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Giustizia: medicina penitenziaria al Ssn; i contenuti del Decreto
Ministero della Giustizia, 3 aprile 2008
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Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri concernente le modalità e i criteri per il trasferimento al Servizio Sanitario Nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di Sanità penitenziaria
La conclusione di un lungo cammino di riforma
L’emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri concernente le modalità e i criteri per il trasferimento al Servizio Sanitario Nazionale di tutte le competenze della medicina penitenziaria segna la conclusione del lungo percorso iniziato con il decreto legislativo n. 230 del 1999. La riforma è rimasta a lungo incompiuta in quanto in questi anni sono passate al Servizio Sanitario Nazionale le sole materie relative alle tossicodipendenze e alla medicina preventiva. Con il decreto firmato ieri dal Presidente del Consiglio, tutte le competenze sanitarie della medicina generale e di quella specialistica, nonché i relativi rapporti di lavoro e le conseguenti risorse economiche e strumentali, sinora in capo al Ministero della Giustizia, saranno trasferite al Servizio Sanitario Nazionale. Troverà così piena applicazione il principio che riconosce alle persone detenute o internate, alla pari dei cittadini liberi, il diritto all’erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione previste nei livelli essenziali e uniformi di assistenza, con la possibilità di accesso alle risorse tecnologiche già disponibili per la comunità esterna. Il testo del decreto e le linee di indirizzo del nuovo modello organizzativo, nonché della fase di transizione da un sistema all’altro, sono frutto di un’intensa attività di concertazione tra Ministeri della Giustizia e della Salute, Regioni ed Organizzazioni Sindacali.
Cosa cambia: il passaggio delle funzioni
Tutte le funzioni sanitarie (assistenza di base, interventi di urgenza, interventi specialistici, ricovero per acuti e per patologie croniche - Centri Clinici, Ospedali Psichiatrici Giudiziari, reparti per Hiv, reparti per l’osservazione psichiatrica, reparti per la disabilità neuromotoria - riabilitazione, valutazioni e provvedimenti medico legali), svolte dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e dal Dipartimento della Giustizia Minorile, vengono trasferite al Servizio Sanitario Nazionale. Le Regioni garantiscono l’espletamento del Servizio attraverso le Aziende Sanitarie nel cui ambito di competenza sono ubicati gli istituti e servizi penitenziari e i servizi minorili di riferimento.
I principi di riferimento
Massima sinergia tra Servizio Sanitario Nazionale e Amministrazioni Penitenziaria e della Giustizia Minorile negli interventi di tutela della salute e di recupero sociale dei detenuti e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale. Garanzia della continuità terapeutica dal momento dell’ingresso in carcere al ritorno in libertà. Affermazione dell’ambito territoriale come sede privilegiata per la cura e la riabilitazione anche delle persone con disturbi mentali detenute o internate negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, per i quali si prevede un percorso di progressivo superamento proprio grazie alla integrazione con le reti territoriali dei servizi di assistenza e cura. Maggiore attenzione al settore delle tossicodipendenze con la proposta di creazione di aree detentive a custodia attenuata (Day Hospital e Day Service) per il trattamento delle fasi acute.
Le risorse
Il decreto prevede il trasferimento delle risorse finanziarie del Ministero della Giustizia al Fondo Sanitario Nazionale. Tali risorse sono quantificate complessivamente in 157,8 milioni di euro per il 2008, 162,8 milioni di euro per il 2009 e 167,8 milioni di euro a decorrere dal 2010. Le attrezzature, gli arredi, i beni strumentali afferenti alle attività sanitarie di proprietà del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e del Dipartimento della Giustizia Minorile, vengono trasferiti, in base alle competenze territoriali, alle aziende sanitarie locali.
Il personale
Sono trasferiti, con diverse modalità, i rapporti di lavoro del personale medico, paramedico e degli psicologi dal Ministero della Giustizia alle aziende sanitarie del Servizio Sanitario Nazionale. Il passaggio riguarda 476 dipendenti di ruolo dell’Amministrazione penitenziaria, tra dirigenti medici, psicologi, tecnici e infermieri e 4694 dipendenti non di ruolo tra medici incaricati, di guardia, infermieri e ausiliari. Per quanto concerne la Giustizia Minorile il trasferimento riguarda 184 unità tra personale di ruolo e non di ruolo. Giustizia: medicina penitenziaria al Ssn; i commenti dei politici
Rassegna stampa, 3 aprile 2008
Sinistra Arcobaleno: bene la riforma, ma sbaglio non assumere psicologi (Dire) "L’approvazione del Dpcm sul passaggio della medicina penitenziaria nel Servizio sanitario nazionale è indubbiamente un fatto positivo per la tutela delle condizioni di vita e di salute della popolazione carceraria". Lo dichiarano i senatori Cesare Salvi e Gianni Battaglia, che aggiungono: "Tuttavia il provvedimento non risolve l’annosa questione dei 39 psicologi vincitori del concorso nazionale tenuto nel 2004". Nonostante "l’ultima Finanziaria stanziasse fondi al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria anche per la loro assunzione, il provvedimento del governo li ignora". Viene infatti disposto, continuano Salvi e Battaglia, "che le Asl, a cui va l’organizzazione della sanità penitenziaria, possano soltanto attingere alle graduatorie del concorso. Spariscono le risorse aggiuntive erogate in Finanziaria al Ministero della Giustizia". La possibilità "di una loro chiamata si fa perciò del tutto remota. Si tratta - aggiungono - di un atto iniquo nei confronti di chi ha vinto un duro concorso nazionale e si sottraggono importanti risorse professionali alla tutela della salute mentale dei detenuti". Il governo, concludono i due senatori, "deve modificare il Dpcm anche per evitare i costi del contenzioso che produrrà questa decisione".
