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Giustizia: i dati reali e la cultura dell’intolleranza sul carcere di Giuseppe D. Colazzo del CFPP (Centro Formazione Professionale Piemontese) Casa di Carità Onlus - Torino
Ristretti Orizzonti, 29 aprile 2008
È di nuovo emergenza carcere. Dai dati raccolti dal Ministero della Giustizia risulta che l’affollamento negli Istituti di pena ha superato il livello di pareggio tra posti disponibili e numero di presenze, con una media di 113 detenuti presenti per 100 letti. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha pubblicato i dati della situazione al 14 febbraio 2008: 50.250 presenze, circa 7.000 in più della capienza regolamentare (43.216 presenze). Se si considera che i detenuti tendono ad aumentare di 1.000 unità al mese, è facile prevedere che alla fine del 2008 si oltrepasserebbe la soglia delle 60.000 presenze, cioè ci troveremmo nella medesima situazione della vigilia dell’approvazione della legge sull’indulto. Certamente l’indulto ha lasciato il segno e la questione della recidività è tornata ad essere da un lato argomento discusso tra gli studiosi di scienze sociali, dall’altro sembra essere la giustificazione per propagandare politiche penali più repressive: più carcere, meno misure alternative, lavoro coatto, tolleranza zero per gli autori di reato; i mezzi di comunicazione di massa fanno la loro parte nel fomentare le paure dei cittadini indicando nell’indulto la causa di tutti i mali, senza mai fare riferimento a dati oggettivi. Da una ricerca di prossima pubblicazione commissionata dal Ministero della Giustizia e condotta dai prof. G. Torrente, C. Sarzotti e G. Jocteau della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino risulta che circa 7.000 "indultati" sono stati arrestati per aver commesso un nuovo reato. Certamente non sono pochi, intorno al 20% di coloro che hanno usufruito del provvedimento di clemenza. Sono una goccia nel mare rispetto ai 130-140 mila ingressi in carcere registrati dal 1° agosto 2006 ad oggi. D’altra parte non si può dimenticare che, senza l’indulto del 2006, le proiezioni ci dicono che oggi la popolazione reclusa supererebbe abbondantemente le 70.000 unità: un disastro umanitario ed una minaccia per la collettività. Secondo la stessa ricerca una forte riduzione della recidiva si riscontra negli ultimi mesi del 2007. Per il prof. Torrente ciò è dovuto probabilmente al fatto che sono entrati in funzione quei progetti di accoglienza e reinserimento sociale di ex detenuti avviati alcuni mesi dopo l’indulto; inoltre, sempre secondo Torrente, il deterrente maggiore per chi ha fruito del provvedimento di clemenza è che, in caso di recidiva, si deve scontare l’intera pena. Conclude dicendo che, in generale, "se si supera il primo periodo si cerca di stare più attenti". Questa ricerca, ma anche un’altra condotta sempre dal prof. Torrente a sei mesi dalla legge sull’indulto, evidenzia in modo chiaro una colpevole incompetenza, forse anche voluta, da parte dei mezzi di comunicazione di massa. Non solo, ma se si attuano politiche di recupero e di risocializzazione la recidiva tende a diminuire, confermando in un certo senso anche altre ricerche condotte sul grado di recidività di detenuti ammessi alle misure alternative, dalle quali risulta che il tasso di recidività è estremamente più basso rispetto al 70% riferito a coloro che hanno scontato tutta la pena in carcere: infatti i dati del Ministero della Giustizia riferiti alle revoche registrate dal 2001 al 2006 ci dicono che sono state revocate complessivamente 19.281 misure alternative su 277.367 concesse, cioè la media del 6,92%; di queste solo 622 (0,22%) sono state revoche per commissione di reati durante la misura, 12.866 (4,63%) per andamento negativo, 5.384 (1,93%) per nuova posizione giuridica per assenza di requisiti giuridico-penali previsti, 263 (0,10%) per irreperibilità, 146 (0,05%) per altri motivi. Per contro l’andamento positivo registrato nei 6 anni è in media del 93,08%. Inequivocabilmente i dati sottolineano il buon andamento delle misure alternative, almeno durante la loro esecuzione. E dopo? Tutte le ricerche condotte evidenziano che nei 5 anni successivi alla fine dell’esecuzione della pena in misura alternativa la recidività aumenta e si attesta intorno al 20-25%, estremamente al di sotto di quel 70-80% del tasso di recidività riferita a ex detenuti che hanno espiato tutta la pena in carcere. Per sottolineare ulteriormente il livello di disinformazione esistente nel nostro Paese occorre fornire ancora alcuni dati sul numero dei reati. Negli ultimi mesi del 2007 i reati sono diminuiti di 145.043. Si è passati da 1.466.614 delitti, del 2°semestre del 2006, a 1.323.118 del 2°semestre del 2007. Omicidi volontari: 335 nel 2006, 277 nel 2007; lesioni dolose: 30.817 nel 2006 e 27.222 nel 2007; violenze sessuali: 2.309 nel 2006, 2.057 nel 2007; totale rapine: 27.568 nel 2006, 22.675 nel 2007; reati legati agli stupefacenti: 16.780 nel 2006, 16.610 nel 2007. L’unico reato che è aumentato nel 2°semestre del 2007 (80.549) rispetto al 1°semestre del 2007 (77.184), ma in calo rispetto al 2°semestre del 2006 (83.396) è il furto in abitazione, mentre le estorsioni sono calate nel 2° semestre 2007 (2.658) rispetto al 1° semestre (3.144), ma sono aumentate, seppur di poco, in confronto al 2° semestre 2006 (2.597). Poi c’è il problema degli stranieri. A livello nazionale tra il 1980 e il 1990, fra le persone in carcere, il 15% erano stranieri. A giugno 2005 erano il 31,1% mentre al 31 dicembre 2007 sono aumentati al 37,7% provenienti da 144 Paesi diversi (in Piemonte al 31 dicembre 2007 gli stranieri erano il 52,2%, a Torino il 45%). I Paesi più rappresentati in carcere sono: Marocco 20,8%; Romania: 14,4%; Albania: 12,2%; Tunisia: 10,2%; Algeria: 5,7%; Nigeria: 3,7%; Iugoslavia: 3,0%; Egitto: 1,8%; Senegal: 1,8%; Cina: 1,4%; altri Paesi 24,8%. In valori assoluti gli stranieri al 31 dicembre 2007 presenti nelle prigioni italiane erano 18.252 su una