso anche e soprattutto come maggiore sicurezza per i cittadini, per raggiungere la quale non bastano le telecamere. È necessario, quindi, che lo Stato investa anche in progetti che considerino il carcere, non solo come momento repressivo, ma anche rieducativo". Veneto: reinserimento minori; intervenire prima della condanna
Redattore Sociale - Dire, 20 dicembre 2008
Dei 96 comuni che svolgono attività a favore degli ex detenuti, i tre quarti non si occupano di minori. L’esperto: "Il nostro lavoro nella maggior parte svolto con gli adolescenti italiani". Si può parlare di reinserimento non solo per gli ex detenuti adulti, ma anche e soprattutto per i minori autori di reato. E bisogna porre particolare attenzione al recupero degli stranieri. Ma le risposte istituzionali, ad oggi, non sono sufficienti: secondo i dati diffusi dall’Osservatorio regionale Devianze, carcere e marginalità, dei 96 comuni che svolgono attività a favore degli ex detenuti, i tre quarti non le prevedono per i minori, anche se nel territorio di appartenenza ci sarebbero dei giovani potenzialmente beneficiari di queste iniziative. Perché questa carenza degli enti locali? "Non ci è stato chiesto nulla" è stata la risposta. E anche se il ricco tessuto del privato sociale veneto fa in qualche modo da tampone, appare comunque sempre più urgente poter lavorare sul fronte della prevenzione. In questo contesto si inserisce la riflessione e la testimonianza di Laura Rebesco, direttore dell’Ussm (Uffici di servizio sociale per i minorenni) di Venezia: "Il lavoro che noi svolgiamo si compie prima della condanna, al momento cioè della denuncia del minore - spiega -. Questo è possibile anche grazie all’opportunità di accesso a soluzioni di recupero alternative, precedenti alla condanna". Nel 2006 i minori denunciati in Procura sono stati 2.400, mentre nel carcere minorile di Treviso nel 2007 ne sono transitati circa 90, "quasi tutti stranieri, perché gli italiani hanno più facilità ad accedere alle alternative, potendo contare su una famiglia che garantisca per loro" spiega la direttrice, che aggiunge: "Il nostro lavoro comunque è ancora per la maggior parte svolto con gli adolescenti italiani: circa il 65% dei 109 minori con cui abbiamo avuto contatti non era infatti straniero". I reati più commessi? "Per gli italiani perlopiù detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, mentre tra gli stranieri sono più probabili e diffusi reati contro il patrimonio, come furti o rapine, specie se parliamo di minori non accompagnati". Il recupero, secondo l’esperta, per questi giovani stranieri deve passare necessariamente attraverso gli enti locali, che devono sostenere attività di reinserimento anche se, ammette, è difficile. "Non avendo delle famiglie alle spalle l’intervento deve essere per forza istituzionale - e conclude -. Oggettivamente non ci sono le stesse possibilità di riscatto tra italiani e non". Molise: Sappe; le carceri regionali sono sul punto di esplodere
Il Tempo, 20 dicembre 2008
"Emergenza carceri: in Molise aumentano le difficoltà, Larino è in grande sofferenza". Lo sostiene Aldo Di Giacomo, consigliere nazionale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe). "I detenuti presenti nelle tre carceri molisane - ha dichiarato Di Giacomo - sono 386, tutti uomini contro i 356 di capienza regolamentare. Nello specifico Campobasso ha 83 detenuti presenti a fronte di una capienza regolamentare di 121, gli stranieri sempre nel capoluogo di provincia, sono 11 pari al 13,26%". "A Isernia - aggiunge ancora Aldo Di Giacomo del Sappe - ci sono 63 presenti a fronte di una capienza regolamentare di 51 ospitabili, mentre gli stranieri sono 25 pari al 40 per cento. A Larino 240 presenti rispetto ai 184 ospitabili, gli stranieri sono 49 pari al 21 per cento, gli imputati sono 94 ed i condannati 146". Una nuova emergenza carceri che, in Molise, penalizza il carcere di Larino. "La condizione degli istituti penitenziari molisani - sottolinea Di Giacomo del Sappe - è sicuramente di difficoltà con particolare riferimento all’istituto di Larino ed Isernia, per questo abbiamo chiesto ed ottenuto che il consigliere regionale Quintino Pallante visitasse gli istituti penitenziari della regione". "Pallante - dice Di Giacomo - è da sempre vicino alle problematiche della polizia penitenziaria e delle forze di polizia". La visita di Pallante è cominciata ieri presso la casa circondariale di contrada Monte Arcano a Larino, per concludersi presso la Casa Circondariale di Isernia. Roma: Commiss. Infanzia visita mamme detenute a Rebibbia
