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Giustizia: la riforma slitta a gennaio, Alfano cerca un dialogo
Il Mattino, 13 dicembre 2008
"I principi fondamentali della Costituzione repubblicana sono fuori discussione e nessuno può pensare di modificarli o alterarli". Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ricevendo al Quirinale i membri del Fai. La Costituzione insomma, avverte il Colle, non può essere cambiata nell’espressione dei suoi principi fondamentali. E questo, specifica il Capo dello Stato, al di là di "quanto si discuta, argomento complicato, su cosa è possibile e opportuno modificare e che cosa no nella Costituzione". Berlusconi. "No, io non sono toccato per niente. Con Napolitano ho un rapporto tranquillo, conviviale ed adesso lo chiamerò per informarlo dei risultati del Consiglio Europeo". Così il premier Silvio Berlusconi risponde ai cronisti oggi a Bruxelles che gli chiedevano di commentare le parole del Capo dello Stato sull’immodificabilità dei principi costituzionali. Slitterà intanto a gennaio 2009 il "pacchetto" giustizia contenente la riforma del processo penale e misure per affrontare l’emergenza sovraffollamento carceri, inizialmente preannunciato per il consiglio dei ministri della prossima settimana. La decisione - secondo quanto si è appreso in ambienti del governo - è stata presa dopo che il Guardasigilli Alfano, sentito il premier Berlusconi, ha concordato sul tentativo di riannodare il filo del dialogo con l’opposizione almeno sulle modifiche con legge ordinaria al processo penale, visto che sulle riforme costituzionali resta la netta contrarietà del Pd. "Darò il via libera al ddl per la riforma della giustizia che sarà approvato dal Consiglio dei Ministri, ma non chiedetemi di sedermi al tavolo con chi mi definisce Hitler, o un dittatore argentino", aveva sottolineato invece il premier al termine del Consiglio europeo a Bruxelles. "Sicuramente - ha aggiunto - una volta che il provvedimento sarà in Parlamento i gruppi avranno da parte mia ampia libertà di dialogare con l’opposizione e la possibilità di accogliere miglioramenti". "Dopo la scuola, la giustizia. Questo è il governo degli annunci roboanti e delle marce indietro", afferma Tenaglia. "Per quanto ci riguarda, a nome del Partito Democratico - aggiunge - siamo ovviamente pronti ad incontrare il ministro di Giustizia e illustrare le proposte che il Pd ha elaborato e presentato. Questo - sottolinea Tenaglia - è il nostro contributo al lavoro per una riforma della giustizia che sia fatta nell’interesse dei cittadini, rendendo efficiente la macchina giudiziaria". La prossima settimana, dunque, Alfano incontrerà il ministro "ombra" della Giustizia Lanfranco Tenaglia e tornerà a vedersi anche con Michele Vietti (Udc), oltre che con i capigruppo di maggioranza. La bozza del testo era fino a ieri in fase di limatura al ministero della Giustizia per approdare al consiglio dei ministri del prossimo 19 dicembre, ma ha ricevuto uno stop nelle ultime ore. Se ne riparlerà solo dopo che Alfano avrà ricevuto una serie di proposte dalla Lega Nord (intenzionata ad insistere sui giudici di pace eletti dal popolo) e soprattutto dopo aver incontrato, tra martedì e mercoledì, il ministro "ombra" del Pd, Tenaglia, e Vietti dell’Udc. La bozza di ddl in fase di limatura fino a ieri sera prevedeva, tra l’altro, modifiche al codice di procedura penale per dare maggiore autonomia investigativa alla polizia giudiziaria rispetto al pubblico ministero (che non avrebbe più potuto acquisire autonomamente la notizia di reato ma soltanto riceverla) e misure per risolvere l’emergenza sovraffollamento carceri puntando soprattutto su modifiche alle norme sulle gare di appalto per costruire nuovi penitenziari (così da evitare che in caso di contenzioso si blocchino i lavori). Il governo non aveva escluso l’ipotesi di intervenire sulle carceri con un decreto legge. Ma - spiegano le stesse fonti qualificate - in questo modo si sarebbe avvalorato il sospetto di un blitz parlamentare proprio mentre lo scontro sulla giustizia ha toccato i massimi livelli. Pertanto, vista la chiusura del Pd a qualsiasi modifica costituzionale (Csm, obbligatorietà dell’azione penale, separazione giudici-pm), Alfano tenterà di riannodare il dialogo con il Pd almeno sulla riforma del processo penale. Con l’effetto di abbassare i toni sulla giustizia, come chiesto anche dalla Lega, e di cercare un’intesa bi-partisan sulle riforme, come più volte sollecitato dal Quirinale. Di Pietro. "Come ha ricordato oggi il presidente Napolitano: i principi fondamentali della nostra Carta costituzionale sono immodificabili. E se è vero, come è vero, che tra questi c’è l’indipendenza della magistratura, la logica vorrebbe che Berlusconi non modifichi il sistema giustizia a suo piacimento, altrimenti, violerebbe quei principi tracciati nella Carta dimostrando, ancora una volta, di seguire un modello dittatoriale e piduista". Lo afferma Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei Valori. Giustizia: indietro tutta; governo prende passo del gambero di Franco Bechis
Italia Oggi, 13 dicembre 2008
Dopo la scuola, la giustizia. Silvio Berlusconi ha preso il passo del gambero, tornando indietro anche sul pacchetto di riforme del sistema giudiziario che il ministro Angelino Alfano aveva preparato per l’ultimo consiglio dei ministri prima di Natale. Ufficialmente il rinvio sarà di un mese nel tentativo di trovare un accordo comune almeno sui principi della riforma con il Pd di Walter Veltroni, con l’obiettivo di mettere un po’ più in crisi l’alleanza con Antonio Di Pietro. Ma il governo ha avuto timore di una reazione eccessiva delle associazioni dei magistrati e del disappunto manifestato in più occasioni dal capo dello stato, Giorgio Napolitano: la bozza di ddl in ogni caso non interveniva sulle carriere. Il pacchetto giustizia, che faceva chiaramente parte del programma elettorale del Pdl, era stato annunciato con forza proprio dal presidente del Consiglio alla chiusura dei lavori estivi, sostenendo che sarebbe arrivato in Parlamento all’inizio dell’autunno. Ipotesi poi passata in secondo piano con l’esplodere della crisi economica internazionale e le polemiche sulla riforma della scuola. Poi, quando nessuno più se ne ricordava, è stato proprio Berlusconi ad annunciare un’accelerata sfruttando politicamente l’indignazione generale seguita allo scontro fra le procure di Salerno e Catanzaro. Ma il premier ancora una volta ha fatto solo la faccia feroce, scegliendo poche ore dopo la strategia diametralmente opposta. Un secondo errore politico nel giro di due giorni per un governo che aveva goduto di grande popolarità in questi mesi proprio per la sua capacità di decisione, apprezzata addirittura al di là dell’opinione sui singoli provvedimenti. Intendiamoci, non è disprezzabile cercare intese più larghe su temi così sensibili per il funzionamento della giustizia come la separazione fra i poteri costituzionali e la riforma di un sistema che tocca da vicino la vita di tutti gli italiani. Ma da decenni ogni tipo di confronto ha prodotto solo la paralisi del sistema, rinviando ai successivi governi la soluzione di mali che appaiono sempre più inguaribili. I magistrati, che sono una casta assai simile a quella dei politici, hanno difeso con rigidità l’esistente, e soprattutto il proprio status. Basti per tutti il caso del pm Luigi De Magistris, punito con il trasferimento per avere rivelato in un suo atto una relazione extraconiugale irrilevante ai fini penali. È accaduto in mille atti, in barba alla privacy. Ma in quello di De Magistris in modo imperdonabile: i fedifraghi erano due magistrati. Così funziona la giustizia in Italia. Giustizia: Maroni; importerò da New York la tolleranza zero di Mario Calabresi
La Repubblica, 13 dicembre 2008
"Sono venuto per studiare il modello di sicurezza urbana di New York, basato sul concetto della tolleranza zero, un modello che vogliamo applicare in tutte le città italiane". Roberto Maroni cammina per Manhattan con un giubbotto di pelle e parla senza sosta: ha passato la mattina nella centrale operativa della polizia di New York con Ray Kelly, che da sette anni comanda i 38mila agenti in servizio in città. "Hanno un controllo del territorio totale, una catena di comando chiara e banche dati incredibili e condivise tra tutti. Hanno uno schermo immenso con la mappa di tutta la città e una luce per ognuno dei 76 distretti di polizia: se sono in difficoltà si accende una luce gialla, ma se diventa rossa devono accorrere i rinforzi. Ad ogni chiamata il computer evidenzia l’area interessata e sui video appaiono dati e statistiche del palazzo da cui è partita la chiamata: se ci abitano pregiudicati, se ci sono stati omicidi, furti o stupri. La banca dati è comune con Fbi e Cia e ogni informazione viene mandata alla pattuglia in servizio perché sappia cosa può trovarsi davanti. È chiaro che questo è l’esempio da seguire". Il ministro dell’Interno italiano è venuto negli Stati Uniti per studiare la polizia di New York e le tecniche di antiterrorismo dell’Fbi e torna a casa con questa idea in testa: "Il potere anche da noi deve essere dato sempre di più ai sindaci, la città deve essere controllata dalla polizia locale, che dipende da lui". Su un unico punto non è d’accordo con il sindaco di New York Michael Bloomberg e con Silvio Berlusconi: la caccia ai graffitari. Maroni, un passato da "writer" non ha nessuna intenzione di fare crociate contro chi disegna i muri con le bombolette spray.
