Rassegna stampa 12 dicembre

 

Giustizia: Borzone (Ucpi); forse per riforma è la volta buona

di Dimitri Buffa

 

L’Opinione, 12 dicembre 2008

 

"Fusse che fusse la volta buona?" Che si separano le carriere dei pm e dei giudici? Che si rimette mano alla Costituzione sull’ipocrita concetto della obbligatorietà dell’azione penale? E persino che si rifaccia una legge che metta in capo al singolo e non alla collettività la responsabilità civile del magistrato per l’errore giudiziario? Inutile dirlo, gli avvocati penalisti dell’Unione delle camere penali ci sperano davvero che dopo gli annunci di Berlusconi dell’altro giorno arrivino pure i fatti. E sono pronti, come racconta a "l’Opinione" il segretario dell’Ucpi Renato Borzone, a fare la loro parte a fianco del ministro Angelino Alfano.

 

Separazione delle carriere, modifiche alla Costituzione per l’obbligatorietà dell’azione penale forse anche ripristino di una vera responsabilità civile personale per il magistrato che si macchi di una colpa grave. Avvocato Borzone secondo lei il governo fa finalmente sul serio?

Se il governo faccia sul serio è, in effetti, il vero problema. Sembra di si, da un lato ma, d’altra parte, è dal luglio scorso che si susseguono annunci, impegni e promesse. I penalisti italiani credono che la fase degli annunci sia stata importante, ma ora si deve passare a quella dei fatti. E su questo l’avvocatura penale terrà alta la guardia, poiché troppe volte in passato le promesse sono state tradite. Ora sembra davvero che si vada nella giusta direzione, ma appunto, occorre che si passi ad impegni concreti: un testo sul quale discutere, magari anche quello delle camere penali, già predisposto da tempo.

 

L’Ucpi che posizione prenderà viste le possibili chiusure a riccio dell’Anm e dei partiti che la appoggiano come Di Pietro e parte del Pd?

L’Ucpi, da sempre trasversale a tutte le forze politiche, appoggerà chi davvero si muoverà nella giusta direzione di una complessiva riforma dai tratti liberali e democratici che chiede da oltre trent’anni (carriere separate realmente; doppio Csm; azione penale; ridimensionamento dei magistrati fuori ruolo). E non accetterà compromessi al ribasso.

 

Avete avuto incontri con Alfano su queste possibili riforme costituzionali?

Certamente. La disponibilità all’ascolto del Ministro è stata lodevole. E abbiamo capito che esiste una buona sintonia su questi punti (anche se ci sono dissensi sull’abbassamento della soglia delle garanzie difensive nei decreti sicurezza). Ci fidiamo del Ministro, fino a prova contraria, perché mostra di capire i problemi.

 

Cosa pensate dello scontro in atto tra magistrati di Catanzaro e Salerno?

Pensiamo che non sia strumentale affermare che dà un segnale impressionante della devastazione del sistema. E che non sia questione da risolvere a tarallucci e vino, poiché fornisce l’evidenza della necessità della riforma complessiva che chiede l’Ucpi.

Qualcuno, superficialmente, ritiene che non vi sia collegamento con le riforme richieste: costoro trascurano che questa situazione - comunque da chiarire nel merito - rappresenta il frutto avvelenato del ruolo anomalo assunto dalla magistratura in Italia, che è anche la conseguenza di un assetto ordinamentale risalente di fatto al fascismo.

 

E dell’empasse sulla riforma della giustizia dovuto al conservatorismo di certi politici come Lanfranco Tenaglia?

Purtroppo non è solo Tenaglia: larga parte dell’opposizione mostra di non comprendere la valenza liberale della riforma, preferendo la dietrologia sul perché venga proposta. Si parla di riforma autoritaria e si dimentica che si sta difendendo, appunto, un assetto autoritario già esistente. Si paventa il pm superpoliziotto ma poi Violante descrive i pm attuali come superpoliziotti...

 

Perché certi magistrati e certi politici trovano così scandaloso che accusa e difesa stiano sullo stesso piano e che il giudice sia terzo?

Direi per limiti culturali e, talvolta, per mantenere poteri anomali o per ragioni di bassa cucina politica

 

Sarà la volta buona?

Appunto, lo vedremo. Noi siamo pronti alle tradizionali battaglie dell’avvocatura anche di sostegno ai cambiamenti, anche perché la riforma non è per noi ma per tutti i cittadini. Stavolta non ci possono essere alibi

 

Si sente parlare ossessivamente di certezza della pena e di nuove carceri, non sarebbe invece meglio una depenalizzazione dei reati meno gravi e un uso dei lavori socialmente utili?

Di cose da fare ce ne sono molte, nel rispetto dell’articolo 27 della Costituzione. È giusto chiedere la certezza della pena ma non per fare demagogia ed usare questo slogan, come fa ad esempio l’Anm, per cambiare tutto senza nulla modificare.

Giustizia: 12 dicembre in piazza, per lavoro e difesa dei diritti

 

Comunicato stampa, 12 dicembre 2008

 

Sono passati sessanta anni dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. L’Italia è sia nella pratica che nelle forme gravemente inadempiente. Il governo vuole invece approvare nuove norme punitive e razziste contro gli immigrati. Sindaci di destra e sindaci di sinistra hanno emanato ordinanze contro i poveri, i mendicanti, gli stranieri. Oggi tocca agli emarginati, domani agli oppositori. Siamo in un momento storico dove imperano il razzismo istituzionale e il qualunquismo securitario. La giustizia è oramai ridotta a giustizia di classe che criminalizza immigrati e tossicodipendenti. La tortura non è ancora reato. Eppure può capitare che si pratichi la tortura. Saremo in piazza il 12 dicembre per le ragioni del lavoro e per la difesa dei diritti umani. Chiediamo alla Cgil di essere alla testa dell’antica battaglia per il pane e le rose.

Aderiscono: Stefano Anastasia, Franco Corleone, Cecilia D’Elia, Patrizio Gonnella, Alessandro Margara, Luigi Nieri, Sergio Segio, Grazia Zuffa

Giustizia: Uil; rischio di smembramento per giustizia minorile

 

Agi, 12 dicembre 2008

 

"La proposta di riorganizzazione del ministero della Giustizia che ci avete presentato di fatto smembra il Dipartimento della Giustizia Minorile, relegandolo a mero Ufficio dell’Esecuzione Penale". Con queste parole, il segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, ha consegnato il parere negativo sulla bozza di dpr afferente alla riorganizzazione del dicastero di via Arenula, oggetto di un confronto nella tarda mattinata tra i sindacati e il sottosegretario Giacomo Caliendo.

La Uil ha ricordato come nel 2001 il dipartimento della Giustizia Minorile fosse stato istituito per rispondere all’allarme sociale generato dall’escalation della devianza minorile. "La Giustizia Minorile - ha sottolineato il sindacato - non assolve solo a compiti di esecuzione penale, ma ha il precipuo mandato di interfacciarsi con Enti ed istituzioni per concretare la necessaria prevenzione attraverso progetti e accordi decentrati e territoriali. Con la vostra proposta avete abolito quella specificità di cui il Paese, ma il sistema sicurezza, ha assoluta necessità. Lo spacchettamento della Giustizia Minorile in quattro Direzioni Generali disomogenee e collocate in vari Dipartimenti segna la fine di un disegno di altissimo contenuto sociale e civile".