Apcom, 20 dicembre 2008
Il presidente della Commissione Bicamerale per l’Infanzia, Alessandra Mussolini, e le senatrici Ghedini, Carlino e Poretti si sono recate questa mattina in visita al carcere di Rebibbia, accompagnate dalla vice direttrice dell’istituto penitenziario Gabriella Pedote. Lo rende noto un comunicato. Le parlamentari hanno fatto visita alle mamme detenute ed ai loro figli. "La struttura, che dovrebbe contenere un massimo di quindici bambini - informa la nota - attualmente ospita ventuno piccoli detenuti innocenti. In Italia sono circa 80 i bambini negli istituti di pena". "Facciamo appello al ministro della Giustizia Alfano - afferma la Mussolini - affinché dal prossimo anno si possano definitivamente liberare i bambini dalle carceri. Occorre istituire Case Famiglie protette per risolvere il problema delle tante detenute senza domicilio che sono costrette a tenere i bimbi in carcere sino al compimento del terzo anno d’età per poi doversene separare patendo un ulteriore dramma". Palermo: Sappe; all’Ucciardone agente aggredito da detenuto
Adnkronos, 20 dicembre 2008
La segreteria regionale del sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe denuncia l’aggressione, avvenuta domenica scorsa nel carcere palermitano dell’Ucciardone, ai danni di un assistente di polizia penitenziaria. Un detenuto, si spiega in una nota, ha aggredito l’agente, spegnendogli anche una sigaretta sulla guancia durante il ritiro dall’ora d’aria. L’assistente è stato medicato e ha una prognosi di sette giorni. Il Sappe lancia un allarme su ciò che avviene all’Ucciardone anche dopo le ultime segnalazioni. Il personale, conclude la nota, "non risulta sia tranquillo per affrontare il confronto giornaliero con l’utenza. L’episodio non sarebbe un caso isolato". Cagliari: fiaccolata solidarietà con i detenuti di Buoncammino
Comunicato stampa, 20 dicembre 2008
Appuntamento di fronte alla Cattedrale. Piazza Palazzo ore 19.00. Un comitato spontaneo di cittadini e associazioni di volontariato promuove a Cagliari per il settimo anno consecutivo la fiaccolata di solidarietà con i detenuti del carcere di Buoncammino e con le loro famiglie. L’appuntamento è martedì 23 dicembre alle 19.00 davanti alla Cattedrale della città in piazza Palazzo. Il corteo percorrerà il consueto tragitto: via Martini, piazza Indipendenza, Porta Cristina e viale Buoncammino fino ai due bracci del penitenziario dove si porgeranno gli auguri di Buon Natale ai detenuti e si manifesterà loro, attraverso letture e messaggi spontanei, la solidarietà della cittadinanza a due giorni dalla festa del Natale. Numerose le associazioni e le comunità coinvolte che stanno partecipando attivamente all’organizzazione dell’iniziativa: il convento dei Cappuccini di Cagliari, la Caritas di Cagliari con don Marco Lai, Mondo X Sardegna di Padre Morittu, l’associazione di volontariato "Oltre le sbarre" e la comunità "La Collina" di don Ettore Cannavera, l’Oftal, l’Azione Cattolica e la comunità parrocchiale cagliaritana di Sant’Elia. Animerà la fiaccolata il gruppo sardo del T.L.C. Musicale (testimonianza laico cristiana). Alla guida del corteo, Giuseppe Pireddu, Padre Provinciale dell’ordine dei frati minori Cappuccini di Cagliari. Attraverso la mediazione del cappellano del carcere di Buoncammino frate Massimiliano Sira e del diacono Mario Marini, dall’interno del penitenziario saranno coinvolti direttamente