Balducci (Sa): riforma della sanità è di grande rilievo. (Dire) "Il passaggio della Sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale è un provvedimento di grande rilievo perché consente di tutelare meglio la salute dei detenuti e fornisce più garanzie agli operatori del settore". Lo afferma la deputata Paola Balducci, candidata della Sinistra Arcobaleno nel Lazio e responsabile Giustizia dei Verdi. Balducci sottolinea infine che "la decisione era attesa da molto tempo e che ora sarà necessario vigilare sulla nuova condizione e affinché le regole - conclude la parlamentare - siano attuate fino in fondo".
Nieri (Lazio): garantito diritto salute detenuti. (Asca) "Grazie all’approvazione del decreto del Presidente del Consiglio che riforma la sanità penitenziaria finalmente i detenuti potranno essere curati come tutti gli altri cittadini. Un atto di giustizia che riconosce alla popolazione detenuta un diritto fondamentale". È quanto dichiara in una nota l’assessore al Bilancio, programmazione economico-finanziaria e partecipazione della Regione Lazio, Luigi Nieri. "Ora - prosegue Nieri - sarà compito del Servizio Sanitario Nazionale, e non più degli istituti penitenziari, prendersi cura della salute dei detenuti. Una misura, questa, già prevista dalla riforma sanitaria del 1999 che il governo delle destre aveva impietosamente affossato. Si tratta di un provvedimento che la Regione Lazio aveva anticipato con l’approvazione della legge regionale 7/2007 denominata "Interventi a sostegno della popolazione detenuta", con la quale sono state introdotte importanti innovazioni, non solo sul tema del diritto alla salute, ma anche in materia di formazione professionale, lavoro e trattamento. Ora - conclude Nieri - dobbiamo tutti impegnarci per assicurare ai detenuti, anche nella nostra regione, un’alta qualità delle prestazione sanitarie".
Laurelli (Pd): Lazio ha anticipato le norme nazionali. (Asca) "La Regione Lazio, con la legge 7/2007 sui diritti della popolazione detenuta nelle carceri aveva anticipato i contenuti del decreto del Governo che trasferisce le funzioni dalla sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale". Lo afferma Luisa Laurelli (Pd), Presidente della commissione Sicurezza e Lotta alla criminalità del Lazio. "Nelle fasi di elaborazione e di approvazione della legge del Lazio, ci fu un grande lavoro nelle commissioni consiliari e nella commissione da me presieduta: evidentemente ci avevamo visto giusto. Il Governo, con questo atto, ha compiuto una riforma che senza enfasi può definirsi storica con il passaggio delle competenze dal Ministero di Grazia e Giustizia al Ssn. In questo modo si sancisce un diritto costituzionale che così diventa uguale per tutti, nessuno escluso, nemmeno i detenuti nelle carceri, ai quali saranno garantiti i servizi e l’assistenza di cui hanno bisogno". Laurelli, che si è occupata a lungo delle carceri, e che ha compiuto visite negli Istituti penitenziari del Lazio, ha spiegato che "la Regione Lazio è pronta per attuare le nuove norme e, di concerto con le Asl competenti territorialmente, lancia una nuova sfida sul piano della tutela dei diritti della popolazione detenuta, rispetto ai quali il diritto alla salute è di rilevanza primaria. Bene hanno fatto, pertanto, il sottosegretario Luigi Manconi, i Ministri Livia Turco e Luigi Scotti a portare a compimento un iter che era atteso da 9 anni, visto che questa riforma era prevista dall’epoca in cui era Ministro della salute Rosy Bindi, vale a dire dal 1999. Questa è una dimostrazione ulteriore che il Governo Prodi di cose ne ha fatte tante e quest’ultima non è di secondaria importanza, com’è dimostrato dalla soddisfazione espressa dal mondo dell’associazionismo che da anni è impegnato nelle carceri del Paese ed è pertanto in prima linea con i problemi vissuti dalla popolazione detenuta".
Moretti (Ugl): riforma rischia di aumentare la confusione. (Ansa) "Il rischio concreto di questa riforma è quella di aumentare la confusione già esistente in un settore altamente delicato". Lo dichiara il Segretario Nazionale Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti commentando il decreto sulla sanità penitenziaria. "È molto probabile - spiega il sindacalista - che la percentuale di cure affidate all’esterno, oggi piuttosto bassa, con questa riforma tenderà ad aumentare, prevedendo la scarsa disponibilità dei medici delle Asl a somministrare le prestazioni all’interno degli istituti penitenziari. Di fatto si preannuncia una esternalizzazione che comporterà anche difficoltà nei servizi di piantonamento e trasporto dei detenuti. Senza dimenticare come all’interno delle carceri, proprio per la peculiarità dell’ambito penitenziario, maturino patologie che hanno una loro specificità, spesso di natura psichiatrica o infettiva, come i frequenti casi epatite, per le quali occorre un’attenzione particolare. Anche in vista della promiscuità che si verrà a creare con gli altri pazienti". "Certamente - conclude Moretti - il sistema penitenziario sotto il profilo sanitario richiede un miglioramento e una maggiore funzionalità, ma non crediamo che tali obiettivi si possano conseguire con questa riforma".
Sarno (Uil): dietro l’angolo c’è il caos. (Dire) "Solo chi, come Manconi, vive fuori dal mondo penitenziario può allegramente dichiarare la propria soddisfazione per una riforma approvata contro il personale e contro tutte le organizzazioni sindacali (a favore solo la Cgil)". Eugenio Sarno, Segretario generale della Uil penitenziari, risponde al sottosegretario Luigi Manconi e boccia la riforma che porta la sanità penitenziaria nel Ssn. "È tutto da dimostrare, infatti - afferma Sarno - che dopo la riforma i detenuti accederanno a servizi sanitari migliori". E Domanda: "Ci dica Manconi quante sono le Regioni pronte a subentrare con i loro servizi alla Medicina penitenziaria. Da oggi chi distribuirà le terapie all’interno delle carceri? La verità vera è che dietro l’angolo c’è il completo caos e a pagarne le conseguenze sarà, come sempre, il personale penitenziario. Ma questo al sottosegretario Manconi pare non interessare".