La Uil Penitenziari ha, quindi, chiesto al sottosegretario Caliendo di rivedere la proposta: "noi vi chiediamo - ha detto Sarno - di rivedere i vostri propositi, anzi vi chiediamo di dotare di nuove e concrete risorse il Dipartimento. La sua estinzione, nelle attuali condizioni, è un prezzo che non si può pagare. Vi assumete la responsabilità di indebolire la sicurezza del Paese quando invece il ministro Alfano continua a ripetere che sta per essere varato il più grande pacchetto di norme sulla sicurezza. Forse dovreste parlarvi meglio. In ogni caso - ha concluso Sarno - se le ragioni di tale intendimento, come ci avete detto, sono da riferirsi a carattere economico la Uil vi chiede di sopprimere formalmente il dipartimento, perché nelle condizioni in cui prevedete di ridurlo è di fatto estinto".

Giustizia: 21 mila i detenuti stranieri; meno reati degli italiani

 

Redattore Sociale, 12 dicembre 2008

 

Quasi 21 mila (1.077 donne) i detenuti stranieri e hanno commesso meno reati degli italiani: una media di 2,1 a testa contro i 3,7 imputati agli italiani. Prevalgono reati collegati al traffico di droga e contro la persona.

Sono quasi 21 mila, di cui 1.077 donne, i detenuti stranieri che, al 1° luglio 2008, erano rinchiusi in carcere, a fronte di circa 34 mila italiani. Secondo una elaborazione dell’Ismu la media di reati commessi dai cittadini stranieri è più bassa di quella dei nostri connazionali: da una parte una media di 2,1 reati a testa, dall’altra 3,7 reati a testa.

Rispetto agli italiani, i detenuti stranieri hanno quote maggiori di imputazioni per droga (26% dei casi contro il 12% dei carcerati autoctoni) e per i reati contro la persona (19% dei casi contro il 15% di italiani). Il 5% degli immigrati detenuti si trova dietro le sbarre per infrazione delle leggi sugli stranieri. Praticamente inesistente l’incidenza dell’associazione mafiosa (che riguarda invece il 4% dei detenuti italiani) e pochissime le incarcerazioni per violazione delle leggi sulle armi (4% del totale contro il 18% degli italiani).

Giustizia: Lina Merlin è una fata e Mara Carfagna una strega

di Luigi Nieri

 

www.linkontro.info, 12 dicembre 2008

 

Contro ogni stereotipo estetico direi che Lina Merlin era una fata e Mara Carfagna è una strega. Il 10 giugno del 1948 Angelina Merlin fu la prima donna parlamentare a pronunciare un discorso pubblico in Senato. Il testo dell’interrogazione presentata era il seguente: Lina Merlin si dichiarava "insoddisfatta della risposta data dall’onorevole Sottosegretario, perché egli dà una versione - e non poteva essere altrimenti - ricavata da informazione della Polizia, redatta secondo la mentalità propria di tutte le polizie".

E poi proseguiva: "Onorevole Marazza, la prego di ascoltare ora la versione che mi è stata riferita dai cittadini presenti al fatto. I braccianti del Polesine erano in sciopero da 15 giorni; la mattina del 21 maggio il signor Pederzini, fattore, di una tenuta di circa mille campi, di proprietà del conte Spalletti di Firenze, aveva invitato per mezzo di un suo salariato i contadini dipendenti a buttare acqua sulle polpe per dare il pasto al bestiame, - questa era l’operazione necessaria - promettendo che si sarebbe recato a firmare l’accordo.

I contadini fecero l’operazione preliminare, ma il Pederzini arrivò solo a mezzogiorno, dicendo che per la firma dell’accordo bisognava aspettare. I contadini attesero ma alla 5 del pomeriggio, anziché il Pederzini con la firma dell’accordo arrivò la Celere. Intanto era sopravvenuto il segretario della Federterra, il quale si è rivolto alla polizia e ha chiesto ragione del suo intervento non necessario, poiché tutto era tranquillo.

Il brigadiere della polizia rispose: "In Italia esiste il diritto di sciopero, ma esiste anche il diritto di lavoro. Voi volete impedire che sia dia il pasto al bestiame". Intanto era no sopravvenuti i carabinieri e la folla si era addensata. Forse fu l’addensarsi della folla che provocò uno stato di psicosi nella Polizia; si scatenò violenta e improvvisa la furia dei colpi da parte della polizia che usava gli sfollagente e il calcio dei mitra che colpiva le donne e i fanciulli presenti. Allora un partigiano di Trecento, un certo Bergamini Bruno, si è ribellato; fu afferrato, si divincolò, fu ripreso e picchiato insieme ai suoi familiari, fu arrestato e condotto in caserma. La folla, come ha detto lei, al centro del paese si era accumulata, protestava e dimostrava la sua simpatia verso il Bergamini.

Ad un tratto si udirono dei colpi. Testimoni oculari affermano che erano partiti dal camion della polizia. Fu quello il segnale per cui i carabinieri, che erano in un altro camion, con il motore voltato verso i molini Crivellari, spararono. Dei colpi, uno aveva preso il povero Evelino Tosarelli, la vittima. Un giovane di 24 anni che poco dopo spirava. La furia della polizia continuava; altri feriti caddero. In questo caso i contadini del Polesine esercitavano il diritto di sciopero, ma affermavano così un altro diritto, un diritto che è coevo all’uomo e che è antico quanto l’umanità, che è la più antica istituzione, il diritto alla vita, che per essi si è fatta disumana".

La Merlin era una fata. Ieri ricorreva il sessantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Lina Merlin parlava di diritto alla vita. Non lo faceva evocando la vita biologica di una persona ormai morta o di un embrione non ancora persona. Lo faceva parlando di donne e uomini in carne e ossa. Di carne erano fatte anche quelle donne che lei voleva sottrarre alla mercificazione dei corpi.

Di carne sono fatti quegli uomini e quelle donne che Mara Carfagna vuole mettere in carcere, portando il sovraffollamento penitenziario alla follia. La prostituzione - come quello delle droghe - è un tema affrontato con aggressione ideologica. Se invece ci fosse un sano pragmatismo si sceglierebbero soluzioni miti. Oggi invece assistiamo alla criminalizzazione di prostitute e clienti, tutti stigmatizzati nel nome della sicurezza.

Per quanto riguarda le soluzioni normative possibili ricordo un disegno di legge della tredicesima legislatura delle senatrici Salvato e Bruno Ganeri. Loro volevano riformare la legge Merlin del ‘58 con l’obiettivo di circoscrivere le fattispecie ordinarie di sfruttamento della prostituzione e depenalizzare compiutamente ogni condotta direttamente connessa all’esercizio della prostituzione.

Si pensi a quanto sarebbe importante giungere alla depenalizzazione del favoreggiamento o del libertinaggio. O si pensi a quanto sarebbe utile abrogare la norma che prevede la possibilità di procedere al fermo per il solo fatto che taluno eserciti la prostituzione. Questo disegno di legge era di dieci anni fa. Oggi purtroppo siamo al pensiero unico, quello ovvio, banale, massificato. Molti uomini pagano fior di quattrini per fare sesso. Nessuno di questi alza la voce contro le scelte illiberali presenti nel disegno di legge governativo targato Carfagna che vuole mettere in galera, seppur per pochi giorni, prostitute e clienti (e quindi forse anche loro stessi).

Giustizia: perché promuovere il poliziotto-picchiatore del G8?

di Peppino Caldarola

 

Il Riformista, 12 dicembre 2008

 

Una notizia buona e una cattiva. Riguardano la stessa persona. Si chiama Alessandro Perugini che era il numero 2 della Digos ligure sette anni fa durante i fatti del G8: questo signore è stato fotografato e immortalato in terribili immagini televisive mentre spaccava la faccia a calci a un povero ragazzo di quindici anni, Bruno Mattana. Il ragazzino fu poi arrestato, pestato e incarcerata sulla base di verbali contraffatti. Il signor Perugini è stato condannato a 2 anni e 3 mesi, con la pena non condonata. Aveva avuto un’altra condanna simile per Bolzaneto.