Che bisogno abbiamo in Italia della tolleranza zero? "Nel nostro Paese c’è una percezione comune e diffusa che ci sia troppa insicurezza e che la criminalità sia tollerata e ciò aumenta la paura dei cittadini. La sinistra ha perso le elezioni su questo, nonostante alla fine del 2007 e all’inizio del 2008 i crimini fossero diminuiti. Ma hanno pagato la percezione negativa dell’indulto e il boom di reati che aveva creato".
Detta così sembra un’operazione di immagine per non perdere consensi? "No, non è uno spot: esiste un vero problema di criminalità urbana che va affrontato, soprattutto nelle grandi città dove abitano i soggetti deboli come gli anziani e le persone sole, e dobbiamo sbrigarci perché uno degli effetti della crisi economica sarà un aumento dei reati e dobbiamo aumentare il lavoro di prevenzione. Lanciando il progetto tolleranza zero vogliamo dare un segnale forte ai cittadini e da New York torno con cinque punti che voglio applicare in Italia".
Priorità numero uno? "Una chiara catena di comando, sopra tutti c’è il sindaco e da lui dipende il capo della polizia locale. Qui è il primo cittadino che individua i punti caldi sui quali intervenire e stabilisce le regole della convivenza civile, la responsabilità è sua e per questo continueremo a insistere perché in Italia abbia più potere".
È il modello del sindaco "sceriffo" alla Rudolph Giuliani. "Quella dello sceriffo è una polemica tutta romana di una parte della sinistra, basti pensare che i primi quattro sindaci ad aver utilizzato il potere di ordinanza che gli abbiamo dato sono stati Cacciari, Cofferati, Chiamparino e Domenici e sono tutti del centrosinistra. E abbiamo appena raggiunto quota 500 ordinanze su prostituzione, spaccio di droga e contraffazione".
Il suo secondo punto? "Ci vuole una centrale operativa unificata in ogni città, non possiamo continuare ad averne quattro o cinque - carabinieri, polizia, vigili del fuoco, vigili urbani e emergenza sanitaria - che si sovrappongono e non comunicano tra loro. E l’Europa ci continua a chiedere un numero di emergenza unificato. La terza cosa è una netta distinzione di competenze e una definizione chiara dei ruoli: basta con le inutili sovrapposizioni, per farlo ci vuole un coordinamento più rigido ed efficace che stabilisca in modo preciso cosa devono fare polizia, carabinieri e polizia locale".
Cos’altro dovremmo copiare secondo lei? "Dobbiamo cambiare i metodi usati nel sequestro dei beni. Non possiamo continuare a riempire parcheggi di auto confiscate e far passare anni prima di deciderne il destino. Alla fine sono da rottamare e lo Stato ha speso cifre esorbitanti per tenerle parcheggiate. Qui si decide subito se venderle o darle in utilizzo alle forze dell’ordine. In tutti i casi di sequestro, che siano case, aziende o beni della mafia bisogna cominciare ad agire con pragmatismo ed efficienza. L’ultima cosa è capire che da noi tolleranza zero significa bloccare subito il degrado, non lasciare che si creino campi nomadi abusivi o che il centro delle città diventi dormitorio per immigrati illegali. Intervenire subito e in modo tempestivo".
Vorrebbe esportare il metodo newyorkese alla lettera? "No c’è una cosa che non voglio copiare: la tolleranza zero contro i graffiti sui muri. Io sono stato un graffitaro e come Bossi rimango dell’idea che i muri sono i libri dei popoli".
