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Giustizia: svolta per la salute in carcere di Gennaro Santoro (Coordinatore associazione Antigone)
Aprile on-line, 4 aprile 2008
Il Cdm ha approvato il decreto concernente il trasferimento di tutte le competenze in tema di medicina penitenziaria dal ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale. Una decisione importante che si aspettava da dieci anni e su cui ora dovrà deliberare la Conferenza Stato-Regioni. Finalmente. Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto concernente il trasferimento di tutte le competenze in tema di medicina penitenziaria dal ministero della Giustizia alle Regioni e quindi alle ASL del Servizio Sanitario Nazionale. Lo attendevamo da dieci anni. Fino ad oggi i servizi erano offerti dal ministero della Giustizia, anche perché l’ordinamento penitenziario del ‘75 era precedente alla costituzione stessa del SSN. Le Regioni possono iniziare a progettare un vero e proprio sistema sanitario nelle strutture penitenziarie per adulti e minori, così come negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Sarà compito del Servizio Sanitario Nazionale, e non più degli istituti penitenziari, prendersi cura della salute dei detenuti. Una riforma storica già prevista dalla riforma sanitaria del 1999 che il governo delle destre e l’ostruzionismo di alcune lobby del mondo medico, attente esclusivamente a tutelare interessi personalistici, avevano impietosamente affossato. Uno dei punti più difficili e osteggiati è stato quello relativo al trasferimento dei posti di lavoro. I rapporti di lavoro attualmente in essere nell’ambito della medicina penitenziaria, nelle varie e complesse tipologie in cui si esplicano, vengono salvaguardati e trasferiti al Ssn. Per quanto riguarda gli psicologi convenzionati la vicenda è stata sicuramente la più dibattuta. Il ministero della Giustizia aveva fatto notare che c’erano risorse sufficienti a garantire il trasferimento delle convenzioni alle Asl e i rappresentanti delle Regioni si erano detti informalmente d’accordo ad acquisire i contratti degli psicologi al fine di organizzare al meglio i servizi in carcere. Il ministero dell’Economia ha però categoricamente escluso la possibilità che transitassero rapporti di lavoro le cui fonti economiche non fossero formalmente delegate al Ssn. Ma aldilà di questo singolo nodo, la portata della riforma potrà finalmente porre termine all’aberrante situazione sanitaria delle patrie galere dove abbondano i casi di tubercolosi, dove oltre un terzo dei detenuti (il 38%) è affetto da epatite C (e ad oggi soltanto la metà di questi ammalati viene sottoposta a cura), dove oltre un quarto della popolazione (il 27%) è tossicodipendente e il 7% ha l’Hiv: una bomba ad orologeria pronta a far danni anche fuori dalle strutture di pena grazie all’elevato turnover delle prigioni. Patrie galere, ancora, dove il 62% dei detenuti ha una patologia che necessita di un intervento medico, il 43% ha problemi psico-psichiatrici e il 28% malattie virali croniche. Le Linee di indirizzo allegate al provvedimento tendono dunque a realizzare quei livelli essenziali ed uniformi di assistenza che costituiscono l’architrave del sistema sanitario italiano. Il documento che descrive le linee guida per gli interventi a tutela della salute dei detenuti, oltre a richiamare tra i suoi principi di riferimento "la piena parità di trattamento, in tema di assistenza sanitaria, degli individui liberi e degli individui detenuti e internati e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale", sottolinea che "la continuità terapeutica si pone quale principio fondante per l’efficacia degli interventi di cura e deve essere garantita dal momento dell’ingresso in carcere e/o in una struttura minorile, durante gli eventuali spostamenti dei detenuti, e dopo la scarcerazione". Le aree cruciali di intervento sono così enucleabili: la medicina generale e la valutazione dello stato di salute dei nuovi ingressi (dall’assistenza farmaceutica alla diagnosi precoce, alla prevenzione e alla informatizzazione delle cartelle cliniche); le prestazioni specialistiche; le patologie infettive; la prevenzione, cura e riabilitazione per le dipendenze patologiche; la prevenzione, cura e riabilitazione nel campo della salute mentale; la tutela della salute delle detenute e delle minorenni e della loro prole (attenzione agli aspetti psico-emotivi della nascita, monitoraggio e assistenza ostetrico-ginecologica e prevenzione e profilassi delle malattie a trasmissione sessuale e dei tumori dell’apparato genitale femminile); la tutela della salute delle persone immigrate. Degna di nota è poi la chiara affermazione dell’ambito territoriale come sede privilegiata per la cura e la riabilitazione anche delle persone con disturbi mentali detenute o internate negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, per i quali si prevede un percorso di progressivo superamento proprio grazie alla integrazione con le reti territoriali dei servizi di assistenza e cura. La parola passa ora alla Conferenza Stato-Regioni che dovrà emanare i provvedimenti successivi al decreto, i quali dovranno essere adottati dalle Regioni per l’avvio del nuovo sistema sanitario. Essi riguarderanno i modelli applicativi e la contrattualizzazione di circa 5.500 operatori della Sanità in carcere. Nelle fasi iniziali di questo processo, sarà certamente necessaria una attenta vigilanza sulla regolare applicazione di quanto previsto dal Decreto da parte delle Regioni e delle ASL, anche per cercare di dare una certa uniformità all’intero sistema e per evitare omissioni o resistenze. Giustizia: Garanti dei detenuti e riforma Sanità penitenziaria
Comunicato stampa, 4 aprile 2008
Il Presidente del Consiglio Prodi ha firmato il Dpcm, proposto dai Ministri Turco e Scotti, che sancisce il trasferimento, in tema di medicina penitenziaria, delle competenze, dell’assistenza e del personale dal Ministero della giustizia al Servizio sanitario nazionale. Attraverso questo provvedimento giunge a compimento un percorso che era già iniziato con la riforma Bindi del 1999 in cui veniva affermato il principio secondo il quale il diritto alla salute è uguale per tutti. Con tale riforma epocale viene sancita per i detenuti, adulti e minori, e gli internati presso gli Opg la pienezza del diritto alla tutela della salute al pari dei cittadini liberi. L’obiettivo della riforma è quello aumentare l’efficacia dell’assistenza sanitaria per questi soggetti sensibili migliorando la qualità delle prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione nelle strutture penitenziarie e all’esterno durante l’esecuzione delle misure alternative. Per l’attuazione si prevede che la Conferenza Stato-Regioni emani, entro limiti temporali prefissati, i successivi provvedimenti che dovranno adottare le Regioni al fine rendere operative, attraverso il coinvolgimento di tutte le unità territoriali interessate, le linee di indirizzo della riforma. Sarà molto importante vigilare sulla regolare applicazione di quanto sancito dal Decreto da parte delle Regioni e delle Asl al fine di cercare di dare uniformità e compiutezza all’intero sistema. Sulla base dell’ottica di presa in carico da parte delle unità territoriali della materia sanitaria in ordine a reclusi e internati, che è filo conduttore della riforma, il Coordinamento dei Garanti dei diritti delle persone private della libertà personale auspica che si possa trovare una risposta definitiva anche per quei quesiti che non sempre hanno trovato adeguate soluzioni, in particolare ci si riferisce alla possibilità che si rendano sempre concreti percorsi di cura anche per i cittadini extracomunitari irregolari.