popolazione complessiva di 48.693 (a febbraio, come detto sopra è arrivata a contare 50.250 unità). Infine è doveroso sottolineare che la popolazione detenuta è costituita per il 3,2% da condannati per mafia, per il 3,7% di detenuti per reati contro l’amministrazione, per il 23,4% da tossicodipendenti , mentre il 64% ha un grado di istruzione che non va oltre la licenza media inferiore. Nella sostanza il carcere sta diventando sempre di più una discarica sociale dove finisce solo la manovalanza del crimine. Dopo aver sciorinato un po’ di numeri cerchiamo di analizzare, per quanto è possibile, la situazione reale. Nonostante l’indulto le carceri continuano a riempirsi. E questo era facilmente prevedibile perché il provvedimento di indulto avrebbe dovuto essere accompagnato da una riforma del sistema penale volta alla riduzione del ricorso alla carcerazione al minimo indispensabile, è necessario contenere il "bisogno di prigione" nei limiti della sua efficacia rispetto allo scopo (L. Manconi, Sottosegretario alla Giustizia). A parte le posizioni politiche, dalle ricerche sopra esposte è evidente che le misure repressive d’emergenza non affrontano il problema di lungo periodo perché "pretendono di svuotare la vasca della criminalità schiacciando l’acqua con una mano. Senza sapere che poi torna al suo posto quando si toglie la mano. Senza capire che, se si vuole ottenere una riduzione permanente del crimine bisogna analizzare e contrastarne la cause". Certamente la minaccia della repressione dello Stato è necessaria, ma solo nel breve termine, mentre nel lungo periodo la guerra alla criminalità si vince solo se si riesce a instaurare una cultura della legalità, come evidenziato da una ricerca condotta da P. Buonanno dell’Università di Bergamo e P. Vanin dell’Università di Padova i cui dati sono di prossima pubblicazione sul Journal of Law and Economics, la più prestigiosa rivista internazionale in materia di diritto ed economia, i quali concludono dicendo che il senso civico e la presenza di una densa rete associativa sul territorio riducono i crimini in modo significativo. Tutte le indagini ci suggeriscono, se ancora ce ne fosse bisogno, che l’incapacitazione dell’individuo sposta semplicemente avanti nel tempo la sua azione deviante o criminale, pertanto le misure emergenziali, se non accompagnate da serie azioni di rieducazione e di risocializzazione non sono in grado di ridurre la criminalità nel lungo periodo. Se si continua a percorrere la strada della carcerazione di massa a scapito del welfare state, come avviene in America, si finisce di dire addio alle conquiste civili affermatesi nel secondo dopoguerra. Occorre investire non solo su una riforma del sistema penale ma anche sulle misure alternative perché abbattono la recidiva a circa il 20%; soltanto un potenziamento delle politiche sociali può garantire anche una sicurezza urbana, altrimenti la dignità della persona non sarà più il fondamento di uno Stato. Investire in politiche sociali vuol dire anche destinare più risorse umane ed economiche al terzo settore della nostra società che, attraverso la formazione professionale (in carcere e fuori) e progetti di inserimento socio-lavorativo da attuare nei confronti di detenuti in misure alternative ed ex-detenuti, contribuisce in modo determinante alla riduzione della recidiva. Il carcere non è la soluzione alla criminalità "perché chi entra in un carcere è un emarginato, ma chi ne esce, in assenza di una politica di inclusione e reinserimento sociale, è emarginato due volte" (R. Loddo, Ass. 5 novembre). Sta prendendo piede, e non solo in Italia, un pensiero intollerante, emergenzialista e giustizialista che attraverso strategie di esclusione aumenta i disagi sociali e produce un tipo di devianza da scaricare e nascondere poi in carcere. La tolleranza zero ha fallito e ce lo dicono i numeri: negli Stati Uniti dove è nata la politica di zero tollerance la popolazione carceraria è superiore a quella di qualsiasi altro Paese al mondo: 2 milioni e 300 mila persone private della libertà, 1000 detenuti su 100 mila abitanti, mentre in Europa il tasso medio è di 125 su 100 mila abitanti. Eppure stiamo seguendo quella strada. Usare il carcere come il contenitore nel quale collocare tipologie di persone con bisogni e domande diverse (tossicodipendenti, extracomunitari, ammalati di Aids o affetti da Hiv; persone con patologie psichiatriche, etc.) significa creare i presupposti per la deriva della giustizia. Da alcuni anni si continua a ridurre il budget per il funzionamento della giustizia con l’intento di ridurne le spese: eppure questa tendenza, a conti fatti, non solo non riduce le spese (bisogna affrontare l’emergenza), ma diventano più onerosi i costi sociali e umani conseguenti ai reati commessi. I mass-media, attenti più alle vendite o all’audience, non ci aiutano a capire il fenomeno, anzi, in maniera incompetente, aumentano l’insicurezza e la paura tra i cittadini. L’articolo apparso il 23 aprile su www.ristretti.it riassume il sentimento di coloro, noi compresi, che combattono la cultura dell’intolleranza propagandata colpevolmente dai mezzi di comunicazione di massa. "Con spregiudicatezza irresponsabile si fa a gara per mettere al centro dell’informazione episodi di cronaca nera raccontando fatti, mettendo insieme frasi raccolte, assemblando immagini il cui effetto è di incutere nei telespettatori, soprattutto nelle fasce di popolazione più fragili per età e per cultura, un senso di terrore incombente alimentato dalla presenza degli stranieri. A volte, meno importanti e più normali, invece, appaiono paradossalmente i delitti di sangue più efferati commessi dai mostri nostrani e spesso rappresentati con i plastici in miniatura nella trasmissione "Porta a porta". Con tali modalità di comunicazione mediatica, probabilmente finalizzata ad orientare l’opinione pubblica per la scadenza elettorale, si sta perpetrando a spese della comunità un danno di proporzioni incommensurabili. La ferita al corpo