Qui il sindaco Bloomberg ha creato una task-force che va a caccia di ragazzini con la bomboletta spray, l’esempio che Berlusconi vorrebbe seguire... "No, io sono più tollerante, si può pensare di regolamentare ma non di vietare, per questo ho bloccato la proposta di mandare in galera i graffitari. Nelle nostre città è pieno di muri grigi e tristi come di vecchie fabbriche o caserme in disuso dove si potrebbe concedere libertà di graffito. La mia idea è che anche su questo dovremmo lasciare ai sindaci di decidere dove si può fare e dove no ma niente divieti assoluti". Giustizia: Bernardini (RI); il governo passi dalle parole ai fatti
Ansa, 13 dicembre 2008
"Come Radicali siamo assolutamente favorevoli ad una immediata riforma della giustizia che, anche tramite modifiche costituzionali, preveda tra i provvedimenti più urgenti una netta e rigida separazione delle carriere, una radicale modifica della struttura e della composizione del Csm, l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale e la modifica della legge sulla responsabilità civile dei magistrati": così la deputata Radicale-Pd, membro della Commissione Giustizia, Rita Bernardini, che chiede al governo di "passare dalle parole ai fatti". Riteniamo, inoltre, non più procrastinabile - aggiunge - un serio intervento sul sistema carcerario attraverso misure di depenalizzazione e decarcerizzazione che migliorino la vivibilità e la funzionalità degli istituti di pena, senza dimenticare l’indulto accompagnato da amnistia: una proposta che da radicali rivendichiamo con forza in quanto l’unica in grado di far rientrare le carceri italiane nella legalità costituzionale. Il governo scelga di dare centralità alla sede parlamentare, consentendo un grande dibattito, dice Bernardini, che ricorda la mozione presentata dai Radicali con firme bipartisan. Giustizia: carceri con il "project finance"? Unicredit in campo di Carmine Fotina
Il Sole 24 Ore, 13 dicembre 2008
Un vecchio progetto che torna di moda, stavolta con qualche chance in più di arrivare al traguardo. Un piano di sviluppo di edilizia carceraria che coinvolga i privati attraverso il project finance e il meccanismo della permuta. Uno scambio in pratica tra vecchie prigioni storiche e nuove strutture da costruire e gestire con logiche moderne. Gianfranco Imperatori, ex presidente di Mediocredito centrale e senior advisor di Unicredit, è l’ideatore del piano che il ministro della Giustizia Angelino Alfano potrebbe mettere in pratica. "Ne ho parlato anche con il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli - dice Imperatori -. Ho riscontrato massima sensibilità e credo che la proposta potrà fare strada". In sintesi, si darebbero in permuta ai privati strutture inefficienti e sovraffollate che sorgono spesso nei centri storici o in alcuni casi in luoghi di pregio turistico. Imperatori cita Regina Coeli a Roma, San Vittore a Milano, Ucciardone a Palermo ma anche le carceri campane di Procida e Nisida, e ancora altri, come il complesso carcerario dell’isola di Pianosa, l’istituto di Capraia. In alcuni casi ex conventi, palazzi nobiliari, antichi forti che i privati potrebbero convertire in alberghi o altri progetti. Per i 55 edifici riconsegnati dalla Amministrazione penitenziaria al Demanio, attribuendo la giusta quotazione agli edifici di maggior pregio le stime parlano di una valorizzazione di 500 milioni. Vero e proprio ossigeno, in uno scenario di risorse insufficienti. L’ultima relazione sullo stato di attuazione del programma di edilizia penitenziaria, che risale al febbraio 2008, segnala per 9 nuove opere programmate e finanziate con fondi delle Infrastrutture la necessità di reperire un fabbisogno aggiuntivo di 200-230 milioni. "Ci sono altre considerazioni da fare oltre a quelle di ordine economico - spiega Imperatori -. La permuta consentirebbe di riqualificare strutture storiche oggi degradate". "Il project finance invece - aggiunge - risponderebbe a tre diverse esigenze. Quella politica di evitare gli indulti ma avere, più carceri. Quella economica, mettendo in moto grandi investimenti con il minimo ricorso alla finanza pubblica. E quella sociale, rendendo le carceri occasioni di riabilitazione". Imperatori, con il ruolo di chief advisor di Kpmg, ha conosciuto da vicino analoghe esperienze all’estero: "Stati Uniti e Australia - dice - ma anche Inghilterra e Francia hanno seguito questa strada. Si tratterebbe di affidare ai privati la parte alberghiera delle carceri (dal catering, alla lavanderia, agli approvvigionamenti) mentre ovviamente i servizi di custodia rimarrebbero all’Amministrazione pubblica". Per Imperatori, tra i "padri" italiani del project finance, nelle carceri si potrebbero ripetere i buoni risultati messi a segno nell’edilizia ospedaliera, che ha per alcuni aspetti caratteristiche analoghe (gestione dei servizi non-core ai privati, servizi sanitari all’amministrazione pubblica). Se il progetto supererà l’esame "politico", resterà da verificare sul campo se la doppia formula della permuta e del project fìnance basterà a non bissare l’insuccesso del vecchio piano di dismissioni e conseguente appalto di nuove carceri lanciato nel 2003 dall’allora ministro della Giustizia Roberto Castelli. Giustizia: assistenti sociali; no alla riorganizzazione del Dgm
Adnkronos, 13 dicembre 2008
Il Consiglio Nazionale Assistenti Sociali, in merito al progetto di riordino dell’apparato amministrativo del ministero della Giustizia, esprime "una forte preoccupazione per la proposta di riorganizzazione del Dipartimento per la Giustizia Minorile, orientata a depotenziarne l’autonomia e la specializzazione". "Il Consiglio - sostengono gli assistenti sociali - rileva con favore l’atteggiamento al riguardo del Ministro Alfano che ha manifestato in Parlamento la necessità di riflettere su tale progetto di riorganizzazione". "La delegazione Onu - proseguono - di recente in Italia per accertare lo stato dei diritti umani delle persone private della libertà, ha mostrato apprezzamento per il funzionamento della giustizia minorile in Italia, indicandola quale buon esempio per le altre nazioni ed evidenziando anche l’importanza della sua autonomia in linea con le Raccomandazioni delle Nazioni Unite sulla giustizia minorile". "Auspichiamo - concludono gli assistenti sociali - che non venga dato corso a progetti di riordino degli apparati amministrativi e del Ministero, semplicemente finalizzati a una apparente contrazione delle spese, che possano in alcun modo ledere l’autonomia dell’amministrazione della giustizia minorile e la qualità della sua attività, per come si è progressivamente realizzata nel corso degli ultimi 60 anni". Lettere: medico carcerario racconta; "violenza istituzionale"
www.nopsych.it, 13 dicembre 2008
Il presente documento è stato recapitato martedì scorso all’Oism (Osservatorio Italiano Salute Mentale) dopo che l’autrice l’aveva postato come commento sul sito della Senatrice Poretti. Onorevole Senatrice Donatella Poretti, mi chiamo Ilaria Bologna e per più di un anno ho lavorato come medico di guardia presso la Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino, meglio conosciuta come "Le Vallette". Non conosco per esperienza diretta la realtà dell’Opg. Leggere dei pestaggi e capire che non sono un’eventualità remota ed eccezionale, ma una realtà tanto grave quanto comune non richiede del resto una conoscenza approfondita: un’esperienza che non sia di solamente un paio di visite di mezz’ora all’interno di un’istituzione totale consente di capire immediatamente di cosa si sta parlando. Al signor Maurizio Parenti cui preme che "il buon nome della Polizia Penitenziaria non sia infangato" mi sento di sottolineare che all’interno delle strutture carcerarie, e gli Opg nei fatti lo sono, i pestaggi da parte degli agenti (addirittura organizzati in apposite "squadrette") sono all’ordine del giorno, sono l’ovvietà di fronte a cui si trovano tutti i detenuti e tutto il personale che all’interno della struttura lavora. Medici in prima linea, è il caso di dire. Occorre una specificazione per quanto riguarda il ruolo del medico in carcere: nella maggior parte delle Case Circondariali di dimensioni medio-grandi il medico, fisicamente presente 24 ore su 24 all’interno dei padiglioni o delle sezioni, volente o nolente a stretto contatto con gli agenti, ha primariamente un ruolo da "manutentore". Deve garantire il benessere psico-fisico del detenuto non perché abbia la possibilità reale di approcciarsi a lui come a un suo paziente vero e proprio, ma perché l’istituzione per cui lavora esige ordine, e non esiste ordine se non attraverso "la salute" del detenuto. Automaticamente il medico assume anche poteri custodiali, e spesso non solo secondariamente. Il pestaggio raramente avviene nella totale ignoranza del medico: è piuttosto