Bonazzi (Usae): riforma attesa, ma non sarà indolore. (Dire) "Una riforma attesa, ma che avrà forti ripercussioni". È questo il commento del Segretario Generale Usae (Unione sindacati autonomi europei), Adamo Bonazzi, sul varo del decreto che trasferisce al Ssn le competenze della medicina penitenziaria. Secondo Bonazzi, infatti, da un lato "viene sancita la parità di trattamento per il diritto alla salute tra tutti i cittadini e, quindi, anche quelli privati della libertà". Mentre dall’altro "non mancheranno ripercussioni organizzative sugli attuali sistemi". Temiamo, conclude il sindacalista, "che questa riforma non sarà indolore né per metodo di lavoro e né per organizzazione che dovrà garantire la giusta efficienza e i giusti diritti sia per gli utenti sia per gli stessi lavoratori". Giustizia: emanate disposizioni per diritto al voto dei detenuti
Comunicato stampa, 3 aprile 2008
Circa 17.000 gli interessati. necessaria massima collaborazione tra carceri e comuni. Dichiarazione del Sottosegretario alla Giustizia con delega sull’Amministrazione penitenziaria, Prof. Luigi Manconi. "In vista delle elezioni politiche e amministrative, su nostra sollecitazione il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sin dal 5 marzo scorso ha diffuso una nota diretta ai Provveditorati regionali nella quale si richiamano le disposizioni che disciplinano le modalità per l’esercizio del diritto al voto dei detenuti. Come è noto, tutte le persone in attesa di giudizio, o condannate con pene inferiori a cinque anni, conservano l’elettorato attivo e quindi devono essere messe in condizione di votare nei luoghi di detenzione", ha dichiarato il Sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi. Sono circa 17.000 i detenuti che, salvo altre cause preclusive, potrebbero essere interessati dalle operazioni di voto. Le direzioni dei singoli istituti di pena, evidenzia la nota del Dipartimento, sono tenute a sollecitare le amministrazioni comunali affinché procedano all’aggiornamento delle liste elettorali e alla trasmissione delle relative tessere a tutte le persone detenute che conservino il diritto di voto. Gli stessi istituti debbono, inoltre, informare la popolazione detenuta riguardo alla normativa vigente e alle modalità di svolgimento delle operazioni elettorali, indicando gli orari di voto e curando l’affissione dei manifesti recanti l’indicazione delle liste e dei nomi dei candidati. "Confido nella massima collaborazione tra gli operatori penitenziari e gli uffici elettorali delle amministrazioni comunali al fine di garantire a tutti i detenuti e le detenute che ne abbiano titolo la possibilità di avvalersi del diritto di voto, diritto fondamentale che ne fa componenti attivi e partecipi della cittadinanza", conclude il Sottosegretario. Giustizia: Marroni scrive ad Amato su diritto voto dei detenuti
Comunicato stampa, 3 aprile 2008
On. Ministro degli Interni Palazzo del Viminale
On. Ministro, con riguardo alle imminenti elezioni politiche del 13 e 14 aprile 2008, la Conferenza Nazionale dei Garanti regionali dei diritti dei detenuti, segnala le problematiche riguardanti il corretto svolgimento delle operazioni elettorali all’interno delle strutture penitenziarie dell’intero Paese, al fine di consentire alle persone detenute, che ne hanno i requisiti, il diritto ad esprimere il proprio voto con regolarità e senza vincoli. Proprio per non inficiare il diritto costituzionale di espressione del voto appare utile, in tal senso, effettuare sin d’ora preventive capillari verifiche, anche di natura organizzativa, per evitare disguidi, ritardi e discutibili azioni operative che possano ledere il citato diritto. La Conferenza ritiene di dover cortesemente chiedere, alla S.V. , di voler fornire notizie circostanziate in ordine ad eventuali provvedimenti adottati, in tutte le sedi, per la istituzione dei seggi elettorali dentro il carcere, per la verifica della sussistenza del diritto di voto in capo ai soggetti che tale diritto, benché reclusi, non hanno perduto (accertamenti relativi alla consegna della tessera elettorale, ecc..), per la affissione, nella sede del seggio, dei manifesti contenenti le liste con i candidati di tutti gli schieramenti e le modalità delle operazioni di voto per l’elezione del Parlamento della Repubblica o di altri Organi a livello locale. Si chiede, infine, di far conoscere quali accorgimenti sono stati o saranno adottati per consentire ai detenuti - elettori di esprimere il proprio voto quando non sono iscritti nelle liste elettorali dei comuni ove ha sede la struttura penitenziaria bensì nei comuni di residenza delle loro famiglie. Nel ringraziare per la cortese attenzione, si precisa che la Conferenza nazionale dei Garanti Regionali dei detenuti non mancherà di esperire i necessari passi presso i Sindaci dei comuni (sedi di Istituti di pena) per sollecitare la più ampia collaborazione istituzionale volta ad assicurare il pieno esercizio del diritto di voto nel rispetto della legge e dei vigenti regolamenti. Parimenti si confida nel cortese interessamento del Ministero dell’Interno affinché, attraverso le Prefetture, possano essere esercitate azioni ed interventi di sensibilizzazione utili al corretto e sereno svolgersi delle operazioni elettorali dentro le carceri.