sociale, inferta da un’informazione siffatta, è priva, a mio avviso, dei principi basilari dell’etica giornalistica e indica indirettamente strade selvagge di "coprifuoco" permanente, di chiusura e aggressività verso chiunque abbia tratti somatici o linguistici o nomi diversi dai nostri. Si tratta di un’opera sistematica scellerata di distruzione progressiva del sistema naturale delle relazioni umane. Si tratta di una lucida folle filosofia che si inietta pericolosamente nell’opinione pubblica per far credere che l’unica soluzione per la sicurezza sia la costruzione di infinite carceri e manicomi dove dividere i "cattivi" dai "buoni". È un’incultura delle barricate che suggerisce allo spettatore acritico il rifugio principe dove sentirsi più sicuri al tramonto: in casa, davanti agli accattivanti intrattenimenti e format televisivi, dove l’unico innocuo gioco interattivo è il televoto a pagamento. Uno schermo intercetta e si sostituisce al nostro bisogno di relazioni sociali e affettive e le fa entrare virtualmente dentro ogni salotto e camera da letto attraverso il reality show, dove non esistono fastidiose o "minacciose" presenze di rom, immigrati ed extracomunitari". (Domenico Ciardulli, in www.ristretti.it) Mentre l’informazione mediatica persevera a costruire una pseudo realtà, decidendo arbitrariamente quali notizie sono meritevoli di conoscenza da parte del pubblico, la situazione è tornata a quella pre-indulto, grazie alle attuali leggi sulle droghe (legge Fini-Giovanardi), sull’immigrazione (legge Bossi-Fini) e sulla recidiva (legge ex Cirielli), che hanno continuato a far aumentare gli ingressi in carcere, con un incremento di circa un migliaio di persone al mese. Giustizia: Italia "ventre molle"… così importiamo criminalità di Vittorio Grevi (Ordinario di Procedura penale all’Università di Pavia)
Corriere della Sera, 29 aprile 2008
Il tema della sicurezza e quelli collegati dell’efficienza della giustizia e della certezza delle pene sono stati al centro delle discussioni degli ultimi giorni, dopo essere affiorati solo per alcuni aspetti settoriali durante il periodo pre-elettorale. A parte certe evidenti forzature derivanti dalle particolari contingenze dell’odierno momento politico (si pensi, per esempio, all’enfasi intorno al recente stupro subito da una giovane africana a Roma), è comunque un bene che la "questione sicurezza" acquisti priorità nell’agenda del nuovo governo, come del resto era previsto anche nei piani del governo Prodi. Il quale, pur non avendo trascurato questi problemi, non era però riuscito a far convertire i decreti legge emanati a fine anno (soprattutto in materia di espulsioni e di allontanamento per motivi di pubblica sicurezza) né tantomeno a fare approvare il correlativo "pacchetto" dei disegni di legge a tutela della collettività. Adesso è verosimile che il nuovo governo si muoverà in analoga direzione (ad esempio in materia di inasprimenti sanzionatori, di misure di prevenzione, di disciplina della sicurezza urbana, di banca dati del Dna), sebbene con prevedibili varianti sul versante dell’immigrazione clandestina (ma nel caso dei cittadini della Ue, come i romeni, ben poco ci sarà da fare). Staremo a vedere, nella speranza che si trovi una giusta linea di equilibrio, tale da poter essere condivisa anche oltre i confini della futura maggioranza politica, senza estremismi di bandiera: perché il tema della sicurezza corrisponde a un’esigenza di tutti, che dovrebbe essere affrontata e soddisfatta attraverso l’intesa di tutti gli schieramenti politici. Accanto a queste prospettive di intervento, alcune strettamente connesse ad emergenze di rilievo territoriale, merita tuttavia di essere segnalata anche una diversa prospettiva, spesso trascurata dai nostri governanti, eppure fondamentale in vista del controllo dei flussi di criminalità che - una volta cadute le tradizionali frontiere - possono ormai spostarsi liberamente nell’intero territorio degli Stati dell’Ue. È questa la prospettiva dell’auspicata armonizzazione tra i sistemi di giustizia penale dei diversi Stati membri. Una prospettiva doverosa non solo allo scopo di assicurare la necessaria cooperazione giudiziaria tra i medesimi Stati (in base al principio del "reciproco riconoscimento" delle rispettive decisioni penali) ma anche allo scopo di evitare eccessivi squilibri tra i suddetti sistemi, tali da incoraggiare la migrazione di singoli delinquenti o di organizzazioni criminali verso gli Stati dove più basso è il pericolo di essere processati e puniti. Sotto questo profilo l’Italia si presenta oggi come uno Stato di potenziale richiamo rispetto a determinati flussi di criminalità. Solo da noi, infatti, operano meccanismi di prescrizione dei reati (sulla scorta di termini fortemente ridotti nel 2005 dalla legge ex-Cirielli), tali da rendere assai elevata la probabilità dei colpevoli di rimanere impuniti per la prematura estinzione dei processi. Solo da noi, inoltre, la presunzione di non colpevolezza dell’imputato si estende fino alla condanna definitiva (non soltanto, dunque, fino alla prima condanna, come negli altri sistemi), impedendo così qualunque forma di esecuzione provvisoria della sentenza non definitiva. Solo da noi, ancora, i giudici devono assolvere pur in presenza di prove (ad esempio una testimonianza, resa da chi solo in seguito sia stato sottoposto a contraddittorio), sulla base delle quali negli altri sistemi si può invece condannare, senza con ciò violare la Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo. Il discorso è delicatissimo, anche perché coinvolge diversi principi costituzionali, sicché andrà approfondito e precisato. Ma occorre almeno essere consapevoli che, in questo modo, l’Italia rischia di diventare una sorta di "ventre molle" tra i sistemi di giustizia penale dell’Unione Europea. Con gravi conseguenze in chiave di incremento della delinquenza anche esterna e di minorata difesa sociale delle vittime dei reati. Giustizia: Amato; certezza della pena? da noi è cosa incerta...