frequente che il detenuto picchiato venga poi portato in infermeria per "un controllo" e che siano palesi segni che rendono possibile, e francamente non solo al cosiddetto "occhio clinico", risalire all’accaduto. A seconda di quanta complicità/connivenza esista tra il medico e gli agenti, e dunque di quanto questi ultimi ritengano di dover temere, gli agenti stessi sono più o meno espliciti nel riconoscere cosa è effettivamente successo: potranno sostenere che "sono stati costretti", che "il detenuto era agitato e aggressivo", o addirittura apertamente compiacersi di "aver dato una lezione". A volte viene finta una rissa tra detenuti (il detenuto facilmente non parla per paura di un ulteriore pestaggio). In alcuni casi il detenuto non viene nemmeno portato in infermeria, e questo avviene soprattutto se gli agenti temono che il medico in turno possa refertare in cartella clinica le prove indiscutibili di ciò che è successo. Una questione a parte sono poi le violenze praticate nei cosiddetti Reparti di Osservazione Psichiatrica, sezioni speciali in cui soggiornano, su richiesta della magistratura o a seguito di segnalazione del personale carcerario, i detenuti che potenzialmente "affetti da patologia psichiatrica" sono candidati al percorso dell’ospedale psichiatrico giudiziario. In tali sezioni la contenzione a mezzo di manette, la sedazione non consensuale con iniezioni di psicofarmaci, la rimozione degli oggetti personali e di abiti, lenzuola e coperte "a scopo precauzionale" sono comuni ed "automatiche", e anche quando sono iniziative autonome degli agenti di Polizia Penitenziaria devono comunque essere confermate ed autorizzate in cartella clinica dal medico (quasi sempre uno psichiatra). La domanda immediata dovrebbe essere: perché allora non esistono denunce di pestaggi da parte del personale sanitario in primis? La risposta è duplice. Per la mia esperienza i medici penitenziari si dividono grossolanamente in due categorie. Alcuni, sia per convinzione, comodità o quieto vivere, assumono totalmente il ruolo dei garanti dell’ordine e nella pratica sono spesso quasi indistinguibili dagli agenti, se non perché rispetto a loro hanno più potere. Certamente non saranno loro a denunciare i pestaggi. Altri, la minoranza, pur riconoscendo la realtà della sistematica violenza di Stato, arrivano comunque presto a considerarla la "tragica quotidianità" con cui devono avere a che fare, che disapprovano con lo scuotere la testa ma che "bisogna accettare, questo posto è così". I pochi che condannano e tentano di denunciare sono voci sole facilmente zittite, anche con la perdita del posto di lavoro: un medico "disallineato" crea diseconomia nel sistema. Non lavoro più in carcere e la mia scelta, francamente in parte anche indotta, deriva dalla definitiva presa di coscienza di chi, dopo aver ingenuamente tentato di "fare bene il proprio lavoro perché meglio di niente", realizza irreversibilmente l’enormità dell’aberrante meccanismo cui deve sottostare, e come tale meccanismo gli impedirà sempre di ricoprire eticamente il proprio ruolo: perché gli impedisce di curare per prima cosa gli interessi del paziente che è sempre prima di tutto un detenuto; gli impedisce di tutelare la relazione medico-paziente e con essa la confidenzialità e la segretezza delle informazioni scambiate; gli impone, più o meno sottilmente, di assumere ruoli educativo-disciplinari che non devono competergli. Leggendo dei pestaggi nell’Opg di Montelupo tristemente non posso stupirmi, come non posso credere che infermieri e medici, psichiatri e non, ne fossero e ne siano all’oscuro. Come non potrò stupirmi se durante la sua visita a Montelupo, accompagnata dal signor Maurizio Parenti, nulla dovesse sembrare particolarmente fuori posto, se non, forse, qualche crepa nel muro. La ringrazio dello spazio concessomi.
Ilaria Bologna Lettera: un ergastolano, scrive al Presidente della Repubblica
Ristretti Orizzonti, 13 dicembre 2008
L’anno scorso 310 di noi ergastolani ci siamo rivolti a Lei, chiedendo di tramutare la nostra pena dell’ergastolo in condanna a morte. Si ricorda? La Sua risposta non è ancora arrivata. Nel frattempo però siamo rimasti in 303. Questo perché nell’attesa 7 di noi si sono tolti la vita per liberare se stessi e le proprie famiglie dal peso della condizione che viviamo. L’ultimo in tempo cronologico è stato il nostro compagno Giuseppe che si è tolto la vita nel carcere di San Gimignano (Fonte: "Liberazione" del 17.07.2008). A chi toccherà adesso? Potrebbe essere chiunque tra noi a decidere di non restare più in attesa di risposte che pare nessuno voglia fornirci. Ma sappiamo, abbiamo capito, che andarcene uno per uno non fa nemmeno rumore. Quindi ci siamo chiesti se non valesse la pena di concordare una data per impiccarci tutti assieme! Che ragione abbiamo per ostinarci, infatti, ancora a vivere senza speranza di futuro alcuno? Le chiediamo ora se dobbiamo continuare ad esistere perché su di noi si possa ancora fare speculazione politica, perché si sia utilizzati per ottenere consenso elettorale -attraverso il sottoporci a continue restrizioni nuove- oppure perché vivendo consentiamo al sottobosco politico di umiliarci, usandoci per accaparrarsi finanziamenti politici che poi sono utilizzati, loro solo sanno come - per attività interne agli istituti in vista di un reinserimento che per noi non è previsto? Infatti, che senso ha parlare di reinserimento, quando a noi non è permesso pensare di potersi liberare del passato? All’interno delle carceri andiamo a scuola e c’è insegnato che la Costituzione o si applica o non è in essere, ma allora com’è possibile che chi ha l’ergastolo ostativo viva al di fuori dei codici e della Costituzione? Ci siamo rivolti a Lei, per richiedere il ripristino della pena di morte perché già per effetto delle differenziazioni previste nell’art. 4-bis della legge 354 del 1975, per noi è stato annullato ogni diritto ed ogni uguaglianza di Giustizia. Una pena perpetua è già in sé una forma di tortura. Con l’aggiunta delle nuove differenziazioni, tutti noi ergastolani siamo destinati a vivere tutta la vita e morire in carcere. Non si può continuare ad utilizzare l’ergastolo come mezzo per mettere la propria coscienza al riparo dall’annullamento di una vita umana dato dalla pena capitale. L’ergastolo è morte lenta ed inesorabile, più disumano e crudele, che ha il solo vantaggio di preservare la società civile dal rendersi conto che sta uccidendo i rei. Ma la pena dell’ergastolo non si può per ragioni estetiche! Abbiamo bisogno, da Lei, di una risposta pubblica dato che quello che recita la Costituzione per noi dicono non vale. Se la Costituzione italiana a noi non si applica vogliamo sapere chi si soffermerà sulla nostra realtà che nonostante l’orgia di discorsi retorici diffusi in ogni dove nessuno in realtà sembra voler seriamente affrontare! Il detenuto per reato "associativo" apprende già al suo arresto che a lui non sarà concesso di essere considerato soggetto alla Costituzione e che non gli sarà riconosciuto un diritto al "diritto uguale per tutti", nonostante i devoti omaggi e l’incensamento. Si ritroverà quindi senza diritto alcuno e senza garanzie costituzionali e comprenderà come, di fatto, la pena di morte sia meno crudele dell’ergastolo. Ci sentiamo come esseri tenuti in una condizione che non è propriamente morte ma di certo non è vita, in nome della celebrazione di una "festa pubblica" sul tema del supplizio esemplare. Ma questo non attinge dalle stesse basse pulsioni e soprattutto non favorisce gli stessi calcoli di profitto personale e guadagno illecito che si riscontrano nella mente del criminale quando compie reati? Il perseguimento di questi interessi e il soddisfacimento di certe tendenze fobiche, attuate con la scusa di uno "stato di emergenza" persistente nel tempo ha portato, nella Repubblica di cui lei è Presidente, nell’arco di dieci anni il numero degli ergastolani a passare dalle poche centinaia ad una percentuale che non ha riscontro nemmeno nelle più lugubri dittature del pianeta. Ciò è potuto avvenire perché l’ergastolo è stato erogato anche in assenza di prove reali o per favoreggiamento come ben sanno gli addetti ai lavori. Su questi aspetti però nessuno riflette. Noi continuiamo a sperare che, almeno Lei, dall’alto della saggezza datole dall’essere un uomo di antica e specchiata cultura democratica e garantista, ci degni di una risposta politica. Una risposta che ci dica se possiamo continuare a sperare di poter contare su un fine pena stabilito e certo o se dobbiamo continuare a mettere fine alle nostre vite per nostro conto, come già sta avvenendo. Da Presidente della Repubblica sarà senz’altro stato informato che dal 2000 al 2007 nelle celle italiane sono morti 2.200 individui, 700 dei quali per suicidio o supposto tale.