È una buona notizia perché ci dice che la giustizia, di rado ma talvolta accade, fa il suo corso. La notizia cattiva è che il signor Perugini, dopo l’ignobile pestaggio, è stato promosso vicequestore, primo dirigente e responsabile della sezione anti-crimine della Questura di Alessandria. All’epoca della promozione era solo indagato e lo spiacevole avanzamento di carriera può essere giustificato dal garantismo.

Ora c’è una sentenza, e il Perugini non dovrebbe essere più là dove è stato promosso. L’ho scritto tante volte che abbiamo i dirigenti di polizia, a cominciare dal capo, Antonio Manganelli, migliori del mondo. So che De Gennaro è un investigatore eccezionale e una persona perbene. Ma che senso ha far amministrare la legalità da un violento picchiatore che si è accanito su un ragazzino inerme di quindici anni. Non volete licenziarlo? Mettetelo in un ufficio lontano da bambini. Anche picchiarli sadicamente è pedofilia.

Livorno: isola di Pianosa, nuovo allarme per carcerizzazione

 

www.greenreport.it, 12 dicembre 2008

 

A Pianosa torna il fantasma del carcere e nonostante le interrogazioni parlamentari e le prese di posizione della regione Toscana e di Legambiente, ora si parla dell’arrivo addirittura di 250 guardie carcerarie per preparare l’isola a riospitare centinaia di detenuti. Se le chiacchiere e le ipotesi avessero un qualche fondamento, il destino dell’isola dell’Arcipelago toscano sarebbe nuovamente segnato: addio al turismo contingentato e di nuovo isola-carcere chiusa ed inaccessibile.

A fare chiarezza ci prova con una nota il parco nazionale dell’Arcipelago Toscano: "Appaiono su alcuni organi di stampa notizie di insistenti voci di una prossima riapertura dell’isola di Pianosa al regime carcerario noto come 41 bis e di un imminente sopralluogo degli organi di Stato seguito da un pesante insediamento di 250 guardie carcerarie. Nonostante si tratti di notizie non ufficiali e ben sapendo che i tempi per un così massiccio e invadente insediamento carcerario non potrebbero essere troppo rapidi, date anche le difficoltà infrastrutturali, il parco nazionale dell’Arcipelago toscano fa presente la sua assoluta contrarietà a questa ipotesi per ragioni ambientali, paesaggistiche e di sviluppo economico dell’isola. Si ricorda che su Pianosa: insistono vincoli ambientali comunitari e nazionali, , insistono importanti vincoli archeologici , che l’isola presenta un’area marina protetta che un turismo ragionato e sostenibile permette un volume di affari non trascurabile per l’economia dell’arcipelago".

Il parco, tra le righe,c ricorda quindi a chi ha intenzione di ricarcerizzare Pianosa che il progetto dovrà fare i conti con le direttive europee habitat e ambiente (Zone di protezione speciale e Siti di interesse comunitario) che lo Stato Italiano ha applicato a Pianosa e che necessitano di una precisa Valutazione di incidenza.

"Il Parco - si legge nella nota - pur comprendendo le necessità di spazi e di strutture del ministero di Giustizia, ribadisce l’assoluta e ferma contrarietà all’utilizzo dell’isola per un regime carcerario di massima sicurezza come il 41 bis. Si ricorda che grazie al Parco l’isola è stata riaperta alla fruizione naturalistica: chiuderla nuovamente - come inevitabilmente avverrebbe in questa ipotesi - sarebbe un passo indietro e una impoverimento per i turisti che chiedono di visitarla. Il Parco è invece favorevole al regime carcerario attuale ed anche ad un incremento dei detenuti presenti sull’isola, per favorire il loro recupero sociale con attività utili all’ambiente. A questo riguardo si ricorda che negli ultimi mesi il Parco ha lavorato attorno a questa ipotesi di concerto con le autorità carcerarie e al comune di Campo nell’Elba".

Il presidente del parco dell’Arcipelago toscano, Mario Tozzi, pensa che "Pianosa dovrebbe essere destinata al reinserimento dei detenuti, come quelli che già adesso operano sull’isola. Il regime del art. 21 è compatibile con l’ambiente e sostenibile grazie ad una fruizione moderata e regolamentata del territorio. Il ripristino del 41 bis significherebbe perderla alla fruizione dei cittadini e non tenere conto delle necessita di tutela della biodiversità sancite dalle leggi internazionali vigenti. Noi siamo dunque decisamente contrari a questa ipotesi".

Sulmona: risse, suicidi e 1.200 dosi di psicofarmaci al giorno!

 

Il Centro, 12 dicembre 2008

 

Rischia di finire in tragedia una lite scoppiata nel carcere di Sulmona tra due detenuti campani. Giovanni Loventre, 31 anni di Napoli, durante una scazzottata con un altro campano è caduto e, probabilmente, ha battuto violentemente la testa. Ora è ricoverato in prognosi riservata nel reparto di Rianimazione dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila.

L’altro detenuto, R.F., è stato invece curato al pronto soccorso di Sulmona per una ferita all’orecchio e contusioni varie. La discussione tra i due si è accesa all’improvviso nell’area di socializzazione, al terzo piano del braccio penale del supercarcere di Sulmona. Una frase detta in maniera sbagliata avrebbe provocato la reazione di uno dei detenuti, che si è scagliato violentemente contro il rivale. Sono volati calci e pugni, mentre gli agenti di polizia penitenziaria cercavano di separarli.

Un pugno più pesante e Loventre è caduto all’indietro, sbattendo pesantemente il capo sul pavimento. R.F., colpito da un pugno a un orecchio, ha riportato la lesione del timpano. L’episodio che ha riportato tensione nel carcere peligno si è verificato nel tardo pomeriggio di martedì scorso, nella sezione detenuti comuni. Un pomeriggio come tanti in cui i detenuti si incontrano per socializzare e per scambiare due parole. Anche l’altro ieri la situazione è andata via tranquilla, sotto gli occhi degli agenti di polizia penitenziaria in servizio in quel momento. A un certo punto i due detenuti si sono messi a discutere per futili motivi.

Dopo un primo battibecco sembrava tutto finito, ma una parola di troppo pronunciata da uno dei due ha scatenato la furibonda reazione dell’altro. In pochi secondi sono volati calci e pugni, e proprio nel momento in cui gli agenti sono intervenuti per sedare la rissa, Loventre è caduto all’indietro battendo la testa sul pavimento. L’uomo ha perduto conoscenza e la situazione è apparsa subito grave. Immediati sono scattati i soccorsi: dopo un breve consulto con il medico di turno in carcere, è stato deciso il trasferimento all’ospedale a Sulmona.

Gli esami radiologici alla testa hanno poi accertato che la situazione si andava facendo sempre più critica, tanto da indurre i medici a disporre il trasferimento del detenuto all’ospedale San Salvatore dell’Aquila. L’altro litigante, anche lui rimasto ferito a un orecchio nel corso del litigio, è stato ricoverato a Sulmona per essere sottoposto alle cure del caso. Nel frattempo il direttore del carcere, Sergio Romice, ha avviato un’inchiesta interna per ricostruire i momenti dell’episodio e accertare eventuali responsabilità da parte del personale di sorveglianza. Contemporaneamente anche la procura della repubblica di Sulmona ha aperto un’inchiesta, inviando il personale della polizia scientifica del commissariato di Sulmona a svolgere i necessari rilievi nell’area di socializzazione, dove è scoppiata la lite.