Avv. Angiolo Marroni Presidente della Conferenza Nazionale dei Garanti dei diritti dei detenuti Giustizia: Osapp; carceri saranno presto una "piaga" del paese
Dire, 3 aprile 2008
Veglie di protesta del personale di Polizia Penitenziaria per sensibilizzare l’opinione pubblica e le forze politiche, impegnate nella sfida elettorale, "sul problema della sicurezza e della vivibilità delle strutture penitenziarie". Le ha organizzate l’Osapp, l’organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria, per la notte tra il 4 e il 5 aprile prossimo davanti al carcere "Lorusso Cotugno" di Torino, tra il 9 e il 10 aprile davanti all’istituto di Napoli-Poggioreale e, entro la fine del mese, davanti all’istituto penitenziario di Viterbo. "Le carceri diverranno presto una delle più grandi piaghe del Paese - sottolinea Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp -, almeno pari a quelle della sicurezza sul lavoro e del potere di acquisto dei salari, ma nessuno se ne sta accorgendo". Il sovraffollamento, spiega il segretario generale, "ha generato non solo problemi di vivibilità, e di minori spazi disponibili per le persone costrette alla detenzione, ma anche e soprattutto assenza di sicurezza per l’accresciuta promiscuità nelle sezioni". Giustizia: Osapp; votare chi fa proposte concrete per carcere
Comunicato stampa, 3 aprile 2008
Quello che è accaduto oggi a Bologna, con il sequestro di un nostro collega da parte di 3 detenuti, e gli scontri tra detenuti nello stesso istituto, e le altre violenze avvenute nei giorni scorsi a Genova, e a Torino, sempre nei confronti di personale di polizia penitenziaria, devono far riflettere su quella che è la vera emergenza nelle carceri". Lo dichiara il segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, secondo il quale tutto ciò "deve far riflettere sul fatto che si parla di sovraffollamento un po’ troppo a sproposito, e mai di sicurezza, di confusione imperante nelle sezioni, o dell’assenza di riferimenti istituzionali e decisioni da parte dei vertici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria". Inoltre, "visto che più di qualcuno nei giorni scorsi ha vantato i propri titoli per sostenere od osteggiare questa o quella formazione politica, tant’è che in ambito penitenziario lo avrebbero fatto addirittura gli ergastolani - continua Beneduci - anche noi come sindacato nazionale degli appartenenti alla Polizia Penitenziaria, e firmatari del contratto di lavoro delle Forze di Polizia, non vogliamo sottrarci a tale responsabilità politica". Per questo motivo, dunque, afferma il segretario dell’Osapp, "a poco meno di 10 giorni, ovvero 247 ore, pari a 14.820 minuti alla chiusura della campagna elettorale, il sindacato scende in campo direttamente e lo fa dichiarando il suo appoggio concreto, in termini di voti, a chi dei candidati premier, di tutte le coalizioni in sfida, saprà esprimere progetti concreti per il futuro del sistema penitenziario italiano e soprattutto - conclude - per il futuro dei 42mila, tra donne e uomini, agenti di Polizia Penitenziaria. Lettere: detenuti da varie carceri scrivono a Riccardo Arena
www.radiocarcere.com, 3 aprile 2008
Vincenzo, dal carcere di Piacenza Carissimo Riccardo, ho 36 anni e mi trovo detenuto nella sezione protetta del carcere di Piacenza. Forse saprai che nelle sezioni protette ci sono violentatori, pedofili ma anche persone normali che però devono essere tutelati dagli altri detenuti per ragioni di giustizia. Ed è questo il mio caso. Il fatto è che nelle sezioni protette noi detenuti, per diversi motivi, veniamo trattati male. Così per esempio le guardie, quando vengono a fare la conta, ci provocano in continuazione e se uno risponde viene insultato. Spesso la notte ci lasciano la luce accesa, ancora più spesso non ci portano i farmaci. È brutto vivere così e non è giusto. Anche parlare con l’educatore diventa un’impresa. Considera che qui c’è un educatore per 300 detenuti e chi sta nella sezione protetta non ha di certo la precedenza! Appena potrò ti racconterò meglio le nostre condizioni di vita. Grazie per aver preso in considerazione la mia lettera, anche se arriva da un detenuto che sta in una sezione protetta.
Maria, dal carcere Rebibbia di Roma Ciao Riccardo, sono una detenuta del carcere Rebibbia di Roma che sta in cella con il proprio bambino, come tante altre detenute mamme. Mio figlio ha quasi 3 anni e vive in carcere con me da sei mesi. L’inverno è stato terribile. Il freddo della cella, l’umidità. L’impossibilità di non far capire a mio figlio che stava in carcere con me. L’altro giorno a Roma era una bella giornata. E il sole splendeva anche nel cortiletto del carcere di Rebibbia. Cortiletto dove il mio bambino fa l’ora d’aria. Me lo guardavo, mentre un raggio di sole gli illuminava il viso. È durato pochi minuti. Poi il sole è sparito dietro le alte mura del carcere. A quel punto, mio figlio è corso da me. Ha pianto, come se avesse capito di essere detenuto. Detenuto senza colpa. Questo ti volevo raccontare, aspettando che anche a Roma, come a Milano, realizzino una casa per le mamme detenute con i bambini. Su questa pagina l’on. Manconi lo aveva promesso, ma non lo hanno ancora fatto. Grazie per quello che fai.