Redattore Sociale, 29 aprile 2008
"In Italia la certezza della pena è la cosa più incerta". Lo dice Giuliano Amato, durante la presentazione del primo Rapporto sull’immigrazione in Italia, elaborato dal Viminale. "Dobbiamo tenere distinta l’attenzione delle forze dell’ordine nel perseguire il reati e i risultati del loro lavoro in termini di condanne", precisa il ministro: "Le carceri italiane sono sempre più piene, e nella gran parte dei casi si tratta di detenzione preventiva. Ma - sottolinea amaro il responsabile dell’Interno - una volta condannati, poi escono. È difficile darne una spiegazione".
Chi lamenta poca attenzione ha ragione
"Sono un amante dei fichi secchi, però continuo a pensare che non sono adatti alle nozze. Abbiamo fatto dei Patti per la sicurezza, che hanno avuto notevole efficacia. Ma, se avessimo potuto nutrirli non coi fichi secchi di cui disponevamo, ma con uomini e mezzi, sarebbe stato meglio". "Se qualcuno dice che c’è stata poca attenzione - risponde ai giornalisti che gli hanno chiesto un commento sulla diagnosi fatta da Francesco Rutelli della sconfitta a Roma - ritengo non si rivolga a me, ma ha ragione, sacrosanta ragione". Amato ribadisce di essere "insoddisfatto di come il tema sicurezza sia stato affrontato in questi anni". Lamenta la difficoltà di fare le cose stretti fra la scarsità di risorse e "la percezione di una parte della maggioranza, che identificava il problema della sicurezza esclusivamente con la criminalità organizzata e la mafia, e vedeva nella criminalità diffusa una questione da affrontare sul piano sociale".
Un commissario straordinario per Roma e Milano? Idea da studiare
"Stavamo pensando di approvare una procedura per dare al prefetto di Milano i poteri da commissario straordinario su alcuni aspetti specifici", come i campi Rom. Giuliano Amato, durante la presentazione del primo Rapporto sulla immigrazione in Italia del Viminale, così risponde ai giornalisti che gli chiedono lumi sull’ipotesi, avanzata dal nuovo sindaco di Roma Giovanni Alemanno, di un commissario alla sicurezza per la capitale: "È un’idea da studiare, non ho ragioni per criticarla. La sicurezza - sottolinea il ministro - è un tema molto ampio, necessità di una pluralità di interventi". Anche se, conclude Amato, "non credo basti un deus ex machina". Giustizia: certezza della pena, soprattutto a "colletti bianchi" di Raffaella Calandra
Il Sole 24 Ore, 29 aprile 2008
Del potere sempre maggiore della "zona grigia" se ne sono lamentati gli stessi mafiosi. Una microspia nel salotto del boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro, medico, registra i malumori dell’onorata società verso i complici dal colletto bianco: si sono costruiti un "ombrello protettivo" solo per sé, lasciando loro, i picciotti di Cosa Nostra, nel "tritacarne dell’Antimafia", riportano le intercettazioni. Ma come hanno dimostrato molte inchieste, il braccio armato della mafia non può fare a meno di questi "pontieri", medici, geometri, ragionieri, imprenditori, tecnici comunali, avvocati, e perfino magistrati da avere "reperibili", come scriveva Vito Ciancimino, sindaco di Palermo condannato per mafia. Professionisti che hanno permesso, ad esempio, a Bernardo Provenzano, il capo dei capi, di "pagarsi la latitanza e l’amministrazione di parte dei beni occulti con il denaro pubblico". Michele Prestipino, uno dei pm palermitani che hanno lavorato alla cattura del padrino, così sintetizza un’indagine della Guardia di Finanza su 10 anni di lavori Anas in Sicilia, tra infiltrazioni, scambi di appalti e favori. Il magistrato ne ha parlato ieri, ospite del convegno del Sole 24 Ore, introdotto dall’amministratore delegato Claudio Calabi e dal direttore Ferruccio De Bortoli, su "Economia illegale ed economia legale", durante il quale è stato presentato il libro del giornalista Nino Amadore, vittima anche di intimidazioni, "La zona grigia" (edizione La Zisa). Una zona fatta di uomini al servizio della mafia, che restano quando i boss vengono arrestati. Ed è qui che ora, anche in vista dell’arrivo di soldi europei perla costruzione di infrastrutture - avverte Prestipino - "restano i veri segreti di una stagione di affari e complicità. Segreti che potrebbero essere già diventati merce di scambio con nuovi padroni oppure diventare il passepartout per l’affermazione di nuovi centri del potere criminale". Per sgretolare questa "piattaforma dei servizi", secondo la definizione del presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello, "l’azione dello Stato, va accompagnata a quella della società", per combattere il "silenzio" che uccide - di cui scrive nella prefazione al libro Serena Uccello, moderatrice del dibattito. In Sicilia, sull’onda della decisione di Confindustria di espellere chi paga il pizzo, è sbocciata una primavera, ricorda il direttore de Bortoli. Ma "le novità dell’isola, dove sta cambiando la percezione sociale rispetto alla mafia, fanno fatica a radicarsi in altre regioni", ammette Lo Bello. Cosa fare allora contro questo "meccanismo tossico"? "Certezza della pena" da una parte, "efficacia ed efficienza delle norme" dall’altra, è la ricetta di Donato Masciandaro, professore dell’Università Bocconi, che ricorda come la necessità di "rintracciare gli scambi" abbia portato alla fine dell’assegno libero dal 30 aprile. Giustizia: Sappe; detenuti lavorino e contribuiscano a spese
Il Secolo XIX, 29 aprile 2008