alcuni detenuti che leggeranno dei messaggi e risponderanno agli auguri dei presenti con un megafono. Proprio davanti al penitenziario centinaia di fiaccole accese saranno il simbolo della luce che si stringe in un abbraccio di solidarietà e accoglienza. I detenuti risponderanno dal buio delle celle accendendo a loro volta le candele. L’obiettivo dell’iniziativa è quello di vivere un momento forte di pace e amore gratuito, cercando di andare oltre il pregiudizio e l’atteggiamento di condanna, per lanciare un messaggio di speranza. Per dire ai detenuti che al di là delle sbarre, se vorranno ricominciare, c’è chi è disposto a offrire loro una opportunità di riscatto. Gli organizzatori auspicano che alla fiaccolata possano partecipare tutti i cittadini, indipendentemente dal colore politico e dalle convinzioni religiose, fermo restando che il messaggio fondante è quello cristiano e universale della fratellanza e dell’amicizia verso "gli ultimi". Per ulteriori informazioni: Laura Floris 368.7339337. Libro: "L’innocenza della verità", i percorsi filosofici in carcere
Il Mattino, 20 dicembre 2008
"Il sapere è un possesso senza proprietà, occorre restituirlo a chi non lo ha avuto e ne è privo". Riparte così il viaggio del filosofo partenopeo, Giuseppe Ferraro, fuori dagli schemi concettuali accademici. Un percorso che è iniziato con "Filosofia in carcere", scritto con i minori di Nisida. "L’Innocenza della verità" è ambientato invece nelle carceri di Bellizzi e di Carinola (Caserta) e racconta l’esperienza di un corso di filosofia rivolto a detenuti adulti. Esso nasce dall’esperimento di un docente di filosofia di portare i procedimenti speculativi propri della disciplina, per sua natura rigorosa eppur umana, fuori dalle mura dell’accademia; ciò al fine di porgere ai detenuti il proprio sapere, inteso quale possesso senza proprietà. Distante da ogni tentativo di redenzione, l’autore auspica di promuovere coloro che sono stati segnati dalla storia con una fuga verso la propria dimensione interiore, alla ricerca del nucleo più autentico dell’essere umano. L’argomento è l’etica nella forma del rispetto, della relazione di verità, dei legami, dei sentimenti. Il corso è accompagnato da esercizi tenuti dai detenuti e da lettere di alcuni di loro che testimoniano non solo il disagio, ma anche l’urgenza di cambiare la visione carceraria, perché il carcere non sia più soltanto luogo di detenzione e privazione. Il libro si conclude con la costruzione della città ideale e legale da parte dei detenuti. E i risultati sono sorprendenti. Televisione: detenuti-pasticcieri di Padova vanno da Licia Colò
Ansa, 20 dicembre 2008
I carcerati della cooperativa Giotto, che lavora con il consorzio Rebus, saranno ospiti nel programma Alle falde del Kilimangiaro condotto da Licia Colò, in onda domenica 21 dicembre alle 16 su Rai Tre. I detenuti che lavorano con il consorzio Rebus racconteranno la loro esperienza nella pasticceria e negli altri laboratori. Saranno presenti in studio i dirigenti del consorzio Nicola Boscoletto e Andrea Basso. La presenza dei detenuti avviene non a caso in prossimità del Natale. Come noto, infatti, nella casa di reclusione padovana è in funzione una pasticceria che sforna panettoni da record, sia per la qualità, sono stati infatti premiati con il piatto d’argento dell’Accademia Italiana della Cucina e portati ad esempio dal Gastronauta Davide Paolini, sia per la quantità: 30mila pezzi l’eccezionale produzione di quest’anno. Si pensi che l’anno scorso era stata superata di poco quota 13mila. I dolci di Giotto - I dolci natalizi si presentano nella confezione artistica con le immagini giottesche della cappella degli Scrovegni e non a caso il marchio che li contraddistingue è "I dolci di Giotto". L’esperienza della pasticceria è solo uno dei numerosi laboratori gestiti in carcere dal consorzio Rebus, alle dipendenze del quale lavorano, regolarmente assunti, circa cento detenuti, con una recidiva inferiore dell’uno per cento. Questo dimostra il valore "redentivo" del lavoro, unica vera soluzione alle carceri strapiene. Il programma - Alle falde del Kilimangiaro è un programma dedicato alla scoperta delle bellezze del pianeta, è stato premiato con il Telegatto 2008 per l’informazione e approfondimento. La puntata di domenica, a pochi giorni da Natale, prevede in scaletta il reportage di un viaggio a Gerusalemme, culla delle tre religioni monoteiste, e di due mete esotiche: l’isola di Aruba, di fronte al Venezuela, e la Tanzania. Immigrazione: il Natale dei "topi umani" alla periferia di Milano di Sergio Segio