Antonio, dal carcere di Velletri Ciao Riccardo, ho 50 anni e sono detenuto dal novembre del 2006 nel carcere di Velletri per un fatto che risale al 1992. Devo scontare una pena di 8 anni. Ascoltando e leggendo Radio Carcere ho scoperto che non solo l’unico che finisce di scontare la pena dopo decenni dalla commissione del reato. Non sono l’unico finito in carcere, dopo 14 anni, mentre negli anni si era rifatto una vita. Avevo una compagna, un lavoro onesto. Con il carcere, arrivato 14 anni dopo il reato, io ho perso tutto. 14 anni impiegati per farmi il processo di primo grado, l’appello e il giudizio finale della cassazione. 14 anni. Ora non mi rimane che attendere in carcere il momento in cui potrò chiedere le misura alternative. E allora vedremo. Nel frattempo mi fa piacere anche a me intervenire sul tema, che giustamente poni ovvero quello della Giustizia. Io credo che siano ormai maturi i tempi per una separazione delle carriere. Come credo che sia giusto pensare a una forma di responsabilità dei magistrati che hanno fatto un errore. Ma è sulla pena, o sulla tanto declamata certezza della pena, che gli interventi sono più urgenti. Sarebbe necessario eliminare le differenze di pene che, per lo stesso reato, vengono applicate nei vari tribunali d’Italia. Come sarebbe necessario ripensare alcune pene. Trovo inaccettabile che chi ruba in un supermercato per fame, e magari è recidivo, si prenda una pena superiore a chi ha sottratto milioni a una società. Inoltre, se il fine della pena è anche il recupero di una persona, sarebbe il caso di prevedere la possibilità di rivalutare una pena quando questa colpisce il condannato dopo anni e anni dal reato. In questi casi forse, l’applicazione di una misura alternativa sarebbe più giusta. Non voglio dilungarmi troppo, anche se tante sarebbero le cose da scrivere. Vi continuerò ad ascoltare. Un sincero saluto. Napoli: Contrada chiede la scarcerazione per "morire a casa"
Reuters, 3 aprile 2008
Il Tribunale di Sorveglianza di Napoli si riserva la decisione sulle sorti di Bruno Contrada, ex dirigente del Sisde condannato per mafia. Lo ha riferito il suo legale. L’ex numero tre del Sisde Bruno Contrada, condannato a 10 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, è apparso ieri davanti al Tribunale di Sorveglianza per chiedere di essere scarcerato e poter "morire a casa". Il 77enne ex membro dei servizi segreti militari gode di una salute precaria che lo ha portato ad essere ripetutamente ricoverato negli ultimi mesi. "Sono ingiustamente detenuto", avrebbe detto Contrada al giudice Rita di Giovanni, secondo quanto riferito dal suo avvocato Giuseppe Lipera al termine dell’udienza del tribunale di sorveglianza, che si è svolta questa mattina a Napoli per valutare la richiesta di scarcerazione o di detenzione domiciliare avanzate dall’ex agente. Il legale ha riferito che Contrada ha motivato la sua richiesta di scarcerazione "per tentare di curarmi meglio e perché voglio morire a casa, perché sono consapevole di avere poca vita". Secondo il difensore di Contrada, la decisione del tribunale sulla richiesta di scarcerazione dovrebbe arrivare nell’arco di un paio di giorni. Lipera sostiene che Contrada, attualmente incarcerato nel penitenziario militare di Santa Maria Capua Vetere è denutrito e gravemente depresso. Cosenza: Movimento Diritti Civili; appello per detenuto cieco
Comunicato Stampa, 3 aprile 2008
Il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, denuncia il dramma e l’ingiustizia che sta vivendo un detenuto calabrese, A.G., 47 anni, gravemente malato, che sta diventando completamente cieco e rischia di morire in carcere. L’uomo, recluso in un istituto di pena calabrese, ha chiesto aiuto, con una lettera, allo stesso Corbelli che ha reso noto il caso ed è prontamente intervenuto chiedendo che vengano rispettati i diritti fondamentali di questa persona reclusa all’assistenza sanitaria adeguata stante il suo grave stato di salute, assolutamente incompatibile con il regime carcerario. L’uomo finirà di scontare il suo residuo pena (2 anni, 4 mesi e 13 giorni) il 21 dicembre 2009, ma ha paura che non vedrà quel giorno se continuerà a restare in una cella, senza essere adeguatamente curato. Il detenuto nella sua accorata e dignitosa missiva racconta a Corbelli il suo calvario in giro per gli ospedali delle carceri italiane e l’attuale aggravamento delle sue condizioni di salute che lo stanno portando alla cecità assoluta e, lui teme fortemente, alla morte. Per questo lancia il suo disperato grido d’aiuto scrivendo al leader di Diritti Civili: "Mi rivolgo a lei egregio dott. Corbelli se può aiutarmi a porre fine a questa ingiustizia e a vincere questa mia sofferenza. Penso che anche un detenuto ha il suo diritto di vivere, di poter un giorno ritornare dalla sua famiglia, di potersi curare e non morire in galera. Spero che lei prenda in considerazione questo mio caso umano". Alla missiva l’uomo allega tutta la documentazione medica, rilasciata dai vari specialisti e ospedali dove è stato ricoverato. "La situazione è gravissima. L’uomo per motivi di salute - afferma Corbelli - ha avuto, sino al 2006, anche la concessione degli arresti domiciliari. Tra le altre gravi patologie oltre alla progressiva perdita della vista gli è stato diagnosticato anche un adenoma surrenale. Sta diventando cieco e rischia di morire in cella. Prende 15 pillole al giorno. Non si capisce perché continua ad essere ancora tenuto in carcere essendo le sue condizioni assolutamente incompatibili con il regime carcerario. Quest’uomo mi chiede di aiutarlo, di salvarlo prima che sia troppo tardi! Il detenuto, così come prevede la legge, deve poter usufruire degli arresti domiciliari ed essere curato in un centro clinico specializzato. Si tratta di un drammatico caso umano e di una clamorosa ingiustizia che vede vittima, ancora una volta, uno dei tanti senza volti e senza diritti dell’inferno delle prigioni, di cui nessun politico e nessun candidato alle elezioni si occupa. Chiedo la immediata scarcerazione di questo detenuto e il suo ricovero in un ospedale dove possa essere adeguatamente curato". Avellino: intesa Comune Taurano per lavoro agli ex detenuti