Accadono cose davvero strane in questo nostro Paese, anche sul fronte penitenziario, e spesso l’opinione pubblica non ne è opportunamente a conoscenza. Non sa, ad esempio, che esiste una irrisoria quota di mantenimento in carcere del detenuto, attualmente fissata in 1,36 euro giornaliere! Questa somma comprende il costo dei pasti, la luce, l’acqua e quello dell’uso del corredo personale, fornito dall’Amministrazione Penitenziaria (materasso, lenzuola, piatti, posate, ecc.) a ogni detenuto. Soldi che lo Stato il più delle volte non vede quasi mai, grazie all’istituto della remissione del debito a cui può accedere il detenuto che è in difficoltà economiche e ha mantenuto una buona condotta durante la detenzione. La gente poi non sa che quando un arrestato viene condotto in carcere e ha del denaro (denaro che non può materialmente tenere con sé), i suoi soldi vengono depositati in un libretto di conto corrente interno al carcere che gli riconosce un tasso di interesse del 3%. Trovatemi un qualsiasi istituto di credito o una banca che riconosce analogo trattamento ai suoi clienti. Non parlo poi delle visite mediche specialistiche fatte presso gli ospedali civili: hanno la priorità su tutti e di pagamento del ticket nemmeno se ne parla. Ticket che centinaia di migliaia di cittadini onesti (compresi gli uomini e le donne appartenenti alla polizia penitenziaria, che scortano i detenuti alle visite negli ospedali) pagano regolarmente per visite che effettueranno previo appuntamento fissato dai Cup (non sempre in tempi rapidi). Se infine il detenuto lavora in carcere (come cuoco, addetto alle pulizie o altro - ma sono pochissimi i detenuti che lavorano), è ovviamente messo in regola, ha diritto alla liquidazione, agli assegni familiari se ha figli e, se si ammala, all’indennità per malattia. C’è chi arriva a guadagnare 1.000 euro al mese, proprio come un agente di polizia penitenziaria. Che però tutti i giorni entra, onesto e incensurato, in carcere per lavorare. Una considerazione. Sono altissimi i costi delle carceri: ogni detenuto costa allo Stato non meno di 250 euro al giorno. Non sarebbe allora il caso che almeno una parte di questi costi, anziché ricadere sullo Stato Pantalone, fossero sostenuti dai detenuti stessi con un impiego obbligatorio in lavori socialmente utili retribuiti al 50% delle paghe ordinarie (l’altro 50% lo si potrebbe destinare in un fondo per le vittime della criminalità), anche eventualmente potenziando maggiormente il ricorso alle misure alternative al carcere, cioè fuori dai penitenziari, e quindi senza una presenza fisica in carcere da riservare invece agli autori dei reati più gravi e per pene considerevoli? E di fronte a tutto ciò che ho rappresentato mi domando: ha un senso, oggi, la detenzione nelle nostre prigioni? Spero che il nuovo governo corregga queste ingiuste e ingiustificate anomalie nelle politiche penitenziarie del Paese.
Roberto Martinelli Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Rovigo: 50% detenuti è straniero, depenalizzare reati minori
Il Gazzettino, 29 aprile 2008
Nelle carceri italiane la media di detenuti stranieri è di 4 su 10 (il 38%). A Rovigo il rapporto è superiore a 1 su 2. Il dato emerge dall’incrocio fra le statistiche del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, rese note ieri dal "Sole 24 Ore", e quelle fornite dal direttore della Casa Circondariale rodigina di via Verdi, Fabrizio Cacciabue. Gli stranieri in città sono 56 su 96 detenuti (il 58,%). La maggior parte viene dalla Nigeria (16) a differenza del dato nazionale, dove il record spetta al Marocco (4.199 su 19.583). "La differenza fra il dato rodigino e quello nazionale non deve stupire - spiega Lorenzo Miazzi, 48 anni, giudice al tribunale di Adria, esperto di problematiche dell’immigrazione - È in sintonia con le carceri del nord Italia, dove la percentuale di detenuti stranieri è oltre il 50% rispetto al 25-30% del sud. Una differenza data dalla maggior ricchezza, e quindi dalla maggior presenza di immigrati". Altro dato interessante di Rovigo è la scarsa incidenza dei clandestini sulla popolazione carceraria. Ovvero di coloro che sono detenuti per aver violato l’ordine di espulsione previsto dalla legge Bossi-Fini. "Nella nostra casa circondariale ci sono solo tre casi di condannati per la Bossi-Fini - spiega il direttore Cacciabue - La maggior parte delle detenzioni riguarda droga, furti e qualche caso di sfruttamento della prostituzione". La Babele di nazionalità (15) ed etnie diverse non sembra dare problemi. "Non ci sono mai stati scontri o tensioni per motivi etnici - continua il direttore - Aiuta il clima quasi familiare della nostra struttura. Ma mi sono fatto l’idea che le diversità culturali di cui ci riempiamo la bocca forse le subiamo più noi italiani che gli stranieri, che imparano meglio a conviverci". Sulla Bossi-Fini e sulle problematiche della clandestinità fornisce un altro dato significativo Miazzi. "Nel 2006 a Rovigo su 220 processi per direttissima 180 riguardavano clandestini che lavoravano davvero. A causa di un sistema giudiziario a doppia velocità, lento per i reati gravi e veloce per i reati minori, si condanna in fretta solo chi commette questi ultimi. E se condanniamo badanti o muratori, invece di delinquenti, non facciamo certo diminuire la percezione di insicurezza dei cittadini. Ritengo perciò che la depenalizzazione dei reati meno gravi, non connessi all’aggressione alla persona o al patrimonio, porterebbe grandi benefici alla popolazione carceraria. Contro un extracomunitario trovato con cd musicali o capi d’abbigliamento contraffatti ritengo siano più efficaci una sanzione amministrativa e il sequestro della merce, piuttosto che un periodo in carcere". Firenze: problema sicurezza risolto con "cittadini vigilanti"? di Marco Scatarzi
L’Opinione, 29 aprile 2008