Coordinamento dei Garanti dei diritti delle persone private della libertà personale Coordinatrice Avvocato Desi Bruno Giustizia: Polizia Penitenziaria in allarme, due suicidi in 48 ore
Apcom, 4 aprile 2008
È allarme e sconcerto nella Polizia Penitenziaria per i due casi di agenti suicidi verificatisi a in meno di 48 ore. Dopo il caso di Biella segnalato dal Sappe (Sindacato Autonomo degli agenti della Polizia Penitenziaria) un altro caso viene denunciato in mattinata dall’Osapp: un agente penitenziario, Giovanni Colasurdo, di 47 anni si "è ucciso stamani nel carcere di Matera, dove era in servizio, sparandosi un colpo di pistola alla testa con l’arma di ordinanza, una calibro nove". "Il suicidio - riferisce l’Osapp in una nota - è avvenuto nello spogliatoio di una struttura utilizzata dagli agenti di custodia: i colleghi di Colasurdo, che svolgeva compiti amministrativi e non era a contatto con i detenuti, hanno sentito il colpo e hanno soccorso il collega (che era sposato e aveva tre figli), ma non hanno potuto aiutarlo in alcun modo". La Polizia di Stato sta facendo accertamenti per risalire al movente del gesto, forse legato ad una crisi depressiva: le indagini sono coordinate dal pm di Matera, Paola Morelli. L’Organizzazione Sindacale Autonoma della Polizia Penitenziaria alla luce dei fatti accaduti stamattina a Matera "esprime tutta la sua riprovazione per un fenomeno che il Dipartimento non è stato in grado di anticipare, o quanto meno comprendere". "Lo diciamo da tempo, ma questa volta lo chiediamo senza mezzi termini, e senza giri di parole: il Cons. Ettore Ferrara deve dimettersi", afferma Leo Benedici, segretario generale dell’Osapp. "Non servono giustificazioni e spiegazioni di circostanza, come qualcuno si affretta ad esternare quando accadono fatti gravi come questo: il secondo in due giorni". "Il suicidio del collega Colasurdo dimostra, per l’ennesima volta, che gli agenti di polizia penitenziaria non sono più garantiti nell’esercizio delle loro funzioni. E non basta riportare che il collega non fosse a contatto con i detenuti, per allontanare i dubbi che il tragico evento non abbia un’attinenza con il carcere. Le cause certamente verranno accertate, ma la morte di Colasurdo, per il quale esprimiamo vicinanza alla famiglia, - conclude - non sposta di un millimetro le responsabilità di un’Amministrazione miope. Un’Amministrazione che solo adesso si affretta a convocarci".
Poliziotto penitenziario suicida a Biella
"Assume aspetti estremamente preoccupanti il fenomeno dei suicidi tra gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria. Dopo i casi verificatisi negli ultimi mesi in varie città d’Italia, oggi abbiamo avuto notizia di un altro caso a Biella, dove si è tolto la vita un collega di 46 anni. E allora bisogna comprendere ed accertare quanto ha inciso l’attività lavorativa e le difficili condizioni lavorative dei colleghi suicidi nel tragico gesto estremo posto in essere." È il commento di Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria Sappe - la prima e più rappresentativa Organizzazione della categoria - alla notizia di un nuovo suicidio tra gli appartenenti al Corpo. "L’Amministrazione penitenziaria ci ha inviato una comunicazione urgente con cui siamo stati convocati per il 9 aprile alle ore 16 per un’analisi accurata del tragico problema, con la verifica delle condizioni di disagio del personale e l’eventuale istituzione di centri di ascolto. Noi abbiamo affrontato questo angosciante problema durante i lavori del XIX Consiglio nazionale del Sappe che si è appena concluso a Verona, rilevando che è davvero un luogo comune pensare che lo stress lavorativo riguardi solamente le persone fragili. Al contrario, il fenomeno colpisce, inevitabilmente, tutti i lavoratori, e in modo particolare coloro che operano nei servizi di sicurezza e tutela pubblica, che non solo vivono sovente in una costante situazione di rischio, ma spesso vengono a contatto con situazioni di dolore, angoscia, paura, violenza, distruzione e morte non escluse anche le conflittualità interprofessionali in una struttura fortemente gerarchizzata quale è quella della Polizia Penitenziaria. Il Sappe sottolinea in particolare l’effetto burn-out tra i poliziotti penitenziari, "una forma di disagio professionale protratto nel tempo e derivato dalla discrepanza tra gli ideali del soggetto e la realtà della vita lavorativa. Per questo riteniamo che l’istituzione di appositi Centri specializzati in grado di fornire un buon supporto psicologico agli operatori di Polizia - garantendo la massima privacy a coloro i quali intendono avvalersene - possa essere un’occasione per aumentare l’autostima e la consapevolezza di possedere risorse e capacità spendibili in una professione davvero dura e difficile, all’interno di un ambiente particolare quale è il carcere, non disgiunti dai necessari interventi istituzionali intesi a privilegiare maggiormente l’aspetto umano ed il rispetto della persona nei rapporti gerarchici e funzionali che caratterizzano la Polizia Penitenziaria.". Giustizia: affollamento risse e aggressioni, in carcere l'inferno
Comunicato Fp-Cgil, 4 aprile 2008
I gravissimi fatti accaduti recentemente negli istituti penitenziari di Genova Marassi e Bologna, con il sequestro e il ferimento di numerosi agenti della Polizia Penitenziaria, sono solo l’appendice di una lunga serie di episodi negativi che stiamo registrando su tutto il territorio nazionale e che presentano forti analogie con quelli già consumatisi nella situazione d’emergenza affrontata dal Parlamento non più tardi di due anni fa, quando il fallimento della politica fu reso manifesto e la decisione di affidare all’indulto la soluzione del sovraffollamento delle carceri poi definita come essenziale, vitale. Con l’attuale presenza di circa 53.000 detenuti ristretti nelle strutture penitenziarie - a fronte di una capienza tollerata di circa 43.000 posti - e in assenza di quelle misure di contrasto al fenomeno del sovraffollamento che più volte nel passato abbiamo invano invocato, oggi siamo nuovamente giunti alle soglie della drammatica situazione già conosciuta nel recente passato, con l’aggravante - però - di aver già sperimentato quali sono stati i limiti e le conseguenze del provvedimento di indulto recentemente adottato. Serve subito un piano straordinario di sostegno al sistema penitenziario, occorrono investimenti nella prevenzione e nella riabilitazione, c’è bisogno di implementare il ricorso alle misure alternative alla detenzione, dotare il sistema delle risorse essenziali, economiche e umane, è oltremodo necessario, per garantire la sicurezza delle strutture e dei numerosi servizi affidati, che il Dap avvii quanto prima un azione di recupero agli istituti penitenziari da cui dipendono del personale di Polizia penitenziaria distaccato d’ufficio in servizi centrali e/o compiti amministrativi. I poliziotti penitenziari sono stanchi di lavorare in condizioni di assoluto disagio operativo, con mezzi e strumenti inadeguati, di rischiare la vita in ogni turno di servizio espletato negli istituti di pena e/o nei servizi su strada, di operare senza sosta e senza riposo con turni massacranti che vanno ben oltre quelli previsti dai contratti collettivi di lavoro, ore e ore di lavoro straordinario pagato meno di quello ordinario! Chi si candida a governare il Paese nei prossimi anni e dibatte sulla sicurezza sociale non potrà non tener conto di quanto sta accadendo negli istituti penitenziari in queste ore, come invece sembra stia accuratamente facendo in campagna elettorale, non potrà cioè espungere dalla propria agenda politica l’individuazione delle soluzioni indispensabili ad affrontare e risolvere definitivamente le questioni che affliggono fortemente il sistema penitenziario e gli operatori della Polizia penitenziaria.