Il Mattino, 3 aprile 2008
Protocollo d’intesa tra Comune di Taurano, Piano di Zona Sociale e casa circondariale di Lauro ha portato ad una lodevole iniziativa: un posto di lavoro per un detenuto. Un vero passo avanti nel reinserimento del popolo carcerario nella società civile che non può non passare attraverso l’opportunità occupazionale. Lui si chiama Palmerino Di Matteo, 40 anni, origini napoletane, e per tre giorni a settimana lavora come addetto alle aree verdi per il comune tauranese poi, alla fine della giornata, fa ritorno presso l’Icatt di Lauro, dove sconta la sua pena. Un lavoro part-time ma che riconsegna al 40enne quella dignità ricercata con i corsi di formazione seguiti proprio all’interno della struttura carceraria. Grazie al piano di zona sociale, l’istituzione che si occupa dei servizi sociali nel vallo Lauro e nel baianese, Palmerino, insieme ad altri compagni, ha seguito un corso professionale di manutentore nell’ambito del progetto "Agenzia Mestieri" e poi è stato scelto come destinatario di una borsa lavoro fino al prossimo ottobre. Il comune di Taurano e la casa circondariale di Lauro hanno fatto subito propria l’iniziativa, siglando il protocollo che permette la possibilità per i detenuti di lavorare all’esterno e crearsi quindi nuove opportunità di vita. "È questo l’esempio di un ponte con l’esterno - spiega la direttrice del carcere di Lauro, la dottoressa Claudia Nannola - una valida collaborazione con altri enti territoriali. Il giovane viene visto così con invidia ma anche con speranza, quella speranza di avere maggiori possibilità e un nuovo inserimento nel mondo del lavoro". "La positività di questo progetto non si discute - conclude il sindaco di Taurano, il dottore Antonio Graziano - ma si potrebbe puntare anche ad allargare questi progetti ad altre categorie di soggetti da reinserire e cercare di stabilizzare queste opportunità di lavoro anche per una dignità dello stesso lavoratore". Bologna: dopo aggressione ad agente il Sappe chiede rinforzi
Comunicato Sappe, 3 aprile 2008
L’Emilia Romagna è la regione con il rapporto più basso tra popolazione detenuta e agenti. I detenuti presenti nella regione sono 3.600 per 2.400 posti. Oltre 2.250 sono imputati, cosa che comporta un ulteriore aggravio di lavoro per coloro che svolgono il servizio di traduzione nelle aule di giustizia. Per questo chiediamo un intervento urgente del prossimo governo affinché destini nella nostra regione almeno 500 agenti. Il Sappe promuove uno stato di agitazione che culminerà con una manifestazione regionale presso gli istituti di Reggio Emilia il giorno 5 aprile alle ore 10.30. È stata scelta Reggio Emilia per evidenziare il grave problema che sta vivendo il personale di polizia penitenziaria ivi in servizio, con particolare riferimento a quello femminile, a causa della grave carenza d’organico che non consente più di gestire il servizio ordinario. Il tutto è aggravato dal sovraffollamento dei detenuti. La situazione è particolarmente critica nel reparto femminile, nel quale la vigilanza nei turni serali e in quelli notturni, è ormai effettuata da personale maschile. L’Ospedale Psichiatrico Giudiziario necessita di almeno 20 agenti per garantire i livelli minimi di sicurezza. A Forlì i detenuti sono costretti a dormire a turno per terra, a causa della carenza di posti. A Bologna l’effetto indulto è svanito nel giro di pochi mesi; infatti i detenuti sono attualmente più di mille, a fronte di 483 posti disponibili. La situazione non è migliore a Parma, dove ci sono anche i detenuti sottoposti al regime del 41 bis, il c.d. carcere duro; a Modena ci sono circa 400 detenuti, a fronte di una capienza di 222 posti circa; a Piacenza i detenuti sono circa 300, contro i 178 posti previsti, a Ravenna ci sono circa 140 detenuti per 59 posti previsti; a Ferrara ci sono circa 330 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 228 posti; a Rimini i detenuti sono circa 150, per 122 posti disponibili. In quest’ultimo istituto, nel periodo estivo, la popolazione detenuta raddoppia a causa dell’incremento esponenziale degli abitanti. Cinema: "Jimmy della Collina" è in uscita domani nelle sale
Ansa, 3 aprile 2008
Esce domani nelle sale cinematografiche italiane (oggi in quelle sarde) il film di Enrico Pau. La pellicola è stata girata nella comunità diretta da don Ettore Cannavera, che afferma: "Il carcere è la negazione della crescita di un adolescente" Jimmy è un ragazzo di soli 18 anni, vive con la sua famiglia di operai in Sardegna, a Sarroch. All’orizzonte vede stagliarsi una vita in fabbrica e il profilo delle ciminiere della petrolchimica. Ma sente rabbioso il richiamo di cambiare vita, attratto forse da altri mondi possibili, miraggi televisivi e miti pubblicitari. Per Jimmy si spalancano le porte del carcere minorile; poi il percorso nella comunità di recupero "la Collina" di Serdiana. È la sinossi del film del regista sardo Enrico Pau che il 4 aprile esce nelle sale cinematografiche nazionali (in anteprima il 3 aprile a Cagliari), vincitore, tra i tanti premi e concorsi di cui è stato insignito, del Festival Internazionale di Locarno e del Tamburino d’argento al Festival di Gavoi. La pellicola è tratta dall’omonimo libro dello scrittore Massimo Carlotto. Il Jimmy di Pau, a differenza di quello del libro, vive tra le montagne e i paesi della Sardegna. Prende allora avvio un mondo fatto prima delle mura del carcere, poi invece della vita di comunità, alla "Collina", fondata nel 1995 e attualmente diretta da don