 

Dalla catena di suicidi all’isolamento di Del Turco

 

È la prima volta che il supercarcere di via Lamaccio balza agli onori della cronaca per una lite così violenta tra detenuti. Il carcere di Sulmona è infatti noto in tutta Italia soprattutto per i suicidi avvenuti tra il 2003 e il 2005 - ben sette, tra cui quelli della direttrice della casa circondariale Armida Miserere e del sindaco di Roccaraso Camillo Valentini -, nonché per la detenzione dell’ex presidente della giunta regionale Ottaviano Del Turco , recluso per l’inchiesta su Sanitopoli in una cella di isolamento dal 14 luglio al 12 agosto di quest’anno. La lunga sequenza di suicidi comincia il 13 aprile 2003, quando la direttrice del carcere di Sulmona, a 44 anni, si spara un colpo alla tempia nell’alloggio di servizio.

La donna era in camera insieme al suo cane. Nell’arco dei due anni successivi si sono tolti la vita Diego Aleci, 41 anni, mafioso di Marsala, e Francesco Di Piazza, 58 anni, del clan di Giovanni Brusca. Il 16 agosto 2004 a uccidersi fu il sindaco di Roccaraso Valentini. Il 2005 si è aperto con il suicidio di Guido Cercola, braccio destro del boss Pippo Calò, e il 1º marzo si è ucciso Nunzio Gallo, 28 anni di Torre Annunziata (Napoli).

L’ultimo a togliersi la vita il 27 aprile 2005, impiccandosi con la cinta alle sbarre del bagno della sua cella, è stato Francesco Vedruccio, 36 anni di Squinzano (Lecce), in carcere per associazione per delinquere. Anche se i controlli sui detenuti "a rischio" sono aumentati, non sono certo diminuiti i tentativi di suicidio, che solo quest’anno sono stati tre.

Alla fine di agosto sono stati due camorristi pentiti a tentare il suicidio ingerendo una dose massiccia di ansiolitici. Quello dell’uso degli anti-depressivi è un’altra nota dolente del carcere di Sulmona: su 400 detenuti, infatti, si consumerebbero circa 1.200 pasticche al giorno. L’ultimo episodio autolesionistico risale a due settimane fa, quando un detenuto di Firenze ha ingoiato una forchetta.

Alghero: tanti detenuti e pochi agenti la situazione è esplosiva

 

La Nuova Sardegna, 12 dicembre 2008

 

Cresce la protesta nel carcere di Alghero. A sottolineare le difficoltà e i rischi attuali nella Casa Circondariale, sono le organizzazioni sindacali che, ancora una volta, denunciano che "Ministero e Provveditorato, anziché rafforzare la polizia penitenziaria, continuano a inviare detenuti rendendo la situazione al limite della sopportazione". A lanciare l’allarme è il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria insieme alla Uil Penitenziaria.

Il segretario locale del Sappe, Mauro Chessa, e quello della Uil, Sandro Ortu, evidenziano la "crisi" che sta attraversando il carcere modello del San Michele di Alghero. "Detenuti di tutte le nazionalità e pericolosità - spiegano i rappresentanti sindacali - in un istituto dove prima c’erano detenuti modello (così come lo stesso carcere era un modello). Detenuti che frequentavano scuole, corsi di informatica, sartoria, mosaico e quant’altro, e che ora si trovano in una condizione di difficoltà, e il lavoro della polizia penitenziaria raddoppia, perché con questa tipologia di detenuti tutto diventa più complesso".

I due rappresentanti sindacali poi denunciano la situazione di tensione dentro il carcere algherese, con detenuti di "varie posizioni giuridiche che all’interno delle sezioni non fanno altro che litigare tra di loro, commettendo furti nelle celle, lanciando oggetti contro gli agenti e compiendo atti di autolesionismo". La scorsa settimana un carcerato ha tentato di impiccarsi in cella. "A salvarlo è stato un agente - affermano i rappresentanti sindacali - che, tra l’altro, aveva due distinte sezioni da controllare. Questa situazione di caos totale esiste oramai da tempo - sostengono Chessa e Ortu - e fa salire la popolazione detenuta al massimo della tollerabilità, superando anche il superando anche il limite. La tollerabilità massima del carcere modello è di 207, e ad Alghero è stata già raggiunta di 210, a fronte di 82 unità (tra sottufficiali e agenti) di polizia penitenziaria che si occupano non solo di traduzioni e piantonamenti: ad Alghero non esiste alcun nucleo traduzioni, anzi come detto dal Prap il piccolissimo nucleo, composto da un coordinatore e un vice, si doveva occupare solo delle visite mediche: ogni giorno tre o quattro. Per accompagnare un detenuto in ospedale occorrono almeno quattro unità di Polizia.

"Per poter attingere personale di polizia che potesse accompagnare i detenuti in ospedale, il comandante di reparto è stato costretto a chiudere le attività trattamentali, fiore all’occhiello del Provveditorato regionale, lo stesso che la settimana scorsa ha ordinato al Comandante di riaprire immediatamente le attività e la falegnameria, inviando un sostituto commissario un ispettore e un sovrintendente capo in missione". I rappresentanti sindacali lanciano accuse pesanti, evidenziano anche che la falegnameria del carcere di Alghero "sta effettuando dei lavori per la casa di lavoro di Mamone Lodè: anche con quelle unità (due o tre) non si riesce a coprire i reparti detentivi ormai diventati 7.

Ad Alghero noi servono agenti per poter lavorare all’interno". La polizia penitenziaria sollecita delle risposte immediate e un incontro urgente con il capo del Dipartimento. "Saremo l’unico Istituto in Italia a non poter fruire di ferie natalizie per stare con le nostre famiglie. Tutti i poliziotti del carcere di Alghero, stanchi delle prese in giro - concludono i sindacalisti - protesteranno per il momento nella casa di reclusione, manifestando ad alta voce lo stato di agitazione".

Novara: Sappe protesta; gazebo-presidio davanti a Prefettura

 

Comunicato stampa, 12 dicembre 2008

 

Si acuisce lo scontro tra il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo della Categoria, e la direzione del carcere di Novara: da lunedì 15 dicembre, infatti, il Sappe ha infatti organizzato un presidio-gazebo fisso di protesta ad oltranza davanti alla Prefettura di Novara.

Spiega le ragioni della protesta il Segretario Provinciale Sappe Silvano Cofrancesco: Vogliamo sensibilizzare l’opinione pubblica ed i mass media sulle gravi problematiche della Polizia Penitenziaria di Novara. In particolare, lamentiamo le precarie condizioni di sicurezza dell’Istituto novarese in cui lavorano le donne e gli uomini del Corpo ed una pessima gestione del Personale dipendente da parte dell’attuale Funzionario Comandante di Reparto. Da lunedì saremo in piazza per chiedere anche l’avvicendamento del Comandante del Reparto di Polizia penitenziaria di Novara!

Rincara la dose Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, che proprio ieri ha inviato una dura lettera di protesta al Capo dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta ed al Direttore generale del Personale del Dap Massimo De Pascalis: È da tempo che la Segreteria Generale del Sappe denunzia il disagio lavorativo in cui versa il personale del Corpo in servizio presso la Casa Circondariale di Novara. Il Sappe, nei mesi scorsi, è ripetutamente intervenuto su tale situazione, segnalando perplessità circa la gestione dell’ordine e della disciplina dei reparti detentivi, dove si sono verificati anche episodi di aggressione a danno di unità del Corpo. In particolare, è stato richiesto di valutare con attenzione l’opportunità di un avvicendamento del Comandante di Reparto, anche perché sussisterebbe uno stato di conflittualità tra lo stesso e i dipendenti, molti dei quali, non sentendosi più tutelati, hanno proposto richiesta di esenzione dal servizio a turno nelle sezioni. Poiché l’Amministrazione non ha adottato alcuna concreta iniziativa, la rappresentanza provinciale ha deciso di indire un sit-in di protesta nella città, il giorno 15 dicembre 2008, al fine di sensibilizzare le istituzioni e l’opinione pubblica. Al Capo dell’Amministrazione penitenziaria Ionta ed al Direttore del Personale De Pascalis abbiamo ribadito, per l’ennesima volta, la necessità di adottare iniziative urgenti e significative per ristabilire la serenità lavorativa presso l’istituto di Novara. Noi, perché la situazione di Novara cambi, manifesteremo da lunedì in piazza ad oltranza!