Francesco Quinti Responsabile Nazionale Fp Cgil Comparto Sicurezza Giustizia: Gravina; revocati gli arresti per Filippo Pappalardi
www.radiocarcere.com, 4 aprile 2008
Filippo Pappalardi, accusato dell’omicidio dei figli Ciccio e Tore, torna in libertà. Il sostituto procuratore della Repubblica di Bari, Antonino Lupo, titolare delle indagini sulla morte dei fratellini Pappalardi, ha chiesto infatti al gip Giulia Romanazzi la scarcerazione dei Filippo Pappalardi, arrestato il 27 novembre scorso e ai domiciliari dal 12 marzo. Il Gip ha accolto la richiesta. Nel provvedimento del gip si legge: "Rilevato che la richiesta trova fondamento negli esiti degli accertamenti tecnici effettuati dal servizio di polizia scientifica, e nelle conclusioni dei consulenti della pubblica accusa. Considerato che gli accertamenti della polizia di Stato e i rilievi tecnici di natura biologica sui reperti rinvenuti sul luogo del ritrovamento delle salme non hanno consentito di acclarare la presenza dell’indagato sul luogo dove i fanciulli hanno trovato la morte". "Quanto alle conclusioni rassegnate nell’elaborato dei consulenti del pm - si legge ancora nelle motivazioni - che le lesioni riscontrate su entrambe le salme sarebbero indicative di un grande traumatismo rappresentato da una precipitazione con assenza di qualsivoglia altra lesività non connessa con le dinamiche della precipitazione e con obiettivizzazione autoptica-istologica della vivenza dei fanciulli al momento della precipitazione".
Agenda di un errore giudiziario
5 giugno 2006. Due bambini di Gravina, Ciccio e Tore, scompaiono nel nulla. Gli investigatori li cercano ovunque, anche in Romania e anche nella cisterna dove, dopo, furono ritrovati. 27 novembre 2007. Filippo Pappalardi viene sottoposto a misura cautelare in carcere con l’accusa di aver ucciso i due figli Ciccio e Tore. Padre padrone. Ignorante e violento. È lui l’assassino. Anche se sono passati un anno e 5 mesi dalla scomparsa dei bambini. Anche se, a questo punto, appaiono labili le esigenze cautelari. Pappalardi deve andare in carcere prima del processo. 25 febbraio 2008. Per caso, in una cisterna di un edificio di Gravina vengono ritrovati i resti dei corpi di Ciccio e Tore. 3 marzo 2008. La difesa chiede la scarcerazione di Pappalardi. I Pm si oppongono. Secondo l’accusa Pappalardi deve restare in carcere. 8 marzo 2008. Mentre si attende la decisione del Gip Giulia Romanazzi, il Presidente del tribunale del riesame di Bari, dott.ssa Nettis che già aveva rigettato la richiesta di scarcerazione di Pappalardi, sul Corriere della Sera afferma: "La situazione non è cambiata, anche alla luce dei due corpi ritrovati." Pappalardi è colpevole. 12 marzo 2008. Il Gip dispone la detenzione domiciliare nei confronti di Pappalardi. 3 aprile 2008. Viene depositata la consulenza dei medici legale. "La caduta è stata accidentale". 4 aprile 2008. Il Pm Lupo, chiede la scarcerazione di Pappalardi. Il gip Romanazzi accoglie la richiesta e Pappalardi torna in libertà. Giustizia: Osapp; veglie di protesta a Torino, Napoli e Viterbo
Comunicato Osapp, 4 aprile 2008
L’organizzazione sindacale autonoma della Polizia penitenziaria ha disposto, per la notte tra il 4 e il 5 aprile prossimo davanti al carcere "Lorusso e Cotugno" di Torino, tra il 9 e il 10 aprile davanti l’istituto di Napoli-Poggioreale, e entro la fine del mese, davanti l’istituto penitenziario di Viterbo, veglie di protesta del personale di Polizia penitenziaria per sensibilizzare l’opinione pubblica e le forze politiche, impegnate nella sfida elettorale, sul problema della sicurezza e della vivibilità delle strutture penitenziarie". Lo comunica una nota dell’Osapp. "Le carceri - ha dichiarato il segretario generale dell’Osapp Leo Beneduci - diverranno presto una delle più grandi piaghe del paese, almeno pari a quelle della sicurezza sul lavoro e del potere di acquisto dei salari, ma nessuno se ne sta accorgendo. Negli anni precedenti una politica miope e un’amministrazione, volta al raggiungimento di posizioni di potere e di vantaggio economico per i propri dirigenti, hanno indotto a pensare che i problemi del carcere fossero esclusivamente interni. Il sovraffollamento ha generato non solo problemi di vivibilità, e di minori spazi disponibili per le persone costrette alla detenzione, ma anche e soprattutto assenza di sicurezza per l’accresciuta promiscuità nelle sezioni. Il minor grado di salvaguardia determina, tra le altre cose, l’aumento di pericolose relazioni tra esponenti delle varie cosche criminali, che non potendo più essere controllati adeguatamente, creano quelle affiliazioni determinanti per i rapporti all’esterno. E su questo - ha sottolineato il segretario Osapp - è necessario porre un alto grado di attenzione. Abbiamo scelto Torino, Napoli e Viterbo quali istituti simbolo delle diverse e gravi realtà penitenziarie sul territorio: per la presenza crescente di extracomunitari e di problemi connessi alle tossicodipendenze per Torino, alle carenze igienico-sanitarie per Napoli-Poggiorale, o all’obbligo imposto dal dipartimento dell’amministrazione di aprire, senza personale supplementare, una intera sezione ad alto indice di vigilanza a Viterbo per quei detenuti di particolare pericolosità sociale. Tutto questo condito dall’assoluta inerzia dei vari dirigenti generali dell’amministrazione. La totale disorganizzazione dei reparti, e le gravi carenze di organico (solo a Torino