Per i detenuti in lotta per l’abrogazione del fine pena mai Carmelo Musumeci, carcere di Spoleto Firenze: l'Asl chiede di bloccare invio di nuovi detenuti all’Opg
Regione Toscana, 13 dicembre 2008
L’Azienda sanitaria 11 di Empoli ha chiesto al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di bloccare l’invio di altri detenuti all’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo. Il direttore generale della Asl Eugenio Porfido ha inviato una lettera in cui si sottolineano la situazione di sovraffollamento della struttura e la precarietà delle condizioni igienico-sanitarie, fattori che rendono difficile, se non impossibile, il pieno svolgimento delle funzioni sanitarie, che sono ormai passate in carico al Servizio sanitario regionale. Attualmente l’Ospedale psichiatrico giudiziario ospita circa 190 detenuti-pazienti, mentre la capienza dei reparti è di circa la metà. Così in molte camere da quattro posti sono stati sistemati anche setto o otto letti, mentre camere singole sono state trasformate in camere doppie. Gli interventi di manutenzione previsti dal piano di riqualificazione del Ministero della giustizia, che erano iniziati con la ristrutturazione di un reparto, sono al momento interrotti. L’Azienda sanitaria si è mossa per affrontare la situazione, di concerto con il Comune di Montelupo, non appena ha preso in carico le funzioni sanitarie e il personale della struttura. È stato nominato un referente sanitario e creato un gruppo di lavoro interdisciplinare incaricato di individuare le azioni di miglioramento da mettere in atto subito. In particolare si sta procedendo alla revisione delle procedure per gli interventi di emergenza, per la tenuta della documentazione clinica e per la somministrazione delle terapie. Verrà anche messo a punto un programma di più lungo respiro, che consentirà di realizzare per ciascun detenuto un progetto terapeutico specifico fino, dove possibile, al reinserimento nella comunità. Il Dipartimento di prevenzione ha definito un nuovo programma di sorveglianza sulla preparazione degli alimenti, mentre l’Azienda ha programmato altre verifiche sugli aspetti legati all’ospitalità alberghiera. Si stanno definendo gli standard di personale per valutare la necessità di un potenziamento e si lavora anche per rivedere l’organizzazione delle attività e la distribuzione degli ospiti in aree omogenee rispetto alle caratteristiche delle varie patologie. Quello dell’Azienda, quindi, è un programma di intervento a tutto campo, che però può essere seriamente ostacolato dalle condizioni di sovraffollamento e strutturali in cui versa oggi l’Opg. Per lunedì è previsto un nuovo sopralluogo a cui parteciperanno i vertici della Asl e il sindaco di Montelupo. Roma: detenuto 88enne rinchiuso a Regina Coeli, rischia vita
Comunicato stampa, 13 dicembre 2008
Ad 88 anni, dopo averne passati già dieci in una cella per omicidio, aveva cominciato a chiamare "casa" il carcere di Rebibbia: poteva cucinare ogni sera la sua minestrina, passeggiava all’aria, parlava nei corridoi e frequentava i circoli. Trasferito per motivi sanitari al Centro Clinico di Regina Coeli il suo equilibrio psichico è crollato al punto da far temere per la sua stessa vita. Protagonista della vicenda - segnalata dal Garante regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni - un detenuto siciliano, l’ultra ottuagenario Antonino P. Antonino ha passato, per omicidio, gli ultimi 10 anni in una cella della Casa di Reclusione di Rebibbia dove, vista l’età avanzata, aveva una cella con il campanello e dove, negli anni, aveva socializzato con gli altri detenuti e con il personale che garantivano anche una certa forma di controllo sulla sua salute. Per questo Antonino aveva cominciato a chiamare la sua cella "casa". Pochi giorni fa, per effettuare dei controlli legati a problemi di salute, Antonino è stato prima ricoverato nella struttura protetta dell’ospedale "Sandro Pertini" quindi nel Centro Clinico di Regina Coeli. Ai collaboratori del Garante dei detenuti che lo hanno incontrato l’uomo, piangendo, ha raccontato di essere sconvolto perché non è più in grado né di camminare né di cucinare, avendo perso lo spazio della cella cui era abituato: "Non ho più amici, qui sono tutti malati. Così io muoio. Perché mi hanno trasferito? Perché non posso uscire all’aria?". Il Garante dei detenuti Angiolo Marroni ha interessato della vicenda i vertici del Provveditorato per l’Amministrazione Penitenziaria, considerando che l’eventuale uso di misure alternative alla detenzione trova un limite nella circostanza che tutti i parenti di Antonino risiedono all’estero, in Canada, e che solo una volta l’anno il figlio può venire in Italia a trovare il padre. "Io credo che quest’uomo, vista anche l’età, tutto rappresenti fuorché un pericolo per la società - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni. Stiamo verificando a che punto è la domanda di Grazia che Antonino dice di aver da tempo presentato. Intanto, visto che sembra improponibile l’estradizione in Canada per favorire il ricongiungimento con la famiglio, ho chiesto alle autorità di considerare almeno l’ipotesi di concedergli la possibilità di ricovero in strutture sanitarie accreditate, come già accaduto in passato per altri detenuti anziani in quelle condizioni". Catanzaro: detenuti minori Ipm; concluso corso per pizzaiolo
Asca, 13 dicembre 2008
Nell’Istituto Penale per i Minorenni "Silvio Paternostro" di Catanzaro, si è concluso il corso per pizzaiolo, finanziato dalla Camera di Commercio di Catanzaro e gestito dalla Cicas, presieduta Giorgio Ventura. Le attività formative, come per la precedente edizione, sono state affidate al maestro pizzaiolo Salvatore Megna, punto di riferimento, anche sul piano umano, per i giovani detenuti. Attraverso tale iniziativa, la terza finanziata dall’ente camerale nell’ultimo anno, il Presidente della Camera di Commercio di Catanzaro, Paolo Abramo, e il Direttore dell’Istituto, Francesco Pellegrino, puntano a potenziare la qualificazione professionale degli ospiti del Paternostro, propedeutica per il loro successivo reinserimento socio-lavorativo. "Abbiamo posto un primo piccolo mattone affinché possiate costruirvi sopra il vostro futuro", è stato il commento di Paolo Abramo rivolgendosi ai giovani ospiti della struttura. Francesco Pellegrino, direttore dell’Ipm, ha ringraziato il Presidente della Camera di Commercio "per la continua attenzione manifestata nei confronti dei ragazzi", mentre Angelo Meli, Direttore del Centro per la giustizia minorile per la Calabria e Basilicata, ha sottolineato come "nel complesso e difficile lavoro quotidiano svolto da tutti, diventa determinante e fondamentale la sinergia con gli enti istituzionali presenti sul territorio, e l’attività che si è portata a conclusione, ne è la fattiva e concreta dimostrazione". Durante la manifestazione di chiusura dell’attività formativa, il Presidente Paolo Abramo ha consegnato gli attestati formativi ai giovani detenuti dell’Ipm che hanno frequentato il corso. Milano: Opera; si allevano quaglie e si coltivano patate andine
Redattore Sociale - Dire, 13 dicembre 2008