Bergamo: anziano uccise la moglie, condannato dopo 14 anni

 

Ansa, 12 dicembre 2008

 

Un anziano 74enne è stato condannato per l’omicidio della moglie, avvenuto 14 anni fa. L’uomo aveva inscenato, con l’aiuto del figlio, ora ricercato, un suicidio, facendo trovare la donna impiccata al soffitto nella cantina della loro villa, nella Bergamasca. Ma i Carabinieri avevano scoperto che la moglie era stata uccisa poiché era diventata ossessiva dopo un infortunio. La Corte d’Appello di Milano ha disposto 19 anni di carcere.

Tutto era cominciato il 28 giugno 1994, quando il corpo della donna di 55 anni fu trovato senza vita nella cantina della villetta in cui la coppia viveva con il figlio 30enne. Ma i carabinieri del comando provinciale non avevano creduto al suicidio ed erano presto risaliti all’autore dell’omicidio: il marito, all’epoca 60enne, che si era voluto sbarazzare della moglie diventata ossessiva e gelosa dopo un infortunio che ne aveva limitato le capacità motorie. Ora, 14 anni dopo il fatto, si conclude l’iter giudiziario con la condanna del’uxoricida da parte della Corte d’Appello di Milano. L’uomo dovrà scontare per omicidio volontario 22 anni, ridotti a 19 per l’indulto.

Varese: "Ora d’Aria", esposizione prodotti creati dai detenuti

 

Comunicato stampa, 12 dicembre 2008

 

Al via la II esposizione di prodotti realizzati dai detenuti della Casa Circondariale di Busto Arsizio. "Ora d’Aria" ritorna sabato 13 e domenica 14 dicembre presso il Museo del Tessile, via Volta, 6/8 a Busto Arsizio. Arriva Natale e, di nuovo, i manufatti dei detenuti del carcere saranno disponibili ai mercatini di Natale promossi dalla città di Busto Arsizio: l’iniziativa è realizzata dall’amministrazione comunale, la direzione e l’area educativa dell’Istituto Penitenziario, i consorzi di cooperative sociali della provincia Sol.Co. Varese e CCS di Cardano al Campo, Enaip Lombardia e l’associazione VolGiTer.

Nella casetta messa a disposizione dal Comune per il progetto "Agenti di Rete", si troverà miele di acacia, millefiori e melata, che da tre anni viene prodotto all’interno del carcere ed il giornale Mezzo Busto, realizzato da una redazione che ha dato vita ad uno strumento di comunicazione vincitore, nel 2007, del concorso "Carcere e comunicazione Guido Vergani", indetto dal Gruppo Cronisti Lombardi.

Ed ancora, saranno esposte decorazioni natalizie ed oggetti del laboratorio di cartonaggio, quali per esempio cornici da tavolo o da appendere, album portafoto, quaderni. Infine, per tutti, grandi e piccini, "Storie da mondi diversi", un libro di fiabe a cura di Carla Bottelli: dieci racconti che sono il risultato di un progetto di arte-terapia che ha coinvolto giovani reclusi provenienti da culture e Paesi diversi nell’ambito del loro processo rieducativo, sempre all’interno della Casa Circondariale di Busto Arsizio.

Proseguono quindi le iniziative finalizzate a trovare occasioni di contatto e conoscenza tra la città ed il carcere. Il progetto "Agenti di Rete" cerca di creare quanti più possibili ponti di collegamento tra il "dentro" ed il "fuori", nei quali coinvolgere anche la comunità locale, che può, essa stessa, collaborare per costruire percorsi di reinserimento a favore delle persone detenute.

Questi ponti sono fondamentali, da un lato, per far nascere esperienze significative e importanti per chi "ha sbagliato"; dall’altra parte, il fatto che un detenuto compia un percorso formativo all’interno degli istituti di pena può diventare a sua volta elemento di maggiore serenità per la collettività stessa, poiché può aiutare a ridurre il rischio che, una volta scontata la pena, l’ex-detenuto ripeta il reato.

La prima edizione dell’iniziativa, lo scorso anno, ebbe un ottimo riscontro in termini di visite ed acquisti: dunque, vi aspettiamo al Mercatino di Natale sabato 13 e domenica 14 dicembre.

 

Elisabetta Castellini - Ufficio Stampa e Comunicazione

Consorzio Provinciale Sol.Co. Varese coop. soc. a r.l.

Firenze: presepe fatto da detenute esposto a Palazzo Vecchio

 

Redattore Sociale - Dire, 12 dicembre 2008

 

Palazzo Vecchio, sede del Comune fiorentino, ospita un grande presepe realizzato con la collaborazione delle detenute del carcere di Sollicciano.

Personaggi, bombole di stoffe, realizzate con colori e tessuti naturali, animano il particolare presepe allestito nel cortile della dogana di Palazzo Vecchio. Particolare poiché realizzato dalle detenute del carcere di Sollicciano, in collaborazione con i ragazzi del liceo artistico "Leon Battista Alberti" che hanno costruito e montato la scenografia delle montagne, con la grotta e la stella cometa. Il progetto, denominato "La poesia delle bambole", è curato dall’associazione di volontariato "Pantagruel" ed è iniziato nel 2001 con un corso che ha coinvolto circa 18 detenute. In particolare quest’anno hanno lavorato al presepe 10 persone del carcere di Sollicciano e 4 ragazze esterne.

Immigrazione: continuiamo a discriminare i musulmani e i rom

 

Redattore Sociale - Dire, 12 dicembre 2008

 

Rapporto Enar. Cambiano i gruppi colpiti, ma non migliora la situazione. Lavoro, casa, scuola e sanità restano i settori più delicati. Crescono affitti e sfratti per i migranti; rom esclusi da istruzione e servizi sanitari.

Il Rapporto Enar 2007 non mette in evidenza miglioramenti nella situazione delle discriminazioni sulla base della nazionalità, origine etnica o religione in Italia rispetto all’anno precedente. In tutti gli ambiti analizzati, le discriminazioni verso migranti e minoranze sono rimaste infatti immutate. I gruppi maggiormente colpiti da episodi di razzismo sono stati i cittadini romeni, i rom ed i sinti. Vi è stato in questo senso un cambiamento: negli anni precedenti i gruppi maggiormente colpiti erano cittadini non comunitari e persone di fede musulmana, mentre nel 2007 sono i cittadini comunitari o in alcuni casi italiani appartenenti a minoranze (come i rom), in particolare i minori.

Nel settore dell’occupazione la discriminazione assume diverse forme. Si va dal mancato riconoscimento dei titoli di studio acquisiti nel paese d’origine, all’inserimento dei lavoratori stranieri nei livelli contrattuali più bassi e tra la manodopera generica o di bassa qualifica, all’applicazione di condizioni di lavoro più sfavorevoli e prive delle adeguate norme di sicurezza.

Nel settore delle abitazioni continua l’innalzamento dei prezzi degli affitti, che ha determinato nel corso dell’anno un aumento nel numero degli sfratti per morosità tra i cittadini stranieri. Permane la drammatica situazione abitativa dei campi rom, corso del 2007 più volte al centro del dibattito pubblico.

Per quanto riguarda la scuola, emerge il problema dell’alta concentrazione di alunni stranieri in alcune scuole. A questo proposito, molte sono state le polemiche sollevate dalla circolare del comune di Milano che escludeva dalle scuole dell’infanzia i figli di immigrati irregolari.

Per quanto riguarda la sanità, il rapporto denuncia le difficili condizioni di salute degli immigrati irregolari e dei rom. Questi ultimi incontrano inoltre grandi difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari, anche quando possiedono un regolare permesso di soggiorno.