www.dirittiglobali.it, 20 dicembre 2008
Non è facile, mi rendo conto. Io stesso, che pure ho avuto una vita travagliata e ne ho viste di tutti i colori, martedì sera stentavo a credere ai miei occhi. Ma provate lo stesso a immaginarlo. Una lingua di fango e sterpaglie di pochi metri quadrati a fianco della massicciata della ferrovia. Per riuscire ad accedere a questa terra di nessuno occorre entrare da un viottolo a lato di uno dei tanti capannoni industriali assiepati nella periferia di Sesto San Giovanni, sul vialone che porta all’imbocco delle tangenziali milanesi. Bisogna poi scavalcare il muretto che delimita i binari del treno, traversarne quattro e, subito dopo un ponte, infilarsi in quel budello a cielo aperto. Non è facile arrivarci, e pure assai rischioso: è già accaduto che qualcuno - quattro, dicono - sia rimasto ucciso dai treni che transitano veloci. Eppure lì, topi tra i topi, vive qualche decina di rom, comprese donne e bambini, uno neonato di dieci giorni. La mattina di martedì sono arrivati, come già altre volte, i poliziotti. Sotto la pioggia che batte ormai da giorni, hanno allontanato le persone e distrutto i giacigli di cartone e i teli di plastica. I rom ci hanno avvisato e chiesto aiuto. La sera, con Dijana, Paolo e Filippo, siamo andati con loro a vedere lo scempio delle misere cose. Coperte, sacchi a peli, qualche fornelletto, un piccolo pallone impastati nel fango, rifiuti ormai inservibili. Ci hanno mostrato le mamme e i bambini, fradici come noi sotto la pioggia ancora più impietosa degli uomini. Ci hanno chiesto: e ora? Come vivremo? Dove possiamo andare? Tramite Olga, un consigliere comunale, abbiamo interpellato il sindaco, Giorgio Oldrini, che è uomo di buon cuore. Si è attivato, e mentre la notte e la pioggia continuavano a calare è arrivata una risposta: se portate i bambini in ospedale, c’è un pediatra disponibile a visitarli e, almeno per questa notte, a ospitarli al coperto; altro e di più non si può fare. E forse è vero. Le istituzioni e i governi fanno fronte a problemi giganteschi, a crisi globali, alle bancarotte dei colossi finanziari, alla riorganizzazione dei territori e all’edificazione delle grandi opere ma non sanno dare risposte ai bisogni più semplici, soprattutto a quelli degli ultimi della fila. Come quello di non fare dormire all’addiaccio qualche decina di poveracci. Del resto, per non fare morire di freddo, di fame o di sete i poveri del mondo basterebbero le risorse prontamente reperite e stanziate per salvare dal tracollo i colossi bancari e automobilistici. Ma le poche decine di rom di Sesto, per la verità, non chiedono nulla. La loro passività e rassegnazione sono impressionanti. Non hanno mai avuto nulla e non si aspettano niente. Alla fine, i bambini all’ospedale hanno preferito non mandarli, temono gli vengano sottratti, non vogliono essere dispersi e divisi; come agnelli al macello si scaldano e fanno coraggio a vicenda. La loro richiesta è solo quella che li lascino stare lì, a contendersi quel fazzoletto di fango con le pantegane. Martedì sera sul tardi avevano già riorganizzato con qualche straccio e coperta delle specie di cucce. Anche stavolta la derattizzazione non ha funzionato. Pur se sempre più deboli e spaventati, i topi umani hanno riaperto la tana, scavato nuovi anfratti, si sono rifugiati ancora più dentro nel fango e nei rifiuti, per diventare maggiormente