Sul tema della sicurezza si giocano, oggi più di sempre, le partite elettorali e le corse per il governo del paese e delle maggiori città italiane. Ha fatto molto discutere, suscitando polemiche e divisioni, la proposta di Francesco Rutelli - candidato per il centrosinistra a sindaco di Roma - di distribuire braccialetti antistupro alle donne romane. Non meno chiacchierate, poi, sono le proposte leghiste di sorveglianza fisica dei quartieri più a rischio, attraverso le ormai note "ronde padane". Nella Bologna di Cofferati - duramente contestato dalla sinistra radicale proprio per le misure in materia di sicurezza - si parla di "bastoni distanziatori" in dotazione ai vigili urbani, per contrastare le aggressioni e le violenze diffuse. Lo stesso Gianfranco Fini, leader di Alleanza Nazionale, ha dato la sua benedizione "ai cittadini che si organizzano per difendere il proprio quartiere, a patto che non sostituiscano le forze dell’ordine", mentre Gianni Alemanno - dirigente di AN e candidato sindaco per il Pdl a Roma - promette all’elettorato l’immediata espulsione di 20.000 immigrati clandestini dalla capitale entro pochi mesi. Anche a Firenze, già oggetto di dibattito per i provvedimenti anti-lavavetri adottati dalla giunta guidata da Leonardo Domenici, si cercano strade alternative per fare fronte ad una questione che pare aver assunto i toni dell’emergenza. Una iniziativa originale, infatti, vedrebbe impegnati circa 650 cittadini contro il degrado: professionisti, commercianti, residenti e sacerdoti. Insomma: insospettabili cittadini che collaborano con le forze dell’ordine segnalando costantemente i problemi legati al degrado, alla microcriminalità e all’assenza di sicurezza nelle strade. Un provvedimento attivo dal 2002 con il nome di "marketing della sicurezza" e che, in questi giorni, è balzato all’occhio delle cronache locali e nazionali, riscuotendo critiche ed elogi. L’assessore Graziano Cioni assicura che "si tratta di una collaborazione civile, non di un gruppo organizzato di spie". E mentre l’amministrazione comunale fiorentina di centrosinistra potenzia l’illuminazione notturna e moltiplica il numero delle telecamere di controllo, il centrodestra - con Alleanza Nazionale in testa - chiede a gran voce l’avvio di un processo concreto che permetta una maggiore agibilità per le forze dell’ordine e misure precise per arginare il degrado. Un dibattito aperto, che non lascia spazio a repliche e surriscalda la temperatura del termometro politico toscano. Nella "terra rossa", dove pure il Pdl ha ottenuto discreti risultati alle recenti elezioni politiche, resta radicata - specialmente nelle amministrazioni locali - la presenza della sinistra più oltranzista, nettamente contraria alla costruzione del Cpt e fermamente critica verso le linee-guida della legge Bossi-Fini in materia di immigrazione clandestina. Una linea dura, dalla quale anche il Partito Democratico di Veltroni ha preso le distanze durante questa campagna elettorale, dopo la rottura con gli ex alleati Bertinotti, Pecoraio Scanio e Diliberto. Proprio nel capoluogo toscano, prima dell’estate, dovrebbe tenersi un grande convegno sul tema della sicurezza che vedrebbe la partecipazione dei primi cittadini di alcune grandi città italiane, impegnati per cercare una via comune alla risoluzione dei problemi più diffusi. Per adesso, incalzata dai successi della Lega e del Pdl - assai espliciti in materia di lotta al degrado - la giunta Domenici auspica una maggiore presenza notturna delle forze dell’ordine. Del resto, a peggiorare la situazione, vi è la cattiva condizione delle carceri, sovraffollate e dotate di scarso personale, motivo per il quale i sindacati della Polizia Penitenziaria sono in agitazione dallo scorso 28 marzo. La Questura di Firenze, parallelamente al provvedimento di "cittadinanza attiva" promosso dall’amministrazione, dirama i dati sull’emergenza sicurezza in città per l’anno 2007: rispetto al 2006 sono aumentati del 26% arresti e fermi; i denunciati sono passati da 255 a 533; sono aumentati del 41% i servizi di polizia ordinari e dell’85% quelli straordinari; i sequestri di merce contraffatta sono aumentati del 72%, quelli effettuati dalla squadra mobile del 14% mentre quelli della Digos hanno subito un aumento del 64%. Un quadro infelice, che inizia a preoccupare anche i più scettici. Il futuro del capoluogo toscano - e in generale di tutta la regione - passa per una seria revisione dei decreti e delle leggi in materia che siano più condivisi e trasversali possibile. La costruzione di un "Centro di Permanenza Temporanea" per i clandestini senza permesso di soggiorno fermati sul territorio - ad esempio - è un argomento dibattuto e discusso da anni senza che si sia giunti ad una decisione concreta. Di fronte al problema sicurezza possiamo essere certi del fatto che se in futuro verranno presi provvedimenti simili a quelli finora discussi, ciò non potrà essere fatto senza prima aver affrontato alla radice la questione di una rigorosa applicazione delle normative varate a livello nazionale. Immigrazione: italiani si fidano sempre di meno di stranieri
Redattore Sociale, 29 aprile 2008
Gli italiani che si dicono disponibili e aperti nei confronti degli stranieri sono il 42% degli intervistati (come nel 2007), mentre chi si dichiara apertamente diffidente è passato dal 5,9 al 11,3% e indifferente dal 10,7 al 17,1%. Gli italiani si fidano sempre di meno degli immigrati. A scattare la fotografia della percezione degli italiani nei confronti degli stranieri che vivono nel nostro paese è la seconda indagine dell’Osservatorio sociale in progress sulle immigrazioni del ministero dell’Interno, che è stata presentata questa mattina a Roma dal ministro uscente Giuliano Amato e dal sottosegretario Marcella Lucidi. Infatti, secondo l’indagine svolta dalla Makno Consulting, gli italiani che si dicono disponibili e aperti nei confronti degli stranieri presenti in Italia nel 2008 sono rimasti il 42% del totale degli intervistati, esattamente come nel 2007, mentre quelli che si dichiarano