mancano 274 agenti su 980 previsti, mentre a Poggioreale ne risultano mancanti 200 su 946), ci hanno portato a prendere questa decisione. Le aggressioni e gli atti di violenza da parte di detenuti aumentano ogni giorno, come se questi ultimi fossero ormai consapevoli che l’unico Corpo di polizia dello Stato, addetto non solo alla sicurezza e alle funzioni di polizia ma anche al reinserimento sociale, si mostri oramai come lasciato completamente al suo destino. Quelle di Torino, Napoli e Viterbo saranno tappe fondamentali di un lungo percorso, in vista di una grande manifestazione nazionale della Polizia penitenziaria a Roma subito dopo l’insediamento del nuovo governo. Per ogni appuntamento - ha specificato Beneduci -, a cui non è escluso si aggiunga un sit-in permanente davanti Bologna-Dozza, verrà scelta una diversa problematica e una diversa lettura del problema della sicurezza. Guardare al futuro nell’attuale Amministrazione penitenziaria, oggi, è come guardare alle sorti dell’Alitalia, certo senza il rischio di licenziamenti o di acquisizioni straniere, ma con gli stessi miliardi spesi negli anni dallo Stato e dagli Enti territoriali senza ottenere altro che maggiore disagio e sofferenza per il personale e per l’utenza, e maggiori rischi per la società civile. La solidarietà, come quella ricevuta per l’iniziativa di Torino, oramai non ci lusinga più. Il sostegno dei politici è più che naturale durante la campagna elettorale, e questo non ci sorprende affatto. Quello che serve al più presto è una politica che guardi alle mille cose da fare: a partire dall’individuazione di un ministro della Giustizia competente ed interessato non solo dei problemi giudiziari ma anche di quelli penitenziari, passando per la completa rifondazione del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria attraverso l’ingresso di nuovi dirigenti provenienti da altre amministrazioni pubbliche o private e di comprovate capacità manageriali, per arrivare infine, ad una integrale riforma del Corpo di Polizia penitenziaria che riconosca per intero le competenze e le professionalità esercitate dai 42 mila agenti penitenziari Bologna: Scotti chiede notizie; Uil risponde "cacci Provveditore" di Francesco Mura
Il Bologna, 4 aprile 2008
Dopo la tempesta di martedì sera ci si aspettava un po’ di quiete ma nel carcere della Dozza sembra proprio non esserci pace. Mentre da una parte il Pm Valter Giovannini (che ha rinunciato a sentire i tre detenuti) smentisce chi voleva alimentare l’ipotesi di un tentativo di fuga di massa o di rivolta, assicurando che "dalle carte processuali non emerge nulla che faccia pensare ad un tentativo di evasione o ad una rivolta", e contestava ai rivoltosi i reati di sequestro di persona, lesioni, resistenza e rapina aggravata, dall’altra a gettare benzina sul fuoco ci pensava, manco a dirlo, proprio il provveditore Nello Cesari. Le dichiarazioni apparse su un quotidiano locale con le quali commentava l’episodio, poi smentite a gran voce, come "marginale per il pianeta carcere" e "non ci si muove da soli", non sono andate giù alla Polpen-Uil nazionale che ha chiesto senza tante mezze misure la rimozione dall’incarico del dirigente penitenziario. "Quanto dichiarato dal Provveditore Regionale dell’Emilia Romagna - si legge in una nota diffusa ieri - nel pomeriggio di ieri - è sconcertante nel merito e nel metodo. Purtroppo avevamo ragione nel temere che alla fine avrebbe fatto volare gli stracci". Un attacco probabilmente covato a lungo e che finalmente può esplodere con tutta la sua forza "Il Provveditore Cesari - continua il documento - ha ancora una volta dimostrato incompetenza e scarsa conoscenza dei servizi interni al carcere". Poi, dopo aver accusato il provveditore con un eloquente "È evidente il tentativo di mascherare ben definite e precise responsabilità che stanno in capo al Provveditore Regionale dell’Emilia Romagna", la Polpen-Uil rivolge un invito al ministro della Giustizia "Ora il Ministro Scotti conclude il coordinamento nazionale del sindacato - non può sottrarsi all’immediato avvicendamento del Dr. Cesari, che diventa atto utile e necessario". Il ministro della Giustizia, dal canto suo, ha chiesto al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Ettore Ferrara, di essere informato su quanto accaduto nel carcere di Bologna. "Il Guardasigilli - si legge nella nota diffusa dal ministero - ha chiesto di acquisire tutte le notizie per valutare la necessità di eventuali provvedimenti che incidano sulle condizioni di sicurezza degli agenti di polizia penitenziaria che nella struttura operano". Poi conclude con un invito affinché "tutte le notizie per valutare la necessità di eventuali provvedimenti che incidano sulle condizioni di sicurezza degli agenti di polizia penitenziaria che nella struttura operano". Un intervento che getta acqua sul fuoco delle polemiche ma la tensione, tra gli agenti, resta comunque alta. Il sequestro dell’agente è solo la punta dell’iceberg di problemi e malumori di vecchia data. Qualcuno pensa che ci sia in atto una sorta di guerra interna e non solo tra detenuti. Troppi episodi in così poco tempo, e comunque da quando sono arrivati il nuovo direttore e il nuovo comandante, fanno quantomeno riflettere. Di certo c’è chi pensa, non si capisce se in questa ipotesi ci sia più malignità o verità che si stia tentando di riportare alla Dozza la vecchia dirigenza Costi quel che costi. Sarà così?