Ettore Cannavera, rivolta a giovani-adulti, di età compresa tra i 18 ed i 25 anni, che vengono affidati dalla Magistratura di Sorveglianza come misura alternativa alla detenzione. E qui emerge l’idea che la pena non sia una pietra tombale sulla vita di chi sbaglia, ma un passaggio esistenziale che può aiutare a cambiare vita. "La Storia di Jimmy è quella di un percorso che porta alla libertà, fuori dalle prigioni interiori in cui spesso ci si rifugia senza via d’uscita - spiega infatti Don Cannavera parlando del film di Enrico Pau -. La storia di tanti altri ragazzi che sono passati per la comunità". Sono 35 infatti i giovani che ad oggi sono stati ospitati dalla Collina; molti di loro hanno commesso crimini come quello che Jimmy compie nel film, altri delitti peggiori, come omicidi. E la pellicola dà "un’idea del carcere dolorosa, di un luogo prima di tutto violento, una struttura non in grado di aiutare nella crescita e in un percorso di recupero, nonostante il carcere minorile di Quartucciu sia uno dei più umani, grazie alla sensibilità del direttore e delle persone che ci lavorano - continua don Ettore - . Il carcere è la negazione della crescita di un adolescente, perché sono gli altri a decidere per lui. Per questo alla Collina cerchiamo invece di costruire un percorso di recupero culturale, che sia alternativo alla detenzione". Ma la pellicola dà una possibilità anche a quei tanti ragazzi che preferiscono abbandonarsi a un’inesorabile autodistruzione anziché cercare una via di riscatto. Il cinema di Pau fa luce in quei paesi sconosciuti, in quei mondi lontani, fatti dei tanti Jimmy che subiscono il fascino del crimine e a cui le dolci colline intorno alla comunità di Serdiana regalano un momento di poesia. "Il messaggio del film è che è possibile venire fuori dalle esperienze più negative, anche per chi ha commesso un omicidio, attraverso percorsi di recupero dove si stabilisce un dialogo profondo, a differenza della vita in carcere che nega tutto questo - conclude don Ettore - . Girare per venti giorni il film all’interno della comunità La Collina insieme al regista Enrico Pau è stata un’esperienza emozionante e coinvolgente anche per i ragazzi che hanno recitato sul set, che hanno scoperto così di avere anche le potenzialità per fare, una volta fuori di qua, gli attori". Immigrazione: Amato; serve nuova legge per i diritti dei rom
La Repubblica, 3 aprile 2008
Il giorno dopo lo sgombero di una delle più disastrate baraccopoli abusive rimaste a Milano - mentre donne e bambini rimasti senza tetto ancora vagano sotto i ponti e lungo i binari della ferrovia per cercare un rifugio temporaneo - dal mondo politico sale un coro di critiche verso l’operato del Comune guidato da Letizia Moratti. Dal Governo all’Unicef, dalla Cei al Presidente della Regione Formigoni, molte sono le voci che si sono unite a quella del cardinale Dionigi Tettamanzi che martedì, appena terminato lo sgombero degli 800 zingari della Bovisa, aveva denunciato la "violazione dei diritti umani dei rom". Il primo a scendere in campo è il ministro dell’Interno Giuliano Amato che invita a "liberarsi dai pregiudizi prima di affrontare una questione delicata come quella dei rom". Amato, pur riconoscendo che il "problema è la nostra capacità di assorbimento nelle città e che sta venendo dalla Romania più gente di quanto è giusto che sia", ha aggiunto che "servirà prima o poi una legge che riconosca i loro diritti come minoranze". In polemica col vicesindaco di Milano, Amato sottolinea che la nomina del prefetto con poteri speciali commissario per l’emergenza Rom, "nomina sollecitata da Milano, è una questione che riguarda la colletta dei soldi che non ci devo mettere solo io, ma anche le istituzioni locali per farla funzionare". Anche il ministro per i Diritti e le pari Opportunità, Barbara Pollastrini, critica la giunta Moratti: "L’intervento della Curia milanese è una sferzata alle classe dirigenti della città. La dignità delle persone è parte della legalità e della sicurezza". Il sindaco non commenta né risponde all’appello arrivato dalla Diocesi ambrosiana. Ma annuncia di aver chiesto al prefetto una riunione straordinaria del comitato per la sicurezza. Incontro che si terrà oggi. Dopo l’uscita dei cardinale Tettamanzi ieri mattina anche il presidente della regione Roberto Formigoni ha criticato l’operato della giunta comunale. "La legge va fatta rispettare, ma con umanità - ha commentato il Governatore - In casi come questi, si tratta di declinare due cose insieme: da una parte il rispetto della legge che deve essere sempre perseguito e dall’altra l’attenzione alle persone". Tace la Curia, preoccupata della strumentalizzazione politica dopo l’appello umanitario lanciato martedì con l’editoriale pubblicato sul sito della Diocesi ambrosiana. Ma a parlare è il direttore della Caritas, don Roberto Davanzo, che insiste nella richiesta di un intervento a sostegno delle donne e dei bambini rom rimasti senza tetto. Immigrazione: Sant’Egidio; basta criminalizzazione dei poveri
Il Messaggero, 3 aprile 2008
Imparare a vivere insieme. Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio, dice che è questo che abbiamo dimenticato.
Per egoismo, forse? "Soprattutto. La popolazione deve smettere di criminalizzare i poveri, che invece fanno parte della nostra vita".
Una parte spesso scomoda, ammetterà. "Gli sgomberi dei campi nomadi spostano il problema, ma non lo risolvono. Altre persone si allarmano, assistendo a questi spostamenti di poveri cristi".
Colpa dei Comuni e delle altre amministrazioni locali? "Non intendo questo. Ma non bisogna nemmeno incoraggiare la criminalizzazione dei poveri".
È possibile regolamentare l’accattonaggio? "Normare una cosa del genere mi sembra impossibile. I mendicanti non possono essere privati dell’unico bene che hanno, quello di chiedere l’elemosina".