apertamente diffidenti sono passati dal 5,9 al 11,3% e gli indifferenti dal 10,7 al 17,1%. La maggioranza degli italiani - secondo l’indagine - ha maturato la convinzione che in tema di immigrati non si possano fare generalizzazioni e che ci siano invece forti differenze a seconda dei paesi di provenienza (70% dei casi). In particolare, per il 55% degli italiani a presentare maggiori problemi è proprio l’immigrazione proveniente dai Paesi islamici, mentre il 30% manifesta sentimenti di chiusura nei confronti degli immigrati islamici a causa delle distanze sociali, culturali e religiose. E questa fascia della popolazione italiana è anche contraria al fatto che gli immigrati islamici possano costruire moschee sul territorio italiano. Ma dall’indagine dell’Osservatorio emerge anche una richiesta di legalità e di sicurezza da parte dei cittadini italiani, anche se poi il 57% degli intervistati ritiene che gli immigrati costituiscano una risorsa per le imprese italiane, il 68,4% è convinto che siano utili per l’assistenza agli anziani e il 51% pensa che la maggioranza degli stranieri sia onesta. Tuttavia, per il 52% del campione gli immigrati clandestini, il cui numero è percepito in aumento, rappresentano un problema per la sicurezza dei cittadini. Su queste basi aumentano i consensi alla concessione della cittadinanza italiana agli immigrati dopo cinque anni di regolare presenza e previo esame sull’effettiva conoscenza della lingua italiana (59%). Ma questa crescita dei consensi - suggerisce l’indagine - potrebbe essere dettata da un atteggiamento pragmatico che vede nella concessione della cittadinanza uno strumento di riconoscimento e inserimento degli immigrati onesti. E infatti - sull’altro versante - viene invece auspicata una maggiore certezza delle regole e una maggiore severità nell’applicazione delle leggi nei confronti degli immigrati che trasgrediscono. Immigrazione: ma i Cpt sono utilizzati al 50% della capienza di Marco Ludovico
Il Sole 24 Ore, 29 aprile 2008
Clandestini e irregolari non riempiono i famigerati Cpt, i Centri di Permanenza Temporanea del ministero dell’Interno. Mentre la maggioranza, a partire dalla Lega, chiede la costruzione di nuovi centri, i dati raccolti dal Sole 24 Ore, freschi di aggiornamento, danno un quadro surreale: in moltissimi di questi centri ci sono posti vuoti. Molti: anche la metà di quelli disponibili. Se fosse vero, insomma, quello che dice il Pdl, assisteremmo al paradosso di tanti clandestini in circolazione mentre i centri - sorti proprio per gestire le presenze illegali - stanno a guardare. I numeri parlano da soli. A Roma, nella struttura di Ponte Galeria, ci sono 184 immigrati clandestini di fronte a una disponibilità di 360 posti. A Torino, nel centro in corso Brunelleschi, 42 presenze effettive su 80. A Catanzaro - Lamezia Terme, 44 su 85. A Gorizia, nella sede di Gradisca d’Isonzo - già molte volte obiettivo d’attacco della protesta no global - 29 stranieri sono in "detenzione amministrativa" su 136 possibili posti. A Bari, 49 immigrati su 140. A Caltanissetta, contrada Pian del Lago, 58 su 98. Molto più efficienti Milano, sede in via Corelli (102 su 112), Bologna (79 su 95) e Trapani (30 su 31). Per comprendere il paradosso, va ricordato che nei Cpt vanno ricondotti dalle forze di polizia gli immigrati identificati e che, per legge, si trovano nelle condizioni di dover essere rimpatriati: da chi non ha ottemperato all’ordine di espulsione fino a chi ha il permesso di soggiorno scaduto e non è più nelle condizioni di rinnovarlo. Ci sono stati, fino a un passato recente, momenti di tensione. I Cpt, peraltro, non risalgono alla Bossi-Fini, come a volte si sostiene, ma sono previsti al del Testo Unico sull’immigrazione 286/98 (Turco - Napolitano). Il ministro dell’Interno Giuliano Amato, che pure ha avviato un lavoro di revisione interna su queste strutture e ha soppresso i centri di Brindisi, Crotone e Ragusa, non ha però accolto la richiesta insistente della sinistra radicale di abolire tutti i Cpt. Perché la presenza di questi centri risponde tra l’altro a esigenze dell’Unione europea: quelle, appunto, di garantire in ogni Stato membro una gestione minima delle presenze illegali. Adesso con il probabile arrivo di Roberto Maroni (Lega Nord) al Viminale anche questa materia sarà presto in testa all’ordine del giorno. Magari con la scoperta che dietro le decine di posti vuoti ci sono antiche resistenze sindacali, ma anche problemi non secondari delle forze di polizia assegnate a questi compiti. Cuba: commutata la pena capitale a gruppo di condannati
Apcom, 29 aprile 2008
Ha già liberalizzato la vendita di telefonini e dvd, indiscrezioni mai smentite lo danno prossimo ad allentare le restrizioni sui viaggi dei cubani. Adesso, Raul Castro, pre-annuncia quella che sembra la vera svolta di Cuba: la convocazione del Congresso del Partito comunista, dopo dodici anni, con l’obiettivo di disegnare "il futuro della Rivoluzione". Il Congresso, ha spiegato intervenendo alla riunione della direzione del Partito (discorso trasmesso in televisione), si farà alla fine del 2009. La data esatta è ancora da stabilire, l’ultimo plenum risale al 1997. Il "piccolo Castro" promette continuità ma i leader dell’Isola rivoluzionaria, aggiunge, devono prepararsi per "quando la generazione storica non ci sarà più": un’apertura al ricambio nei posti di vertice, dall’Ufficio politico al Comitato centrale. Raul esce dall’ombra di Fidel. Anche se il suo discorso è infarcito di riferimenti a scelte fatte dal’ex Lider Maximo o da lui condivise. Inclusa l’altra novità annunciata: la commutazione della pena capitale per "un gruppo di condannati" a morte. Decisione già presa, spiega, "non per pressioni esterne ma come atto sovrano, in linea con la condotta