Il disagio unisce agenti e detenuti
Il sequestro dell’agente potrebbe essere stato preparato prima con tanto di prove come nei film? La domanda appare d’obbligo visto che nei giorni scorsi alcuni detenuti avrebbero tentato, per fortuna senza riuscirci, di "scippare" le chiavi delle celle a un altro agente. Un tentativo andato a vuoto che, alla luce di quanto accaduto martedì sera, fa pensare a una cosa organizzata qualche giorno prima. da chi e perché sarà il magistrato a chiarirlo. Quello che comunque è ormai chiaro a tutti è che alla Dozza non era tutto oro quello che luccicava. Le preoccupazioni sulla sicurezza all’interno del carcere nascono da lontano e sono sotto gli occhi di tutti. Come la situazione igienico sanitaria. Sembrerebbe che da mesi, e non da settimane come si vorrebbe fare credere, detenuti e guardie (in tutto una cosa come 1.400 persone) condividono lo stesso problema: il riscaldamento. Delle tre caldaie situate all’interno del carcere ne funzionerebbe solo una e deve servire per l’acqua e per riscaldare l’intera struttura. Dalle 6 del mattino viene utilizzata per l’acqua calda mentre dalle 24 alle 5 per riscaldare. Le altre due sono ferme, questa la giustificazione, perché mancano i soldi per farle funzionare. Siamo forse arrivati al capolinea. Cagliari: Caligaris (Psi); no a trasferimento detenuto invalido
Agi, 4 aprile 2008
"Il detenuto sardo Antonino Loddo, affetto da una malattia progressiva invalidante ormai all’ultimo stadio che lo costringe alla totale immobilità, con un quadro clinico preoccupante per la perdita di peso e le piaghe da decubito è stato rimandato nel carcere romano di Rebibbia in quanto ritenuto in grado di affrontare il viaggio e di restare in carcere. È una decisione grave, incomprensibile e contraria a quanto prevede la legge sull’ordinamento penitenziario e la Costituzione". Lo sostiene la consigliera regionale socialista Maria Grazia Caligaris (Partito Socialista), componente della Commissione "Diritti Civili" sottolineando che il trasferimento "mette seriamente a rischio la vita di un uomo che, peraltro, poteva restare benissimo a Buoncammino in attesa del processo d’appello previsto tra un mese". "Desta sicuro sconcerto - ha aggiunto - che un medico, dopo aver esaminato le condizioni di Antonino Loddo, in evidente deperimento organico, possa affermare la compatibilità della permanenza in carcere di un detenuto quasi paralizzato. Appare inumano inoltre autorizzare il viaggio di una persona che pesa circa 40 chili con una statura di 180 cm allontanandolo dai familiari e dal figlio di 8 anni le cui condizioni di salute sono precarie, dopo un trapianto di midollo osseo. Risulta un atteggiamento persecutorio e contrario al senso di umanità destinare una persona che necessita di cure specialistiche in un penitenziario della penisola dove difficilmente potrà essere raggiunto dai familiari". "La decisione del medico incaricato di fare una perizia dalla corte d’appello in seguito all’istanza con cui l’avvocato Stefano Piras legale di Antonino Loddo aveva chiesto il ricovero in una struttura sanitaria - ha osservato ancora la consigliera socialista, sollecitando un intervento urgente del ministero della Giustizia - appare totalmente in contrasto con quanto certificato dal professor Francesco Marrosu, ordinario di Neurologia della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Cagliari che il 17 marzo scorso aveva sollecitato un ricovero urgente per eseguire markers tumorali. Vicenza: il Consorzio "Prisma" per il reinserimento lavorativo
Ristretti Orizzonti, 4 aprile 2008
Il Progetto del Consorzio Prisma, che raggruppa la maggior parte delle cooperative sociali beriche è finanziato dalla Fondazione Cariverona. Colloqui individuali in carcere, verifica delle disponibilità occupazionali delle cooperative associate, accompagnamento dei detenuti al momento dell’avvio al lavoro e tutoraggio durante il periodo dell’occupazione. Sono queste le tappe principali del servizio che il Consorzio Prisma - che riunisce più di 60 cooperative sociali della provincia di Vicenza - dedica da alcuni anni al reinserimento di detenuti nel mondo del lavoro. Un servizio svolto settimanalmente grazie ad uno sportello polinformativo presso la Casa Circondariale San Pio X di Vicenza, attraverso il quale l’operatore incontra i detenuti. Il progetto ha consentito, dal 2006 ad oggi, di effettuare 48 colloqui (metà con detenuti italiani e metà con detenuti stranieri), dei quali 19 hanno portato alla conclusione positiva del reinserimento al lavoro. Il progetto si è sviluppato in questi ultimi anni grazie ad un finanziamento della Fondazione Cariverona. "L’Agenzia Inserimento Lavorativo del Prisma - spiega il responsabile dott. Daniele Grimaldi - continua a considerare il lavoro come uno strumento di riabilitazione e occasione per re-integrarsi a pieno nel tessuto del territorio. Collaboriamo in primis con la Casa Circondariale e con i Servizi Sociali del Ministero di Grazia e Giustizia e poi con tutte le associazioni vicentine che hanno come fine il recupero sociale del detenuto". L’inserimento lavorativo dei detenuti è un servizio che trova riconoscimento nella stessa Costituzione Italiana, che all’articolo 27 stabilisce il valore riabilitativo delle pene, che "devono tendere alla rieducazione del condannato". Il lavoro diventa così una vera occasione di promozione sociale ed umana, di inclusione sociale e di autonomia. Nel concreto l’educatore dello sportello polinformativo è a disposizione tutti i giovedì mattina dei detenuti che fanno richiesta di colloquio. Un servizio che permette di orientare la ricerca di un lavoro una volta scontata la pena, rendendo più accessibile l’inserimento sia in aziende che in cooperative sociali associate al Prisma. Già dal ‘96 il Consorzio opera per l’inserimento lavorativo dei detenuti: un insieme di attività fatto di contatti, ascolto e ricerca di possibilità di occupazione svolto in collaborazione con l’amministrazione penitenziaria. Da maggio 2005 si è potuto potenziare il servizio proprio grazie al contributo della Fondazione Cariverona. Oltre all’attività dello sportello all’interno della struttura carceraria, infatti, il servizio prevede anche una serie di contatti esterni con realtà produttive al fine di giungere alla definizione di percorsi lavorativi personalizzati, che per il detenuto diventano occasione di reinserimento sociale. Con un vantaggio significativo anche per la società, che riesce così a creare i presupposti per evitare alla persona di cadere di nuovo, una volta fuori, nella "tentazione" della delinquenza. L’attività si rivolge ai detenuti che per le caratteristiche della pena possono beneficiare di misure alternative, oppure a quelli già nella fase finale del periodo di detenzione e quindi in grado di iniziare a progettare un futuro da persone "normali". Venezia: Caruso (Sa); 5 bambini in carcere… è colpa nostra
Ansa, 4 aprile 2008