E in casi come quello di Firenze? Una donna cieca è stata involontariamente ferita da un mendicante. "Chissà com’è, ma soltanto con i poveri si adottano provvedimenti collettivi di fronte a episodi singoli. Se uno zingaro investe e uccide delle persone, si brucia il campo nomadi; se la stessa cosa la fa un italiano, non gli si da fuoco alla casa".
Un momento. La giustizia "fai da tè" non è ammessa ne in un caso ne nell’altro. Qui si parla di provvedimenti amministrativi. "Che hanno conseguenze sociali. Sant’Egidio è in molte città d’Italia, solo a Roma assiste mille persone per strada, mandiamo maestri nei campi rom, ma non possiamo fare tutto. Qualunque sgombero senza alternative non può che accrescere l’allarme sociale". Anche il vicedirettore della Caritas, Francesco Marsico, critica Firenze: "Non ci sembra che sanzionare i mendicanti possa risolvere il problema". Droghe: Lazio; interrogazione sul contrasto alle dipendenze
Notiziario Aduc, 3 aprile 2008
"Partendo dagli allarmanti dati della Relazione annuale antidroga 2007 che fotografa come il Lazio, assieme alla Lombardia, si confermano i principali mercati del traffico nazionale di stupefacenti - afferma Augusto Pigliacelli, consigliere regionale del Lazio e Presidente del Co.Re.Co. - ho presentato una interrogazione urgente a risposta scritta al presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, e all’assessore alle Politiche Sociali, Anna Salome Coppotelli, per sapere quali sono, nel dettaglio, i programmi predisposti dall’Ente regionale in ordine alla campagna di prevenzione e contrasto dell’alcolismo, nonché agli interventi di lotta alla droga, di prevenzione e di reinserimento sociale dei soggetti affetti dalle diverse tipologie di tossicodipendenze". 105 sono stati i decessi registrati nel Lazio nel 2007 di cui 83 a Roma: il 18% del totale nazionale; 14% è stata la cocaina sequestrata a livello nazionale, 4% l’eroina, 3% l’hashish, 7% la marijuana e 1% sono le droghe sintetiche; 2.844 sono state le operazioni antidroga della Polizia di Stato, il 7,5% in più rispetto al 2006, con la provincia di Roma che ha inciso sul dato delle operazioni regionali per l’80%; 3.877 è stato il numero delle persone segnalate all’Autorità Giudiziaria per motivi di droga, il 20% in più rispetto all’anno precedente. Sono questi i dati agghiaccianti che emergono dal Documento pubblicato dalla Direzione centrale per i servizi antidroga che, giunta alla sua XXVI edizione, oltre ad onorare l’impegno di fornire agli addetti ai lavori un consuntivo sullo stato del narcotraffico, costituisce un utile strumento statistico funzionale all’individuazione di risposte strategiche al costante avanzare della minaccia rappresentata dal traffico di sostanze stupefacenti. Canada: esperti chiedono istituzione di "stanza del consumo"
Redattore Sociale, 3 aprile 2008
Il responsabile per la Salute della Provincia ha detto che Victoria deve diventare la seconda città canadese ad istituire le "stanze del consumo", anche se il futuro dell’unica struttura del genere, a Vancouver, è incerto. "Da cinque anni a Vancouver sono attive le stanze del consumo, ed è ora tempo che il progetto sia esteso anche a Victoria", ha dichiarato il dottor Perry Kendall, capo dell’Ufficio per la salute della British Columbia. Kendall e il dottor Benedikt Fischer, della scuola per la ricerca sulla tossicodipendenza dell’Università di Victoria, hanno pubblicato l’editoriale con la loro proposta sulla rivista scientifica B.C. Medical Journal. "L’Health Act specifica che se posso, devo dire la mia opinione su questione pratiche o politiche che riguardano la popolazione della Provincia, e posso farlo nella maniera che ritengo più opportuna. Per questo un editoriale scritto insieme ad un esperto sulla tossicodipendenza è il modo più appropriato per attirare l’attenzione sul problema", ha dichiarato Kendall. Alcune ricerche pubblicate su autorevoli riviste, come Lancet, rivelano che Insite (il nome del clinica di Vancouver), l’unica in tutto il Nord America, ha ridotto il numero di overdosi ed infezioni virali tra i tossicodipendenti. Per Fischer e Kendall, il programma offrirebbe ai 1.500 - 2.500 tossicodipendenti della città un luogo sicuro e controllato per autosomministrarsi eroina, invece di farlo nei parchi pubblici. Circa il 70% dei tossicodipendenti per via intravenosa hanno l’epatite C e il 15% sono sieropositivi. Il Governo conservatore federale ha esteso il periodo di prova concesso originariamente alla città di Vancouver, ma non si è ancora impegnato a rendere il progetto permanente. Il Consiglio comunale e il Dipartimento di polizia di Victoria sostengono l’iniziativa. All’inizio del mese di marzo, l’International Narcotics Control Board delle Nazioni Unite ha chiesto al Governo del Canada di chiudere le stanze del consumo di Vancouver, e di terminare la distribuzione dei kit di crack a Toronto, Ottawa e Vancouver Island, aggiungendo che la distribuzione del kit viola la convenzione Onu contro il traffico illecito di droghe. Iraq: dopo amnistia di febbraio rilasciati oltre 19mila detenuti
Agr, 3 aprile 2008
Oltre 19.500 detenuti sono stati rilasciati dallo scorso febbraio a oggi in seguito all’amnistia approvata dal parlamento iracheno. Lo ha reso noto il portavoce del Supremo consiglio giudiziario iracheno. La notizia è riportata dall’agenzia Aswat al Iraq. Il 13 febbraio scorso il parlamento ha approvato un provvedimento di amnistia di cui però non possono beneficiare coloro che si sono macchiati di crimini connessi al terrorismo, ai sequestri di persona, al traffico di droga, alla corruzione e i combattenti stranieri.
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