invisibili. E certo lo sono: per la società, per la politica, per i media, per gli amministratori locali, per i servizi sociali. Ma non per i tutori dell’ordine che sanno stanarli sempre, ligi e implacabili. In questo caso, la motivazione addotta per lo sgombero forzato è che il luogo è pericoloso per la vicinanza dei binari, come le tragedie del passato hanno dimostrato. Puro buon senso. Se però venissero fornite alternative. Se non fosse che, a ogni sgombero, i rischi invece aumentano e le condizioni peggiorano, perché evidentemente al pozzo nero del peggio non c’è termine. Come se morire per broncopolmonite fosse preferibile al pericolo di finire travolti. Come se tutto quel che importa sia di rimuovere il problema dalla vista, dalle proprie responsabilità, dal proprio Comune. Un problema dal volto umano ma dalle condizioni di vita più che bestiali. Nella Milano dell’Expo, dei Ligresti, degli Zunino, dei Cabassi, dei Caltagirone non c’è un piccolo terreno e qualche roulotte in cui consentire a poche decine di persone di sopravvivere, almeno all’inverno. Almeno a Natale. Se questo è un uomo, ci chiedeva Primo Levi, descrivendo la disumanizzazione del lager. Oggi dovremmo chiederci se questi sono veramente topi. O se invece siamo noi, colpevolmente, con azioni e omissioni, con indifferenza e distrazione, a trattarli come tali. Diritti: pena di morte; l’Onu riconferma moratoria universale di Tonia Fiore
www.levanteonline.org, 20 dicembre 2008
Esattamente un anno fa l’Assemblea Generale dell’Onu adottava la risoluzione sulla moratoria universale della pena di morte. Nelle parole del segretario generale, Ban Ki-moon, la moratoria era "un segnale della tendenza verso l’abolizione della pena di morte" che aveva inflitto una dura sconfitta al cosiddetto "fronte del boia" con in prima linea Stai Uniti e Iran, ma anche Arabia Saudita, Cina, Singapore, e Giamaica. L’approvazione della risoluzione, sostenuta dall’Italia più che da ogni altro paese, era stata possibile grazie al consenso di 104 stati sui 192 dell’Onu contro 54 contrari e 29 astenuti. Un muro che sembrava incrollabile mostrava i primi segni di cedimento. Dopo un anno, l’Assemblea Generale dell’Onu rinnova la moratoria stroncando sul nascere i tentativi degli stati contrari di far passare una serie di emendamenti volti a rendere la bozza inefficace richiamando il diritto alla sovranità nazionale. Il ministro degli esteri, Franco Frattini, ha così commentato la riconferma del successo in gran parte italiano: "si consolida un orientamento internazionale verso l’abolizione della pena di morte, a conferma che il cammino intrapreso dall’Italia, dall’Unione Europea e dal gruppo dei Paesi che appoggiano questa iniziativa interpreta un’esigenza profondamente avvertita dalla comunità internazionale". La moratoria non ha carattere vincolante ma è espressione del rifiuto dell’Onu e dei suoi membri della pena di morte. Il grande valore simbolico della moratoria si presenta sotto forma di una sorta di "pressione morale" che, a distanza di un anno, ha visto oltre ad un aumento sensibile dei paesi sostenitori della moratoria, il delinearsi sempre più di una tendenza abolizionista, confermando quanto supposto da Ban Ki-moon e da Frattini. Il parlamento del Burundi, ad esempio, adottando una nuova legge penale con 90 voti favorevoli, nessuno contrario e 10 astenuti ha abolito la pena di morte. Il Libano che prevede la pena capitale per omicidio premeditato, tentato omicidio, collaborazione con Israele, terrorismo, atti di insurrezione e guerra civile, ha annunciato di voler seguire una direzione abolizionista. Anche la Repubblica di Togo ha comunicato un decreto legge per abolire la pena di morte divenendo, così, il diciassettesimo stato africano senza pena capitale. In Messico, invece, si riaccende la polemica a seguito della proposta di reintrodurre la pena di morte. La Conferenza Episcopale messicana si oppone risolutamente e se da un lato dice di comprendere la necessità di una