I deputati Gino Sperandio e Francesco Caruso, candidati della Sinistra Arcobaleno alla Camera nella circoscrizione Veneto 2, hanno effettuato oggi una visita al carcere femminile della Giudecca di Venezia. "Un’ispezione parlamentare contro i torturatori della Giudecca - afferma Caruso -, dove i torturatori non sono certo la direttrice e il personale della Polizia Penitenziaria ma siamo noi, i parlamentari della scorsa legislatura, che non hanno portato a termine il disegno di legge sulle detenute madri, malgrado la sua approvazione in commissione giustizia della Camera". Alla Giudecca, infatti, oltre alle 90 detenute attualmente recluse, ricorda Caruso, ci sono cinque neonati di meno di tre anni "rinchiusi dietro le sbarre del carcere senza nessuna colpa". "I loro sguardi e i loro corpicini rinchiusi in una cella - sottolinea - sono un pugno nello stomaco, uno schiaffo ai principi elementari di democrazia e garantismo". "Quel provvedimento - afferma Sperandio - quale che sia la maggioranza di governo che uscirà dalle urne del 13 aprile, dovrà essere calendarizzato e approvato in tempi brevi, per una questione minima di civiltà: basterebbe visitare il reparto "asilo nido", dove sono rinchiusi questi bambini, per rendersi conto dell’urgenza umanitaria di un simile provvedimento". Milano: Ipm "Beccaria" scoppia, a rischio le attività educative
Ansa, 4 aprile 2008
"Sono troppi" i detenuti al carcere minorile Beccaria di Milano tant’è che gli agenti di Polizia Penitenziaria non riescono più a garantire "un adeguato trattamento rieducativo". L’allarme è stato lanciato oggi dai sindacati degli agenti in servizio nel più grande carcere per minorenni d’Italia. "C’e un sovraffollamento che non si vedeva da anni - ha spiegato Francesco Gravina, rappresentante della Uil - e il personale è appena sufficiente. Non riusciamo a garantire un adeguato trattamento rieducativo ma solo un lavoro di contenimento dei giovani, e questo non ci sta bene. Non vogliamo tenere i nostri ospiti sotto chiave - ha proseguito -: vorremmo che i ragazzi siano in grado di svolgere la loro normale attività , come i corsi, la scuola e così via". Stando alle cifre fornite dal rappresentante della Uil, l’istituto di pena di via Calchi Taeggi ha una capienza di 50 posti per le sezioni maschili e 14 per quella femminile. Da qualche settimana invece i detenuti sono aumentati arrivando a 68 ragazzi e 14 ragazze. Una ventina di persone in più, il che per un carcere minorile, dove i giovani vanno seguiti uno ad uno, non è poco. "Inoltre - ha aggiunto Gravina - siamo preoccupati perché, in vista dei lavori di ristrutturazione del Beccaria, avrebbero dovuto cominciare i trasferimenti e, invece, continuano ad arrivare persone". E che la situazione non sia facile lo ha confermato anche il direttore del Beccaria, Sandro Marilotti: "È vero, ci sono delle difficoltà, ma tutto è sotto controllo, anche per quanto riguarda le attività educative". Il responsabile dell’istituto ha parlato di 14 ragazzi in più ("sembrano numeri bassi ma la situazione in un carcere minorile è diversa da un carcere ordinario") e ha spiegato di aver chiesto di poterne trasferire qualcuno: "Purtroppo - ha detto - le altre strutture non hanno posto", come a Roma dove sono in corso lavori di risistemazione o a Firenze dove le sezioni ristrutturate non hanno ancora aperto. Sandro Marilotti, precisando che il numero dei detenuti è cresciuto negli ultimi venti giorni e che ieri c’è stato "il picco", ha anche assicurato che per giugno, quando verrà aperto il cantiere per rimette a nuovo le varie sezioni, almeno una ventina di ragazzi saranno trasferiti in altri istituti di pena minorili. Torino: all’Ipm "Ferrante Aporti" 2 ragazzi tentano il suicidio
Ansa, 4 aprile 2008
Due ragazzi marocchini hanno tentato ieri il suicidio all’interno del carcere minorile Ferrante Aporti di Torino: uno ha tentato di impiccarsi: dopo essere stato portato in ospedale, è stato dimesso stamattina; l’altro, nell’ effettuare un gesto dimostrativo, si è tagliato una vena con un oggetto rudimentale. Soccorso e trasportato in ospedale, è stato poco dopo dimesso. La notizia si è appresa solo oggi. Sugli episodi è stata aperta un’inchiesta interna, ma al momento non è ancora chiaro che cosa possa avere spinto i giovani a tentare il suicidio. Negli ultimi tempi il clima all’interno della struttura si è un po’ riscaldato, soprattutto nella lotta interna tra gruppi di detenuti immigrati. L’altro ieri due agenti di polizia penitenziaria sono stati aggrediti, senza tuttavia particolari conseguenze.
Comunicato del Centro Giustizia Minorile del Piemonte Valle d’Aosta e Liguria
Con riferimento agli articoli pubblicati sulle pagine regionali di alcuni quotidiani, in data odierna, relativi a due episodi di autolesionismo, accaduti nei giorni scorsi presso il carcere minorile "Ferrante Aporti" di Torino, il Dirigente interregionale della Giustizia Minorile, precisa quanto segue: 1) Gli episodi di autolesionismo dei ragazzi detenuti sono purtroppo fenomeni che ciclicamente si ripresentano. In genere avvengono in momenti di sovraffollamento con contemporanea presenza di più ragazzi con serie problematiche di tipo psicologico o psichiatrico. 2) L’Amministrazione interregionale della Giustizia Minorile ha messo da tempo sotto inchiesta la Direzione dell’Istituto Penale per i Minorenni di Torino, con riferimento alla gestione complessiva dell’Istituto e, in particolare, alla gestione delle risorse umane. Gli esiti dell’inchiesta e le conseguenti decisioni dell’Amministrazione saranno comunicati, come di consueto, a tutte le Organizzazioni Sindacali.
Il Dirigente Dott. Antonio Pappalardo Immigrazione: Moratti; amareggiata da parole di Tettamanzi
Il Corriere della Sera, 4 aprile 2008
L’entusiasmo della vittoria Expo, la doccia fredda del cardinale Dionigi Tettamanzi dopo lo sgombero dei rom alla Bovisasca: "Si è scesi, abbondantemente, sotto il rispetto dei diritti umani". Letizia Moratti, sindaco di Milano, non ci sta. "Alla Bovisasca abbiamo rispettato i diritti delle persone". Accusa il governo di essere stata lasciata sola. Altro che collaborazione bipartisan come per l’Expo. Solitudine. Che dura da due anni. Da quando il 21 settembre 2006 il governo firmò con Milano un protocollo sull’emergenza rom. L’ultima beffa? Ieri, quando ha telefonato al ministro dell’Interno Giuliano Amato chiedendo a che punto fosse la nomina del commissario per l’emergenza rom. Risposta: "Dal ministero hanno detto che il ministro doveva riguardarsi i documenti".
Sindaco, alla Bovisasca c’erano donne incinte e bambini… "Alla Bovisasca c’era una situazione di rischio per la salute perché c’è l’arsenico, l’amianto, i metalli. Avevo ricevuto dalla Asl la richiesta di allontanamento. Come ufficiale sanitario non potevo non intervenire".
Chi ha coordinatogli interventi? "C’è stata una riunione in Prefettura e gli interventi sono stati coordinati dal Prefetto, non dal Comune. Abbiamo fatto un’operazione di informazione preventiva e abbiamo rinnovato la proposta di prenderci in carico donne, bambini e disabili. Ci hanno detto che preferivano tornare in Romania".