etica e umanitaria che ha sempre caratterizzato la rivoluzione cubana". La pena di morte non verrà abolita, puntualizza Raul: "Le circostanze ci impediscono di disarmare, di fronte a un Impero che non cessa di accusarci e attaccarci". Ma di fatto c’è una moratoria adottata dal 2000, aggiunge, a parte l’eccezione "obbligata" dell’esecuzione di alcuni "complottatori", tre anni dopo. Il nuovo Lider non entra nei dettagli, e non precisa numero né nomi di chi vedrà la sua pena diventare detentiva. Potrebbero essere nel novero (il loro ricorso verrà prossimamente esaminato dal Tribunale supremo, dice) anche due stranieri, il guatemalteco e il salvadoregno nelle carceri di Cuba da oltre dieci anni perché giudicati colpevoli di una serie di attentati in strutture turistiche, incluso quello in cui morì nel 1997 il turista italiano Fabio Di Celmo. Belgio: un indulto… "linguistico" per 15 detenuti minorenni
Apcom, 29 aprile 2008
Frutti, per qualcuno molto positivi, del bilinguismo: non ci sono abbastanza posti nelle carceri minorili francofone di Bruxelles e quindi 15 ragazzi sono stati rilasciati. Una sorta di "indulto linguistico" alla belga. Il quotidiano fiammingo de Morgen racconta oggi che quando si è saputo che la polizia di Bruxelles doveva rilasciare 15 giovani detenuti perché erano finiti i posti nelle carceri di lingua francese il ministro della Giustizia federale ha convocato una riunione d’urgenza con i suoi omologhi fiammingo e vallone per trovare una via d’uscita. Posto che aspettare il termine della costruzione del nuovo carcere di Achene prevista per il 2011 è sembrato a tutti un tempo un po’ lungo si è deciso di dare una sistemata a due vecchie carceri a Tongeren e Sint-Hubert entro i prossimi sei mesi per accogliere 35 detenuti in ciascuna. Ma è già polemica. Roland Martens, presidente dell’associazione dei direttori di carcere fiamminghi, sostiene che questo rinnovamento costerà quanto costruire un nuovo carcere. Il problema, almeno nelle Fiandre, però va risolto rapidamente: nel 2006 contro 1.001 giovani detenuti ben 965 sono stati rilasciati perché non c’erano posti in cella. Insomma, se ti arrestano in un momento di affollamento puoi stare tranquillo che in carcere non ci vai. Il problema delle carceri in Belgio è comunque affrontato con grande rispetto dei detenuti (anche se con problemi poi per la certezza della pena). Il paese i sta infatti confrontando con un problema che in Italia, ad esempio, non sarebbe prioritario: ci sono 9.631 detenuti ma solo 8.358 celle. Nell’attesa della costruzione delle nuove carceri, che saranno pronte tra quattro anni, si stanno valutando varie ipotesi per trovare 1.500 celle provvisorie. La risposta, ha pensato il Governo, è nella prevenzione e nelle pene alternative al carcere. Ad esempio nella città fiamminga di Gent i tossicodipendenti possono evitare il carcere se accettano aiuto per disintossicarsi. Esistono anche piani per aumentare l’utilizzo dei braccialetti elettronici, che tante polemiche avevano in realtà innescato perché fino a qualche tempo fa i detenuti "a distanza" erano controllati solo nell’orario di ufficio dei commissariati, dalle 8 alle 22. Scozia: detenuta incinta in ospedale incatenata 24 ore su 24
Liberazione, 29 aprile 2008
Incatenata. Un metro di libertà e tre guardie intorno. Per andare al bagno, mentre dormiva o si faceva una doccia. Ventiquattro ore su ventiquattro. È la sconvolgente storia di Donna McLeish, detenuta di 21 anni in gravidanza, raccontata al britannico The Guardian dal padre Alexander. Donna, al settimo mese, era stata ammessa all’ospedale a seguito di alcune serie complicazioni. Nonostante potesse camminare soltanto appoggiata a delle stampelle, la ragazza è arrivata al nosocomio con le manette ed è stata messa sotto sorveglianza H24 da una società di sicurezza privata, la Reliance, che offre un’ampia gamma di servizi per la pubblica tranquillità. "Pericolosa criminale", è stata condannata a due anni di carcere per una rissa con un’altra donna in un locale notturno. L’avvocato della giovane ha annunciato una denuncia. "Quando ho visitato la mia cliente in ospedale c’erano due addetti alla sicurezza, un uomo ed una donna, accanto al suo letto. La signorina McLeish mi ha detto che la catena, legata ad una delle due guardia, è stata tenuta sotto la doccia, mentre dormiva e durante le visite ginecologiche". La Reliance, multata in passato per essersi fatta sfuggire dei detenuti, ha detto in una nota di aver "modificato le procedure in accordo con il Servizio Penitenziario Scozzese per garantire che le donne incinte non siano ammanettate nel trasporto e nella permanenza in ospedale". In Scozia, a differenza del resto del Regno Unito, incatenare i detenuti è consentito. Sheila Kitzinger è un’attivista dei diritti delle donne in carcere. Sul sito del Guardian racconta: "Donna era ubriaca ha azzuffato un’altra ragazza. Non era un detenuto pericoloso. Chi ha agito contro la legge è Reliance. È il regime carcerario per le donne incinte ad essere allucinante" Usa: un detenuto obeso perde 45 kg… e fa causa al carcere
Adnkronos, 29 aprile 2008
Pesava 187 chili quando fu arrestato e rinchiuso nella prigione di Benton County in Arkansas (Usa) per omicidio. In otto mesi ha perso 45 chili, e ora intende far causa al carcere: il motivo per cui è dimagrito, infatti, non è l’attività fisica, bensì la scarsa alimentazione. Broderick Lloyd Laswell, detenuto "oversize" che si è rivolto a un giudice federale per ottenere giustizia, è certo che dietro le sbarre "stiano facendo morire di fame i detenuti", anche se la direzione del carcere assicura che i pasti offerti assicurano ben tremila calorie al giorno, più della quantità media consigliata.
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