La fattoria di Al Cappone del carcere di Opera presenta "Lilla in opera", una patata andina che i detenuti stanno incrociando con altre varietà per migliorarla, dal punto di vista nutrizionale, rispetto al seme originario La fattoria di Al Cappone del carcere di Opera presenta "Lilla in opera": una patata andina che i detenuti stanno incrociando con altre varietà per migliorarla, dal punto di vista nutrizionale, rispetto al seme originario: la cilena "papa morada". "È un tubero piccolo, scuro e bitorzoluto dalla pasta viola. Ma è molto buona - spiega Emilia Patruno, presidente della fattoria -. Niente Ogm però, la selezione avviene con tecniche tradizionali, mendelsoniane". Il risultato finale dovrebbe essere un tubero di colore diverso, meno viola e più tendente al lilla, dalle forme più gradevoli e regolari: la "Lilla in opera", per la quale verrà richiesto il brevetto al Cnr. Anche in vista dell’appuntamento con l’Expo 2015, che ha fatto della sicurezza alimentare il proprio leit-motiv. "I dieci detenuti impegnati nelle serre del carcere di Opera sono già al lavoro su questo progetto - continua Emilia Patruno -. Per loro è una grande soddisfazione creare qualcosa che prima non c’era". La fattoria di Al Cappone non è nuova alle sfide: da luglio infatti ha preso il via un allevamento di quaglie, le cui uova vengono commercializzate negli ipermercati Coop. Il progetto "Lilla in opera" verrà presentato domani nell’ambito del convegno "La sicurezza alimentare/Alimentare la sicurezza", in programma per domani, alle 10, presso la biblioteca agenti della casa di reclusione di Milano-Opera (via Camporgnago, 40). Padova: i Blues Brothers in carcere, un concerto per detenuti
Padova News, 13 dicembre 2008
A volte ritornano. In questo caso sono stati due rappresentanti dei Blues Brothers, il mitico film di John Landis, Lou Marini, il sassofonista a lungo con Frank Zappa e Aretha Franklin e il trombettista Alan "Fabulous" Rubin, a rivivere la scena finale ambientata nel penitenziario di Chicago. Il concerto si è tenuto nella casa di reclusione "Due Palazzi" di Padova nel pomeriggio di oggi, davanti a un pubblico di "colleghi" detenuti. Una giornata di musica difficile da dimenticare, nata dall’iniziativa di Federico Pertile, rocker padovano, amico personale di Blue Lou oltre che promoter della band. Non è stato solo un momento di puro divertimento, ma anche l’occasione per una riflessione di più ampio respiro sul mondo del carcere italiano. Questo è il terzo anno infatti che il consorzio Rebus, organizzatore del concerto, propone un evento in carcere collegato alla quasi contemporanea padovana Cena di Santa Lucia in favore di iniziative di sviluppo in tutto il mondo a cura della Fondazione Avsi. A tutti gli effetti si può considerare un contributo attivo alla Cena, tanto più che quest’anno un ventina di detenuti regolarmente autorizzati sono usciti dal carcere come volontari per offrire il proprio aiuto alla buona riuscita della serata, chi a servire in sala, chi a preparare in cucina. Due anni fa fu Maria Grazia Cucinotta a varcare per la prima volta la soglia di un penitenziario. L’anno scorso il "gastronauta" Davide Paolini benedì i panettoni artigianali realizzati dietro le sbarre dal consorzio, accompagnato dall’allora capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Ettore Ferrara. In apertura dell’evento Nicola Boscoletto, presidente del consorzio, ha ricordato alcune cifre dal retrogusto amaro. Su 58mila detenuti nei 205 carceri italiani, ha ricordato, lavorano all’interno delle carceri in 12.380. Neanche pochissimi, verrebbe da dire. Ma c’è un ma. "Questi lavori", spiega il presidente, "non vanno ad incidere minimamente sul recupero, cioè sull’abbattimento della recidiva. Anzi sono diseducativi, un sussidio assistenzialistico, un diritto acquisito in cui il detenuto non impara nessun lavoro". Il lavoro, quello vero, quello che diventa talento da spendere anche "fuori", è con le cooperative. E qui si parla di 747 assunti. Su 58mila. "Sono gli unici lavori veri che seguono le regole del mercato del lavoro, dove si imparano metodo, regole da rispettare, quantità da produrre e qualità da raggiungere, dove sicurezza sul lavoro, legge 626, norme igienico sanitarie non sono nomi scritti sulla carta". Ecco perché tra questi lavoratori torna a delinquere solo l’uno per cento, mentre chi lavora alle dipendenze del carcere nove volte su dieci prima o poi torna dietro le sbarre. "Costando alla comunità", è il nota bene di Boscoletto, "120mila euro all’anno: un disabile grave seguito in una struttura residenziale ne costa 58mila. Cosa diremmo se il 90 per cento di chi entra in ospedale uscisse ammalato?" Non mancano però piccoli segni di speranza. E qui anche il Consorzio cerca di fare la sua parte, con i dati sul 2008: 71 detenuti coinvolti in attività formative (cucina, pasticceria e giardinaggio), 97 detenuti occupati, tutti formati sulla normativa vigente in materia di salute e sicurezza sul lavoro. "Nel 2008 abbiamo sottoposto a sorveglianza sanitaria 55 detenuti", spiega Boscoletto, "e ai costi della sorveglianza sanitaria si sommano quelli per la sicurezza negli ambienti di lavoro". Ciò nonostante solo nel 2008 ci sono stati 20 nuovi inserimenti lavorativi intramurari e ben 18 detenuti in misura alternativa all’esterno. Non sempre è tutto facile. Quest’anno ad esempio si è dovuto chiudere con l’attività "storica" di lavorazione dei manichini, prima ad entrare in carcere. In compenso molte le novità. La pasticceria va fortissimo: 30mila panettoni contro 13mila del 2007 ed è stato lanciato quello da 5 kg in tiratura limitata e seriata con una raffinata cappelliera giottesca. In più il call center funziona ed è partita una collaborazione con Info Camere per la lavorazione delle "drive pen" con firma digitale. Nuova anche la lavorazione di ruote in gomma (dal semplice carrello al letto d’ospedale). Infine, per questo periodo natalizio, la novità dei presepi, un dono del maestro d’arte Angelo Donati, che ha voluto regalare due delle sue preziose creazioni per portare la gioia di Gesù che viene anche in carcere. Terminato il consuntivo - tutt’altro però che uno sterile elenco di cifre - tutta la scena è stata per loro, Blue Lou e Fabulous, freschi dell’ultimo album Ò soul mio (Edel), realizzato insieme ad altri grandi bluesman americani e alla Blues People Band, gruppo milanese di ryhtnm’n’blues in azione dai primi anni Novanta condotto da Carlo Fumagalli. Si parte con i grandi classici, giusto per scaldare un pubblico tutt’altro che insensibile: Knock on Wood, Minnie the Moocher, Everybody Needs Somebody to Love, Gimme Some Lovin. Giacca, cravatta, pantaloni e cappello neri, camicia bianca: sono loro, Jake ed Elwood? Solo come nomi d’arte. In realtà si chiamano Carlo Fumagalli e Marco Ricotti, però arrangiamenti, swing, mimica sono gli stessi, assecondati da una band di venti elementi tra cui ben sei i fiati, più Blue Lou e Fabulous. Originalissima e molto apprezzata dal pubblico anche la formula dell’ultimo album: il blues come chiave per rivisitare i canti popolari italiani. È Blue Lou stesso ad aver riscritto con un tantino di vena iconoclasta pezzi nati molto lontano dal Mississippi quali O surdato nnammurato e La società dei magnaccioni, fino ad un impensabile O mia bela madunina rivisitati in chiave che più "nera" non si può. Poi però si torna all’ortodossia soul, e non ce n’è più per nessuno: Shake Your Tailfeather, Flip Flop & Fly, Soul Man e Jailhouse Rock sono i classici accolti con grande calore dal pubblico, fino al trionfo finale del bis di Everybody Needs Somebody to Love. In serata poi Blue Lou, Fabulous & si sono trasferiti al Centro congressi Padova "Papa Luciani" per la Cena di Santa Lucia assieme ai detenuti volontari. Lamezia: note di tango arrivano anche fra le mura del carcere