Non c’è contraddizione tra una Milano che ha vinto l’Expo con un progetto di aiuto ai Paesi in via di sviluppo e le comunità deboli con gli sgomberi dei rom? "Nessuna contraddizione. Abbiamo sempre detto che Milano è una città che unisce il binomio legalità-accoglienza. Non può esserci accoglienza senza legalità. Tutto quello che è stato fatto è stato fatto nel rispetto delle persone. Alla Bovisasca sono stati rispettati i diritti delle persone".
Che cosa non ha funzionato? "Siamo stati lasciati soli".
Da chi? "Dal governo".
Perché? "Avevamo segnalato l’emergenza rom già al momento della mia candidatura. Nel settembre 2006 abbiamo firmato un protocollo con il ministero dell’Interno per la realizzazione di un piano strategico di emergenza rom. Due anni fa! A maggio del 2007 firmiamo il patto per la sicurezza. All’articolo 2 si parla di rom. Della nomina di un commissario straordinario nella figura del prefetto per avviare il piano di emergenza sulla base di capacità di assorbimento del territorio. Nonostante le numerose mie richieste non è successo niente".
A quando risale l’ultima richiesta? "Ieri. Il ministro Amato mi ha detto che avrebbe iniziato la procedura. Speriamo...".
Giriamo la domanda. Che cosa ha fatto Milano per l’emergenza rom? "Stanziamo 7 milioni di euro per la manutenzione straordinaria dei campi e altri 4 e mezzo per interventi di tipo sociale. Solo per i nomadi. Facciamoci un esame di coscienza e vediamo quanto mettiamo noi e quanto mette il governo. Così si riesce a capire chi è inadempiente".
L’Expo è passata alle cronache come la vittoria del Sistema - Italia, del lavoro di squadra tra governo di centrosinistra e Comune di centrodestra. Tutto finito? "In questo caso non c’è stata collaborazione e spirito bipartisan".
Perché? "C’è una visione che non riesce a conciliare la legalità con l’accoglienza".
Che fine ha fatto il Patto di legalità? "Stiamo estendendo il patto agli altri campi. Quelli regolari. Per farlo dobbiamo avere l’aiuto delle altre istituzioni. Ora siamo soli". Droghe: Asl Marche rimborsano farmaci a base di cannabis
Notiziario Aduc, 4 aprile 2008
La Regione Marche apre alla cannabis per uso terapeutico. La giunta ha autorizzato i servizi di farmacia delle Aziende ospedaliere, dell’Inrca e delle Asur a garantire l’erogazione dei cannabinoidi a carico del Servizio sanitario regionale. Attualmente non sono disponibili in Italia formulazioni commerciali registrate, basate su principi attivi e su derivati di sintesi dei cannabinoidi. Questi farmaci sono reperibili solo in alcuni Paesi europei e Nordamericani, in Israele e in Sudafrica. Il ministero della Salute ha inserito lo scorso anno alcuni derivati naturali o di sintesi dei cannabinoidi nella nuova classificazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope. Questo fa sì che alle farmacie ospedaliere sia consentita l’importazione di tali medicinali purché abbiano acquisito la prescrizione medica, l’assunzione di responsabilità del medico e l’autorizzazione all’importazione concessa dall’Ufficio centrale stupefacenti del Ministero della Salute. L’uso di questi farmaci è indicato nella spasticità secondaria a malattie neurologiche, nella nausea e nel vomito non sufficientemente controllati indotti da chemioterapia o radioterapia, nel dolore cronico neuropatico. Droghe: Gasparri (Pdl); la legge vieta farmaci con cannabis?
Notiziario Aduc, 4 aprile 2008
"La decisione della giunta regionale delle Marche di distribuire cannabis gratis a scopi terapeutici è contro legge e denunceremo nelle sedi opportune questa illegalità". Lo annuncia l’on. Maurizio Gasparri di An-Pdl a proposito della decisione dell’esecutivo regionale di autorizzare i servizi di farmacia delle Aziende ospedaliere, dell’Inrca e dell’Azienda sanitaria regionale unica a erogare cannabinoidi per uso terapeutico, a carico del Servizio sanitario regionale. "Non ci sono dati scientifici certi sui benefici dell’uso della cannabis e lo stesso mondo medico è fortemente combattuto. Non solo, quindi, non ci sono gli estremi di legge per somministrare cannabis gratis, ma soprattutto non c’è il supporto di un dato scientifico. Prova ne è il fatto che deve essere il paziente a farne richiesta esclusiva, non potendo il medico assumersi la responsabilità di somministrare quella che comunque resta una sostanza psicotropa". "Pensavamo - afferma poi Gasparri, attaccando la decisione sul piano politico - che con la caduta del governo Prodi ci saremmo liberati per sempre dall’incubo di una sinistra superficiale che liberalizza l’uso della droga. La decisione della regione Marche, disposta a sborsare milioni di euro per l’acquisto delle compresse verdi, è uno scatto in avanti intollerabile che va denunciato. Sull’uso terapeutico della cannabis sono state dette solo tante bugie con l’unico chiare obiettivo che ha sempre avuto la sinistra: la legalizzazione della droga". Droghe: Milano; studenti contro "kit", occupano Assessorato
Notiziario Aduc, 4 aprile 2008
Intorno alle 10.30 di questa mattina una cinquantina di studenti ha occupato simbolicamente l’ingresso dell’assessorato alla Salute del Comune di Milano in Largo Treves, nel pieno centro del capoluogo lombardo per protestare contro la distribuzione gratuita nelle farmacie del kit antidroga ideato dall’amministrazione. Per circa un’ora i membri dei collettivi studenteschi hanno volantinato ed esposto striscioni con slogan antiproibizionisti e contro l’assessore alla Salute Giampaolo Landi di Chiavenna.La manifestazione si è svolta in modo del tutto pacifico. La risposta dell’assessorato non si fa attendere nella seguente nota: "Gli studenti che hanno protestato con foga davanti alla sede dell’Assessorato hanno ripetuto più volte che non è vero che tutte le droghe fanno male. Ecco, è su questo che dobbiamo intervenire con forza. Non possiamo far passare un concetto di questo tipo ai nostri figli", ha dichiarato l’assessore alla Salute Giampaolo Landi di Chiavenna. "Uno dei pericoli principali delle droghe è che possono essere piacevoli e il piacere è derivato da una alterazione dello stato mentale. Questa alterazione inizialmente gradevole sbilancia psiche e corpo con effetti e danni diversi per ciascuna droga. Alcune possono essere dannose in acuto e nell’immediato, mi riferisco a danni gravi sino alla morte subito dopo l’assunzione: droghe sintetiche, cocaina. I danni si possono sviluppare nell’uso continuato nel tempo, in modo cronico: questo è il caso di quelle sostanze stupefacenti a cui di solito ci riferiamo definendole "leggere". Possiamo pertanto dire con sicurezza che tutte le droghe sono pericolose in quanto inquinanti il nostro cervello e il nostro corpo. Sottolineo, inoltre, l’assurdità