Dal punto di vista legislativo, nel 2007 le speranze emerse l’anno precedente di veder realizzate alcune importanti modifiche alla normativa sull’immigrazione e sulla cittadinanza vengono meno, anche se nel corso dell’anno vengono emanate alcune circolari che modificano aspetti minori ma significativi della condizione dei cittadini stranieri. Da segnalare anche la procedura di infrazione avviata dall’Unione Europea nei confronti dell’Italia in merito alla trasposizione della direttiva 2000/43/CE ed il decreto approvato dal governo alla fine dell’anno che ha colpito soprattutto i cittadini romeni e i rom, additati come i responsabili della maggior parte dei crimini.

A quest’ultimo proposito, la rappresentazione negativa dell’immigrazione da parte dei media non ha certamente contribuito ha sedare il clima di paura e insicurezza e ha determinato un aumento del livello di xenofobia in Italia.

Immigrazione: razzismo fenomeno persistente in tutta Europa

 

Redattore Sociale - Dire, 12 dicembre 2008

 

Rapporto "ombra" dell’Enar. Recrudescenza degli estremismi e delle violenze razziste, anche verso cittadini dell’Ue, in particolare di Bulgaria e Romania.

Le espressioni e i comportamenti razzisti continuano a manifestarsi in tutti i settori importanti della vita, nonostante alcuni progressi, ad esempio nel campo dell’istruzione e dei mass media. Vi è una recrudescenza degli estremismi e delle violenze razziste, aumentano i discorsi politici razzisti, nuove formazioni politiche di estrema desta e para-militari stanno prendendo piede nell'Europa dell’Est, e le manifestazioni di razzismo e di xenofobia si rivolgono anche verso cittadini dell’Ue, in particolare di Bulgaria e Romania.

Sono alcune delle conclusioni inquietanti del Rapporto "ombra" sul razzismo nell’Ue, diffuso in questi giorni da Enar, la rete contro il razzismo che rappresenta più di 600 Ong che operano contro il razzismo in tutta l’Unione europea. Nel campo dell’occupazione, la discriminazione contro le minoranze etniche e religiose continua ad essere prevalente nonostante l’esistenza, in quasi tutti i Paesi, di leggi che la proibiscono. Per quanto riguarda l’accesso alla casa, gli appartenenti alle stesse minoranze, in particolare i richiedenti asilo, sono molto più esposti al rischio di essere senza casa o vivere in abitazioni inadeguate.

In tutti i rapporti nazionali vengono segnalati atteggiamenti e comportamenti razzisti anche tra le forze di polizia, incluso il cosiddetto "racial profiling" (utilizzo di criteri "etnici" nella selezione dei soggetti da sottoporre a controllo). Diviene sempre più evidente la tendenza a considerare "accettabili" i crimini razzisti e i maltrattamenti contro appartenenti alle minoranze etniche e religiose, anche all’interno delle forze di polizia e di altre autorità, quando non addirittura da parte degli stessi legislatori. Inoltre si registrano tendenze preoccupanti, come la crescente percezione e rappresentazione negativa dell’immigrazione e delle persone migranti, l’impatto dannoso di molte politiche dell’immigrazione sull’integrazione delle minoranze etniche e degli immigrati e i problemi cui sono confrontate le minoranze etniche come risultato delle misure contro il terrorismo e per la sicurezza pubblica.

Il Rapporto indica anche alcune aree dove si registrano invece dei miglioramenti, in particolare nel campo dell’educazione, e l’impatto positivo della legislazione comunitaria contro le discriminazioni basate sulla nazionalità, l’etnia o la razza. Tuttavia l’efficacia di tali leggi ha bisogno di essere rafforzata attraverso un monitoraggio accurato e sanzioni effettive. Secondo Mohammed Aziz, Presidente di Enar, "Il Rapporto dimostra che il razzismo è un fenomeno pervasivo e persistente in tutta l’Ue, che ha un impatto negativo su tutti gli aspetti delle vite delle minoranze etniche e religiose.

Ciò rende ancora più evidente la necessità di mantenere alta l’attenzione sul razzismo e di promuovere l’uguaglianza di trattamento tra cittadini europei e immigrati da Paesi non comunitari. Enar sollecita i Governi e le Istituzioni dell’Ue ad una stretta collaborazione per affrontare la questione del razzismo".

Immigrazione: Siracusa; il Centro di Cassibile è una vergogna

di Domenico Valter Rizzo

 

L’Unità, 12 dicembre 2008

 

Le sbarre, altissime hanno le punte inclinate. Formano una cortina invalicabile, una siepe di ferro. Una gabbia per separare il dentro dal fuori: gli uomini che stanno all’esterno, dai numeri che stanno all’interno. Dentro non si ha più un nome, ma solo un numero identificativo. Te lo danno quando entri. Tutti useranno quello per chiamarti e per indicarti, anche se sei un bambino, e quel numero lo devi avere sempre con te in bella mostra, in modo che tutti possano vederlo e annotarlo.

Dovrebbe essere un centro di accoglienza per i richiedenti asilo, quello che con un acronimo si chiama Cara, in realtà il vecchio magazzino che sta a due passi dalla stazione di Cassibile altro non è che un deposito di esseri umani. Un deposito che porta soldi a palate a chi lo gestisce e sofferenza, umiliazione vergogna a chi dentro quel magazzino è costretto a vivere in attesa di conoscere il suo destino.

A gestire questo pozzo delle anime e della dignità è l’Associazione Alma Mater Onlus e la presiede don Arcangelo Rigazzi, il parroco di Cassibile. Provo ad entrare ma i militari che, con i mitra spianati, sorvegliano l’ingresso mi spiegano che devo essere autorizzato. Il vice direttore del Cara è un giovanotto educato, figlio di un poliziotto che lavora all’Ufficio stranieri della Questura di Siracusa.

Mi spiega candidamente che per entrare non ci sono problemi, occorre solo un semplice autorizzazione da parte della Prefettura. Un gioco da ragazzi. Chiedo quanto ci vorrà per avere il via libera. Sorride. "Non ci vorrà molto. Una settimana, al massimo dieci giorni". Benvenuti al Cara di Cassibile dove tutto avviene alla luce del sole, anche le peggiori nefandezze, ma dove tutti, sotto la luce del sole, fanno finta di niente. Il naso dentro questa gabbia per esseri umani sono riusciti a metterlo solo la deputata radicale Rita Bernardini e la piccola delegazione di attivisti che l’ha seguita. Il suo racconto è quello di una vergogna.

Il Cara può ospitare 200 persone al massimo. Dentro la "gabbia" al momento della visita erano stipati 357 migranti, uomini, donne, bambini. Stipati come le bestie. No, è sbagliato dire così. Le bestie da queste parti le trattano molto meglio. Accatastati come fossero dei pacchi, dei bidoni. Merce, insomma.

Nessuno di loro può andar fuori, anche se formalmente sono liberi di farlo. "Tranne una piccola minoranza - scrive la parlamentare radicale nella sua interrogazione al Governo - sono nella realtà dei fatti reclusi". Alcuni raccontano di essere chiusi lì anche da 50 giorni, senza che nessuno consegni loro un documento che attesti che hanno presentato la domanda di asilo o gli opuscoli tradotti che spiegano i loro diritti, le procedure e gli indirizzi utili.

Se va male non gli viene neppure lata una copia tradotta del rifiuto della domanda di asilo, in questo modo quasi nessuno riesce a presentare il ricorso. Viene semplicemente messo fuori dal cancello e diventa un clandestino. Poi c’è la Questura che, a quel che sembra, allo scadere dei 35 giorni dalla domanda non rilascia il permesso di soggiorno temporaneo per tre mesi, rinnovabile fino alla decisione finale sulla domanda di asilo. Restano abbandonati a se stessi e senza notizie, anche perché quasi nessuno degli addetti del centro parla una lingua straniera. Al massimo ci si intende a segni.