Quotidiano di Calabria, 13 dicembre 2008
Emozionante sentire vibrare le note di un lento e romantico tango tra le strette mura di un carcere. La musica è miracolosa, tocca le corde del cuore, ed è stato sicuramente questo l’obiettivo del concerto del gruppo "Non solo tango", che si è tenuto ieri nella casa circondariale col patrocinio della Provincia e del Comune. In un freddo e piovoso pomeriggio di inverno di un ormai vicino Natale, quando la nostalgia degli affetti si fa sentire più forte, ascoltare della buona musica, tanta del celebre Astor Piazzolla, può servire almeno un po’ ad alleggerire l’animo e far sognare della vita che è fuori di quel portone di ferro che si è chiuso dietro le spalle di chi ha varcato la soglia della prigione. Bello sentire gli applausi calorosi di questa gente alla fine di ogni esecuzione. Gente che porta sul volto e negli occhi i segni dei propri sbagli. Tanti i giovani, forse troppi, che scontano lì dentro l’aver fatto scelte errate ed essersi negati il bene più grande, la libertà. Il carcere non è solo il posto dove chi ha commesso un reato sconta giustamente la propria pena, è anche un luogo dove tocchi con mano l’umanità, il dolore di chi ha sbagliato, magari capito, e vive consapevolmente la negazione e le privazioni che il regime carcerario prevede, pronto a pagare il prezzo per poter ritornare nella comunità. Presente il presidente della provincia, Wanda Ferro, che ha dichiarato: "Questa è una giornata di solidarietà dove la musica, che unisce tutti, ci permette di sentirci più utili alla società. Sono dell’avviso che si tratti di un’esperienza importante e che le pubbliche amministrazioni dovrebbero sempre incentivare iniziative di questo tipo che fanno sperare nella certezza del recupero". Il presidente della provincia ha lodato il direttore della casa circondariale di Lamezia, Caterina Arrotta, per il lavoro svolto in questa struttura che accoglie sessanta detenuti. Ha quindi parlato dell’importanza di un lavoro sinergico tra le istituzioni per il "reinserimento sociale dei detenuti una volta usciti dalle prigioni". Soddisfatto dell’evento anche il sindaco Gianni Speranza che ha commentato positivamente tutte quelle esperienze che "collegano le carceri alla comunità. Il periodo delle festività è quello in cui più forte si avverte il peso dei ricordi trovo quindi giusto che si prevedano appuntamenti di questo genere. Abbiamo bisogno che ci sia una gestione rigorosa, ma soprattutto che dentro questi luoghi non si stabiliscano le gerarchie della delinquenza e ci si possa aprire davvero al cambiamento. Rientrano in questo ambito tutti quei progetti, come l’alfabetizzazione dei detenuti o l’arricchimento delle biblioteche, che rendono più umani questi posti difficili e migliorano la funzione educativa. Arrotta ha informato che ci saranno altri due concerti, uno domani e un altro per l’Epifania, organizzati e voluti dall’amministrazione comunale con l’intenzione di allietare in qualche modo il Natale anche per chi si trova a scontare una pena. Il direttore del carcere ha anche parlato della possibilità di fare di più, specie per portare la cultura dentro questi luoghi angusti. Bollate: Telefono Azzurro; un concerto avvicina i padri e i figli di Carmen Morrone
Vita, 13 dicembre 2008
L’iniziativa a cura di Telefono Azzurro, di alcuni Artisti dell’Orchestra e del Coro del Teatro alla Scala. Telefono Azzurro, che da anni è impegnato nel recupero degli affetti famigliari tra i bambini e i papà detenuti, grazie alla generosa iniziativa di alcuni Artisti dell’Orchestra e del Coro del Teatro alla Scala, organizza un concerto presso la II Casa di Reclusione di Milano-Bollate. Sensibili alle problematiche che riguardano l’infanzia in difficoltà, essi mettono a disposizione la loro arte per regalare ad un pubblico davvero speciale un’occasione di gioia, con l’esecuzione di musiche e testi appositamente scelti. Lucia Castellano, direttrice del Carcere di Bollate, ha accolto con entusiasmo questa iniziativa perché offre sia ai bambini che ai genitori una splendida occasione di vivere una giornata di gioiosa normalità. Gli Agenti di Polizia Penitenziaria e lo staff dell’Area Educativa dal canto loro, si stanno prodigando per la buona riuscita di un evento così inusuale. In programma musiche di Mozart e brani dai film di Walt Disney. In concerto: Silvia Chiminelli, Anna Maria Di Micco, Sandro Laffranchini, Rossella Lampo, Catia Fanny Magnani, Nicola Meneghetti, Andrea Pecolo, Giovanna Pinardi, Claudio Pinferetti, Klaidi Sahatci, Paolo Sala, Luciano Sangalli, Olga Semenova, Marcello Sirotti, Alexia Tiberghien. La durata totale del concerto sarà di circa un’ora. Perugia: bloccato "L’ultima città", il film con Amanda attrice
Il Gazzettino, 13 dicembre 2008
Imputata per l’omicidio di Meredith Kercher Amanda Knox è ora protagonista, insieme ad altre 11 detenute, del film "L’ultima città" girato nel carcere di Perugia dove è rinchiusa da oltre un anno. "Attrice magnetica" definisce la giovane americana chi ha visto il video, che però non verrà proposto in pubblico per decisione della Regione, finanziatrice del progetto, ma che ha già provocato diverse polemiche. A intervenire in particolare i parlamentari del Pdl. L’on. Pietro Laffranco ha parlato di vicenda "assolutamente grave", annunciando una interrogazione urgente al ministero della Giustizia per fare chiarezza su quanto successo. Secondo il sen. Franco Asciutti "appare quanto meno inopportuna la partecipazione della Knox al film", ricordando tra l’altro "tutto quello che è stato e ha comportato l’omicidio Kercher per Perugia". "È indubbio - ha sostenuto la sen. Laura Allegrini - che anche i laboratori cinematografici possano rappresentare un valido supporto ai piani di reinserimento elaborati dai penitenziari. In questo caso, però, ci sono elementi particolarmente allarmanti perché dalla morte della Kercher non si è persa occasione per spettacolarizzare un evento che, invece, dovrebbe far riflettere per l’efferatezza e la spietatezza con cui è stato consumato". Il film doveva essere proposto domenica a Perugia per il Batik festival ma la Regione, proprietaria di tutto il materiale audiovisivo, non ha autorizzato la proiezione "condividendo l’opportuna prudenza dell’amministrazione penitenziaria" e per evitare qualsiasi strumentalizzazione. Ha inoltre diffidato chiunque sia in possesso dell’originale, di copie, o semplici fotogrammi, da qualsiasi utilizzo. La Regione ha