soluzione alla criminalità che affligge il paese applicando la giusta pena ai delinquenti che "molte volte sono tutelati dall’impunità o dalla corruzione da parte dei funzionari pubblici", dall’altro ritiene che lo Stato abbia la "piena responsabilità di applicare le pene con l’obiettivo di riparare al disordine introdotto dalla violenza, dal delitto e dall’insicurezza ma, oltre a difendere l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone deve anche contribuire alla correzione dei colpevoli". Anche quest’anno gli Stati Uniti hanno votato contro la moratoria ma ciò non vuol dire che su di essi non abbia sortito alcun effetto. Infatti, si assiste ad una crescente impopolarità della pena capitale nel paese, un dato confermato dal numero delle esecuzioni avvenute nel corso del 2008, il più basso degli ultimi 14 anni. Un altro dato interessante riguarda la concentrazione di tali esecuzioni: il sud del paese, in particolar modo il Texas in cui ne sono avvenute quasi la metà, registra il numero maggiore di condanne. Il consenso dell’opinione pubblica è in forte calo, una tendenza acutizzata dai recenti casi in cui il detenuto nel braccio della morte è stato scagionato, o meglio, letteralmente "salvato in extremis" grazie a nuove prove fornite dalla scienza. La "teoria della deterrenza della pena di morte" secondo la quale la gente, temendo la pena capitale non commetterebbe certi crimini o ne commetterebbe meno, sembra non convincere più gli americani. Droghe: la madre gli impone un alcool-test, 16enne si impicca
Notiziario Aduc, 20 dicembre 2008
Si è impiccato a un albero nel cortile della scuola, dopo essere stato portato dalla madre a fare un alcool-test perché si era presentato in classe ubriaco. È la drammatica storia di un ragazzino di 16 anni che nel primo pomeriggio di ieri si è tolto la vita a Torre Boldone, un piccolo centro alle porte di Bergamo. Il giovane era nato in Russia, ma viveva in Italia da anni, grazie a una famiglia di Albino (Bergamo) che lo aveva adottato. Ancora non si conoscono le ragioni per cui stamani sia arrivato a scuola sotto l’effetto dell’alcol, ma pare che all’origine del suo malessere ci fosse una recente delusione amorosa. La direttrice dell’istituto, avvertita da un insegnante, ha subito chiamato la madre del ragazzo. La donna è arrivata a scuola e ha rimproverato il figlio davanti alla dirigente. Poi, forse per intimorirlo o soltanto per fargli capire la gravità di ciò che aveva fatto, lo ha accompagnato al comando della polizia locale per sottoporlo al test dell’etilometro, al quale é risultato positivo. Nel sangue aveva infatti un tasso alcolico di 1,47 grammi per litro. Mentre la madre lo stava riaccompagnando a casa, il sedicenne ha cercato di scappare, scendendo dall’auto e allontanandosi a piedi. Una prima volta la donna lo ha raggiunto e lo ha riportato in macchina, la seconda volta lo ha invece lasciato andare, convinta che sarebbe tornato presto a casa. Invece il giovane ha fatto perdere per un po’ le sue tracce. Nemmeno i suoi compagni, che lo aspettavano fuori da scuola per salutarlo in vista delle vacanze di Natale, lo hanno visto. Infatti lui ha fatto ritorno nell’istituto più tardi, quando ormai nella scuola non c’era più nessuno. Secondo la ricostruzione dei carabinieri, quando è arrivato nel cortile si è diretto verso alcuni giochi, ha trovato una corda e l’ha strappata. Poi si è ucciso. Alcuni ragazzi lo hanno visto penzolare intorno alle 14 ma a quel punto era ormai troppo tardi per salvargli la vita. I soccorsi sono arrivati sul posto in pochi minuti, ma il ragazzino era già deceduto. Pare che non fosse la prima volta che il giovane si presentasse a scuola in uno stato mentale alterato: circa tre mesi fa il ragazzino avrebbe vissuto una delusione d’amore e da quel momento, dice chi lo conosceva, i suoi rapporti con gli altri si erano fatti più difficili, persino con i genitori. E non ha retto al rimprovero.
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