Il racconto di Rita Bernardini sulla vita dentro la struttura è agghiacciante. Le camerate sono degli stanzoni lunghi 20 metri e larghi 15, dentro ci sono 50 letti a castello praticamente uniti gli uni agli altri. Chi non trova un letto, dorme per terra anche nei pianerottoli e nei sottoscala. I bagni sono sporchi e fatiscenti. Nessun livello di sicurezza, in particolare sul piano della prevenzione degli incendi. Immondizia e sporcizia dovunque.

"Le visite che ho fatto a Cassibile mi hanno lasciato stupefatta - racconta la parlamentare radicale - Quella struttura deve chiudere e in ogni caso la sua gestione deve essere affidata ad altri. Secondo notizie che mi giungono da Siracusa, la Prefettura sarebbe invece sul punto di rinnovare, per l’ennesima volta e senza alcuna gara d’appalto, la convenzione all’Associazione Alma Mater. Questo nonostante l’inchiesta della magistratura. Spero che tali notizie vengano smentite, perché in caso contrario sarebbe un fatto di inaudita gravità".

Padre Rigazzi e il suo braccio destro Marco Bianca sono finiti dentro un’inchiesta della magistratura di Siracusa che ha chiesto il loro rinvio a giudizio per truffa aggravata ai danni dello Stato. Una storia sporca che ha portato i funzionari della Digos, delegati alle indagini dal sostituto procuratore della Repubblica di Siracusa Antonio Nicastro, a suggerire ai magistrati addirittura l’arresto per padre Rigazzi, per Bianca e per alcuni imprenditori che avrebbero emesso fatture gonfiate.

Padre Rigazzi è un uomo tarchiato, dall’aria decisa che ama parlare in dialetto e detesta i giornalisti. Mi avevano detto che non avrebbe aperto bocca. Provo lo stesso a farci due chiacchiere. Lo trovo in canonica, dove vive in compagnia di due cani dall’aria pigra e sonnolenta. Sul tavolo i resti di un pasto abbondante. Camicia slacciate e volto sudato. Accetta di farmi entrare e scambiare due parole, ma avverte: niente interviste.

"Io non rilascio interviste soprattutto a giornali di sinistra che stravolgono tutto. Io ero di sinistra, ma poi sono stato costretto a cambiare idea. Ho appoggiato il centro destra, perché la sinistra ormai è dominata da giustizialisti e forcaioli e poi devo dire che anche le misure del nuovo Governo sugli immigrati a me sembrano ragionevoli".

Non appena si accenna all’indagine il suo umore già tetro, se possibile; peggiora ulteriormente. "Io sono tranquillo, aspetto la decisione del giudice. Sono sicuro che si sgonfierà tutto. Questa è una storia che nasce solo dall’invidia e dalla malafede... adesso se si vuole accomodare fuori". L’incontro è durato esattamente nove minuti.

La fiducia di Padre Rigazzi, oltre che dalla sua legittima presunzione di innocenza, si poggia anche su numerosi errori procedurali che hanno reso inefficaci alcune fonti di prova e hanno portato il Tribunale del riesame a restituire le somme già sequestrate all’Associazione Alma Mater. Tra le fonti di prova saltate anche una perizia contabile, eseguita dal perito Antonio Muratore, depositata dopo che erano scaduti i termini delle indagini preliminari, senza che il pubblico ministero si ricordasse di rinnovarli.

Leggere le carte dell’inchiesta è un po’ come fare un piccolo viaggio istruttivo. Si inventa di tutto pur di guadagnare di più, facendo la cresta su ogni cosa: dalla lavanderia ai pasti. Nessuno sembra abbia mai esercitato un controllo serio su quello che accade dentro il Centro. Oltre a ciò che emerge dall’ispezione della parlamentare radicale, per capire come funzionassero controlli ed ispezioni basta dare un’occhiata alle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche fatte sul cellulare di Marco Bianca, regolarmente autorizzate dal gip e poi (a causa di un altro singolare errore procedurale) messe fuori dal processo.

La centralinista gli passa il Prefetto di Siracusa che è appena tornato da una vista al ministero, dove ha saputo che da lì a poco la commissione ispettiva avrebbe fatto un’ispezione al Centro. Il primo pensiero dei Prefetto è quello di avvertire i gestori dell’Alma Mater dell’ ispezione in modo da evitare guai con la commissione. "Sarà tutto pronto - lo rassicura Bianca - come ogni volta". Come ogni volta... appunto.

Grecia: amnistia per 5mila detenuti, dopo sciopero della fame

 

Associated Press, 12 dicembre 2008

 

Il governo greco procederà entro la fine del mese con l’applicazione della legge di amnistia già votata dal Parlamento, nonostante i violenti disordini in corso da giorni fra polizia e manifestanti in diverse città: lo hanno reso noto fonti del Ministero della Giustizia ellenico. Il provvedimento dovrebbe riguardare circa 5mila detenuti, la metà della popolazione carceraria: l’amnistia era stata votata il mese scorso dopo uno sciopero della fame di massa dei carcerati, che protestavano contro il sovraffollamento delle prigioni.

Germania: inaugurato il primo carcere per "detenuti anziani"

di Eleonora Barbieri

 

Il Giornale, 12 dicembre 2008

 

È un carcere speciale. Gli ospiti hanno tutti più di 62 anni, ma non sono nonni gentili. Hanno tutti una condanna ad almeno 15 mesi: molti sono stupratori e grandi truffatori. Non scherzano. Ma neanche se la passano così male: l’istituto penale di Singen, in Germania, è pensato solo per loro. Che non sono malviventi buoni, ma hanno esigenze particolari che, qui, cercano per quanto possibile di soddisfare.

Una prigione speciale. La prigione si trova vicino a Costanza, nel Land tedesco del Baden-Württemberg ed è l’unica di questo genere nel Paese. Ospita i criminali in pensione da quasi 40 anni ma, ultimamente, è molto gettonata: a causa dell’invecchiamento della popolazione è sempre piena, con i suoi cinquanta posti tutti occupati. Anche se il direttore Thomas Maus ha precisato al quotidiano online Stuttgarter-Nachrichten: "Gli uomini diventano sempre più vecchi ma, non per questo, sono immuni dagli atti criminali".

Uno dei più anziani, ad esempio, si chiama Adolf, ha 71 anni ed è stato condannato per stupro. Anche se non sono dei santi, però, gli ospiti hanno bisogno di particolari attenzioni che, nelle prigioni "normali", non sono di solito prese in considerazione: "Nei penitenziari ordinari i giovani si danno arie e i più anziani vengono lasciati in disparte" ha spiegato Maus. A Singen i detenuti godono di molte libertà rispetto a un carcere tradizionale. Il motto è: "Chiuso verso l’esterno, aperto all’interno". Così le celle rimangono aperte tutta la giornata e gli ospiti possono girare tranquillamente nel cortile interno fino a tarda sera.

Detenuti ultrasessantenni. I detenuti hanno anche a disposizione una palestra attrezzatissima e una biblioteca e possono partecipare a tornei di biliardo, scacchi e bocce e a corsi di cucina. C’è anche un’equipe di medici sempre pronta a intervenire, giorno e notte, in caso di necessità. Ellen Ahlbeck, direttrice del penitenziario centrale di Costanza, ricorda però che non si tratta di una piacevole "casa di riposo": "Un terzo dei detenuti di Singen sono stupratori o grandi truffatori".

E quindi molti non solo non sono agnellini, ma hanno personalità difficili che, a contatto quotidianamente per tante ore, rischiano anche di scatenare reazioni violente. Anche se i più pericolosi non sono ammessi, per non correre troppi rischi: si tratta pur sempre di un luogo speciale.