di una società, soprattutto costituita da giovani, che si batte contro gli inquinanti e che poi accetta che sia inquinato il funzionamento proprio della mente e del corpo, unici tramiti che consentano di interagire con il mondo che si vorrebbe più pulito". "Vorrei che i ragazzi riflettessero sul concetto di pericolo", ha proseguito Landi di Chiavenna, "quando si utilizzano droghe in momenti di interazione con gli altri, come chi assume sostanze al lavoro - ed accade sempre più spesso -, queste persone divengono estremamente pericolose non solo per se stessi, ma per tutti coloro che con loro hanno a che fare: pensiamo a chi guida, a chi bada ai nostri figli, a chi gestisce questioni finanziarie. I dati che stima l’Istituto Mario Negri di Milano sono allarmanti. Quotidianamente in città si consumano 34.400 dosi di cannabis, 10.555 di cocaina, 2.800 di eroina, 411 di amfetamine. Il 4% degli abitanti tra i 15 e i 34 anni consumerebbe abitualmente cocaina". "Per quanto riguarda i costi di cui mi hanno chiesto spiegazione i ragazzi dei collettivi studenteschi: 680.000 euro è l’investimento con cui l’Assessorato alle Politiche Sociali finanzierà una serie di progetti in ambito culturale, musicale ed artistico che trasmetteranno messaggi educativi. Vogliamo infatti che ci sia un approccio globale e integrato verso il fenomeno dell’uso e abuso delle sostanze stupefacenti. L’Assessorato alla Salute rientra nel Piano Antidroga del Comune di Milano con due progetti: "No alla droga - parliamone in famiglia", meglio conosciuto come la distribuzione gratuita di un opuscolo informativo e del kit antidroga, iniziato in Zona 6 l’anno scorso e ora allargato a tutta la città con il coinvolgimento di 387 farmacie private e comunali, è costato 16.000 euro per i test rilevatori di sostanze stupefacenti. Il secondo progetto è la promozione di stili di vita sani e comportamenti corretti riguardo la diffusione delle sostanze stupefacenti nelle scuole secondarie di primo grado di Milano. L’iniziativa, in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia e ASL Città di Milano, è triennale e coinvolge studenti, genitori, personale docente e non docente. Il costo per il Comune di Milano è pari a 3.500 euro per ogni scuola. Al momento gli istituti che hanno aderito sono una ventina. Con questo progetto abbiamo ben chiari alcuni obiettivi: ridurre la domanda di droghe, accrescere il livello di "resistenza sociale" alle droghe e alla cultura della normalizzazione dell’uso di droghe nella popolazione, rendere coscienti i giovani e i loro educatori della presenza di un mercato di sostanze stupefacenti che tende sempre più a considerare le droghe come beni di consumo per il divertimento e per stare bene e inoltre vogliamo rinforzare le funzioni educative dell’istituzione scolastica e della famiglia". "Ho preso contatti con alcuni degli studenti che hanno manifestato in Largo Treves per creare l’occasione per un incontro nelle loro scuole e mi impegnerò con i presidi degli istituti perché questo possa diventare realtà al più presto. Siamo già al lavoro da tempo per organizzare corsi di educazione sessuale nelle scuole, mirati all’informazione e all’informazione dei ragazzi riguardo alla trasmissione delle malattie sessualmente trasmesse e alla contraccezione per una sana sessualità. Il mio impegno, su questi temi, è forte e determinato", ha concluso l’assessore alla Salute. Droghe: carabinieri condannati, rubavano cocaina e hashish
Notiziario Aduc, 4 aprile 2008
Otto condanne, due proscioglimenti e altri otto rinvii a giudizio. È il verdetto emesso ieri mattina dal giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Bergamo, Bianca Maria Bianchi, al termine del processo con rito abbreviato a carico dei 21 presunti componenti della cosiddetta banda della Panda nera, il gruppo di carabinieri e vigili urbani che avrebbe imperversato nella Bassa Bergamasca tra il novembre 2005 e il giugno 2007, rendendosi responsabile di pestaggi nei confronti di immigrati, ma anche di sequestri non verbalizzati di droga, telefoni cellulari e soldi. Per altri tre è stato concesso invece il patteggiamento. Tutti i personaggi di spicco della vicenda sono stati ritenuti colpevoli, a partire dall’ex comandante della stazione dell’Arma di Calcio, Massimo Deidda, considerato dalla procura il leader carismatico della banda, e condannato a cinque anni e due mesi. Per lui il pubblico ministero Enrico Pavone aveva chiesto quattro anni e mezzo per associazione a delinquere, tentata concussione e peculato. La condanna più pesante è stata inflitta al collega Viviano Monacelli, cui non sono state concesse neppure le attenuanti generiche. Anche per lui il pm aveva chiesto una pena minore, a cinque anni. Il giudice lo ha ritenuto colpevole di alcuni degli episodi più gravi dell’inchiesta. Oltre a figurare nell’associazione a delinquere, sarebbe stato coprotagonista della cessione di un chilo di hashish a uno spacciatore, dopo che era fallita una trappola per incastrare la persona che glielo aveva venduto. In più, avrebbe partecipato a diversi raid con botte e sequestri di soldi e cellulari, non menzionati nei successivi verbali. Tre anni e otto mesi sono stati inflitti invece al maggiore Massimo Pani, ai tempi comandante della Compagnia dei carabinieri di Treviglio: l’ufficiale era finito nei guai non per aver preso parte alle spedizioni punitive, ma per una tentata concussione (aveva cercato di costringere due carabinieri di Martinengo a non deporre a processo contro un collega) e per la cessione del chilo di hashish per cui è stato condannato anche Monacelli. Il carabiniere di Romano di Lombardia Fabio Battaglia - finito sotto inchiesta per l’episodio del chilo di hashish e per uno dei raid - è stato condannato a tre anni. Tre anni e sei mesi sono stati inflitti invece a Gian Paolo Maistrello, l’agente della polizia locale di Cortenuova, che per la Procura avrebbe partecipato ad alcuni pestaggi e detenuto cocaina e hashish negli uffici del comando dei vigili. Altre pene minori sono state inflitte al maresciallo Michela Francesconi (due anni), Vincenzo Di Gennaro (un anno e sei mesi) e Gerardo Villani (un anno), tutti con la sospensione della pena. Hanno patteggiato invece l’agente della polizia locale di Cortenuova Andrea Merisio (tre anni), il carabiniere di Calcio Danilo D’Alessandro (un anno e undici mesi) e il trentacinquenne trevigliese Giovanni Capozzi (due anni e otto mesi). Prosciolti, invece, Marco Bettarello, agente della polizia locale di Chiari (Brescia) accusato di favoreggiamento, e lo studente Roberto Amato. Altre otto persone sono state rinviate a giudizio.
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