comunque sottolineato che il progetto nel carcere di Perugia è partito nel giugno 2007, prima cioè dell’omicidio Kercher, ricordando poi che iniziative di reinserimento sociale sono in corso dal 2003 in tutte le case di reclusioni umbre. Per gli organizzatori di Batk, invece, "L’ultima città" deve tornare in programmazione "per eliminare ogni possibile speculazione". Ma anche la stessa Knox avrebbe auspicato che il film possa essere proiettato. Il lungometraggio propone un viaggio fantastico che prende spunto da una voglia di fuga e nel quale le protagoniste approdano in sette città immaginarie. La giovane americana recita in italiano e in inglese pezzi dell’Amleto ma anche di altri autori. Il direttore del Batik, Alessandro Riccini Ricci, uno di quelli che ha visto il filmato parla della Knox come di una "attrice magnetica, con una personalità che spicca e una forte presenza scenica". Il regista del film, Claudio Carini, ha detto di avere ricevuto diverse mail di insulti. "Non capisco proprio però perché dovevamo escluderla" ha quindi affermato riferendosi ad Amanda. Libri: Scarceranda; anche quest’anno agenda nata in carcere di Daniele Biella
Vita, 13 dicembre 2008
Da sei anni un gruppo di detenuti della casa circondariale di Monza confeziona la pratica e tascabile agenda. La novità di quest’anno? "Imparare l’originalissimo gergo dei carcerati" È arrivata. Anche per quest’anno, il sesto consecutivo, i detenuti del carcere di Monza ce l’hanno fatta a mettere sul mercato natalizio Scarceranda 2009, l’unica agenda ideata e creata dalla prima all’ultima pagina dentro le quattro mura di un istituto di pena. "Tra tante difficoltà, ma alla fine ce la facciamo sempre", spiega a Vita Stefano Radaelli, 44 anni, volontario da otto anni nel carcere monzese e presidente della cooperativa sociale Teseo, per la quale lavorano i cinque detenuti che ogni anno si occupano della creazione di Scarceranda, che nasce nel laboratorio produttivo della Casa Circondariale. "La valenza dell’agenda è tripla: le persone recluse imparano un mestiere, si producono un reddito e, dal punto di vista pedagogico, riescono a parlare del mondo del carcere in un modo diverso dal solito, riuscendo a comunicare direttamente con chi sta fuori". Sì, perché ogni edizione di Scarceranda, nelle sue pagine, contiene molti richiami alla vita "dentro". In particolare, quella del 2009 contiene un variegato glossario di tutti i modi di dire che usano i carcerati nella loro quotidianità. "È un linguaggio simpatico, che fa pensare, e avvicina solidalmente chi legge alla dura condizione del detenuto". Un gergo tutto da scoprire, presente in entrambe le versioni di Scarceranda 2009: quella tascabile (10x15cm, costo 10 Euro) e quella più grande (16x24cm, 14 Euro). "Un Euro per ogni copia venduta va a sostenere i progetti di inserimento socio-lavorativo dei detenuti del carcere di Antsirabe, in Madagascar", aggiunge Radaelli, "in quel luogo le condizioni igienico-sanitarie sono spaventose e ci sono alcuni volontari, tra cui un gruppo di suore italiane, che fanno quello che possono per migliorare la situazione". Dove si trova l’agenda con il caratteristico logo della mela bacata e il bruco che esce sorridente? "Le 4mila copie stampate finora si possono trovare nel circuito delle botteghe solidali, in alcuni punti vendita Feltrinelli di Milano elencati sul sito web ufficiale, oppure si può ordinare direttamente dallo stesso sito: www.scarceranda.135.it". Alla realizzazione dell’agenda, oltre ai dipendenti della coop Teseo che lavorano da dentro il carcere di Monza, contribuiscono anche altre cooperative sociali della zona ma non solo: "La Gramma di Milano e la Meridiana 2 di Mezzago (Mi), che hanno nel loro organico ex detenuti, per la diffusione, Lutopia di Gioiosa Ionica per la parte web, ed Ecolab di Milano per le sovracopertine in pelle, disponibili quest’anno per un numero limitato di agende ma che saranno completamente disponibili per Scarceranda 2010". Tibet: la Cina respinge accuse di uso della tortura sui detenuti
Ansa, 13 dicembre 2008
La Cina è contraria all’uso della tortura e "nutre dei dubbi" sul rapporto diffuso ieri da un gruppo umanitario, secondo il quale per i detenuti tibetani le torture sono "regolari e di routine", mentre "le misure legali tese ad impedirle vengono ignorate". "Abbiamo notato questo rapporto - ha detto il portavoce del ministero degli Esteri cinese Liu Jianchao in una conferenza stampa a Pechino - e pensiamo che la tortura sia una violazione dei diritti umani". "Non sono molto sicuro di questo gruppo e non so quali prove hanno presentato per accusare la Cina di torture in Tibet. Se ci sono le prove, siamo pronti ad indagare sui dettagli. Ma se non ce ne sono, non possiamo accettare queste critiche senza sostanza", ha aggiunto il portavoce. Nel rapporto, diffuso attraverso il suo sito web, la Free Tibet Campaign cita una serie di testimonianze di ex-detenuti. Secondo i testimoni citati nel rapporto "anche dopo essere stati rilasciati (i detenuti) possono morire a causa delle ferite, essere rovinati mentalmente o fisicamente per il resto della loro vita". Nonostante le affermazioni del governo cinese, secondo il quale ci sono "pochissimi casi di tortura", le prove raccontano un’altra storia, ha affermato Stephanie Brigden, direttrice del gruppo. Stati Uniti: detenuti Guantanamo trasferiti in carceri Europa
Ansa, 13 dicembre 2008
Gli Stati Uniti stanno facendo pressioni sugli alleati europei affinché li aiutino a trovare una sistemazione gli ex detenuti di Guantanamo. Chiudere la prigione per "nemici combattenti" nella base americana a Cuba è una delle priorità di Barack Obama, ma il problema rimane dove sistemare i detenuti che non possono essere rimpatriati. Secondo il Times, più di un quinto dei 250 prigionieri di Guantanamo provengono da Paesi che, in caso di rimpatrio, non garantirebbero il rispetto dei diritti fondamentali (come Cina, Libia, Russia, Tunisia o Uzbechistan). John Bellinger, consigliere legale numero uno del segretario di Stato, Condoleezza Rice, ha confermato che Washington sta cercando l’aiuto degli alleati europei per sistemare quei detenuti non pericolosi che non possono essere rimpatriati. L’Albania ha accolto un gruppo di uiguri (separatisti islamici originari della Cina occidentale), il Portogallo ha annunciato di essere pronto ad accoglierne altri. Come si comporteranno gli altri alleati Usa, compresa l’Italia? "Un funzionario di alto livello del dipartimento di Stato - si legge nell’articolo del Times - ha spiegato che finora la Gran Bretagna e la maggior parte dei membri dell’Unione europea si sono rifiutati". Ma Washington sembra determinata, almeno ad ascoltare le parole di Bellinger: "Non ci aiutano quei Paesi che continuano a chiedere la chiusura di Guantanamo e non fanno nulla per metterci in grado di farlo". Secondo fonti del dipartimento di Stato, sulla chiusura di Guantanamo la discussione tra il ministero e la squadra di transizione di Obama è già avviata e il presidente eletto si sta "preparando a storcere qualche braccio nelle capitali europee".
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