Stati Uniti: due anni a Guantanamo e senza saperne il motivo!

di Gabriela Preda

 

Il Piccolo, 12 dicembre 2008

 

Un giovane italiano di origine medio-orientale o bengalese che decide di fare un viaggio nella terra d’origine dei suoi genitori rischierebbe di finire a Guantanamo, la base navale statunitense del golfo cubano dove sono detenuti da anni prigionieri ritenuti terroristi? "Per alcuni si tratterebbe di una provocazione ma purtroppo il rischio è ancora reale" risponde amareggiato Ruhal Ahmed, uno dei più noti paladini della lotta per i diritti umani, inglese di nascita, figlio di immigrati pachistani, detenuto e torturato per più di due anni senza alcuna accusa a Guantanamo.

Accolto ieri a Trieste come testimonial Amnesty International, assieme a Tatiana Lokshina, vicedirettrice dell’Ufficio di Mosca di Human Rights Watch, il giovane Ahmed ha incontrato sia un’assemblea di studenti riuniti al liceo Galilei, sia il folto pubblico triestino interessato nella sala conferenza del caffè degli Specchi in Piazza Unità. Gli eventi, promossi da Amnesty International, hanno ricordato la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite esattamente 60 anni fa, il 10 dicembre 1948.

Ventisette anni, testa rasata e barba nera, Ruhal ha ripercorso la sua storia, da cui è stato tratto il film di Michael Winterbottom "The Road to Guantanamo". La sua odissea inizia poco dopo l’11 settembre 2001... "Esatto. Insieme ad altri amici siamo partiti per il Pakistan, dove eravamo stati invitati ad un matrimonio. Prima della cerimonia, avevamo qualche giorno libero, così abbiamo deciso di andare a fare una vacanza in Afghanistan.

Ma il 7 ottobre 2001 sono iniziati i bombardamenti americani nel Paese allora governato dai Talebani e noi ci siamo trovati in mezzo. Abbiamo chiesto di poter lasciare l’Afghanistan, ma l’esercito aveva chiuso le frontiere e per un mese siamo rimasti bloccati. A fine ottobre i talebani hanno perso il controllo del Paese e un’organizzazione umanitaria ci ha consigliato di consegnarci all’Alleanza del Nord. Siamo quindi finiti in prigione a Kandahar".

Quando è stato trasferito a Guantanamo? "Nel gennaio 2002 mi hanno portato a Guantanamo. All’inizio sono stato tenuto in una delle gabbie all’aperto del Camp X-Ray: non c’ erano materassi, né tetto. Non ci era permesso di parlare con nessuno; pretendevano che stessimo seduti e guardassimo in una direzione. Il poco cibo che ci davamo ci veniva spesso lanciato come se fossimo animali. Dovevano stare fermi per 24 ore al giorno.

Se il nostro sguardo si posava su una guardia, loro entravano nella gabbia, ci spruzzavano in faccia dello spray urticante e ci pestavano fino a farci svenire. I più sfortunati finivano in isolamento: celle chiuse di metallo, bollenti di giorno e gelide di notte... dove si svolgevano anche gli interrogatori... Gli interrogatori con pestaggi erano all’ordine del giorno: a volte usavano cani che ci abbaiavano in faccia, ci buttavano secchi di acqua gelida addosso, alzavano al massimo l’aria condizionata e ci lasciavano così per ore.

Alcuni prigionieri hanno subito abusi sessuali e sono stati sodomizzati. La maggior parte dei detenuti alla fine confessava di essere di Al Qaida o talebano o quello che volevano. A Guantanamo è rimasto per più di due anni... "Senza conoscerne il motivo. La prigionia è finita nel 2004: sono stato trasferito prima a Londra, dove mi hanno liberato senza alcuna accusa a mio carico".

È riuscito a superare il trauma diventando un testimonial di varie campagne per i diritti umani. "Non è facile dimenticare e andare avanti... Ogni giorno per me è un dono, vivo alla giornata ormai, dedico tutto me stesso alla famiglia, mettendo la mia esperienza al servizio delle iniziative per i diritti umani cosicché tutto il mondo sappia quello che sta succedendo a Guantanamo... Forse così si fermeranno anche le guerre che hanno a che fare con i soldi e il petrolio e non con le religioni". Incontra soprattutto giovani nei suoi viaggi...

"Sì, perché loro rappresentano il futuro e hanno il diritto di sapere la verità dei nostri tempi. Del resto sono loro a imparare per primi il rispetto per il diverso, senza nascondersi dietro la diffidenza o la paura dell’altro, del diverso. Anche se dipende dal contesto in qui si vive". Qui subentra il ruolo delle associazioni, della scuola, e dello Stato.

"Anche l’Italia, quindi, ha il dovere morale di essere onesta, nei confronti dei giovani che un giorno la guideranno, anche su argomenti come la guerra e la costruzione della pace. Altrimenti si rischia di far crescere la frustrazione all’interno della stessa società, e tutto ciò può portare perfino ad ingiustizie e ad estremismo diffuso".

Come vede il suo futuro e quello della base Guantanamo? "Ho imparato a non fare più piani nella vita. Spero solo che mia figlia che ha tre mesi possa vivere in un mondo migliore, senza guerre. Per quanto riguarda Guantanamo, spero che il nuovo presidente Obama la chiuda. Ma è chiaro che ci sarà bisogno di un attore neutrale come l’Onu che possa monitorare il trasferimento dei detenuti in varie prigioni negli Stati Uniti o in altri Paesi. Intanto, fino alla chiusura effettiva, rimane ancora il rischio che altri giovani sfortunati come me finiscano senza motivo a Guantanamo. Anche italiani figli di immigrati quindi... Non lo so, può essere".

Stati Uniti: Rumsfeld responsabile di maltrattamenti a detenuti

 

Associated Press, 12 dicembre 2008

 

Stando ad un rapporto diffuso dal Senato Usa, Rumsfeld avrebbe incoraggiato l’utilizzo di tecniche contrarie alla Convenzione di Ginevra.

Il Senato ha pubblicato ieri un rapporto in base al quale l’ex Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld e altri ufficiali statunitensi sono ritenuti colpevoli dei maltrattamenti subiti dai prigionieri delle prigioni di Guantanamo, Cuba e Iraq.

In particolare, Rumsfeld è accusato per avere autorizzato tecniche interrogatorie eccessivamente aggressive alla baia di Guantanamo il 2 dicembre 2002; tale autorizzazione è stata da lui stesso revocata sei settimane dopo ma, stando a quanto diffuso dal rapporto Usa, all’interno dei circoli militari statunitensi continuava comunque a circolare la voce dell’approvazione di Rumsfeld nei confronti di queste barbare tecniche di interrogatorio, incoraggiandone l’uso sia in Iraq che in Afghanistan. L’atteggiamento dell’ex Segretario alla Difesa è ritenuto essere "causa diretta degli abusi cui i detenuti sono stati sottoposti".

Tali modalità di svolgere gli interrogatori non sono in sintonia con quanto previsto dalla convenzione di Ginevra, in particolare agli articoli 2 e 3, che prevedono delle garanzie minime riguardanti le condizioni di vita dei detenuti. Tali violazioni del diritto internazionale in materia di trattamento dei prigionieri, stando alle parole di John McCain, candidato sconfitto da Barack Obama nella corsa alla Casa Bianca, "non devono ripetersi mai più".

In base alle informazioni contenute nel rapporto diffuso dal Senato Usa, gran parte degli alti responsabili dell’amministrazione Bush, tra i quali anche Condoleeza Rice, hanno preso parte alle riunioni riguardanti le tecniche di interrogatorio che sono state autorizzate nel 2002.

 

 

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